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A.N.AC. (massimario
dell'Autorità) - A.N.AC. (massimario
di giurisprudenza) |
anno 2019 |
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settembre 2019 |
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APPALTI: Limitazione
al 30% del subappalto.
La Corte di Giustizia UE
con riferimento all’art. 105 del d.lgs. n.
50 del 2016 statuisce che:
“La direttiva 2014/24/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 26.02.2014,
sugli appalti pubblici e che abroga la
direttiva 2004/18/CE, come modificata dal
regolamento delegato (UE) 2015/2170 della
Commissione, del 24.11.2015, deve essere
interpretata nel senso che osta a una
normativa nazionale, come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, che
limita al 30% la parte dell’appalto che
l’offerente è autorizzato a subappaltare a
terzi”
(Corte di Giustizia UE, Sez. V,
sentenza 26.09.2019 - causa C-63/18
- commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
Nella causa C‑63/18,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia
pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia
(Italia), con
ordinanza 19.01.2018 n. 148,
pervenuta in cancelleria il 10.02.2018, nel
procedimento
Vi. SpA
contro
Autostrade per l’Italia SpA,
...
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale
verte sull’interpretazione degli articoli 49
e 56 TFUE, dell’articolo 71 della direttiva
2014/24/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti
pubblici e che abroga la direttiva
2004/18/CE (GU 2014, L 94, pag. 65), come
modificata dal regolamento delegato (UE)
2015/2170 della Commissione, del 24.11.2015
(GU 2015, L 307, pag. 5) (in prosieguo: la «direttiva
2014/24»), nonché sul principio di
proporzionalità.
2 Tale domanda è stata presentata
nell’ambito di una controversia tra la Vi.
SpA e l’Autostrade per l’Italia SpA in
merito alla decisione adottata da quest’ultima,
in qualità di amministrazione aggiudicatrice,
di escludere la prima da una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico.
...
Diritto italiano
9 L’articolo 105, paragrafo 2, terza frase,
del decreto legislativo n. 50 – Codice dei
contratti pubblici, del 18.04.2016
(supplemento ordinario alla GURI n. 91 del
19.04.2016; in prosieguo: il «decreto
legislativo n. 50/2016»), così prevede:
«Fatto salvo quanto
previsto dal comma 5, l’eventuale subappalto
non può superare la quota del 30 per cento
dell’importo complessivo del contratto di
lavori, servizi o forniture».
10 L’articolo 105, paragrafo 5, del decreto
legislativo n. 50/2016 è formulato come
segue: «Per le opere di
cui all’articolo 89, comma 11, e fermi
restando i limiti previsti dal medesimo
comma, l’eventuale subappalto non può
superare il trenta per cento dell’importo
delle opere e non può essere, senza ragioni
obiettive, suddiviso».
...
Sulla questione pregiudiziale
21 Con la sua questione, il giudice del
rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli
49 e 56 TFUE e la direttiva 2014/24 debbano
essere interpretati nel senso che ostano a
una normativa nazionale, come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, che
limita al 30% la parte dell’appalto che
l’offerente è autorizzato a subappaltare a
terzi.
22 In via preliminare, occorre rilevare che,
poiché il valore dell’appalto di cui al
procedimento principale, al netto dell’IVA,
è superiore alla soglia di EUR 5225000
prevista all’articolo 4, lettera a), della
direttiva 2014/24, è con riferimento a
quest’ultima che occorre rispondere alla
presente domanda di pronuncia pregiudiziale.
23 Occorre ricordare che tale direttiva,
come risulta in sostanza dal suo
considerando 1, ha l’obiettivo di garantire
il rispetto, nell’aggiudicazione degli
appalti pubblici, in particolare, della
libera circolazione delle merci, della
libertà di stabilimento e della libera
prestazione dei servizi, e dei principi che
ne derivano, in particolare la parità di
trattamento, la non discriminazione, la
proporzionalità e la trasparenza, nonché di
garantire che l’aggiudicazione degli appalti
pubblici sia aperta alla concorrenza.
24 In particolare, a tal fine, la predetta
direttiva prevede espressamente, al suo
articolo 63, paragrafo 1, la possibilità per
gli offerenti di fare affidamento, a
determinate condizioni, sulle capacità di
altri soggetti, per soddisfare determinati
criteri di selezione degli operatori
economici.
25 Inoltre, l’articolo 71 della medesima
direttiva, che riguarda specificamente il
subappalto, al suo paragrafo 2 dispone che
l’amministrazione aggiudicatrice può
chiedere o può essere obbligata da uno Stato
membro a chiedere all’offerente di indicare,
nella sua offerta, le eventuali parti
dell’appalto che intende subappaltare a
terzi, nonché i subappaltatori proposti.
26 Ne deriva che, al pari della direttiva
2004/18 abrogata dalla direttiva 2014/24,
quest’ultima sancisce la possibilità, per
gli offerenti, di ricorrere al subappalto
per l’esecuzione di un appalto, purché le
condizioni da essa previste siano
soddisfatte (v., in tal senso, per quanto
riguarda la direttiva 2004/18, sentenza del
14.07.2016, Wrocław - Miasto na prawach
powiatu, C‑406/14, EU:C:2016:562, punti da
31 a 33).
27 Infatti, secondo una giurisprudenza
costante, e come risulta dal considerando 78
della direttiva 2014/24, in materia di
appalti pubblici, è interesse dell’Unione
che l’apertura di un bando di gara alla
concorrenza sia la più ampia possibile. Il
ricorso al subappalto, che può favorire
l’accesso delle piccole e medie imprese agli
appalti pubblici, contribuisce al
perseguimento di tale obiettivo (v., in tal
senso, sentenza del 05.04.2017, Borta,
C‑298/15, EU:C:2017:266, punto 48 e
giurisprudenza ivi citata).
28 Inoltre, al punto 35 della sentenza del
14.07.2016, Wrocław - Miasto na prawach
powiatu (C‑406/14, EU:C:2016:562), che
riguardava l’interpretazione della direttiva
2004/18, la Corte ha stabilito che una
clausola del capitolato d’oneri di un
appalto pubblico di lavori che impone
limitazioni al ricorso a subappaltatori per
una parte dell’appalto fissata in maniera
astratta in una determinata percentuale
dello stesso, e ciò a prescindere dalla
possibilità di verificare le capacità di
eventuali subappaltatori e senza menzione
alcuna del carattere essenziale degli
incarichi di cui si tratterebbe, è
incompatibile con tale direttiva,
applicabile nell’ambito della controversia
che aveva dato luogo a tale sentenza.
29 A tal riguardo, occorre rilevare che,
sebbene l’articolo 71 della direttiva
2014/24 riprenda, in sostanza, il tenore
dell’articolo 25 della direttiva 2004/18,
esso elenca tuttavia talune norme
supplementari in materia di subappalto. In
particolare, tale articolo 71 prevede la
possibilità, per l’amministrazione
aggiudicatrice, di chiedere o di essere
obbligata dallo Stato membro a chiedere
all’offerente di informarla sulle intenzioni
di quest’ultimo in materia di subappalto,
nonché la possibilità per l’amministrazione
aggiudicatrice, a determinate condizioni, di
trasferire i pagamenti dovuti direttamente
al subappaltatore per i servizi, le
forniture o i lavori forniti al contraente
principale.
Inoltre, il suddetto articolo 71
dispone che le amministrazioni aggiudicatrici possono verificare o essere
obbligate dagli Stati membri a verificare se
sussistano motivi di esclusione dei
subappaltatori a norma dell’articolo 57 di
tale direttiva relativi in particolare alla
partecipazione a un’organizzazione
criminale, alla corruzione o alla frode.
30 Tuttavia, dalla volontà del legislatore
dell’Unione di disciplinare in maniera più
specifica, mediante l’adozione di siffatte
norme, le situazioni in cui l’offerente fa
ricorso al subappalto, non si può dedurre
che gli Stati membri dispongano ormai della
facoltà di limitare tale ricorso a una parte
dell’appalto fissata in maniera astratta in
una determinata percentuale dello stesso, al
pari del limite imposto dalla normativa di
cui trattasi nel procedimento principale.
31 A tale riguardo, il governo italiano
sostiene che gli Stati membri possono
prevedere misure diverse da quelle
specificamente elencate nella direttiva
2014/24, al fine di garantire, in
particolare, il rispetto del principio di
trasparenza nell’ambito delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici,
poiché a tale principio è dedicata una
particolare attenzione nel contesto di tale
direttiva.
32 Più specificamente, tale governo
sottolinea il fatto che la limitazione del
ricorso al subappalto di cui trattasi nel
procedimento principale è giustificata alla
luce delle particolari circostanze presenti
in Italia, dove il subappalto ha da sempre
costituito uno degli strumenti di attuazione
di intenti criminosi. Limitando la parte
dell’appalto che può essere subappaltata, la
normativa nazionale renderebbe il
coinvolgimento nelle commesse pubbliche meno
appetibile per le associazioni criminali, il
che consentirebbe di prevenire il fenomeno
dell’infiltrazione mafiosa nelle commesse
pubbliche e di tutelare così l’ordine
pubblico.
33 Come osserva il governo italiano, è vero
che i considerando 41 e 105 della direttiva
2014/24, nonché alcune disposizioni di
quest’ultima, come l’articolo 71, paragrafo
7, indicano espressamente che gli Stati
membri rimangono liberi di prevedere, nel
proprio diritto interno, disposizioni più
rigorose rispetto a quelle previste dalla
predetta direttiva in materia di subappalto,
a condizione che tali prime disposizioni
siano compatibili con il diritto
dell’Unione.
34 Come deriva, in particolare, dai criteri
di selezione qualitativi previsti dalla
direttiva 2014/24, in particolare dai motivi
di esclusione dettati al suo articolo 57,
paragrafo 1, è altresì vero che il
legislatore dell’Unione ha inteso evitare,
mediante l’adozione di tali disposizioni,
che gli operatori economici che sono stati
condannati con sentenza definitiva, alle
condizioni previste in tale articolo,
partecipino a una procedura di
aggiudicazione di appalti.
35 Parimenti, il considerando 41 della
direttiva 2014/24 prevede che nessuna
disposizione di quest’ultima dovrebbe
vietare di imporre o di applicare misure
necessarie, in particolare, alla tutela
dell’ordine, della moralità e della
sicurezza pubblici, a condizione che dette
misure siano conformi al TFUE, mentre il
considerando 100 di tale direttiva precisa
che è opportuno evitare l’aggiudicazione di
appalti pubblici, in particolare, ad
operatori economici che hanno partecipato a
un’organizzazione criminale.
36 Oltre a ciò, secondo una giurisprudenza
costante, va riconosciuto agli Stati membri
un certo potere discrezionale nell’adozione
di misure destinate a garantire il rispetto
dell’obbligo di trasparenza, il quale si
impone alle amministrazioni aggiudicatrici
in tutte le procedure di aggiudicazione di
un appalto pubblico. Infatti, il singolo
Stato membro è nella posizione migliore per
individuare, alla luce di considerazioni di
ordine storico, giuridico, economico o
sociale che gli sono proprie, le situazioni
favorevoli alla comparsa di comportamenti in
grado di provocare violazioni del rispetto
dell’obbligo summenzionato (v., in tal
senso, sentenza del 22.10.2015, Impresa
Edilux e SICEF, C‑425/14, EU:C:2015:721,
punto 26 e giurisprudenza ivi citata).
37 Più specificamente, la Corte ha già
dichiarato che il contrasto al fenomeno
dell’infiltrazione della criminalità
organizzata nel settore degli appalti
pubblici costituisce un obiettivo legittimo
che può giustificare una restrizione alle
regole fondamentali e ai principi generali
del TFUE che si applicano nell’ambito delle
procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici (v., in tal senso, sentenza del
22.10.2015, Impresa Edilux e SICEF,
C‑425/14, EU:C:2015:721, punti 27 e 28).
38 Tuttavia, anche supponendo che una
restrizione quantitativa al ricorso al
subappalto possa essere considerata idonea a
contrastare siffatto fenomeno, una
restrizione come quella di cui trattasi nel
procedimento principale eccede quanto
necessario al raggiungimento di tale
obiettivo.
39 A tal riguardo, occorre ricordare che,
durante tutta la procedura, le
amministrazioni aggiudicatrici devono
rispettare i principi di aggiudicazione
degli appalti di cui all’articolo 18 della
direttiva 2014/24, tra i quali figurano, in
particolare, i principi di parità di
trattamento, di trasparenza e di
proporzionalità (sentenza del 20.09.2018,
Montte, C‑546/16, EU:C:2018:752, punto 38).
40 Orbene, in particolare, come ricordato al
punto 30 della presente sentenza, la
normativa nazionale di cui al procedimento
principale vieta in modo generale e astratto
il ricorso al subappalto che superi una
percentuale fissa dell’appalto pubblico in
parola, cosicché tale divieto si applica
indipendentemente dal settore economico
interessato dall’appalto di cui trattasi,
dalla natura dei lavori o dall’identità dei
subappaltatori. Inoltre, un siffatto divieto
generale non lascia alcuno spazio a una
valutazione caso per caso da parte dell’ente
aggiudicatore (v., per analogia, sentenza
del 05.04.2017, Borta, C‑298/15,
EU:C:2017:266, punti 54 e 55).
41 Ne consegue che, nell’ambito di una
normativa nazionale come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, per
tutti gli appalti, una parte rilevante dei
lavori, delle forniture o dei servizi
interessati dev’essere realizzata
dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi
automaticamente escluso dalla procedura di
aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso
in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di
verificare le identità dei subappaltatori
interessati e ove ritenga, in seguito a
verifica, che siffatto divieto non sia
necessario al fine di contrastare la
criminalità organizzata nell’ambito
dell’appalto in questione.
42 Come sottolinea la Commissione, misure
meno restrittive sarebbero idonee a
raggiungere l’obiettivo perseguito dal
legislatore italiano, al pari di quelle
previste dall’articolo 71 della direttiva
2014/24 e richiamate al punto 29 della
presente sentenza. D’altronde, come indica
il giudice del rinvio, il diritto italiano
già prevede numerose attività interdittive
espressamente finalizzate ad impedire
l’accesso alle gare pubbliche alle imprese
sospettate di condizionamento mafioso o
comunque collegate a interessi riconducibili
alle principali organizzazioni criminali
operanti nel paese.
43 Pertanto, una restrizione al ricorso del
subappalto come quella di cui trattasi nel
procedimento principale non può essere
ritenuta compatibile con la direttiva
2014/24.
44 Tale conclusione non può essere rimessa
in discussione dall’argomento dedotto dal
governo italiano, secondo cui i controlli di
verifica che l’amministrazione
aggiudicatrice deve effettuare in forza del
diritto nazionale sarebbero inefficaci.
Invero, siffatta circostanza, che, come pare
evincersi dalle osservazioni stesse di tale
governo, risulta dalle modalità specifiche
di tali controlli, nulla toglie al carattere
restrittivo della misura nazionale di cui al
procedimento principale.
Peraltro, il
governo italiano non ha affatto dimostrato,
nell’ambito della presente causa, che le
diverse disposizioni previste all’articolo
71 della direttiva 2014/24, con le quali gli
Stati membri possono limitare il ricorso al
subappalto, nonché i possibili motivi di
esclusione dei subappaltanti ai sensi
dell’articolo 57 di tale direttiva, e ai
quali fa riferimento l’articolo 71,
paragrafo 6, lettera b), di quest’ultima,
non possano essere attuate in modo tale da
raggiungere l’obiettivo perseguito dalla
normativa nazionale di cui al procedimento
principale.
45 Alla luce delle considerazioni che
precedono, occorre rispondere alla questione
pregiudiziale dichiarando che
la direttiva 2014/24 dev’essere
interpretata nel senso che osta a una
normativa nazionale, come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, che
limita al 30% la parte dell’appalto che
l’offerente è autorizzato a subappaltare a
terzi.
Sulle spese
46 Nei confronti delle parti nel
procedimento principale la presente causa
costituisce un incidente sollevato dinanzi
al giudice nazionale, cui spetta quindi
statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a
rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione)
dichiara:
La direttiva 2014/24/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26.02.2014, sugli appalti pubblici e che
abroga la direttiva 2004/18/CE, come
modificata dal regolamento delegato (UE)
2015/2170 della Commissione, del 24.11.2015,
deve essere interpretata nel senso che osta
a una normativa nazionale, come quella di
cui trattasi nel procedimento principale,
che limita al 30% la parte dell’appalto che
l’offerente è autorizzato a subappaltare a
terzi. |
APPALTI: Il
principio di c.d. equivalenza funzionale interviene a dare elasticità al
parametro valutativo delle offerte di una gara, così tutelando la massima
partecipazione al confronto concorrenziale.
Tale principio permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica;
costituisce espressione del legittimo esercizio della discrezionalità
tecnica da parte dell’Amministrazione e trova applicazione indipendentemente
da espressi richiami negli atti di gara o da parte dei concorrenti, in tutte
le fasi della procedura di evidenza pubblica.
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19. Il Collegio osserva anzitutto che il TAR, nella sentenza
appellata, è partito da una premessa condivisibile, affermando che nelle
gare d'appalto vige il principio interpretativo che vuole privilegiata, a
tutela dell'affidamento delle imprese, l’interpretazione letterale del testo
della lex specialis, dalla quale è consentito discostarsi solo in presenza
di una sua obiettiva incertezza.
Occorre infatti evitare che il procedimento ermeneutico conduca all’integrazione delle regole di gara palesando
significati del bando non chiaramente desumibili dalla sua lettura testuale,
posto che l’interpretazione della lex specialis soggiace, come per tutti gli
atti amministrativi, alle stesse regole stabilite per i contratti dagli artt.
1362 e ss., c.c., tra le quali assume carattere preminente quella collegata
all’interpretazione letterale (cfr. tra le altre, Cons. Stato, n. 7/2013;
III, n. 3715/2018; V, n. 4684/2015).
20. Ne discende che le valutazioni qualitative della Commissione di gara, a
salvaguardia della par condicio dei concorrenti, debbano svolgersi
nell’ambito del perimetro delineato dalla lex specialis, quanto in
particolare alle caratteristiche dei prodotti offerti, non potendo una
valutazione positiva degli aspetti tecnici dell’offerta, operata dalla
Commissione, sovrapporsi alla definizione contenuta nella disciplina di
gara. L’esplicazione del principio di concorrenza non è incondizionata ma
temperata da quello, altrettanto cogente, di tutela della par condicio, ed
il punto di incontro tra le relative esigenze è dato dalla disciplina di
gara, che fissa –in termini, a seconda dei casi, più o meno rigidi– i
limiti entro i quali deve svolgersi il confronto concorrenziale (cfr. Cons.
Stato, III, n. 747/2018).
21. Occorre tuttavia considerare che, a dare elasticità al parametro
valutativo, così tutelando la massima partecipazione al confronto
concorrenziale, interviene il principio di c.d. equivalenza funzionale.
Secondo l’art. 68 del d.lgs. 50/2016, che attua nell’ordinamento nazionale
l’art. 42 della direttiva 2014/24/UE, le “specifiche tecniche” (qui da
intendersi in senso lato, alla stregua di parametri di definizione
dell’offerta tecnica) sono indicate nella lex specialis secondo diverse
modalità (comma 3): “in termini di prestazioni o di requisiti funzionali … a
condizione che i parametri siano sufficientemente precisi da consentire agli
offerenti di determinare l'oggetto dell'appalto e agli enti aggiudicatori di
aggiudicare l'appalto” (lettera a); ovvero “mediante riferimento a
specifiche tecniche e, in ordine di preferenza, alle norme nazionali che
recepiscono norme europee, alle valutazioni tecniche europee, alle
specifiche tecniche comuni, alle norme internazionali, ad altri sistemi
tecnici di riferimento adottati dagli organismi europei di normalizzazione
o, se non esiste nulla in tal senso, alle norme nazionali, alle omologazioni
tecniche nazionali o alle specifiche tecniche nazionali in materia di
progettazione, di calcolo e di realizzazione delle opere e di uso delle
forniture; ciascun riferimento contiene la menzione “o equivalente””
(lettera b); oppure, sostanzialmente, abbinando specifiche tecniche dell’uno
e dell’altro dei tipi predetti (lettere c) e d).
Secondo il comma 5, un’offerta non può essere respinta perché non conforme
alle prescrizioni di cui al comma 3, lettera b), previste dalla lex
specialis, qualora l’offerente provi che “le soluzioni proposte ottemperano
in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”.
Secondo il comma 6, un’offerta non può essere respinta qualora risulti
conforme ad una “norma nazionale che recepisce una norma europea, a una
omologazione tecnica europea, ad una specifica tecnica comune, ad una norma
internazionale o a un riferimento tecnico elaborato da un organismo europeo
di normalizzazione” (in sostanza, alle specifiche tecniche di cui al comma
3, lettera b)), se tali specifiche “contemplano le prestazioni o i requisiti
funzionali … prescritti” dalla lex specialis.
Inoltre, in ogni caso, secondo il comma 4, “Salvo che siano giustificate
dall’oggetto dell’appalto, le specifiche tecniche non menzionano una
fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare
caratteristico dei prodotti o dei servizi forniti da un operatore economico
specifico, né fanno riferimento a un marchio, a un brevetto o a un tipo, a
un’origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di
favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti. Tale menzione o
riferimento sono autorizzati, in via eccezionale, nel caso in cui una
descrizione sufficientemente precisa e intelligibile dell'oggetto
dell'appalto non sia possibile applicando il paragrafo 3. Una siffatta
menzione o un siffatto riferimento sono accompagnati dall'espressione “o
equivalente””.
22. Quanto appena ricordato evidenzia l’importanza che la formulazione della
lex specialis, sotto il profilo della univocità e completezza dei parametri
valutativi, assume ai fini della legittimità della procedura di valutazione
e della “elasticità” consentita alla Commissione di gara nell’apprezzamento
delle offerte tecniche.
23. La sentenza appellata ha preso posizione in ordine alla portata
applicativa del principio di equivalenza funzionale, riconoscendone la
centralità nel sistema, ma affermandone l’inapplicabilità alla gara in
questione (in relazione all’offerta Si., il cui prodotto differisce
sotto diversi aspetti dalle caratteristiche indicate nei sottoparametri di
valutazione) in mancanza di una previsione nella lex specialis, ovvero di
una esplicita dichiarazione o evidenziazione da parte del concorrente.
Tale punto è contestato dagli appellanti incidentali, i quali prospettano le
loro tesi sul presupposto che detti parametri contemplino, anche se talvolta
attraverso il riferimento a determinate specifiche caratteristiche o
modalità operative del prodotto da fornire, l’indicazione delle prestazioni
o dei requisiti funzionali richiesti (riconducibili all’art. 86, comma 3,
lettera a), cit).
L’appellante principale sostiene invece che i parametri si collocano al di
fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 86, cit., in quanto limitato ai
requisiti di partecipazione o di ammissibilità dell’offerta.
24. Il Collegio osserva che secondo la giurisprudenza prevalente di questa
Sezione, l’ambito di applicazione del principio di equivalenza è piuttosto
ampio, essendo stato affermato che:
- il principio di equivalenza “permea l’intera disciplina
dell’evidenza pubblica e la possibilità di ammettere a seguito di
valutazione della stazione appaltante prodotti aventi specifiche tecniche
equivalenti a quelle richieste risponde al principio del favor partecipationis (ampliamento della platea dei concorrenti) e costituisce
altresì espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da
parte dell’Amministrazione” (cfr. Cons. Stato, III, n. 4364/2013; n.
4541/2013; n. 5259/2017; n. 6561/2018);
- trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli
atti di gara o da parte dei concorrenti, in tutte le fasi della procedura di
evidenza pubblica e “l’effetto di “escludere” un’offerta, che la norma
consente di neutralizzare facendo valere l’equivalenza funzionale del
prodotto offerto a quello richiesto, è testualmente riferibile sia
all’offerta nel suo complesso sia al punteggio ad essa spettante per taluni
aspetti … e la ratio della valutazione di equivalenza è la medesima quali
che siano gli effetti che conseguono alla difformità” (cfr. Cons. Stato, III,
n. 6721/2018);
- l’art. 68, comma 7, del d.lgs. 50/2016 non onera i concorrenti di
un’apposita formale dichiarazione circa l’equivalenza funzionale del
prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi
mezzo appropriato; la commissione di gara può effettuare la valutazione di
equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia
desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex
specialis (cfr. Cons. Stato, III, n. 2013/2018; n. 747/2018)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 18.09.2019 n. 6212 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Principio
di equivalenza negli appalti pubblici.
Il TAR Milano, in tema
di principio di equivalenza dei prodotti
offerti nelle gare d'appalto osserva che:
- muovendo dalla normativa prima contenuta nell’art. 68 del d.lgs.
n. 163 del 2006 e ora racchiusa nell’art. 68
del d.lgs. n. 50 del 2016, la giurisprudenza
ha evidenziato che, allorché le offerte
devono recare per la loro idoneità elementi
corrispondenti a specifiche tecniche, il
legislatore ha inteso introdurre il criterio
dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi
deve essere una conformità formale ma
sostanziale con le specifiche tecniche, in
modo che le stesse vengano comunque
soddisfatte, con la conseguenza che, in
attuazione del principio comunitario della
massima concorrenza –finalizzata a che la
ponderata e fruttuosa scelta del miglior
contraente non debba comportare ostacoli non
giustificati da reali esigenze tecniche– i
concorrenti possono sempre dimostrare che la
loro proposta ottemperi in maniera
equivalente allo standard prestazionale
richiesto e che il riferimento negli atti di
gara a specifiche certificazioni o
caratteristiche tecniche non consente alla
stazione appaltante di escludere un
concorrente respingendo l’offerta che
possieda una certificazione equivalente o
rechi caratteristiche tecniche perfettamente
corrispondenti allo specifico standard
voluto;
- peraltro, è l’operatore economico che intende avvalersi della
clausola di equivalenza ad avere l’onere di
dimostrare l’equipollenza funzionale tra i
prodotti, non potendo pretendere che di tale
accertamento si faccia carico la stazione
appaltante, la quale è vincolata alla regola
per cui le caratteristiche tecniche previste
nel capitolato di appalto valgono a
qualificare i beni oggetto di fornitura e
concorrono, dunque, a definire il contenuto
della prestazione sulla quale deve
perfezionarsi l’accordo contrattuale, sicché
eventuali e apprezzabili difformità
registrate nell’offerta concretano una forma
di aliud pro alio, comportante, di per sé,
l’esclusione dalla gara, anche in mancanza
di apposita comminatoria, e nel contempo non
rimediabile tramite regolarizzazione
postuma, consentita soltanto quando i vizi
rilevati nell’offerta siano puramente
formali o chiaramente imputabili a errore
materiale;
- se dunque la produzione in sede di offerta delle schede tecniche
dei prodotti deve ritenersi sufficiente ai
fini dell’ammissione alla gara, in quanto
atta a consentire alla stazione appaltante
lo svolgimento di un giudizio di idoneità
tecnica dell’offerta e di equivalenza dei
requisiti del prodotto offerto alle
specifiche tecniche –sì che la prova da
fornire può concretizzarsi in una specifica
e dettagliata descrizione del prodotto e
della fornitura–, resta fermo che il
giudizio di equivalenza sulle specifiche
tecniche dei prodotti offerti in gara,
legato non a formalistici riscontri ma a
criteri di conformità sostanziale delle
soluzioni tecniche offerte, costituisce
pacificamente legittimo esercizio della
discrezionalità tecnica da parte
dell’Amministrazione e, pertanto, il
relativo sindacato giurisdizionale deve
attestarsi su riscontrati, e prima ancora
dimostrati, vizi di manifesta erroneità o di
evidente illogicità del giudizio stesso,
ossia sulla palese inattendibilità della
valutazione espressa dalla stessa
commissione di gara;
- d’altra parte, l’Amministrazione ben può esigere che i prodotti
che intende acquisire presentino
caratteristiche aggiuntive rispetto a quelle
ordinariamente richieste per simili
tipologie di prodotti, dovendosi presumere
–fino a prova contraria– che le prescritte
ulteriori proprietà elevino lo standard
prestazionale ai fini di un migliore
soddisfacimento dell’interesse pubblico
perseguito, mentre spetta all’offerente
dimostrare, pur a fronte della più alta
soglia imposta, l’equivalenza
sostanziale/funzionale del diverso prodotto
offerto e poi, in caso di giudizio negativo
della stazione appaltante, argomentatamente
denunciare in sede giurisdizionale
l’erroneità della determinazione
amministrativa sfavorevole
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.09.2019 n. 1991 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
Ritenuto:
- che la controversia si incentra sulle caratteristiche tecniche
dei prodotti offerti dalla società
ricorrente per l’affidamento della fornitura
di “medicazione con argento nanocristalli”
(lotti 31 e 32), ed in particolare sulla
circostanza, valutata decisiva dalla
stazione appaltante per escludere la ditta
dalla gara, che quei prodotti sono privi di
«argento in nanocristalli»;
- che l’interessata invoca il “principio dell’equivalenza”,
nell’assunto che i prodotti offerti
garantirebbero comunque le medesime
prestazioni e andrebbero dunque valutati
idonei, pur in assenza del requisito
stabilito dal capitolato tecnico, il quale
peraltro reca un esplicito richiamo proprio
al principio di equivalenza di cui all’art.
68 del d.lgs. n. 50 del 2016;
- che, osserva il Collegio, muovendo dalla normativa prima
contenuta nell’art. 68 del d.lgs. n. 163 del
2006 e ora racchiusa nell’art. 68 del d.lgs.
n. 50 del 2016, la giurisprudenza ha
evidenziato che, allorché le offerte devono
recare per la loro idoneità elementi
corrispondenti a specifiche tecniche, il
legislatore ha inteso introdurre il criterio
dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi
deve essere una conformità formale ma
sostanziale con le specifiche tecniche, in
modo che le stesse vengano comunque
soddisfatte, con la conseguenza che, in
attuazione del principio comunitario della
massima concorrenza –finalizzata a che la
ponderata e fruttuosa scelta del miglior
contraente non debba comportare ostacoli non
giustificati da reali esigenze tecniche–, i
concorrenti possono sempre dimostrare che la
loro proposta ottemperi in maniera
equivalente allo standard prestazionale
richiesto e che il riferimento negli atti di
gara a specifiche certificazioni o
caratteristiche tecniche non consente alla
stazione appaltante di escludere un
concorrente respingendo l’offerta che
possieda una certificazione equivalente o
rechi caratteristiche tecniche perfettamente
corrispondenti allo specifico standard
voluto (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez.
III, 28.06.2019 n. 4459);
- che, peraltro, è l’operatore economico che intende avvalersi
della clausola di equivalenza ad avere
l’onere di dimostrare l’equipollenza
funzionale tra i prodotti, non potendo
pretendere che di tale accertamento si
faccia carico la stazione appaltante, la
quale è vincolata alla regola per cui le
caratteristiche tecniche previste nel
capitolato di appalto valgono a qualificare
i beni oggetto di fornitura e concorrono,
dunque, a definire il contenuto della
prestazione sulla quale deve perfezionarsi
l’accordo contrattuale, sicché eventuali e
apprezzabili difformità registrate
nell’offerta concretano una forma di aliud
pro alio, comportante, di per sé,
l’esclusione dalla gara, anche in mancanza
di apposita comminatoria, e nel contempo non
rimediabile tramite regolarizzazione
postuma, consentita soltanto quando i vizi
rilevati nell’offerta siano puramente
formali o chiaramente imputabili a errore
materiale (v., ex multis, Cons. Stato, Sez.
III, 03.08.2018 n. 4809);
- che, se dunque la produzione in sede di offerta delle schede
tecniche dei prodotti deve ritenersi
sufficiente ai fini dell’ammissione alla
gara, in quanto atta a consentire alla
stazione appaltante lo svolgimento di un
giudizio di idoneità tecnica dell’offerta e
di equivalenza dei requisiti del prodotto
offerto alle specifiche tecniche –sì che la
prova da fornire può concretizzarsi in una
specifica e dettagliata descrizione del
prodotto e della fornitura–, resta fermo che
il giudizio di equivalenza sulle specifiche
tecniche dei prodotti offerti in gara,
legato non a formalistici riscontri ma a
criteri di conformità sostanziale delle
soluzioni tecniche offerte, costituisce
pacificamente legittimo esercizio della
discrezionalità tecnica da parte
dell’Amministrazione e, pertanto, il
relativo sindacato giurisdizionale deve
attestarsi su riscontrati, e prima ancora
dimostrati, vizi di manifesta erroneità o di
evidente illogicità del giudizio stesso,
ossia sulla palese inattendibilità della
valutazione espressa dalla stessa
commissione di gara (v. TAR Lazio, Sez. III,
03.12.2018 n. 11727);
- che, d’altra parte, l’Amministrazione ben può esigere che i
prodotti che intende acquisire presentino
caratteristiche aggiuntive rispetto a quelle
ordinariamente richieste per simili
tipologie di prodotti, dovendosi presumere
–fino a prova contraria– che le prescritte
ulteriori proprietà elevino lo standard
prestazionale ai fini di un migliore
soddisfacimento dell’interesse pubblico
perseguito, mentre spetta all’offerente
dimostrare, pur a fronte della più alta
soglia imposta, l’equivalenza
sostanziale/funzionale del diverso prodotto
offerto e poi, in caso di giudizio negativo
della stazione appaltante, argomentatamente
denunciare in sede giurisdizionale
l’erroneità della determinazione
amministrativa sfavorevole; |
APPALTI: Discrezionalità
tecnica nelle valutazioni espresse dalla Commissione giudicatrice sulle
offerte tecniche e sindacato del giudice amministrativo.
---------------
Contratti della Pubblica amministrazione - Offerta - Offerte tecniche -
Declaratoria di inammissibilità del ricorso per insindacabilità della
valutazione - Annullamento con rinvio al giudice di primo grado.
Va annullata con rinvio al giudice di primo grado la
sentenza del Tar che ha dichiarato inammissibile l’impugnazione dell’esito
di una gara pubblica per la non corretta valutazione delle offerte tecniche
sul rilievo dell’insindacabilità giurisdizionale dell’attività valutativa da
parte della Commissione giudicatrice, senza però in alcun modo supportare
tale affermazione con una almeno sintetica disamina circa il contenuto delle
censure tecniche (1).
---------------
(1) Ha chiarito la Sezione che il sindacato del giudice
amministrativo sull’esercizio della propria attività valutativa da parte
della Commissione giudicatrice di gara non può sostituirsi a quello della
pubblica amministrazione, in quanto la valutazione delle offerte nonché
l’attribuzione dei punteggi da parte della Commissione giudicatrice
rientrano nell’ampia discrezionalità tecnica riconosciuta a tale organo.
Le censure che attingono il merito di tale valutazione (opinabile) sono
inammissibili, perché sollecitano il giudice amministrativo ad esercitare un
sindacato sostitutivo, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall’art. 134
c.p.a., fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica (v., tra
le numerose pronunce,
Cons. St., sez. V, 08.01.2019, n. 173;
Cons. St., sez. III, 21.11.2018, n. 6572).
Ne deriva che, come da consolidato indirizzo giurisprudenziale, per
sconfessare il giudizio della Commissione giudicatrice non è sufficiente
evidenziarne la mera non condivisibilità, dovendosi piuttosto dimostrare la
palese inattendibilità e l’evidente insostenibilità del giudizio tecnico
compiuto.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso, senza nemmeno scrutinare
l’essenza delle sue fondamentali censure tecniche, è tuttavia una “formula
pigra” e reca una motivazione apparente, che cela un sostanziale rifiuto
di giurisdizione e un’abdicazione alla propria doverosa potestas
iudicandi da parte del giudice amministrativo anche entro il limite,
indiscusso, di un giudizio che in nessun modo intenda sostituirsi a quello
della pubblica amministrazione e, cioè, di un sindacato giurisdizionale
intrinseco, ma “debole”.
Una sentenza che quindi non eserciti alcun sindacato giurisdizionale
sull’attività valutativa da parte della Commissione giudicatrice, affermando
sic et simpliciter che il ricorso a tal fine proposto solleciterebbe
un sindacato sostitutivo del giudice amministrativo, senza però in alcun
modo supportare tale affermazione con una almeno sintetica disamina circa il
contenuto delle censure tecniche, e trincerandosi apoditticamente dietro la
natura non anomala o non manifestamente irragionevole della valutazione
espressa dalla Commissione, reca una motivazione apodittica e tautologica e,
in quanto tale, meritevole di annullamento con rinvio al primo giudice, ai
sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., per nullità della stessa in difetto
assoluto di motivazione, come ha stabilito l’Adunanza plenaria in alcune
fondamentali pronunce (Cons.
St., A.P., 28.09.2018, n. 15).
La motivazione tautologica non è sindacabile dal giudice dell’appello, in
quanto essa costituisce un atto d’imperio immotivato e, dunque, non è
nemmeno integrabile da detto giudice, se non con il riferimento alle più
varie, ipotetiche congetture circa la vera ratio decidendi della
sentenza impugnata, che tuttavia non è dato rinvenire nell’apparato
motivazionale, sicché una sentenza “congetturale” è, per definizione,
una non-decisione giurisdizionale –o, se si preferisce, e all’estremo
opposto, un atto di puro arbitrio– e, quindi, un atto di abdicazione al
proprio potere decisorio da parte del giudice.
Da rilevare che nel caso all'esame della Sezione non c'è stato annullamento
con rinvio perché nella sentenza impugnata una motivazione, pur embrionale,
era presente
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 02.09.2019 n. 6058 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
agosto 2019 |
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ATTI AMMINISTRATIVI -
APPALTI:
Sulla questione interpretativa degli artt. 5 e 5-bis del
d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato col d.lgs. n. 97 del 2016.
La legge propende per l’esclusione assoluta della disciplina
dell’accesso civico generalizzato in riferimento agli atti delle procedure
di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.
Tale esclusione consegue non ad incompatibilità morfologica o funzionale ma
al delineato rapporto positivo tra norme, che non è compito dell’interprete
variamente atteggiare, richiedendosi allo scopo, per l’incidenza in uno
specifico ambito di normazione speciale, un intervento esplicito del
legislatore.
---------------
3. Col primo motivo (violazione degli artt.
3 e 5 e 5-bis, D.lgs.vo n. 33/2013 in
relazione all’art. 53, D.lgs.vo n. 50/2016 e
all’art. 13, D.lgs.vo n. 163/2006) si
censurano le argomentazioni sopra riportate,
premettendosi che l’art. 53 del d.lgs. n. 50
del 2016 -così come già l’art. 13 del d.lgs.
n. 163 del 2006 (fonte che regola la gara
Consip cui inerisce l’istanza ostensiva di
Di. s.r.l.)- opera espresso riferimento
agli artt. 22 e seguenti della legge 07.08.1990, n. 241, facendo salvo soltanto
quanto espressamente previsto nel Codice dei
contratti pubblici. A tale premessa si fanno
seguire le osservazioni di cui appresso.
3.1. L’istituto dell’accesso civico è stato
introdotto nell’ordinamento con il d.lgs. 14.03.2013, n. 33, dunque anteriormente al
vigente Codice dei contratti pubblici,
istituito invece con d.lgs. 18.04.2016,
n. 50; inoltre, l’accesso civico c.d.
generalizzato -ovvero il diritto di accesso
non condizionato dalla titolarità di
situazioni giuridicamente rilevanti, cui la Di. ha ricondotto la propria istanza- è
stato introdotto nel corpo del d.lgs. n. 33
del 2013 con il d.lgs. 25.05.2016, n.
97, sicché ben avrebbe potuto essere
inserito nel Codice dei contratti con il
c.d. correttivo di cui al d.lgs. 19.04.2017, n. 56, se si fosse voluto consentire
l’accesso civico generalizzato per la
materia dei contratti pubblici; anche in
applicazione del noto brocardo ubi lex
voluit, dixit, ubi noluit, tacuit, la
circostanza sarebbe indicativa della volontà
di escludere tale materia dall’ambito di
applicazione del predetto istituto.
3.2. Sarebbe erronea la lettura che è stata
fatta in sentenza dell’art. 5-bis del d.lgs.
n. 33 del 2013, poiché la disposizione, da
un lato reca un elenco specifico di ipotesi
in cui l’accesso civico è escluso (commi 1 e
2), dall’altro annovera, tra i casi di
esclusione, le ipotesi più generali in cui
“l’accesso è subordinato dalla disciplina
vigente al rispetto di specifiche
condizioni, modalità o limiti” (comma 3): il
sistema di accesso ai documenti nell’ambito
dei contratti pubblici, come disciplinato
attualmente dall’art. 53 del d.lgs. n. 50
del 2016, rientra tra le ipotesi eccettuate
dall’art. 5-bis, comma 3, poiché soggiace ai
limiti imposti dallo stesso art. 53, che, a
sua volta, detta una disciplina speciale ed
in parte anche derogatoria rispetto alle
regole stabilite per l’accesso c.d.
ordinario; di tale specialità è detto
incidentalmente nella sentenza del Consiglio
di Stato, V, 20.03.2019, n. 1817.
3.3. Nel caso di specie, per di più,
l’accesso civico generalizzato si sarebbe
dovuto escludere considerando le ragioni
che, in concreto, hanno indotto Di. s.r.l.
a formulare istanza di accesso, in qualità
di partecipante alla gara indetta da Consip
per l’affidamento del servizio, e
considerando altresì l’interesse dichiarato
a conoscere eventuali inadempienze
nell’esecuzione del servizio, che potrebbero
comportare la risoluzione del contratto per
inadempimento e l’affidamento del servizio
all’ATI seconda in graduatoria, di cui Di.
s.r.l. è mandante.
Da ciò, l’inapplicabilità
dell’art. 5 del d.lgs. n. 33 del 2013, che
presuppone che il diritto venga esercitato
per lo scopo previsto dall’art. 1 di
“favorire forme diffuse di controllo sul
perseguimento delle funzioni istituzionali e
sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (come
da giurisprudenza di merito richiamata nel
ricorso: Tar Marche, sez. I, 18.10.2018, n. 677 e, sia pure in diversa materia, Tar Lazio, sez. I-quater, 28.03.2019,
n. 4122).
3.4. La giurisprudenza di merito richiamata
invece nella sentenza impugnata sarebbe non
pertinente (come Tar Campania–Napoli,
VI, 22.12.2017, n. 6028) ovvero non
condivisibile (come Tar Lombardia–Milano, IV, 11.01.2019, n. 45, peraltro
contraddetta da altra dello stesso Tar
Lombardia–Milano, I, 25.03.2019, n.
630); in particolare, non sarebbe
condivisibile l’assunto che la regola in
materia di accesso è costituita dalla
disciplina del d.lgs. n. 33 del 2016,
laddove le eccezioni alla stessa devono
essere interpretate restrittivamente e tra
queste vi sarebbero appunto le ipotesi
richiamate in via omnicomprensiva dal comma
3 dell’art. 5-bis: all’opposto, secondo
l’appellante, l’ambito di esclusione
dell’applicabilità dell’istituto non sarebbe
circoscritto alle sole ipotesi di divieto,
ma comprenderebbe quelle di accesso
consentito con “specifiche condizioni,
modalità o limiti”.
3.5. In una prospettiva teleologica e
sistematica, andrebbe considerato che gli
atti delle procedure di affidamento ed
esecuzione dei contratti pubblici sono
formati e depositati nel contesto di una
disciplina speciale, che rappresenta un
complesso normativo chiuso, comprendente
anche la regolamentazione dell’accesso agli
atti.
In tale prospettiva, risulta
giustificata la scelta di non consentire un
accesso indiscriminato a soggetti non
qualificati, trattandosi di documentazione
da un lato assoggettata ad un penetrante
controllo pubblicistico da parte di enti
istituzionalmente preposti alla vigilanza e
dall’altro coinvolgente interessi di natura
economica ed imprenditoriale di per sé
sensibili (come da previsione dell’art.
5-bis, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 33
del 2013, di cui il Tar Toscana non ha
tenuto conto).
3.6. Quanto all’art. 5-bis, comma 6, sul
quale si basa una delle argomentazioni della
sentenza, va rilevato che le Linee Guida
sono state effettivamente approvate dal
Consiglio dell’ANAC con deliberazione del 28.12.2016, ma che sono state concertate
con il Garante della Privacy, con la
Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997 e con gli enti
territoriali e che la vigilanza sul settore
dei contratti pubblici non è l’unica
affidata all’Autorità.
4. La società appellata Di. s.r.l. -dopo
aver ribadito di essere titolare di un
interesse qualificato, in quanto seconda in
graduatoria e potenziale affidataria del
servizio in caso di risoluzione del
contratto per le asserite inadempienze di
CNS- si difende richiamando le deduzioni
svolte nel ricorso introduttivo in punto di
ammissibilità dell’accesso civico
generalizzato -sostanzialmente fatte proprie
dalla sentenza gravata- e riferendo di altri
arresti conformi dello stesso Tar
Toscana, sez. III, 17.04.2019, n. 577 e
sez. I, 26.04.2019, n. 611.
Quindi
sostiene che “il cittadino, ai fini del
controllo generalizzato sull’attività della P.A., ha certamente interesse a capire se un
contratto è stato correttamente eseguito
[…]”, sicché l’interpretazione che esclude
la possibilità di accesso agli atti
esecutivi dei contratti pubblici sarebbe
“completamente abrogatrice della norma sulla
trasparenza”.
5. Il Collegio ritiene che il motivo di appello sia fondato e che le
contrarie deduzioni dell’appellata vadano disattese.
Va premesso che l’accesso ai documenti in possesso delle pubbliche
amministrazioni è, oggi, regolato da tre diversi sistemi, ciascuno
caratterizzato da propri presupposti, limiti ed eccezioni:
- l’accesso
documentale degli artt. 22 e seg. della legge 07.08.1990, n. 241;
- l’accesso civico ai documenti oggetto di pubblicazione, già regolato dal d.lgs. 14.03.2013, n. 33;
- l’accesso civico generalizzato, introdotto
dalle modifiche apportate a quest’ultimo impianto normativo dal d.lgs. 25.05.2016, n. 97 (cfr., per le differenze tra i vari tipi di accesso, tra
le altre Cons. Stato, IV, 12.08.2016, n. 3631 e, di recente, id., V, 20.03.2019, n. 1817).
5.1. Tale attuale coesistenza di tre istituti a portata generale, ma a
diverso oggetto, comporta in principio che ciascuno sia, a livello
ordinamentale, pari ordinato rispetto all’altro, di modo che: nei rapporti
reciproci ciascuno opera nel proprio ambito, sicché non vi è assorbimento
dell’una fattispecie in un’altra; e nemmeno opera il principio
dell’abrogazione tacita o implicita ad opera della disposizione successiva
nel tempo (art. 15 disp. prel. al Cod. Civ.) tale che l’un modello di
accesso sostituisca l’altro, o gli altri, in attuazione di un preteso
indirizzo onnicomprensivo che tende ad ampliare ovunque i casi di piena
trasparenza dei rapporti tra pubbliche amministrazioni, società e individui.
5.2. Siffatta ricostruzione incentrata sulla coesistenza di più modelli
legali di accesso comporta una prima conseguenza, di ordine procedurale, ed
anche processuale, concernente la qualificazione dell’istanza di accesso, in
prima battuta, da parte dell’amministrazione interpellata e, quindi, da
parte del giudice chiamato a pronunciarsi sul diniego o sul silenzio.
Nel caso in cui l’opzione dell’istante sia espressa per un determinato
modello, resta precluso alla pubblica amministrazione –fermi i presupposti
di accoglibilità dell’istanza- di diversamente qualificare l’istanza stessa
al fine di individuare la disciplina applicabile; in correlazione, l’opzione
preclude al privato istante la conversione in sede di riesame o di ricorso
giurisdizionale (cfr., per l’inammissibilità dell’immutazione in corso di
causa dell’actio ad exhibendum, pena la violazione del divieto di mutatio
libelli e di ius novorum, Cons. Stato, IV, 28.03.2017, n. 1406 e id., V,
n. 1817/2019 cit.).
Un tale rigore resta peraltro di fatto temperato dall’ammissibilità -affermata incidentalmente nei precedenti appena citati e qui ribadita- della
presentazione cumulativa di un’unica istanza, ai sensi di diverse
discipline, con evidente aggravio per l’amministrazione (del quale
l’interprete non può che limitarsi a dare atto), dal momento che dovrà
applicare e valutare regole e limiti differenti. Nulla infatti,
nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze
di accesso.
5.2.1. Tale ultima evenienza non rileva ai fini della presente decisione.
Infatti, sebbene la Di. s.r.l. abbia avanzato le diverse istanze al Comune
di Scandicci, sopra indicate, cumulativamente fondate sugli artt. 22 e seg.
della legge n. 241 del 1990, sull’art. 53 d.lgs. n. 50 del 2016 e sull’art.
3 del d.lgs. n. 33 del 2013, si è infine opposta, col ricorso introduttivo
notificato il 29.10.2018, al diniego di cui alla nota dell’08.10.2018, deducendone, come unico motivo di gravame, l’illegittimità per
violazione degli artt. 3 e 5 del d.lgs. n. 33 del 2013.
5.2.2. Giova precisare, al fine di meglio chiarire i confini del giudizio di
appello, che il Consorzio appellante non ha impugnato la decisione di
rigetto dell’eccezione di irricevibilità del ricorso, che era stata
formulata dal Comune di Scandicci (facendo leva sul carattere asseritamente
riproduttivo del provvedimento impugnato, che avrebbe confermato un
precedente diniego dell’amministrazione comunale non tempestivamente
opposto).
Pertanto, la questione del rapporto tra le diverse istanze di accesso
presentate dalla società Di. s.r.l. al Comune di Scandicci è estranea al
perimetro della presente decisione.
5.3. Questo perimetro è piuttosto segnato dalla delimitazione fissata dalla
stessa Di. s.r.l. quando, pur con qualche profilo di contraddittorietà in
punto di individuazione dell’interesse al ricorso, ha tuttavia precisato di
agire non per fare “valere (solo) la sua posizione di concorrente
originaria, ma altresì quella di soggetto che può svolgere un accesso
civico” e, come detto, ha denunciato la violazione delle norme in tema di
accesso civico generalizzato.
5.3.1. L’oggetto del giudizio porta quindi alla questione del rapporto tra
la normativa in tema di accesso civico e la normativa in tema di accesso
agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti
pubblici.
Tale rapporto è condizionato dalla detta coesistenza ordinamentale dei tre
modelli di accesso ai documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni
(e soggetti equiparati) attualmente disciplinati in via generale.
Se, come sopra rilevato, essi operano in posizione tra loro pari ordinata,
risulta, proprio in ragione di ciò, più complesso il coordinamento di
ciascuno con le discipline settoriali in tema di accesso tuttora vigenti con
regole e limiti propri (non solo in materia di contratti pubblici, ma anche,
tra l’altro, in materia ambientale e dell’ordinamento degli enti locali,
nonché in materia di atti dello stato civile e atti conservati negli archivi
di Stato e negli altri archivi disciplinati dal Codice dei beni culturali e
del paesaggio, o in materia tributaria).
Si tratta di un coordinamento da effettuare volta a volta, verificando se la
disciplina settoriale, da prendere prioritariamente in considerazione in
ossequio al principio di specialità, consenta la reciproca integrazione
ovvero assuma portata derogatoria.
6. Per come fatto palese dalla motivazione della sentenza impugnata e dai
motivi di appello, nel caso di specie la questione si risolve nel giudicare
se l’art. 53 (Accesso agli atti e riservatezza) del d.lgs. n. 50 del 2016
-il quale stabilisce che “salvo quanto espressamente previsto nel presente
codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di
esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte,
è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 07.08.1990, n. 241”-
comporti l’esclusione dell’applicabilità della disciplina dell’accesso
civico, in particolare ai sensi dell’art. 5 -bis, comma 3 del d.lgs. n. 33
del 2013, per il quale “il diritto di cui all’art. 5, comma 2, è escluso nei
casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o
divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è
subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni,
modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della l. 241
del 1990”.
6.1. Come è noto e come appare anche dai contrapposti richiami
giurisprudenziali delle parti, sulla questione l’orientamento dei Tribunali
amministrativi regionali è diviso: per un primo indirizzo i documenti
afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono
esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 del d.lgs. n.
50 del 2016 e pertanto restano esclusi dall’accesso civico generalizzato di
cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013; per l’indirizzo
contrapposto, si deve invece riconoscere l’applicabilità della disciplina
dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici.
6.2. La presente vicenda allo stato decisa dal Tribunale amministrativo
regionale per la Toscana, con la sentenza qui appellata, pubblicata il 25.03.2019, n. 422, riflette tale contrasto.
Infatti, l’istanza di accesso al Comune di Scandicci è stata preceduta da
analoghe istanze rivolte dalla società Di. s.r.l. a Consip s.p.a. in
qualità di stazione appaltante della gara indetta da quest’ultima con bando
del 23 maggio 2012 ed aggiudicata, per il Lotto 5 – Toscana, al r.t.i.
costituito tra CN. (mandataria) e Pr.Ve. s.p.a., Te.Se.
s.r.l., So. s.p.a. e Ex. s.p.a. (mandanti). A seguito del diniego
opposto da Consip s.p.a. e del silenzio da questa serbato su un’ulteriore
istanza avanzata richiamando espressamente l’art. 5 del d.lgs. n. 33 del
2013, Di. s.r.l. ha proposto un separato ricorso dinanzi al Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, competente per territorio, notificato
il 25.07.2018.
Quest’ultimo ricorso è stato deciso in primo grado con sentenza pubblicata
il 14.01.2019, n. 425, che l’ha respinto, esprimendo l’indirizzo
contrario a quello fatto proprio dalla sentenza oggetto del presente
gravame.
La sentenza n. 425/2019 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
Roma è stata, a sua volta, appellata con ricorso proposto da Di. s.r.l.,
iscritto al n. 1092/2019 R.G., trattato –in presenza delle parti private
coincidenti con quelle del presente giudizio, ma a posizioni processuali
invertite- nella stessa camera di consiglio del 13.06.2019 e deciso con
separata sentenza.
7. Al fine di dare soluzione convergente alla medesima questione
-differentemente risolta, nel giudizio di primo grado, nei confronti delle
stesse parti private- si osserva quanto segue, condividendo e sviluppando le
censure di cui alla seconda ed alla quarta delle argomentazioni
dell’appellante.
L’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, introdotto dall’art. 6, comma 2, del
d.lgs. n. 97 del 2016, intitolato “esclusioni e limiti all’accesso civico”
va considerato nella sua interezza, e non solo per quanto previsto dal comma
3.
I primi due comma si occupano dei limiti legali all’accesso civico
generalizzato. Questi operano nel presupposto della legittimazione
soggettiva generalizzata, quindi data a “chiunque” agisca uti cives, senza
dover dimostrare la titolarità di una determinata situazione soggettiva.
Al riguardo, nonostante negli orientamenti di primo grado siano presenti
affermazioni intese a valorizzare la motivazione della richiesta di accesso,
va preferita l’opposta interpretazione, in linea con la previsione dell’art.
5, comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2013, che esclude la preventiva
“funzionalizzazione” dell’accesso al raggiungimento delle finalità indicate
nell’art. 5, comma 2 (favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento
delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di
promuovere la partecipazione al dibattito pubblico). Siffatte finalità vanno
intese come quelle in base alle quali è riconosciuto al cittadino un diritto
di accesso generalizzato (collegato peraltro all’esercizio di funzioni
istituzionali nel senso già valorizzato nel precedente di questo Consiglio
di Stato, VI, 25.06.2018, n. 3907) da bilanciare, nel caso concreto, con
gli interessi confliggenti, pubblici e privati, elencati nei primi due comma
dell’art. 5-bis in commento.
Resta poi –ma il tema è estraneo all’economia della presente decisione e
dunque non qui è il caso di affrontarlo- la questione della serietà e della
congruenza dell’istanza di accesso, che concerne il livello di
apprezzabilità dell’interesse che la muove e della sua relazione con le
finalità proprie dell’istituto.
La portata di detto bilanciamento di interessi contrapposti -che
l’amministrazione deve effettuare ponendo in concreto a confronto
l’interesse generale ed astratto alla conoscibilità del dato (prescindendo,
quindi, come detto, dalla motivazione che muove l’istante) con il pericolo,
invece concreto, di lesione che dalla pubblicazione e dalla divulgazione
potrebbe ricevere il confliggente specifico interesse, pubblico o privato-
palesa la significativa differenza tra la disciplina dell’accesso civico e
quella dell’accesso documentale; in quest’ultima, infatti, la titolarità in
capo all’istante di una posizione differenziata e specifica gli assicura una
maggiore tutela nel rapporto con interessi contrapposti (tanto che è
ripetuta, anche in giurisprudenza, l’affermazione che si rinviene nelle
Linee Guida dell’ANAC, approvate con la deliberazione del 28 dicembre 2016,
che l’accesso documentale consente “un accesso più in profondità a dati
pertinenti” laddove l’accesso generalizzato è “meno in profondità”, ma “più
esteso”: cfr. Cons. Stato, VI, 31.01.2018, n. 651 e, di recente, id.,
V, n. 1817 /2019 cit.).
7.1. La previsione dell’art. 5-bis, comma 3 si distingue da quella dei comma
1 e 2, appena detti, perché è disposizione volta a fissare, non i limiti
relativi all’accesso generalizzato consentito a “chiunque”, bensì le
eccezioni assolute, a fronte delle quali la trasparenza recede.
Anche la tecnica redazionale del comma si distingue da quella dei comma
precedenti, poiché se è vero che l’art. 5-bis, comma 3, non sottrae al
bilanciamento materie direttamente individuate dalla norma medesima (a
differenza degli interessi, pubblici e privati, che sono individuati dal
primo e dal secondo comma), resta che utilizza l’espressione generica di
casi, che fanno eccezione assoluta, in modo da rinviare, per la loro
individuazione, ad altre disposizioni di legge, direttamente o
indirettamente, richiamate dallo stesso comma 3 (sicché l’ampiezza
dell’eccezione dipende dalla portata della normativa cui l’art. 5-bis, comma
3, rinvia). In particolare, sono sottratti al bilanciamento ed esclusi
senz’altro dall’accesso generalizzato: i casi di segreto di Stato ed i casi
di divieti di accesso o di divulgazione previsti dalla legge, i casi
elencati nell’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (che, al suo
interno, ricomprende intere materie), i casi in cui “l’accesso è subordinato
dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o
limiti”.
7.2. Il Collegio ritiene che, anche in ragione della peculiare tecnica
redazionale appena detta, tale ultima eccezione assoluta ben possa essere
riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli
specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o
materie o situazioni, subordinandolo a “condizioni, modalità o limiti”
peculiari; quindi, che l’eccezione non riguardi le ipotesi in cui la
disciplina vigente abbia quale suo unico contenuto un divieto assoluto (o
relativo) di pubblicazione o di divulgazione: se non altro perché tale
ipotesi è separatamente contemplata nella medesima disposizione.
Con ciò -richiamando altresì quanto detto sopra a proposito dei rapporti tra
discipline generali e discipline settoriali sull’accesso- non si ritiene che
a queste seconde vada attribuita sempre e comunque portata derogatoria,
quanto piuttosto che, come anticipato, occorra, volta a volta, verificare la
compatibilità dell’istituto dell’accesso generalizzato con le “condizioni,
modalità o limiti” fissati dalla disciplina speciale.
8. L’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2013 è in linea di sostanziale continuità
con l’art. 13 del d.lgs. n. 163 del 2006 ed è coerente sia con la normativa
eurounitaria precedente (art. 13 della direttiva 2004/17/CE e 6 della
direttiva 2004/18/CE) sia con quella oggetto del recepimento di cui al
vigente Codice dei contratti pubblici (art. 28 direttiva 2014/23/UE, art. 21
direttiva 2014/24/UE e art. 39 direttiva 2014/25/UE).
In coerenza con le richiamate disposizioni sovranazionali settoriali,
nell’ordinamento interno, l’accesso agli atti delle procedure di affidamento
e di esecuzione dei contratti pubblici è regolato in termini impersonali
quanto ai soggetti tenuti a garantirlo (che necessariamente si identificano
con i soggetti che, indipendentemente dalla natura pubblica o privata,
conducono la procedura secondo le regole del Codice) e ai soggetti titolari
del diritto di accesso (che, per contro, non necessariamente si identificano
nei “concorrenti”, salvo che non sia previsto come al comma 6).
I limiti oggettivi del diritto sono invece espressamente perimetrati
mediante il rinvio agli artt. 22 e seguenti della legge 07.08.1990, n.
241 e, quindi, mediante la fissazione delle deroghe del comma 2 (che elenca
ipotesi di mero differimento) e del comma 5 (che elenca diverse ipotesi di
esclusione assoluta ed un’ipotesi di esclusione relativa – quest’ultima
dovuta all’eccezione alla lettera “a” posta dal comma 6). Tali specifiche
ipotesi derogatorie rispondono a scopi connaturati alla particolare
tipologia di procedimento ad evidenza pubblica, quale quello di preservarne
la fluidità di svolgimento (tanto da sottrarre i documenti procedimentali,
mediante il differimento, anche all’accesso che l’art. 10 della legge n. 241
del 1990 riconosce in ogni momento e fase ai partecipanti) e di limitare la
possibilità di collusioni o di intimazioni degli offerenti. Al divieto di
accesso (temporaneo, mediante differimento, od assoluto) si accompagna
inoltre il divieto di divulgazione di cui all’art. 53, comma 3.
8.1. Tali deroghe specifiche potrebbero rientrare tra le eccezioni assolute
all’accesso civico generalizzato riconosciute dall’art. 5-bis, comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2013 perché si tratta di divieti di accesso e di
divulgazione espressamente previsti dalla legge (come, d’altronde, è altresì
per i contratti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di
sicurezza, per i quali è appunto dettata un’apposita disciplina di
secretazione, richiamata pure dalle Linee Guida ANAC del 2016).
Pertanto, rispetto alle ipotesi di cui ai comma dell’art. 53 successivi al
comma 1 è del tutto “neutro” l’inciso finale dell’art. 5-bis, comma 3,
laddove comprende tra le esclusioni assolute della disciplina dell’accesso
generalizzato “i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina
vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”. Invero se
servisse a richiamare soltanto divieti di pubblicazione e di divulgazione
previsti dal altre norme esso sarebbe inutilmente ripetitivo.
8.2. Invece, la previsione in questione assume significato autonomo e
decisivo se riferita alle discipline speciali vigenti in tema di accesso e,
per quanto qui rileva, al primo inciso del primo comma dell’art. 53.
Ne consegue che il richiamo testuale alla disciplina degli articoli 22 e
seguenti della legge 07.08.1990 n. 241 va inteso come rinvio alle
condizioni, modalità e limiti fissati dalla normativa in tema di accesso
documentale, che devono sussistere ed operare perché possa essere esercitato
il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di
esecuzione dei contratti pubblici.
9. Tale soluzione è contraria alle conclusioni raggiunte, in un caso
analogo, dalla recente decisione di questo
Consiglio di Stato, III,
05.06.2019, n. 3780, che ha preso le mosse dall’inciso finale dell’art. 5-bis,
comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2013, onde escluderne la possibilità di
riferirlo ad intere “materie” e sostenere che “diversamente interpretando,
significherebbe escludere l’intera materia relativa ai contratti pubblici da
una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a
garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di
trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione”.
9.1. Si è detto sopra delle ragioni di tecnica normativa e letterali per i
quali le eccezioni assolute della disciplina dell’accesso civico
generalizzato prescindano dalla riferibilità a determinati settori o materie
altrimenti disciplinati dall’ordinamento.
Parimenti si è detto sopra delle ragioni per le quali non appare
praticabile, allo stato, una lettura evolutiva della disciplina del diritto
di accesso per cui una tipologia di accesso a portata generale, come
l’accesso civico generalizzato, debba ritenersi prevalente sull’altra, in
particolare sull’accesso procedimentale o documentale (sicché, per le dette
ragioni, non si condividono le affermazioni della richiamata sentenza per
cui “non può … ipotizzarsi una interpretazione “statica” e non
costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di
accesso allorché, intervenuta la disciplina del d.lgs 97/2016, essa non
risulti correttamente coordinata con l’art. 53 codice dei contratti e con la
ancor più risalente normativa generale sul procedimento […]” e per cui “una
interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. (deve) valorizzare
l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, non limitabile da norme
preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto), ma soltanto dalle
prescrizioni “speciali” e interpretabili restrittivamente, che la stessa
nuova normativa ha introdotto al suo interno”).
9.2. Appaiono invece non in contrasto con quanto qui ritenuto altre
significative affermazioni della decisione n. 3780/2019 cit., e precisamente
in punto di:
- difetto di coordinamento tra le normative generali e quelle
settoriali, specificamente la normativa del Codice dei contratti pubblici;
- importanza e ragione dell’intervento di cui al d.lgs. 25.05.2016 n. 97, che ha introdotto l’accesso civico novellando l’art. 5 d.lgs. n.
33/2013, in quanto dichiaratamente ispirato al cd. “Freedom of information
act” che, nel sistema giuridico americano, ha da tempo superato il principio
dei limiti soggettivi all’accesso, riconoscendolo ad ogni cittadino, con la
sola definizione di un “numerus clausus” di limiti oggettivi, a tutela di
interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso
art. 5, co. 2, d.lgs. n. 33/2013” al fine di “favorire forme diffuse di
controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo
delle risorse pubbliche”, promuovendo così “la partecipazione al dibattito
pubblico”; ratio, quest’ultima “declinata in tutte le sue implicazioni” da
questo Consiglio di Stato nel parere favorevole sullo schema di decreto
legislativo di cui alla Commissione speciale 24.02.2016 n. 515.
Ma si tratta di considerazioni che non smentiscono –fatto il debito
riferimento alle “intenzioni del legislatore” (cfr. art. 12, comma 1, disp.
prel. cod. civ.) e allo scopo dell’innovazione legislativa- l’opposta
conclusione sopra raggiunta all’esito dell’interpretazione c.d. letterale.
9.3. Entrambe le questioni sottese alle dette affermazioni della sentenza n.
3780/2019 cit. sono state affrontate dall’appellante, laddove:
- col primo degli argomenti posti a fondamento dell’appello, ha
bene evidenziato che l’accesso civico generalizzato è stato introdotto nel
corpo del d.lgs. n. 33 del 2013 con il d.lgs. 25.05.2016, n. 97, sicché
avrebbe potuto essere inserito nel Codice dei contratti pubblici con il c.d.
correttivo di cui al d.lgs. 19.04.2017, n. 56, se si fosse voluto
consentire l’accesso civico generalizzato per la materia dei contratti
pubblici; pertanto anche a non voler applicare la massima ubi lex voluit,
dixit, ubi noluit, tacuit, richiamata dall’appellante (al fine di desumere
la volontà di escludere la materia dei contratti pubblici dall’ambito di
applicazione dell’istituto), la circostanza è tale quantomeno da
ridimensionare l’assunto che fa leva sulla prevalenza della legge successiva
generale; non senza considerare che, al contrario, come osservato anche in
alcuni dei precedenti di merito su citati, il d.lgs. n. 97 del 2016 si è
fatto carico di regolamentare le ipotesi di discipline sottratte per
voluntas legis, anche se precedenti l’introduzione dell’istituto
dell’accesso civico, alla possibilità di accesso indiscriminato;
- col quinto degli argomenti posti a fondamento dell’appello,
l’appellante ha aggiunto considerazioni di ordine teleologico e sistematico
che, allo stato attuale dell’ordinamento, ben possono giustificare la deroga
all’accesso civico generalizzato agli atti delle procedure di affidamento e
di esecuzione dei contratti pubblici, consentendolo quindi soltanto a coloro
che –nel rispetto delle specifiche “condizioni” e “limiti” di cui agli artt.
22 e seg. della legge n. 241 del 1990, come richiamati dall’art. 53 del
d.lgs. n. 50 del 2016- siano portatori di un interesse diretto, concreto e
attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata.
9.4. A tale ultimo riguardo non può non essere considerato il dato oggettivo
che si tratta di atti formati e depositati nell’ambito di procedimenti
assoggettati, per intero, ad una disciplina speciale ed a sé stante.
Questa disciplina attua specifiche direttive europee di settore che, tra
l’altro, si preoccupano già di assicurare la trasparenza e la pubblicità
negli affidamenti pubblici, nel rispetto di altri principi di rilevanza euro
unitaria, in primo luogo il principio di concorrenza, oltre che di
economicità, efficacia ed imparzialità.
In tale contesto, la qualificazione del soggetto richiedente l’accesso, al
fine di vagliare la meritevolezza della pretesa di accesso individuale, è
perciò ampiamente giustificata.
Per di più –avuto riguardo al contesto ordinamentale- il perseguimento di
buona parte delle finalità di rilevanza pubblicistica poste a fondamento
della disciplina in tema di accesso civico generalizzato, è assicurato, nel
settore dei contratti pubblici, da altri mezzi, ed in particolare: con i
compiti di vigilanza e controllo attribuiti all’ANAC, soprattutto quanto
allo scopo di contrasto alla corruzione, nonché con l’accesso civico c.d.
semplice di cui all’art. 3 e all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013,
dato che molto ampia è la portata dell'obbligo previsto, dalla normativa
vigente, in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti,
informazioni o dati riguardanti proprio i contratti pubblici (ampiezza che,
in una prospettiva sistematica, è indicativa della volontà legislativa di
garantire per questa via, mediante la pubblicità ed il diritto alla
conoscibilità di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 33 del 2013, le finalità di
controllo generalizzato dell’impiego delle risorse e di promozione della
qualità dei servizi sottese al principio di trasparenza).
9.4.1. A proposito dei compiti e del ruolo dell’ANAC e del significato che
la sentenza qui gravata ha attribuito all’art. 5-bis, comma 6, del d.lgs. n.
33 del 2013 (che rimette all’Autorità nazionale anticorruzione la
predisposizione di linee guida recante indicazioni operative “ai fini della
definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico” di cui allo
stesso art. 5-bis), è sufficiente osservare, a completamento di quanto
opposto dall’appellante, che l’ANAC assorbe i compiti e –in parte mutata-
la denominazione dell’Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione
e la trasparenza, già operante nell’ordinamento ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 27.10.2009, n. 150, e quelli in tema di contratti pubblici della
preesistente Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi
e forniture, a seguito dell’art. 19 del decreto-legge 24.06.2014, n. 90,
convertito con modificazioni, dalla legge 11.08.2014, n. 114. Pertanto,
le attribuzioni in materia di contratti pubblici sono venute organizzativamente a convergere con quelle in tema di contrasto
all’illegalità ed alla corruzione. Sicché è erroneo il ragionamento che
vorrebbe trarre dalla vigilanza dell’ANAC sul settore dei contratti pubblici
argomento ulteriore per sostenere l’operatività dell’accesso civico
generalizzato anche in tale materia.
9.5. Quanto ai valori e agli interessi in conflitto, merita osservare che,
allo stato, l’interpretazione qui preferita esclude qualsivoglia rilevanza
diretta del limite di cui all’art. 5-bis, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 33
del 2013 (“gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o
giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i
segreti commerciali”), laddove, diversamente opinando:
- l’amministrazione che detiene i documenti per i quali è chiesto
l’accesso dovrebbe tenere conto, caso per caso, delle ragioni di opposizione
degli operatori economici coinvolti, con prevedibile soccombenza nella
maggioranza dei casi concreti dello stesso principio di trasparenza, che si
intende astrattamente tutelare, poiché altrettanto rilevanti sono gli
interessi privati contrapposti all’ostensione di atti ulteriori, rispetto a
tutti quelli per il quali la pubblicazione è obbligatoria per legge (e
quindi consentito, come detto, l’accesso civico c.d. “semplice”) e poiché,
come già detto, quanto maggiore è la “profondità” (id est, il dettaglio)
dell’informazione richiesta da chi non è portatore di uno specifico
interesse diretto, tanto più ampi sono i margini di tutela dei controinteressati;
- notevole sarebbe l’incremento dei costi di gestione del
procedimento di accesso da parte delle singole pubbliche amministrazioni (e
soggetti equiparati), del quale -nell’attuale applicazione della normativa
sull’accesso generalizzato, che si basa sul principio della gratuità (salvo
il rimborso dei costi di riproduzione)- si è fatto carico l’interprete (in
particolare, con riferimento alle richieste “massive o manifestamente
irragionevoli”, cfr. Linee Guida ANAC, par. 4.2 nonché gli arresti
giurisprudenziali che fanno leva sulla nozione di “abuso del diritto”), ma
che, in una prospettiva di diffusa applicazione dell’accesso civico
generalizzato a tutti gli atti delle procedure di affidamento e di
esecuzione di contratti pubblici, necessita di apposita disposizione di
legge;
- infine, il caso di specie è esemplificativo -per come bene
evidenziato dall’appellante con la quarta delle argomentazioni poste a
fondamento del gravame- di come la lettura qui confutata dell’art. 5-bis,
comma 3, del d.lgs. n. 33 del 2013 nei suoi rapporti con l’art. 53 del
d.lgs. n. 50 del 2016 potrebbe finire per privare di senso il richiamo che
il comma 1 fa agli artt. 22 e seg. della legge n. 241 del 1990 ed, al
contempo, per distorcere le finalità perseguite con l’introduzione
nell’ordinamento dell’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma
2, del d.lgs. n. 33 del 2013, in quanto questo -come dichiaratamente fatto
da Di. s.r.l.- verrebbe utilizzato per la soddisfazione di interessi
economici e commerciali del singolo operatore, nell’intento di superare i
limiti interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di
tali interessi ove compromessi dalla conduzione delle procedure di
affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici (senza che rilevi -nella
prospettiva ordinamentale dei costi da sopportarsi dalla pubblica
amministrazione, compresi i costi dell’aumento del contenzioso- che detto
intento, volta a volta, risulti o meno raggiunto nel caso concreto).
10. Dato tutto quanto sopra, non resta che concludere che la legge propende
per l’esclusione assoluta della disciplina dell’accesso civico generalizzato
in riferimento agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei
contratti pubblici.
Tale esclusione consegue, non ad incompatibilità morfologica o funzionale,
ma al delineato rapporto positivo tra norme, che non è compito
dell’interprete variamente atteggiare, richiedendosi allo scopo, per
l’incidenza in uno specifico ambito di normazione speciale, un intervento
esplicito del legislatore.
10.1. Dato ciò, il primo motivo di appello va accolto.
11. Il secondo motivo, volto a contrastare le affermazioni della
società ricorrente circa la titolarità di una situazione giuridicamente
tutelata e collegata ai documenti ai quali è chiesto l’accesso, è carente di
interesse per quanto detto sulle ragioni giuridiche poste da Di. s.r.l. a
fondamento del ricorso avverso il diniego di accesso, mediante il richiamo
degli artt. 3 e 5 del d.lgs. n. 33 del 2013.
11.1. Per completezza si osserva che la pretesa sarebbe stata infondata
anche se avanzata ai sensi degli artt. 53, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 e
22 e seg. della legge n. 241 del 1990 alla stregua della giurisprudenza che
nega la sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, con
riferimento agli atti della fase esecutiva del rapporto contrattuale, al
soggetto che vi è estraneo e che, in mancanza di un provvedimento di
risoluzione adottato dalla pubblica amministrazione, non possa vantare
nemmeno un ipotetico interesse al subentro (cfr. Cons. Stato, V, 11.06.2012, n. 3389).
12. In conclusione, accogliendosi il primo motivo di appello, in riforma
della sentenza appellata, va respinto il ricorso avanzato dalla società
Di. s.r.l. avverso il diniego di ostensione opposto dal Comune di
Scandicci con gli atti impugnati.
12.1. La novità della questione interpretativa degli artt. 5 e 5-bis del
d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato col d.lgs. n. 97 del 2016, ed il
relativo contrasto giurisprudenziale giustificano la compensazione delle
spese processuali
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.08.2019 n. 5503 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2019 |
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APPALTI: Il
subappalto dopo la conversione del decreto cd Sblocca
Cantieri.
Domanda
Come è cambiato l’istituto del subappalto con la conversione
del decreto c.d. “Sblocca Cantieri”?
Risposta
La legge n. 55/2019 di conversione del decreto-legge 32 del
18.04.2019 c.d. sblocca cantieri, ha modificato in modo
significativo il contenuto originale dello stesso,
comportando non pochi problemi in capo agli operatori del
settore che si trovano a dover applicare differenti
disposizioni a seconda della data di pubblicazione del bando
o lettera d’invito, oltre a queste continue operazioni di
adeguamento della documentazione di gara.
Tra gli istituti maggiormente attenzionati non solo a
livello comunitario ma anche in ambito più prettamente
locale, quello del subappalto, che con la legge di
conversione passa dalla soglia del 50% al 40% del valore
complessivo dell’appalto [1], salvo diversa (inferiore)
percentuale scelta dalle stazioni appaltanti, ed in quanto
ovviamente la prestazione presenti delle caratteristiche
tali da rendere assolutamente rilevante l’esecuzione
prevalente da parte del soggetto aggiudicatario in luogo a
quella del subappaltatore. Per le opere di cui all’art. 89, co. 11, del codice, ovvero le SIOS, rimane il limite del 30%
dell’importo delle stesse, da non computarsi ai fini del
raggiungimento della soglia generale di cui all’art. 105,
co. 2 (art. 1, co. 2, del D.M. 10.11.2016 n. 248).
Questo almeno fino al 31.12.2020 avendo il legislatore per
alcune disposizioni relative all’istituto del subappalto,
analogamente ad altre norme del codice, optato per la
sospensione sperimentale.
Purtroppo non abrogata, anzi ritornata in vigore e poi
sospesa la norma che prevede per le gare sopra-soglia o per
quelle particolarmente esposte al rischio di infiltrazione
mafiosa, come individuate al comma 53 dell’art. 1 della l.
190/2012 l’obbligo di indicare la terna dei sub-appaltatori.
Disposizione che ha portato a notevoli problemi
interpretativi e applicativi in sede di gara, per la
difficoltà di disciplinare l’istituto del soccorso
istruttorio con l’eventuale omessa o incompleta
dichiarazione della terna, oltre all’esclusione del
concorrente per mancanza dei requisiti in capo ai
subappaltatori. Conseguentemente fino alla stessa data non
c’è l’onere di verificare l’assenza in capo ai
subappaltatori dei motivi di esclusione specifici di cui
all’art. 80 del codice.
Anche l’art. 174, co. 2, ultimo periodo, che prevede
l’obbligo di indicare la terna nel caso di subappalto nella
concessione di servizi o lavori, viene sospeso dalla legge
di conversione. Sul punto si ritiene utile precisare come
dalla lettura dell’articolo emerga che l’eventuale
subappalto, sia esso necessario, ovvero ai fini della
qualificazione, o meramente facoltativo non preveda limiti
quantitativi e neppure la richiesta di una specifica
autorizzazione da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice,
prevedendo il comma 2 il solo l’obbligo di indicare in sede
di offerta le parte del contratto di concessione che si
intende subappaltate a terzi.
In sede di conversione, inoltre, viene poi reintrodotto il
divieto, in precedenza soppresso, di affidare il subappalto
ad altro soggetto partecipante alla medesima gara, e si
ritorna al pagamento diretto dei subappaltatori nei casi
previsti ante decreto legge.
---------------
[1] Ai sensi dell’art. 1, comma 18, primo periodo, della
legge n. 55 del 2019, nelle more di una complessiva
revisione del codice dei contratti, fino al 31 dicembre
2020, in deroga all’art. 105, co. 2, del codice, fatto salvo
quanto previsto da comma 5 del medesimo articolo, il
subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di
gara e non può superare la quota del 40 per cento
dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o
forniture.
Fino alla medesima data di cui al periodo
precedente, sono altresì sospese l’applicazione del comma 6
dell’art. 105 e del terzo periodo del comma 2 dell’art. 174,
nonché le verifiche in sede di gara di cui all’art. 80 del
medesimo codice, riferite al subappaltatore (31.07.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI: E'
confermata la possibilità di "uscire dalla CUC" per i Comuni
non capoluogo di Provincia?
La conversione in legge del cosiddetto "Decreto Sblocca
cantieri" (L. 14.06.2019, n. 55, art. 1 ha previsto la
seguente disposizione "Al fine di rilanciare gli
investimenti pubblici e di facilitare l'apertura dei
cantieri per la realizzazione delle opere pubbliche, per le
procedure per le quali i bandi o gli avvisi con cui si
indice la procedura di scelta del contraente siano
pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore
del presente decreto, nonché, in caso di contratti senza
pubblicazione di bandi o di avvisi, per le procedure in
relazione alle quali, alla data di entrata in vigore del
presente decreto, non siano ancora stati inviati gli inviti
a presentare le offerte, nelle more della riforma
complessiva del settore e comunque nel rispetto dei princìpi
e delle norme sancite dall'Unione europea, in particolare
delle direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, fino
al 31.12.2020, non trovano applicazione, a titolo
sperimentale, le seguenti norme del codice dei contratti
pubblici, di cui al decreto legislativo 18.04.2016, n. 50:
a) articolo 37, comma 4, per i comuni non capoluogo di
provincia, quanto all'obbligo di avvalersi delle modalità
ivi indicate".
Tale norma prevede quindi un regime temporaneo (31.12.2020)
di disapplicazione della disciplina sulle centrali uniche di
committenza dell'art. 37 del Codice degli Appalti
consentendo agli enti locali di non ricorrere a centrali
uniche di committenza o stazioni uniche appaltanti.
Trattandosi di una facoltà occorre precisare che:
- gli enti locali che già aderiscono ad una CUC dovranno concordare
eventuali modalità di "uscita dalla CUC" ovvero
attendere l'eventuale scadenza della gestione in forma
associata;
- gli enti potranno decidere di mantenere alla Centrale Unica di
Committenza alcune funzioni o servizi;
- gli enti potranno aderire ad altra forma di gestione associata
dei servizi e delle funzioni;
- gli enti potranno mantenere la Centrale Unica di Committenza e
tutte le funzioni già assegnate anche in relazione alla
temporaneità della norma derogatoria.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 37
D.L. 18.04.2019, n. 32
L. 14.06.2019, n. 55, art. 1 (24.07.2019 - tratto
da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
APPALTI: Nomina
e costituzione delle commissioni di gara dopo la legge di
conversione n. 55/2019 del decreto Sblocca Cantieri.
Domanda
Alla luce delle nuove disposizioni contenute nella legge
55/2019 ed in particolare della sospensione dell’obbligo di
nominare i commissari di gara attingendoli dall’albo dell’ANAC
(peraltro non ancora avviato) si chiede di comprendere in
che modo la stazione appaltante, ora, può procedere con
l’individuazione dei commissari da far partecipare alla
commissione di gara.
Ad esempio, la commissione di gara può
essere composta interamente da commissari interni e,
soprattutto, nel caso di un Comune, la presidenza può essere
ricoperta dal responsabile del servizio (che poi dovrà
gestire il contratto)?
Risposta
La legge di conversione del DL 32/2019, n. 55/2019 ha
sospeso –fino al 31/12/2020- la procedura di avvio dell’albo
disponendo che le commissioni di gara vengono nominate dalla
stazione appaltante interessata con previe regole di
competenza e trasparenza.
Nel periodo indicato, quindi, è il RUP della stazione
appaltante che verifica e propone i potenziali commissari di
gara (e ne proporrà la nomina al proprio
dirigente/responsabile del servizio).
Secondo l’articolo 216, comma 12, del codice dei contratti –come in altre circostanze rilevato– la stazione appaltante
dovrebbe “veicolare” tale attività istruttoria/propositiva
del RUP dotandosi di proprie regole interne (un proprio
regolamento e/o atto di indirizzo generale).
In giurisprudenza si è a lungo discusso sulla necessità o
meno di una previa regolamentazione interna.
In tempi recentissimi, però, si è giunti ad un momento di
sintesi –di estremo rilievo– espresso dal Consiglio di
Stato, sez. III, con la sentenza del 10.07.2019 n. 4865
che, semplificando, disconosce questa esigenza.
Nel confermare la sentenza di primo grado (TAR Friuli
Venezia Giulia, sez. I, n. 5/2019), nel caso di specie, il
ricorrente, tra le altre censurava il provvedimento della
nomina della commissione di gara avvenuto senza la previa
definizione delle regole di trasparenza e competenza.
Il giudice rammenta che “sebbene sia preferibile la previa
incorporazione delle regole di procedure in un atto fonte
della stazione appaltante, l’operato non diventa illegittimo
per il sol fatto della mancata previa formalizzazione di
dette regole”. E’ sempre necessario, prosegue la sentenza,
dimostrare in concreto, la mancanza/carenza delle condizioni
di trasparenza e competenza. Circostanza che nel caso di
specie non si è verificata, con conseguente condivisione di
quanto affermato dal TAR Veneto, ossia, che “la nomina della
commissione giudicatrice” è apparsa “sufficientemente
sostenuta dalla produzione dei curricula dei singoli
componenti e dalla formulazione, da parte di ciascuno di
essi, delle dichiarazioni sostitutive attestanti
l’insussistenza di eventuali cause di incompatibilità
rispetto all’incarico ricevuto”.
In definitiva, la mancata adozione di criteri interni non
determina per ciò stesso illegittimità della nomina, ciò che
diventa importante è che il procedimento del RUP sia
oggettivo e trasparente (con nomina di soggetti competenti).
In questo senso, a titolo esemplificativo, potrebbe essere
sufficiente una verifica interna sui soggetti competenti
(attraverso la valutazione dei curricula) e/o applicare i
principi desumibili dal pregresso articolo 84 del decreto
legislativo 163/2006. Ad esempio, nel caso in cui si intenda
nominare soggetti iscritti in albi è bene richiedere la
presentazione di una rosa di nomi da cui attingere anche
attraverso il sorteggio o previa valutazione dei curricula.
Il RUP potrebbe anche decidere di pubblicare un avviso
pubblico.
Fondamentale è la circostanza che la determina di nomina
della commissione di gara contenga un chiaro apparato
motivazionale su come siano stati individuati i commissari
(e si giustifichi l’esperienza/la competenza). Altro obbligo
è una adeguata applicazione della rotazione.
Circa la presidenza, è bene annotare che il responsabile di
servizio (per gli enti locali, ai sensi dell’articolo 107
del decreto legislativo 267/2000) dovrebbe presiedere le
proprie commissioni soprattutto se è soggetto diverso dal
RUP ed in ogni caso si sia limitato ad approvare gli atti
tecnici (capitolato e criteri di valutazione) predisposti da
altri soggetti. La giurisprudenza ha infatti sostenuto che
la pretesa incompatibilità deve trovare una adeguata prova
da parte di chi solleva le censure.
In ogni caso, attraverso previe regole interne –in questo
caso necessarie– è possibile che la presidenza venga
assegnata ad un diverso responsabile di servizio (24.07.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI SERVIZI: Richiesta
del DURC ai fini dei pagamenti tra enti locali.
Il rapporto convenzionale tra l’UTI
(Unione Territoriale Intercomunale), che agisce quale
centrale di committenza, e i Comuni che fruiscono del
servizio erogato dalla controparte contrattuale dell’UTI
medesima non si ritiene annoverabile tra le tipologie di
accordo tra pubbliche amministrazioni che ricadono
nell’ambito oggettivo di applicazione del DURC.
L’Unione Territoriale Intercomunale rappresenta che, su
delega di 21 Comuni, provvede a gestire il servizio di
raccolta rifiuti, che è stato affidato in appalto ed è
regolato da apposito contratto.
I rapporti tra l’Unione e i Comuni sono disciplinati da
specifica convenzione, ai sensi della quale l’Unione
medesima provvede mensilmente a liquidare le fatture emesse
dall’appaltatore, richiedendo poi ai Comuni il pagamento
della quota di loro spettanza.
Poiché un Comune ha recentemente sospeso i pagamenti, in
quanto il documento unico di regolarità contributiva (DURC)
dell’UTI risulterebbe irregolare, quest’ultima chiede di
conoscere se nei rapporti economici tra enti locali debba
essere obbligatoriamente richiesto il DURC.
Sentito il Servizio centrale unica di committenza si
formulano le seguenti considerazioni.
Occorre, preliminarmente, rilevare che la disciplina del
DURC si rinviene in una pluralità di norme, contenute in
contesti legislativi diversi.
Ai fini di cui si discute, la principale disposizione di
riferimento è costituita dall’art. 2, commi 1 e 1-bis, del
decreto-legge 25.09.2002, n. 210
[1], i quali
dispongono, rispettivamente, che «Le imprese che risultano affidatarie di un appalto pubblico sono tenute a presentare
alla stazione appaltante la certificazione relativa alla
regolarità contributiva
[2] a pena di revoca
dell’affidamento» e che la medesima certificazione «deve
essere presentata anche dalle imprese che gestiscono servizi
e attività in convenzione o concessione con l’ente pubblico,
pena la decadenza della convenzione o la revoca della
concessione stessa».
Per quanto attiene all’ambito dei contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture occorre anche richiamare, in
particolare, l’art. 31 del decreto-legge 21.06.2013, n.
69
[3], il cui comma 4 dispone che il DURC deve essere
acquisito da amministrazioni aggiudicatrici, organismi di
diritto pubblico, enti aggiudicatori, altri soggetti
aggiudicatori, soggetti aggiudicatori e stazioni appaltanti
in determinate fasi della procedura di gara e del rapporto
contrattuale, inclusa quella del “pagamento degli stati di
avanzamento dei lavori o delle prestazioni relative a
servizi e forniture”.
Ne deriva, pertanto, che l’UTI (controparte contrattuale del
fornitore del servizio) deve necessariamente acquisire il
DURC dell’appaltatore per poter procedere ai pagamenti in
suo favore.
[4]
Per quanto attiene, invece, alle convenzioni, si osserva che
l’art. 2, comma 1-bis, del D.L. 210/2002 fa riferimento
unicamente alle “imprese” che gestiscono, attraverso tale
forma contrattuale, servizi e attività pubblici. Ciò
potrebbe far ritenere che l’adempimento in esame non si
estenda alla diversa fattispecie di convenzionamento tra
soggetti pubblici, ma così non è.
Va, infatti, segnalato che l’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture –sulla
scorta dell’orientamento espresso dalla giurisprudenza
comunitaria– ha ritenuto che anche gli accordi tra
pubbliche amministrazioni, ove non ricorrano determinate
condizioni, devono ritenersi assoggettabili alla normativa
sui contratti pubblici
[5].
L’Autorità, dopo aver rilevato che la Corte di Giustizia ha
più volte affermato «il principio secondo cui
un’amministrazione pubblica può adempiere ai compiti ad essa
attribuiti attraverso moduli organizzativi che non prevedono
il ricorso al mercato esterno per procurarsi le prestazioni
di cui necessita, avendo piena discrezionalità nel decidere
di far fronte alle proprie esigenze attraverso lo strumento
della collaborazione con le altre autorità pubbliche»
[6]
chiarisce, nel contempo, che la medesima Corte «ha
dichiarato non conforme al diritto comunitario escludere a
priori dall’applicazione delle norme sugli appalti i
rapporti stabiliti tra amministrazioni pubbliche,
indipendentemente dalla loro natura».
Viene, in particolare, evidenziato che la Corte di Giustizia
afferma che «la normativa comunitaria in materia di appalti
pubblici è applicabile agli accordi a titolo oneroso
conclusi tra un’amministrazione aggiudicatrice ed un’altra
amministrazione aggiudicatrice, intendendo con tale
espressione un ente che soddisfa una funzione di interesse
generale, avente carattere non industriale o commerciale e
che, quindi, non esercita a titolo principale un’attività
lucrativa sul mercato»
[7].
Con riferimento all’ordinamento interno, poi, l’Autorità
afferma la piena legittimità dell’impiego dello strumento
convenzionale di cui all’art. 15, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241 –ai sensi del quale «Anche al di fuori
delle ipotesi previste dall’articolo 14
[8], le
amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro
accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di
attività di interesse comune.»– precisando quali caratteri
esso deve possedere, affinché non si configuri un’ipotesi di elusione della normativa sugli appalti pubblici
[9].
Relativamente al significato da attribuire all’espressione
“per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di
attività di interesse comune”, contenuta del predetto comma
1, l’Autorità rileva che la sua formulazione sembra
circoscrivere la possibilità di stipulare accordi alle
ipotesi in cui sia necessario disciplinare un’attività che
risponde non solo all’interesse di entrambe le parti, ma che
è anche comune.
Poiché l’art. 15 della L. 241/1990 «prefigura un modello
convenzionale attraverso il quale le pubbliche
amministrazioni coordinano l’esercizio di funzioni proprie
in vista del conseguimento di un risultato comune in modo
complementare e sinergico, ossia in forma di “reciproca
collaborazione” e nell’obiettivo comune di fornire servizi
“indistintamente a favore della collettività e
gratuitamente” (cfr. Cass. civ., 13.07.2006, n. 15893)»
l’Autorità afferma che si comprende, allora, perché la norma
non contrasta con la normativa a tutela della concorrenza:
le amministrazioni decidono di provvedere direttamente con
propri mezzi allo svolgimento dell’attività ripartendosi i
compiti, il che vale a dire, trattandosi di una
collaborazione, che entrambi i soggetti forniscono un
proprio contributo.
Qualora, invece, un ente si procuri il bene di cui necessita
per il conseguimento degli obiettivi assegnati a fronte del
pagamento del rispettivo prezzo il discorso è diverso: in
siffatta situazione, sia che ci si rivolga ad un privato,
sia che ci si rivolga ad un soggetto pubblico, è difficile
sostenere l’applicabilità dello schema della collaborazione,
atteso che si è di fronte ad uno scambio tra prestazioni
corrispettive che risponde alla logica del contratto e che
perciò richiede, in assenza di altre circostanze esimenti,
l’espletamento di una gara pubblica
[10].
In considerazione di quanto fin qui illustrato, si ritiene
che il rapporto convenzionale tra l’UTI, che agisce quale
centrale di committenza, e i Comuni che fruiscono del
servizio erogato dalla controparte contrattuale dell’UTI
medesima non risulti annoverabile tra le tipologie di
accordo tra pubbliche amministrazioni che ricadono
nell’ambito oggettivo di applicazione del DURC.
---------------
[1] Convertito, con modificazioni, dalla legge 22.11.2002, n. 266.
[2] L’art. 16-bis, comma 10, del decreto-legge 29.11.2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28.01.2009, n. 2, dispone che «le stazioni appaltanti
pubbliche acquisiscono d’ufficio, anche attraverso strumenti
informatici, il documento unico di regolarità contributiva (DURC)
dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i
casi in cui è richiesto dalla legge».
[3] Convertito, con modificazioni, dalla legge 09.08.2013, n. 98.
[4] Si veda anche il comma 7 del medesimo art. 31, ai sensi
del quale «Nei contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, ai fini della verifica amministrativo-contabile,
i titoli di pagamento devono essere corredati dal documento
unico di regolarità contributiva (DURC) anche in formato
elettronico.».
[5] V. par. 2 della determinazione 21.10.2010, n. 7.
[6] Al riguardo l’Autorità sostiene che «A ben vedere,
quella esposta è la stessa ratio che è alla base
dell’esenzione dall’espletamento della gara nell’ipotesi di
utilizzo dell’in house providing: anche in questo caso
l’amministrazione opta per una scelta contraria al processo
di outsourcing, stabilendo di affidare l’attività a cui è
interessata ad un altro ente che solo formalmente è distinto
dalla propria organizzazione, ma su cui sostanzialmente essa
esercita un controllo analogo a quello che espleterebbe nei
confronti di un proprio servizio e che realizza con essa la
parte più importante della sua attività.».
[7] L’Autorità richiama anche la risoluzione del Parlamento
Europeo del 18.05.2010, che ha ribadito la legittimità
di forme di collaborazione pubblico-pubblico che «non
rientrino nel campo d’applicazione delle direttive sugli
appalti pubblici, a condizione che siano soddisfatti tutti i
seguenti criteri:
• lo scopo del partenariato è l’esecuzione di un compito di
servizio pubblico spettante a tutte le autorità locali in
questione,
• il compito è svolto esclusivamente dalle autorità
pubbliche in questione, cioè senza la partecipazione di
privati o imprese private,
• l’attività in questione è espletata essenzialmente per le
autorità pubbliche coinvolte.».
[8] L’articolo regolamenta la conferenza di servizi.
[9] A tal fine, risulta chiarito che:
«1. l’accordo deve regolare la realizzazione di un interesse
pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che le
parti hanno l’obbligo di perseguire come compito principale,
da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli
enti coinvolti;
2. alla base dell’accordo deve esserci una reale divisione
di compiti e responsabilità;
3. i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono
l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese
sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio
corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno;
4. il ricorso all’accordo non può interferire con il
perseguimento dell’obiettivo principale delle norme
comunitarie in tema di appalti pubblici, ossia la libera
circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non
falsata negli Stati membri. […]».
[10] L’Autorità ricorda che il giudice amministrativo (cfr.
TAR Puglia–Lecce, sez. I, 21.07.2010, n. 1791) ha
svolto le medesime considerazioni, affermando che «difetta
l’interesse comune nell’accordo interamministrativo quando
un’amministrazione ha inteso acquisire da un’altra
amministrazione un servizio di proprio esclusivo interesse
verso corrispettivo. […] La presenza di un corrispettivo è
dunque da considerarsi quale elemento sintomatico della
qualificazione dell’accordo alla stregua di appalto
pubblico, da assoggettare alla relativa disciplina secondo
le prescrizioni del codice degli appalti.» (18.07.2019 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
APPALTI: Criteri
di aggiudicazione nel nuovo Decreto cd Sblocca Cantieri.
Domanda
Secondo alcuni autori il termine “verifica della
documentazione attestante l’assenza dei motivi di esclusione
di cui all’art. 80” deve intendersi nel senso di controllo
in sede di gara della veridicità di quanto dichiarato
dall’operatore, mediante richiesta, anche tramite AVCPass,
della documentazione a comprova dei requisiti riportati nel
DGUE.
È necessario procedere a queste operazioni? Inoltre è
corretto che la stazione appaltante personalizzi il DGUE?
Risposta
La funzione del DGUE è quella di creare a livello
comunitario un modello, appunto unico, in ordine alle
dichiarazioni del possesso dei requisiti generali e
speciali, di estremo vantaggio per gli operatori economici
che non si vedono costretti alla lettura e compilazione di
diversi fac simili proposti dalle Amministrazioni, ma che
possono riutilizzare un documento già in loro possesso e
precompilato, rispetto al quale dovranno eventualmente
inserire i dati relativi alla gara di riferimento, nonché
eventuali aggiornamenti.
La personalizzazione da parte della Stazione Appaltante del
DGUE vanifica la funzione stessa del modello, rendendo in
qualche modo inutile il co. 4 dell’art. 85, del codice, che
appunto prevede la possibilità per gli operatori economici
di “riutilizzare il DGUE utilizzato in una procedura
d’appalto precedente purché si confermino che le
informazioni ivi contenute siano ancora valide”.
Proprio in ragione del principio di semplificazione, che le
Amministrazioni per quanto difficile devono cercare di
realizzare nell’interesse del mercato, si ritiene corretto
richiedere in sede di gara il possesso dei requisiti
mediante la presentazione del Documento di gara unico
europeo (DGUE) redatto in conformità al modello di
formulario approvato con Regolamento di esecuzione UE 2016/7
della Commissione del 05.01.2016 e secondo lo schema di cui
al DM del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 18.07.2016 o s.m., allegando, per quanto non previsto nel
predetto schema ministeriale, a seguito delle modifiche al
codice dei contratti, un proprio modello di dichiarazione
integrativa (art. 80, comma 5, lett. c-bis, c-ter, c-quater,
f-bis e f-ter del Codice).
Con riferimento inoltre alla necessità di verificare tutti
gli operatori in sede di gara, si ritiene di non aderire
alla posizione evidenziata nel quesito, almeno fino a quando
non sarà completamente operativa la BDNCP, in linea con
quanto evidenziato dallo stesso Consiglio di Stato nella
recente sentenza n. 4364 del 25.06.2019, che rispetto alla
censura di parte ricorrente di omessa verifica dei requisiti
in sede di gara, ha evidenziato come sia sufficiente
osservare che l’art. 32, co. 7, d.lgs. 50/2016 rimanda la
verifica del possesso dei requisiti alla fase successiva
all’aggiudicazione, quale condizione integrativa
dell’efficacia di quest’ultima, con la conseguenza che
quanto dichiarato dagli operatori economici concorrenti
nella domanda di partecipazione e nel DGUE costituisce prova
documentale sufficiente del possesso dei requisiti
dichiarati, dovendo essere basata su tali dichiarazioni la
relativa valutazione ai fini dell’ammissione e della
partecipazione alla gara.
Inoltre, fatte salve diverse
previsioni della “lex specialis” e fatto comunque salvo
l’esercizio delle facoltà riconosciute alla stazione
appaltante dall’art. 85, co. 5, d.lgs. 50/20169, soltanto
all’esito della gara, dopo l’approvazione della proposta di
aggiudicazione ed il provvedimento di aggiudicazione, si
procede alla verifica del possesso dei prescritti requisiti
(17.07.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI: Pubblicazione
atti per micro-acquisti.
Domanda
Abbiamo letto, da qualche parte, che le pubblicazioni su
Amministrazione trasparente > Bandi di gara e contratti,
valgono solamente per le forniture di beni e servizi sopra a
1.000 euro.
Dal momento che dal 01.01.2019, i micro-acquisti si possono
effettuare sino a 5.000 euro, si chiede se le pubblicazioni
degli atti per l’affidamento di beni e servizi sino a tale
soglia siano sottratte dall’obbligo della trasparenza.
Risposta
Prima di rispondere al quesito, è conveniente fornire un
consiglio, che è il seguente: è conveniente non “leggere
da qualche parte” qualcosa, di cui non si ha cognizione,
senza nemmeno fare riferimento ad uno straccio di norma di
legge. Il rischio grosso che si corre è quello di sbagliare
bersaglio: come in questo caso.
Finito il suggerimento, si affronta la questione posta.
Per gli obblighi di pubblicità e trasparenza per l’acquisto
di beni, servizi e lavori, occorre fare riferimento
all’articolo 37, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33
che, al comma 1, recita: "1. Fermo restando quanto
previsto dall’articolo 9-bis e fermi restando gli obblighi
di pubblicità legale, le pubbliche amministrazioni e le
stazioni appaltanti pubblicano:
a) i dati previsti dall’art. 1, comma 32 della
legge 06.11.2012, n. 190;
b) gli atti e le informazioni oggetto di
pubblicazione ai sensi del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.".
In base all’articolo 1, comma 32, della legge 190/2012, le
stazioni appaltanti, devono pubblicare “in ogni caso”:
• il CIG
• la struttura proponente;
• l’oggetto del bando;
• l’elenco degli operatori invitati a
presentare offerte;
• l’aggiudicatario;
• l’importo di aggiudicazione;
• i tempi di completamento dell’opera, servizio
o fornitura;
• l’importo delle somme liquidate.
Le pubblicazioni di cui sopra (quelle riferite al comma 32),
limitatamente alla parte dei lavori, si intendono assolte
attraverso l’invio dei dati all’ex AVCP, ora ANAC.
Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni,
relativamente all’anno precedente, sono pubblicate (anche)
in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un
formato digitale standard aperto che consenta di analizzare
e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici.
Sull’argomento, per ulteriore approfondimento, si rinvia
alla Delibera ANAC n. 39 del 20.01.2016 [1].
Per ciò che concerne, invece, gli obblighi di trasparenza
fissati dal Codice dei contratti (d.lgs. 50/2016 e
successive modificazioni ed integrazioni), va fatto
riferimento all’articolo 29, rubricato “Principi in
materia di trasparenza”, dove, al comma 1, si specifica
che devono essere pubblicati, tra le altre informazioni,
Tutti gli atti relativi alle procedure per l’affidamento di
appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere.
Combinando, quindi, le due disposizioni, sopra meglio
citate, gli obblighi di pubblicità e trasparenza della
sezione Bandi di gara e contratti –la sezione più popolosa
del sito, si immagina– devono essere assolti per tutti gli
atti, di qualsiasi importo, senza esclusione alcuna.
Venendo alla questione delle soglie, va ricordato che
l’articolo 1, comma 450, della legge 296/2006, prevedeva
l’obbligo di fare ricorso al mercato elettronico della
pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici
istituiti (per esempio: le centrali di acquisto regionali),
per affidamenti di bene e servizi superiori a 1.000 euro.
Con il comma 130, articolo 1, della legge 145/2018 (legge di
stabilità 2019), dal 01.01.2019, la soglia di esenzione
–dall’obbligo di ricorrere al mercato elettronico– è stata
elevata da 1.000 a 5.000 euro. Restano invariati, pertanto,
tutti gli obblighi di trasparenza, anche per forniture di
importi inferiori.
-----------------
[1] Delibera numero 39 del 20.01.2016, recante
“Indicazioni alle Amministrazioni pubbliche di cui all’art.
1, comma 2, decreto legislativo 30.03.2001 n. 165
sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione e di
trasmissione delle informazioni all’Autorità Nazionale
Anticorruzione, ai sensi dell’art. 1, comma 32 della legge
n. 190/2012, come aggiornato dall’art. 8, comma 2, della
legge n. 69/2015” (16.07.2019 - tratto da e link
a www.publika.it). |
APPALTI: L’affidamento
dei lavori nell’ambito di importi compresi tra i 40mila ed i
150mila euro.
Domanda
La legge 55/2019 ha modificato l’articolo 36 del decreto
legislativo 50/2016 ed ha previsto una nuova possibilità di
affidamento diretto per lavori compresi tra i 40mila euro ed
i 150mila. La disposizione prevede che l’affidamento diretto
possa avvenire solo “previa valutazione di tre preventivi”.
Si chiede se può essere chiarita la dinamica concreta del
procedimento di affidamento.
In particolare, per reperire i tre preventivi è necessario
utilizzare un avviso pubblico per le manifestazioni di
interesse – nell’ambito delle quali scegliere (magari ad
estrazione) o è possibile agire anche con altre modalità?
Risposta
La recente legge di conversione (con modifiche) del DL
32/2019 c.d Sblocca Cantieri, approdata in G.U. con il
numero 55/2019 ed entrata in vigore il 18 giugno, tende
–sulla carta– a semplificare il procedimento di affidamento
di lavori (e non solo nell’ambito degli importi riportati
nel quesito).
In merito, l’articolo 36, comma 2, lett. a), limitando il
discorso ai lavori pubblici, prevede che per gli appalti “di
importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000
euro per i lavori” si può procedere “mediante affidamento
diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti”
e che “l’avviso sui risultati della procedura di
affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti
invitati”.
La norma contiene anche un riferimento alla rotazione degli
inviti che –pur apparendo diretta ai servizi ed alle
forniture– deve comunque ritenersi applicabile anche nel
caso di specie non foss’altro per il richiamo espresso nel
comma 1 dell’articolo 36.
Come si è rilevato in altre circostanze, la norma replica
una disposizione oramai abrogata contenuta nel comma 942,
art. 1, della legge di bilancio 145/2018. Questa norma
invece del verbo “valutare” conteneva il riferimento
alla consultazione (dei tre operatori economici).
Attualmente, in mancanza di indicazioni operative specifiche
(salvo alcune indicazioni contenute nel nuovo schema di
linee guida n. 4 dell’ANAC riferite però alla disposizione
pregressa contenute nella legge di bilancio), gran parte dei
commenti hanno rilevato che la nuova previsione avrebbe
ampliato la discrezionalità del RUP nella scelta degli
operatori economici a cui far presentare il preventivo da
valutare.
Sotto il profilo pratico operativo, a parere di chi scrive,
la norma sembra avere inciso soprattutto sulla procedura
(propedeutica) di reperimento/individuazione degli operatori
economici.
Nel senso che, se ante modifica apportata dal decreto
legislativo 55/2019 il RUP doveva –in relazione agli importi
pari o superiori ai 40mila euro– necessariamente avvalersi
dell’avviso pubblico per ottenere la manifestazione di
interesse (o, se presente dell’albo dei prestatori), alla
luce dell’attuale norma l’indagine di mercato può essere
svolta in modo informale purchè oggettiva e trasparente.
Ad esempio, il RUP potrebbe utilizzare, per avere almeno i
tre preventivi, dati già in suo possesso, oppure in possesso
di altre stazioni appaltanti (che abbiano appaltato lavori
simili) o anche consultare la realtà locale se adeguata ai
lavori da espletare.
Individuati i soggetti economici può con questi (almeno tre)
avviare le trattative per ottenere i preventivi di spesa da
“confrontare”.
Ovviamente tale percorso istruttorio dovrà trovare adeguata
illustrazione nella determinazione di affidamento ed in ogni
caso l’attività svolta deve essere trasparente ed oggettiva.
In alternativa, il RUP potrebbe avviare la classica indagine
con avviso pubblico, magari a contenuto semplificato
fornendo termini adeguati per presentare il preventivo.
Da rammentare che rimane ferma la prerogativa di avviare un
procedimento ordinario (10.07.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI: Appalti
pubblici.
Con il decreto "sblocca cantieri" era stata inserita
l'inversione nell'apertura delle buste mediante la modifica
dell'art. 36, comma 5. Gli uffici di questo Ministero,
chiedono se tale possibilità sussista anche se non risulta
confermata nella conversione in legge.
Il decreto "sblocca cantieri" (D.L. 18.04.2019, n.
32) aveva modificato l'art. 36, comma 5, del Codice degli
appalti disponendo "Le stazioni appaltanti possono
decidere che le offerte siano esaminate prima della verifica
della documentazione relativa al possesso dei requisiti di
carattere generale e di quelli di idoneità e di capacità
degli offerenti. Tale facoltà può essere esercitata se
specificamente prevista nel bando di gara o nell'avviso con
cui si indice la procedura. Se si avvalgono di tale facoltà,
le stazioni appaltanti verificano in maniera imparziale e
trasparente che nei confronti del miglior offerente non
ricorrano motivi di esclusione e che sussistano i requisiti
e le capacità di cui all'articolo 83 stabiliti dalla
stazione appaltante; tale controllo è esteso, a campione,
anche sugli altri partecipanti, secondo le modalità indicate
nei documenti di gara. Sulla base dell'esito di detta
verifica, si procede eventualmente a ricalcolare la soglia
di anomalia di cui all'articolo 97. Resta salva, dopo
l'aggiudicazione, la verifica sul possesso dei requisiti
richiesti ai fini della stipula del contratto".
Tale disciplina non è stata in effetti confermata e la L.
14.06.2019, n. 55 ha anzi abrogato il comma in questione.
Tuttavia l'art. 1, comma 3, della legge di conversione ha
disposto "Fino al 31.12.2020 si applica anche ai settori
ordinari la norma prevista dall'articolo 133, comma 8, del
decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, per i settori
speciali", introducendo pertanto una disciplina
transitoria ma del tutto analoga a quella precedentemente
contenuta nel citato comma.
Infatti l'art. 133, comma 8, dispone "Nelle procedure
aperte, gli enti aggiudicatori possono decidere che le
offerte saranno esaminate prima della verifica dell'idoneità
degli offerenti. Tale facoltà può essere esercitata se
specificamente prevista nel bando di gara o nell'avviso con
cui si indice la gara. Se si avvalgono di tale possibilità,
le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la
verifica dell'assenza di motivi di esclusione e del rispetto
dei criteri di selezione sia effettuata in maniera
imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia
aggiudicato a un offerente che avrebbe dovuto essere escluso
a norma dell'articolo 136 o che non soddisfa i criteri di
selezione stabiliti dall'amministrazione aggiudicatrice".
Ciò detto è confermata l'inversione procedimentale,
applicabile ai settori ordinari, sopra e sotto la soglia
comunitaria.
Si segnala che tale procedura, potenzialmente utile in caso
di un elevato numero di partecipanti, comporta una serie di
criticità pratiche dovute all'eventuale ricalcolo delle
soglie di anomalia in caso di esito negativo delle verifiche
successive della idoneità con potenziale aumento del
contenzioso.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 133
D.L. 18.04.2019, n. 32
L. 14.06.2019, n. 55, art. 1
(03.07.2019 - tratto da
www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
APPALTI:
Le modifiche dei criteri di aggiudicazione tra DL 32/2019 e
provvedimento di conversione.
Domanda
Vorremmo, se possibile, avere un dettaglio delle modifiche
apportate dal DL 32/2019 in tema di criteri di
aggiudicazione e se i RUP sono obbligati ad utilizzare
–nelle acquisizioni sotto la soglia comunitaria– il solo
criterio del minor prezzo.
Risposta
Il D.L. 32/2019 (c.d. Sblocca Cantieri) ha modificato
profondamente la dinamica di acquisizione delle commesse in
ambito sotto soglia comunitario (come definita nell’articolo
35 del codice dei contratti) ma, ancor di più, lo stesso
provvedimento di conversione (Legge 14/06/2019 n. 55,
pubblicata in G.U. del 17/06/2019) soprattutto in materia di
acquisizione di lavori pubblici.
Le modifiche, come emerge dal quesito, hanno riguardato
anche i criteri di aggiudicazione ed anche in questo caso
occorre segnalare un ritorno “al passato” con il
provvedimento di conversione del DL citato.
Mentre il DL 32/2019 imponeva (ed impone fino all’entrata in
vigore del provvedimento di conversione) – in ambito sotto
la soglia comunitaria l’utilizzo del criterio del minor
prezzo (salve le eccezioni dell’articolo 95 di cui si dirà
più avanti) il provvedimento di conversione ristabilisce l’equiordinazione
tra criteri anche nel sotto soglia comunitario. Pertanto, a
differenza dell’attuale regime l’utilizzo del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa (al netto delle
ipotesi in cui questo risulti obbligatorio ai sensi
dell’articolo 95, comma 3, del codice dei contratti) non
dovrà più essere motivato dal RUP.
Sotto si riportano le disposizioni a confronto per meglio
intendere le modifiche apportate:
Art. 36, comma 9-bis in vigore dal 19
aprile (come modificato dal DL 32/2019)
9-bis. Fatto salvo quanto previsto all’articolo 95, comma 3, le
stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione dei
contratti di cui al presente articolo sulla base del
criterio del minor prezzo ovvero, previa motivazione, sulla
base del criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa.
Emendamento apportato con il provvedimento di
conversione (legge 14/06/2019 n. 55 pubblicata in G.U. del
17/06/2019, in vigore dal 18.06.2019)
9-bis. Fatto salvo quanto previsto all’articolo 95, comma 3, le
stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione dei
contratti di cui al presente articolo sulla base del
criterio del minor prezzo ovvero sulla base del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Anche l’articolo 95, per ciò che in questa sede interessa ha
subito delle modifiche dalla recente decretazione.
Il comma 3 dell’articolo 95 dispone sui casi in cui il
criterio del minor prezzo non può essere utilizzato (insiste
un vero e proprio obbligo di utilizzo esclusivo del criterio
in argomento).
In primo luogo i “contratti relativi ai servizi sociali e
di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica,
nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera”
sempre fatta salva la possibilità degli affidamenti diretti
e quindi entro i 40mila euro (in cui è possibile utilizzare
il criterio del minor prezzo).
L’obbligo del multicriterio insiste per aggiudicare i “i
contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria
e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e
intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro”
e – secondo la nuova ipotesi introdotta dal DL confermata la
legge di conversione “i contratti di servizi e le
forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro
caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno
un carattere innovativo”.
Le modifiche hanno riguardato anche il comma 4 dell’articolo
95. Con il DL l’unica ipotesi residua era quella
dell’aggiudicazione di servizi e forniture con
caratteristiche standardizzate o le cui condizioni risultano
definite dal mercato (quindi a prescindere dalla soglia di
affidamento). Per effetto del recente intervento in Adunanza
Plenaria, l’utilizzo del minor prezzo sarà solo possibile
nel caso in cui i servizi non siano ad alta intensità di
manodopera (precisazione introdotta con la legge di
conversione per effetto del pronunciamento itntervenuto in
sede di A.P. n. 8/2019) (03.07.2019 - tratto da e
link a www.publika.it). |
APPALTI: CALCOLO
DELLA SOGLIA DI ANOMALIA - Modelli esemplificativi di
esclusione automatica delle offerte ai sensi dell’art. 97
del D.lgs. 50/2016, Codice dei contratti pubblici, a seguito
delle modifiche introdotte dal dl. 32/2019, convertito con
modificazioni della l. 55/2019 (ANCE, luglio
2019). |
giugno 2019 |
 |
APPALTI: Istruzioni
di carattere generale relative all’applicazione del Codice
dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 50/2016) (MIUR,
quaderno n. 1 - 27.06.2019). |
APPALTI: Il
codice CPV e il nuovo strumento di ricerca sul MEPA.
Domanda
La prassi nel nostro ente è quella di procedere agli
acquisti su MePa partendo da un prodotto specifico, con
invito rivolto a tutti gli operatori iscritti. Tuttavia
all’ultima procedura ha partecipato il solo fornitore che ha
pubblicato a catalogo il prodotto specifico.
Ci sono modalità operative che garantiscono una maggior
partecipazione?
Risposta
L’approvvigionamento su MePa partendo da un prodotto
specifico presuppone, in ogni caso, la verifica circa la
corretta allocazione del catalogo pubblicato dall’operatore
nella corrispondente categoria di abilitazione di cui agli
specifici capitolati tecnici.
Ogni capitolato (cfr. allegati al Capitolato d’oneri su MePa)
contiene la descrizione delle prestazioni che possono essere
offerte dagli operatori che si abilitano per quel
particolare bando, consistenti in un elenco di CPV, ovvero
quei codici numerici che mirano a standardizzare mediante un
unico sistema di classificazione gli appalti pubblici, e che
offrono uno strumento adeguato in ordine alla corretta
individuazione dell’oggetto dell’affidamento.
Al momento il sistema MePa non procede ad una verifica circa
il corretto caricamento del prodotto da parte
dell’operatore, che nel caso di specie potrebbe aver
inserito un bene informatico, ad esempio un computer
portatile [1],
in un bando di abilitazione diverso, ad esempio quello “Arredi”
[2]. In
questo caso gli operatori invitati non avevano la
disponibilità del prodotto richiesto, con la conseguenza che
non solo la concorrenza è stata falsata, ma la Stazione
Appaltante non ha potuto effettivamente confrontare più
offerte per ottenere il prezzo migliore.
Con riferimento al quesito sopra riportato, salva l’ipotesi
di prestazione richiesta con caratteristiche o prezzo non
sostenibili, si può ipotizzare che il problema derivante
dalla mancata partecipazione, nonostante il numero altissimo
degli invitati (tutti gli abilitati alla categoria) sia
stato determinato da un errato caricamento.
(...continua) (26.06.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Alcuni
dipendenti di questo Comune chiedono informazioni circa la
abrogazione dell'istituto del nulla osta alla mobilità
presso altri Enti di cui si è parlato nell'ambito dei
provvedimenti sulla "concretezza".
Quale è la normativa di riferimento?
Nella Gazzetta Ufficiale n. 145 del 22.06.2019 è stata
pubblicata la L. 19.06.2019, n. 56 "Interventi per la
concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e
la prevenzione dell'assenteismo" (cosiddetta "legge
concretezza") che entra in vigore il 07.07.2019.
L'art. 3, comma 4, della citata norma prevede "Al fine di
ridurre i tempi di accesso al pubblico impiego, per il
triennio 2019-2021, fatto salvo quanto stabilito
dall'articolo 1, comma 399, della legge 30.12.2018, n. 145,
le amministrazioni di cui al comma 1 possono procedere, in
deroga a quanto previsto dal primo periodo del comma 3 del
presente articolo e all'articolo 30 del decreto legislativo
n. 165 del 2001, nel rispetto dell'articolo 4, commi 3 e
3-bis, del decreto-legge 31.08.2013, n. 101 …".
La norma in questione prevede:
1) una deroga temporanea, anche se ampia (2019-2021) relativamente
alla necessità della preventiva determinazione di avvio
delle procedure di reclutamento (art. 35 TUPI);
2) una deroga all'attivazione delle procedure di mobilità
obbligatoria di cui all'art. 30. Tali deroghe sono
facoltative e non riguardano il c.d "nulla osta" alla
mobilità che, pertanto, rimane adempimento necessario
nell'ambito delle procedure di mobilità.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 30.03.2001, n. 165
D.L. 31.08.2013, n. 101
L. 19.06.2019, n. 56, art. 3
(26.06.2019 -
tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
APPALTI: Per
la CGUE la contestazione in giudizio della risoluzione per illecito
professionale non preclude alla p.a. di valutare l’affidabilità
dell’operatore.
La Corte di giustizia UE ha affermato la non conformità alle direttive
europee del Codice dei contratti pubblici nella parte in cui prevede che la
contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di
appalto pubblico, assunta da un'amministrazione aggiudicatrice per via di
significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce
all'amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d'appalto di
effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli
offerenti, sull'affidabilità dell'operatore cui la suddetta risoluzione si
riferisce.
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Contratti pubblici – Gara – Grave illecito professionale – Risoluzione
anticipata del contratto di appalto – Esclusione dell’operatore solo in caso
di non contestazione o conferma in sede giudiziale della risoluzione –
Principio di proporzionalità – Violazione.
L’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della
direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014,
sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere
interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della
quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto
di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di
significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce
all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di
effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli
offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si
riferisce (1).
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(1) I. - Il rinvio pregiudiziale del
Tar per la Campania, sez. IV, ordinanza 13.12.2017 n. 5893
(oggetto della
News US in data 19.12.2017, al quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti) è stato occasionato da una controversia in materia di
affidamento di un servizio per la refezione scolastica in cui una impresa
concorrente ha contestato, ai sensi dell’art. 120, commi 2-bis e 6-bis,
c.p.a., la mancata esclusione di altra concorrente, già destinataria, in una
precedente gara, di un provvedimento di risoluzione contrattuale per grave
inadempimento (tossinfezione alimentare), successivamente impugnato dinanzi
al competente giudice civile.
Il Tar aveva dubitato della compatibilità della disciplina interna contenuta
nell’art. 80, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 50 del 2016 con i principi
comunitari di tutela del legittimo affidamento, certezza del diritto, parità
di trattamento, non discriminazione, proporzionalità ed effettività, di cui
alla direttiva n. 2014/24/UE, nonché con la disposizione di cui all’art. 57,
comma 4, lettere c) e g), di detta direttiva, nella parte in cui tale
disposizione consente l’ammissione automatica, in assenza di qualsiasi
valutazione di affidabilità e senza che sia stata dimostrata l’adozione di
misure di self cleaning, di un’impresa che abbia precedentemente
commesso illeciti professionali e che abbia contestato in giudizio la
precedente risoluzione del contratto intervenuta per via di tali illeciti.
Il Tar aveva evidenziato che:
a) i principi di proporzionalità e di effettività dovrebbero
proibire qualsiasi automatismo in caso di impossibilità di escludere un
operatore economico;
b) l’art. 80, comma 5, del Codice dei contratti pubblici violerebbe
i succitati principi e, quindi, la direttiva 2014/24/UE poiché impedisce
all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare una valutazione motivata
sulla gravità dell’illecito professionale all’origine della risoluzione di
un precedente contratto per il motivo che la risoluzione del medesimo è
contestata dinanzi a un giudice civile;
c) l’art. 57, paragrafo 4, lettera g), della direttiva in questione
non richiederebbe in alcun modo una statuizione definitiva della
responsabilità dell’aggiudicatario.
II. – Con la sentenza in rassegna la Corte di giustizia UE, dopo aver
analizzato la normativa di riferimento, ha affermato che:
d) le cause di esclusione facoltative devono
essere valutate secondo il principio di proporzionalità (art. 57, par. 4,
della direttiva 2014/24/UE) il quale non consente al legislatore nazionale
di considerare automaticamente irrilevanti, ai fini dell’ammissione ad una
nuova gara, gli illeciti professionali che hanno dato luogo ad una
precedente risoluzione contrattuale avverso la quale sia stato proposto
ricorso e lo stesso sia ancora pendente;
e) in ragione del tenore dei considerando 101 e
102 della direttiva n. 2014/24/UE, nell’applicare motivi di esclusione
facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare
particolare attenzione al principio di proporzionalità;
f) in base all’art. 57, par. 4, della direttiva
n. 2014/24/UE, che è sostanzialmente sovrapponibile all’art. 45, paragrafo
2, della direttiva 2004/18/CE:
f1) il compito di valutare
se un operatore economico debba essere escluso da una procedura di
aggiudicazione di appalto appartiene alle amministrazioni aggiudicatrici e
non a un giudice nazionale;
f2) la facoltà di cui
dispone qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di escludere un offerente
da una procedura di aggiudicazione di appalto è destinata in modo
particolare a consentirle di valutare l’integrità e l’affidabilità di
ciascuno degli offerenti;
f3) i due motivi di
esclusione previsti dall’art. 57, paragrafo 4, lettere c) e g), si basano su
un elemento essenziale del rapporto tra l’aggiudicatario dell’appalto e
l’amministrazione aggiudicatrice, vale a dire l’affidabilità del primo,
sulla quale si fonda la fiducia che vi ripone la seconda (“il
considerando 101, primo comma, della direttiva in parola prevede che le
amministrazioni aggiudicatrici possono escludere gli «operatori economici
che si sono dimostrati inaffidabili», mentre il suo secondo comma prende in
considerazione, nell’esecuzione degli appalti pubblici precedenti,
«comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull’affidabilità
dell’operatore economico”, cfr. punto 30);
f4) le amministrazioni
aggiudicatrici devono poter escludere un operatore economico in qualunque
momento della procedura e non solo dopo che un organo giurisdizionale abbia
pronunciato una sentenza che accerti l’esistenza del grave illecito
professionale;
f5) se un’amministrazione
aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione
effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare
un’attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento
dell’applicazione dei motivi facoltativi di esclusione;
g) in relazione al perimetro della
discrezionalità del legislatore interno, in un assetto normativo in cui gli
Stati membri sono chiamati a specificare le condizioni di applicazione della
disciplina nel rispetto del diritto dell’Unione:
g1) il potere discrezionale
degli Stati membri non è assoluto e, “una volta che uno Stato membro
decide di recepire uno dei motivi facoltativi di esclusione previsti dalla
direttiva 2014/24, deve rispettarne gli elementi essenziali, quali ivi
previsti. Precisando che gli Stati membri specificano «le condizioni di
applicazione del presente articolo» «nel rispetto del diritto dell’Unione»,
l’articolo 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24 osta a che gli Stati
membri snaturino i motivi facoltativi di esclusione stabiliti in tale
disposizione o ignorino gli obiettivi o i principi ai quali è ispirato
ciascuno di detti motivi”;
g2) “quando è stata
chiamata a interpretare i motivi facoltativi di esclusione, come quelli
previsti all’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d) o g), della
direttiva 2004/18, le uniche disposizioni che non comportavano alcun rinvio
al diritto nazionale, la Corte si è basata sull’articolo 45, paragrafo 2,
secondo comma, della medesima direttiva, in forza del quale gli Stati membri
precisano, nel rispetto del diritto dell’Unione, le condizioni di
applicazione del suddetto paragrafo 2, per circoscrivere più rigorosamente
il potere discrezionale di tali Stati e definire, a sua volta, la portata
della causa facoltativa di esclusione controversa (v., in particolare,
sentenza del 13.12.2012, Forposta, C-465/11, in www.curia.europa.eu, punti
da 25 a 31)”;
h) dal testo dell’art. 57, paragrafo 4, della
direttiva n. 2014/24/UE risulta che il legislatore dell’Unione ha inteso
affidare all’amministrazione aggiudicatrice, e a essa soltanto, nella fase
della selezione degli offerenti, il compito di valutare se un candidato o un
offerente debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di
appalto;
i) l’art. 80, comma 5, lettera c), del Codice dei
contratti pubblici non è conforme all’ordinamento europeo per la parte in
cui limita la possibilità per l’amministrazione di escludere da una
procedura d’appalto un operatore economico qualora, in particolare, essa
dimostri, con mezzi adeguati che:
i1) in primo luogo, lo
stesso operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali tali da
rendere dubbia la sua integrità o affidabilità;
i2) in secondo luogo, i
medesimi gravi illeciti professionali, che possono risultare da
significative carenze verificatesi nell’esecuzione di un precedente appalto
pubblico, hanno dato luogo alla risoluzione del contratto concluso dal
medesimo con l’amministrazione aggiudicatrice, a una condanna al
risarcimento del danno o ad altre sanzioni;
i3) in terzo luogo, tale
risoluzione non è stata contestata in giudizio o è stata confermata
all’esito di un giudizio;
j) tale disposizione non è idonea a preservare
l’effetto utile della previsione dell’art. 57, paragrafo 4, lettera c) o g),
della direttiva n. 2014/24/UE poiché il potere discrezionale
dell’amministrazione è paralizzato dalla proposizione di un ricorso contro
la risoluzione di un precedente contratto d’appalto di cui l’offerente era
firmatario “quand’anche il suo comportamento sia risultato tanto carente
da giustificare tale risoluzione” (punto 38);
k) l’art. 80, comma 5, lettera c), del Codice dei
contratti pubblici non incoraggia un aggiudicatario nei cui confronti è
stata emanata una decisione di risoluzione di un precedente contratto di
appalto pubblico ad adottare misure riparatorie (self cleaning), le
quali consentirebbero all’operatore economico di prendere provvedimenti per
dimostrare di essere affidabile e meritevole di fiducia nonostante ricorra
un motivo di esclusione.
III. – Per completezza si segnala che:
l) nella giurisprudenza nazionale, con specifico
riferimento alla contestazione giudiziale della risoluzione per grave
illecito professionale, si vedano, tra le altre:
l1) nel senso che la
contestazione giudiziale non si traduca in un’automatica ammissione:
Consiglio di Stato, sez. V, 02.03.2018, n. 1299 (in Urbanistica e
appalti, 2018, 657, con nota di CONTESSA; in Giur. it., 2018, 1681, con nota
di FOÀ, RICCIARDO CALDERARO; in Foro amm., 2018, 441, in Appalti &
Contratti, 2018, fasc. 3, 78, e in Gazzetta forense, 2018, 335), secondo
cui: “l’esistenza di una contestazione giudiziale della risoluzione non
implica che la fattispecie concreta ricada esclusivamente nell’ipotesi
esemplificativa, con applicazione del relativo regime operativo; difatti, il
“fatto” in sé di inadempimento resta pur sempre un presupposto rilevante ai
fini dell’individuazione di un grave illecito professionale, secondo
l’ipotesi generale”. Invero, “sussistendo una relazione di genus ad
speciem; a differenza della seconda ipotesi, nel caso generale, la stazione
appaltante non può avvalersi dell’effetto presuntivo assoluto di gravità
derivante dalla sentenza pronunciata in giudizio, né, per converso,
l’impresa può opporne la pendenza per porre nell’irrilevante giuridico il
comportamento contrattuale indiziato” (in termini Tar per la Campania,
sez. I, 29.05.2019, n. 2885);
l2) nel senso che, laddove
la gara rientri nel campo di applicazione del d.lgs. n. 50 del 2016, viene a
configurarsi un ineludibile obbligo legale di ammissione del concorrente,
qualora la anticipata risoluzione del contratto sia stata contestata in
giudizio si vedano, tra le altre: Tar per la Sicilia, 03.11.2017, n. 2511;
Tar per la Puglia, sez. III, 18.07.2017, n. 828; Cons. Stato, sez. V,
27.04.2017, n. 1955 (in Guida al dir., 2017, fasc. 21, 94, con nota di
PONTE); Tar per la Puglia, sez. I, 30.12.2016, n. 1480; Tar per la
Puglia–Lecce, sez. III, 22.12.2016, n. 1935 (in Foro it., 2017, 1735); Tar
per la Calabria, sez. I, 19.12.2016, n. 2522 (in Foro it., 2017, 1735);
l3) sulla specifica
questione della necessaria definitività della disposta risoluzione del
pregresso rapporto contrattuale per procedere alla esclusione dalla gara:
Cons. Stato, sez. V, 11.12.2017, n. 5818; Cons Stato, sez. V, 25.05.2012, n.
3078; Cons. Stato, sez. V, 21.01.2011, n. 409 (in Riv. amm. appalti, 2011,
227, con nota di PIGNATTI);
m) nella giurisprudenza europea, le pronunce rese
sull’art. 45, comma 2, della direttiva 2004/18 (Corte
di giustizia UE, sez. IV, 14.12.2016, causa C-171/15, Taxi Services BV,
in Foro amm., 2016, 2890, nonché oggetto della
News US, in data 09.01.2017, ai cui approfondimenti si rinvia;
idem, sez. X, 18.12.2014, C-470/13, in Foro amm., 2014, 3034 e in
www.curia.europa.eu, 2014; idem, sez. III, 13.12.2012, C-465/11, in
www.curia.europa.eu, 2012) rifiutano ogni automatismo in materia di cause di
esclusione facoltativa nel caso di grave errore professionale, dovendo la
relativa determinazione ispirarsi a criteri di proporzionalità; ne discende
che analogo principio, contrario ad ogni automatismo, deve valere in ipotesi
di meccanismi che abbiano il contrario effetto di precludere l’esclusione;
n) il tema della compatibilità della disciplina
delle cause di esclusione previste dall’art. 80, comma 5, del decreto
legislativo n. 50 del 2016 ha costituito oggetto di ulteriori rinvii
pregiudiziali:
n1)
Cons. Stato, sez. V, ordinanza 23.08.2018, n. 5033 (oggetto della
News US in data 07.09.2018, ai cui approfondimenti si rinvia) e
Cons. Stato, sez. V, ordinanza, 03.05.2018, n. 2639 (oggetto
della
News US in data 08.05.2018, ai cui approfondimenti si rinvia) con
le quali il giudice d’appello ha rimesso nuovamente la analoga questione
della compatibilità, con il diritto dell’Unione europea, della normativa
interna sulle cause di esclusione del concorrente dalla partecipazione a una
procedura di gara, in caso di grave illecito professionale che abbia causato
la risoluzione anticipata di un contratto di appalto, nella parte in cui
richiede che l’operatore possa essere escluso solo se la risoluzione
non sia contestata giudizialmente o sia confermata all’esito di un giudizio;
n2) sotto altro profilo, in
tema di errore professionale quale causa di esclusione della gara, la
Corte di giustizia UE, sez. IX, ordinanza, 04.06.2019, C-425/18, Consorzio
Nazionale Servizi Società Cooperativa (CNS), emessa a seguito di
rinvio pregiudiziale del
Tar per il Piemonte, sez. I, ordinanza 21.06.2018, n. 770
(rispettivamente oggetto della
News US n. 81 in data 16.07.2019 e
News US in data 02.07.2018, ai cui approfondimenti si rinvia) ha
affermato che “l’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della
direttiva 2004/18/CE […], deve essere interpretato nel senso che esso osta a
una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento
principale, che è interpretata nel senso di escludere dall’ambito di
applicazione dell’«errore grave» […] i comportamenti che integrano una
violazione delle norme in materia di concorrenza, accertati e sanzionati
dall’autorità nazionale garante della concorrenza con un provvedimento
confermato da un organo giurisdizionale, e che preclude alle amministrazioni
aggiudicatrici di valutare autonomamente una siffatta violazione per
escludere eventualmente tale operatore economico da una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico”;
o) in dottrina, per una accurata ricostruzione
della nuova disciplina dell’esclusione basata sul grave illecito
professionale, delle differenze fra vecchio e nuovo regime europeo e
nazionale, delle linee guida A.N.A.C. e sulla rilevanza del c.d. self
cleaning, si vedano, tra gli altri: R. DE NICTOLIS, I nuovi appalti
pubblici, Bologna, 2017, 854 ss. (cui si rinvia per ampia trattazione anche
delle modifiche disciplinari rispetto alla pregressa normativa di cui al
d.lgs. n. 163 del 2006), secondo cui la circostanza che il legislatore
italiano abbia scelto di disciplinare l’esclusione per grave illecito
professionale in termini di obbligatorietà (esercitando l’opzione concessa
dalle direttive del 2014 e costruendo tale figura come un genus
all’interno del quale collocare una nutrita serie di fattispecie) è conforme
al diritto europeo ed ai principi espressi dalla menzionata sentenza della
Corte di giustizia UE, sez. IV, 14.12.2016, cit., e fa propendere per il
carattere esemplificativo del catalogo sancito dall’art. 80, comma 5,
lettera c), del nuovo codice dei contratti pubblici; A. AMORE, Le cause di
esclusione di cui all’art. 80 d.lgs. n. 50/2016 tra Linee guida dell’ANAC e
principi di tassatività e legalità, in Urbanistica e appalti, 2017, 6, 763;
M. DIDONNA, Gravi illeciti professionali, morosità del concorrente e
garanzie <difensive> in Urbanistica e appalti, 2018, 4, 538; id.,
Revoca di
precedenti affidamenti e <gravi illeciti professionali> nel d.lgs. n.
50/2016, in www.Italiappalti.it, 19.01.2017; id., Il <grave
errore professionale>, tra attuale incertezza e imminente prospettiva
europea, in Urbanistica e appalti, 2016, 1, 61; F. MASTRAGOSTINO, Motivi di
esclusione e soccorso istruttorio dopo il correttivo al codice dei contratti
pubblici, in Urbanistica e appalti, 2017, 6, 745. Sulle Linee guida ANAC n.
6 adottate, in attuazione dell’art. 80, comma 13, d.lgs. n. 50 del 2016, con
determinazione n. 1293 del 16.11.2016 (su cui si veda il parere del Cons.
Stato, comm. speciale, 03.11.2016, n. 2286/2016) e modificate con
determinazione n. 1008 dell’11.10.2017 (su cui si veda il parere del Cons.
Stato, comm. speciale, 25.09.2017, n. 2042/2017) cfr. L. MAZZEO e L. DE
PAULI, Le linee guida dell’ANAC in tema di gravi illeciti professionali, in
Urbanistica e appalti, 2018, 2, 155. MANGANARO, M. GERMANO’, Nuove
disposizioni normative sulle cause di esclusione da una procedura di appalto
pubblico, in Urbanistica e appalti, 2019, 3, 301;
p) sulla natura esemplificativa delle ipotesi di “grave
errore professionale” indicate dall’art. 80, comma 5, lettera c), d.lgs.
n. 80 del 2016 cfr. Cons. Stato, sez. V, 03.09.2018, n. 5142; Cons. Stato,
sez. V, 02.03.2018, n. 1299, che ha esaminato la disposizione anche alla
luce dell’art. 57, par. 4, direttiva del 2014/24/UE del 26.02.2014; Cons.
Stato, sez. V, 27.04.2017, n. 1955 (in Riv. giur. edilizia, 2017, I, 699);
q) la soluzione divisata dalla sentenza in
rassegna era stata anticipata dall'art. 5, comma 1, d.l. 14.12.2018, n. 135,
convertito, con modificazioni, dalla l. 11.02.2019, n. 12, che ha
sostituito, nel corpo dell’art. 80, comma 5 cit., l'originaria lettera c),
con le lettere c), c-bis) e c-ter);
r) l'art. 1, comma 20, lettera o), della
legge n. 55 del 2019 (di conversione del d.l. c.d. “sblocca
cantieri”, oggetto della
News normativa n. 74 del 10.07.2019) ha introdotto nell’art. 80,
comma 5, del decreto legislativo n. 50 del 2016 la lettera c-quater, ai
sensi della quale l’amministrazione appaltante deve disporre l’esclusione
dell’operatore economico che abbia commesso “grave inadempimento nei
confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuto o accertato con sentenza
passata in giudicato”.
Si tratta di una causa di esclusione obbligatoria, introdotta autonomamente
dal legislatore nazionale, non essendo prevista dalle direttive europee, e
che può essere ricondotta al più ampio genus del grave illecito
professionale.
Come osserva, puntualmente, R. DE NICTOLIS, Le novità sui contratti pubblici
recati dal d.l. n. 32/2019, in corso di pubblicazione in Urbanista e
Appalti, il d.l. interviene anche sulla materia della durata massima delle
cause ostative di cui all’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, sia con
riguardo alle condanne penali, al fine di coordinare la disciplina del
Codice dei contratti pubblici con la legge n. 3 del 2019 in tema di delitti
contro la p.a., sia con riguardo alle violazioni dell’art. 80, quinto comma,
al fine di dare migliore attuazione alle direttive europee, in particolare
con riguardo alla decorrenza della causa ostativa.
Con riguardo agli illeciti penali indica una durata variabile della causa di
esclusione in base alla tipologia di reato e all’entità della condanna, se
la sentenza penale di condanna definitiva non fissa la durata della pena
accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Nel caso in cui ricorra una delle ipotesi descritte al quinto comma
dell’art. 80, la durata della causa ostativa è di tre anni, decorrenti dalla
data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in
caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato
della sentenza.
Tuttavia, in caso di contestazione in giudizio, non vi è un totale
congelamento della causa di esclusione, che piuttosto, da obbligatoria,
diviene facoltativa. Si stabilisce infatti che, nel tempo occorrente alla
definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale
fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza dei presupposti
per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che
l’abbia commesso (art. 80, comma 10-bis, ultimo periodo). Il d.l., superando
i problemi ermeneutici emersi con la formulazione previgente (ma sul punto
si veda R. DE NICTOLIS, op. ult. cit.), fa decorrere la durata del termine
della causa ostativa dall’accertamento del fatto, che o è contenuto nel
provvedimento amministrativo non contestato, ovvero, in caso di
contestazione, nella condanna giudiziale passata in giudicato.
Per il caso di contestazione giudiziale, come anticipato, si ipotizza una
causa di esclusione facoltativa e non obbligatoria, al fine di evitare che
la lunghezza del giudizio congeli sine die la causa di esclusione (CGUE,
Sez. IV,
sentenza 19.06.2019, C-41/18 - commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Rotazione e partecipazione del pregresso affidatario in
diversa veste giuridica (come mandatario di un RTI).
Domanda
Sono sempre più numerosi i quesiti in tema di rotazione.
Soprattutto sull’intensità del criterio e se questo possa
estendersi anche al caso in cui il pregresso affidatario
chieda di essere invitato ad un procedura negoziata per una
prestazione identica alla precedente (per cui risulta
contraente della stazione appaltante) ma in forma giuridica
differente ovvero non singolarmente ma in raggruppamento.
L’appaltatore, si legge nel quesito, ritiene che in questo
caso non gli si possa opporre la rotazione.
È possibile avere un riscontro?
Risposta
La questione della rotazione costituisce espressione di una
delle problematiche maggiormente sentite dai RUP e dagli
stessi appaltatori. Inutile rammentare che la giurisprudenza
e la stessa ANAC risultano particolarmente sensibili alla
problematica interpretando in modo radicale l’alternanza tra
le imprese.
La motivazione dell’alternanza poggia sull’esigenza di
evitare che il pregresso affidatario (anche se diventato
tale in virtù di una gara pubblica) possa avvantaggiarsi
dell’esperienza di gestione dell’appalto della c.d. rendita
di posizione derivante dall’essere stato contraente e,
quindi, di essere ben in grado di intercettare –a differenza
degli altri appaltatori– i desiderata della stazione
appaltante.
La rotazione deve operare nel caso di successione di appalti
della medesima tipologia e, generalmente, a prescindere
dagli importi. Opera nel caso in cui, ad una prima
aggiudicazione per gara pubblica segua una procedura
negoziata e non al contrario.
La rotazione può subire dei contingentamenti/deroghe nel
caso in cui la stazione appaltante si sia dotata di un
proprio regolamento in cui abbia previsto della fasce di
importo (pertanto potrebbe non operare nell’ambito della
stessa fascia di importo anche se si tratta della medesima
prestazione/lavoro già acquisito).
Negli altri casi, per evitare la rotazione (sia sul
precedente aggiudicatario sia sui soggetti già invitati) è
necessario che il RUP operi con avvisi pubblici a
manifestare interessi (o direttamente con bando di gara)
aperti senza limitazione alcuna sulle partecipazioni.
Venendo alla questione posta nel quesito, in tempi
recentissimi la stessa ANAC ha escluso che il pregresso
affidatario possa riproporre la propria candidatura per la
successiva aggiudicazione della stessa tipologia di appalto
partecipando in diversa forma giuridica (ad esempio come
mandatario di un raggruppamento).
In questo senso, con il parere n. 422/2019, l’autorità
anticorruzione –secondo una indicazione preziosa per il RUP–
ha chiarito che in relazione alla “gara per lavori afferenti
alla medesima categoria e fascia di importo” l’eventuale
partecipazione del pregresso affidatario “anche se nella
veste di mandante di un R.T.I. (rectius concorrente in
raggruppamento), ponendosi in contrasto con il principio di
rotazione”, determinerebbe una violazione di legge.
Pertanto, in siffatte ipotesi la deroga è possibile solo con
adeguata motivazione del RUP che non può che essere fondata
o sulla esiguità di proposte (appaltatori) nel mercato e
nella competitività delle offerte (sempre che nel precedente
appalto abbia ben operato senza rilievi) (19.06.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Il PassOE in sede di gara a pena di esclusione.
Domanda
Il PassOE in sede di gara deve essere richiesto a pena di esclusione?
Risposta
Il PassOE è quel codice numerico che l’Operatore Economico acquisisce e
trasmette alla stazione appaltante affinché quest’ultima possa verificare in
capo all’aggiudicatario il possesso dei requisiti di carattere generale,
tecnico-organizzativo ed economico-finanziario dichiarati in sede di gara,
mediante il sistema AVCpass, quale strumento che consente sia l’acquisizione
della documentazione a comprova dei requisiti a seguito della cooperazione
applicativa con i vari Enti, che la mera trasmissione di richieste ad altri
soggetti certificatori.
Tale foglio, che deve essere sottoscritto dall’operatore economico ai fini
della liberatoria per il trattamento dei dati, non rientra tra gli atti
obbligatori per la validità della documentazione amministrativa, pertanto,
la richiesta a pena di esclusione, potrebbe porsi in violazione dell’art. 83
del d.lgs. 50/2016, ed in particolare del comma 8, che stabilisce: “I
bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a
pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre
disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
Il PassOE diventa obbligatorio nel momento in cui la stazione appaltante
deve effettuare i controlli sull’aggiudicatario (salvo l’ipotesi di
verifiche a campione in sede di gara), che procederà quindi all’acquisizione
dello stesso mediante accesso al sistema AVCPass, non prevedendo l’ANAC
alcun blocco in ordine al rilascio del documento dopo la scadenza del
termine per la presentazione delle offerte.
In questo modo non solo si semplificano gli oneri per gli operatori
partecipanti alla procedura che evitano il passaggio di acquisizione di un
documento che prevede comunque diversi step per la generazione, ma si riduce
anche l’attività del seggio di gara che non deve accertare la presenza e la
regolarità dei vari PassOE trasmessi, o addirittura attivare il soccorso
istruttorio qualora se ne accerti la mancata allegazione, con allungamento
dei termini della procedura.
A livello operativo si evidenzia come la presentazione in sede di gara del
PassOE potrebbe determinare alcuni problemi di gestione della stessa, dovuti
ad esempio alla difficoltà dell’operatore di trasmettere il documento per
responsabilità diretta della stazione appaltante che abbia dimenticato, dopo
la creazione del codice CIG, di perfezionarlo. In tale ipotesi, infatti,
l’operatore non potrà in alcun modo generare il PassOE, ed eventualmente
eccepirà la mancata partecipazione alla procedura per negligenza dell’ente
appaltante.
In considerazione della funzione del PassOE e dei rischi operativi si
ritiene che tale documento, se richiesto in sede di gara, debba avere un
carattere meramente facoltativo, diventando documento obbligatorio a carico
del solo aggiudicatario.
Sulle modalità di acquisizione e presentazione del PassOE
PASSOE di cui all’art. 2, comma 3, lett. b), della delibera ANAC n.
157/2016, sottoscritto digitalmente dall’Operatore Economico aggiudicatario.
Nel caso di ricorso all’avvalimento ai sensi dell’art. 49 del Codice, anche
il PASSOE relativo all’ausiliaria.
Nell’ipotesi di partecipazione di RTI, anche già costituiti, andranno
trasmessi i PassOE di tutte le imprese che compongono il raggruppamento
ovvero un PassOE multiplo.
Nell’ipotesi di partecipazione di consorzi di cui all’art. 45, comma 2,
lett. b) e c), del d.lgs. 50/2016, andranno trasmessi –oltre al PassOE del
Consorzio– anche quelli delle consorziate per le quali il consorzio
partecipa/esecutrici ovvero un PassOE multiplo.
Nel caso di partecipazione di consorzi di cui all’art. 45, comma 2, lett.
e), del d.lgs. 50/2016, andranno trasmessi –oltre al PassOE del Consorzio–
anche quelli di tutte le consorziate ovvero un PassOE multiplo.
Qualora il PassOE non sia stato già allegato in sede di gara, si procederà a
richiederne la produzione –pena l’esclusione– entro e non oltre il termine
di giorni 5 (cinque) dalla trasmissione della relativa richiesta (12.06.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Applicativo ANAC per il whistleblowing.
Domanda
Abbiamo scaricato dal sito dell’ANAC l’applicativo per la ricezione delle
segnalazioni di condotte illecite da parte dei pubblici dipendenti (Whistleblowing).
Dobbiamo mantenere pubblicata anche la scheda di segnalazione e la casella
email del RPCT, predisposta nell’anno 2015?
Risposta
Con Comunicato del Presidente, Raffaele Cantone, in data 15.01.2019,
l’Autorità Anticorruzione italiana ha comunicato che era disponibile, in
open source, il nuovo software per la gestione delle segnalazioni di
illeciti.
L’applicativo può essere utilizzato per l’acquisizione e la gestione –nel
rispetto delle garanzie di riservatezza previste dalla normativa vigente–
delle segnalazioni di illeciti da parte dei pubblici dipendenti, così come
stabilito dall’articolo 54-bis, comma 5, del decreto legislativo 165/2001
[1] e previsto dalle Linee
Guida ANAC, di cui alla determinazione n. 06 del 28.04.2015.
La nuova piattaforma consente la compilazione, l’invio e la ricezione delle
segnalazioni di presunti fatti illeciti, nonché la possibilità per l’ufficio
del Responsabile della Prevenzione Corruzione e della Trasparenza (RPCT),
che riceve tali segnalazioni, di comunicare in forma riservata con il
segnalante senza conoscerne l’identità.
Quest’ultima, infatti, viene segregata dal sistema informatico ed il
segnalante, grazie all’utilizzo di un codice identificativo univoco generato
dal predetto sistema, potrà “dialogare” con il RPCT, in maniera
spersonalizzata tramite la piattaforma informatica. Ove ne ricorra la
necessità il RPCT può chiedere l’accesso all’identità del segnalante, previa
autorizzazione di una terza persona (il cosiddetto “custode dell’identità”).
L’applicativo e la sua distribuzione in forma gratuita è regolata da una
Licenza Pubblica della Unione Europea e, pertanto, ne è consentito il libero
uso a qualunque soggetto interessato, senza nessun’altra autorizzazione da
parte dell’ANAC.
Premesso quanto sopra, si ritiene di rispondere al quesito suggerendo di
eliminare dal vostro sito web, sia la scheda di segnalazione che la casella
e-mail (riservata) a cui poteva accedere solamente il RPCT.
Tale suggerimento nasce dalla constatazione che l’applicativo dell’ANAC è
certamente più sicuro, rispetto ai tradizionali mezzi utilizzati finora, in
quanto fa ricorso a strumenti di crittografia idonei a garantire la
riservatezza dell’identità del segnalante.
Come già in precedenza, l’applicativo da voi scaricato dal sito dell’ANAC,
va pubblicato nella sezione Amministrazione trasparente > Altri contenuti >
Prevenzione della corruzione.
In ultimo, si ricorda che l’articolo 1, comma 6, della legge n. 179/2017,
prevede che qualora venga accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e
la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di procedure non conformi a
quelle di cui al comma 5, l’ANAC applica al responsabile la sanzione
amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.
---------------
[1] Nel testo sostituito dall’articolo 1, comma 1, della legge
30.11.2017, n. 179 (11.06.2019 - tratto da e link a
www.publika.it). |
APPALTI: La
legge europea (l. 37 del 03/05/2019) apporta modifiche ai
tempi di pagamento da parte delle p.a..
Domanda
L’assessore ai LLPP ha segnalato che una legge recentemente
approvata dal Parlamento è intervenuta sulla normativa in
materia di tempi di pagamento. Mi sapete dire di cosa si
tratta?
Risposta
La legge segnalata è la c.d. ‘Legge europea 2018’
(nota in passato come ‘Legge comunitaria’). Si tratta
della legge n. 37 del 03/05/2019, pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 109 dello scorso 11 maggio. La norma, già in
vigore dallo scorso 26 maggio, è stata adottata a seguito di
specifica procedura di infrazione avviata dall’Unione
Europea nei confronti dell’Italia per il ritardo nei
pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. In
particolare, l’art. 5 della legge ha sostituito l’art.
113-bis del codice degli appalti riscrivendone in toto il
testo. Cosa cambia rispetto al testo previgente?
In sostanza, al fine di ridurre i tempi di pagamento nei
confronti delle ditte appaltatrici, si riducono i tempi
intercorrenti fra l’emissione del certificato di pagamento e
l’adozione degli stati di avanzamento. In precedenza
infatti, per gli acconti del corrispettivo di appalti, i
primi venivano emessi entro trenta giorni dai secondi, fatto
salvo il caso che le parti avessero espressamente concordato
in modo diverso (quindi potenzialmente anche peggiorativo),
purché non gravemente iniquo per il creditore; ora i due
documenti devono essere contestuali, ovvero al più, il
certificato deve essere emesso non oltre sette giorni
dall’adozione del s.a.l.
Il nuovo testo prevede che i pagamenti relativi agli acconti
siano effettuati entro trenta giorni decorrenti
dall’adozione di ogni stato di avanzamento dei lavori, salvo
che sia espressamente concordato nel relativo contratto un
diverso termine. Quest’ultimo, tuttavia, non può comunque
essere superiore a sessanta giorni e deve essere
oggettivamente giustificato dalla natura particolare del
contratto o da talune sue caratteristiche.
Per il collaudo e la verifica di conformità il vecchio testo
faceva un generico rinvio all’art. 4 del d.lgs. 231/2002. Il
nuovo comma 2 prevede ora che all’esito positivo del
collaudo o della verifica di conformità, e comunque entro un
termine non superiore a sette giorni dagli stessi, il
responsabile unico del procedimento debba rilasciare il
certificato di pagamento ai fini dell’emissione della
fattura da parte dell’appaltatore.
Il relativo pagamento è effettuato nel termine di trenta
giorni decorrenti dal suddetto esito positivo del collaudo o
della verifica di conformità, salvo che sia espressamente
concordato nel contratto un diverso termine, comunque non
superiore a sessanta giorni e purché ciò sia oggettivamente
giustificato dalla natura particolare del contratto o da
talune sue caratteristiche.
Il certificato di pagamento, conclude e conferma il comma
rispetto al passato, non costituisce presunzione di
accettazione dell’opera, ai sensi dell’articolo 1666,
secondo comma, del codice civile. Resta invece del tutto
invariato il vecchio comma 2 dell’articolo, ora
semplicemente spostato al comma 4, in materia di
applicazione di penali negli appalti pubblici.
Infine cogliamo l’occasione per segnalare che sul tema dei
pagamenti dei debiti commerciali delle p.a., intese in senso
lato, è intervenuto di recente anche il c.d. ‘Decreto
crescita’ (d.l. 34/2019). L’art. 22, inserisce il nuovo
articolo 7-ter del d.lgs. 231/2002.
Esso stabilisce che a partire dal 2019 le società (quindi
anche quelle partecipate dagli enti locali) «(…) danno
evidenza dei tempi medi di pagamento delle transazioni
effettuate nell’anno, individuando altresì gli eventuali
ritardi medi tra i termini pattuiti e quelli effettivamente
praticati. I medesimi soggetti danno conto nel bilancio
sociale anche delle politiche commerciali adottate con
riferimento alle suddette transazioni, nonché delle
eventuali azioni poste in essere in relazione ai termini di
pagamento».
Il decreto è ancora in corso di conversione. Non resta che
attendere di vedere se il testo verrà confermato nella sua
formulazione oppure no (10.06.2019 - tratto da
e link a www.publika.it). |
APPALTI SERVIZI - ENTI LOCALI: Il
servizio di trasporto scolastico comunale è un "servizio
pubblico" e, come tale, deve comportare l'integrale
copertura dei costi secondo quanto stabilito dall'articolo
117 del Tuel.
Il servizio di trasporto scolastico è un
servizio pubblico di trasporto escluso dalla disciplina
normativa dei servizi pubblici a domanda individuale.
L'ente è tenuto, in sede di copertura, alla stretta osservanza
delle disposizioni dell'art. 117 TUEL, vale a dire, che per
il principio dell'equilibrio ex ante tra costi e risorse a
copertura, l'erogazione del servizio pubblico deve avvenire
in equilibrio ai sensi dell'art. 117 TUEL, circostanza che
presuppone un'efficace rappresentazione dei costi ed una
copertura nel rispetto dei criteri generali di cui alla
norma del Testo unico degli enti locali.
In tal modo
l'erogazione del servizio non solo non può essere gratuita
per gli utenti ma la sua copertura deve avvenire mediante i
corrispettivi versati dai richiedenti il servizio. Ciò anche
alla luce della nuova connotazione conferita dall'articolo
5, comma 2, del D.lgs. 63/2017, a mente del quale gli enti
locali assicurano il trasporto delle alunne e degli alunni
delle scuole primarie statali per consentire loro il
raggiungimento della più vicina sede di erogazione del
servizio scolastico.
Il servizio è assicurato su istanza di
parte e dietro pagamento di una quota di partecipazione
diretta, senza nuovi o maggiori oneri per gli enti
territoriali interessati.
Il D.lgs. 63/2017 non ha inciso
nell'ambito delineato in via generale dalle menzionate
disposizioni del TUEL ed anzi ha introdotto una disciplina
specifica, che si innesta nell'ampio perimetro disciplinato
dall'articolo 112 del Tuel, il quale attribuisce agli enti
la gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la
produzione di beni e delle attività rivolte a realizzare
fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile
delle comunità locali.
Ma soprattutto il richiamato articolo
5 del D.lgs. 63/2017 prevede una espressa clausola di
invarianza finanziaria, richiedendo che il servizio di
trasporto vada realizzato "senza determinare nuovi e
maggiori oneri per gli enti territoriali" e dietro pagamento
di una quota di partecipazione diretta da parte dell'utenza
quale corrispettivo della prestazione ricevuta.
---------------
Con la nota in epigrafe il Sindaco del Comune di Biandrate
(NO) ha, preliminarmente, riferito
che l’Amministrazione comunale, dopo aver completato i
lavori di costruzione del nuovo
complesso scolastico nel quale è stata trasferita l’attività
didattica della scuola dell’infanzia,
della scuola primaria e di quella secondaria, per agevolare
l’utenza al fine di raggiungere la
nuova struttura, sita nel medesimo territorio comunale, ha
ritenuto di attivare, “in via del tutto
sperimentale”, un servizio di trasporto scolastico
comprendente il percorso tra la piazza attigua
dell’edificio scolastico precedente e l’ingresso del nuovo
plesso.
Conseguentemente, l’Ente,
nell’eventualità che il detto servizio di trasporto
scolastico venga in prosieguo portato a
regime, formula a questa Sezione la seguente richiesta di
parere: “se le quote di
partecipazione finanziaria correlate al servizio che
verranno erogate dall’utenza dovranno
completamente concorrere alla copertura integrale della
spesa del medesimo; e ciò anche per
assicurare il conseguente equilibrio economico-finanziario
in funzione del principio di invarianza
finanziaria di cui all’art. 5, comma 2, del D.lgs. n.
63/2017, secondo cui il servizio di trasporto
va realizzato senza determinare nuovi e maggiori oneri per
gli Enti territoriali ed in base al
quale le quote di partecipazione diretta nella loro
interezza debbono coprire integralmente la
spesa complessiva del servizio”.
...
Venendo al merito, posto che il quesito concerne
l’interpretazione della normativa sulla copertura della
spesa del servizio di trasporto scolastico in relazione
all’entità delle quote di partecipazione finanziaria a
carico dell’utenza, ritiene la Sezione, preliminarmente, di
confermare che la giurisprudenza contabile, conformemente
all’avviso espresso nella stessa richiesta di parere,
appare, allo stato, consolidata nel senso di ritenere che il
servizio di trasporto scolastico sia pleno iure un
servizio pubblico di trasporto, e, come tale, escluso dalla
disciplina normativa dei servizi pubblici a domanda
individuale (v., Sezione Controllo Campania,
parere 21.06.2017 n. 222; id., Sezione Controllo Sicilia,
parere 10.10.2018 n. 178).
Come noto, i servizi a domanda individuale trovano
classificazione nel
dm 31.12.1983, emanato in attuazione del
dl 28.02.1983 n. 55, come convertito dalla legge 26.04.1983
n. 131.
Detto decreto, che elenca la tipologia dei servizi suddetti,
esclude espressamente, dalla categoria dei servizi a domanda
individuale, quelle attività che “siano state dichiarate
gratuite per legge nazionale o regionale”, provvedendo
all’individuazione e, quindi, alla declaratoria specifica
delle singole tipologie di attività qualificabili come
servizi a domanda individuale.
Per quanto di interesse nella presente sede, l’elenco in
esame non ricomprende espressamente il servizio di trasporto
scolastico, mentre, in materia di istruzione, prevede i
servizi di asilo nido e corsi extrascolastici che non siano
previsti come obbligatori dalla legge (nn. 3 e 6). Più in
particolare, la magistratura contabile (v., deliberazioni
citate) ha evidenziato come né il
Dl 55/1983, convertito
dalla richiamata legge 131/1983, né il
decreto 31.12.1983
del Ministero dell'Interno ricomprendano tra i servizi
pubblici locali a domanda individuale quello di trasporto
scolastico.
Non ritenendo di dissentire dal richiamato indirizzo
interpretativo, del quale, anzi, se ne condividono le
argomentazioni a sostegno, la Sezione, in occasione dello
scrutinio del presente quesito, ritiene di ribadire il
principio secondo cui
il trasporto scolastico è un servizio
pubblico, ma non potendo essere classificato tra quelli a
domanda individuale, non possono allo stesso reputarsi
applicabili i conseguenti vincoli normativi e finanziari che
caratterizzano i servizi pubblici a domanda individuale,
espressamente individuati dal menzionato D.M. n. 131/1983.
La natura di servizio pubblico, in quanto oggettivamente
rivolto a soddisfare esigenze della collettività, comporta,
pertanto, che per il trasporto scolastico siano definite
dall’Ente adeguate tariffe a copertura dei costi, secondo
quanto stabilito dall'articolo 117 del Tuel.
In effetti, per tutti i servizi pubblici, anche non
definibili “a domanda individuale”, come nella
specie, l’art. 117 TUEL stabilisce che:
"1. Gli enti interessati approvano le tariffe dei servizi pubblici
in misura tale da assicurare l'equilibrio
economico-finanziario dell'investimento e della connessa
gestione. I criteri per il calcolo della tariffa relativa ai
servizi stessi sono i seguenti:
a) la corrispondenza tra costi e ricavi in modo da
assicurare la integrale copertura dei costi, ivi compresi
gli oneri di ammortamento tecnico-finanziario;
b) l'equilibrato rapporto tra i finanziamenti
raccolti ed il capitale investito;
c) l'entità dei costi di gestione delle opere,
tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del
servizio;
d) l'adeguatezza della remunerazione del capitale
investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato.
2. La tariffa costituisce il corrispettivo dei servizi pubblici;
essa è determinata e adeguata ogni anno dai soggetti
proprietari, attraverso contratti di programma di durata
poliennale, nel rispetto del disciplinare e dello statuto
conseguenti ai modelli organizzativi prescelti.
3. Qualora i servizi siano gestiti da soggetti diversi dall'ente
pubblico per effetto di particolari convenzioni e
concessioni dell'ente o per effetto del modello
organizzativo di società mista, la tariffa è riscossa dal
soggetto che gestisce i servizi pubblici".
Pertanto,
fermo restando che l’erogazione del servizio
pubblico debba avvenire in equilibrio ai sensi dell’art. 117 TUEL –circostanza che ovviamente presuppone una efficace
rappresentazione dei costi ed una copertura nel rispetto dei
criteri generali di cui alla norma del Testo unico degli
enti locali- l’erogazione dello stesso non solo non può
essere gratuita per gli utenti ma la sua copertura deve
avvenire mediante i corrispettivi versati dai richiedenti il
servizio (cfr. SRC Sicilia
parere 25.02.2015 n. 115, SRC Molise
parere 14.09.2011 n.
80, SRC Campania
parere 25.02.2010 n. 7),
di modo che le quote
di partecipazione finanziaria, correlate al servizio e poste
a carico dell’utenza, dovranno completamente concorrere alla
copertura integrale della spesa del medesimo.
Detto orientamento trova assoluto ed inequivoco riscontro
nella stessa giurisprudenza amministrativa, ad avviso della
quale, in occasione dell’erogazione di un servizio pubblico,
gli Enti “…saranno tenuti, in sede di copertura, alla
stretta osservanza delle disposizioni dell’art. 117 TUEL, in
particolare, del principio dell’equilibrio ex ante tra costi
e risorse a copertura, principio che riguarda
indistintamente tutti i servizi pubblici erogati dall’ente
locale, a prescindere dalla forma contrattuale di
affidamento del servizio" (v., ex multis,
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.05.2012 n. 2537).
Simile interpretazione riceve pieno ed incontrovertibile
conforto da ulteriori recenti arresti giurisprudenziali
contabili (v., Sezione regionale di controllo della Sicilia,
parere 10.10.2018 n. 178), che, analizzando la natura del
servizio di trasporto degli alunni organizzato dai Comuni
nell'ambito del diritto allo studio, hanno reso
un’interpretazione conforme all’indirizzo sopra enunciato
alla luce della nuova connotazione conferita dall'articolo
5, comma 2, del Dlgs 63/2017.
A mente del citato disposto dell’art. 5, comma 2, del
decreto legislativo 63/2017, infatti,
gli enti locali “assicurano
il trasporto delle alunne e degli alunni delle scuole
primarie statali per consentire loro il raggiungimento della
più vicina sede di erogazione del servizio scolastico. Il
servizio è assicurato su istanza di parte e dietro pagamento
di una quota di partecipazione diretta, senza nuovi o
maggiori oneri per gli enti territoriali interessati”.
Il D.lgs. 63/2017, secondo l’indirizzo giurisprudenziale
richiamato, non solo non ha inciso nell’ambito delineato in
via generale dalle menzionate disposizioni del TUEL, bensì
ha introdotto una disciplina specifica, che si innesta
nell'ampio perimetro disciplinato dall'articolo 112 del Tuel,
il quale attribuisce agli enti la gestione dei servizi
pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni e
delle attività rivolte a realizzare fini sociali e a
promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità
locali.
Ma soprattutto
il richiamato
articolo 5 del D.lgs. 63/2017
prevede una espressa clausola di invarianza finanziaria,
richiedendo che il servizio di trasporto vada realizzato “senza
determinare nuovi e maggiori oneri per gli enti territoriali”
e dietro pagamento di una quota di partecipazione diretta da
parte dell’utenza quale corrispettivo della prestazione
ricevuta.
Deve, quindi, concludersi nel senso che,
ferme restando le scelte gestionali e l'individuazione dei
criteri di finanziamento demandate alla competenza dell'ente
locale, il quadro normativo sopra delineato
non consenta l'erogazione gratuita del servizio di trasporto
pubblico scolastico, servizio che deve avere a fondamento
una adeguata copertura finanziaria necessariamente
riconducibile nei limiti fissati dai parametri normativi del
Tuel, alla luce della espressa previsione normativa della
corresponsione della quota di partecipazione diretta da
parte degli utenti, quota la quale, nel rispetto del
rapporto di corrispondenza tra costi e ricavi, non può non
essere finalizzata ad assicurare l’integrale copertura dei
costi del servizio
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere 06.06.2019 n. 46). |
APPALTI: RUP
non dirigente.
Domanda
Il nostro ente (un comune) sta procedendo con la
costituzione di uno specifico ufficio di supporto al RUP.
Nel nosto caso i RUP, in certi casi, non coincidono con i
responsabili di servizio ma sono inquadrati comunque nella
categoria D.
E’ possibile da parte del RUP non responsabile del servizio
nominare, nell’ambito dell’ufficio di supporto, i
responsabili di procedimento ai sensi della legge 241/1990
per lo svolgimento di specifici compiti dell’ambito del
procedimento di affidamento? (es. nomina responsabile del
procedimento per la predisposizione dell’avviso a
manifestare interesse o per la predisposizione dell’albo dei
prestatori o simili).
Risposta
La stazione appaltante può, nell’ambito della propria
autonomia, organizzare come ritiene opportuno lo
sviluppo/svolgimento delle procedure di affidamento,
articolando anche alcune funzioni/compiti in modo differente
prevedendo, come nel caso del quesito posto, anche uno
specifico ufficio/servizio di supporto al RUP (anche, magari
con funzioni di verifica formale della documentazione
amministrativa delle gara e successiva verifica
sostanziale).
Ciò che appare precluso alla stazione appaltante è la
possibilità di scindere le funzioni del RUP, proprio perché
responsabile unico della procedura (in questo senso, a
titolo esemplificativo, il Governo ha impugnato la legge
regionale della Sardegna in tema di appalti n. 8/2018 –e
segnatamente alcuni commi dell’articolo 34– proprio per la
previsione di due RUP guidati da un “responsabile di
progetto”).
Pertanto, al netto di quanto evidenziato, l’ipotesi è
praticabile ma si ritiene che il RUP non dirigente, ma solo
funzionario non responsabile del servizio, non possa
nominare gli specifici responsabili di procedimento ai sensi
della legge 241/1990.
Questa prerogativa, oltre a non essere prevista né
nell’articolo 31 né nelle linee guida ANAC n. 3, viene
esclusa più o meno implicitamente dalla legge 241/1990 ed in
particolare dall’articolo 5.
L’articolo citato al primo comma prevede che “il
dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad
assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la
responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento
inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente,
dell’adozione del provvedimento finale”.
Il secondo comma –quale disposizione di chiusura– chiarisce
che “fino a quando non sia effettuata l’assegnazione” del
procedimento “è considerato responsabile del singolo
procedimento il funzionario preposto alla unità
organizzativa (…)” .
Si ritiene quindi che la dinamica RUP/collaboratori debba
essere “disciplinata” nell’ordine di servizio di
assegnazione delle funzioni (il dott. ... potrà disporre
dell’ausilio/collaborazione delle persone …..) – in sostanza
con una individuazione dei responsbaili di procedimento a
monte, in modo che in presenza di necessità il RUP non debba
sempre chiedere l’intermediazione/intervento del
dirigente/responsabile del servizio (05.06.2019 - tratto da
e link a www.publika.it). |
maggio 2019 |
 |
APPALTI: La
deroga alla rotazione nei micro acquisti dopo la legge di
bilancio.
Domanda
Le linee guida n. 4 dell’autorità anticorruzione consentono
di derogare al principio di rotazione – con sintetica
motivazione – nel caso di acquisti di importo inferiore ai
mille euro. Acquisti che possono essere effettuati senza
obbligo di ricorrere al mercato elettronico.
La nuova legge di bilancio prevede la possibilità di
acquisti fuori mercato entro i 5 mila euro: si deve ritenere
che anche in questo caso sia possibile derogare al principio
di rotazione?
Risposta
La legge di bilancio (n. 145/2018) con il comma 130, art. 1,
introduce un importante adeguamento al comma 450, art. 1,
della legge 296/2006 (comma capitale in tema di spending
review) modificando la soglia –da somme inferiori ai mille
euro a somme inferiori a 5mila euro– , per cui è consentito
al RUP di procedere con l’acquisizione della commessa senza
necessità di ricorrere al mercato elettronico.
E’ bene annotare che il RUP ha una mera facoltà di non agire
attraverso il mercato elettronico ma, evidentemente, bene
sarebbe –salvo situazioni estreme di urgenza oggettiva–
sempre effettuare una escussione delle vetrine per
verificare la presenza del prodotto.
Come evidenziato nel quesito, in relazione alla pregressa “micro”
soglia dei mille euro, le linee guida n. 4 consentivano una
deroga al criterio della rotazione con una sintetica
motivazione.
Secondo l’autorità anticorruzione, è chiaro che esasperare
il formalismo della rotazione anche per micro acquisizioni
potrebbe avere un effetto deleterio rispetto ad esigenze di
tempestività dell’acquisizione.
La stessa ANAC, con lo schema di linee guida di recente
trasmesso al Consiglio di Stato, rileva la necessità di
chiarire se anche in relazione ad importi fino ai 5mila euro
il RUP possa o meno derogare al criterio dell’alternanza tra
imprese consentendo il riaffido al pregresso affidatario e/o
invitare al procedimento (qualora si volesse effettuare una
competizione tra diversi preventivi) anche soggetti già
invitati.
Se l’ANAC non fornisce una risposta sulla questione, occorre
invece registrare –in tema– l’importante parere del
Consiglio di Stato n. 1312/2019 reso proprio sullo schema di
cui si è appena detto.
Proprio in relazione alla questione specifica –deroga alla
rotazione nell’ambito dei 5mila euro– il Collegio
testualmente puntualizza di condividere “l’innalzamento
della soglia entro la quale è possibile, con scelta
motivata, derogare al principio di rotazione”.
Pertanto, nell’ambito anche dei 5mila euro la rotazione può
subire delle deroghe. Ora è chiaro che il RUP dovrà evitare
artificiosi frazionamenti negli acquisti e, si deve ritenere
secondo una prassi corretta, che la deroga potrebbe essere
motivata nel limite massimo di un riaffido (già un secondo
riaffido, salvo che si tratti di importi realmente esigui –es. 1.500 ciascuno–) esige una motivazione sicuramente più
accurata.
A titolo esemplificativo, si può ritenere –sotto il profilo
pratico– che il secondo riaffido, e nel terzo, potrebbe
essere effettuato confrontando comunque i prezzi del mercato
elettronico.
In ogni caso, la deroga deve avere una motivazione da
inserire nella determinazione a contrattare (29.05.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
LAVORI PUBBLICI: Legittimo
il contributo a fondo perduto per un'opera pubblica d'interesse
sovracomunale.
Al Comune è consentito erogare un finanziamento a fondo perduto a favore di
un altro ente, per la realizzazione di un'opera pubblica concertata in
ambito metropolitano e funzionale al conseguimento di un interesse pubblico
per la comunità locale.
Questo il principio affermato dalla Corte dei Conti,
Sezione di controllo per il Veneto, con il
parere 23.05.2019 n. 135, che
chiarisce entro quali limiti il potere decisionale del Comune possa disporre
l'impiego di risorse a favore del territorio, nel delicato frangente in cui
un contributo sia destinato al sostegno di un'iniziativa che dovrebbe andare
a beneficio non esclusivo della collettività di riferimento.
Il caso
Nel caso di specie, si trattava di un'opera finalizzata alla viabilità
stradale d'interesse sovracomunale, da realizzarsi in seguito a un accordo
tra enti assunto in sede di una conferenza metropolitana.
La conferenza si configura quale organo della città metropolitana –ente
territoriale entrato in vigore il 01.01.2015, per effetto della legge
56/2014– e si colloca nel solco delle convenzioni disciplinate
dall'articolo 30 del Tuel, dando luogo a una forma di partenariato di «tipo
debole», ossia non destinato a costituire un soggetto con veste giuridica
autonoma rispetto a quella dei soggetti contraenti.
In questo contesto, un Comune ha interpellato la Sezione di controllo per
sapere se l'ente possa erogare un contributo finalizzato a un intervento
sulla rete stradale che insiste sul territorio di più enti, senza che
l'attribuzione di risorse possa equivalere a un depauperamento del
patrimonio comunale, in ragione del fatto che il contributo dovrebbe andare
a beneficio non esclusivo della collettività di riferimento, ma anche di
quella insediata presso un differente territorio.
La decisione
La Sezione ha osservato preliminarmente che, secondo l'articolo 13 del Tuel,
il Comune esercita tutte le funzioni amministrative che riguardano la
popolazione e il territorio comunale, in particolare nei settori organici
dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto e utilizzazione del
territorio e dello sviluppo economico.
I giudici hanno rilevato che, sotto il profilo specifico inerente alla
gestione della rete stradale (articolo 14 del Dlgs 285/1992 - codice della
strada) il Comune è chiamato, quale ente proprietario delle strade, a
provvedere alla loro manutenzione e gestione, al fine di garantire la
sicurezza e la fluidità della circolazione sul territorio.
Accertata la
competenza dell'ente locale in materia di interventi a sostegno della
viabilità stradale, il collegio ha affermato, in linea di principio, che «se
l'azione è intrapresa al fine di soddisfare esigenze della collettività
rientranti nelle finalità perseguite dal Comune, l'erogazione di un
finanziamento non può equivalere a un depauperamento del patrimonio
comunale, in considerazione dell'utilità che l'ente o la collettività
ricevono dallo svolgimento del servizio pubblico o di interesse pubblico,
effettuato dal soggetto che riceve il contributo».
La Sezione si è spinta ad asserire che la natura pubblica o privata del
soggetto che riceve l'attribuzione patrimoniale è indifferente, se il
criterio di orientamento è quello della necessità che l'attribuzione
persegua i fini dell'ente pubblico, fermo restando che nel caso di ricorso a
soggetti privati l'amministrazione dovrà aver cura di individuare il
beneficiario secondo i principi di parità di trattamento e non
discriminazione che devono caratterizzare l'azione amministrativa, evitando
l'attribuzione di vantaggi ingiustificati a soggetti terzi.
Per quanto riguarda il tema dell'erogazione di risorse a beneficio non
esclusivo del territorio locale, i giudici hanno delimitato il potere
decisionale dell'ente affermando che una scelta può ritenersi legittima «se
e nella misura in cui l'impegno finanziario del Comune contributore sia
proporzionato al beneficio che ne trae la propria collettività di
riferimento».
La questione viene pertanto rimessa alle valutazioni discrezionali del
Comune, quale ente esponenziale della collettività insediata sul territorio,
ma con l'importante precisazione che non è preclusa, in linea di principio,
l'erogazione di risorse nel quadro sopra descritto
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 01.07.2019).
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In merito alla possibilità di erogare ad un altro Comune, in base ad una
convenzione che disciplini i reciproci rapporti, un contributo a fondo
perduto finalizzato alla realizzazione di un'opera pubblica, rilevante per
il conseguimento, da parte del Comune richiedente, di un interesse pubblico
per la comunità.
La giurisprudenza contabile ha avuto modo di elaborare
da tempo il principio generale per il quale, se l’azione è intrapresa al fine di soddisfare esigenze della
collettività rientranti nelle finalità perseguite dal Comune, l’erogazione
di un finanziamento non può equivalere ad un depauperamento del patrimonio
comunale, in considerazione dell’utilità che l’ente o la collettività
ricevono dallo svolgimento del servizio pubblico o di interesse pubblico,
effettuato dal soggetto che riceve il contributo.
In particolare, è stato evidenziato che: “all’interno dell’ordinamento
generale o nella disciplina di settore degli enti territoriali non esiste
alcuna norma che ponga uno specifico divieto. Infatti, se l’azione è
intrapresa al fine di soddisfare esigenze della collettività rientranti
nelle finalità perseguite dal Comune l’attribuzione di beni, anche se
apparentemente a “fondo perso”, non può equivalere ad un depauperamento del
patrimonio comunale, in considerazione dell’utilità che l’ente o la
collettività ricevono dallo svolgimento del servizio pubblico o di interesse
pubblico effettuato dal soggetto che riceve il contributo”
.
Dunque, sotto tale profilo “il baricentro dell’attenzione circa il
corretto impiego delle risorse pubbliche si è ormai attestato in
correlazione con l’effettiva realizzazione di un interesse pubblico
(riferibile all’ente interessato) a prescindere dal formale soggetto
destinatario in via diretta dell’attribuzione patrimoniale”
.
In ordine alla qualificazione soggettiva del percettore del contributo
comunale, o comunque del beneficiario dell’intervento del Comune, la
giurisprudenza consultiva della Corte dei conti ha precisato che
la natura
pubblica o privata del soggetto che riceve l’attribuzione patrimoniale è
indifferente, se il criterio di orientamento è quello della necessità che
l’attribuzione avvenga allo scopo di perseguire i fini dell’ente pubblico;
chiarendo peraltro che ogniqualvolta l’Amministrazione ricorra a soggetti
privati per raggiungere i propri fini (e, conseguentemente, riconosca loro
benefici di natura patrimoniale) le cautele debbono essere maggiori,
rispetto ai casi in cui vengano in rilievo enti pubblici, anche al fine di
garantire l’applicazione dei principi di parità di trattamento e di non
discriminazione che debbono caratterizzare l’attività amministrativa.
Va infatti considerato, inoltre, che qualunque genere di intervento economico
dell’amministrazione comunale, per potersi qualificare in termini di
legittimità della sottostante azione, deve necessariamente sottendere alla
realizzazione di un significativo interesse proprio della comunità stanziata
sul territorio, posto che il Comune è l'ente locale che rappresenta e cura
gli interessi della propria comunità.
---------------
Il Sindaco del Comune di Albignasego (PD), premettendo che il Comune intende
dare attuazione alle previsioni contenute nel Piano di assetto del
territorio intercomunale (PATI), che prevedono la realizzazione di una
viabilità d’interesse sovracomunale, ha richiesto a questa Sezione un parere
in merito alla possibilità di erogare ad un altro Comune, in base ad una
convenzione che disciplini i reciproci rapporti, un contributo a fondo
perduto finalizzato alla realizzazione di un'opera pubblica, rilevante per
il conseguimento, da parte del Comune richiedente, di un interesse pubblico
per la comunità.
...
II. Il quesito formulato attiene sotto un aspetto generale alla tematica
della possibile destinazione di fondi comunali ad interventi relativi a beni
di proprietà di un soggetto giuridico diverso.
Occorre tuttavia affrontare alcune questioni preliminari al fine di
inquadrare la fattispecie specifica, relativa ad un intervento su rete
stradale all’interno degli enti della cosiddetta “comunità metropolitana
di Padova”.
Va innanzitutto premesso che il Comune, secondo l’art. 13 del TUEL, esercita
tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il
territorio comunale, in particolare nei settori organici dei servizi alla
persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e
dello sviluppo economico.
Sotto il profilo inerente alla gestione della rete stradale, ai sensi
dell’art. 14 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285 (Codice della
strada) il Comune è chiamato, quale ente proprietario delle strade, a
provvedere alla loro manutenzione, gestione e pulizia, comprese le loro
pertinenze e arredo, nonché attrezzature, impianti e servizi al fine di
garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione.
La suddetta regola
del resto è altresì contenuta nell’art. 39 della legge 20.03.1865 n. 2248
(Legge sulle opere pubbliche) – allegato F, che pone infatti a carico dei
comuni gli oneri di “costruzione, sistemazione e mantenimento” delle strade
comunali così come specularmente l’art. 37 pone a carico delle province i
medesimi oneri relativi alle strade provinciali.
Richiamata per sommi capi la normativa, necessario all’analisi del caso
concreto risulta l’inquadramento della cornice giuridica entro cui il Comune
intende realizzare lo spostamento patrimoniale di cui trattasi.
Va dunque necessariamente premesso che il 31.05.2003, in seguito all’accordo
tra fra la Provincia di Padova e i Comuni di Abano Terme, Cadoneghe,
Casalserugo, Limena, Maserà di Padova, Noventa Padovana, Padova, Ponte San
Nicolò, Rubano, Saonara, Selvazzano Dentro, Vigodarzere, Vigonza,
Villafranca Padovana, si è costituita la Conferenza metropolitana di Padova
(deliberazione n. 37 del 25.03.2003 del Consiglio comunale di Padova), con
la volontà di sviluppare iniziative concertate in ambito metropolitano nelle
varie sfere di attribuzione degli Enti locali al fine di coordinare azioni
ed interventi ed ottimizzare le risorse. Il Comune Albignasego ha aderito
alla Conferenza il 18.03.2005, come risulta dall’integrazione per adesione
all’accordo di costituzione della Conferenza pubblicato sul portale internet
della Conferenza.
In tale contesto, il PATI rappresenta lo strumento di pianificazione
strutturale del territorio della “comunità metropolitana di Padova”
(che comprende gli enti aderenti alla Conferenza metropolitana di cui sopra)
redatto alla luce delle disposizioni normative contenute nella nuova legge
urbanistica regionale n. 11 del 23.04.2004. Il relativo Documento
preliminare è stato approvato dalle Giunte comunali della comunità
metropolitana e dalla Giunta provinciale, e l'Accordo di pianificazione
sottoscritto in data 23.01.2006, poi integrato in data 21.07.2008 con
l'adesione del Comune di Abano Terme.
Il Comune di Albignasego asserisce di voler stipulare, nell’ambito definito
dal PATI, una convenzione con il Comune capoluogo.
Appare qui implicito il richiamo alle convenzioni di cui all’art. 30 del
TUEL, che costituiscono un’ipotesi speciale di accordi tra Pubbliche
amministrazioni, istituto di carattere generale contemplato dall’art. 15
legge 07.08.1990, n. 241. Esse realizzano una forma di partenariato
cosiddetta di tipo debole che, diversamente dal partenariato di tipo forte,
non si concretizza nella costituzione di un soggetto fornito di una veste
giuridicamente autonoma rispetto a quella dei soggetti contraenti.
Le convenzioni ex art. 30 TUEL sono pertanto
riconducibili a contratti di
diritto pubblico, che istituiscono una forma di cooperazione tra gli enti
locali per l’esercizio di funzioni amministrative comuni. Lo strumento, già
di per sé pienamente legittimo per regolare i rapporti reciproci tra enti
locali in ordine ad azioni di interesse comune, si inserisce peraltro in una
cornice precostituita, rappresentata dal PATI, che dovrebbe garantire
possibilità di ponderazione di costi e benefici nell’interno di un quadro di
interventi coordinato e concordato nell’ambito dello stesso territorio.
Peraltro, afferendo all’esercizio di funzioni amministrative fondamentali
degli Enti Locali, le convenzioni ex art. 30 TUEL non rientrano nell’ambito
di applicazione del diritto dell’Unione in materia di contratti pubblici, in
quanto non lesive del principio di concorrenza (Corte Giustizia U.E., Grande
Sezione, 19.12.2012, in C-159/11 Azienda Sanitaria di Lecce, dove si afferma
che “le norme del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici non
sono applicabili ai contratti che istituiscono una cooperazione tra enti
pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio
pubblico comune a condizione che tali contratti siano stipulati
esclusivamente tra enti pubblici, senza la partecipazione di una parte
privata, che nessun prestatore privato sia posto in una situazione
privilegiata rispetto ai suoi concorrenti, e che la cooperazione da essi
istituita sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al
perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico” e che “il diritto
dell’Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale
che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante
il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel
caso in cui […] tale contratto non abbia il fine di garantire l’adempimento
di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia
retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di
obiettivi d’interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore
privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti”).
In relazione a tale profilo si deve quindi rimarcare l’opportunità di
valorizzazione dello strumento convenzionale, per definire con precisione le
reciproche obbligazioni, al fine di evitare il rischio che l’ente si ritrovi
esposto a situazioni non programmate.
III. Inquadrata così la fattispecie, si tratta di stabilire se sia possibile
lo spostamento patrimoniale da un ente all’altro per finalità d’interesse
della collettività dei cui interessi l’ente contributore è rappresentativo,
ma per interventi da realizzarsi entro l’ambito di competenza dell’ente
sovvenzionato.
La giurisprudenza contabile,
nell’esercizio della propria funzione consultiva, ha avuto
modo di elaborare da tempo il principio generale per il quale, se l’azione è intrapresa al fine di soddisfare esigenze della
collettività rientranti nelle finalità perseguite dal Comune, l’erogazione
di un finanziamento non può equivalere ad un depauperamento del patrimonio
comunale, in considerazione dell’utilità che l’ente o la collettività
ricevono dallo svolgimento del servizio pubblico o di interesse pubblico,
effettuato dal soggetto che riceve il contributo (Sezione regionale di
controllo per la Lombardia,
parere 31.05.2012 n. 262,
parere 17.10.2014 n. 262 e
parere 11.09.2015 n. 279, Sezione regionale di controllo per il Piemonte
parere 24.03.2016 n. 29).
In particolare, è stato evidenziato che: “all’interno dell’ordinamento
generale o nella disciplina di settore degli enti territoriali non esiste
alcuna norma che ponga uno specifico divieto. Infatti, se l’azione è
intrapresa al fine di soddisfare esigenze della collettività rientranti
nelle finalità perseguite dal Comune l’attribuzione di beni, anche se
apparentemente a “fondo perso”, non può equivalere ad un depauperamento del
patrimonio comunale, in considerazione dell’utilità che l’ente o la
collettività ricevono dallo svolgimento del servizio pubblico o di interesse
pubblico effettuato dal soggetto che riceve il contributo”
(parere
31.05.2012 n. 262 cit.).
Dunque, sotto tale profilo “il baricentro dell’attenzione circa il
corretto impiego delle risorse pubbliche si è ormai attestato in
correlazione con l’effettiva realizzazione di un interesse pubblico
(riferibile all’ente interessato) a prescindere dal formale soggetto
destinatario in via diretta dell’attribuzione patrimoniale” (parere
24.03.2016 n. 29 cit.).
In ordine alla qualificazione soggettiva del percettore del contributo
comunale, o comunque del beneficiario dell’intervento del Comune, la
giurisprudenza consultiva della Corte dei conti ha precisato che
la natura
pubblica o privata del soggetto che riceve l’attribuzione patrimoniale è
indifferente, se il criterio di orientamento è quello della necessità che
l’attribuzione avvenga allo scopo di perseguire i fini dell’ente pubblico;
chiarendo peraltro che ogniqualvolta l’Amministrazione ricorra a soggetti
privati per raggiungere i propri fini (e, conseguentemente, riconosca loro
benefici di natura patrimoniale) le cautele debbono essere maggiori,
rispetto ai casi in cui vengano in rilievo enti pubblici, anche al fine di
garantire l’applicazione dei principi di parità di trattamento e di non
discriminazione che debbono caratterizzare l’attività amministrativa (parere
11.09.2015 n. 279 cit.).
La peculiarità della fattispecie conduce ad analizzare un ulteriore profilo.
Va infatti considerato che qualunque genere di intervento economico
dell’amministrazione comunale, per potersi qualificare in termini di
legittimità della sottostante azione, deve necessariamente sottendere alla
realizzazione di un significativo interesse proprio della comunità stanziata
sul territorio, posto che il Comune è l'ente locale che rappresenta e cura
gli interessi della propria comunità (parere
24.03.2016 n. 29 cit.).
Nel caso specifico, infatti, il contributo dovrebbe andare a beneficio non
esclusivo della collettività di riferimento dell’ente erogatore, ma anche di
quella insediata presso un differente territorio. In sostanza, una parte
delle risorse a disposizione dell’ente andrebbe a beneficio di una
collettività i cui interessi non sono rappresentati dall’ente. Ciò è
legittimo se e nella misura in cui l’impegno finanziario del Comune
contributore sia proporzionato al beneficio che ne trae la propria
collettività di riferimento.
Se è corretta la valutazione fatta propria dall’Amministrazione richiedente
il parere, riportata in fatto (vale a dire che a godere dei maggiori
benefici dell’intervento sarebbe il Comune di Albignasego) la vicenda
realizza da un punto di vista economico una negoziazione di esternalità
positive, poiché l’ente che dovrebbe investire nella viabilità genererebbe
così facendo un vantaggio per l’ente limitrofo e dunque convenientemente
quest’ultimo, tramite lo strumento convenzionale, provvede allora ad
accollarsi il relativo onere, cosa che consente la realizzazione
dell’intervento ritenuto altrimenti non sufficientemente vantaggioso dal
Comune proprietario del tratto.
Spetterà al Comune valutare che l’esposizione finanziaria aggiuntiva sia
proporzionata all’effettivo beneficio della collettività del cui interesse
esso è esponenziale, affinché l’operazione non si concretizzi in un
depauperamento del patrimonio dell’ente, che sarà da ritenersi tale solo in
quanto non bilanciato dal relativo beneficio atteso (parere
11.09.2015 n. 279 cit.
afferma l’esistenza di un “principio generale per cui l’attribuzione
patrimoniale è da considerarsi lecita solo se finalizzata allo svolgimento
di servizi pubblici o, comunque, di interesse per la collettività insediata
sul territorio sul quale insiste il Comune” chiarendo che “in ogni
caso, l’eventuale attribuzione dovrà essere conforme al principio di
congruità della spesa mediante una valutazione comparativa degli interessi
complessivi dell’ente locale”).
Entro il sopra delineato quadro complessivo l’Amministrazione comunale dovrà
pertanto procedere ad effettuare le valutazioni discrezionali di propria
spettanza quale ente esponenziale della collettività insediata sul
territorio. |
APPALTI: I
controlli semplificati nel nuovo Decreto cd “blocca
Cantieri”.
Domanda
La disciplina semplificata sui controlli prevista dal
decreto c.d. “Sblocca Cantieri” per le procedure
effettuate sui mercati elettronici è applicabile a tutte le
piattaforme?
Risposta
I nuovi commi 6-bis e 6-ter del d.lgs. 50/2016 cambiano la
disciplina dei controlli sui requisiti di carattere generale
ex art. 80 del codice nei mercati elettronici. In
particolare il comma 6-bis recita “Ai fini
dell’ammissione e della permanenza degli operatori economici
nei mercati elettronici di cui al comma 6, il soggetto
responsabile dell’ammissione verifica l’assenza dei motivi
di esclusione di cui all’articolo 80 su un campione
significativo di operatori economici. Dalla data di entrata
in vigore del decreto di cui all’articolo 81, comma 2, tale
verifica sarà effettuata attraverso la Banca dati nazionale
degli operatori economici di cui all’articolo 81, anche
mediante interoperabilità fra sistemi. I soggetti
responsabili dell’ammissione possono consentire l’accesso ai
propri sistemi agli operatori economici per la consultazione
dei dati, certificati e informazioni disponibili mediante la
banca dati di cui all’articolo 81 per la predisposizione
della domanda di ammissione e di permanenza ai mercati
elettronici”, mentre il comma 6-ter “Nelle procedure
di affidamento effettuate nell’ambito dei mercati
elettronici di cui al comma 6, la stazione appaltante
verifica esclusivamente il possesso da parte
dell’aggiudicatario dei requisiti economici e finanziari e
tecnico professionali”.
Con questa nuova formulazione il legislatore ha inteso
realizzare un’effettiva semplificazione nelle procedure di
affidamento tramite i mercati elettronici, ponendo infatti
in capo al gestore della piattaforma il compito di
effettuare a campione i controlli sugli operatori economici
(ai fini dell’ammissione e della permanenza al mercato
elettronico), circa il possesso dei requisiti generali ex
art. 80 del codice, lasciando alla Stazione Appaltante
l’onere di effettuare le verifiche sull’aggiudicatario dei
requisiti economico-finanziari o tecnico-professionali
eventualmente richiesti.
Nel caso di utilizzo del MePa, quale sistema che consente di
gestire affidamenti diretti e procedure negoziate ex artt.
36 e 63 del codice, basato su bandi di abilitazione,
rispetto ai quali i soggetti interessati richiedono di
essere qualificati, previa dichiarazione circa il possesso
degli specifici requisiti richiesti, la novella legislativa
è sicuramente applicabile, realizzandosi dunque quella
semplificazione in termini di economicità stessa del
procedimento, tanto richiesta dagli operatori di settore, e
senza il limite dei 40.000 euro come in precedenza previsto.
Per quanto riguarda le altre piattaforme telematiche, il
funzionario deve verificare se lo strumento elettronico
presenta una struttura analoga a quella del MePa, ovvero
basata sulla prequalificazione degli operatori. Nel caso ad
esempio della piattaforma Sintel, sistema che consente di
gestire anche procedure ordinarie, al momento, per la
registrazione e la qualificazione per i diversi acquirenti
pubblici, non è obbligatorio per gli operatori economici
presentare alcuna dichiarazione in ordine al possesso dei
requisiti.
In questi casi, pertanto, dove le procedure telematiche non
presentano un bando di abilitazione o albo fornitori vero e
proprio, o nel caso di procedure aperte, diventa difficile
poter sostenere che l’art. 36, comma 6-bis sia applicabile,
rimanendo in capo alla Stazione Appaltante l’onere di
verificare anche il possesso dei requisiti di cui all’art.
80 del codice (22.05.2019 - tratto da e link a
www.publika.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La
responsabilità nell'appalto - Rassegna di giurisprudenza
(ANCE, 20.05.2019).
---------------
Al riguardo si legga:
●
La responsabilità nell’appalto: il punto sulla
giurisprudenza. Dall'Ance la rassegna di giurisprudenza
aggiornata al 20.05.2019 (29.05.2019 -
link a www.casaeclima.com). |
APPALTI: Utilizzabilità
esclusione automatica offerte anomale.
Domanda
Dal 19.04.2019 la possibilità di escludere “automaticamente” in
ambito sotto soglia comunitario risulta non più “libera” (decisa a
discrezione della stazione appaltante) ma condizionata all’aspetto
dell’interesse “transfrontaliero” dell’appalto.
E’ possibile avere un primo chiarimento sulla dinamica applicativa delle
nuove disposizioni?
Risposta
Il nuovo decreto-legge n. 32/2019 (c.d. Sblocca Cantieri), come noto,
introduce –secondo il legislatore– alcune semplificazioni in tema di
procedimento d’appalto in attesa di una riforma organica (con un nuovo
regolamento attuativo).
Tra queste, limitandosi a quanto esposto nel quesito, l’articolo 1, comma 1,
lettera t), punto 4 del decreto legge –in vigore dal 19 aprile– introduce
una condizione nuova quale pregiudiziale per poter operare –nel solo ambito
sotto soglia comunitario e nel caso in cui il criterio sia quello del minor
prezzo– l’esclusione automatica delle offerte anomale.
La nuova norma –comma 8 dell’articolo 97 del codice dei contratti– precisa
che “Per lavori, servizi e forniture, quando il criterio di
aggiudicazione è quello del prezzo più basso e comunque per importi
inferiori alle soglie di cui all’articolo 35, e che non presentano carattere
transfrontaliero, la stazione appaltante prevede nel bando l’esclusione
automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di
ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del
comma 2 e commi 2-bis e 2-ter. Comunque l’esclusione automatica non opera
quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci”.
Ferme restando le condizioni legittimanti della prerogativa (si deve
trattare di appalti entro la soglia di cui all’articolo 35 del codice, con
specifica previsione nel bando di gara, aggiudicazione con il criterio del
minor prezzo, almeno 10 imprese ammesse alla procedura, anomalia ai sensi
dei nuovi commi dell’articolo 97 del codice dei contratti), l’applicazione
non è più discrezionale ma occorre certificare già in fase di determinazione
a contrattare (e negli atti di gara), a cura del RUP, che l’appalto non
riveste alcun interesse sovranazionale.
Sulla questione è, in tempi recentissimi, intervenuto il Consiglio di Stato
(con il parere 1312/2019 espresso sul nuovo schema di linee guida n. 4
trasmesso dall’ANAC).
L’autorità anticorruzione ha infatti rilevato la particolarità del nostro
Paese in cui si prevede(va) l’esclusione automatica a prescindere dal
riferimento all’interesse comunitario. Il pregresso comma 8 dell’articolo 97
non conteneva in effetti nessun riferimento all’interesse transfrontaliero.
Ed il Consiglio di Stato, nel parere, effettivamente rammenta che in via
generale le direttive comunitarie in tema di appalti si applicano soltanto
ai contratti il cui valore supera la soglia prevista espressamente nelle
direttive stesse (Corte di Giustizia, ordinanza 03.12.2001, causa C-59/00,
Vestergaard).
Pertanto, almeno teoricamente gli Stati membri non sono tenuti a rispettare
le disposizioni contenute nelle direttive per gli appalti il cui valore non
raggiunge la soglia fissata da queste ultime (v., in tal senso, Corte di
Giustizia, sentenza 21.02.2008, causa C-412/04, punto 65).
Ma ciò, anche sulla base di indicazioni comunitarie, non significa che
appalti di importo contenuto (sotto soglia) sia ex se “esclusi
dall’ambito di applicazione del diritto comunitario (ancora Corte di
Giustizia, ordinanza 03.12.2001, causa C-59/00, punto 19)”.
Le stazioni appaltanti, in ogni caso (anche in appalti sotto la soglia
comunitaria) –conformemente alla giurisprudenza costante della Corte di
Giustizia-, risultano “tenute a rispettare le norme fondamentali e i
principi generali del Trattato FUE e, in particolare, il principio di parità
di trattamento e il principio di non discriminazione in base alla
nazionalità (Corte di Giustizia, ordinanza 03.12.2001, causa C-59/00, punti
20 e 21; Corte di Giustizia, sentenza 20.10.2005, causa C-264/03, punto 32;
Corte di Giustizia, 14.06.2007, causa C-6/05, punto 33) nonché l’obbligo di
trasparenza che ne deriva” e quindi, verificare se l’interesse
sovranazionale potenzialmente esista o meno.
Il Consiglio di Stato –sempre grazie alle indicazioni della Corte di
Giustizia– rileva che il dato indicatore, per chiarire se esista o meno un
interesse transfrontaliero, del valore dell’appalto non assurge ad unico
riferimento occorre infatti considerare tale importo –soprattutto se di una
certa consistenza– “in combinazione con il luogo di esecuzione dei lavori
o, ancora, nelle caratteristiche tecniche dell’appalto e nelle
caratteristiche specifiche dei prodotti in causa. A tal riguardo, si può
altresì tenere conto dell’esistenza di denunce presentate da operatori
ubicati in altri Stati membri, purché sia accertato che queste ultime sono
reali e non fittizie” (Corte di Giustizia, 06.10.2016, n. 318)”.
Dalla giurisprudenza (Cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I-bis, ordinanza n.
4562/2018) emerge, infatti, che l’obbligo di tale verifica (se esista o meno
interesse transfrontaliero) deve ritenersi esclusa solo nel caso in cui
l’appalto ha una base d’asta sopra la soglia comunitaria e le direttive (e
quindi il codice dei contratti) si applicano integralmente.
In caso di appalti sottosoglia, per cui non insistono indicazioni precise,
sulla base di quanto sopra riportatato sarà compito del RUP –nel caso ci si
avvalga delle prerogativa dell’esclusione automatica– giustificare la
carenza di tale interesse, vuoi perché si tratta di interventi locali (e
localizzati) es. per lavori o servizi, o forniture di tipo standardizzato e
similari, sempre tenendo a mente l’importo a base d’asta (che dovrà
risultare comunque contenuto) (15.05.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
OGGETTO: requisiti generali di cui all’art. 80 del d.lgs.
50/2016 – permanenza in fase esecutiva – condanna non
definitiva per il reato di corruzione – rilevanza ai sensi
dell’art. 80, comma 5, lett. c) – parere (Legali
Associati per Celva,
nota 13.05.2019 - tratto da www.celva.it). |
APPALTI: Criteri
di aggiudicazione nel nuovo Decreto cd Sblocca Cantieri.
Domanda
Il decreto c.d. “Sblocca Cantieri” ha previsto il criterio del prezzo
più basso come regola rispetto a quella dell’offerta economicamente più
vantaggiosa. Come cambia la scelta dei criteri di aggiudicazione nel sotto
soglia?
Risposta
Il decreto-legge 32 del 18.04.2019 entrato in vigore il giorno successivo,
ha interessato numerosi istituti e articoli del codice, ed in particolare
con riferimento al quesito in premessa l’art. 36, con l’introduzione del
comma 9-bis, e l’art. 97, con la modifica al comma 8. Il co. 9-bis recita “Fatto
salvo quanto previsto all’articolo 95, comma 3, le stazioni appaltanti
procedono all’aggiudicazione dei contratti di cui al presente articolo sulla
base del criterio del minor prezzo ovvero, previa motivazione, sulla base
del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”, mentre il
nuovo comma 8 dell’art. 97 “Per lavori, servizi e forniture, quando il
criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso e comunque per
importi inferiori [alle soglie di cui all’articolo 35, la stazione
appaltante può prevedere] alle soglie di cui all’articolo 35, e che non
presentano carattere transfrontaliero, la stazione appaltante prevede nel
bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una
percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata
ai sensi del comma 2 e commi 2-bis e 2-ter. [In tal caso non si applicano i
commi 4, 5 e 6. Comunque la facoltà di esclusione automatica non è
esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci].
Comunque l’esclusione automatica non opera quando il numero delle offerte
ammesse è inferiore a dieci”. Disposizioni che vanno coordinate con
l’art. 95, cc. 3 e 4, del codice.
Da una prima lettura a caldo delle sopra citate disposizioni è possibile
ritenere che:
• Per le procedure infra 40.000, indipendentemente dalla natura
delle prestazioni (servizi sociali, ristorazione, alta intensità di
manodopera, servizi di ingegneria, ecc.), si applica il criterio del minor
prezzo.
• Per le procedure di importo pari o superiore a 40.000 euro e
inferiore alla soglia comunitaria il criterio ordinario diventa quello del
minor prezzo, con esclusione:
– dei servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e
scolastica, servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti dall’art.
50, co. 1 del codice (art. 95, co. 3, lett. a) aggiudicati esclusivamente
sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa);
– dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura
tecnica e intellettuale (art. 95, co. 3, lett. b) aggiudicati esclusivamente
sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa);
– dei servizi e forniture caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o
che hanno un carattere innovativo (art. 95, co. 3, lett. b-bis) aggiudicati
esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa).
• Per le procedure sotto-soglia comunitaria diverse da quelle
elencate all’art. 95, co. 3, del codice, e comunque per le procedure infra
40.000 euro, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, è
possibile solo previa motivazione nella determinazione a contrattare;
• Il criterio del minor prezzo può essere comunque utilizzato per
servizi e forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni
sono definite dal mercato (art. 95, co. 4, lett. b).
• Per le procedure sotto-soglia comunitaria che non presentano
carattere transfrontaliero (manca la definizione di interesse
transfrontaliero) di lavori, servizi e forniture con il criterio del prezzo
più basso l’inserimento della clausola di l’esclusione automatica
dell’offerta diventa obbligatoria. L’esclusione automatica non opera quando
il numero delle offerte ammesse è inferiore a 10.
Di rilievo anche la modifica al comma 10-bis dell’art. 95, dove viene
eliminato il tetto massimo per il punteggio economico in origine fissato in
30 punti su 100 (08.05.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI: Decreto
Sblocca-cantieri: soppresso il rito super accelerato - Una norma
del DL n. 32/2019 modifica l'art. 120 del Codice del processo amministrativo
che disciplina il rito applicabile ai giudizi inerenti alle procedure di
affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture
(03.05.2019 - link a www.casaeclima.com). |
aprile 2019 |
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APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Modifiche
al Codice Appalti con lo Sblocca-cantieri: l'analisi di Confindustria.
Secondo Confindustria alcune modifiche sono positive, altre sono
condivisibili ma potrebbero essere ulteriormente rafforzate, altre invece
sono negative
(30.04.2019 - link a www.casaeclima.com). |
APPALTI - TRIBUTI: Compensazione
fra debiti per prestazioni rese a favore del comune e crediti tributari.
Domanda
Il mio ufficio ragioneria deve pagare la fattura di una ditta fornitrice per
una prestazione resa a favore del comune. La ditta, tuttavia, è destinataria
di un avviso di accertamento IMU già notificato dall’ufficio tributi e
divenuto definitivo, ad oggi ancora impagato.
E’ possibile procedere alla loro compensazione?
Risposta
Il quesito del lettore propone un caso non certo infrequente per gli enti
locali, in cui il comune si trova ad essere contemporaneamente debitore e
creditore verso il medesimo soggetto. Come noto gli uffici ragioneria, prima
di procedere all’emissione dei mandati di pagamento di importo superiore a
cinquemila euro già devono procedere alle verifiche previste dall’art.
48-bis del dPR 602/1973.
Quest’ultimo infatti stabilisce che le amministrazioni pubbliche di cui all’
articolo 1, comma 2, del dlgs. 30.03.2001, n. 165, e le società a prevalente
partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il
pagamento di un importo superiore a cinquemila euro, verifichino, anche in
via telematica, se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento
derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare
complessivo pari almeno a tale importo. In caso affermativo, non procedono
al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione
competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di
riscossione delle somme iscritte a ruolo.
Nell’ipotesi prospettata dal lettore, dove il comune stesso è soggetto
creditore, si ritiene che debba trovare applicazione, per analogia, l’art.
23 del dlgs. 472/1997. Questo, al comma 1, prevede infatti che “Nei casi
in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano
un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può
essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione
della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori
tributi, ancorché non definitivi. La sospensione opera nei limiti di tutti
gli importi dovuti in base all’atto o alla decisione della commissione
tributaria ovvero dalla decisione di altro organo”. Il successivo comma
2 stabilisce che “In presenza di provvedimento definitivo, l’ufficio
competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito.”.
Si ritiene che detta procedura (ovvero la compensazione fra il debito del
comune con la ditta per la prestazione resa, ed il credito tributario
vantato dal comune stesso verso quest’ultima) non sia una semplice facoltà,
bensì un vero e proprio obbligo. La tesi è altresì confermata anche
dall’art. 8, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente, di cui
alla L. 212/2000, laddove si stabilisce che “L’obbligazione
tributaria può essere estinta anche per compensazione”.
Si ritiene infine opportuno che tale previsione trovi adeguata conferma
anche all’interno del regolamento comunale delle entrate tributarie
dell’ente stesso, con la previsione di un articolo ad hoc.
Dal punto di vista contabile, infine, la compensazione dovrà essere
rispettosa del principio di bilancio dell’integrità, come previsto dall’art.
162, comma 4, del TUEL. Sarà necessario pertanto che l’ufficio ragioneria
emetta l’ordinativo di pagamento a valere sul relativo capitolo di spesa e
l’ordinativo di incasso sul corrispondente capitolo di entrata. L’operazione
non darà luogo ad alcun movimento monetario in caso di compensazione
integrale.
Viceversa, in caso di compensazione parziale, ovvero nell’ipotesi in cui
l’importo del debito dell’ente sia superiore all’importo del credito
tributario vantato, il movimento monetario in uscita riguarderà la sola
differenza a debito dell’ente (29.04.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
LAVORI
PUBBLICI: L’affidamento
dei “micro” lavori pubblici tra legge di bilancio e nuovo decreto-legge
32/2019.
Domanda
Vorremmo avere alcuni chiarimenti sull’affidamento degli appalti di lavori
entro i 150mila euro secondo la recente disposizione contenuta nella legge
di bilancio per il 2019 che, espressamente, non esige una procedura
negoziata ma solamente una consultazione tra tre operatori.
E’ possibile
comprendere che differenza esiste tra le due ipotesi?
Risposta
È bene da subito premettere che a far data dal 19.04.2019 l’ipotesi
declinata nel comma 912, art. 1, della legge 145/2018 non è più utilizzabile
da parte del RUP.
Infatti, con l’articolo 1 del recentissimo decreto legge 32/2019 c.d.
Sblocca Cantieri (pubblicato in G.U. il 18.04.2019 n. 92) il comma in
parola è stato abrogato.
Si ricorderà, infatti, che la “durata” della disposizione era prevista fino
all’adozione di una “complessiva revisione del codice dei contratti” – ed al
massimo sarebbe stata utilizzabile fino al 31/12/2019.
Ora, come detto, tale prerogativa è venuta meno. E’ utile comunque
evidenziare che la “semplificazione” ulteriore prevista dalla norma, ovvero
la sola consultazione dei tre operatori senza che si parlasse di procedura
negoziata, era da ritenersi solo “equivoca” in quanto il RUP avrebbe dovuto
comunque avviare almeno un procedimento informale pubblicizzando un avviso a
manifestare interesse e/o utilizzare un già prediposto albo con invito –e
attivazione di una micro competizione– tra, almeno, tre operatori.
Come detto il nuovo decreto legge ha abrogato la previsione prevedendo al
contempo una nuova norma –che in questo caso interessa il micro-affidamento
dei lavori pubblici– innestandola direttamente alla lettera b) del comma 2,
dell’articolo 36.
In questo senso, nel decreto legge 32/2019 si legge che nell’articolo 36 del
codice dei contratti al comma 2, lettera b), le parole “e inferiore a
150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all’articolo 35 per le
forniture e i servizi, mediante procedura negoziata previa consultazione,
ove esistenti, di almeno dieci operatori economici per i lavori” sono
sostituite dalle seguenti: “e inferiore a 200.000 euro per i lavori, (…),
mediante procedura negoziata previa consultazione, ove esistenti, di almeno
tre operatori economici per i lavori".
Per effetto della modifica appena riportata, limitandoci ai soli lavori
–visto il tema del quesito– la lettera b) dal 19 aprile dispone che gli
“affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 200.000
euro per i lavori” possono avvenire “mediante procedura negoziata previa
consultazione, ove esistenti, di almeno tre operatori economici per i
lavori, (…) L’avviso sui risultati della procedura di affidamento, contiene
l’indicazione anche dei soggetti invitati”.
Come si può notare, nell’odierna disposizione il legislatore è tornato
sull’espressione di procedura negoziata imponendo, quindi, una
formalizzazione delle procedure nell’ambito dei 200mila euro per lavori
pubblici.
Procedura che, ora, può riguardare solo (almeno) 3 operatori e non più 10
come previsto ante decreto legge.
Per il procedimento, evidentemente, rimangono valide le indicazioni fornite
dall’ANAC con le linee guida n. 4, pertanto l’individuazione degli operatori
deve avvenire in modo serio, oggettivo e trasparente.
Nel caso in cui il RUP disponga di un albo di operatori, da questo si potrà
attingere attraverso scorrimento (con obbligatoria applicazione della
rotazione) e successiva richiesta di preventivo.
L’alternativa è data dalla formale indagine di mercato per il tramite di un
avviso pubblico (24.04.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Regolamento
incentivi sponsorizzazioni.
Domanda
Chi approva il Regolamento per la disciplina delle sponsorizzazioni, in cui
si prevede anche un incentivo per i dipendenti, così come previsto dall’art.
67, comma 3, lettera a), del CCNL 21/05/2018?
Risposta
Il Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), approvato con il decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267, fa risalire la competenza esclusiva del
Consiglio comunale nell’approvazione dei regolamenti comunali, così come
previsto all’art. 42, comma 2, lettera a). Il potere regolamentare dei
comuni risulta disciplinato anche nell’art. 7 del medesimo TUEL.
Gli unici regolamenti che sono di competenza della Giunta sono i Regolamenti
per l’Organizzazione Uffici e Servizi (ROUS), così come espressamente
previsto dall’art. 48, comma 3, del TUEL.
Anche in questo caso, tra l’altro, la Giunta deve disciplinare
l’organizzazione degli uffici e servizi, sulla base di criteri generali,
propedeuticamente emanati dal Consiglio (ancora art. 48, co. 3, TUEL). Le
materie che si possono disciplinare all’interno del ROUS sono analiticamente
indicate nell’art. 89, comma 2, del TUEL e, con tutta evidenza, non vi è
prevista la disciplina delle sponsorizzazioni, la cui fonte normativa va
rinvenuta nell’art. 19 del Codice dei contratti (d.lgs. 18.04.2016, n. 50);
nell’articolo 119 del TUEL e, prima ancora, nell’articolo 43, della legge
27.12.1997, n. 449.
All’interno di tali regolamenti, gli enti, possono anche prevedere la
possibilità di riconoscere delle incentivazioni di carattere economico nei
confronti del proprio personale dipendente (dirigenti e non dirigenti), come
previsto nei vari contratti nazionali del comparto.
Il parere dell’ANCI, citato nel quesito, si riferisce ad un comune che,
nell’anno 2007, aveva disciplinato l’“Approvazione dei criteri per la
disciplina e la gestione delle sponsorizzazioni”, con deliberazione di
Giunta.
L’escamatoge [1]
di chiamarli “criteri”, anziché regolamento, a nostro modesto parere,
rientra tra le varie e multiformi “tecniche elusive”, applicate negli
enti per sottrarre alla competenza del Consiglio (massimo organo di
indirizzo e controllo politico-amministrativo), la possibilità di poter
esaminare e votare un regolamento di carattere generale, nel quale sono
previste anche delle ricadute economiche per il personale.
A completamento informativo, si fa presente che gli ispettori del MEF-RGS,
nello loro verifiche amministrative-contabili presso i comuni, verificano
sempre che le somme previste nella parte variabile del fondo, relative ai
proventi delle sponsorizzazioni, siano precedute dall’approvazione di un
regolamento in Consiglio comunale.
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[1] Trovata ingegnosa, trucco, sotterfugio messo in atto con abilità e
astuzia, spesso al limite della disonestà, per risolvere una situazione
compromessa o uscire da una posizione difficile (17.04.2019
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APPALTI: La
costituzione del seggio di gara.
Domanda
Abbiamo avviato una serie di appalti (alcuni da aggiudicare con il criterio
del minor prezzo altri con il sistema dell’offerta economicamente più
vantaggiosa) e vorremmo sperimentare –circostanza nuova per la nostra
stazione appaltante– l’istituzione di un seggio di gara per l’apertura (pur
telematica) dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e delle
offerte.
Ci sono regole particolari per la costituzione del seggio o la stazione
appaltante è costretta a darsi uno specifico regolamento?
Risposta
La costituzione di uno specifico seggio di gara, effettivamente, diventerà
momento di rilievo con le cc.dd. commissioni (esclusivamente) tecniche
ovvero le commissioni scelte dall’albo dei commissari a gestione ANAC (in
vigore dal 16 aprile salvo ulteriori posposizioni).
Le commissioni scelte in questo modo –ed ad onor del vero già oggi– hanno la
funzione c.d. aggiudicatrice ovvero quella di valutare le offerte e “proporre”
l’assegnazione dell’appalto (con rinvio degli atti al RUP per la
predisposizione della proposta di aggiudicazione ed i controlli di rito).
Questo, evidentemente, nel caso di appalto da aggiudicarsi con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Nell’appalto da aggiudicarsi con il criterio del minor prezzo, come noto,
l’intero procedimento potrebbe essere condotto da un seggio di gara
presieduto dal RUP.
In relazione alle “regole” per la costituzione di un seggio di gara
–nel primo caso– destinato ad una verifica formale della documentazione (ed
evidentemente alla sola apertura delle offerte), cos’ì come nel secondo caso
dell’affidamento al minor prezzo, non risultano dal codice regole
particolari.
Ciò impone al RUP ovviamente una previa verifica di eventuali regolamenti
interni (che magari dispongano indicazione specifiche) e/o in leggi della
regione di appartenza (ad esempio, per la regione Sardegna, la nuova legge
8/2019, l’articolo 37, comma 5, puntualizza che la commissione di gara possa
svolgere anche le funzioni di verifica formale sulla documentazione ai fini
dell’ammissione/esclusione dalla gara).
Disposizioni potrebbero essere fornite al RUP anche nell’ordine di servizio
di nomina (ed attribuzione delle funzioni).
In difetto si ritiene che il responsabile unico del procedimento non possa
esimersi dalla scelta di personale adeguato nell’individuazione del seggio.
A titolo esemplificativo, potrebbe procedere direttamente con due testimoni
(due dipendenti).
Sulla nomina, nella prassi, vi sono diverse modalità operative. In certe
situazioni il responsabile del servizio (che potrebbe “attribuire”
tale prerogativa al RUP) procede con la formalizzazione dell’atto di nomina.
Ciò, a ben vedere, può essere (o meglio dovrebbe essere) già chiarito nel
bando di gara o l’atto omologo.
Sulla competenza/esperienza, è chiaro che deve trattarsi di soggetti in
grado di comprendere eventuali problematiche ed essere di ausilio reale per
il RUP che potrebbe essere obbligato ad attivare le forme di soccorso
istruttorio (specificativo e integrativo).
Tale aspetto, come si diceva, potrebbe essere semplicemente sintentizzato
nel bando con riferimento che le verifiche in parola verranno effettuate
attraverso apposito seggio di gara (magari specificando le competenze) (16.04.2019
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APPALTI: Contributo
ANAC e soccorso istruttorio.
Domanda
In sede di apertura della documentazione amministrativa relativa ad una
procedura aperta sopra soglia comunitaria per l’affidamento di servizi, il
seggio di gara rileva che l’operatore non ha allegato prova dell’avvenuto
pagamento del contributo ANAC, è possibile attivare il soccorso istruttorio?
Risposta
La questione del mancato pagamento del contributo ANAC presenta profili di
incertezza, in particolare per le differenti posizioni assunte dalla
giurisprudenza sull’argomento, alcune anche poco condivisibili in ragione
della rigidità dell’applicazione e interpretazione della previsione
legislativa, soprattutto a seguito del nuovo contesto normativo in materia
di contratti pubblici, avente ad oggetto ogni forma di approvvigionamento
(lavori, forniture e servizi), nonché alla natura stessa dell’Autorità
Nazionale Anticorruzione.
Ci si riferisce in particolare alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V,
n. 3950/2018, dove il Supremo Consesso ha ritenuto in primo luogo e
principalmente che la l. 23.12.2005 n. 266 pone tra l’altro al comma 67 “l’obbligo
di versamento del contributo da parte degli operatori economici quale
condizione di ammissibilità dell’offerta nell’ambito delle procedure
finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche” e che detta
previsione legislativa appare comune una tipica espressione del brocardo “in
claris non fit interpretatio” con la conseguenza che il versamento di
tale contributo è caratteristica delle gare in materia di aggiudicazione
della realizzazione di opere pubbliche, mentre nel caso si trattava
dell’affidamento del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta
comunale sulle pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni.
Consentendo di fatto il soccorso istruttorio, analogamente ad altre
pronunce, in quanto nella lex specialis non era stato espressamente
indicato l’obbligo di versamento del contributo ANAC, a pena di esclusione.
Diverso il caso in cui la stazione appaltante si sia vincolata riportando la
disciplina del bando tipo n. 1 ANAC, che al punto 12 prevede il pagamento
del contributo a pena di esclusione, ai sensi dell’art. 1, comma 67, della
l. 266/2005, con possibilità di attivare il soccorso istruttorio a norma
dell’art. 83, comma 9, del Codice, a condizione che il pagamento sia stato
già effettuato prima della scadenza del termine di presentazione
dell’offerta, in quanto considerato dall’Autorità come condizione di
ammissibilità dell’offerta stessa.
Nel caso riportato nel quesito ci si riferisce ad una gara sopra soglia
comunitaria, rispetto alla quale si ipotizza (salvo esclusioni di legge) che
la Stazione appaltante abbia utilizzato il disciplinare di gara di cui al
bando tipo n. 1, con possibilità quindi di attivare il soccorso istruttorio
al solo fine di consentire l’allegazione tardiva dell’attestazione di
pagamento effettuata entro i termini di scadenza per la presentazione delle
offerte (TAR Puglia, sez. I, n. 106/2018).
Considerato l’impatto che una tale disciplina comporta sulle procedure di
gara appare opportuno cercare di regolamentare con chiarezza, anche sotto
soglia il versamento del contributo ANAC, e ciò al fine di evitare problemi
applicativi e consentire trattamenti unovici (10.04.2019
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APPALTI: L’articolazione
di un ufficio di supporto per il RUP.
Domanda
Il Comune intende costituire uno specifico ufficio di supporto al RUP al
fine di creare dipendenti specializzati nei procedimenti di gara. Vorremmo
avere un chiarimento sulla corretta articolazione di questa struttura e
capire se nel caso –come il nostro– in cui il RUP non coincida con il
responsabile del servizio possa effettivamente coordinare un gruppo lavoro e
nominare, se del caso, anche specifici responsabili di procedimento.
Risposta
La possibilità di costituire uno specifico ufficio/servizio di supporto al
RUP è una delle ipotesi effettivamente declinate nell’art. 31 al comma 9 in
cui (testualmente) si dispone che “La stazione appaltante, allo scopo di
migliorare la qualità della progettazione e della programmazione
complessiva, può, nell’ambito della propria autonomia organizzativa e nel
rispetto dei limiti previsti dalla vigente normativa, istituire una
struttura stabile a supporto dei RUP, anche alle dirette dipendenze del
vertice della pubblica amministrazione di riferimento. Con la medesima
finalità, nell’ambito della formazione obbligatoria, organizza attività
formativa specifica per tutti i dipendenti che hanno i requisiti di
inquadramento idonei al conferimento dell’incarico di RUP, anche in materia
di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per
l’edilizia e le infrastrutture”.
E’ evidente che anche al di là della disposizione normativa, la stazione
appaltante può strutturare articolazioni come meglio ritiene opportuno (il
riferimento ai vincoli normativi deve essere inteso alle limitazioni
assunzionali, ovviamente, visto che non si può pensare che una disposizione
simile abiliti ad assunzioni senza rispetto dei limiti fissati dal
legislatore).
Dalla norma, però, emerge in modo abbastanza chiaro che tale struttura non
può essere posta alle “dipendenze” del RUP, soprattutto nel caso in
cui, come quello descritto, il responsabile unico del procedimento non
coincida con il dirigente/responsabile del servizio dotato di poteri
gestionali.
Pertanto, la struttura può essere articolata come ufficio “servente”
e di collaborazione rispetto ai compiti del RUP e questi ha limitati margini
(per le finalità della procedura di affidamento) di coordinamento.
A titolo esemplificativo, si può ritenere che nell’ambito dell’organico
assegnato con l’ufficio possa costituire il seggio di gara, possa far
predisporre atti istruttori di cui rimane, però, il responsabile finale (si
pensi all’adozione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione).
Funzioni, appunto di supporto, fermo restando che l’ufficio risulta alle
dipendenze del vertice amministrativo a cui fa l’area organizzativa in cui
lo stesso si trova incardinato.
Altra questione molto importante, restando in tema, è che se il RUP è un
funzionario non può attribuire la nomina di responsabili di procedimento a
sua volta considerato che tali prerogative appartengono al soggetto posto a
capo dell’unità organizzativa (servizio, settore, area etc.) che, come
detto, dispone di poteri dirigenziali/gestionali.
Ciò emerge sia dalla legge 241/1990 (art. 5) ed in certi casi anche dalla
legislazione regionale (si pensi alla legge 8/2018 della regione Sardegna,
art. 35, comma 6) in cui si chiarisce espressamente che la competenza sulla
nomina dei responsabili di procedimento è del dirigente (03.04.2019
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APPALTI: Pubblicazione
di atti e documenti per interventi straordinari di emergenza.
Domanda
Il nostro comune ha subito i danni del terremoto ed è inserito nella lista
dei 140 comuni del “cratere”, colpiti e danneggiati dal sisma del
Centro Italia. Essendo soggetti a interventi straordinari di emergenza, cosa
occorre pubblicare e per quanto?
Risposta
Nel Decreto Trasparenza (d.lgs. 14.03.2013, n. 33), la materia viene
trattata all’interno dell’articolo 42, rubricato “Obblighi di
pubblicazione concernenti gli interventi straordinari e di emergenza che
comportano deroghe alla legislazione vigente”.
In particolare, gli obblighi di pubblicità e trasparenza (comma 1)
riguardano:
a) i provvedimenti adottati, con la indicazione espressa delle
norme di legge eventualmente derogate e dei motivi della deroga, nonché
l’indicazione di eventuali atti amministrativi o giurisdizionali
intervenuti;
b) i termini temporali eventualmente fissati per l’esercizio dei
poteri di adozione dei provvedimenti straordinari;
c) il costo previsto degli interventi e il costo effettivo
sostenuto dall’amministrazione.
Il successivo comma 1-bis, aggiunto dall’art. 10, comma 3, del d.l.
14.08.2013, n. 93, convertito in legge 15.10.2013, n. 119, prevede che i
Commissari delegati, di cui all’art. 5, della legge 225/1992
[1], svolgono direttamente
le funzioni di responsabili per la prevenzione della corruzione e
trasparenza (RPCT).
Chiarito il quadro normativo, per la definizione degli atti, documenti e
informazioni da pubblicare nel sito web del comune, nella sezione
Amministrazione trasparente, occorre rifarsi al cosiddetto Albero della
Trasparenza, previsto nell’Allegato 1, della delibera ANAC n. 1310, del
28.12.2016.
Per tale sottosezione di Livello 1, gli obblighi sono quelli analiticamente
indicati nel comma 1, dell’art. 42, sopra citato, prevedendo di assolvere
agli obblighi mediante il ricorso al formato tabellare aperto.
L’aggiornamento dei dati pubblicati deve avvenire “tempestivamente” e
la durata di pubblicazione è prevista in cinque anni, contati dal 1° gennaio
dell’anno successivo a quello da cui decorre l’obbligo di pubblicazione e
comunque fino a che gli atti pubblicati producono i loro effetti (ex art. 8,
d.lgs. 33/2013).
---------------
[1] Legge 24.02.1992, n. 225, recante “Istituzione del Servizio nazionale
della protezione civile”; articolo 5 – Stato di emergenza e potere di
ordinanza (02.04.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
marzo 2019 |
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APPALTI: Il
contenuto del provvedimento di esclusione.
Domanda
In relazione all’adozione di alcuni atti di esclusione, come RUP mi sono
posto il problema del contenuto dei provvedimenti da pubblicare per
eventuali lesioni e/o contrasti con privacy e riservatezza. Ma, in tema, in
relazione a quanto precisato dall’articolo 29 quali cautele occorre
adottare? E’ possibile procedere con la pubblicazione del solo verbale di
gara?
Risposta
La questione posta dal RUP, e quindi dal soggetto direttamente interessato
circa l’adozione dei provvedimenti di esclusione (per ANAC e giurisprudenza,
come noto, il soggetto competente all’adozione dei provvedimenti in parola,
così come per le ammissioni, è il responsabile unico del procedimento a
prescindere dalla circostanza che coincida o meno con la figura del
dirigente/responsabile del servizio), afferisce ad eventuali limiti/vincoli
da rispettare in relazione al contenuto del provvedimento da pubblicare
(anche) nella sezione trasparenza della stazione appaltante ai sensi e per
gli effetti dell’articolo 29 del codice dei contratti.
È bene rammentare che l’obbligo in parola (appunto contenuto nell’articolo
29 del codice) dispone l’obbligo per il RUP di pubblicare “nei successivi
due giorni dalla data di adozione dei relativi atti, il provvedimento che
determina le esclusioni dalla procedura di affidamento”.
Lo scopo, come noto, è quello di contingentare il termine di impugnazione
(di trenta giorni dalla pubblicazione sempre che questa risulti esaustiva) –
esaustività che, a sommesso parere, può anche essere meglio realizzata con
la comunicazione ex art. 76 da fare via PEC al diretto interessato (sempre
fatto salvo che non si dimostri una piena conoscenza del contenuto avvenuta
in altro modo).
Pertanto, la disposizione nulla precisa circa il contenuto riferendosi,
addirittura, ad una sorta di provvedimento “complessivo” sulle
esclusioni (quindi avvenute durante la procedura). È prassi, ad esempio, di
molte stazioni appaltanti di pubblicare i verbali di gara che contengono i
riferimenti in argomento.
La norma, però, parla di provvedimento ed è tale solamente quello adottato
dal RUP (e magari dal responsabile del servizio se ciò risulti chiaramente
esplicitato nel bando di gara ma sempre con il coinvolgimento del
responsabile unico del procedimento).
In sostanza, oggetto di comunicazione è il provvedimento vero e proprio che
poi viene inviato ai sensi dell’articolo 76 del codice dei contratti.
L’operatore che partecipa alla gara è ben consapevole che i propri “dati”
e/o situazione e/o dichiarazioni sono tranquillamente e normalmente
accessibili.
Non solo la circostanza per cui il provvedimento di esclusione deve
obbligatoriamente essere pubblicato (a pena di penalizzare la stazione
appaltante circa la prerogativa del termine breve) rende lo stesso
provvedimento oggetto di possibile accesso civico senza alcuna formalità se
non il rispetto su eventuali scorretti trattamenti.
Per effetto di ciò, il provvedimento deve limitarsi a riportare il contenuto
chiaro ed indispensabile con la specificazione della circostanza che
determina l’esclusione (con contestuale comunicazione via PEC ai sensi
dell’articolo 76 del codice dei contratti). Come detto, per far decorrere
con successo il termine breve, dovrà essere esaustivo e rendere
immediatamente comprensibili le ragioni dell’estromissione dal procedimento
(27.03.2019
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APPALTI:
Intervento sostitutivo della stazione appaltante per inadempienza
contibutiva e retributiva dell'impresa affidataria del contratto di appalto
- art. 30, D.Lgs. n. 50/2016.
Il D.Lgs. n. 50/2016 disciplina l’istituto
dell’intervento sostitutivo della stazione appaltante in termini di obbligo
sia in caso di inadempienza contributiva dell’appaltatore certificata dal
DURC in relazione al personale impiegato nell’esecuzione del contratto –come
già stabiliva il previgente D.P.R. n. 207/2010– sia nell’ipotesi di
inadempienza retributiva dell’appaltatore stesso e con riferimento al
medesimo personale, in quest’ultimo caso innovando rispetto alla previgente
disciplina che invece attribuiva alla stazione appaltante la facoltà di
procedere al pagamento in via sostitutiva delle retribuzioni.
Allo stato della vigente normativa, qualora venga accertata l’irregolarità
contributiva dell’impresa affidataria ed altresì il ritardo nel pagamento
delle retribuzioni, appare ragionevole ritenere che la stazione appaltante
provveda ai versamenti in via sostitutiva agli enti previdenziali e
assicurativi ed ai lavoratori attraverso una ripartizione pro quota delle
somme dovute all’esecutore del contratto.
L’Ente riferisce che la Società affidataria di un appalto di servizi
stipulato nel 2017 non risulta in regola con il versamento dei contributi
previdenziali –come attestato dal documento unico di regolarità
contributiva (DURC) da ultimo acquisito nel dicembre 2018– ed inoltre da
qualche tempo non paga regolarmente la retribuzione ai propri dipendenti che
esercitano l’attività lavorativa per l’esecuzione del contratto di appalto
in questione.
L’Ente ha chiesto alla Società appaltatrice e agli Enti previdenziali di
conoscere l’entità delle retribuzioni non corrisposte ai lavoratori
impiegati nell’appalto di cui si tratta, nonché delle somme dovute agli enti
previdenziali sempre relativamente ai lavoratori impiegati nell’esecuzione
di detto contratto.
La Società appaltatrice ha riscontrato la richiesta fornendo i cedolini paga
dei dipendenti interessati e chiedendo di procedere nei loro confronti
all’intervento sostitutivo ai sensi dell’art. 30, D.Lgs. n. 50/2016, mentre
l’INPS ha precisato che i dati richiesti sono di esclusiva competenza della
Società e che l’“Istituto può solo comunicare l’entità dei debiti
certificati da durc negativo”.
L’Ente chiede dunque come procedere secondo legge, ed in particolare se
possano essere pagati in via sostitutiva, utilizzando le somme dovute
all’appaltatore, in via prioritaria gli stipendi dovuti ai dipendenti
interessati impiegati nell’appalto di cui si tratta e in via residuale i
contributi previdenziali, per le somme rimanenti.
Sentito il Servizio centrale unica di committenza di questa Direzione
centrale, si esprime quanto segue.
L’intervento sostitutivo della stazione appaltante a fronte
dell’inadempienza contributiva e retributiva dell’esecutore del contratto
pubblico è disciplinato dall’art. 30, commi 5 e 6, D.Lgs. n. 50/2016, norme
statali
[1]
in ordine alle quali questo Servizio può esprimere solo in via collaborativa alcune considerazioni, che possano essere di supporto all’Ente
per l’individuazione in autonomia della soluzione da adottare nel caso
concreto.
L’articolo 30, comma 5, D.Lgs. n. 50/2016 prevede che, in caso di
inadempienza contributiva risultante dal DURC relativo a personale
dipendente dell’affidatario o del subappaltatore o dei soggetti titolari di
subappalti e cottimi, impiegato nell’esecuzione del contratto, la stazione
appaltante trattiene l’importo corrispondente all’inadempienza per il
successivo versamento diretto ai competenti enti previdenziali e
assicurativi.
Il successivo comma 6 del medesimo articolo 30 dispone che in caso di
ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute al personale di cui al comma
5 –per quanto qui rileva, dipendente dell’affidatario dell’appalto,
impiegato nell’esecuzione del contratto– il responsabile unico del
procedimento invita per iscritto l’impresa inadempiente a provvedervi entro
i successivi quindici giorni. Ove non sia stata contestata formalmente e
motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine assegnato, la
stazione appaltante paga anche in corso d’opera direttamente ai lavoratori
le retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute
all’affidatario del contratto.
Al riguardo si rileva che l’obbligo dell’intervento sostitutivo, in presenza
di DURC irregolare, era stato già introdotto dal previgente art. 4, comma 2,
D.P.R. n. 207/2010.
Per quanto concerne, invece, l’istituto dell’intervento sostitutivo in caso
di inadempienza retributiva, si osserva che lo stesso è fissato come obbligo
dall’art. 30, c. 6, D.Lgs. n. 50/2016, mentre era facoltativo nella
previgente disciplina di cui all’art. 5, D.P.R. n. 207/2010
[2].
Venendo al quesito dell’Ente sulla possibilità di pagare prioritariamente in
via sostitutiva le retribuzioni dei dipendenti e di versare l’importo
residuo agli enti previdenziali e assicurativi, si osserva che il nuovo
codice degli appalti, nel rendere obbligatorio anche l’intervento
sostitutivo per l’inadempienza retributiva, oltre a quello relativo
all’inadempienza contributiva, non specifica le modalità di attuazione del
meccanismo sostitutivo, nell’ipotesi in cui siano riscontrate
contemporaneamente entrambe le tipologie di inadempimento.
Sotto l’egida del previgente D.P.R. n. 207/2010 veniva naturale ritenere la
priorità del pagamento in via sostitutiva dei contributi agli enti
previdenziali e assicurativi, proprio sulla base della disciplina
dell’istituto dell’intervento sostitutivo, recata dal d.p.r. in parola, in
termini di obbligo in caso di inadempienza contributiva (art. 4, D.P.R. n.
207/2010) e di facoltà nell’ipotesi dell’inadempienza retributiva (art. 5,
D.P.R. n. 207/2010)
[3].
Allo stato della vigente normativa, invece, esprimendosi le disposizioni di
cui all’art. 30, commi 5 e 6, in termini di obbligatorietà degli interventi
sostitutivi ivi previsti –senza indicare alcuna priorità in relazione
all’una o all’altra tipologia di crediti (contributivi e retributivi) in
questione, rispettivamente vantati dagli istituti previdenziali e
assicurativi e dal personale dipendente– qualora venga accertata
l’irregolarità contributiva dell’impresa affidataria ed altresì il ritardo
nel pagamento delle retribuzioni, appare ragionevole ritenere che la
stazione appaltante provveda ai versamenti in via sostitutiva agli enti
previdenziali e assicurativi ed ai lavoratori attraverso una ripartizione
pro quota delle somme dovute all’esecutore del contratto.
A quest’ultimo riguardo, si precisa che i contributi e le retribuzioni sono
quelli riferiti ai lavoratori impiegati nell’esecuzione del contratto di
appalto tra la stazione appaltante e la Società affidataria, in capo alla
quale è stata riscontrata l’irregolarità contributiva e retributiva, come si
evince dalla formulazione testuale dei commi 5 e 6 dell’art. 30 del Codice
dei contratti pubblici, che espressamente riferiscono l’intervento
sostitutivo al “personale dipendente dell’affidatario o del subappaltatore …
impiegato nell’esecuzione del contratto”
[4].
---------------
[1] La cui interpretazione spetta esclusivamente agli uffici statali
competenti.
[2] Cfr., in dottrina, Antonio Pazzaglia, Le verifiche preliminari della
P.A. con particolare riferimento al d.lgs. 18.04.2016 n. 50 (nuovo codice
dei contratti pubblici) e alla disciplina di semplificazione sul DURC
dettata dal D.M. 30.01.2015, su ITALIAPPALTI.IT, 09.12.2016. L’autore
osserva, altresì, che mentre la verifica della regolarità contributiva e
fiscale è obbligatoria, la verifica della regolarità retributiva è meramente
eventuale dipendendo da un fatto (la conoscenza del ritardo) accessibile non
già attraverso l’interrogazione di banche dati predeterminate, quanto invece
attraverso l’acquisizione di informazioni altrimenti reperite, ad esempio su
segnalazione dei dipendenti (o anche dei sindacati, n.d.r.).
[3] Cfr. il
parere prot. n. 23035/2014 di questo Servizio
V. anche Confederazione delle province e dei comuni del nord (Co.Nord),
risposta al
quesito 24.03.2014 su "Intervento sostitutivo contratti pubblici"
[4] In tal senso, osserva, infatti, la dottrina, secondo cui l’art. 30 del
D.lgs. n. 50/2016 “delimita il campo di operatività del meccanismo
sostitutivo descritto alle sole ipotesi di inadempienza relative al
personale dipendente dell’affidatario o del sub-affidatario impiegato
nell’esecuzione del contratto” (Cfr. Antonio Pazzaglia, articolo cit.) (22.03.2019
- link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Sulla censura circa il
mancato utilizzo di una centrale di committenza o di
un’aggregazione ex art. 37, comma 3, del Dlgs. 50/2016 sul
presupposto che, in relazione al valore della gara, il
Comune dovrebbe essere considerato una stazione appaltante
priva dei requisiti di qualificazione di cui all’art. 38 del
Dlgs. 50/2016.
Per quanto riguarda i requisiti di
qualificazione di cui all’art. 38 del Dlgs. 50/2016, finché
non sarà approvata la disciplina attuativa di tale norma non
vi sono i presupposti per formulare un giudizio di
inadeguatezza della stazione appaltante.
Di conseguenza, nel periodo transitorio ogni ente locale,
previa iscrizione nell’anagrafe unica dell’ANAC, può bandire
e gestire come autonoma stazione appaltante tutte le
procedure di gara a cui sia interessato, senza che questo
possa mettere a rischio l’aggiudicazione.
Occorre infatti sottolineare che la violazione del principio
di aggregazione e centralizzazione delle committenze, anche
nei casi previsti dall’art. 37, comma 4, del Dlgs. 50/2016,
non è sanzionabile con l’annullamento dell’intera procedura
di gara in mancanza di parametri precostituiti che
consentano di misurare la sproporzione tra la complessità
della procedura e le competenze tecniche della stazione
appaltante.
Questi parametri potranno essere forniti solo dal decreto
che individuerà i requisiti tecnico-organizzativi di cui
all’art. 38, comma 2, del Dlgs. 50/2016 per l’iscrizione
nell’elenco delle stazioni appaltanti qualificate.
---------------
1. Il Comune di Remedello ha pubblicato all’albo pretorio
on-line dal 27.04.2018 al 15.06.2018 un avviso esplorativo
per sollecitare manifestazioni di interesse alla
partecipazione a una procedura negoziata ex art. 36, comma
2-b, del Dlgs. 18.04.2016 n. 50 per la concessione
trentennale della gestione della farmacia comunale.
2. Nel suddetto avviso, il valore annuo della concessione è
stato indicato in € 154.000 (IVA esclusa). È stato inoltre
precisato che il Comune intende incamerare una parte di
questo valore mediante un triplice prelievo: (a) sotto forma
di contributo una tantum al momento dell’aggiudicazione (€
40.000); (b) con un canone annuo indicizzato (€ 2.000); (c)
con un canone annuo di gestione in percentuale sul volume di
affari annuo della farmacia, nella misura indicata
nell’offerta e comunque non inferiore allo 0,5% (oltre
all’IVA) che costituisce la base di gara.
3. Come puntualmente ricordato nell’avviso esplorativo, la
società titolare dell’unica farmacia privata esistente nel
territorio comunale aveva impugnato l’istituzione della
farmacia comunale davanti al TAR Brescia, il quale con
sentenza n. 313 del 06.03.2017 ha respinto il ricorso. È
pendente l’appello in Consiglio di Stato (RG 4305/2017), ma
senza sospensione della sentenza di primo grado.
4. In esito alla gara, condotta con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, il Comune, con
determinazione del responsabile dell’Area Finanziaria n. 148
del 29.08.2018, ha disposto l’aggiudicazione della
concessione a favore della controinteressata Mo.Fa. srl,
unico soggetto a rispondere alla lettera di invito su tre
che avevano manifestato interesse.
5. Contro l’aggiudicazione, e contro tutti gli atti di gara,
ha proposto impugnazione ancora una volta la società
titolare dell’unica farmacia privata esistente nel
territorio comunale. Oltre all’annullamento degli atti
impugnati è stato chiesto il risarcimento del danno.
6. Le censure sono sintetizzabili come segue:
...
(ii) mancato utilizzo di una centrale di committenza o di
un’aggregazione ex art. 37, comma 3, del Dlgs. 50/2016, sul
presupposto che, in relazione al valore della gara, il
Comune dovrebbe essere considerato una stazione appaltante
priva dei requisiti di qualificazione di cui all’art. 38 del
Dlgs. 50/2016;
...
Sulla qualificazione della stazione appaltante
22. Per quanto riguarda i requisiti di qualificazione di
cui all’art.
38 del Dlgs. 50/2016, finché non sarà approvata
la disciplina attuativa di tale norma non vi sono i
presupposti per formulare un giudizio di inadeguatezza della
stazione appaltante.
Di conseguenza, nel periodo transitorio ogni ente locale,
previa iscrizione nell’anagrafe unica dell’ANAC, può bandire
e gestire come autonoma stazione appaltante tutte le
procedure di gara a cui sia interessato, senza che questo
possa mettere a rischio l’aggiudicazione.
23. Occorre infatti sottolineare che la violazione del
principio di aggregazione e centralizzazione delle
committenze, anche nei casi previsti dall’art.
37, comma 4, del Dlgs. 50/2016, non è
sanzionabile con l’annullamento dell’intera procedura di
gara in mancanza di parametri precostituiti che consentano
di misurare la sproporzione tra la complessità della
procedura e le competenze tecniche della stazione
appaltante.
Questi parametri potranno essere forniti solo dal decreto
che individuerà i requisiti tecnico-organizzativi di cui
all’art.
38, comma 2, del Dlgs. 50/2016 per l’iscrizione
nell’elenco delle stazioni appaltanti qualificate (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.03.2019 n. 266 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Terna
dei subappaltatori e mancato possesso dei requisiti.
Domanda
In una gara di servizi sopra soglia comunitaria il mancato possesso dei
requisiti di cui all’art. 80 del codice, ad eccezione di quelli previsti dal
comma 4 del medesimo articolo, in capo ai subappaltatori indicati nella
terna comporta l’esclusione del concorrente alla gara?
Risposta
La terna dei subappaltatori, una delle questioni rientranti nella procedura
di infrazione della Commissione Europea per mancanza di conformità di alcuni
istituti giuridici italiani rispetto alle direttive comunitarie in materia
di contratti pubblici, ha da sempre creato problemi applicativi evidenti in
sede di procedura di gara. L’art. 105, co. 6, del codice testualmente recita
“è obbligatoria l’indicazione della terna di subappaltatori in sede di
offerta, qualora gli appalti di lavori, servizi e forniture siano di importo
pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35, o indipendentemente
dall’importo a base di gara, riguardino le attività maggiormente esposte a
rischio di infiltrazione mafiosa, come individuate dal comma 53
dell’articolo 1 della legge n. 190/2012 [1]».
L’indicazione nominativa della terna in sede di gara comporta il possesso, e
la successiva verifica, dei requisiti di qualificazione e di moralità di cui
all’art. 80 in capo ai subappaltatori, già nella fase di selezione del
contraente, tanto che il concorrente deve anticipare anche per i soggetti
della terna il rispettivo DGUE/dichiarazioni integrative, con possibile
esclusione dello stesso ai sensi dell’art. 80, cc. 1 e 5, del codice, per
difetto dei requisiti del subappaltatore (senza possibilità di sostituzione
a differenza delle disposizioni comunitarie).
L’Autorità nel bando tipo n. 1, quale schema di disciplinare di gara
standardizzato e vincolante per le gare sopra soglia con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, rivedendo la posizione dedicata
al subappalto, ha previsto che l’omessa dichiarazione della terna o
l’indicazione di un numero di subappaltatori inferiore non costituisce
motivo di esclusione, ma comporta il divieto di subappaltare (sembrerebbe
non sanabile con il soccorso istruttorio). Prosegue stabilendo che il
mancato possesso dei requisiti di cui all’art. 80 del Codice, ad eccezione
di quelli previsti nel comma 4 del medesimo articolo, in capo ad uno dei
subappaltatori indicati nella terna comporta l’esclusione del concorrente
dalla gara.
Per dare una corretta lettura a quest’ultimo passaggio viene in aiuto la
giurisprudenza, Tar Sicilia, Palermo, sentenza n. 1096 del 17.05.2018, dove
in presenza di una terna con un solo subappaltore qualificato, condividendo
il parere del Consiglio di Stato n. 2286 del 03.11.2016, fatto proprio anche
dall’ANAC nella delibera n. 487 del 3.05.2017, ha precisato che occorre dare
un’interpretazione comunitariamente orientata dell’art. 80, commi 1 e 5, del
d.lgs. n. 50 del 18.04.2016, avente ad oggetto le cause di esclusione dalle
gare di appalto.
Ciò posto, ha affermato che “quando è fornita una terna di possibili
subappaltatori, è sufficiente ad evitare l’esclusione del concorrente che
almeno uno dei subappaltatori abbia i requisiti e sia qualificato per
eseguire la prestazione da subappaltare, ovvero che il concorrente dichiari
di rinunciare al subappalto, avendo in proprio i requisiti per eseguire le
prestazioni”.
---------------
[1] Le attività definite maggiormente esposte a rischio di infiltrazione
mafiosa sono: a) trasporto di materiali a discarica per conto di terzi; b)
trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di
terzi; c) estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; d)
confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; e) noli
a freddo di macchinari; f) fornitura di ferro lavorato; g) noli a caldo; h)
autotrasporti per conto di terzi; i) guardiania dei cantieri (20.03.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI: Affidamento
nell’ambito dei 40mila euro e confronto tra
preventivi/offerte.
Domanda
Nell’ambito di un procedimento di acquisizione di una
commessa di esiguo importo (nell’ordine di 15mila euro), il
RUP –in assenza di regolamentazione interna– ha proposto
l’avvio di un procedimento semplificato ai sensi
dell’articolo 36, comma 2, lett. a), con richiesta di
diversi preventivi senza, però, procedere alla definizione
di criteri per la valutazione delle offerte presentate.
A detta del RUP, visto che si tratta di un procedimento
semplificato e di una ipotesi che ammette anche
l’affidamento diretto, nel caso di specie non sarebbe
necessario fissare dei criteri di valutazione. Come
responsabile del servizio ho, momentaneamente, sospeso il
procedimento e vorremmo avere dei chiarimenti in merito.
Risposta
Il legislatore, come noto, con il nuovo codice dei contratti
ha espresso una “prevalutazione” sull’adeguatezza dei
procedimenti di acquisto utilizzabili in ambito ultra e
sotto soglia comunitaria. A tal proposito, per effetto di
tale “prevalutazione” ha individuato dei procedimenti
estremamente semplificati caratterizzati, in particolare,
dalla possibilità di affidamento diretto (per importi
inferiori ai 40mila euro) per poi strutturare della
procedure ad invito con la individuazione di un numero
minimo di competitori.
Nel caso sottoposto all’attenzione –in assenza di specifiche
particolari declinate in un regolamento interno della
stazione appaltante– il RUP ha proposto piuttosto che
l’affidamento diretto una procedura semplificata ad inviti e
quindi la prospettiva di far competer e più
soggetti/operatori economici.
Ora, pur vero che le prerogative della stazione appaltante
si potevano esplicitare anche attraverso l’affidamento
diretto, tra l’altro, anche con grande libertà sulla
motivazione ma è altrettanto vero che nel momento in cui la
procedura anche informale venisse strutturata innestando un
meccanismo a competizione (il confronto e quindi la scelta
tra più proposte tecnico/economiche) è del tutto evidente
che “a monte” della procedura occorre fissare le
regole partecipative e di competizione per ossequiare i
tradizionali canoni di pubblicità, trasparenze e soprattutto
pari condizioni di trattamento.
Pertanto si ritiene corretta la decisione del responsabile
di servizio –che firma a valenza esterna ed impegna la
stazione appaltante– di sospendere un procedimento di cui
comunque risponde, fermo restando le responsabilità non solo
interne del RUP.
A tal proposito è di sicuro rilievo –e di indubbi utilità
pratica– un recentissimo parere espresso dall’ANAC in sedi
di precontenzioso che affronta un caso del tutto simile.
Nel parere reso con la deliberazione n. 75 del 07.02.2019 si
legge che “la semplificazione della procedura degli
affidamenti di importo inferiore a 40.000,00 euro,
introdotta dal d.lgs. n. 56/2017 allo scopo di consentire
alla stazione appaltante di agire in modo più snello e
flessibile con aumentati margini di autonomia gestionale,
non ha intaccato l’obbligo del rispetto dei principi di cui
all’art. 30, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 (cfr. TAR Piemonte
Torino 22.03.2018, n. 353), stante il chiaro tenore
letterale del comma 1 dell’art. 36.
Ciò implica che, in caso di consultazione di più operatori
economici, i principi di libera concorrenza, non
discriminazione e trasparenza impongono alla stazione
appaltante di predefinire e rendere noti a tutti i soggetti
interessati tramite l’atto iniziale della procedura, oltre
alle caratteristiche delle opere, dei beni, dei servizi che
si intendono acquistare, l’importo massimo stimato
dell’affidamento e i requisiti di partecipazione, anche i
criteri per la selezione degli operatori economici e delle
offerte”.
Indicazioni che ben potrebbero essere indicate in un
regolamento interno e/o in un indirizzo di carattere
generale adottato dallo stesso Segretario comunale e/o dai
responsabili di servizio in sede di conferenza di servizi (13.03.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Partecipazione alla gara pubblica di impressa in concordato
con continuità aziendale.
---------------
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di
partecipazione – Capacità finanziaria – Art. 84, d.lgs. n.
50 del 2016 - Epoca della gara – Individuazione.
●
Contratti della
Pubblica amministrazione – Raggruppamento temporaneo di
imprese – Inversione dei ruoli di mandante e mandataria –
Art. 48, d.lgs. n. 50 del 2016 – Limiti.
●
Contratti della
Pubblica amministrazione – Raggruppamento temporaneo di
imprese – Impresa in concordato con continuità aziendale –
Mandataria – Esclusione.
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Gara –
Partecipazione – Ricorso per ammissione a concordato –
Partecipazione a gara pubblica – Limiti.
●
L’art. 84, d.lgs.
n. 50 del 2016 là dove, come requisito speciale di capacità
finanziaria, consente, negli appalti di valore superiore ai
20 milioni di euro, di richiedere ai concorrenti di fornire
parametri economico-finanziari significativi certificati da
società di revisione e che attestino l’esposizione
finanziaria all’”epoca della gara”, è compatibile con una
clausola del disciplinare che richiede al concorrente di
documentare un patrimonio netto positivo risultante
dall’ultimo bilancio approvato secondo la normativa vigente;
in tal caso “l’epoca della gara” da prendere in
considerazione deve considerare i tempi e modi previsti dal
codice civile e dalla statuto per l’approvazione del
bilancio e non coincide con il “giorno” di presentazione
della domanda di partecipazione in gara (1).
●
La
possibilità, per i concorrenti in Raggruppamento temporaneo
di imprese, di modificare la propria composizione per
ragioni organizzative prevista dall’art. 48, d.lgs. n. 50
del 2016, non legittima una inversione dei ruoli di mandante
e mandataria posta in essere al solo e dichiarato scopo di
evitare la dichiarazione di anomalia dell’offerta; in tal
caso si tratterebbe di una modifica sostanziale dell’offerta
finalizzata ad eludere la sanzione espulsiva (2).
●
L’art. 186-bis, comma 7, legge fallimentare (r.d. n. 267 del
1942) vieta all’impresa in concordato con continuità
aziendale di assumere il ruolo di mandataria di
Raggruppamento temporaneo di imprese (2).
●
L’art. 186-bis della legge fallimentare (r.d. n. 267 del
1942), là dove consente che, anche dopo la presentazione di
un ricorso per ammissione al concordato, una impresa possa
essere autorizzata dal Tribunale fallimentare a partecipare
ad una gara di appalto, deve essere coordinato
sistematicamente con la disciplina dell’evidenza pubblica;
la partecipazione dell’impresa non deve andare a discapito
delle regole dell’evidenza pubblica; la posizione di impresa
che ha formulato istanza di “concordato in bianco”
(suscettibile di evolvere tanto in concordato di continuità
che liquidatorio), il quale necessita di significativi tempi
di legge per la sua definizione, è incompatibile con la fase
di aggiudicazione di una gara pubblica; il concorrente, in
tale fase, deve essere in grado, negli ordinari termini di
legge di 60 giorni dall’aggiudicazione, di presentare la
documentazione prevista dall’art. 186 bis ai fini della
stipulazione del contratto e di prestare le necessarie
garanzie (2).
---------------
(1) L’art. 84 consente alla stazione appaltante due alternative: o
la richiesta di dati economico-finanziari significativi e
certificati, ovvero la dimostrazione di una cifra di affari
realizzata nei migliori cinque anni sugli ultimi dieci.
Si tratta, come ovvio vista la ratio della disposizione, di
dati che, proprio perché devono essere “significativi”,
non possono certo essere interpretati quali valori una
tantum, che la parte può fare in modo di esibire “all’epoca
in cui partecipa alla gara” intesa, secondo parte
ricorrente, come il momento specifico di presentazione della
domanda; è fin troppo ovvio come i dati civilistici di
bilancio siano ampiamente suscettibili di oscillazione nel
tempo in base a scelte anche di corto respiro della
governance societaria, ma non per questo diventino tutti
espressione di un “parametro economico-finanziario
significativo”, cui invece si riferisce il senso della
previsione di legge.
Il bilancio è espressione di un dato significativo non in
quanto fotografa il risultato di un singolo giorno o viene
redatto in momenti a scelta dell’interessato, ma in quanto,
rispettoso delle scadenze di legge (art. 2364 c.c.) e delle
previsioni dello statuto che la società non può scegliere di
volta in volta di adattare, fotografa un andamento annuale,
e dunque significativo nel tempo; esso deve evidenziare una
attività economica che, nel complesso ed in un certo arco di
tempo ha prodotto risultati positivi e non una scelta una
tantum funzionale allo specifico obiettivo di consentire la
partecipazione alla gara. Peraltro la legge pone quale
requisito alternativamente idoneo a valutare la solidità
economico-finanziaria di un concorrente la cifra di affari “per
cinque anni” su un arco temporale di dieci, anche in tal
caso evocando dati sintomatici di una certa continuità.
In questo contesto l’espressione “all’epoca in cui
partecipa alla gara” riferita ai dati
economico-finanziari, non può che essere intesa nel senso
che il dato deve essere espresso da valori di bilancio i
quali, seguendo a loro volta la normativa di riferimento,
risultino coevi al periodo della gara; a tal proposito non
può quindi che farsi riferimento all’ultimo bilancio
approvato secondo le cadenze di legge e di statuto. Né vale
obiettare che ciò escluderebbe i concorrenti costituitisi
nello stesso anno della gara, posto che la normativa
contempla ampiamente l’avvalimento di garanzie.
(2) Ai sensi dell’art. 186-bis, r.d. n. 267/1942: “L'ammissione
al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a
procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando
l'impresa presenta in gara… una relazione di un
professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo
67, terzo comma, lettera d), che attesta la conformità al
piano e la ragionevole capacità di adempimento del
contratto…., l'impresa in concordato può concorrere anche
riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non
rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre
imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad
una procedura concorsuale.”
Ai sensi dell’art. 110, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016, “L'ANAC,
sentito il giudice delegato, può subordinare la
partecipazione, l'affidamento di subappalti e la
stipulazione dei relativi contratti alla necessità che il
curatore o l'impresa in concordato si avvalgano di un altro
operatore in possesso dei requisiti di carattere generale,
di capacità finanziaria, tecnica, economica, nonché di
certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto,
che si impegni nei confronti dell'impresa concorrente e
della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la
durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione
dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso
in cui questa nel corso della gara, ovvero dopo la
stipulazione del contratto, non sia per qualsiasi ragione
più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto o alla
concessione, nei seguenti casi: a) se l'impresa non è in
regola con i pagamenti delle retribuzioni dei dipendenti e
dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali;
b) se l'impresa non è in possesso dei requisiti aggiuntivi
che l'ANAC individua con apposite linee guida.”
Non vi è ragione alcuna, pur in assenza di un esplicito
coordinamento dell’art. 186-bis della l. fallimentare con il
nuovo codice dei contratti pubblici, per ritenere
implicitamente abrogato il divieto, del quale non sussiste,
oltre ad alcuna abrogazione esplicita, neppure alcuna
oggettiva incompatibilità con il nuovo codice.
Onde fugare ogni dubbio sul significato dell’art. 186-bis
l.f, basti ricordare, da ultimo, Cass. SU n. 33013/2018 (la
sentenza menziona il coordinamento tra il d.lgs. n. 163/2006
e l’art. 186-bis della legge fallimentare; con il d.lgs. n.
50 del 2016, tuttavia, non vi sono, come detto, novità
significative) secondo cui: “Nel caso di specie, il
d.lgs. n. 50 del 2016, art. 80 (Codice dei contratti
pubblici) richiede, per l'accesso alle procedure ad evidenza
pubblica, la necessaria sussistenza di una serie di
requisiti i quali, secondo una consolidata giurisprudenza
del Consiglio di Stato, (Ad. Plen. sent. n. 8 del 2015),
devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di
scadenza del termine per la presentazione della richiesta di
partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per
tutta la durata della procedura stessa fino
all'aggiudicazione definitiva e alla stipula del contratto,
nonché per tutto il periodo di esecuzione dello stesso,
senza soluzione di continuità.
Alla luce di questa premessa sistematica, si deve procedere
ad una lettura coordinata del d.lgs. n. 163 del 2006, art.
38, comma 1, lett. a) (citato in motivazione dal Consiglio
di Stato), e dell'art. 186-bis, comma 6 l.fall. dalla quale
emerge che le stazioni appaltanti escludono dalla
partecipazione alla procedura d'appalto un operatore
economico che si trovi in stato di fallimento, di
liquidazione coatta, concordato preventivo, salvo il caso di
concordato con continuità aziendale (cfr. d.lgs. n. 163 del
2006, art. 38, comma 1, lett. a); art. 186-bis, comma 5,
l.fall.); tuttavia la regola, secondo la quale i soggetti in
concordato in continuità possono partecipare a procedure di
assegnazione, non si applica nel caso in cui l'impresa in
concordato sia la mandataria in raggruppamento temporaneo di
imprese.
In tale ipotesi, opera l'esclusione dalle procedure
concorsuali per carenza dei requisiti soggettivi richiesti
dalla norma. L'applicazione di tali norme, di stretta
interpretazione legislativa, esclude addirittura il potere
discrezionale in capo alla p.a., fondandosi sul divieto
imposto ex lege, dettato in virtù d.lgs. n. 163 del 2006,
citato art. 38 e art. 186-bis, comma 6, l.fall..”.
La ratio dell’esclusione per il caso della specifica
posizione di mandataria della società in concordato si
comprende agevolmente: nell’economia di un’ATI la mandataria
è il punto di riferimento ineludibile della stazione
appaltante e deve garantire la corretta esecuzione
dell’appalto anche per le mandanti; la società in concordato
con continuità aziendale (sempre ammesso e non concesso che
a tale condizione sia assimilabile la posizione di Astaldi)
è una società che, ex lege, per concorrere alle gare
necessita di specifiche attestazioni di ragionevole capacità
di adempimento del contratto in proprio e può, a determinate
condizioni, anche essere obbligata a farsi garantire da un
altro operatore; in mancanza del divieto si verificherebbe
il paradosso che l’impresa che per legge necessita di essere
garantita da terzi, sempre per legge, dovrebbe essere a sua
volta responsabile in solido (con funzione sostanzialmente
di garanzia) dell’esecuzione non solo della propria quota di
obbligazioni ma di tutto l’oggetto dell’appalto (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 07.03.2019 n. 260 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Vantaggi
gara telematica seduta pubblica virtuale.
Domanda
Quali vantaggi presenta una procedura di gara svolta
attraverso le piattaforme telematiche?
Risposta
Le gare svolte mediante piattaforme telematiche, al di là
dell’obbligo normativo stabilito dalle spending review
e dell’autonomia negoziale che l’art. 37 del d.lgs. 50/2016
riconosce agli enti che le utilizzano, presentano alcuni
vantaggi che a livello pratico si traducono in un’effettiva
semplificazione in termini organizzativi e procedurali.
Oltre alla facilità nell’invitare gli operatori economici,
alla riduzione del rischio derivante dalla cattiva
conservazione o dalla tardiva consegna dei plichi da parte
dell’ufficio protocollo, alla possibilità di nominare alcuni
componenti interni della commissione giudicatrice, in quanto
ai sensi dell’art. 77 del codice le gare telematiche sono
considerate come gare “non complesse”, il vantaggio
maggiore è sicuramente costituito dalla seduta pubblica
virtuale.
La giurisprudenza si è pronunciata più volte su questo
aspetto delle gare telematiche, definito in modo puntuale
nella sentenza del TAR Campania, Napoli, sez. I sent. n. 725
del 02.02.2018, dove «il principio di pubblicità delle
sedute deve essere rapportato non ai canoni storici che
hanno guidato l’applicazione dello stesso, quanto piuttosto
alle peculiarità e specificità che l’evoluzione tecnologica
ha consentito di mettere a disposizione delle procedure di
gara telematiche, in ragione del fatto che la piattaforma
elettronica che ha supportato le varie fasi di gara assicura
l’intangibilità del contenuto delle offerte
(indipendentemente dalla presenza o meno del pubblico) posto
che ogni operazione compiuta risulta essere ritualmente
tracciata dal sistema elettronico senza possibilità di
alterazioni; in altri termini, è garantita non solo la
tracciabilità di tutte le fasi, ma proprio l’inviolabilità
delle buste elettroniche contenenti le offerte e
l’incorruttibilità di ciascun documento presentato»
(Consiglio di Stato Sezione V 21.11.2017 n. 5388; Consiglio
di Stato sez. III 25.11.2016 n. 4990; Consiglio di Stato
sez. III 03.10.2016 n. 4050).
Tale garanzia di trasparenza, imparzialità e
immodificabilità delle offerte nelle procedure telematiche è
tale da prevalere anche qualora nella lex specialis
l’amministrazione aggiudicatrice si sia autovincolata alla
seduta pubblica fisica, senza poi darvi seguito, in ragione
dell’irrilevanza dell’omissione (TAR Puglia, Bari, sez. III
sent. n. 1112 del 02.11.2017).
Altro aspetto positivo delle procedure di gara telematiche è
la deroga allo “stand still”, ovvero il termine
dilatorio per la stipula del contratto dei trentacinque
giorni dall’invio della comunicazione di aggiudicazione, che
non si applica, ai sensi dell’art. 32, co. 10, lett. b) nel
caso di acquisti effettuati tramite il mercato elettronico
nel sotto soglia.
Rilevante, inoltre, in termini di semplificazione la
possibilità di formalizzare il rapporto negoziale, quale
titolo giuridico che legittima il pagamento della
prestazione, nel caso di approvvigionamenti effettuati
tramite il Mepa, direttamente sulla piattaforma, mediante
sottoscrizione digitale di un contratto generato in
automatico dal sistema stesso, con disapplicazione nel caso
di forniture e servizi, ai sensi dell’art. 13 della legge n.
52/2012, dell’obbligo di richiedere i diritti di segreteria
(06.03.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
E' legittima la scelta di non invitare il gestore uscente ad
una procedura negoziata avente ad oggetto un servizio in
continuità con quello precedente.
Premesso che quello in esame è un
appalto sotto soglia e che la procedura su cui nello
specifico si controverte non è aperta, bensì negoziata, va
confermato il principio di carattere generale in virtù del
quale va riconosciuta l’obbligatorietà del principio di
rotazione per le gare di lavori, servizi e forniture negli
appalti cd. “sotto soglia”.
In particolare, il principio di rotazione -che per espressa
previsione normativa deve orientare le stazioni appaltanti
nella fase di consultazione degli operatori economici da
invitare a presentare le offerte- trova fondamento
nell’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di
posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di
vantaggio deriva dalle informazioni acquisite durante il
pregresso affidamento e non invece –come ipotizzato
dall’appellante– dalle modalità di affidamento, di tipo
“aperto”, “ristretto” o “negoziato”), soprattutto nei
mercati in cui il numero di operatori economici attivi non è
elevato.
Pertanto, anche al fine di dissuadere le pratiche di
affidamenti senza gara –tanto più ove ripetuti nel tempo–
che ostacolino l’ingresso delle piccole e medie imprese e di
favorire, per contro, la distribuzione temporale delle
opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori
potenzialmente idonei, il principio in questione comporta,
in linea generale, che ove la procedura prescelta per il
nuovo affidamento sia di tipo ristretto o “chiuso” (recte,
negoziato), l’invito all’affidatario uscente riveste
carattere eccezionale.
Rileva quindi il fatto oggettivo del precedente affidamento
in favore di un determinato operatore economico, non anche
la circostanza che questo fosse scaturito da una procedura
di tipo aperto o di altra natura.
Per l’effetto, ove la stazione appaltante intenda comunque
procedere all’invito del precedente affidatario, dovrà
puntualmente motivare tale decisione, facendo in particolare
riferimento al numero (eventualmente) ridotto di operatori
presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a
conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero al
peculiare oggetto ed alle caratteristiche del mercato di
riferimento (in tal senso, si veda anche la delibera
26.10.2016, n. 1097 dell’Autorità nazionale anticorruzione,
linee-guida n. 4).
---------------
Il motivo non può trovare accoglimento.
Premesso infatti che quello in esame è un appalto sotto
soglia e che la procedura su cui nello specifico si
controverte non è aperta, bensì negoziata, va confermato il
principio di carattere generale –su cui, da ultimi, Cons.
Stato, V, 13.12.2017, n. 5854 e VI, 31.08.2017, n. 4125– in
virtù del quale va riconosciuta l’obbligatorietà del
principio di rotazione per le gare di lavori, servizi e
forniture negli appalti cd. “sotto soglia”.
In particolare, il principio di rotazione -che per espressa
previsione normativa deve orientare le stazioni appaltanti
nella fase di consultazione degli operatori economici da
invitare a presentare le offerte- trova fondamento
nell’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di
posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di
vantaggio deriva dalle informazioni acquisite durante il
pregresso affidamento e non invece –come ipotizzato
dall’appellante– dalle modalità di affidamento, di tipo “aperto”,
“ristretto” o “negoziato”), soprattutto nei
mercati in cui il numero di operatori economici attivi non è
elevato.
Pertanto, anche al fine di dissuadere le pratiche di
affidamenti senza gara –tanto più ove ripetuti nel tempo–
che ostacolino l’ingresso delle piccole e medie imprese e di
favorire, per contro, la distribuzione temporale delle
opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori
potenzialmente idonei, il principio in questione comporta,
in linea generale, che ove la procedura prescelta per il
nuovo affidamento sia di tipo ristretto o “chiuso” (recte,
negoziato), l’invito all’affidatario uscente riveste
carattere eccezionale.
Rileva quindi il fatto oggettivo del precedente affidamento
in favore di un determinato operatore economico, non anche
la circostanza che questo fosse scaturito da una procedura
di tipo aperto o di altra natura.
Per l’effetto, ove la stazione appaltante intenda comunque
procedere all’invito del precedente affidatario, dovrà
puntualmente motivare tale decisione, facendo in particolare
riferimento al numero (eventualmente) ridotto di operatori
presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a
conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero al
peculiare oggetto ed alle caratteristiche del mercato di
riferimento (in tal senso, si veda anche la delibera
26.10.2016, n. 1097 dell’Autorità nazionale anticorruzione,
linee-guida n. 4).
Nel caso su cui si verte, dunque, la stazione appaltante
aveva solo due possibilità: non invitare il gestore uscente
o, in caso contrario, motivare attentamente le ragioni per
le quali riteneva di non poter invece prescindere
dall’invito.
La scelta di optare per la prima soluzione è dunque
legittima, né in favore della soluzione contraria valgono
considerazioni di tutela della concorrenza: invero,
l’obbligo di applicazione del principio di rotazione negli
affidamenti sotto-soglia è volto proprio a tutelare le
esigenze della concorrenza in un settore nel quale è
maggiore il rischio del consolidarsi, ancor più a livello
locale, di posizioni di rendita anticoncorrenziale da parte
di singoli operatori del settore risultati in precedenza
aggiudicatari della fornitura o del servizio.
In particolare, per effetto del principio di rotazione
l’impresa che in precedenza ha svolto un determinato
servizio non ha più alcuna possibilità di vantare una
legittima pretesa ad essere invitata ad una nuova procedura
di gara per l’affidamento di un contratto pubblico di
importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, né
di risultare aggiudicataria del relativo affidamento (ex
multis, Cons. Stato, V, 13.12.2017, n. 5854; V,
31.08.2017, n. 4142).
Neppure può trovare accoglimento l’ulteriore profilo di
censura secondo cui, nel caso di specie, il principio di
rotazione non avrebbe potuto comunque trovare applicazione
in ragione della non perfetta omogeneità tra le prestazioni
oggetto dell’affidamento e quelle in precedenza rese da Co.
s.p.a. in qualità di affidatario uscente.
Invero, la stessa circostanza che l’odierna appellante
rivendichi la propria qualità di “gestore uscente” dà
la misura dei limiti oggettivi di tale argomento, dal
momento che in tanto può avere un senso spendere nel
processo una tale circostanza, in quanto il nuovo
affidamento nel quale si intende subentrare sia
consustanziale al precedente.
In ogni caso, l’eccezione non è fondata.
Non è infatti sostenibile, alla luce delle risultanze di
causa, che l’affidamento su cui attualmente si controverte
presenti una sostanziale alterità qualitativa (ossia
afferente la natura delle prestazioni richieste) rispetto al
precedente affidamento assegnato a Co. s.p.a. nel 2016,
alterità che del resto neppure viene individuata, almeno nei
suoi contenuti essenziali, dall’appellante.
Al riguardo, non è pertinente il richiamo (a pag. 18
dell’atto di appello) fatto da Co. a quanto riportato nelle
difese della stazione appaltante, per cui “tra la prima e
la seconda gara è stato modificato, cosa di non poco conto,
l’oggetto della gara”, dal momento che le stesse non
fanno riferimento ad un’eventuale differenza tra la gara del
2016 assegnata a Co. ed a quella su cui attualmente si verte
–differenza che si sarebbe dovuto riscontrare, nell’ottica
argomentativa dell’appellante– bensì attengono, quanto alla
prima, alla procedura negoziata di cui alla determinazione
n. 112 del 15.05.2017, del tutto irrilevante in quanto di lì
a poco annullata in autotutela.
Sul punto, già nel corso del precedente grado di giudizio la
Stazione Zoologica di Napoli aveva chiarito che con la
determinazione n. 112 del 2017 era stata bandita una “procedura
negoziata per l’affidamento del servizio di portierato/reception
per la sede di Napoli, la sede di Portici ed il servizio di
ronda per il laboratorio in via ... n. 127 – Ischia”,
poi annullata d’ufficio con determina n. 143 del 14.06.2017
in ragione, tra l’altro, della ritenuta contrarietà del
bando con l’art. 51 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte
in cui la lettera di invito aveva inteso affidare, mediante
lotto unico, sia i servizi di vigilanza che i servizi di
portierato e reception, così precludendo l’accesso ai
soggetti privi di licenza ex art. 134 Tulps.
In ragione di ciò, con successiva determina n. 327 del
29.11.2017, la stazione appaltante bandiva una nuova gara
con oggetto quantitativamente ridotto rispetto alla
precedente –in ciò stava la differenza denunciata
dall’appellante– in quanto limitata al servizio di
portierato/reception per la sede di Napoli e Portici (con “stralcio”,
dunque, del servizio di ronda per il laboratorio di Ischia).
La specifica contestazione non è pertanto conferente con
l’oggetto della controversia.
Sulla questione deve comunque concludersi, in termini
generali, che –se è corretto affermare che l’applicazione
del disposto di cui all’art. 36, comma primo del d.lgs. n.
50 del 2016, proprio perché volta a tutelare la dimensione
temporale della concorrenza, logicamente presuppone una
specifica situazione di continuità degli affidamenti, tale
per cui un determinato servizio, una volta raggiunta la
scadenza contrattuale, potrebbe essere ciclicamente affidato
mediante un nuova gara allo stesso operatore– ciò non
implica però che i diversi affidamenti debbano essere ognuno
l’esatta “fotocopia” degli altri.
In breve, ciò che conta è l’identità (e continuità), nel
corso del tempo, della prestazione principale o comunque
–nel caso in cui non sia possibile individuare una chiara
prevalenza delle diverse prestazioni dedotte in rapporto
(tanto più se aventi contenuto tra loro non omogeneo)– che i
successivi affidamenti abbiano comunque ad oggetto, in tutto
o parte, queste ultime.
In questi termini di grandezza va dunque letta la norma di
legge in precedenza richiamata, ad escludere cioè che la
procedura di selezione del contraente si risolva in una mera
rinnovazione –in tutto o in parte, e comunque nei suoi
contenuti qualificanti ed essenziali– del rapporto
contrattuale scaduto, dando così luogo ad una sostanziale
elusione delle regole della concorrenza a discapito degli
operatori più deboli del mercato cui, nel tempo, sarebbe
sottratta la possibilità di accedere ad ogni prospettiva di
aggiudicazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.03.2019 n. 1524 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2019 |
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APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Rapporti
tra rotazione e acquisti extra mercato elettronico fino a
5mila euro.
Domanda
In uno degli ultimi contributi pubblicati sulla rivista si
faceva riferimento alle indicazioni espresse
sull’innalzamento della soglia (fino a 5mila euro) per cui
il RUP non ha alcun obbligo di procedere con l’acquisto
attraverso il mercato elettronico.
Vorremmo dei chiarimenti sui rapporti tra questa opzione e
il vincolo della rotazione considerato che le linee guida n.
4 dell’ANAC ammettono delle deroghe nel caso di micro
acquisti.
Risposta
Come si puntualizza nel quesito il legislatore della legge
di bilancio (legge 145/2019) ha introdotto alcune
semplificazioni in tema di procedimenti di acquisto. In
particolare, per ciò che in questa sede interessa con il
comma 130 ha modificato la legge finanziaria n. 296/2006
innalzando la soglia di “franchigia” rispetto al
generale obbligo degli acquisti di beni e servizi in ambito
sottosoglia dal mercato elettronico.
Dal primo gennaio 2019, in effetti, il RUP (in quanto
soggetto competete a proporre i procedimenti di acquisto)
potrebbe suggerire (o direttamente avviare qualora
coincidesse con la figura del dirigente/responsabile del
servizio) acquisti extra mercato per importi fino ai 5mila
euro (importi inferiori da intendersi al netto dell’IVA).
La determinazione di affidamento (e già prima, se il
procedimento non si sostanziasse in un affidamento diretto)
non richiede neppure particolari motivazioni considerato che
è intervenuta nel caso di specie una “prevalutazione”
del legislatore.
Ciò che il RUP deve evitare, evidentemente, è da un lato il
frazionamento della commessa (entro l’anno finanziario) nel
secondo caso chiarire i rapporti con la rotazione.
A sommesso avviso, nel momento in cui il RUP procedesse con
un acquisto extra mercato elettronico deve aver presente il
fabbisogno dell’anno. Pertanto, se ha cognizione modo
dettagliato del fabbisogno e questo superasse l’importo di
cui si parla non è corretto –ad avviso di chi scrive–
frazionare l’acquisto perché azione corretta è quella di
procedere con una gara (pur informale, pur nei termini di
una procedura negoziata semplificata o, ancora, in una
procedura aperta). Qualora, nonostante quanto appena
evidenziato, il RUP di determinasse con l’utilizzo
dell’opzione è chiaro che la stessa non potrà essere
reiterata per violazione della norma.
Con riferimento ai rapporti con la rotazione il RUP a
sommesso parere, deve rammentare che la rotazione
costituisce criterio cardine dal quale ci si può discostare
solo con adeguata motivazione (al netto delle previsioni di
deroga entro i mille euro). Pertanto si tratta di assunzione
di precise responsabilità. Nel caso di un primo acquisto
entro i 5mila euro e poi successiva procedura negoziata
semplificata, il problema è quello se si possa o meno
invitare il primo affidatario.
Ciò può avvenire solamente con adeguata motivazione nella
determina a contrattare. Problemi non si pongono nel caso in
cui la competizione risulti formalmente (con una adeguato
avviso pubblico). È bene rammentare, infine, che l’ANAC nel
sottoporre a consultazione la modifica delle linee guida n.
4 (in funzione di adeguamento alle modifiche apportate dalla
legge di bilancio 145/2018) ha richiesto agli stakeholders
riflessioni anche su questo aspetto ovvero sui rapporti tra
rotazione e acquisti extra mercato elettronico fino a 5mila
euro con alcune considerazioni.
Sotto si riporta integralmente la puntualizzazione espressa
dall’autorità anticorruzione (e le preoccupazioni di una
eventuale deroga al criterio dell’alternanza: “Altra
esigenza di modifica che deriva dalla novella introdotta con
la richiamata legge di bilancio potrebbe attenere alla
soglia di rilevanza individuata per il ricorso alla
rotazione. Al punto 3.7 delle Linee guida n. 4, è stabilito
che negli affidamenti di importo inferiore a 1.000 euro, è
consentito derogare all’applicazione del principio di
rotazione, con scelta, sinteticamente motivata, contenuta
nella determinazione a contrarre o in atto equivalente. La
soglia scelta per la suddetta deroga era stata individuata
con riferimento alla soglia prevista dalla normativa vigente
per il ricorso al mercato elettronico della pubblica
amministrazione, ad altri mercati elettronici istituiti ai
sensi del medesimo articolo 328 o al sistema telematico
messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento
per lo svolgimento delle relative procedure. Il comma 130
dell’art. 1 della citata legge 145/2018 prevede la modifica
dell’articolo 1, comma 450, della legge 27.12.2006, n. 296,
con innalzamento della relativa soglia a 5.000 euro.
Andrebbe pertanto valutata l’opportunità di innalzare a
5.000 euro anche la soglia introdotta nelle Linee guida n. 4
con riferimento all’obbligo di rotazione. Tale modifica
comporterebbe sicuramente una semplificazione, ma al tempo
stesso, avrebbe un impatto significativo su un numero
estremamente elevato di affidamenti di piccolo importo
(sarebbe circa 4 milioni il numero medio annuo di
affidamenti di importo inferiore a 5.000 euro)” (27.02.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Diniego di iscrizione nella white list di società che ha
costituito associazione antiraket.
---------------
●
Informativa antimafia - White list – Iscrizione – Verifica
presupposti - Criteri – Gli stessi criteri che presiedono
l’informativa antimafia
●
Informativa antimafia - White list – Iscrizione – Diniego -
Per infiltrazione mafiosa – Società che ha costituito
associazione antiraket – Irrilevanza ex se.
●
Il diniego di iscrizione nell'elenco dei fornitori,
prestatori di servizi ed esecutori (white list) non soggetti
a tentativo di infiltrazione mafiosa é disciplinato dagli
stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in
quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia
dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra
le imprese e del buon andamento della Pubblica
amministrazione (1).
●
Non è ostativo al diniego di iscrizione alla
whait liste la circostanza che la società che ha presentato
la relativa istanza abbia costituito una associazione
antiracket (2).
---------------
(1)
Cons. St., sez. I, 01.02.2019, n. 337; id.
21.09.2018, n. 2241.
Ha chiarito la Sezione (24.01.2018,
n. 492) che le disposizioni relative
all'iscrizione nella cd. white list formano un corpo
normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per
le relative misure antimafia (comunicazioni ed
informazioni), tanto che, come chiarisce l'art. 1, comma
52-bis, l. n. 190 del 2012, introdotto dall'art. 29, comma
1, d.l. n. 90 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla
l. n. 114 del 2014, "l'iscrizione nell'elenco di cui al
comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell'informazione
antimafia liberatoria anche ai fini della stipula,
approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti
relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è
stata disposta"; “l'unicità e l'organicità del
sistema normativo antimafia vietano all'interprete una
lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due
sottosistemi -quello della cd. white list e quello delle
comunicazioni antimafia- che, limitandosi ad un criterio
formalisticamente letterale e di cd. stretta
interpretazione, renda incoerente o addirittura vanifichi il
sistema dei controlli antimafia”.
Anche in relazione al diniego di iscrizione nella white list
–iscrizione che presuppone la stessa accertata
impermeabilità alla criminalità organizzata– è sufficiente
il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di
indizi tale da rendere logicamente attendibile la
presunzione dell’esistenza di un condizionamento da parte
della criminalità organizzata.
Ha aggiunto la Sezione che la normativa antimafia è
espressione della potestà di cui all’art. 117, comma 1,
lett. h) …. “ordine pubblico e sicurezza” ed e) … “tutela
della concorrenza…” Cost., in relazione all’art. 1 del
Protocollo addizionale 1 alla CEDU, sul presupposto che la
formula elastica adottata dal legislatore per la disciplina
delle interdittive antimafia –che consente di procedere in
tal senso anche solo su base indiziaria– deve ritenersi
quale corretto bilanciamento dei valori coinvolti. Infatti,
se da una parte è opportuno fornire adeguata tutela alla
libertà di esercizio dell’attività imprenditoriale,
dall’altra non può che considerarsi preminente l’esigenza di
salvaguardare l’interesse pubblico al presidio del sistema
socio-economico da qualsivoglia inquinamento mafioso (Cons.
St., sez. III, 09.10.2018, n. 5784).
Non vi sono dubbi che l’esigenza di tutela della libertà di
tutti i cittadini e di salvaguardia della convivenza
democratica sono finalità perfettamente coincidenti con i
principi della CEDU, ed anche la formula “elastica”
adottata dal legislatore nel disciplinare l’informativa
interdittiva antimafia su base indiziaria ha il suo
fondamento nella ragionevole esigenza del bilanciamento tra
la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41
Cost. e l’interesse pubblico alla salvaguardia dell’ordine
pubblico e alla prevenzione dei fenomeni mafiosi che, del
resto, mediante l’infiltrazione nel tessuto economico e nei
mercati, compromettono anche –oltre alla sicurezza pubblica–
il valore costituzionale di libertà economica,
indissolubilmente legato alla trasparenza e alla corretta
competizione nelle attività con cui detta libertà si
manifesta in concreto nei rapporti tra soggetti
dell’ordinamento.
Ha ancora chiarito la Sezione (n. 5784 del 2018) che per
quanto poi concerne la "presunzione di non colpevolezza",
il giudizio, fondato secondo il criterio del "più
probabile che non", costituisce un regola che si palesa
"consentanea alla garanzia fondamentale della presunzione
di non colpevolezza", di cui all’art. 27, comma 2, Cost.,
cui è ispirato anche il punto 2 del citato art. 6 CEDU, in
quanto "non attiene ad ipotesi di affermazione di
responsabilità penale" (Cass. civ., sez. I, 30.09.2016,
n. 19430).
Da molto tempo, infatti, le consorterie di tipo mafioso
hanno esportato fuori dai tradizionali territori di origine
l’uso intimidatorio della violenza ed hanno creato vere e
proprie holding. Si tratta di quelle aree opache nelle quali
notoriamente i proventi di attività illecite vengono
reinvestiti in imprese formalmente estranee (perché
intestate a prestanome “puliti”) e dispersi in una
miriade di società collegate da vincoli di vario tipo con
l’organizzazione criminale.
Il legislatore, allontanandosi dal modello della repressione
penale, ha conseguentemente impostato l'interdittiva
antimafia come strumento di interdizione e di controllo
sociale, al fine di contrastare le forme più subdole di
aggressione all'ordine pubblico economico, alla libera
concorrenza ed al buon andamento della Pubblica
amministrazione. Il carattere preventivo del provvedimento
prescinde, quindi, dall'accertamento di singole
responsabilità penali, essendo il potere esercitato dal
Prefetto espressione della logica di anticipazione della
soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una
tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della
criminalità organizzata (Cons.
St., sez. III, 30.01.2015, n. 455;
23.02.2015, n. 898).
(2) Ha affermato la Sezione che la costituzione di una associazione
antiracket è un nuovo strumento utilizzato dalla mafia per
insinuarsi nell’economia del Paese: accreditarsi l’opinione
pubblica e le forze dell’ordine, passando per vittima della
criminalità organizzata, di cui, invece, si muovono le fila.
Passare per vittima di un reato può essere un ottimo
espediente per celare di essere, invece, tra i mandanti
dello stesso (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 20.02.2019 n. 1182 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Misure per Antiriclaggio e prevenzione della corruzione: un
possibile collegamento?
Domanda
La nuova normativa in materia di antiriclaggio obbliga il
comune al collegamento con il sistema anticorruzione
dell’Ente e quindi all’introduzione di specifiche
disposizioni all’interno del PTPCT?
Risposta
Il 19.11.2018 sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale
n. 269 le “istruzioni sulla comunicazione di dati e
informazioni concernenti le operazioni sospette da parte
degli uffici delle pubbliche amministrazioni”, del
23.04.2018, dell’Unità di Informazione Finanziaria per
l’Italia (UIF) istituita presso la Banca d’Italia.
Con esse sono state dettate specifiche linee guida per le
pubbliche amministrazioni, chiamate ad adottare le
necessarie procedure interne per l’attuazione delle misure
di antiriciclaggio. In particolare sono stati definiti
quegli specifici indicatori di anomalia nel contesto della
pubblica amministrazione, la cui mancanza aveva determinato,
fino ad oggi, le principali difficoltà nell’applicazione
della vigente normativa di settore, il d.lgs. 21.11.2007, n.
231.
Quest’ultimo, come di recente modificato dal d.lgs.
25.05.2017, n. 90, prevedeva infatti all’art. 10, comma 4,
che la UIF adottasse, al fine di consentire lo svolgimento
di analisi finanziarie mirate a far emergere fenomeni di
riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, apposite
istruzioni recanti “i dati e le informazioni da
trasmettere, le modalità e i termini della relativa
comunicazione nonché gli indicatori per agevolare la
rilevazione delle operazioni sospette”.
Con l’entrata in vigore del decreto legislativo 90/2017, il
raggio di azione entro il quale le pubbliche amministrazioni
possono muoversi, effettuando i dovuti controlli e
l’eventuale comunicazione alla UIF, è stato circoscritto
alle specifiche aree di competenza richiamate all’art. 10,
comma 1, del d.lgs. 231/2017:
a) procedimenti finalizzati all’adozione di provvedimenti di
autorizzazione o concessione;
b) procedure di scelta del contraente per l’affidamento di lavori,
forniture e servizi secondo le disposizioni di cui al codice
dei contratti pubblici;
c) procedimenti di concessione ed erogazione di sovvenzioni,
contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzioni
di vantaggi economici di qualunque genere a persone fisiche
ed enti pubblici e privati.
Con riferimento a ciascuno dei suddetti ambiti –che è bene
notare– coincidono perfettamente con i settori a maggior
rischio corruttivo individuati dalla legge “anticorruzione”
della legge Severino (legge 06.11.2012, n. 190), la UIF,
nelle proprie istruzioni, detta specifici indicatori di
anomalia connessi:
a) con l’identità o il comportamento del soggetto a cui è riferita
l’operazione;
b) con le modalità di esecuzione delle operazioni, e declinati per:
– il settore appalti e contratti pubblici
– il settore finanziamenti pubblici
– il settore immobili e commercio.
Le pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 10, comma
4, del decreto legislativo 231/2017, “nel quadro dei
programmi di formazione continua del personale realizzati in
attuazione dell’articolo 3 del decreto legislativo
01.12.2009, n. 178, adottano misure idonee ad assicurare il
riconoscimento, da parte dei propri dipendenti delle
fattispecie meritevoli di essere comunicate ai sensi del
presente articolo.”
Codifica di aree e procedimenti a rischio, individuazione di
un responsabile (qui antiriciclaggio, alias “gestore”),
formazione tecnica del personale, obbligo di comunicazioni
ad un’autorità centrale, indicatori di comportamenti
illeciti: sono tanti i punti di contatto che avvicinano la
normativa “antiriciclaggio” a quella dell’“anticorruzione”
della legge Severino.
Ciò fa, conseguentemente, propendere per una gestione ed un
coordinamento unitario degli adempimenti di legge, richiesti
dal legislatore nei due diversi ambiti; con la possibilità
di arricchire il piano di prevenzione della corruzione e
della trasparenza di una nuova sezione, i cui contenuti
potrebbero ben intrecciarsi ai principi del risk
assessment e risk management, sui quali muove
l’intero PTPCT.
Per rispondere al quesito, è bene rilevare, comunque, che
nessun obbligo di collegamento è previsto dalla legge,
essendo, quindi, lasciato all’ente la possibilità di
definire i confini e le modalità per l’effettuazione del
controllo sul riciclaggio e sul finanziamento al terrorismo.
Il legislatore non ha, peraltro, stabilito per le pubbliche
amministrazioni alcuna sanzione per mancata attuazione delle
disposizioni “antiriciclaggio”; è unicamente previsto
all’art. 10, comma 6, d.lgs. 231/2007, che l’inosservanza
delle norme assume rilievo ai fini dell’articolo 21, comma
1-bis, del d.lgs. 30.03.2001, n. 165, determinandosi
responsabilità dirigenziale con conseguente eventuale
decurtazione dell’indennità di risultato.
Per concludere, ciò che è valso e vale per l’applicazione
della legge “anticorruzione” vale per la materia
dell’“antiriciclaggio”: solo una forte volontà
politica degli organi di indirizzo e di governo delle
pubbliche amministrazioni –che, eventualmente, giochino
anche la carta delle complementarietà delle disposizioni
normative– può consentire una piena attuazione degli utili
strumenti messi a disposizione dal legislatore (19.02.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Giurisdizione giudice amministrativo nella controversia per
l’annullamento della revoca dell’autorizzazione al subentro
dell’esecutrice di lavori.
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Giurisdizione – Contratti della Pubblica amministrazione
– Subentro – Autorizzazione – Revoca – Impugnazione –
Giurisdizione giudice amministrativo.
La domanda di annullamento della
revoca dell’autorizzazione al subentro dell’esecutrice di
lavori rientra nell’ambito della giurisdizione di
legittimità del giudice amministrativo, secondo quanto
disposto dal comma 1 dell’art. 7 c.p.a., costituendo la
revoca espressione di un potere amministrativo autoritativo,
frutto di una valutazione tipicamente amministrativa (1).
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(1) Ha aggiunto il Tar che ugualmente rientra nell’ambito della
giurisdizione amministrativa la relativa domanda
risarcitoria.
Non sussiste, invece, la giurisdizione amministrativa con
riguardo alla richiesta di risarcimento del danno formulata
nei confronti dei convenuti funzionari comunali sussistendo
la giurisdizione del giudice ordinario, in base a quanto
affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione, nel loro ruolo di giudice dei conflitti
di giurisdizione ex art. 111, ultimo comma, Cost., a partire
dall’ordinanza n. 13659 del 2006, secondo cui “ai fini
della risoluzione del problema processuale non rileva
stabilire se il F. abbia agito quale organo dell'Università,
ovvero, a causa del perseguimento di finalità private, si
sia verificata la cd. "frattura" del rapporto organico.
Nell'uno, come nell'altro caso, l'azione risarcitoria è
proposta nei confronti del funzionario in proprio, e,
quindi, nei confronti di un soggetto privato, distinto
dall'amministrazione, con la quale, al più, può risultare
solidalmente obbligato (art. 28 Cost.). La questione di
giurisdizione, infatti, dalla quale esulano le altre sopra
accennate, va risolta esclusivamente sulla base dell'art.
103 Cost., che non consente di ritenere che il giudice
amministrativo possa conoscere di controversie di cui non
sia parte una pubblica amministrazione, o soggetti ad essa
equiparati”.
Tale lettura è stata di recente confermata anche
dall’ordinanza n. 19677 del 2016, con cui le SS.UU. della
Corte di Cassazione, nel richiamare l’ordinanza del 2006 e
quelle n. 5914 del 2008, n. 11932 del 2010 e n. 5408 del
2014, hanno ribadito che “presupposto della giurisdizione
amministrativa secondo la Carta costituzionale è, …omissis…,
che la tutela giurisdizionale coinvolgente le situazioni
giuridiche nella giurisdizione di legittimità ed in quella
esclusiva debba avere luogo con la partecipazione in
posizione attiva o passiva della pubblica amministrazione o
del soggetto che, pur non facendo parte dell'apparato
organizzatorio di essa, eserciti le attribuzioni
dell'Amministrazione, così ponendosi come pubblica
amministrazione in senso oggettivo”, e hanno rilevato
che “il profilo della giurisdizione amministrativa in
questi termini trova conferma nel codice del processo
amministrativo, atteso che, …omissis…, l'art. 7, comma 1,
nell'individuare la giurisdizione del giudice amministrativo
sulle controversie nelle quali si faccia questione di
interessi legittimi e, nelle particolari materie, di diritti
soggettivi, riferisce tali controversie a ‘l'esercizio o il
mancato esercizio del potere amministrativo’ e le dice
riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti
riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale
potere, posti in essere da pubbliche
amministrazioni…omissis… Tale precisazione evidenzia in modo
indubitabile che la controversia riguarda quelle forme di
esercizio del potere in quanto poste in essere
dall'Amministrazione, il che non lascia dubbi sul fatto che
soggettivamente la controversia esige che una delle parti
sia la pubblica amministrazione e l'altra il soggetto che
faccia la questione sull'interesse legittimo o sul diritto
soggettivo. Il dubbio sulla possibilità che la controversia
possa riguardare la lesione di interessi legittimi o di
diritti soggettivi fra tale soggetto e colui che agisca per
l'Amministrazione con nesso di rappresentanza organica è,
pertanto, chiaramente fugato. Lo è ancora di più quando si
legge il comma 2 dello stesso articolo, là dove esso
proclama che per pubbliche amministrazioni, ai fini del
presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse
equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del
procedimento amministrativo: è nuovamente palese che ci si
riferisce al profilo oggettivo della pubblica
amministrazione o di chi ad essa è equiparato” (Tar
Veneto, sez. III, 28.08.2018, n. 871) (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 14.02.2019 n. 847 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La Corte di giustizia UE ritiene legittima la disciplina
processuale dell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. a condizione
che i vizi degli atti siano conoscibili dagli interessati.
La Corte di giustizia UE afferma la compatibilità con il
diritto europeo della disciplina processuale nazionale
relativa alla immediata impugnazione, entro un breve termine
decadenziale, delle ammissioni ed esclusioni dalle procedure
di gara (art. 120, comma 2-bis, c.p.a.), a condizione che i
vizi di legittimità degli atti siano conoscibili dagli
interessati:
●
CURIA -
ordinanza C-54/18;
●
Corte giust. comm. ue, Sez. IV,
ordinanza 14.02.2019, C-54/18
(commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
La Corte di giustizia UE afferma la compatibilità con il
diritto europeo della disciplina processuale nazionale
relativa alla immediata impugnazione, entro un breve termine
decadenziale, delle ammissioni ed esclusioni dalle procedure
di gara (art. 120, comma 2-bis, c.p.a.), a condizione che i
vizi di legittimità degli atti siano conoscibili dagli
interessati.
---------------
Corte di giustizia dell’Unione europea, Sez. IV,
ordinanza 14.02.2019, C- 54/18 – Cooperativa
Animazione Valdocco
...
●
Giustizia amministrativa – Contratti pubblici – Rito
speciale in materia di ammissioni ed esclusioni – Onere di
immediata impugnazione – Termine di trenta giorni dalla
comunicazione – Legittimità – Condizioni.
●
Giustizia amministrativa – Contratti pubblici – Rito
speciale in materia di ammissioni ed esclusioni – Onere di
immediata impugnazione dell’ammissione di altri concorrenti
– Termine di trenta giorni dalla comunicazione – Preclusione
alla successiva contestazione delle ammissioni – Legittimità
– Condizioni.
●
La direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989, che
coordina le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative relative all’applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici
di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva
2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
26.02.2014, e in particolare i suoi articoli 1 e 2-quater,
letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretata
nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come
quella di cui trattasi nel procedimento principale, che
prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle
amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o
esclusione dalla partecipazione alle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere
proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni
a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a
condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano
accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da
garantire che detti interessati siano venuti o potessero
venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione
dagli stessi lamentata (1).
●
La direttiva 89/665, come modificata dalla
direttiva 2014/23, e in particolare i suoi articoli 1 e
2-quater, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere
interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa
nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento
principale, che prevede che, in mancanza di ricorso contro i
provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti
ammissione degli offerenti alla partecipazione alle
procedure di appalto pubblico entro un termine di decadenza
di 30 giorni dalla loro comunicazione, agli interessati sia
preclusa la facoltà di eccepire l’illegittimità di tali
provvedimenti nell’ambito di ricorsi diretti contro gli atti
successivi, in particolare avverso le decisioni di
aggiudicazione, purché tale decadenza sia opponibile ai
suddetti interessati solo a condizione che essi siano venuti
o potessero venire a conoscenza, tramite detta
comunicazione, dell’illegittimità dagli stessi lamentata
(2).
---------------
(1-2) I. – Con l’ordinanza in rassegna (in
www.lamministrativista.it del 19.02.2019, con nota di S.
TRANQUILLI) la Corte di giustizia dell’UE –chiamata a
pronunciarsi in sede di rinvio pregiudiziale dal
Tar per il Piemonte, sez. I, con l’ordinanza 17.01.2018, n.
88 (in Foro. It., 2018, III, 85, nonché oggetto
della
News US in data 01.02.2018,)– ha ritenuto non in
contrasto con il diritto europeo la disciplina processuale
interna che impone la immediata impugnazione, entro un
termine decadenziale, delle ammissioni ed esclusioni dalle
procedure di gara, a condizione però che tali provvedimenti
siano conosciuti o conoscibili dagli interessati, così che
gli stessi possano apprezzarne gli eventuali profili di
illegittimità, anche rispetto al diritto europeo.
II. – La fattispecie che ha portato al rinvio pregiudiziale, da
parte del Tar per il Piemonte, alla Corte di giustizia UE
può essere così sintetizzata:
− un Consorzio intercomunale per la gestione di servizi sociali ha
bandito una gara per l’affidamento del servizio di
assistenza domiciliare, da aggiudicare con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, alla quale
hanno partecipato otto concorrenti;
− la stazione appaltante ha pubblicato sul profilo del committente
e comunicato individualmente agli operatori economici l’atto
di ammissione dei concorrenti alla procedura, ha poi svolto
la procedura selettiva ed ha quindi aggiudicato la gara alla
prima graduata;
− l’impresa seconda graduata, che non aveva posto in essere alcuna
impugnativa dell’atto di ammissione dei concorrenti alla
procedura, ha gravato l’aggiudicazione davanti al Tar per il
Piemonte, proponendo censure avverso gli atti di gara e
l’aggiudicazione e lamentando altresì la mancata esclusione
del RTI risultato aggiudicatario, per assenza in capo alle
ditte mandanti di requisiti di partecipazione; in
particolare la ricorrente ha contestato: la presentazione da
parte del RTI aggiudicatario di una cauzione provvisoria di
importo inferiore a quanto previsto dalla normativa di gara,
ritenendo che sul punto non fosse peraltro attivabile il
soccorso istruttorio (1° motivo); la carenza in capo a due
mandanti del RTI di requisiti di fatturato nella misura
richiesta (2° e 3° motivo); attribuzione dei punteggi in
relazione all’offerta tecnica dell’aggiudicatario (4°
motivo); il mancato svolgimento della verifica di anomalia
(5° motivo) e, infine, l’illegittima composizione della
commissione di gara (6° motivo);
− sono stati presentati motivi aggiunti, che riproducono
sostanzialmente le censure già articolate nel ricorso
introduttivo del giudizio, mentre non risulta proposto
ricorso incidentale;
− la stazione appaltante e il controinteressato hanno eccepito la
irricevibilità del ricorso, in quanto proposto avverso
l’aggiudicazione definitiva, mentre, vertendo su questioni
di ammissione alla procedura, avrebbe dovuto essere proposto
entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione dell’atto
di ammissione dei concorrenti alla gara, ai sensi dell’art.
120, comma 2-bis, c.p.a.;
− il Tar ha pronunciato sentenza non definitiva nella quale ha, in
primo luogo, esaminato e respinto le censure avverso le
operazioni di gara e l’aggiudicazione, in particolare
ritenendo infondati i motivi 1°, 4°, 5° e 6° sopra indicati;
passando poi all’esame dei motivi 2° e 3°, attinenti alla
carenza in capo a società mandanti del RTI di requisiti di
fatturato specifico richiesti a pena di esclusione per
partecipare alla procedura di gara, il collegio, dopo aver
premesso che l’applicazione dell’art. 120, comma 2 bis,
c.p.a. avrebbe condotto in relazione a dette doglianze alla
declaratoria di irricevibilità per tardività del ricorso, ha
stabilito di procedere, con separata ordinanza, al rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, con conseguente
sospensione del giudizio, ritenendo rilevante e decisiva la
questione di compatibilità della suddetta normativa con il
diritto europeo;
− dando seguito a quanto previsto nella sentenza non definitiva,
con l’ordinanza n. 88 del 17.01.2018 il Tar per il Piemonte,
sez. I, ha quindi rimesso la questione di compatibilità
comunitaria alla Corte UE.
In particolare il Tar ha posto alla Corte di giustizia UE i
seguenti quesiti interpretativi:
a) “se la disciplina europea in materia di
diritto di difesa, di giusto processo e di effettività
sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli 6 e 13
della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della
Direttiva, ostino ad una normativa nazionale, quale l’art.
120, comma 2-bis, c.p.a., che impone all’operatore che
partecipa ad una procedura di gara di impugnare
l’ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto, entro
il termine di 30 giorni dalla comunicazione del
provvedimento con cui viene disposta l’ammissione/esclusione
dei partecipanti”;
b) “se la disciplina europea in materia di
diritto di difesa, di giusto processo e di effettività
sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli 6 e 13
della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della
Direttiva, osti ad una normativa nazionale quale l’art. 120,
comma 2-bis, c.p.a., che preclude all’operatore economico di
far valere, a conclusione del procedimento, anche con
ricorso incidentale, l’illegittimità degli atti di
ammissione degli altri operatori, in particolare
dell’aggiudicatario o del ricorrente principale, senza aver
precedentemente impugnato l’atto di ammissione nel termine
suindicato”.
III. – Nell’ordinanza in rassegna la Corte di giustizia UE
giunge alla elaborazione delle massime riportate sulla base
del seguente percorso argomentativo:
− sulla prima questione:
c) ai sensi dell'art. 2-quater della direttiva
89/665, gli Stati membri possono stabilire termini per
presentare un ricorso avverso una decisione presa da
un'amministrazione aggiudicatrice nel quadro di una
procedura di aggiudicazione di un appalto disciplinata dalla
direttiva 2014/24, aggiungendo che il termine in parola deve
essere di almeno dieci giorni civili dal giorno successivo
all’invio della comunicazione, se la spedizione è avvenuta
per fax o per via elettronica, oppure di almeno quindici
giorni, se la spedizione è avvenuta con altri mezzi di
comunicazione o di almeno dieci giorni civili a decorrere
dal giorno successivo alla data di ricezione della decisione
dell'amministrazione aggiudicatrice, precisando altresì che
la comunicazione della decisione dell'amministrazione
aggiudicatrice ad ogni offerente o candidato è accompagnata
da una relazione sintetica dei motivi pertinenti;
d) dallo stesso tenore letterale dell'art. 2-quater della
direttiva 89/665 si evince quindi che un termine di 30
giorni, come quello di cui trattasi nel procedimento
principale, in cui i ricorsi contro i provvedimenti delle
amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o
esclusione dalla partecipazione alle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalla
direttiva 2014/24 devono essere proposti, a decorrere dalla
loro comunicazione alle parti interessate, a pena di
decadenza, è, in linea di principio, compatibile con il
diritto dell'Unione, a condizione che tali provvedimenti
siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti;
e) l’art. 1, par. 1, della direttiva 89/665 impone agli
Stati membri l'obbligo di garantire che le decisioni prese
dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto
di un ricorso efficace e quanto più rapido possibile:
e1) la fissazione di termini di ricorso a pena di decadenza
consente di realizzare l'obiettivo di celerità perseguito
dalla direttiva 89/665, obbligando gli operatori a
contestare entro termini brevi i provvedimenti preparatori o
le decisioni intermedie adottate nell'ambito del
procedimento di aggiudicazione di un appalto;
e2) nel definire le modalità procedurali dei ricorsi
giurisdizionali gli Stati membri devono garantire che non
sia compromessa né l'efficacia della direttiva 89/665 né i
diritti conferiti ai singoli dal diritto dell'Unione, in
particolare il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice
imparziale, sancito dall'articolo 47 della Carta, il che
presuppone che i termini prescritti per proporre siffatti
ricorsi inizino a decorrere solo dalla data in cui il
ricorrente abbia avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza
dell'asserita violazione di dette disposizioni;
f) ne consegue che una normativa nazionale, come quella di
cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che i
ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni
aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla
partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di
decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla
loro comunicazione agli interessati è compatibile con la
direttiva 89/665 solo a condizione che i provvedimenti in
tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei
motivi pertinenti, tale da garantire che i suddetti
interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza
della violazione del diritto dell'Unione dagli stessi
lamentata;
g) il giudice del rinvio osserva tuttavia che l'offerente
che intenda impugnare un provvedimento di ammissione di un
concorrente deve proporre il proprio ricorso entro un
termine di 30 giorni a decorrere dalla sua comunicazione,
vale a dire in un momento in cui egli spesso non è in grado
di stabilire se abbia realmente interesse ad agire, non
sapendo se alla fine il suddetto concorrente sarà
l'aggiudicatario oppure se sarà egli stesso nella posizione
di ottenere l'aggiudicazione; occorre rammentare al riguardo
che:
g1) l'art. 1, par. 3, della direttiva 89/665 impone agli
Stati membri di garantire che le procedure di ricorso siano
accessibili, secondo modalità che gli Stati membri possono
determinare, per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto
interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato
appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una
presunta violazione;
g2) quest'ultima disposizione è applicabile, segnatamente,
alla situazione di qualunque offerente che ritenga che un
provvedimento di ammissione di un concorrente a una
procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico sia
illegittimo e rischi di cagionargli un danno, in quanto
simile rischio è sufficiente a giustificare un immediato
interesse ad impugnare detto provvedimento,
indipendentemente dal pregiudizio che può inoltre derivare
dall' assegnazione dell'appalto ad un altro candidato;
g3) la decisione di ammettere un offerente a una procedura
d'appalto configura un atto che, in forza dell'art. 1, par.
1, e dell'art. 2, par. 1, lett. b), della direttiva 89/665,
può costituire oggetto di ricorso giurisdizionale autonomo;
− sulla seconda questione:
h) la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso
che essa non osta, in linea di principio, ad una normativa
nazionale che prevede che ogni ricorso avverso una decisione
dell'amministrazione aggiudicatrice debba essere proposto
nel termine all'uopo previsto e che qualsiasi irregolarità
del procedimento di aggiudicazione invocata a sostegno di
tale ricorso vada sollevata nel medesimo termine a pena di
decadenza talché, scaduto tale termine, non sia più
possibile impugnare detta decisione o eccepire la suddetta
irregolarità, purché il termine in parola sia ragionevole;
i) tale interpretazione è fondata sulla considerazione
secondo cui la realizzazione completa degli obiettivi
perseguiti dalla direttiva 89/665 sarebbe compromessa se ai
candidati e agli offerenti fosse consentito far valere, in
qualsiasi momento del procedimento di aggiudicazione,
infrazioni alle norme di aggiudicazione degli appalti,
obbligando quindi l'amministrazione aggiudicatrice a
ricominciare l'intero procedimento al fine di correggere
tali infrazioni; un comportamento del genere, potendo
ritardare senza una ragione obiettiva l'avvio delle
procedure di ricorso che la direttiva 89/665 impone agli
Stati membri di porre in essere, è tale da nuocere
all'applicazione effettiva delle direttive dell'Unione in
materia di aggiudicazione degli appalti pubblici;
j) ne discende che la direttiva 89/665, e in modo del tutto
particolare il suo art. 2-quater, deve essere interpretata
nel senso che essa non osta, in linea di principio, a che,
in difetto di un ricorso avverso una decisione di un'
amministrazione aggiudicatrice entro il termine di 30 giorni
previsto dalla normativa italiana, non sia più possibile per
un offerente eccepire l'illegittimità di tale decisione
nell'ambito di un ricorso diretto contro un atto successivo;
k) non può tuttavia escludersi che, in particolari
circostanze o in considerazione di talune delle loro
modalità, l’applicazione delle norme di decadenza possa
pregiudicare i diritti conferiti ai singoli dal diritto
dell'Unione, segnatamente il diritto a un ricorso effettivo
e a un giudice imparziale, sancito dall'articolo 47 della
Carta:
k1) ciò accade quando le norme di decadenza stabilite dal
diritto nazionale siano applicate in modo tale che
l'accesso, da parte di un offerente, ad un ricorso avverso
una decisione illegittima gli sia negato, sebbene egli,
sostanzialmente, non potesse essere a conoscenza di detta
illegittimità se non in un momento successivo alla scadenza
del termine di decadenza;
k2) d’altra parte ricorsi efficaci contro le violazioni
delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici possono essere unicamente garantiti
qualora i termini imposti per proporre tali ricorsi inizino
a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente abbia avuto
o avrebbe dovuto avere conoscenza della presunta violazione
di dette disposizioni;
l) spetta al giudice del rinvio verificare se, nelle
circostanze di cui al procedimento principale, l’impresa
ricorrente sia effettivamente venuta o sarebbe potuta venire
a conoscenza, grazie alla comunicazione da parte
dell'amministrazione aggiudicatrice del provvedimento di
ammissione del raggruppamento temporaneo di imprese
aggiudicatario, ai sensi dell'articolo 29 del codice dei
contratti pubblici, dei motivi di illegittimità del suddetto
provvedimento dalla stessa lamentati, vertenti sul mancato
deposito di una cauzione provvisoria dell'importo richiesto
e sull'omessa dimostrazione della sussistenza dei requisiti
di partecipazione, e se essa sia stata quindi posta
effettivamente in condizione di proporre un ricorso entro il
termine di decadenza di 30 giorni di cui all'articolo 120,
comma 2-bis, del codice del processo amministrativo:
l1) detto giudice deve in
particolare garantire che, nelle circostanze del
procedimento principale, l'applicazione combinata delle
disposizioni dell'art. 29 e dell'art 53, commi 2 e 3, del
codice dei contratti pubblici, che disciplinano l'accesso
alla documentazione delle offerte e la sua divulgazione, non
escludesse del tutto la possibilità per la ricorrente di
venire effettivamente a conoscenza dell'illegittimità del
provvedimento di ammissione del raggruppamento di imprese
aggiudicatario dalla stessa lamentata e di proporre un
ricorso, a decorrere dal momento in cui la medesima ne ha
avuto conoscenza, entro il termine di decadenza di cui
all'articolo 120, comma 2-bis, c.p.a.;
l2) il giudice nazionale deve fornire alla normativa interna
che è chiamato ad applicare un'interpretazione conforme agli
obiettivi della direttiva 89/665; qualora tale
interpretazione non sia possibile, esso deve disapplicare le
disposizioni nazionali contrarie a tale direttiva, dal
momento che l'art. 1, par. 1, della stessa è incondizionato
e sufficientemente preciso per essere fatto valere nei
confronti di un'amministrazione aggiudicatrice.
IV. – Per completezza si segnala quanto segue:
m) sul rito super accelerato dell’art. 120, comma 2-bis,
c.p.a. in dottrina si segnalano in particolare i seguenti
scritti: M.A. SANDULLI, Nuovi limiti al diritto di difesa
introdotti dal d.lgs. n. 50 del 2016 in contrasto con il
diritto eurounitario e la Costituzione in
www.lamministrativista.it 04.05.2016; M. LIPARI, La tutela
giurisdizionale e “precontenziosa” nel nuovo codice
dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016) in
Federalismi.it 11.05.2016; G. VELTRI, Il contenzioso nel
nuovo codice dei contratti pubblici: alcune riflessioni
critiche in Giustizia amministrativa – Dottrina 26.05.2016;
G. SEVERINI, Il nuovo contenzioso sui contratti pubblici, in
Giustamm.it, giugno 2016, che sottolinea la necessità di
rimediare alla ipertrofia di un contezioso postumo e
retrospettivo incentrato sulla presenza in limine dei
requisiti partecipativi; R. CAPONIGRO, Il rapporto tra
tutela della concorrenza e interesse alla scelta del miglior
contraente nell’impugnazione degli atti di gara in Giustizia
amministrativa – Dottrina, 14.06.2016; R. DE NICTOLIS, Il
nuovo codice dei contratti pubblici in Urbanistica e
appalti, 2016, 5, 503; E. FOLLIERI, Le novità sui ricorsi
giurisdizionali amministrativi nel Codice dei contratti
pubblici in Urbanistica e appalti, 2016, 8-9, 873; E.M.
BARBIERI, Lo speciale contenzioso sulle ammissioni e sulle
esclusioni nelle gare di appalto pubblico secondo il nuovo
codice degli appalti in Nuovo notiziario giur., 2016, 331;
G. GRECO, Il contenzioso degli appalti pubblici tra
deflazione e complicazione in Riv. it. dir. pubbl.
comunitario, 2016, 971; A.G. PIETROSTEFANI, Piena
conoscenza, termine per impugnare ed effettività della
tutela nel rito <super accelerato> ex art. 120, co.
2-bis, c.p.a. in Federalismi.it, 29.03.2017; A. DI CAGNO, Il
nuovo art. 120, comma 2-bis, cpa: un'azione senza interesse
o un interesse senza azione? in Dir. e processo amm., 2017,
2123; L. BERTONAZZI, Limiti applicativi del nuovo giudizio
di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. e sua compatibilità
con la tutela cautelare, in Dir. proc. ammin. 2017, 714 ss.;
G. LA ROSA, Il ricorso incidentale nel rito “super-accelerato”
di cui all’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a. in
Urbanistica e appalti, 2018, 2, 175; I. LAGROTTA, Il rito <super
accelerato> in materia di appalti tra profili di
(in)compatibilità costituzionale e conformità alla normativa
comunitaria in Federalismi.it, 28.03.2018; G. LO SAPIO, Rito
superaccelerato e tecniche di “giuridificazione”
degni interessi in Urbanistica e appalti, 2018, 4, 507; S.
TADDEUCCI, L’art. 120 comma 2-bis del c.p.a. dinanzi alla
Corte di Giustizia: dubbi sulla fondatezza della questione
in Italiappalti.it, 17.07.2018; P. DE BERARDINIS, Rito ex
art. 120, comma 2-bis, c.p.a. e ricorso incidentale in
Giustizia Amministrativa – Dottrina, 13.11.2018; M. LIPARI,
La decorrenza del termine di ricorso nel rito superspeciale
di cui all’art. 120, co. 2-bis e 6-bis, del CPA:
pubblicazione e comunicazione formale del provvedimento
motivato, disponibilità effettiva degli atti di gara,
irrilevanza della “piena conoscenza”; l’ammissione
conseguente alla verifica dei requisiti in Giustizia
amministrativa – Dottrina, 17.12.2018;
n) sulla costituzionalità della disciplina dell’art. 120,
comma 2-bis, cit. si vedano le remissioni alla Corte
costituzionale operate da
Tar per la Puglia–Bari, sez. III, ordinanza 20.06.2018, n.
903 (oggetto della
News US in data 10.07.2018) e
Tar per la Puglia–Bari, sez. III, ordinanza 20.07.2018, n.
1097 (oggetto della
News US in data 30.07.2018);
o) sulla decorrenza del termine di impugnazione:
o1) l’art. 120, comma 2-bis,
c.p.a., com’è noto, prevede l’impugnazione degli atti di
ammissione ed esclusione nel termine di trenta giorni
decorrente dallo loro pubblicazione sul profilo del
committente, ai sensi dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50
del 2016; l’art. 29 cit. è stato fatto oggetto di importanti
modifiche ad opera del d.lgs. 19.04.2017, n. 56 (c.d.
correttivo al Codice dei contratti pubblici); in particolare
adesso il suddetto art. 20, comma 1, al secondo, terzo e
quarto periodo prevede quanto segue: “al fine di
consentire l'eventuale proposizione del ricorso ai sensi
dell' articolo 120, comma 2-bis, del codice del processo
amministrativo, sono altresì pubblicati, nei successivi due
giorni dalla data di adozione dei relativi atti, il
provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di
affidamento e le ammissioni all'esito della verifica della
documentazione attestante l'assenza dei motivi di esclusione
di cui all'articolo 80, nonché la sussistenza dei requisiti
economico-finanziari e tecnico-professionali. Entro il
medesimo termine di due giorni è dato avviso ai candidati e
ai concorrenti, con le modalità di cui all'articolo 5-bis
del decreto legislativo 07.03.2005, n. 82, recante il Codice
dell'amministrazione digitale o strumento analogo negli
altri Stati membri, di detto provvedimento, indicando
l'ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato
dove sono disponibili i relativi atti. Il termine per
l'impugnativa di cui al citato articolo 120, comma 2-bis,
decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo
periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di
motivazione”;
o2) secondo un primo orientamento interpretativo, in difetto
di tale pubblicazione il rito super accelerato non è tout
court applicabile (in tal senso Tar per la
Campania–Napoli, sez. IV, 20.12.2016, n. 5852); a risultati
non diversi giunge la lettura che, in caso di mancata
pubblicazione, fa decorrere il termine per impugnare dalla
comunicazione dell’aggiudicazione, con applicazione del
relativo rito (Tar per la Basilicata 13.01.2017, n. 24, Tar
per la Puglia–Bari, 05.04.2017, n. 340, Tar per la
Campania–Napoli, sez. VIII, 05.05.2017, n. 2420); nel senso
della necessità della pubblicazione per rendere operativo il
rito speciale: Tar Campania-Napoli, sez. VIII, 18.01.2018,
n. 394, Tar Sicilia-Palermo, sez. III, 31.08.2018, n. 1862;
Cons. Stato, sez. V, 10.04.2018, n. 2176;
o3) secondo altre interpretazioni la mancata pubblicazione è
sostituibile solo dalla comunicazione individuale (Tar per
il Lazio–Roma – sez. III, 09.05.2017, n. 5545), ovvero
determina l’applicazione delle normali regole sulla
conoscenza dell’atto oggetto di impugnazione (Tar per la
Toscana, sez. I, 18.04.2017, n. 582), o, infine, esclude
l’onere di immediata impugnazione non precludendo però la
facoltà di una immediata impugnazione dell’ammissione prima
dell’aggiudicazione (Tar per il Molise, 4 ottobre 2017, n.
332); Tar per la Campania–Napoli, sez. I, 22.03.2018 n.
1866, che valorizza la conoscenza comunque acquisita del
provvedimento;
o4) Tar per il Lazio–Roma, sez. III-quater, 22.08.2017, n.
9379 trae dalla previsione della pubblicazione delle
ammissioni/esclusioni quale dies a quo del termine
per impugnare la conclusione della non decorrenza del temine
stesso dalla conoscenza acquisita attraverso la
partecipazione di un rappresentante della concorrente alla
seduta di gara che ha disposto le ammissioni o esclusioni
stesse; sul punto si veda Cons. Stato, sez. VI, 13.12.2017,
n. 5870, che ha affermato il principio secondo cui, sebbene
l’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. “faccia riferimento, ai
fini della decorrenza dell'ivi previsto termine
d'impugnazione di trenta giorni, esclusivamente alla
pubblicazione del provvedimento di ammissione o esclusione
sul profilo telematico della stazione appaltante ai sensi
dell'art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50/2016, ritiene il
Collegio che ciò non implichi l'inapplicabilità del generale
principio sancito dall'art. 41, comma 2, cod. proc. amm. e
riaffermato nel comma 5, ultima parte, dell'art. 120 cod.
proc. amm., per cui, in difetto della formale comunicazione
dell'atto -o, per quanto qui interessa, in difetto di
pubblicazione dell'atto di ammissione sulla piattaforma
telematico della stazione appaltante-, il termine decorre
dal momento dell'avvenuta conoscenza dell'atto stesso,
purché siano percepibili i profili che ne rendano evidente
la lesività per la sfera giuridica dell'interessato in
rapporto al tipo di rimedio apprestato dall'ordinamento
processuale”; di segno opposto è invece Cons. Stato, III,
26.01.2018, n. 565 secondo cui “l’onere di impugnazione
dell’altrui ammissione è ragionevolmente subordinato alla
pubblicazione degli atti della procedura, perché
diversamente l’impresa sarebbe costretta a proporre un
ricorso <al buio>”; anche per il Tar Puglia–Bari, sez.
III, 15.10.2018, n. 1297, la presenza del rappresentante
dell’impresa alla seduta di gara è idonea a determinare la
piena conoscenza del provvedimento;
p) sul tradizionale orientamento in forza del quale un atto
amministrativo deve essere tempestivamente contestato in
sede giurisdizionale solo se immediatamente lesivo, si veda,
in relazione all’onere di immediata impugnazione del bando
di gara, la recente pronuncia dell’Adunanza
plenaria del 26.04.2018, n. 4 (in Vita not.,
2018, 661 e Foro amm., 2018, 586 ed oggetto della
News US del 10.05.2018 cui si rinvia per ampi
riferimenti di dottrina e di giurisprudenza), secondo cui “le
clausole del bando di gara che non rivestano portata
escludente devono essere impugnate unitamente al
provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente
dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o
manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura”;
con tale pronuncia, escludendo l’onere di tempestiva
impugnazione delle clausole del bando non immediatamente
lesive, la Plenaria ha negato l’autonoma tutelabilità di un
diritto alla legittimità della procedura di gara sganciato
dalla spettanza dell’utilità finale, in linea con
l’orientamento tradizionale; quanto al nuovo rito c.d. “super
accelerato” di cui ai commi 2-bis e 6-bis dell’art. 120
del c.p.a. la Plenaria ne riconosce la rilevante portata
innovativa e concorda sul fatto che con la detta
prescrizione normativa il legislatore abbia inteso
espressamente ed eccezionalmente riconoscere autonoma
rilevanza ad un interesse procedimentale (quello legato alla
corretta formazione della platea dei concorrenti)
riconoscendo ad esso una rapida protezione giurisdizionale;
non ritiene tuttavia che dallo stesso possano trarsi
considerazioni espressive di un principio generale;
q) sui caratteri dell’interesse a ricorrere nel processo
amministrativo, con specifico riferimento al c.d. interesse
strumentale e per l’affermazione secondo cui gli assetti
delle giurisdizioni nazionali e della stessa Unione europea,
configurano il ricorso al giudice amministrativo come
ricorso nell’interesse di una parte e mai come ricorso volto
al rispetto formale delle regole, a prescindere da ogni
interesse, si veda
Cons. Stato, Ad. plen., ordinanza 11.05.2018, n. 6
(in Foro it., 2018, III, 429, con nota di SIGISMONDI ed
oggetto della
News US del 22.05.2018 con ampi riferimenti di
dottrina e di giurisprudenza, cui si rinvia anche avuto
riguardo ai più recenti approdi della Corte costituzionale
in punto di impossibilità di configurare la tutela
dell’interesse meramente strumentale dell’impresa che non
abbia partecipato ad una gara), secondo cui “va rimesso
alla Corte di Giustizia Ue il seguente quesito
interpretativo: se l’articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e
3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989,
che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative relative all’applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici
di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva
2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
dell’11.12.2007, possa essere interpretato nel senso che
esso consente che allorché alla gara abbiano partecipato più
imprese e le stesse non siano state evocate in giudizio (e
comunque avverso le offerte di talune di queste non sia
stata proposta impugnazione) sia rimessa al Giudice, in
virtù dell’autonomia processuale riconosciuta agli Stati
membri, la valutazione della concretezza dell’interesse
dedotto con il ricorso principale da parte del concorrente
destinatario di un ricorso incidentale escludente reputato
fondato, utilizzando gli strumenti processuali posti a
disposizione dell’ordinamento, e rendendo così armonica la
tutela di detta posizione soggettiva rispetto ai consolidati
principi nazionali in punto di domanda di parte (art. 112
c.p.c.), prova dell’interesse affermato (art. 2697 cc),
limiti soggettivi del giudicato che si forma soltanto tra le
parti processuali e non può riguardare la posizione dei
soggetti estranei alla lite (art. 2909 cc)”;
r) sulla definitività dell’esclusione, ove non impugnata con
il rito super accelerato, con conseguente preclusione alla
impugnazione dell’aggiudicazione, per difetto di
legittimazione, si vedano:
r1)
Corte di giustizia UE, sez. VIII, 21.12.2016, C- 355/15,
GesmbH (in Gazzetta forense, 2017, 80, con nota
di GILIBERTI, nonché oggetto della
News US del 04.01.2017 ai cui approfondimenti si
rinvia), la quale ha affermato che “l’articolo 1,
paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del
21.12.1989, che coordina le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative relative all’applicazione
delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come
modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio, dell’11.12.2007, dev’essere interpretato
nel senso che esso non osta a che a un offerente escluso da
una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico con
una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice divenuta
definitiva sia negato l’accesso ad un ricorso avverso la
decisione di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui
trattasi e la conclusione del contratto, allorché a
presentare offerte siano stati unicamente l’offerente
escluso e l’aggiudicatario e detto offerente sostenga che
anche l’offerta dell’aggiudicatario avrebbe dovuto essere
esclusa”;
r2) tuttavia, in assenza di una esclusione “definitiva”,
la successiva
Corte di giustizia dell’UE, sez. VIII, 10.05.2017, C-131/16,
Archus (in Foro amm., 2017, 999 e Riv. giur. edilizia, 2017,
I, 533, nonché oggetto della
News US del 19.05.2017 ai cui approfondimenti si
rinvia), ha precisato che “la direttiva 92/13/CE del
Consiglio, del 25.02.1992, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative
all’applicazione delle norme comunitarie in materia di
procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di
energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto
nonché degli enti che operano nel settore delle
telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva
2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
dell’11.12.2007, deve essere interpretata nel senso che, in
una situazione come quella di cui al procedimento
principale, in cui una procedura di aggiudicazione di un
appalto pubblico ha dato luogo alla presentazione di due
offerte e all’adozione, da parte dell’amministrazione
aggiudicatrice, di due decisioni in contemporanea recanti
rispettivamente rigetto dell’offerta di uno degli offerenti
e aggiudicazione dell’appalto all’altro, l’offerente
escluso, che ha presentato un ricorso avverso tali due
decisioni, deve poter chiedere l’esclusione dell’offerta
dell’offerente aggiudicatario, in modo tale che la nozione
di «un determinato appalto», ai sensi dell’articolo 1,
paragrafo 3, della direttiva 92/13, come modificata dalla
direttiva 2007/66, può, se del caso, riguardare l’eventuale
avvio di una nuova procedura di aggiudicazione di un appalto
pubblico”;
r3) già con la
sentenza 05.04.2016 C- 689/13, Puligienica, (in
Foro it., 2016, IV, 324, con nota di SIGISMONDI oggetto
della
News US del 07.04.2016 cui si rinvia per gli
approfondimenti), in linea con la sentenza 04.07.2013, n.
100, Fastweb, (in Foro it., 2015, IV, 311, con nota di
CONDORELLI), la Corte di Giustizia aveva chiarito che “l’articolo
1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665/CEE
del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative
all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di
aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di
lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio dell’11.12.2007, deve
essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso
principale proposto da un offerente, il quale abbia
interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato
appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di
una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia
di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale
diritto, e diretto a ottenere l’esclusione di un altro
offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di
norme processuali nazionali che prevedono l’esame
prioritario del ricorso incidentale presentato dall’altro
offerente”;
s) sulla tutelabilità dell’interesse strumentale
nell’ordinamento nazionale e comunitario si segnala quanto
segue:
s1) nel senso della impossibilità di configurare la tutela
del c.d. interesse strumentale nell’attuale ordinamento del
processo amministrativo nazionale, caratterizzato dalla
peculiare disciplina delle condizioni delle azioni (in
particolare interesse ad agire e legittimazione),
strumentale alla realizzazione del giusto processo ex art.
111 Cost., si vedano: Cons. Stato, Ad. plen., 27.04.2015, n.
5 (specie §§ 5 ss., e 9.2. ss., in Foro it., 2015, III, 265,
con nota di TRAVI; Riv. dir. proc., 2015, 1256, con nota di
FANELLI; Giur. it., 2015, 2192 con nota di FOLLIERI; Dir.
proc. ammin., 2016, 205, con nota di PERFETTI e TROPEA);
Cons. Stato, sez. V, 22.01.2015, n. 272, in Foro it., 2015,
III, 345; Cons. Stato, Ad. plen., 25.02.2014, n. 9 in Foro
it., 2014, III, 429, con nota di SIGISMONDI, Dir. proc. amm.,
2014, 544, con nota di BERTONAZZI, Urbanistica e appalti,
2014, 1075 (m), con nota di FANTINI, Giornale dir. amm.,
2014, 918 (m), con note di FERRARA, BARTOLINI, Nuovo
notiziario giur., 2014, 550, con nota di BARBIERI; le citate
sentenze sono tutte nel senso:
I) di non consentire la tutela del c.d. interesse
strumentale perché in contrasto con le esigenze di evitare
l’abuso del processo ed il sindacato su poteri non ancora
esercitati dalla stazione appaltante;
II) di considerare il processo quale risorsa scarsa da
attingere solo dopo essere stato superato il filtro delle
condizioni dell’azione in cui è insito un giudizio di
meritevolezza della pretesa;
III) di esigere che il processo sia volto a tutelare
interessi concreti ed attuali e non futuri ed incerti, di
mero fatto quando non emulativi, per giunta rimessi ad una
incoercibile nuova determinazione dell’Amministrazione;
s2) successivamente alla pubblicazione della sentenza della
Corte di giustizia Puligienica, le conclusioni cui è
pervenuta la sentenza GesmbH, sono state anticipate dal
Consiglio di Stato in una sequela di pronunce, fra cui si
segnalano: Cons. Stato, sez. IV, 11.10.2016, n. 4180; Cons.
Stato, sez. IV, 25.08.2016, n. 3688; Cons. Stato, sez. IV,
20.04.2016, n. 1560; per tali arresti, è inammissibile per
difetto di legittimazione l’impugnativa dell’impresa che non
abbia partecipato ab imis alla procedura, ovvero sia
stata legittimamente esclusa dalla gara, dato che tale
soggetto, per effetto dell'esclusione o della mancata
presentazione della domanda, rimane privo non soltanto del
titolo a partecipare alla gara ma anche a contestarne gli
esiti e la legittimità delle scansioni procedimentali; il
suo interesse protetto, invero, da qualificare interesse di
mero fatto o strumentale, non è diverso da quello di
qualsiasi operatore del settore che, non avendo partecipato
alla gara, non ha titolo a impugnare gli atti, essendo
portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione
dell'intera selezione, al fine di poter presentare la
propria offerta in ipotesi di riedizione della nuova gara;
Cons. Stato sez. III, 26.08.2016, n. 3708, secondo cui non
potrebbe ammettersi l’impugnativa dell’aggiudicazione di una
gara da parte di un’impresa che certamente da un tale
annullamento non potrebbe ricavare alcun vantaggio (anche di
ordine strumentale in quanto relativo alla possibilità di
ripetizione della gara), perché non ha partecipato alla
medesima gara, o non ha proposto censure nei confronti di
tutte le imprese che la precedono in graduatoria (ovvero non
le ha evocate in giudizio) e di cui si lamenta, però la
illegittimità della mancata esclusione; tali conclusioni
potrebbero tuttavia necessitare una rimeditazione alla luce
della sentenza della Corte di giustizia Archus cit.;
s3) in dottrina R. DE NICTOLIS,
Codice del processo amministrativo, IV ed., Milano, 2017,
759 ss, 2056 ss., nega in radice che l’interesse strumentale
sia configurabile quale interesse legittimo; G. SIGISMONDI,
Ricorso incidentale escludente: l’ultimo orientamento della
Corte di giustizia porta all’emersione di un contrasto più
profondo, in Foro it., 2016, IV, 336, secondo cui il punto
di maggiore criticità nell’indirizzo a base della sentenza
Puligienica, consiste nel fatto che esso “…si pone in
contrasto diretto con i principî di fondo del nostro
ordinamento processuale, del quale vengono disgregati la
coerenza interna e i principî fondanti".
Si pone allora una seria questione di compatibilità tra la
prospettiva comunitaria e il sistema di principî (e per
certi aspetti di valori) definito dalla Costituzione
italiana (che disegna il diritto alla tutela giurisdizionale
e il principio di azionabilità nei confronti delle decisioni
dell’amministrazione in chiave espressamente soggettiva e in
modo non condizionato dalla materia): un problema che sta
emergendo in modo sempre più consistente, nonostante la
dichiarata autonomia riconosciuta agli Stati membri nella
definizione delle proprie regole processuali.
---------------
MASSIMA
«Rinvio pregiudiziale – Appalti pubblici – Procedure
di ricorso – Direttiva 89/665/CEE – Articoli 1 e 2-quater –
Ricorso contro i provvedimenti di ammissione o esclusione
degli offerenti – Termini di ricorso – Termine di decadenza
di 30 giorni – Normativa nazionale che esclude la
possibilità di eccepire l’illegittimità di un provvedimento
di ammissione nell’ambito di un ricorso contro gli atti
successivi – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea – Articolo 47 – Diritto ad una tutela
giurisdizionale effettiva»
...
Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara:
1) La direttiva 89/665/CEE del
Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative
all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di
aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di
lavori, come modificata dalla direttiva 2014/23/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, e in
particolare i suoi articoli 1 e 2-quater, letti alla luce
dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, deve essere interpretata nel senso che
essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, che prevede che i
ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni
aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla
partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di
decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla
loro comunicazione agli interessati, a condizione che i
provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da
una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che
detti interessati siano venuti o potessero venire a
conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli
stessi lamentata.
2) La direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2014/23, e
in particolare i suoi articoli 1 e 2-quater, letti alla luce
dell’articolo 47 della Cartadei diritti fondamentali
dell’Unione europea, deve essere interpretata nel senso che
essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, che prevede che, in
mancanza di ricorso contro i provvedimenti delle
amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione degli
offerenti alla partecipazione alle procedure di appalto
pubblico entro un termine di decadenza di 30 giorni dalla
loro comunicazione, agli interessati sia preclusa la facoltà
di eccepire l’illegittimità di tali provvedimenti
nell’ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi,
in particolare avverso le decisioni di aggiudicazione,
purché tale decadenza sia opponibile ai suddetti interessati
solo a condizione che essi siano venuti o potessero venire a
conoscenza, tramite detta comunicazione, dell’illegittimità
dagli stessi lamentata. |
APPALTI: Ore
aggiuntive oggetto di valutazione nell’offerta tecnica.
Domanda
È legittimo inserire tra i criteri di valutazione dell’offerta tecnica in un
servizio ad alta intensità di manodopera ore aggiuntive rispetto a quelle
previste nel capitolato speciale da conteggiare proporzionalmente come
criterio quantitativo in base all’offerta presentata dagli operatori?
Risposta
Il quesito in oggetto presenta due questioni di rilievo. La prima attiene
alla corretta interpretazione del co. 14-bis dell’art. 95 del codice, come
introdotto dal correttivo, che testualmente recita “In caso di appalti
aggiudicati con il criterio di cui al comma 3, le stazioni appaltanti non
possono attribuire alcun punteggio per l’offerta di opere aggiuntive
rispetto a quanto previsto nel progetto esecutivo a base d’asta”, e
quindi la sua possibile estensione anche ai servizi, nonché la
circoscrizione del termine aggiuntivi. La norma di fatto vieta
l’introduzione di opere diverse e ulteriori rispetto a quelle previste in
appalto.
Nella relazione illustrativa al correttivo e nello stesso parere del
Consiglio di Stato non si trova traccia di motivazioni utili a comprendere
l’introduzione del comma 14-bis, che si ritiene, tuttavia, sia finalizzata a
realizzare quell’esigenza, già segnalata dalla giurisprudenza (C.d.S. V sez.,
n. 1601/2015), di evitare che il singolo operatore possa alterare i
caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis
con proposte che si traducano in una diversa ideazione del contratto in
senso alternativo rispetto a quanto voluto dall’Amministrazione
aggiudicatrice, al fine di garantire condizioni di parità tra gli operatori.
Una prima apertura verso un’applicazione analogica ai servizi è data dai
giudici Veneti, che nella sentenza n. 105 del 01.02.2018, mediante una
riformulazione interpretativa del comma, ritengono che ciò che potrebbe
essere vietato dall’ipotizzata estensione applicativa dell’art. 95, co.
14-bis al settore degli appalti di servizi, sarebbe la possibilità di
valorizzare l’introduzione ad opera dei singoli concorrenti di tipologie di
prestazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle richieste e indicate nel
capitolato speciale.
Si ritiene che, prescindendo da una mera interpretazione letterale dei
termini “opere” e “progetto esecutivo”, il mancato riferimento
espresso ai “lavori”, ma soprattutto la contestualizzazione del comma
e la sua intrinseca finalità, sia tale da comportare il divieto, nel caso di
affidamento di servizi, di attribuire punteggi per servizi aggiuntivi
rispetto a quelli previsti dal capitolato, intesi come servizi diversi e
ulteriori. Mentre si ritengono legittimamente valutabili le prestazioni
migliorative o meramente integrative.
La giurisprudenza ammette ad esempio che il potenziamento di un’ora in più
al giorno dell’orario di apertura su base mensile, stante la marginalità
rispetto al monte ore complessivo (nel caso di specie di 8/10 ore
giornaliere), non alteri il carattere essenziale del servizio, attribuendo
tali incrementi la natura di elementi meramente integrativi non assimilabili
ad “opere aggiuntive”.
Diverso il caso in cui il criterio non sia così marginale, come ipotizzato
nel quesito, e consistente nella valutazione dell’offerta tecnica di ore
aggiuntive rispetto a quelle previste nel capitolato, a cui si attribuisca
uno specifico punteggio proporzionalmente determinato in base alla diversa
offerta presentata dai concorrenti.
In questo caso è difficile sostenere che le prestazioni abbiano carattere
meramente migliorativo/integrativo del servizio, ma soprattutto, come
dettagliatamente indicato dal TAR Perugia nella sentenza n. 581 del
08.11.2018, la stazione appaltante violerebbe le seguenti disposizioni:
• Art. 95, cc. 6 e 10-bis, del codice, per l’appiattimento
dell’offerta tecnica, e indiretta forma di ribasso economico;
• inammissibile aggiramento delle disposizioni che mirano alla
salvaguardia dei lavoratori, in quanto l’offerta finirebbe per incidere in
modo occulto sul costo della manodopera (06.02.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Esclusione per gravi illeciti professionali.
Domanda
Il nostro ente sta appaltando un servizio ed attualmente è
in fase di ammissione/esclusione dei concorrenti; il seggio
di gara ha rilevato che un consigliere di amministrazione
dell’impresa si è reso responsabile di gravi illeciti
professionali diverso tempo fa ma, da notare, non
nell’attuale ruolo bensì quale rappresentante di un impresa
oramai cessata.
Secondo il seggio di gara –che ha trasmesso gli atti al RUP
per l’adozione dei provvedimenti– l’impresa dovrebbe essere
esclusa anche in base a quanto chiarito nelle linee guida
ANAC n. 6 che ritiene che i “gravi illeciti”
professionali non debbano solo riguarda l’appaltatore (o il
subappaltatore) ma anche i vari soggetti indicati nel comma
3 dell’articolo 80.
Che ne pensa? Secondo il RUP, in questo caso, si sta
estendendo l’interpretazione della disposizione del comma 5
e ciò non sarebbe corretto.
Risposta
La questione posta ha, oggettivamente, un certo rilievo
pratico anche alla luce del costante orientamento
giurisprudenziale che statuisce l’impossibilità da parte del
RUP (o se si preferisce da parte della stazione appaltante)
di estendere l’ambito applicativo delle cause di esclusione
(ora, semplificando, riconducibili in sostanza all’articolo
80 del codice dei contratti). In tema, pertanto, vige il
classico principio di tassatività.
L’articolo 80, come anche affermato da recente
giurisprudenza, presenta delle “declaratorie”
vincolati per la stazione appaltante (commi 1 e 2
dell’articolo) ed altre, si direbbe, “discrezionali”
ovvero che impongono una determinata attività istruttoria al
RUP.
Si richiama l’attività istruttoria del RUP in quanto
soggetto –come da giurisprudenza costante e da indicazioni
dei bandi tipo ANAC– deputato e competente ad adottare i
provvedimenti intermedi di ammissione ed esclusione (salvo
che nel bando non siano stati esplicitamente assegnati, tali
prerogative, ad altri soggetti ed in particolare al
dirigente/responsabile del servizio).
Il comma 5, ed in particolare la lett. c) ha, pertanto, un
ambito applicativo –anche nella sua nuova formulazione–
chiaramente delimitato all’appaltatore ed al subappaltatore
(si pensi al comma 7 della norma).
Il comma 3, che estende una serie di ipotesi inibenti la
partecipazione alla competizione di gara ad una serie di “soggetti”
deve intendersi riferito (con il correlato ambito
applicativo) alle sole ipotesi escludenti di cui ai commi 1
e 2 dell’articolo in commento e non anche al comma 5.
Pertanto, a sommesso parere, la posizione dubitativa
espressa dal RUP pare essere quella maggiormente corretta
rispetto alle “richieste/impostazione” del seggio di
gara.
In questo senso anche recente conferma del TRGA di Bolzano
con la sentenza n. 14/2019. La sentenza ha pregio e rilievo
anche perché ribadisce il contrasto tra le linee guida n. 6
dell’ANAC (che detta modelli virtuosi “applicativi/interpretativi”
in tema di gravi illeciti professionali) che non sono
vincolanti ma la cui interpretazione, ovvero il preteso
collegamento tra il comma 5 ed il comma 3 dell’articolo 80 è
stato ritenuto in contrasto con il dettato normativo (13.02.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
gennaio 2019 |
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APPALTI: Il
frazionamento in lotti dipende dai casi.
Il principio della suddivisione in lotti può essere derogato, seppur
attraverso una decisione adeguatamente motivata dal momento che essa è
espressione di scelta discrezionale, sindacabile soltanto nei limiti della
ragionevolezza e proporzionalità, oltre che dell'adeguatezza
dell'istruttoria, in ordine alla decisione di frazionare o meno un appalto
«di grosse dimensioni» in lotti.
L'adozione dell'opzione del lotto unico
risulta ragionevole qualora la commessa riveste carattere unitario, in
quanto sia il servizio di gestione e controllo sia il servizio complementare
hanno ad oggetto le medesime aree di parcheggio e i medesimi impianti di
risalita.
La scelta di non frazionare l'appalto in lotti, nel caso in cui
l'unitarietà sia imposta dall'oggetto dell'appalto e dalle modalità
esecutive scaturenti dalla situazione materiale e giuridica dei luoghi entro
cui operare può ritenersi ragionevole e non illogica o arbitraria: non può
sottacersi infatti, sotto altro concorrente profilo, che le attività prestazionali oggetto dei suddetti servizi non esigono specializzazioni, né
qualifiche particolari che impongano, giustificano o rendano anche solo
opportuna una suddivisione in lotti.
È questo il passaggio centrale della
sentenza
31.01.2019 n. 2044
del Consiglio di Stato, Sez. VI, con la quale è stata fatta chiarezza sul delicato
tema della suddivisione in lotti da parte delle stazioni appaltanti.
Secondo l'art. 51 del Codice appalti, il comma 1 stabilisce che, sia nei
settori ordinari che in quelli speciali, le Stazioni appaltanti debbano
suddividere, allo scopo di favorire l'accesso delle microimprese, piccole e
medie imprese, tutti gli appalti in «lotti funzionali» o «prestazionali», in
conformità alle categorie o specializzazioni nel settore dei lavori, servizi
e forniture. La norma detta altresì che le p.a. appaltanti debbano, in caso
di mancata suddivisione in lotti, dare una congrua motivazione nel bando di
gara, nella lettera di invito o nella relazione unica di cui agli artt. 99 e
139.
Secondo il Consiglio di stato, «la scelta di non frazionare l'appalto
in lotti nel caso in cui l'unitarietà sia imposta dall'oggetto dell'appalto
e dalle modalità esecutive scaturenti dalla situazione materiale e giuridica
dei luoghi entro cui operare, può ritenersi ragionevole e non illogica o
arbitraria: non può sottacersi infatti, sotto altro concorrente profilo, che
le attività prestazionali oggetto di certi servizi non esigono
specializzazioni, né qualifiche particolari che impongano, giustifichino o
rendano, anche solo opportuna, una suddivisione in lotti».
L'equilibrio che il frazionamento in lotti di un appalto crea tra la
promozione della concorrenza nella misura più ampia possibile e il
coesistente interesse pubblico al migliore utilizzo possibile delle risorse
finanziarie della collettività è quindi estremamente labile e può facilmente
essere travolto, nel peggiore dei casi, da un illecito frazionamento da
parte della p.a. che perfeziona il reato di abuso d'ufficio.
Il principio della suddivisione in lotti può, dunque, essere derogato,
secondo una scelta discrezionale dell'Amministrazione, ma la decisione di
frazionare o meno un appalto di «grosse dimensioni» in lotti deve risultare
adeguatamente motivata
(articolo ItaliaOggi Sette del 23.04.2019). |
APPALTI:
In tema di presidenza delle commissioni di gara.
Domanda
Nel nostro comune la presidenza delle commissioni di gara viene assegnata a
ciascun responsabile di servizio che, normalmente, coincide con la figura
del responsabile unico del procedimento. Ora, alla luce della giurisprudenza
e degli obblighi di utilizzazione dell’Albo dei commissari vorremmo
comprendere se tale prassi operativa può ritenersi ancora corretta.
Risposta
La questione della presidenza e della nomina delle commissioni di gara,
effettivamente, riveste nell’odierno grandissima attualità.
Al fine di meglio chiarire la questione è necessario subito evidenziare che
con la comunicazione del 09.01.2019 (da parte del presidente dell’ANAC) si è
evidenziata l’esigenza di differire la vigenza dell’Albo dei commissari (e
le correlate nomine ai sensi degli artt. 77 e 78 del codice dei contratti).
La vigenza dell’albo è stata posposta –con decisione unilaterale– da parte
della stessa Authority al 19.04.2019. Semplificando, la posposizione è
avvenuta in quanto non sono presenti nelle varie sezioni dell’elenco dei
commissari un numero sufficiente (rispetto al fabbisogno delle stazioni
appaltanti) di commissari.
Da notare che la stessa ANAC con la segnalazione al Parlamento ha chiesto di
modificare l’articolo 77, comma 3, per introdurre un sistema misto: nel
senso che in caso di carenza di commissari la stazione appaltante procederà
direttamente con la nomina dei commissari –secondo proprie regole interne–
purché con presidente del collegio esterno.
In attesa di quanto, le stazioni appaltanti possono procedere autonomamente
previa adozione di proprie regole di trasparenza e competenza ai sensi
dell’articolo 216, comma 12, del codice dei contratti (norma transitoria).
Su come si debba, in concreto, procedere in giurisprudenza si sono espressi
molteplici orientamenti. Tanto il Consiglio di Stato, quanto la
giurisprudenza di primo grado, ad esempio, ha (anche) sostenuto che per gli
enti locali si applica ancora l’articolo 107 del decreto legislativo
267/2000 (e quindi con assegnazione della presidenza al responsabile del
servizio).
È chiaro che con un contenzioso smisurato, il RUP deve ben valutare come
comporre la commissione. In relazione alla presidenza, a sommesso avviso,
sarebbe opportuno evitare di assegnare tale ruolo a chi materialmente sia
stato coinvolto nella redazione degli atti di gara. Ad esempio, se nel caso
specifico di cui al quesito vi è coincidenza addirittura con il RUP, secondo
chi scrive, bene sarebbe che questo soggetto si limiti a fare il segretario
della commissione di gara con assegnazione del ruolo di presidente ad altro
responsabile (a rotazione) oppure attingendo (se ad esempio il comune fa
parte di una unione di comuni) da organici dei comuni aderenti (sempre che
si tratti di responsabili di servizio).
Sui componenti, se si tratta di appalto sotto soglia comunitaria, gli stessi
possono essere scelti nell’ambito dell’organico della stazione appaltante
(sempre scegliendo soggetti con competenza che non abbiano avuto ruolo
alcuno nella predisposizione degli atti di gara né debbano essere coinvolti
nell’esecuzione del contratto da assegnare).
In caso di certificata carenza possono essere scelti dall’esterno (ad
esempio nel caso di scelta da albi professionali magari anticipando una
richiesta di terne).
Nel caso di appalto sopra soglia comunitaria è bene che i commissari siano
esterni (adottando le stesse regole appena sintetizzate).
Da notare –a mero titolo informativo– che negli emendamenti al codice
(previsti per la conversione del decreto legge semplificazioni n. 135/2018)
– si prevede una sorta di affrancamento degli enti locali dall’utilizzo
dell’Albo dei commissari con l’applicazione del solo articolo 107 del
decreto legislativo 267/2000. Rimarrebbe aperta la questione dei commissari
che, attualmente, come detto solo nel sottosoglia possono essere scelti tra
i dipendenti interni. Si tratta, evidentemente, di attendere la conversione
del decreto per capire se gli emendamenti verranno approvati (30.01.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI: Gare,
le omissioni retributive dei precedenti contratti legittimano l'esclusione.
Le accertate omissioni retributive costituiscono ragione sufficiente ai fini
dell’apprezzamento di inaffidabilità della concorrente integrando a tal fine
l’ipotesi prescritta dal comma 5, lett. a) dell’articolo 80 del Dlgs n. 50
del 2016.
Tanto è stato stabilito dalla Sez. V del Consiglio di Stato con la
sentenza
24.01.2019 n. 586.
Per il Supremo consesso amministrativo, infatti, l’elencazione dei gravi
illeciti contenuta nella richiamata norma a fini dell’esclusione dalle gare
d’appalto non è tassativa, ma esemplificativa, nel senso che la stazione
appaltante può ben desumere da altre circostanze, purché puntualmente
identificate, il compimento di gravi illeciti preclusivi della
partecipazione alle pubbliche gare.
I fatti di causa
In una gara avente ad oggetto il «servizio di gestione degli interventi di
accoglienza integrata» un concorrente veniva escluso per il venir meno del
requisito dell’affidabilità –in relazione al combinato disposto di cui
all’articolo 80, comma 5, lett. a), e comma 6, del Dlgs n. 50/2016– per
l’asserito inadempimento agli obblighi relativi ai rapporti di lavoro
nell’ambito del precedente rapporto contrattuale intercorso con la medesima
Amministrazione.
La legittimità del provvedimento di esclusione veniva confermata dal Giudice
amministrativo di prime cure con la sentenza che veniva dunque impugnata
innanzi al Consiglio di Stato.
L’iter logico seguito dal Consiglio di Stato
La conclusione cui è giunto il Consiglio di Stato si fonda sul seguente iter
logico argomentativo.
Nel caso sottoposto al vaglio del Giudice amministrativo, infatti,
l’Amministrazione ha condotto una sostanziale ed effettuale delibazione di
rilevanza e gravità dell’inadempimento, avendo puntualmente verificato,
prima di procedere alla esclusione, il numero dei dipendenti che non erano
stati retribuiti e delle mensilità arretrate, obiettivamente non esigue né
irrilevanti.
Detta attività è perfettamente speculare con la prescrizione normativa
contenuta nel comma 5, lett. a), dell’articolo 80 del Dlgs n. 50 del 2016 a
mente del quale «Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla
procedura d'appalto un operatore economico (…) nel caso in cui (…) la
stazione appaltante possa dimostrare con qualunque mezzo adeguato la
presenza di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di
salute e sicurezza sul lavoro nonché agli obblighi di cui all'articolo 30,
comma 3, del presente Codice» e legittima pertanto l’esclusione del
concorrente dalla gara.
Ma il buon operato della stazione appaltante, sempre ad avviso del Consiglio
di Stato, riposa altresì sulla circostanza, in forza della quale, le cause
di esclusione indicate nella norma contenuta nel comma 5 dell’articolo 80
non sarebbero tassative ma, al contrario, esemplificative
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 06.02.2019).
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MASSIMA
5.- Le doglianze, così come articolate, non appaiono persuasive.
Vale, all’uopo, osservare:
a) che, per comune e consolidato intendimento, l’elencazione dei
gravi illeciti professionali contenuta nell’art. 80, comma 5, lett. c), del
Codice dei contratti a fini dell’esclusione dalle gare d’appalto non è
tassativa, ma esemplificativa (Cons. Stato, sez. V,
02.03.2018, n. 1299),
nel senso che la stazione appaltante può ben desumere da altre circostanze,
purché puntualmente identificate, il compimento di gravi illeciti
professionali;
b) che, per tal via, anche le accertate omissioni retributive
(avuto riguardo alla previsione di cui all’art. 30, comma 3 del Codice, che
rende doveroso il rispetto della normativa a tutela delle posizioni
lavorative) costituiscono (di là dal meccanismo di cui all’art. 30, comma 6,
privo di pertinenza, in quanto non riferito alle condizioni di ammissione
alla procedura evidenziale, operando in executivis a maggior tutela dei
lavoratori a fronte di ritardo nel pagamento delle spettanze
contrattualmente dovute) ragione sufficiente ai fini dell’apprezzamento di
inaffidabilità della concorrente;
c) che l’Amministrazione, a dispetto della apparenze, non si è, in
realtà, sottratta ad una sostanziale ed effettuale delibazione di rilevanza
e gravità dell’inadempimento, avendo puntualmente verificato, prima di
procedere alla esclusione, il numero dei dipendenti che non erano stati
retribuiti e delle mensilità arretrate, obiettivamente non esigue né
irrilevanti (al qual fine, con ogni evidenza, la circostanza che alcuni di
essi fossero, all’esito della espletata procedura, transitati alle
dipendenze della nuova aggiudicataria non può sortire rilievo, ai fini dello
strumentale apprezzamento di serietà, puntualità ed affidabilità
dell’impresa concorrente);
d) che alla determinazione espulsiva, ancorché assunta
successivamente all’aggiudicazione a terzi, non può annettersi la sostanza
di una risoluzione rimotiva, in autotutela, dei pregressi atti di gara (per
tal via legittimandosi l’auspicata applicazione della norma limitativa del
relativo potere ex art. 21-nonies l. n. 241/9909), essendo l’esclusione
sempre possibile (e dovuta, in presenza di presupposti) “in qualunque
momento della procedura”, id est fino alla stipula del contratto oggetto di
affidamento (arg. ex art. 80, comma 6 d.lgs. n. 50/2016).
Quanto, infine, al principio secondo cui l’Amministrazione non può, in
conseguenza dei suoi stessi ritardi nel pagamento dei corrispettivi posti a
suo carico in relazione a pendenti e pregresse vicende contrattuali, opporre
ai propri contraenti, quale ragione espulsiva, il mancato pagamento dei
dipendenti, vale osservare che, beninteso, il principio, già affermato da
questo Collegio, non merita di essere disatteso: nondimeno, nel caso di
specie, i ritardi in questione, ammesso che fossero effettivamente tali e
non fossero, in realtà, dovuti alla ordinaria tempistica contrattualmente
prefigurata, non risultavano -come che sia- idonei (trattandosi di pochi
mesi e, per giunta, difettando di appositi atti di impulso) a giustificare
il mancato pagamento delle retribuzioni, se del caso programmando l’uso
razionale delle proprie risorse economiche (che si deve pretendere da ogni
avveduto operatore economiche) e stante la facoltà di ricorso al credito
bancario per le eventuali e proporzionate anticipazioni.
6.- Per le esposte considerazioni, assorbenti di ogni altro rilievo,
l’appello va disatteso. |
APPALTI:
Gli adempimenti pubblicitari negli appalti.
Domanda
Il nostro ente si confronta, praticamente quotidianamente, con le
implicazioni derivanti dall’enorme mole di adempimenti pubblicitari in tema
di appalti (art. 29 del codice etc.), pertanto ci si è chiesti, in primo
luogo, quale sia il collegamento tra tali adempimenti (trasparenza,
anticorruzione etc.) e gli atti adottati e, soprattutto, le conseguenze in
termini di responsabilità del RUP e dei collaboratori che li omettessero.
Ulteriore questione è se le implicazioni siano le stesse sia nel caso di
affidamento diretto sia nel caso di gare vere e proprie e/o di procedure
articolate (come le procedure ristrette).
Risposta
La questione degli adempimenti pubblicitari sottesi all’attività
contrattuale ed all’attività amministrativa in genere è, effettivamente,
dispendiosa (sotto il profilo delle risorse umane e del tempo a
disposizione).
Risulta, del resto, anche estremamente attuale considerato che da più parti
si anticipa l’esigenza di una ricalibratura e semplificazione anche in tema
di obblighi pubblicitari di trasparenza.
La violazione degli obblighi pubblicitari (rinvenibili ad esempio
nell’articolo 29 del codice, nella decretazione trasparenza e nella legge
anticorruzione) non integra violazioni tali da inficiare i procedimenti di
gara ma, evidentemente, rappresentano delle violazioni che –soprattutto in
fase di controllo interno successivo (in particolare negli enti locali)–
possono determinare anche l’adozione di provvedimenti disciplinari.
Sotto il profilo del procedimento contrattuale, come si rilevava, non si
tratta di adempimenti costitutivi dell’efficacia degli atti adottati e,
pertanto, non determineranno mai invalidità del procedimento di gara.
La questione –pur con riferimento esplicito alla pubblicazione del
provvedimento di nomina della commissione di gara e dei curricula dei
commissari (obblighi di pubblicazione previsti dall’articolo 29 del codice
dei contratti)– è stata di recente affrontata dal Consiglio di Stato, sez.
V, con la sentenza n. 283/2019.
Il giudice di Palazzo Spada, nel caso di specie, a fronte della pretesa
nullità della gara per impossibilità di verificare competenza ed eventuali
incompatibilità dei commissari, ha puntualizzato che gli obblighi della “trasparenza”
sono finalizzati ad assicurare la pubblicità e conoscibilità degli atti ma
non anche a condizionarne gli effetti.
È chiaro che la mancata pubblicazione –si pensi a determine di affidamento
diretto e/o atti di altre procedure– avrà per effetto quello (potenziale) di
dilatare i termini del ricorso (salvo che non se ne dimostri l’intervenuta
conoscenza da parte dell’interessato attraverso es. l’articoli 75/76 del
codice) anche attraverso la pubblicazione all’albo pretorio on line della
stazione appaltante.
Ad esempio, nel caso trattato dal Consiglio di Stato, il giudice rileva che,
in ogni caso, nessun danno era stato provocato al ricorrente in quanto la
determina di nomina della commissione di gara era stata correttamente
pubblicata all’albo pretorio. In ogni caso, in sentenza si è fatta prevalere
la sostanza ovvero la necessità di verificare se effettivamente
sussistessero o meno incompetenze e/o incompatibilità del collegio.
Sotto il profilo della responsabilità è chiaro che tali omissioni
–soprattutto quelle previste in tema di trasparenza– potranno essere
rilevate dal responsabile della trasparenza e, come si diceva, per effetto
del controllo interno.
Tali inadempimenti potrebbero incidere anche sotto il profilo della
performance coinvolgendo, quindi, il dirigente/responsabile del servizio e,
pertanto, condizionare la stessa valutazione del RUP da parte di questi
soggetti (e quindi avere implicazioni sull’indennità di risultato).
Potrebbe avere anche effetti sulla questione degli incentivi a seconda di
come sia stato formulato il regolamento correlato ex art. 113 del codice dei
contratti (23.01.2019 - tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Conflitti d’interesse negli affidamenti di contratti pubblici.
Domanda
Ci sono norme particolari, oltre quelle previste dalle l. 190/2012, da
rispettare in materia di gestione del conflitto d’interessi, nell’ambito
degli appalti pubblici?
Risposta
In materia di conflitti d’interesse e obbligo di astensione,
nell’ordinamento italiano, sono già presenti alcune norme applicabili a
tutte le fattispecie, comprese quelle in cui il conflitto non riguarda
direttamente parenti o affini, ma anche altre situazioni di natura
potenziale.
Più in dettaglio, ci si riferisce:
• all’articolo 6-bis, della legge 07.08.1990, n. 241, aggiunto
dall’art. 1, comma 41, della legge 06.11.2012, n. 190 (cd: legge Severino);
• ad alcuni articoli del Codice di comportamento dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni (in particolare gli artt. 3, 6, 7, 13, 14 e
16), approvato con DPR 16.04.2013, n. 62;
• all’art. 35-bis, comma 1, lettera c), del d.lgs. 30.03.2001, n.
165;
• all’art. 53, comma 14, secondo periodo, del d.lgs. 30.03.2001, n.
165;
• all’articolo 78, del TUEL, approvato con d.lgs. 18.08.2000, n.
267.
In aggiunta alle richiamate disposizioni, il legislatore nazionale, ha
previsto l’articolo 42 del Codice dei contratti pubblici, approvato con
d.lgs. 18.04.2016, n. 50. L’articolo, rubricato Conflitto di interesse, si
compone di cinque commi.
Il comma 1 prevede che le stazioni appaltanti debbono prevedere (nel Piano
Anticorruzione) misure adeguate per:
• contrastare le frodi e la corruzione;
• individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi
di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti e delle concessioni.
Tali attività, obbligatorie, devono essere finalizzate ad evitare:
a) qualsiasi distorsione della concorrenza;
b) garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori
economici.
Il comma 2, definisce che si ha conflitto d’interesse quando il personale
che interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli
appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il
risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario,
economico o altro interesse personale che può essere percepito come una
minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura
di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di
conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione
previste dall’art. 7 del DPR 62/2013 (Codice di comportamento per i
dipendenti della pubbliche amministrazioni).
Il comma 3 disciplina che il personale che si trovi nella situazione di
conflitto d’interessi, anche potenziale:
a) è tenuto a darne comunicazione alla stazione appaltante;
b) ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione
degli appalti e delle concessioni.
Fatte salve le ipotesi di responsabilità amministrativa e penale, la mancata
astensione nei casi di cui sopra costituisce, comunque, fonte di
responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico.
Il successivo comma 4, prevede che le disposizioni dei primi tre commi,
valgono anche per la fase di esecuzione dei contratti pubblici, quindi, a
tutti gli adempimenti post gara.
L’ultimo comma, il quinto, obbliga le stazioni appaltanti a vigilare
–adottando, quindi, idonee e specifiche iniziative– affinché gli adempimenti
di cui ai commi 3 e 4 siano rispettati.
Mettendo assieme tutte le norme che intervengono sulla materia del conflitto
d’interessi, in ambito di affidamenti di contratti pubblici, possiamo
riassumere le seguenti posizioni:
• il dipendente pubblico che interviene nella procedura deve
valutare (con un’attività di autoanalisi) se si trova in una situazione di
conflitto, anche di natura potenziale. La lettura degli articoli 6, 7 e 14
del Codice di comportamento, forniscono un perimetro piuttosto preciso delle
varie situazioni in cui il conflitto è effettivamente cogente;
• qualora si ravvisi una situazione di potenziale conflitto, è
dovere del dipendente segnalarla al suo dirigente o responsabile apicale
(P.O. negli enti senza dirigenti). Per gli apicali la segnalazione va
trasmessa (si consiglia l’uso della casella mail) al Responsabile
Anticorruzione dell’ente;
• colui che riceve la segnalazione di possibile conflitto
d’interessi, deve valutare la situazione e comunicare, all’interessato
(rispondendo alla mail), se scatta o meno l’obbligo di astensione Se la
fattispecie segnalata viene ritenuta pregnate, il dipendente dovrà astenersi
dal prendere decisioni o svolgere attività, rispetto a qualsiasi fase della
procedura di gara e all’esecuzione del contratto;
• nella valutazione da compiere se segnalare o meno il possibile
conflitto d’interessi, si consiglia di applicare sempre “il principio di
prudenza”, dal momento che l’art. 42 del Codice dei contratti pubblici, non
a caso, usa la locuzione “che può essere percepito come una minaccia alla
sua imparzialità e indipendenza”. Nel dubbio, quindi, è meglio segnalare
ed attenersi a quanto disposto da chi è tenuto a valutare e decidere sulla
situazione;
• in conclusione, si ricorda che la violazione dell’art. 6-bis,
della legge 241/1990, comporta l’avvio di un procedimento penale per abuso
d’ufficio, mentre la violazione degli articoli del Codice di comportamento
(DPR 62/2013, più codice di comportamento di ente), fa insorgere l’avvio di
un procedimento disciplinare (22.01.2019 - tratto da e link a
www.publika.it). |
APPALTI:
Risvolti contabili dell’aggiudicazione gare indette entro il 31.12.2018.
Domanda
Nel bilancio 2018/2020 avevamo iscritto un’opera pubblica imputandola
interamente all’esercizio 2018 in assenza di un preciso cronoprogramma di
realizzazione della stessa. Entro il 31/12/2018 l’ufficio tecnico comunale
ha tuttavia solo formalmente indetto la procedura di affidamento.
L’ufficio tecnico vuole ora aggiudicare la procedura, posso imputare
contabilmente l’impegno conseguente sul 2018 e poi reimputarlo quando
provvederò al riaccertamento ordinario dei residui?
Risposta
Alla sola indizione della procedura di affidamento nell’anno 2018 (così come
con l’impegno di una delle spese del quadro dell’opera ad esclusione delle
spese di progettazione) non risulta possibile impegnare tutta la spesa in
assenza di tutti gli elementi costitutivi dell’impegno previsti dal
principio generale di competenza finanziaria n. 16 (allegato 1 al d.lgs.
118/2011), ma solo provvedere alla prenotazione del medesimo impegno
(infatti non si conosce sicuramente né il fornitore né l’importo preciso) e
conseguentemente –come previsto dal punto 5.4 del Principio Contabile
Applicato concernente la contabilità finanziaria (allegato n. 4/2 al d.lgs.
118/2011)– a determinare sull’anno 2018 il relativo FPV atto alla
reimputazione della spesa sull’esercizio 2019.
Passando alla soluzione del caso concreto posto nel quesito, non risulta ora
possibile procedere con l’impegno imputandolo all’esercizio precedente a
quello in corso. Prima di provvedere allo stesso, si rende necessario
procedere ad una variazione di esigibilità della spesa che permetta di avere
la disponibilità sull’anno in corso.
Tale variazione (di competenza della Giunta Comunale ai sensi dell’art. 175,
c. 5-bis, lettera e), previo parere dell’organo di revisione) se non vi sono
residui attivi da reimputare è disposta direttamente senza la necessità di
un atto propedeutico. Diversamente, laddove l’Ente abbia già posto in essere
un accertamento di entrata sull’anno 2018 (relativo a contributi a
rendicontazione e operazioni di indebitamento già autorizzate e perfezionate
da reimputare in considerazione dell’esigibilità), prima di porre in essere
la variazione di esigibilità è necessario procedere con un atto propedeutico
alla stessa: un riaccertamento parziale dei residui.
Tale atto va concretizzato attraverso una determina del responsabile dei
servizi finanziari sulla quale dovrà esprimere il suo parere anche l’organo
di revisione, all’interno della quale verranno accertati i motivi per cui si
rende necessario procedere a tale reimputazione dei residui attivi ed alla
conseguente reiscrizione sull’esercizio successivo della correlata spesa.
Resta infine da capire però se l’Ente ha già approvato il Bilancio di
Previsione 2019/2021 oppure se si trova in esercizio provvisorio. Ciò in
quanto ai sensi dell’art. 163, c. 3, del TUEL: “nel corso dell’esercizio
provvisorio … gli enti possono impegnare solo spese correnti, le eventuali
spese correlate riguardanti le partite di giro, lavori pubblici di somma
urgenza o altri interventi di somma urgenza.“; ovvero gli enti in
esercizio provvisorio non potranno in ogni caso addivenire
all’aggiudicazione definitiva (che determina il passaggio da impegno
provvisorio a definitivo) se non per interventi di somma urgenza (21.01.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI: Rotazione
obbligatoria anche nelle gare riservate alle coop sociali.
Il principio di rotazione si applica anche alle procedure di gara riservate
alle cooperative sociali in quanto deve ritenersi implicitamente richiamato
nell'articolo 30, comma 1, del codice dei contratti nel punto in cui fa
riferimento al principio di libera concorrenza di cui costituisce
espressione.
Lo afferma la V Sez. del Consiglio di Stato con la
sentenza
17.01.2019 n. 435.
Il caso
Una cooperativa sociale ha impugnato gli atti di una gara telematica sotto
soglia riservata alle cooperative sociali per l'affidamento del servizio di
pulizia degli immobili comunali, alla quale si era classificata seconda,
lamentando l'illegittimità dell'ammissione della prima classificata
ritenendola violativa del principio di rotazione. Ricorso accolto dal Tar,
essendosi la stazione appaltante autovincolata alla conduzione della
procedura secondo le regole ordinarie di cui all'articolo 36, comma 2, del
Codice dei contratti, che richiama il rispetto del principio di rotazione.
Il Comune ha proposto appello deducendo la violazione dei principi
comunitari e costituzionali di libera concorrenza, parità di trattamento,
non discriminazione, libera iniziativa economica e il contrasto con
l'articolo 5 della legge 381/1991 che consente la deroga alle regole
ordinarie per le cooperative sociali e non menziona il principio di
rotazione. Principio che, non essendo incluso tra quelli generali di cui
all'articolo 30 del codice né contemplato dal diritto comunitario, non
potrebbe essere applicato se non espressamente richiamato.
Il principio di rotazione
Per la quinta sezione del Consiglio di Stato l'appello è infondato alla luce
dell'articolo 36 del codice, che espressamente esige, per i contratti sotto
soglia, il rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli
affidamenti, in modo da assicurare l'effettiva possibilità di partecipazione
delle microimprese, piccole e medie imprese. Il principio di rotazione trova
infatti fondamento nella esigenza di evitare il consolidamento di rendite di
posizione in capo al gestore uscente, la cui posizione di vantaggio deriva
dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento, soprattutto
nei mercati in cui il numero di agenti economici attivi non è elevato.
Pertanto, la rotazione comporta che l'invito all'affidatario uscente riveste
carattere eccezionale e deve essere adeguatamente motivato, avuto riguardo
al numero ridotto di operatori presenti sul mercato, al grado di
soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale
ovvero all'oggetto e alle caratteristiche del mercato di riferimento. Questo
comporta per il concorrente la possibilità di impugnare il provvedimento di
ammissione del gestore uscente, «che concreta a suo danno –affermano i
giudici– in via immediata e diretta, la paralisi di quell'ampliamento delle
possibilità concrete di aggiudicazione che il principio di rotazione mira ad
assicurare».
La deroga per le cooperative sociali
Relativamente all'articolo 5 della legge 381/1991 che rende possibile per
gli enti pubblici la stipula, previa procedura selettiva, di convenzioni con
le cooperative per la fornitura di alcuni beni e servizi finalizzate a
creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate, i giudici di
Palazzo Spada hanno evidenziato che la norma facoltizza ma non impone la
stipula delle convenzioni in deroga alla disciplina in materia di contratti
pubblici.
In più, nel caso di specie l'amministrazione, nel regolare la procedura, non
si è avvalsa della deroga prevista dall’articolo 5 nel momento in cui ha
rinviato all'articolo 36, comma 2, del codice che appunto prevede
l'applicazione del principio di rotazione. Né nell'articolo 5 è rinvenibile
una qualche facoltà di deroga al principio medesimo, perché costituisce uno
dei capisaldi del principio di non discriminazione.
La prova del vantaggio
C'è un ulteriore aspetto interessante nella sentenza che è quello relativo
al fatto che, essendo il principio di rotazione finalizzato a evitare che la
gara possa essere falsata dalla partecipazione di un soggetto che vanta
conoscenze acquisite durante il precedente affidamento, l'esclusione di
quest'ultimo «non richiede alcuna prova della posizione di vantaggio da
questi goduta, che è presupposta direttamente dalla legge».
A meno che l'amministrazione motivi in ordine alla ricorrenza di specifiche
ragioni a sostegno della determinazione di invitarlo comunque a partecipare
alla gara. Regola a cui non può opporsi l'ampiezza della platea dei
candidati invitati, in quanto in tema di deroga al principio di rotazione
rileva solo il numero eventualmente ridotto di operatori presenti sul
mercato
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 24.01.2019). |
APPALTI: Mancata
rotazione: si può contestare già impugnando il provvedimento di ammissione
dei concorrenti.
La violazione del principio di rotazione può essere fatta valere già contro
il provvedimento di ammissione dei concorrenti alla gara –che non può
essere considerato un mero atto endoprocedimentale- senza che sia
necessario attendere il provvedimento definitivo di aggiudicazione.
È la conclusione del Consiglio di Stato, Sez. V, espressa con la
sentenza
17.01.2019 n. 435.
La querelle sulla rotazione
Nel caso trattato dal giudice di Palazzo Spada, un Comune è insorto contro
la sentenza di primo grado (Tar Lombardia, sezione II, n. 354/2018) di
annullamento dei propri atti di gara (per il servizio di pulizia di immobili
comunali) per violazione del criterio della rotazione (articolo 36 del
codice dei contratti).
L'appalto risultava aggiudicato a una cooperativa di tipo B (interamente
riservato secondo l'articolo 1, lettera b), della legge 08.11.1991 n.
381). La stazione appaltante ha cercato di rilevare una pretesa
incompatibilità del criterio della rotazione rispetto ai «principi del
trattato dell'Unione europea, dell'art. 41 Costituzione, dell'art. 5 della
l. 08.11.1991, n. 381 e per inosservanza delle Linee guida Anac nn.
4/2016 e 32/2016».
Il preteso contrasto veniva fondato, in particolare, sul fatto che la
finalità specifica e particolare dell'appalto «consistente nel reinserimento
lavorativo di soggetti svantaggiati» avrebbe consentito la deroga alle
regole ordinarie dettate dal codice dei contratti per gli appalti sotto
soglia. Il principio, sempre secondo il ricorrente, «non essendo incluso tra
quelli generali di cui all'art. 30 del d.lgs. 50/2016 né contemplato dal
diritto comunitario, non potrebbe essere applicato se non espressamente
richiamato».
Ulteriore aspetto, di particolare rilievo, è la richiesta di ritenere
inammissibile il ricorso dell'appaltatore considerato che lo stesso ha
riguardato non l'aggiudicazione dell'appalto ma l'atto –ritenuto endoprocedimentale- di ammissione dei concorrenti in gara.
La sentenza
Il giudice ha ritenuto non fondato il ricorso sia per l'errata
considerazione sulla intensità della rotazione sia in relazione alla
configurazione del provvedimento di ammissione dei concorrenti come mero
atto endoprocedimentale (non impugnabile).
In relazione alla rotazione, il giudice ha rammentato che il criterio
dell'alternanza, negli appalti sotto soglia comunitaria, deve essere
applicato dal responsabile unico del procedimento fin dalla fase degli
inviti. Pertanto, laddove si lamenti la mancata applicazione del principio
di rotazione, «il concorrente può ricorrere già avverso il provvedimento di
ammissione del gestore uscente, che concreta a suo danno, in via immediata e
diretta, la paralisi di quell'ampliamento delle possibilità concrete di
aggiudicazione che il principio di rotazione mira ad assicurare».
Se si opinasse diversamente, prosegue la sentenza «ovvero se non vi fosse la
possibilità di ricorrere avverso il provvedimento di ammissione del gestore
uscente», la previsione contenuta nell'articolo 36, comma 1, del codice dei
contratti per cui il principio di rotazione opera già nella fase degli
inviti sarebbe priva di ratio.
La tutela connessa al principio di rotazione negli affidamenti sotto soglia,
infatti, è quella di evitare «che la gara possa essere falsata, a danno
degli altri partecipanti», dalla partecipazione di un soggetto che vanta
conoscenze acquisite durante il precedente affidamento. Pertanto, la
decisione eventuale del reinvito del precedente gestore avrebbe dovuto
essere supportata da idonea motivazione non esigendo, il ricorso, alcuna
dimostrazione della posizione di vantaggio del precedente appaltatore «che è
presupposta direttamente dalla legge».
Né si può ritenere che il vincolo della rotazione nasca solo nel caso in cui
la legge di gara lo richiami espressamente considerato che in tema già
dispone il codice dei contratti così come non è apparsa condivisibile la
pretesa affermazione secondo cui l'affidamento riservato a cooperative
sociali di tipo b, secondo l'articolo 5 della legge 381/1991, introdurrebbe
una deroga alla applicazione il principio
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 23.01.2019).
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MASSIMA
1. L’atto di appello in esame è infondato.
2. Con il primo motivo di appello sostiene il Comune di Viadana che la
sentenza appellata avrebbe errato ritenendo l’ammissibilità del ricorso di
primo grado sulla base dell’art. 120, comma 2-bis, del Codice del processo
amministrativo, non vertendosi nelle fattispecie per le quali la
disposizione prevede l’immediata impugnazione (“esclusioni dalla procedura
di affidamento e le ammissioni ad essa all'esito della valutazione dei
requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali”): ogni
questione relativa all’ammissione alla gara per cui è causa della
Cooperativa Sociale L’In. Onlus avrebbe indi dovuto essere proposta,
secondo le regole ordinarie, in sede di impugnazione dell’aggiudicazione,
mentre il ricorso è stato rivolto avverso l’atto meramente
endoprocedimentale costituito dalla comunicazione relativa agli esiti dei
lavori e delle valutazioni della commissione giudicatrice, avverso cui non
vi è interesse a ricorrere, vieppiù considerato che l’atto rappresentava che
l’offerta della controinteressata sarebbe stata sottoposta a verifica di
congruità.
2.1. Il motivo va respinto.
L’odierna appellante ha impugnato il provvedimento n. 749 del 28.11.2017 di ammissione della controinteressata alla procedura di affidamento
c.d. “sotto soglia” di cui in fatto, contenuto in un provvedimento titolato
“ammissione concorrenti”, sostenendo che la medesima avrebbe dovuto essere
esclusa dalla gara in forza dell’applicazione del principio di rotazione.
L’art. 36 del d.lgs. 18.04.2018 n. 50, “Contratti sotto soglia”,
stabilisce al comma 1 che “L’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e
forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 avvengono
nel rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42, nonché
del rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti e
in modo da assicurare l’effettiva possibilità di partecipazione delle
microimprese, piccole e medie imprese”.
Negli affidamenti “sotto soglia” il principio, per espressa disposizione di
legge, opera quindi già in occasione degli inviti.
In tema, questo Consiglio di Stato ha affermato che “Il principio di
rotazione -che per espressa previsione normativa deve orientare le stazioni
appaltanti nella fase di consultazione degli operatori economici da
consultare e da invitare a presentare le offerte- trova fondamento nella
esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al
gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle
informazioni acquisite durante il pregresso affidamento), soprattutto nei
mercati in cui il numero di agenti economici attivi non è elevato. Pertanto,
al fine di ostacolare le pratiche di affidamenti senza gara ripetuti nel
tempo che ostacolino l’ingresso delle piccole e medie imprese, e di favorire
la distribuzione temporale delle opportunità di aggiudicazione tra tutti gli
operatori potenzialmente idonei, il principio di rotazione comporta in linea
generale che l’invito all’affidatario uscente riveste carattere eccezionale
e deve essere adeguatamente motivato, avuto riguardo al numero ridotto di
operatori presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a
conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero all’oggetto e alle
caratteristiche del mercato di riferimento”, con la conseguenza che “La
regola della rotazione degli inviti e degli affidamenti -il cui fondamento,
come si è visto, è quello di evitare la cristallizzazione di relazioni
esclusive tra la stazione appaltante ed il precedente gestore- amplia le
possibilità concrete di aggiudicazione in capo agli altri concorrenti, anche
(e a maggior ragione) quelli già invitati alla gara, i quali sono lesi in
via immediata e diretta dalla sua violazione” (Cons. Stato, VI, 31.08.2017, n. 4125).
Laddove si lamenti la mancata applicazione del principio di rotazione, il
concorrente può indi ricorrere già avverso il provvedimento di ammissione
del gestore uscente, che concreta a suo danno, in via immediata e diretta,
la paralisi di quell’ampliamento delle possibilità concrete di
aggiudicazione che il principio di rotazione mira ad assicurare.
Diversamente opinando, ovvero se non vi fosse la possibilità di ricorrere
avverso il provvedimento di ammissione del gestore uscente, la
specificazione operata dall’art. 36, comma 1, del Codice dei contratti
pubblici che il principio di rotazione opera già nella fase degli inviti
sarebbe priva di ratio.
In tal senso, pertanto, non può essere posto in dubbio il collegamento con
l’impugnazione immediata delle ammissioni disciplinata dall’art. 120, comma
2-bis, del Codice del processo amministrativo, rinvenuto dalla sentenza
appellata.
Questa Sezione ha già messo in luce tale collegamento, rammentando che,
per
la giurisprudenza amministrativa, il principio di rotazione determina
l’obbligo per le stazioni appaltanti, al fine di evitare il consolidamento
di rendite di posizione in capo al gestore uscente, di non invitarlo nelle
gare di lavori, servizi e forniture degli appalti “sotto soglia”, ovvero, in
alternativa, di invitarlo previa puntuale motivazione in ordine alle
relative ragioni (Cons. Stato, V, 13.12.2017, n. 5854; VI, n. 4125 del
2017, cit.), e riconoscendo, per l’effetto, la ritualità dell’immediata
impugnazione dell’ammissione del concorrente per violazione del principio di
rotazione, verificandosi “la condizione prevista dall’art. 120, comma 2-bis,
c.p.a., il quale individua nella data di pubblicazione dell’atto di
ammissione, ex art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50/2016, il dies a quo di
proposizione del ricorso, o comunque nel giorno in cui l’atto stesso è reso
in concreto disponibile, secondo la nuova formulazione dell’art. 29, comma
1, d.lgs. n. 50/2016, introdotta dall’art. 19 d.lgs. n. 56/2017” (Cons.
Stato, V, sentenza breve 03.04.2018 n. 2079).
3. Con altro motivo l’appellante sostiene che la sentenza appellata non
avrebbe fatto buon governo dei principi comunitari e costituzionali di
libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, libera
iniziativa economica, né della previsione di cui all’art. 5 della l. 08.11.1991 n. 381, ai sensi del quale è stata espletata la procedura per
cui è causa, che, tenuto conto della particolare finalità di carattere
sociale dell’affidamento, consente la deroga alle regole ordinarie dettate
dal Codice dei contratti per gli appalti c.d. “sotto soglia” e non menziona
il principio di rotazione.
A sostegno dell’assunto, l’appellante evidenzia
che il principio di rotazione non è incluso tra quelli generali richiamati
dall’art. 30 del d.lgs. 50/2016 né contemplato dal diritto comunitario, con
la conseguenza che esso non potrebbe essere applicato laddove non
espressamente richiamato. Infine, afferma che la procedura negoziata in
parola, improntata al pieno rispetto dei principi di cui al predetto art. 5,
nell’invitare alla procedura tutti gli operatori che hanno chiesto di
parteciparvi, tra cui il gestore uscente, si sarebbe attenuta a principi di
non discriminazione e di garanzia di uguaglianza di informazioni e di
opportunità di aggiudicazione.
3.1. Le predette argomentazioni, tutte volte a concludere che
nell’affidamento in esame, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 381 del 1991,
non trova applicazione il principio di rotazione, non possono essere
condivise.
Per quanto qui di interesse, la l. 381 del 1981, recante “Disciplina delle
cooperative sociali”, all’art. 5 stabilisce che “Gli enti pubblici, compresi
quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche
in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica
amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che
svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), ovvero con
analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità
europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari
ed educativi il cui importo stimato al netto dell'IVA sia inferiore agli
importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti
pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di
lavoro per le persone svantaggiate di cui all'articolo 4, comma 1. Le
convenzioni di cui al presente comma sono stipulate previo svolgimento di
procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei princìpi di
trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”.
Dunque la norma facoltizza, e non impone, per la stipula delle convenzioni
in parola, la deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica
amministrazione,
Sulla base di questo presupposto, fatto palese dalla lettera della legge, la
sentenza appellata ha concluso per l’applicabilità alla procedura in esame
del principio di rotazione in forza di due elementi.
Il primo, di carattere dirimente, è fondato sull’accertamento della
circostanza che l’Amministrazione, nel regolare la procedura di affidamento
in esame, non si è avvalsa, come pure avrebbe potuto fare, della possibilità
di deroga prevista dal citato art. 5, come testimoniato dall’espresso
richiamo da parte della lex specialis dell’art. 36, comma 2, del d.lgs. n. 50
del 2016, prevedente, appunto, l’applicazione del principio di rotazione.
Il secondo, che assume nell’andamento argomentativo della sentenza un
carattere incidentale, è la non rinvenibilità nell’art. 5 della l. n. 381
del 1991 della facoltà di deroga al principio di rotazione, perché
costituente uno dei precipitati del principio di non discriminazione
richiamato all’ultimo periodo del comma 1.
Il primo elemento è oggetto del successivo motivo di appello, il quale, per
le ragioni di seguito espresse, non merita accoglimento.
Il secondo elemento costituisce invece oggetto di critica nel motivo in
esame.
Ne deriva che, poiché quest’ultimo assume, come detto, carattere
incidentale, anche l’eventuale accoglimento del motivo in parola non sarebbe
idoneo a determinare la riforma della sentenza appellata. In altre parole,
anche laddove dovesse convenirsi con la conclusione, cui tende l’intero
motivo, che il principio di rotazione non potrebbe essere applicato se non
espressamente richiamato dalle disposizioni cui la procedura di affidamento
si riferisce, dovrebbe pur sempre riconoscersi che di un siffatto approdo
non può giovarsi il Comune appellante, che ha improntato la procedura per
cui è causa alla previsione di cui all’art. 36, comma 2, del Codice dei
contratti, che richiama il principio di rotazione.
Basti pertanto rilevare, per respingere il motivo, che l’affermazione della
sentenza appellata secondo cui il principio di rotazione costituisce uno dei
precipitati del principio di non discriminazione richiamato all’ultimo
periodo del citato comma 1 della l. n. 281 del 1991 trova eco nella
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato.
E’ stato infatti affermato che “anche nell’art. 30, 1 comma, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50, il principio della rotazione deve ritenersi
implicitamente richiamato, attraverso il riferimento più generale al
principio di libera concorrenza di cui il criterio in esame costituisce
espressione” (Cons. Stato, VI, n. 4125 del 2017, cit.; nello stesso senso,
V, n. 2079/2018, cit.), principio nell’ambito del quale si pone
decisivamente il canone della non discriminazione richiamato dal ridetto
art. 5 della l. 381/1991.
4. Con
altro motivo il Comune di Viadana sostiene l’erroneità della sentenza
appellata in quanto la gara sarebbe stata svolta ai sensi dell’art. 5 della
l. 381/1991, in deroga alla disciplina generale in tema di contratti pubblici,
mentre l’art. 36, comma 1, del d.lgs. 50/2016, che sancisce il principio di
rotazione degli inviti e degli affidamenti, non sarebbe mai stato richiamato
nei relativi atti e vieppiù introdotto successivamente alla pubblicazione
dell’avviso di manifestazione di interesse. Sostiene ancora l’appellante la
valenza non decisiva del richiamo da parte dell’atto di indizione della gara
dell’art. 36, comma 2, lett. b), in quanto volto esclusivamente
all’indicazione della tipologia della procedura prescelta (negoziata e non
ordinaria) e pertanto non implicante l’applicazione del criterio di
rotazione.
Il motivo deve essere respinto, in forza degli elementi di seguito esposti.
La gara è stata indetta con determinazione dirigenziale n. 680 del 06.11.2017.
Tale determinazione ha richiamato, tra altro, sia nel preambolo che nella
conseguente determina l’art. 5 della l. 381 del 1991 e l’art. 36, comma 2, del
Codice dei contratti pubblici.
Tale secondo richiamo non è stato corredato dall’indicazione di una delle
lettere di cui si compone il comma 2. L’indicazione della lett. b) del comma
2 si rinviene invece all’interno dell’avviso di procedura negoziata.
Nell’atto di indizione della gara e nell’allegata lettera invito-disciplinare non vi è alcuna rappresentazione dell’intendimento
dell’Amministrazione di derogare alle norme del Codice dei contratti
pubblici ai sensi dell’art. 5 della l. n. 381 del 1991. E’ detto
esclusivamente, con intento chiaramente descrittivo della disposizione, che
l’art. 5 della l. 381 del 1991 consente la deroga al Codice.
Nel descritto contesto, deve escludersi che il mero richiamo al predetto
art. 5 possa avere la valenza derogatoria invocata dal Comune di Viadana,
ciò che avrebbe necessitato la chiara esplicitazione della relativa
determinazione e delle sottostanti motivazioni.
Ne consegue che lo stesso richiamo ha unicamente l’effetto di precisare la
peculiare tipologia di selezione cui è preordinata la procedura, con
esclusione della possibilità che tale precisazione possa influire
sull’individuazione del meccanismo selettivo, che è stato inequivocamente
ricondotto al comma 2 dell’art. 36 del Codice dei contratti pubblici.
Inoltre, il soddisfacimento della necessità di indicare il carattere
negoziato della procedura risulta compiutamente realizzato dal riferimento,
pure recato dal bando, alla “procedura telematica negoziata ai sensi
dell’art. 3, co. 1, lett. uuu) … del d.lgs. 50/2016”.
Alla luce di tutto quanto sopra, ben ha fatto la sentenza appellata a
escludere che l’Amministrazione abbia manifestato l’intendimento di voler
derogare alle previsioni di cui all’art. 36 del Codice e a incentrare la
decisione del ricorso sulla disposizione del comma 2 dell’art. 36, restando
indifferente che nella motivazione del punto sia stata riportata per esteso
la relativa lettera c) anziché la lettera b), atteso che ambedue le
previsioni richiamano il principio di rotazione: va ribadito, pertanto, in
uno alla sentenza gravata, che il Comune si è autovincolato all’applicazione
nella gara in esame del principio in parola, richiamato per il tramite di
una delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici che espressamente
lo contempla.
Né l’insorgenza di tale autovincolo richiedeva, come sembra ritenere
l’Amministrazione appellante, il richiamo specifico del comma 1 dell’art.
36, che sancisce in via generale che gli affidamenti “sotto soglia” sono
retti anche dal principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti,
atteso che, come visto, lo stesso principio di rotazione è richiamato anche
nel comma 2 indicato dal bando.
Inoltre, per la giurisprudenza, per le gare di lavori, servizi e forniture
negli appalti “sotto soglia” è indubbia l’obbligatorietà del principio di
rotazione (Cons. Stato, VI, n. 4125 del 2017, cit.; V, n. 5854 del 2017, cit.).
La chiara impostazione impressa, nei sensi appena esposti, alla disciplina
della procedura, quale diretta conseguenza dell’applicazione della ivi
richiamata normativa legale di riferimento, rende poi irrilevante ogni
questione, pure introdotta dall’appellante, in ordine all’individuazione di
quale sia la precipua funzione del criterio di rotazione e del suo ambito
applicativo come delineato dall’ ANAC.
5. Va respinto anche l’ultimo motivo di appello.
La precipua tutela connessa al principio di rotazione negli affidamenti
“sotto soglia” è quella, anticipata, mirante all’obiettivo di evitare che la
gara possa essere falsata, a danno degli altri partecipanti, dalla
partecipazione di un soggetto che vanta conoscenze acquisite durante il
pregresso affidamento. Ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto nel
motivo, l’esclusione del gestore uscente, ove l’Amministrazione, come nel
caso di specie, non abbia motivato in ordine alla ricorrenza di specifiche
ragioni a sostegno della determinazione di invitarlo comunque a partecipare
alla gara, non richiede alcuna prova della posizione di vantaggio da questi
goduta, che è presupposta direttamente dalla legge.
Né vale opporre, come fa il Comune, l’ampiezza della platea dei candidati
cui è stato trasmesso l’invito a seguito della manifestazione di interesse
espressa in esito all’avviso pubblicato dall’Amministrazione, o il documento
con cui il RUP ha espressamente richiesto alla Centrale di committenza di
ammettere tutti i candidati, ivi compreso il gestore uscente, che avessero
chiesto di partecipare alla gara, e, più in generale, la circostanza che
l’Amministrazione non si sia avvalsa della potestà di operare limitazioni al
numero di operatori tra cui effettuare la selezione.
Difatti, anche in disparte l’evidente rilievo che la motivazione richiesta
per derogare al principio di rotazione si incentra non su tutti i
concorrenti, ma solo sul gestore uscente, e gli elementi di cui sopra non
attengono a tale ambito, la sola considerazione dell’ampiezza della platea
dei concorrenti non comporta la mancata applicazione del principio di
rotazione, essendo, piuttosto e di contro, il numero eventualmente ridotto
di operatori presenti sul mercato a rilevare in tema di deroga al principio
(Cons. Stato, V, 13.12.2017, n. 5854).
Deve ancora aggiungersi che la posizione del gestore uscente non può essere
equiparata, quanto all’applicazione del principio di rotazione a esso
specificamente rivolto, a quella di una impresa, quale l’appellata, che
abbia, nel tempo, svolto lo stesso servizio, come evocato dal Comune.
6. Per tutto quanto precede l’appello in esame va respinto. |
APPALTI:
Il documento di gara unico europeo DGUE, quando deve essere acquisito.
Domanda
Il documento di gara unico europeo (DGUE) deve essere acquisito per tutti
gli affidamenti, oppure esiste una soglia minima di spesa? Al fine di
attestare il possesso dei requisiti generali di cui all’art. 80 del d.lgs.
50/2016 è sufficiente la presentazione di tale documento?
Risposta
L’art. 85 del d.lgs. 50/2016 disciplina il Documento di gara unico europeo (DGUE)
redatto in conformità al modello di formulario approvato con Regolamento di
esecuzione UE 2016/7 della Commissione del 05.01.2016 e secondo lo schema
allegato al DM del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 18.07.2016
o s.m., al fine di uniformare la modulistica per la partecipazione alle
differenti procedure di appalto e nell’ottica di riutilizzo dello stesso,
previa conferma delle informazioni ivi contenute.
La dichiarazione circa il possesso dei requisiti generali ed eventualmente
speciali per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, deve essere
sempre acquisita indipendentemente dal valore dell’appalto, eventualmente
nella forma dell’autocertificazione ordinaria ai sensi del D.P.R. 28.12.2000
n. 445, in caso di affidamenti diretti per importo fino a 5.000 euro (paragraofo
4.2.2 delle Linee guida Anac n. 4), ovvero mediante il DGUE per importi
superiori.
Si precisa tuttavia che il DGUE, secondo l’attuale schema ministeriale, non
prevede tutte le dichiarazioni generali di cui al vigente art. 80, del
d.lgs. 50/2016, come risultante dalle modifiche introdotte dapprima dal
correttivo, con le lett. f-bis), e f-ter), del comma 5, e poi dall’art. 5
del decreto-legge n. 135 del 2018.
Il DGUE dovrà quindi essere accompagnato dalle seguenti dichiarazioni
integrative relative all’art. 80, comma 5, lett. c-bis), c-ter), f-bis) e
f-ter) del Codice:
• di non aver tentato di influenzare indebitamente il processo
decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a
fini di proprio vantaggio oppure di non aver fornito, anche per negligenza,
informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni
sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero di non aver omesso
le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di
selezione (art. 80 comma 5, lett. c-bis);
• di non aver dimostrato significative o persistenti carenze
nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che
ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al
risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili (art. 80, comma 5, lett.
c-ter);
• di non presentare nella procedura di gara in corso e negli
affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere (art.
80, comma 5, lett. f-bis);
• di non presentare nella procedura di gara in corso e negli
affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere (art.
80, comma 5, lett. f-bis);
• L’operatore economico si trova in una delle seguenti situazioni?
È iscritto nel casellario informatico tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC per
aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure
di gara e negli affidamenti di subappalti [art. 80, comma 5, lettera f-ter)]?
[_] SI [_] NO
Se la documentazione pertinente è disponibile elettronicamente, indicare:
(indirizzo web, autorità o organismo di emanazione, riferimento preciso
della documentazione) (16.01.2019 - tratto da e link a
www.publika.it). |
APPALTI: Solidarietà,
onere alleggerito. Lavoratore esonerato dal provare l'entità di singoli
crediti. La Cassazione in tema di omessa retribuzione dalla ditta
appaltatrice o subappaltatrice.
Il lavoratore è esonerato dall'onere di provare
l'entità dei debiti gravanti, rispettivamente, su committente, appaltatore e
subappaltatore, in base al principio di solidarietà, sancito dal decreto
legislativo n. 276 del 2003, che garantisce al lavoratore il pagamento dei
trattamenti retributivi in relazione all'appalto nell'ambito del quale ha
prestato la propria attività.
A statuire tale principio è stata la
sentenza 15.01.2019 n. 834 della Corte di
Cassazione, Sez. lavoro.
I fatti. La
vicenda processuale prende le mosse dal ricorso proposto, presso il
Tribunale di Alessandria, da un lavoratore che ricopriva la qualifica di
operaio guardafili e svolgeva le mansioni di addetto al servizio di
installazione e manutenzione delle linee di telefonia alle dipendenze di
un'azienda che riceveva, quotidianamente, indicazioni relative ai luoghi di
lavoro in cui andavano effettuati gli interventi da altre due ditte,
appaltatrici di un noto operatore telefonico.
Il ricorrente esponeva che il
proprio impegno lavorativo era suddiviso, in parti uguali, tra i due
subappalti. Oggetto del contendere è il mancato pagamento di parte della
retribuzione e delle relative competenze, nel periodo immediatamente
precedente alla cessazione del rapporto di lavoro. Il lavoratore chiamava,
quindi, in giudizio le tre società, chiedendone la condanna in solido al
pagamento della somma pretesa.
Il giudice, preso atto della rinuncia alla
domanda nei confronti della ditta presso cui erano assunto il ricorrente,
medio tempore fallita, rigettava il ricorso. Decisione che veniva confermata
anche dalla Corte di appello di Torino. La Corte di merito, nello specifico,
deduceva che il gravame proposto avverso la decisione del giudice di primo
grado presentava profili di inammissibilità in quanto mentre in primo grado
era stata chiesta, genericamente, la condanna in solido delle società, in
sede di appello era stata, invece, prospettata una differente ripartizione
dell'attività lavorativa nell'ambito dei due appalti.
Tale diversa prospettazione, accompagnata dalla richiesta di accertamento circa il
distinto svolgimento di attività in favore di ciascuna delle società e,
pertanto, di una correlata diversa quantificazione dei crediti vantati nei
confronti di ciascuna di esse, era da qualificarsi, secondo il giudice
d'appello, come ipotesi di «mutatio libelli», ossia formulazione di una
domanda nuova, fondata su fatti costitutivi radicalmente diversi e confliggenti rispetto a quelli oggetto del primo grado di giudizio.
In ogni
caso, nel merito, secondo l'opinione della corte territoriale il gravame era
da ritenersi infondato, a causa della carenza di prova adeguata, sia sotto
il profilo quantitativo, sia in riferimento ai servizi ai quali il
ricorrente era stato addetto o alle opere commissionate in favore dei
committenti, in conseguenza dei quali era maturato il credito retributivo e
contributivo rivendicato.
Nessuna mutatio libelli.
Preliminarmente, la sentenza emessa dai giudici di piazza Cavour accoglie il
primo motivo su cui si fonda il ricorso. La motivazione del provvedimento
sottolinea che risulta incontrastato l'enunciato della giurisprudenza di
legittimità secondo cui «si ha «mutatio libelli» quando si avanzi una
pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel
processo un «petitum» diverso e più ampio oppure una «causa petendi» fondata
su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto
costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un
nuovo tema d'indagine e si spostino i termini della controversia, con
l'effetto di disorientare la difesa della controparte e alterare il regolare
svolgimento del processo».
Pertanto, gli Ermellini ritengono che
l'appellante si sia limitato a proporre una mera rinnovata ripartizione del
medesimo quantum debeatur mentre la causa petendi era rimasta immutata, così
come il petitum, integrato dalle retribuzioni non percepite, e i fatti
costitutivi del diritto azionato, essendo stata suddivisa la somma richiesta
fra i due subappaltatori.
La motivazione precisa, quindi, che si ha semplice
«emendatio» quando «si incida sulla «causa petendi», in modo che risulti
modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto
costitutivo del diritto, oppure sul «petitum», nel senso di ampliarlo o
limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento
della pretesa fatta valere». Quindi, la diversa quantificazione o
specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non
comporta prospettazione di una nuova «causa petendi», in aggiunta a quella
dedotta in primo grado, e pertanto non dà luogo a una domanda nuova, come
tale inammissibile in appello.
Nel caso di specie, la sentenza rileva che
«il lavoratore ha semplicemente enunciato un criterio di interna divisione
del credito vantato nei confronti delle società convenute senza apportare
alcuna modifica all'originario petitum». Domanda riproposta dal ricorrente
in grado di appello il quale, senza immutare i fatti costitutivi del diritto
azionato né le situazioni giuridiche prospettate in atto introduttivo, ha
indicato lo stesso petitum mediato formulato in prime cure, limitandosi a
prospettarne una mera ripartizione interna fra i diversi condebitori
solidali.
Responsabilità solidale senza oneri probatori per il
lavoratore. La Cassazione
interpreta in maniera favorevole al ricorrente anche quanto disposto dal
secondo comma dell'articolo 29 del decreto legislativo numero 276 del 2003.
Tale norma prevede la responsabilità solidale del committente e
dell'appaltatore, entro il limite di due anni dalla cessazione del rapporto.
Ovviamente, l'obiettivo è quello di garantire il lavoratore circa il
pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all'appalto cui ha
personalmente dedicato le proprie energie lavorative, con particolare
riferimento ai lavoratori delle piccole e microimprese subappaltatrici.
La sentenza osserva che «il regime della solidarietà sancito dalla
disposizione richiamata, presuppone solo l'accertamento dell'inadempimento
dell'obbligazione a carico dei coobbligati solidali, la ripartizione interna
dei debiti attenendo solo al rapporto intercorrente fra gli stessi».
Pertanto, il Supremo collegio ritiene non condivisibili «gli approdi ai
quali è pervenuta la Corte distrettuale, laddove ha posto a carico del
creditore, ritenendolo non assolto, l'onere di provare l'entità dei debiti
gravanti su ciascuna delle società appaltatrici convenute in giudizio».
In sostanza, l'eventuale incertezza di attribuzione dell'opera in termini
quantitativi fra le società appaltatrici non può trasferirsi a carico del
lavoratore, considerato il vincolo di solidarietà che avvince il
committente, l'appaltatore e il subappaltatore in base al quale ciascuno di
essi può essere costretto all'adempimento per la totalità.
Il provvedimento evidenzia, quindi, che «ogni questione inerente alla
divisione fra condebitori interessati del peso dell'adempimento, va
declinata nel diverso ambito dell'azione di regresso». La Corte ha, quindi,
cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d'appello di
Torino in diversa composizione
(articolo ItaliaOggi Sette del 28.01.2019). |
APPALTI: No
all'accesso civico generalizzato in materia di appalti.
L’accesso civico generalizzato non trova applicazione con riferimento agli
«atti di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici».
Tanto è stato
stabilito dalla Sezione II del Tar Lazio, Roma, con la
sentenza
14.01.2019 n. 425.
Per il Giudice amministrativo romano, infatti, ai sensi dell’articolo 5-bis,
comma 3, del Dlgs n. 33 del 2013 l’accesso civico generalizzato è escluso,
tra l’altro, nei casi «in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina
vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi
quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990».
Ad
avviso del Tar Lazio, dunque, nel combinato disposto tra l’articolo 53,
comma 1, del Codice degli appalti e l’articolo 5-bis, comma 3, del Dlgs n. 33
del 2013, riposa il divieto di accesso generalizzato in questo specifico
ambito disciplinare e ciò perché, ai sensi della richiamata norma contenuta
del Codice degli appalti, «il diritto di accesso agli atti delle procedure
di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le
candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della
legge 07.08.1990, n. 241».
I fatti di causa
Nell’ambito di una gara il secondo classificato, con una specifica istanza
di accesso, chiedeva di prendere visione ed estrarre copia degli atti di
subaffidamento e/o subappalto richiesti e autorizzati all’aggiudicatario.
La stazione appaltante negava l’accesso alla documentazione richiesta così
motivando: «Si fa presente che, con riferimento a quanto richiesto nel punto
c) della Vostra istanza di accesso agli atti, non si ravvisano i presupposti
previsti dall’articolo 22, comma 1, lett. b), della legge 241/1990 nonché
dall’articolo 2 del Dpr n. 184 del 2006. Segnatamente, non si è riscontrata
in capo all’istante –in relazione agli atti di subaffidamento e subappalto– la presenza dell’’interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad
una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è
chiesto l’accesso’, che costituisce presupposto giuridico necessario per
l’accesso agli atti».
Avverso il diniego di accesso l’impresa istante proponeva ricorso innanzi al
Tar del Lazio che, con la sentenza oggetto del presente commento, lo
rigettava.
La posizione del Tar Lazio
Per il Giudice amministrativo romano l’accesso agli atti concernenti le gare
d’appalto e l’esecuzione dei contratti pubblici è oggetto di una disciplina
ad hoc, costituita dalle apposite disposizioni contenute nel Codice dei
contratti pubblici e, ove non derogate, da quelle in tema di accesso
ordinario recate dalla legge n. 241 del 1990. In tale ambito non trova
perciò applicazione l’istituto dell’accesso civico generalizzato, stante la
clausola di esclusione contenuta nell’articolo 5-bis, comma 3, del Dlgs n.
33/2013.
Ad avviso del Tar Lazio, l’esclusione dell’applicazione dell’accesso
generalizzato alla materia degli appalti manifesta una propria e ben precisa
ratio, tenuto conto della circostanza che la disciplina dell’affidamento e
dell’esecuzione dei contratti pubblici costituisce un complesso normativo
chiuso, in quanto espressione di precise direttive europee volte alla
massima tutela del principio di concorrenza e trasparenza negli affidamenti
pubblici, che dunque attrae a sé anche la regolamentazione dell’accesso agli
atti connessi alle specifiche procedure espletate.
La scelta del legislatore è, perciò, giustificata dalla considerazione che
si tratta pur sempre di documentazione che, da un lato, subisce un forte e
penetrante controllo pubblicistico da parte di soggetti istituzionalmente
preposti alla specifica vigilanza di settore (Anac), e, dall’altro,
coinvolge interessi privati di natura economica e imprenditoriale di per sé
sensibili (e quindi astrattamente riconducibili alla causa di esclusione di
cui al comma 2, lett. c), dell’articolo 5-bis del Dlgs n. 33 del 2013),
specie quando tali interessi, dopo l’aggiudicazione, vanno a porsi su di un
piano pari ordinato -assumendo la connotazione di veri e propri diritti
soggettivi- rispetto a quelli della stazione committente
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 22.01.2019).
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MASSIMA
11. Nel merito, il ricorso è, tuttavia, infondato.
11.1. La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che l’istituto
dell’accesso civico generalizzato non trova applicazione con riferimento
agli “atti di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”, secondo
la formulazione utilizzata dall’articolo 53, comma 1, del Codice dei
contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016 (cfr. TAR
Emilia Romagna, Parma, 18.07.2018, n. 197; nello stesso senso TAR
Marche, 18.10.2018, n. 677).
11.2. Deve, infatti, osservarsi che l’articolo 5-bis, comma 3, del decreto
legislativo n. 33 del 2013 stabilisce espressamente che “Il diritto di cui
all’articolo 5, comma 2” –ossia, come detto, l’accesso civico generalizzato– è escluso, tra l’altro, nei casi “in cui l’accesso è subordinato dalla
disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti,
inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del
1990”.
La suddetta previsione si lega con quella contenuta all’articolo 53 del
decreto legislativo n. 50 del 2016, ove –riproducendo, sul punto, la
formulazione dell’articolo 13 del previgente decreto legislativo n. 163 del
2006– si stabilisce che “Salvo quanto espressamente previsto nel presente
codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di
esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte,
è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 07.08.1990, n.
241”.
In altri termini, l’accesso agli atti concernenti la procedura di
affidamento e la fase di esecuzione dei contratti pubblici è oggetto di una
disciplina ad hoc, costituita dalle apposite disposizioni contenute nel
Codice dei contratti pubblici e, ove non derogate, da quelle in tema di
accesso ordinario recate dalla legge n. 241 del 1990. In tale ambito non
trova perciò applicazione l’istituto dell’accesso civico generalizzato,
stante la clausola di esclusione contenuta nel richiamato articolo 5-bis,
comma 3, del decreto legislativo n. 33 del 2013.
11.3. Né potrebbe obiettarsi –come fa la ricorrente– che alla data
dell’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici, emanato con
il decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, l’accesso civico generalizzato
non era stato ancora introdotto, trattandosi di istituto previsto per la
prima volta dal successivo decreto legislativo 25.05.2016, n. 97, che ha
sostituito l’articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2013. Come,
infatti, condivisibilmente evidenziato nei precedenti sopra richiamati “è lo
stesso legislatore del 2016 a considerare e regolamentare l’ipotesi di
discipline sottratte per voluntas legis, anche se precedente
all’introduzione del nuovo istituto, alla possibilità di accesso
generalizzato” (così TAR Parma, n. 197 del 2018, cit.).
11.4. D’altro canto, come pure rimarcato nella pronuncia ora richiamata,
l’esclusione dell’applicazione dell’accesso generalizzato manifesta una
propria e ben precisa ratio, tenuto conto della circostanza che la
disciplina dell’affidamento e dell’esecuzione dei contratti pubblici
costituisce un “complesso normativo chiuso, in quanto espressione di precise
direttive europee volte alla massima tutela del principio di concorrenza e
trasparenza negli affidamenti pubblici, che dunque attrae a sé anche la
regolamentazione dell’accesso agli atti connessi alle specifiche procedure
espletate”.
La scelta del legislatore è, perciò, giustificata dalla
considerazione che “si tratta pur sempre di documentazione che, da un lato,
subisce un forte e penetrante controllo pubblicistico da parte di soggetti
istituzionalmente preposti alla specifica vigilanza di settore (ANAC), e,
dall’altro, coinvolge interessi privati di natura economica e
imprenditoriale di per sé sensibili (e quindi astrattamente riconducibili
alla causa di esclusione di cui al comma 2, lett. c), dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013), specie quando tali interessi, dopo l’aggiudicazione,
vanno a porsi su di un piano pari ordinato – assumendo la connotazione di
veri e propri diritti soggettivi - rispetto a quelli della stazione
committente” (così ancora TAR Parma, n. 197 del 2018, cit.).
11.5 Il diniego implicitamente opposto da Consip all’istanza di accesso
della ricorrente è, perciò, sorretto dal quadro normativo sopra illustrato.
12. Alla luce di quanto sin qui illustrato, il ricorso deve essere respinto. |
APPALTI: Appalto
valido anche se l’atto di nomina e i curricula della commissione non sono
pubblicati.
Per il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza
14.01.2019
n. 283, il mancato adempimento degli obblighi di pubblicazione
dell'atto di nomina della commissione di gara e dei curricula dei commissari
non integra una illegittimità tale da determinare l'annullabilità (o la
nullità) degli atti del procedimento di gara.
Questo perché le forme di
pubblicità (stabilite dal decreto legislativo 33/2013 e dalla stessa legge
anticorruzione 190/2012) non devono essere intese come adempimenti
costitutivi dell'efficacia degli atti.
La vicenda
Risulta di grande importanza pratica la decisione della quinta sezione del
Consiglio di Stato in tema di obblighi di trasparenza degli atti di gara.
Nel caso trattato, il ricorrente pretendeva l'annullamento degli atti
relativi a una procedura di appalto per l'affidamento del servizio di
raccolta differenziata.
Tra le varie doglianze, l'impresa aveva eccepiva
l'illegittimità degli atti adottati (e della stessa aggiudicazione) per il
fatto che il responsabile unico del procedimento avesse omesso di
ottemperare, in primo luogo, agli obblighi di trasparenza previsti, in
particolare dall'articolo 29 del codice dei contratti.
La norma impone la pubblicazione di «Tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici (…) relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e
forniture, nonché alle procedure per l'affidamento di appalti pubblici di
servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione,
di concorsi di idee e di concessioni».
L'adempimento prevede anche la pubblicazione degli atti relativi alla nomina
e composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi
componenti, sul profilo del committente e nella sezione «Amministrazione
trasparente».
Gli atti in argomento –in particolare quelli relativi alla commissione di
gara– risultavano pubblicati solamente all'albo pretorio online della
stazione appaltante.
Per l'impianto accusatorio, il vizio dedotto –ovvero l'omessa pubblicazione
dei curricula e delle dichiarazioni di assenza di cause di incompatibilità-
avrebbe impedito «di verificare le effettive competenze dei commissari
chiamati in qualità di esperti a partecipare alla commissione, l'esistenza
di cause di incompatibilità (ai sensi dell'art. 77, comma 9, codice dei
contratti pubblici), nonché di conflitti di interesse ai sensi dell'art. 42
del codice, o, ancora di cause di inconferibilità di cui all'art. 35-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 77, comma 6, del codice e 51 cod. proc. civ.»
determinando l'illegittimità dell'intera procedura di gara. Da ciò, sempre
secondo il censurante, gli atti avrebbero dovuto essere considerati «nulli
per violazione dell'art. 1, comma 15, della legge n. 190 del 2012 e degli
artt. 19 e 23 del d.lgs. n. 33 del 2013, i quali fissano obblighi di
pubblicazione che sarebbero “elemento essenziale degli atti della PA, nel
caso specifico, del provvedimento di nomina della commissione”».
La decisione
Il ragionamento espresso dal ricorrente non ha persuaso il giudice che si è
soffermato sulla ratio (e sugli effetti) delle forme di pubblicità previste
in tema di trasparenza e anticorruzione.
Si legge nella sentenza, «nessuna delle forme di pubblicità richieste dalla
legge, ai diversi fini perseguiti dalle norme in tema di trasparenza nella
p.a. (…), costituisce “elemento essenziale” dell'atto di nomina dei
commissari di gara, la cui mancanza –analogamente alla violazione degli
obblighi di forma prescritti appunto per gli atti formali- ne causi
l'illegittimità o, addirittura, la nullità».
Gli adempimenti, pertanto, non incidono sulla efficacia degli atti adottati
ma rappresentano una delle modalità per rendere trasparente, visibile e,
soprattutto, conoscibile l'attività della pubblica amministrazione.
Una procedura di gara, in sostanza, può ritenersi realmente viziata
«soltanto dall'effettiva esistenza, in concreto, delle situazioni di
incompatibilità o di conflitto di interessi che l'adempimento» degli
obblighi predetti «di trasparenza e di pubblicità mira soltanto a prevenire,
favorendo la conoscenza (o conoscibilità) delle diverse situazioni ivi
considerate».
Inoltre, nella situazione concreta, la conoscenza del provvedimento di
nomina della commissione di gara risultava assicurata mediante la
pubblicazione sull'Albo pretorio on line della stazione appaltante
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 24.01.2019).
---------------
MASSIMA
10. Col quinto motivo è dedotto il vizio di “omessa
pubblicazione dei curricula dei commissari”, nonché delle dichiarazioni
di assenza di cause di incompatibilità, con asserita violazione dell’art. 29
del d.lgs. n. 50 del 2016 e del d.lgs. n. 33 del 2013.
Secondo l’appellante, tale omissione -impedendo di verificare le effettive
competenze dei commissari chiamati in qualità di esperti a partecipare alla
commissione, l’esistenza di cause di incompatibilità (ai sensi dell’art. 77,
comma 9, codice dei contratti pubblici e 22 regolamento C.U.C.), nonché di
conflitti di interesse ai sensi dell’art. 42 del codice, o, ancora di cause
di inconferibilità di cui all’art. 35-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, art.
77, comma 6, del codice e 51 cod. proc. civ.- determinerebbe l’illegittimità
dell’intera procedura di gara. Gli atti sarebbero inoltre nulli per
violazione dell’art. 1, comma 15, della legge n. 190 del 2012 e degli artt.
19 e 23 del d.lgs. n. 33 del 2013, i quali fissano obblighi di pubblicazione
che sarebbero “elemento essenziale degli atti della PA, nel caso
specifico, del provvedimento di nomina della commissione”.
10.1. Il motivo è infondato.
Nessuna delle forme di pubblicità richieste dalla legge, ai
diversi fini perseguiti dalle norme in tema di trasparenza nella p.a.
richiamate dall’appellante, costituisce “elemento essenziale”
dell’atto di nomina dei commissari di gara, la cui mancanza –analogamente
alla violazione degli obblighi di forma prescritti appunto per gli atti
formali- ne causi l’illegittimità o, addirittura, la nullità.
La procedura di gara può essere inficiata soltanto
dall’effettiva esistenza, in concreto, delle situazioni di incompatibilità o
di conflitto di interessi che l’adempimento dei detti obblighi di
trasparenza e di pubblicità mira soltanto a prevenire, favorendo la
conoscenza (o conoscibilità) delle diverse situazioni ivi considerate.
Peraltro, nel caso di specie, la conoscenza del provvedimento di nomina
della commissione di gara è stata assicurata mediante la pubblicazione
sull’Albo pretorio dell’Unione dei Comuni del Tappino.
Il quinto motivo va respinto. |
APPALTI: Il
Tar Milano esce dal coro: accesso civico generalizzato sugli atti di gara.
Gli atti di gara possono essere oggetto di accesso civico generalizzato.
Questo scrivono i giudici del Tar Milano -Sez. IV- nella
sentenza
11.01.2019 n. 45, che si distingue in un panorama
giurisprudenziale non ancora assestato su tale soluzione.
Avendo indetto una procedura negoziata, andata deserta la precedente
ristretta, per affidare in concessione mista di beni e servizi alcuni
interventi per migliorare l'efficienza energetica sugli edifici di proprietà
comunale, la Provincia di Lecco ha respinto l’istanza di accesso agli atti,
anche con valenza di accesso civico, di un impresa che non aveva partecipato
alla gara. L’esclusa si è opposta rivendicando il diritto di accesso con
riguardo alla legge 241/1990, all'articolo 53 del Dlgs 50/2016 e
all’articolo 5, comma 2, del DLgs 33/2013.
L’accesso civico generalizzato
L’accesso a dati e documenti della pubblica amministrazione, anche ulteriori
rispetto a quelli per i quali sussiste un obbligo giuridico di
pubblicazione, è diritto riconosciuto a tutti dall’articolo 5, commi 2 e 3,
del Dlgs 33/2013. Non è necessario, quindi, provare una particolare
legittimazione e né motivare l’istanza.
Nella sentenza del Tar Milano 45/2019 i giudici hanno ritenuto illegittimo
il diniego, motivato in base all'articolo 5-bis, comma 2, lettera c) del Dlgs 33/2013, che esclude tale accesso per evitare un pregiudizio concreto
agli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica. La
stazione appaltate non aveva menzionato le circostanze fattuali e giuridiche
impeditive; non aveva interpellato le due imprese interessate alla domanda
di accesso civico, come prescrive il Dpr 184/2006, né ha valutato l'istanza
subordinata di accesso parziale, circoscritto alle parti delle offerte non
coperte da segreto.
Le eccezioni alla regola generale dell'accesso civico fissata dal Dlgs
33/2013 sono da interpretare in modo restrittivo. Ma l’articolo 53 del Dlgs
50/2016 non è una disciplina speciale che deroga alla legge 241/1990 e tale
da escluderlo definitivamente. Può essere vietato a tempo, negli stessi
limiti validi per i partecipanti alla gara, fino alla conclusione di questa,
e precluso secondo quanto prescritto da altre disposizioni, tra le quali
l’articolo 5, comma 2, del Dlgs 33/2013.
La sentenza del Tar Bari 41/2019 ha rimarcato che l'articolo 21 della
Direttiva 24/2014 tutela la riservatezza dei partecipanti alle gare, in
ordine alla informazioni da loro comunicate e considerate riservate
«compresi anche, ma non esclusivamente, segreti tecnici o commerciali,
nonché gli aspetti riservati delle offerte». Prevale la trasparenza,
insomma, se lo consente la legislazione nazionale cui è soggetta
l'amministrazione aggiudicatrice. Invero, il legislatore italiano punta
sulla trasparenza, che diventa recessiva solo in caso di segreti tecnici e
commerciali. Di qui deriva la peculiare legittimazione prevista
dall'articolo 53 del Dlgs 50/2016 e dall'articolo 22, comma, 1 lettera b),
della legge 241/1990.
I segreti, invece, sebbene presi in considerazione nella direttiva 24/2014,
non esauriscono l'insieme degli atti per i quali va garantito diritto alla
riservatezza, che prevale sul principio di trasparenza.
I precedenti
Per il Tar Ancona 677/2018, l’articolo 53 del Dlgs 50/2016 detta una
disciplina speciale che rinvia alle regole sul diritto di accesso ordinario
(così anche la decisione del Tar Parma 197/2018). Tale articolo integra un
caso di esclusione della disciplina dell'accesso civico in base all'articolo
5-bis, comma 3, del Dllgs 33/2013, che stabilisce come il diritto di accesso
civico generalizzato sia escluso nei casi in cui è subordinato dalla
disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti.
Con queste motivazioni è stata rigettata l'istanza di accesso civico
generalizzato alla documentazione inerente a una gara di appalto, già
espletata, perché ricade nell'ambito di applicazione dell'articolo 53, comma
1, del Dlgs 50/2016. Nel caso specifico il richiedente non intendeva
controllare il perseguimento di funzioni istituzionali o l'utilizzo di
risorse pubbliche, ma acquisire informazioni utili sull'esecuzione
dell'appalto, per i quali è riconosciuto il diritto alla visione e
all’estrazione di copia (legge 241/1990).
Secondo il Tar Palermo 1905/2018, l’istanza di accesso al contratto pubblico
stipulato dalla stazione appaltante e allla documentazione successiva
all'aggiudicazione, presentata dal concorrente e fondata sia sull'articolo
22 della legge 241/1990, sia sull'articolo 5 del Dlgs 33/2013, deveessere
trattata in base alle norme sull'accesso generalizzato
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 28.01.2019). |
APPALTI:
Pubblicazione bandi concessione sui quotidiani.
Domanda
Il comune deve affidare in concessione un servizio per l’ammodernamento
degli impianti di pubblica illuminazione e successiva gestione, quali sono
gli obblighi di pubblicazione di un bando di gara considerato che il decreto
del MIT 02.12.2016, con riferimento alla pubblicazione sui quotidiani
disciplina solo quello relativo agli avvisi e bandi di concessione di
importo compreso tra gli euro 500.000 e la soglia comunitaria?
Risposta
La procedura di gara richiamata nel quesito segue la pubblicità legale come
prevista dagli artt. 72 e 73 del d.lgs. 50/2016 e del decreto MIT n.
02.12.2016 rubricato “Definizione degli indirizzi generali di pubblicazione
degli avvisi e dei bandi di gara di cui agli artt. 70, 71 e 98 del d.lgs.
50/2016.
Nel caso di concessione di servizi di importo compreso tra i 500.000 euro e
la soglia comunitaria, l’art. 3 del decreto del MIT alla lettera a) prevede
la pubblicazione per estratto su almeno uno dei principali quotidiani a
diffusione nazionale e su almeno uno a maggiore diffusione locale nel luogo
ove si eseguono i contratti, mentre nulla è precisato nella successiva
lettera b), dove la pubblicazione sui quotidiani è limitata “agli avvisi
e bandi relativi ad appalti pubblici di lavori, servizi e forniture di
importo superiore alle soglie di cui all’art. 35 del codice”.
Si ritiene tuttavia che tale obbligo possa comunque derivare dall’art. 164,
co. 2, del d.lgs. 50/2016 che estende alle procedure di aggiudicazione dei
contratti di concessione di lavori o di servizi, in quanto compatibili, le
disposizioni contenute nella parte I e nella parte II del codice,
relativamente alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi degli
avvisi.
Pertanto, seppure non espressamente richiamato nella sopra citata lettera b)
del decreto del MIT, si ritiene che nel caso di concessione sopra soglia
comunitaria i bandi e gli avvisi di gara debbano essere pubblicati, oltre
che sulla GUUE, sulla piattaforma ANAC (non ancora operativa), sul profilo
del committente (Amministrazione trasparente – sezione livello 1: Bandi di
gara e contratti – sotto-sezione 2: Atti delle amministrazioni
aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori distintamente per ogni procedura –
Avvisi e bandi), sulla piattaforma del Ministero delle Infrastrutture (anche
tramite i sistemi regionali) per estratto, dopo 12 giorni dall’invio alla
GUUE, anche su due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su 2 a
maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i contratti. Per area
interessata si intende il territorio della provincia (09.01.2019 -
tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
FPV e
Indagine di mercato.
Domanda
Sono il ragioniere di un piccolo comune e sto iniziando a chiudere i conti
del 2018 in vista del riaccertamento ordinario. Il mio tecnico pretende di
conservare a residuo passivo una spesa per la quale a dicembre ha fatto una
semplice un’indagine di mercato, senza alcuna aggiudicazione. Io non ne sono
affatto convinto. Mi potete aiutare?
Risposta
La corretta attivazione del Fondo pluriennale vincolato è un tema che sta
molto a cuore ai responsabili dei servizi finanziari ed è fondamentale ai
fini del corretto riaccertamento ordinario dei residui al 31 dicembre, quale
atto propedeutico alla stesura del rendiconto di esercizio. Come noto la sua
definizione è contenuta al punto 5.4 del principio contabile applicato
concernente la contabilità finanziaria, allegato n. 4/2 al d.lgs. 118/2011:
il FPV è un saldo finanziario, costituito da risorse già accertate destinate
al finanziamento di obbligazioni passive dell’ente già impegnate, ma
esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l’entrata.
Esso è formato solo da entrate correnti vincolate e da entrate destinate al
finanziamento di investimenti, accertate e imputate agli esercizi precedenti
a quelli di imputazione delle relative spese. La presenza di un’obbligazione
passiva verso terzi è condizione necessaria per la sua attivazione, tranne
–ad oggi– che in due ipotesi, puntualmente elencate dal principio:
a) per spese di investimento per lavori pubblici, per i quali il
Fondo si può attivare anche senza aggiudicazione (e conseguente impegno), a
condizione che l’ente abbia impegnato una parte del quadro tecnico-economico
diversa dalle spese di progettazione;
b) per spese per le quali l’ente abbia avviato almeno la procedura
di selezione del contraente ai sensi dell’articolo 53, comma 2, del decreto
legislativo n. 163 del 2006, unitamente alle voci di spesa contenute nel
quadro economico dell’opera, ancorché non impegnate.
Su quest’ultima fattispecie è intervenuta di recente la Corte dei conti,
sezione regionale di controllo per il Veneto, con propria
deliberazione n. 439/2018/PAR, depositata il 14/11/2018, in
risposta a specifico quesito formulato dal comune di Padova.
La Corte, dopo aver premesso che sulla questione vi sarebbero opinioni
contrastanti, in quanto nel principio non si fa menzione della procedura
dell’indagine di mercato di cui all’art. 36 dell’attuale codice dei
contratti, ha precisato che il riferimento normativo ivi contenuto (l’art.53,
comma 2 del previgente codice) debba intendersi in senso dinamico e non in
senso statico. Il vecchio codice (di cui al d.lgs. 163/2006) è infatti stato
abrogato dal vigente codice, approvato con d.lgs. 50/2016, poi modificato
con d.lgs. 56/2017. L’indagine di mercato, al pari della pubblicazione del
bando e l’invito a presentare le offerte, segna l’avvio della procedura
selettiva.
Il rinvio alla previgente norma operato dal principio ha il solo scopo di
richiamare in senso dinamico la normativa in tema di procedure di
affidamento, che oggi, a distanza di alcuni anni dall’entrata in vigore del
principio stesso, è stata sostituita dal nuovo codice. L’eccezione prevista
dal principio si deve applicare anche ai nuovi e diversi istituti per
l’avvio della procedura volta ad individuare il soggetto affidatario, ivi
previsti. Fra queste rientra a pieno titolo l’indagine di mercato di cui
all’art. 36, comma 2 del d.lgs. 50/2016, analogamente alla pubblicazione del
bando di gara e all’invito a presentare le offerte, già previste e
disciplinate dal vecchio codice degli appalti.
Ecco perché essa, conclude la Corte, l’avvio dell’indagine di mercato è
condizione sufficiente per assicurare, in mancanza dell’impegno di spesa (e,
dunque, di un’obbligazione giuridicamente perfezionata) il necessario
ancoraggio giuridico della copertura delle spese per lavori pubblici
mediante il Fondo Pluriennale Vincolato, e possa ritenersi sufficiente a
consentire il trasferimento al Fondo medesimo del finanziamento oggetto di “prenotazione”.
Infine si evidenzia come la recente legge di bilancio 2019 sia intervenuta
in maniera decisa sulla disciplina delle spese di investimento degli enti
locali, modificando l’art. 183 del TUEL. Essa dispone infatti che le
economie di spesa relative a lavori pubblici concorrano alla determinazione
del Fondo secondo le modalità da definirsi con apposito decreto ministeriale
da adottarsi entro il 30 aprile prossimo che aggiorni ed adegui, sentita
Arconet, il principio contabile allegato n. 4/2 (07.01.2019 - tratto
da e link a www.publika.it). |
APPALTI: Centrali
di committenza, l'autonomia statale va sacrificata in nome della concorrenza.
Questa è la conclusione «forte» alla quale si arriva leggendo l'ordinanza
03.01.2019 n. 68 del Consiglio di Stato di rinvio pregiudiziale alla
Corte di giustizia europea nell'ambito della singolare causa che vede
contrapposti l'Anac e l'Asmel società consortile a.r.l. di diritto privato.
Singolare è l'oggetto del contendere che ruota intorno al diniego dell'Anac
di riconoscere al consorzio la qualifica di centrale di committenza da
esercitarsi nel territorio italiano. Nell'occasione, il Consiglio di Stato
dubita che sia conforme al diritto europeo la disciplina dell'articolo 33
del Dlgs 163/2006 (ex codice dei contratti pubblici) in materia di centrali
di committenza.
Si chiede alla Corte Europea se osta al diritto comunitario ed ai principi
di libera circolazione dei servizi e di tutela della concorrenza la norma di
specie che limita l'autonomia dei Comuni nella gestione dei servizi di
committenza a due soli modelli organizzativi (l'unione e il consorzio
pubblico ), escludendo la possibilità di ricorrere ad altri modelli (per
esempio consorzio di diritto comune con partecipazione di soggetti privati),
nonché la possibilità di operare al di fuori del territorio dei comuni
aderenti.
Attacco frontale all'autonomia istituzionale
Dunque, in nome del ritenuto effetto espansivo del principio di tutela della
concorrenza, si tratta di un attacco frontale all'autonomia istituzionale e
organizzativa garantita a favore degli Stati membri dell'Unione
dall'articolo 5 del Trattato dell'Unione Europea (Tue).
Invero, non è nuovo il tema del rapporto conflittuale tra tutela della
concorrenza, di competenza dell'Unione europea, e l'autonomia istituzionale
riconosciuta ai singoli Stati membri.
La questione è stata affrontata più
volte dalla Corte europea con l'arduo obiettivo di individuare un punto di
equilibrio tra gli opposti interessi in gioco. Al riguardo, occorre tenere a
mente che, nella ratio del Tue, gli Stati membri sottoscrittori, quali
soggetti autodeterminati e quindi titolari originari di tutti i poteri, con
l'articolo 5 del Trattato, hanno inteso riservare a se una competenza
generale a fronte del rilascio all'Unione europea, soggetto da essi
derivato, della delega eccezionale di specifiche materie tra le quali quella
della tutela della concorrenza.
Perciò, la Corte di giustizia, pur valorizzando la tutela della concorrenza,
ha concluso sempre fin dagli anni ‘70 per riconoscere una riserva di
autonomia istituzionale a favore degli Stato membri (sent. CGCE, 13/05/1971,
C-51/70). Dunque, gli Stati sono liberi di decidere e regolare se e come
organizzare e gestire funzioni e servizi pubblici senza dover rendere conto
al diritto comunitario fintanto che non sia prevista l'esternalizzazione degli
stessi ricorrendo ad operatori economici esterni. Di qui, in ragione del
diffusa plurisoggettività che caratterizza l'organizzazione della pubblica
amministrazione degli Stati moderni, la questione del contendere si è
spostata attorno ai concetti di esternalizzazione e di operatore economico.
Società in house providing
Esempio del primo aspetto è la giurisprudenza e la normativa che si è
formata intorno al concetto di società in house providing (sentenza CGE
18/11/1999, C-107/98); nonché intorno al concetto di organismo di diritto
pubblico ed ai necessari requisiti di influenza pubblica dominante e del
perseguimento di interessi generali extra economici ovvero dell'operatività
nell'ambito di un mercato non concorrenziale (sentenza CGCE, 03/10/2000,
C-380/98; sentenza CGCE, 15/5/2003, C-214/00).
Esempio del secondo aspetto è la giurisprudenza che si è formata intorno
agli accordi di cooperazione diretti tra enti pubblici (paternariato
pubblico-pubblico) nell'esercizio di funzioni e servizi pubblici senza dover
ricorrere alle regole dell'evidenza pubblica ed al mercato (sentenza CGE,
09/06/2009, C-480/06).
Giurisprudenza, quest'ultima che è stata recepita nelle
direttive sui contratti di appalto e concessioni pubblici tanto in senso
generale (articolo 18 della Direttiva n. 04/18/CE; art. 17 Dir. n. 2014/23/UE;
articoli 10 e 17 Direttiva n. 2014/24/UE) quanto nella specifica materia
delle centrali di committenza (artt. 1 e 10 Dir. n. 04/18/CE; articoli 2 e 37
Direttiva n. 2014/24/UE).
Quadro normativo europeo dal quale non sembra essersi discostato il
legislatore italiano tanto meno nel disciplinare le centrali di committenza
con l'articolo 33 del Dlgs n. 163/2006. Sotto questo profilo, l'ordinanza del
Consiglio di Stato del 03.01.2019 n. 68 solleva più di una perplessità. Ma
c'è di più. Al di la dell'esito che potrà sortire la richiesta del giudice
italiano, si pone il problema della effettiva pregiudizialità della
questione sollevata in riferimento al caso specifico.
Dagli atti di causa, infatti, emerge che la centrale di committenza, e
quindi il relativo modello organizzativo, non sono stati oggetto di una
volontaria iniziativa dei singoli Comuni aderenti (fatta eccezione per il
Comune di Caggiano): nessun potere di controllo analogo o di influenza
dominante è esercitato da questi ultimi. Inoltre, gli affidamenti del
servizio di committenza da parte dei comuni al consorzio Asmel avvengono
direttamente previa adesione all'associazione omonima, con una delibera di
giunta, senza ricorrere ad alcuna procedura ad evidenza pubblica.
L'aggio dell'1,5%
A favore del consorzio Asmel, infine, è previsto un aggio del 1,5% calcolato
sulla base di gara di ogni procedura gestita, imposto unilateralmente
all'operatore aggiudicatario.
Aggio che può generare ingenti compensi (stando ai dati sulle gare
effettuate risultanti dal provvedimento Anac impugnato) senza che sia dato
sapere quale pubblica autorità l'abbia determinato su quali basi di costi
del servizio e in ragione di quale disposizione normativa o amministrativa.
Dunque, nel caso di specie, al di la della problematica del rispetto della
normativa comunitaria e italiana in materia di tutela della concorrenza
nell'affidamento dei servizi, si pone la questione della legittimità di
prestazioni imposte agli operatori economici in violazione dell'articolo 23
della Costituzione.
Si pone, inoltre, la questione del rispetto della normativa europea in
materia di divieto di aiuti di stato nell'ambito della remunerazione del
servizio pubblico a rilevanza economica di committenza ovvero si pone il
problema del rispetto del «pacchetto SIEG 2011-12» costituito dagli atti
della Commissione europea (Comunicazione n. 2012/C 8/02; Decisioni n. 20/12/2011,
n. 2012/21/UE e n. 2012/C n. 8/03; Regolamento 25/04/2012 n. 360/2012). Al
riguardo, non è dato sapere dagli atti che si è potuto leggere se l'aggio
dell'1,5% sia giustificato dalla copertura dei costi inerenti al servizio e
di un utile ragionevole ovvero generi sovracompensazioni in violazione del
divieto di aiuti di stato.
Questione che il Consiglio di Stato non può non
affrontare anche d'ufficio (Consiglio di Stato, adunanza plenaria del
25.06.2018 n. 9; sentenze Corte Costituzionale 10.11.1994, n. 384 e
07.11.1995 n. 482) tanto più essendo giudice di ultima istanza soggetto
al giudizio diretto della Corte di giustizia europea (Cge sentenza 13.06.2006
C-173/03)
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 08.03.2019). |
APPALTI: Affidamento
di servizi, «sistema Asmel» all'esame della Corte di giustizia europea.
La normativa italiana limiterebbe l'autonomia dei Comuni nell'affidamento a
una centrale di committenza facendo ricorso a due soli modelli organizzativi
(unione di Comuni e consorzio tra Comuni), escludendo la possibilità di
costituire consorzi con privati e limitando l'operatività territoriale della
centrale di committenza.
Sono le questioni pregiudiziali rimesse alla Corte di giustizia Ue dal
Consiglio di Stato con l'ordinanza
03.01.2019 n. 68,
nel giudizio d'appello proposto dall'Asmel avverso la sentenza del Tar Lazio
n. 2339/2016.
La vicenda
Si tratta dell'ennesima tappa della vicenda che ha coinvolto la società
consortile Asmel, nata per aggregare gli appalti dei Comuni, da alcuni anni
al centro di una intricata controversia.
La vicenda nasce nel 2013 da numerosi esposti, pervenuti all'Autorità
guidata da Cantone, tra cui quello dell'Anacap (associazione nazionale
aziende concessionarie entrate locali). Ad aprile 2015 l'Anac, con la
delibera 32/2015, chiude un'articolata istruttoria e boccia in pieno il
«sistema Asmel», non avendo i requisiti per essere un soggetto aggregatore.
A giugno 2015 il Tar Lazio, con l'ordinanza 2544/2015, conferma il
provvedimento dell'Anac ma il Consiglio di Stato inverte la rotta
sospendendo l'efficacia della delibera Anac, seppure limitatamente alle gare
in corso e non anche a quelle nuove bandite dall'Asmel (ordinanze n.
4016/2015 e 5042/2015).
Tuttavia con sentenza n. 2339 del 2016, il Tar Lazio conferma in pieno la
validità della delibera Anac circa la non conformità alla legge del modello
Asmel, non riconducibile ad alcuno dei modelli legali di «soggetti aggregatori», stante la presenza nella compagine consortile di
un'associazione di diritto privato, che resta tale anche se gli associati
sono dei Comuni. Inoltre, non è possibile che una centrale di committenza
svolga la propria attività oltre l'ambito provinciale di competenza ovvero
sull'intero territorio nazionale.
Sul punto il Tar evidenzia che anche con riferimento al sistema oggi in
vigore può affermarsi l'esistenza di limiti territoriali, per alcuni casi
già definiti a livello di legislazione primaria (Consip e centrali di
acquisto regionali) e altri rimessi a un Dpcm attuativo, anche al fine di
evitare sovrapposizioni e interferenze di ruoli. In conclusione il Tar Lazio
boccia il «sistema Asmel», in quanto eccentrico e non riconducibile ad
alcuno dei modelli ammessi dalla legge.
Il rinvio alla Corte Ue
L'Asmel decide però di difendere in tutte le sedi, compresa la Corte di
giustizia Ue, le proprie scelte associative e presenta appello al Consiglio
di Stato, chiedendo il rinvio pregiudiziale previsto dal Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea. Richiesta che viene accolta dai giudici
di Palazzo Spada i quali sottopongono alla Corte Ue tre quesiti circa la
conformità con il diritto comunitario della normativa italiana nella parte
in cui:
1) limita l'autonomia dei Comuni nell'affidamento a una centrale di
committenza facendo ricorso a due soli modelli organizzativi (unione di
Comuni e consorzi tra Comuni);
2) esclude i consorzi di diritto comune non consentendo la
partecipazione anche di soggetti privati;
3) prevede una limitazione territoriale della centrale di
committenza che può operare al massimo nel suo ambito provinciale.
Ora la palla passa alla Corte di Lussemburgo che dovrà rispondere ai quesiti
formulati dal Consiglio di Stato. Nel frattempo l'Asmel ha modificato il
proprio statuto escludendo l'ipotesi che nella compagine sociale possano
entrare anche soggetti privati. Resta comunque il fatto che per il Tar Lazio
l'Asmel non è un organismo di diritto pubblico e non è possibile peraltro
configurare un controllo dei piccoli Comuni che indirettamente vi
partecipano
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 17.01.2019). |
anno 2018 |
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dicembre 2018 |
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APPALTI:
Svincolo
offerente.
Domanda
Vorrei sottoporre una questione che riguarda l’area organizzativa di cui
sono responsabile, relativamente all’aggiudicazione di un appalto di
assistenza software ed hardware.
Per varie lungaggini e, soprattutto, per sopravvenute carenze finanziarie,
pur avendo bandito una procedura ad invito (ai sensi dell’articolo 36, comma
2, lett. b), del codice dei contratti, non siamo riusciti ad aggiudicare nel
termine di 60 giorni dalla scadenza della gara e l’aggiudicataria ha
comunicato che non intende procedere con la stipula del contratto per
scadenza dei termini.
Vorremmo capire, pertanto, se siamo, come stazione appaltante, vincolati a
questo comportamento (visto che il ritardo è senza dubbio imputabile
all’amministrazione) o se abbiamo invece, altre possibilità come procedere
all’assegnazione dell’appalto al secondo in graduatoria.
Risposta
La questione posta ha una certa rilevanza anche perché incide sulla
correttezza dei rapporti che la stazione appaltante (e reciprocamente),
l’appaltatore debbono mantenere.
Dal quesito non è chiaro il riferimento al termine di 60 giorni come vincolo
per l’aggiudicazione. In realtà, il termine indicato viene in rilievo in
relazione alla stipula del contratto (e non di aggiudicazione).
Ai sensi del comma 1 dell’articolo 32 del codice dei contratti, il termine
di 60 giorni è riferito al “tempo” entro cui occorre giungere alla
formalizzazione del contratto (da cui, tra l’altro, sorge, l’obbligazione
giuridica che consente l’assunzione dell’impegno di spesa).
Il comma citato –prima parte– sottolinea che “Divenuta efficace
l’aggiudicazione, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei
casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di
appalto o di concessione ha luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo
diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero
l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario. Se
la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato,
l’aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante,
sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto”.
Aspetto completamente diverso è quello del “tempo”
dell’aggiudicazione. Il tempo (o il termine) dell’aggiudicazione deve essere
indicato nel bando di gara (o atto omologo) e, tradizionalmente viene
fissato dalla norma –in caso di mancata espressa o diversa indicazione– in
180 giorni. Termine che decorre dalla data di scadenza di presentazione
dell’offerta.
In particolare, il comma 4 sempre dell’articolo 32, –secondo disposizioni
già note anche sotto l’egida del pregresso codice degli appalti– puntualizza
che “Ciascun concorrente non può presentare più di un’offerta. L’offerta
è vincolante per il periodo indicato nel bando o nell’invito e, in caso di
mancata indicazione, per centottanta giorni dalla scadenza del termine per
la sua presentazione. La stazione appaltante può chiedere agli offerenti il
differimento di detto termine”.
Ora, non v’è dubbio che se nella lettera di invito (o nel testo della
richiesta a presentare offerta o in atti tecnici differenti) non è stata
riportata alcuna indicazione (e deve ritenersi sufficiente un semplice
richiamo al codice dei contratti) il termine che l’appaltatore deve “subire”
è quello di 180 giorni. Sempre fatto salvo che invece non sia stato indicato
altro termine.
Se viene a mancare una indicazione specifica e diversa, la norma in
questione è eterointegrativa e l’appaltatore non può legittimamente
rifiutarsi di stipulare il contratto. Si esporrebbe a provvedimenti della
stazione appaltante (quelli classici dell’escussione della cauzione e della
trasmissione degli atti all’ANAC ed in più detto comportamento è valutabile
anche in successivi appalti quale “misuratore” dell’affidabilità ai
sensi dell’articolo 80 del codice).
Il suggerimento, evidentemente, è quello di convocare l’appaltatore ponendo
in chiaro il riferimento normativo e gli obblighi a cui deve sottostare per
aver partecipato alla competizione.
In difetto si opera con un provvedimento di revoca dell’aggiudicazione
imputabile all’appaltatore e assegnazione al secondo classificato.
In giurisprudenza, può essere utile il ragionamento espresso dal TAR Puglia,
Bari, sez. III, sentenza del 06.12.2018 n. 1556.
In questa si legge che “l’art. 32, comma 4, del Dlgs 50/2016, prevede che
nelle gare d’appalto l’offerta del concorrente è vincolante per il periodo
indicato nel bando e, in caso di mancata indicazione, per 180 giorni
decorrenti dalla scadenza del termine per la sua presentazione, salvo che la
Stazione appaltante chieda ai concorrenti il differimento di tale termine.
La disposizione in questione, tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto da
parte ricorrente, non prevede una ipotesi di decadenza ex lege dell’offerta
decorso il relativo termine, consentendo all’offerente, con atto espresso,
di potersi svincolare dalla stessa prima dell’approvazione
dell’aggiudicazione definitiva. Pertanto, se l’offerente non dichiara
tempestivamente (alla scadenza del predetto termine di 180 giorni, ma prima
dell’approvazione dell’aggiudicazione definitiva) di ritenersi sciolto
dall’offerta, la stessa non decade” (19.12.2018 - tratto da e
link a www.publika.it). |
APPALTI:
Operatore economico non invitato.
Domanda
Come RUP mi sono occupato di predisporre gli atti per una procedura
negoziata per la fornitura di cancelleria. Al procedimento, per un importo
sotto soglia, ho, previa indagine di mercato sul MEPA, individuato 7
operatori a cui ho rivolto specifico invito.
Tra le offerte, peraltro non ancora aperte, è pervenuta la proposta
tecnico/economica di un diverso operatore che, evidentemente venuto a
conoscenza della procedura, ha deciso di partecipare alla procedura
negoziata nonostante non sia stato esplicitamente invitato.
Nell’analizzare questo aspetto, con il responsabile del servizio, ci si è
posti il problema se questo soggetto partecipante alla gara debba essere
ammesso. Secondo alcuni operatori il RUP dovrebbe procedere con l’esclusione
ma io rimango con forti dubbi. E’ possibile avere un chiarimento in merito?
Risposta
L’aspetto sollevato è, effettivamente, uno dei più delicati in quanto,
normalmente, alla procedura negoziata (soprattutto in relazione ad un
procedimento semplificato e libero come quello previsto nell’articolo 36 del
codice dei contratti), ordinariamente può partecipare solo l’appaltatore che
viene invitato.
Del resto, aspetti differenti non emergono neppure dalle linee guida n. 4
dell’ANAC che rimettono a discrezione della stazione appaltante su come
modellare l’avviso pubblico e/o come procedere con l’indagine di mercato
purché secondo criteri trasparenti ed oggettivi.
È bene però annotare che, anche in ossequio ad un comportamento imparziale,
anche la recente giurisprudenza ha invece evidenziato che, in caso di
proposta da parte di un operatore non invitato (sempre che risulti in
possesso dei prescritti requisiti), la stazione appaltante non possa
discrezionalmente decidere l’estromissione.
In questo senso, esemplificativo è il riscontro fornito dal Tar
Abruzzo–L’Aquila, con la recente sentenza n. 397/2018 con cui il giudice ha
ritenuto persuasivo il ragionamento del ricorrente che ha impugnato la
propria esclusione (o meglio il fatto che la propria offerta non sia stata
oggetto di considerazione per il fatto che risultava appaltatore non
invitato).
Di seguito si porta la parte sostanziale della sentenza con suggerimento al
RUP di attenersi a quanto in essa indicato;
“Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti pubblicava nell’Agosto 2018 la lettera
d’invito per l’affidamento, con il sistema della procedura negoziata di cui
all’art. 36, comma 2, lett. c), del D.Lgs. 50/2016, dei lavori di
consolidamento per il ripristino della transitabilità di un tratto della
S.P. 49 di Valle Castellana;
Considerato che la ricorrente, che aveva espressamente richiesto di poter
partecipare alla procedura, presentava domanda di partecipazione pur non
avendo ricevuto la lettera d’invito;
Ritenuto che la disposizione di cui all’art. 36, lett. c), D.Lgs. 50/2016
delinei una disciplina speciale che, pur nel rispetto dei principi di non
discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza,
affida esclusivamente all’amministrazione, non essendo prevista la previa
pubblicazione del bando di gara, l’individuazione degli operatori economici
astrattamente idonei a svolgere la prestazione e pertanto invitati a
presentare l’offerta, ispirandosi a principi di snellimento e celerità della
procedura e che, trattandosi pertanto di una procedura speciale e
derogatoria dei principi di pubblicità, come tale limitativa dell’altro
principio della massima partecipazione possibile posto a tutela della
concorrenza, le relative disposizioni devono essere oggetto di stretta
interpretazione;
Considerato che la giurisprudenza amministrativa ha affermato che “la
Sezione è dell’avviso che se, in ragione del potere riconosciuto
all’amministrazione di individuare gli operatori economici idonei a
partecipare e pertanto invitati a partecipare alla gara, un operatore
economico non possa vantare alcun diritto ad essere invitato a partecipare a
tale tipo di gara (potendo eventualmente, qualora sussista una posizione
legittimante e l’interesse, ricorrere nei confronti della scelta
discrezionale della amministrazione appaltante dell’individuazione dei
soggetti da invitare), non può negarsi ad un operatore economico, che sia
comunque venuto a conoscenza di una simile procedura e che si ritenga in
possesso dei requisiti di partecipazione previsti dalla legge di gara, di
presentare la propria offerta, salvo il potere dell’amministrazione di
escluderlo dalla gara per carenze dell’offerta o degli stessi requisiti di
partecipazione ovvero perché l’offerta non è pervenuta tempestivamente
(rispetto alla scadenza del termine indicata nella lettera di invito agli
operatori invitati) e sempre che la sua partecipazione non comporti un
aggravio insostenibile del procedimento di gara e cioè determini un concreto
pregiudizio alle esigenze di snellezza e celerità che sono a fondamento del
procedimento semplificato delineato dall’art. 122, comma 7, e 57, comma 6,
del D.Lgs. n. 163/2006: conseguentemente anche gli altri partecipanti, in
quanto invitati, non possono dolersi della partecipazione alla gara di un
operatore economico e tanto meno dell’aggiudicazione in favore di quest’ultimo
della gara, salva evidentemente la ricorrenza di vizi di legittimità diversi
dal fatto della partecipazione in quanto non invitato.
Una simile interpretazione è conforme non solo e non tanto al solo principio
del favor partecipationis, costituendo piuttosto puntuale applicazione
dell’altro fondamentale principio di concorrenza cui devono essere ispirate
le procedure ad evidenza pubblica e rappresentando contemporaneamente anche
un ragionevole argine, sia pur indiretto e meramente eventuale, al potere
discrezionale dell’amministrazione appaltante di scelta dei contraenti” (Cons.
St. 3989/2018)” (12.12.2018
- tratto da e link a www.publika.it). |
novembre 2018 |
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APPALTI: Suddivisione
dell’appalto pubblico in lotti.
La scelta della stazione
appaltante circa la suddivisione in lotti di
un appalto pubblico costituisce una
decisione normalmente ancorata, nei limiti
previsti dall’ordinamento, a valutazioni di
carattere tecnico-economico.
In tali ambiti, il concreto esercizio del
potere discrezionale dell’Amministrazione
circa la ripartizione dei lotti da conferire
mediante gara pubblica deve essere
funzionalmente coerente con il bilanciato
complesso degli interessi pubblici e privati
coinvolti dal procedimento di appalto e
resta delimitato, oltre che dalle specifiche
norme del codice dei contratti, anche dai
principi di proporzionalità e di
ragionevolezza.
In definitiva, la scelta della stazione
appaltante se suddividere o meno l’appalto
in più lotti e, a maggior ragione, la scelta
di cosa inserire nel singolo lotto non è
suscettibile di essere censurata per ragioni
di mera opportunità, ma solamente per vizi
sintomatici di eccesso di potere, nelle
forme della carenza dell’istruttoria, della
irragionevolezza e non proporzionalità
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 29.11.2018 n. 2688 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
In linea generale, va ricordato che «la
scelta della stazione appaltante circa la
suddivisione in lotti di un appalto
pubblico, costituisce […] una decisione
normalmente ancorata, nei limiti previsti
dall’ordinamento, a valutazioni di carattere
tecnico-economico.
In tali ambiti, il concreto esercizio del
potere discrezionale dell’Amministrazione
circa la ripartizione dei lotti da conferire
mediante gara pubblica deve essere
funzionalmente coerente con il bilanciato
complesso degli interessi pubblici e privati
coinvolti dal procedimento di appalto e
resta delimitato, oltre che dalle specifiche
norme […] del codice dei contratti, anche
dai principi di proporzionalità e di
ragionevolezza» (così, C.d.S., Sez. III,
sentenza n. 5224/2017).
In definitiva, la scelta della stazione
appaltante se suddividere o meno l’appalto
in più lotti e, a maggior ragione, la scelta
di cosa inserire nel singolo lotto non è
suscettibile di essere censurata per ragioni
di mera opportunità, ma solamente per vizi
sintomatici di eccesso di potere, nelle
forme della carenza dell’istruttoria, della
irragionevolezza e non proporzionalità (cfr.,
C.d.S., Sez. V, sentenza n. 2044/2018). |
APPALTI: Corte
di giustizia, solo chi partecipa può impugnare gli atti di una gara.
La legittimazione a impugnare gli atti di gara spetta soltanto alle imprese
che partecipano al bando. Le eccezioni a questo principio sono poche e,
comunque, non allargano in maniera indefinita le possibilità di tutela.
È quanto ha deciso ieri la Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza
28.11.2018 - causa C-328/17), confermando così la linea interpretativa dei
giudici amministrativi italiani. E, soprattutto, chiudendo una controversia
sul punto che andava avanti da anni e che nel 2016 (sentenza n. 245) aveva
visto coinvolta anche la Corte costituzionale.
La vicenda
Il caso riguarda una gara avviata dall’Agenzia regionale per il trasporto
pubblico locale della Liguria del 2015. La stazione appaltante aveva indetto
una gara per l’affidamento del servizio di trasporto pubblico, contro il
quale era stato proposto ricorso al Tar. Il motivo era l’affidamento del
servizio in un lotto unico: nessuna delle società ricorrenti, infatti, aveva
potuto partecipare alla gara, non avendo a disposizione la struttura
necessaria a garantire il servizio.
Il Tar Liguria, sebbene il bando di gara sia poi stato revocato, chiede alla
Corte di giustizia «se il diritto dell’Unione in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e di lavori sia contrario o meno ad una
normativa nazionale che riconosca la possibilità di impugnare gli atti di
una procedura di gara ai soli operatori economici che abbiano presentato
domanda di partecipazione alla gara stessa, anche qualora la domanda
giudiziale sia volta a sindacare in radice la procedura».
La decisione
La Corte, con la sentenza di ieri, ha ricordato che la partecipazione a un
procedimento di aggiudicazione di un appalto può, in linea di principio,
«validamente costituire una condizione» che deve essere soddisfatta per
dimostrare che il soggetto coinvolto ha interesse a ricorrere contro la
procedura. Difficile dimostrare l’interesse a opporsi in assenza di
un’offerta.
Ci sono, per la verità, delle eccezioni. L’operatore economico potrà, cioè,
fare ricorso «nelle ipotesi in cui tale offerta era oggettivamente
impossibile», per esempio, per la presenza nel bando «di clausole
immediatamente escludenti o di clausole che impongono oneri manifestamente
incomprensibili o del tutto sproporzionati o che rendono impossibile la
stessa formulazione dell’offerta».
Il sistema italiano, consolidatosi con questo assetto attraverso diverse
pronunce, viene allora giudicato compatibile con le norme europee. Tenendo
fermi questi principi, affermati sia dal Consiglio di Stato che dalla Corte
costituzionale, bisognerà solo verificare che «il diritto a una tutela
giurisdizionale effettiva» dell’impresa ricorrente sia concretamente
garantito
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 29.11.2018).
---------------
MASSIMA
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
Sia l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva
89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle
procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di
forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, sia l’articolo 1,
paragrafo 3, della direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25.02.1992, che
coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
relative all’applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di
appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che
forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore
delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66, devono
essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come
quella di cui al procedimento principale, che non consente agli operatori
economici di proporre un ricorso contro le decisioni dell’amministrazione
aggiudicatrice relative a una procedura d’appalto alla quale essi hanno
deciso di non partecipare poiché la normativa applicabile a tale procedura
rendeva molto improbabile che fosse loro aggiudicato l’appalto in questione. |
APPALTI:
Rispetto principio rotazione.
Domanda
Il nostro ente deve procedere con l’aggiudicazione del servizio di
assistenza macchine d’ufficio e supporto tecnico. Il pregresso appalto, in
prossimità di scadenza, triennale, è stato aggiudicato con una procedura
aperta (una gara “vera e propria”) che ha visto aggiudicarsi la ditta
X.
Il RUP, anche per una particolare situazione di carenza di organico venutasi
a creare ed altre difficoltà determinate dalla necessità di procedere con
una serie di adempimenti, suggerisce ora –in luogo della gara “vera e
propria”– l’espletamento di una procedura semplificata (biennale) ai
sensi dell’articolo 36, comma 2, lett. b), del codice dei contratti. Nella
procedura ad inviti, il responsabile unico ritiene che non possa essere
invitato anche il pregresso affidatario per la necessità di rispettare il
principio di rotazione.
Questa impostazione deve ritenersi corretta considerato che il pregresso
affidatario in realtà si è aggiudicato una gara pubblica ed “escluderlo”
per effetto della rotazione sembrerebbe una penalizzazione che neppure le
linee guida ANAC n. 4 sembrano ammettere. E’ possibile avere un riscontro
sulla correttezza dell’ impostazione del RUP?
Risposta
La questione dell’applicazione pratica della rotazione tra imprese,
oggettivamente, nel nostro paese sta determinando un conflitto intenso a
cui, anche i giudici, spesso non forniscono orientamenti totalmente
convincenti.
Ulteriore questione, poi, è che all’interno della stazione appaltante il
criterio della rotazione viene applicato in modo differente dai vari
responsabili di servizio e RUP, con approcci spesso opposti.
Da qui, l’inevitabile constatazione che l’approccio a tale criterio debba
avere un momento di “sintesi” di tipo generale all’interno dell’ente
magari con una delibera giuntale (se si tratta di comuni) o un indirizzo
generale avvallato dal responsabile anticorruzione magari adottato in
conferenza di servizi tra responsabili.
Fatta questa premessa, occorre focalizzarsi sulla esigenza sottesa alla
rotazione. L’esigenza della rotazione si impone per evitare che chi sia
stato parte di un contratto possa utilizzare quel “bagaglio” di
conoscenze/esperienze” determinate dalla “contiguità” con la stazione
appaltante nella fase di esecuzione.
Essere parte di un contratto, secondo la giurisprudenza e l’ANAC (con le
linee guida n. 4), può generare rapporti particolari tra appaltatore e
stazione appaltante (RUP e responsabile del servizio) che possono essere
strumentalizzati per ottenere proroghe, rinnovi contrattuali ed altre
opzioni non dovute (per legge) ed allo stesso modo possono “condizionare”
la libera autonomia della stazione appaltante nel momento in cui questa si
dispone a predisporre gli atti di gara.
Ad esempio, astraendo dal caso posto con la domanda, tale posizione di “vantaggio”
(determinata dalle conoscenze acquisite in fase di esecuzione del contratto)
potrebbero indurre, a fine contratto, il RUP a scegliere invece che una
nuova procedura di gara (assolutamente asettica e libera) l’opzione del
procedimento ad inviti (proprio per invitare, pur con adeguata motivazione,
il pregresso affidatario).
Nelle linee guida n. 4, l’ANAC associa l’esigenza di rispettare il criterio
della rotazione a successione di appalti con “stessa” commessa (o
commessa riconducibile allo stesso settore o allo stesso genere di servizi
e, secondo la giurisprudenza, anche servizi “analoghi”).
La rotazione, evidentemente, non si pone nel caso in cui il RUP opti per una
procedura aperta. E’ chiaro che non è possibile porre alcun limite alla
partecipazione.
Più delicata è la questione della successione tra procedura aperta e
procedura semplificata ad inviti.
In questo senso, nella relazione tecnica che accompagna le linee guida, l’ANAC
puntualizza che –nonostante posizioni anche dottrinali diverse– “si
ritiene più coerente con l’essenza del principio (di rotazione) ammetterne
l’applicabilità anche a fronte di selezioni (a monte) rispettose
dell’evidenza pubblica. D’altra parte, come ha di recente osservato il
Consiglio di Stato (si veda la sentenza del Consiglio di Stato n. 4142 del
31.08.2017), il rischio di consolidamento di rendite di posizione, vuoi solo
per ottenere proroghe, rinnovi o estensioni contrattuali, o anche –si
potrebbe aggiungere– per influenzare la predisposizione dei successivi atti
di gara, è ipotizzabile pienamente anche in presenza di una selezione
originaria che avvenga tramite procedura aperta”.
In sostanza, secondo l’autorità anticorruzione al procedimento semplificato
non può essere invitato il pregresso affidatario anche se questi si sia
aggiudicato il precedente l’appalto (con ad oggetto la stessa commessa o
commessa di settori analoghi) con un procedimento ad evidenza pubblica,
salvo evidentemente una chiara ed esaustiva motivazione.
L’unica motivazione che appare realmente plausibile è quella della carenza
nel mercato di potenziali contraenti, sempre che il RUP possa certificare
l’espletamento di una gestione del precedente contratto in modo più che
soddisfacente (non solo a regola d’arte) anche considerando la convenienza
indiscutibile dell’offerta.
Si tratta però, e si ripete, di aspetti che devono trovare una uniforme
applicazione all’interno della stazione appaltante per evitare disparità di
trattamento grave tra i vari appaltatori (28.11.2018 - tratto da e
link a www.publika.it). |
APPALTI:
Sulla esclusione delle imprese da gare pubbliche per
pregresse condotte che integrano illeciti anticoncorrenziali
(parere
06.08.2018-424435 -
AL
27806/2018
-
Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 4/2018).
---------------
Con la nota indicata a margine, codesto Ufficio -
richiestone da Consip S.p.A. - ha posto alla scrivente
alcuni quesiti relativi alla rilevanza, quale motivo di
esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara per
l’affidamento di contratti pubblici, di pregresse condotte
delle imprese che integrano illeciti anticoncorrenziali.
Si chiede in primo luogo di conoscere - alla luce del
pertinente quadro normativo e delle Linee guida pubblicate
dall’ANAC - se, al fine anzidetto, la stazione appaltante
debba valutare esclusivamente le condotte accertate con
provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato divenuto inoppugnabile o confermato, quanto meno
nella direzione di accertamento dell’illecito, con sentenza
passata in giudicato, ovvero se possano avere rilievo anche
illeciti che non siano divenuti già incontestabili da parte
delle imprese interessate («primo quesito»).
In secondo luogo -e in relazione a una limitazione, in tal
senso, contenuta nelle vigenti Linee guida dell’ANAC- si
chiede di conoscere, anche con specifico riferimento a un
recente cartello anticoncorrenziale accertato dall’AGCM, se,
ai fini suddetti, debba esserci integrale coincidenza tra il
mercato rilevante nel cui contesto si è realizzato
l’illecito antitrust e mercato oggetto del contratto da
affidare («secondo quesito»). (...continua).
---------------
(parere
26.11.2018-606595 - AL 27806/2018 -
Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 4/2018).
Con nota prot. 424435/6 P del 06.08.2018, che si unisce
in copia, la scrivente, in risposta alla nota indicata a
margine, ebbe a rendere un parere sulla questione in oggetto
[Illeciti antitrust gravi ex art. 80, comma 5, lett. c) del
Codice dei contratti pubblici nelle posizioni di ANAC e
AGCOM, ndr], relativamente -tra l’altro- alla operatività,
quale motivo di esclusione dalle procedure di gara per
l’affidamento di contratti pubblici, di pregresse condotte
delle imprese che integrano illeciti anticoncorrenziali.
Nell’occasione, si è sostenuto che era da condividere la
soluzione contenuta nelle Linee guida n. 6, non vincolanti,
approvate dall’ANAC con delibera n. 1293 del 16.11.2016,
secondo la quale l’accertamento definitivo dell’illecito
antitrust -conseguente alla mancata impugnazione del
provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato che lo ha accertato o al passaggio in giudicato
della decisione del giudice amministrativo di rigetto del
ricorso dell’impresa interessata- non è condizione
necessaria per disporre l’esclusione dell’impresa dalle
gare. (...continua). |
APPALTI:
CIG e quinto
d’obbligo.
Domanda
Il Comune deve appaltare un servizio per una durata triennale del valore
certo di € 120.000,00 al netto dell’IVA, con opzione di proroga tecnica ai
sensi dell’art. 106, comma 11 del codice, e aumento della prestazione fino
ad un quinto ai sensi del comma 12 del citato articolo.
Nella richiesta del CIG come deve essere considerata l’eventuale la proroga
tecnica e l’aumento della prestazione prevista negli atti di gara ai sensi
dell’art. 106, comma 12?
Risposta
La quantificazione del valore del CIG presenta spesso problemi pratici per
le diverse posizioni dottrinarie e di prassi che conducono a situazioni di
evidente incertezza. Il codice CIG (codice identificativo gara) è quello
strumento che consente di assolvere agli obblighi di comunicazione
all’Osservatorio/pubblicazione sul sito del MIT, di contribuzione e di
tracciabilità dei flussi finanziari, acquisito dal responsabile del
procedimento, e riportato a seconda della tipologia delle procedure nel
bando o avviso di gara, nella lettera d’invito e, negli acquisti privi di
tali modalità, prima della stipula del relativo contratto.
Per dare una risposta al quesito in oggetto occorre considerare le seguenti
disposizioni:
• Art. 35, co. 4, del codice, rubricato: Soglie di rilevanza
comunitaria e metodo di calcolo del valore stimato degli appalti. Il calcolo
del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è
basato sull’importo totale pagabile, al netto dell’IVA, valutato
dall’Amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. Il calcolo
tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di
eventuali opzioni o rinnovi del contratto esplicitamente stabiliti nei
documenti di gara.
• Relazione A.I.R. dell’ANAC al Bando-tipo n. 1/2017: Proroga
tecnica – Computazione dell’importo dell’appalto – Non possibile. La proroga
tecnica è un’opzione la cui durata e il cui importo non sono né prevedibili,
né quantificabili alla data di pubblicazione del bando. Tuttavia il bando
tipo ha previsto che, ove le stazioni appaltanti lo ritengano possibile,
possano procedere ad una stima di massima ai fini del computo sulla base
d’asta (art. 4.2 Opzioni e rinnovi del Bando-tipo n. 1/2017 Disciplinare di
gara per FFSS);.
• Relazione A.I.R. dell’ANAC al Bando-tipo n. 1/2017: Quinti
d’obbligo – Previsione nel disciplinare – Non necessaria: L’art. 106, co. 12
del Codice non richiede che il ricorso al quinto d’obbligo sia specificato
nel disciplinare di gara.
• TAR Campania, sez. V, sentenza n. 5380 del 2018: […]
l’Amministrazione avrebbe dovuto considerare della determinazione del valore
anche l’eventuale proroga da calcolarsi fino ad un quinto dell’importo a
base d’asta secondo il disposto di cui all’art. 106, comma 12, avendo
richiamato nel disciplinare di gare tanto l’opzione della proroga tecnica
che del quinto d’obbligo.
Pertanto, al momento si può ritenere, che nel calcolo del valore del CIG,
qualora non venga quantificata l’opzione di proroga tecnica prevista nel
disciplinare di gara, questa non deve essere computata.
Qualora venga richiamato all’interno del disciplinare di gara l’art. 106,
co. 12 (quinto d’obbligo), è necessario quantificare l’opzione ai fini del
calcolo del valore del CIG.
Si invita a prestare particolare attenzione nell’inserimento delle opzioni
di cui ai commi 11 e 12 in particolare negli affidamenti i cui importi sono
prossimi alla soglia comunitaria, per le evidenti violazioni delle normative
previste in ordine alla disciplina da applicare, alla procedura, nonché
all’eventuale capacità contrattuale delle Amministrazioni (21.11.2018
- tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI: Anomalia
dell’offerta e ulteriori elementi di
giustificazione resi in sede giudiziale.
Se in sede
giurisdizionale il concorrente
classificatosi al secondo posto deduce
l’inattendibilità dell’offerta anomala per
aspetti non specificatamente presi in
considerazione dalla stazione appaltante,
legittimamente l’aggiudicataria può
difendersi in giudizio provvedendo a
giustificare tali voci in sede processuale
e, di conseguenza, il giudice è tenuto a
pronunciare anche su tali aspetti in base al
principio dell’art. 112 c.p.c..
In pratica,
l’introduzione di ulteriori elementi di
giustificazione dell’offerta, rispetto a
quelli oggetto della richiesta di
chiarimenti della stazione appaltante –della quale l’appellante lamenta
l’inammissibilità– discende proprio dalla
tecnica difensiva utilizzata dalla
ricorrente nel presente giudizio
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 14.11.2018 n. 6430 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
11. - I primi due motivi di appello possono
essere esaminati congiuntamente essendo tra
loro connessi.
Occorre innanzitutto rilevare che, nel caso
di specie, la stazione appaltante ha
ritenuto congrua l’offerta della
controinteressata (cfr. relazione di
valutazione dell’offerta anomala versata in
atti).
Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza, il giudizio favorevole di
non anomalia dell'offerta in una gara
d'appalto non richiede una motivazione
puntuale ed analitica, essendo sufficiente
anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni rese
dall'impresa offerente, sempre che queste
ultime siano a loro volta congrue ed
adeguate (Cons. Stato, sez. V, 17/05/2018,
n. 2951); solo in caso di giudizio negativo
sussiste, infatti, l’obbligo di una puntuale
motivazione.
Inoltre, la stazione appaltante non è tenuta
a chiedere chiarimenti su tutti gli elementi
dell’offerta e su tutti i costi, ma può
legittimamente limitarsi a verificare se,
nel complesso, quest’ultima sia remunerativa
e come tale assicuri il corretto svolgimento
del servizio: può limitarsi, quindi, a
chiedere le giustificazioni con riferimento
alle sole di voci di costo più rilevanti, le
quali –da sole– potrebbero incidere in
modo determinante sull’attendibilità
dell’offerta complessiva, evitando di
chiedere i giustificativi in relazione ad
elementi marginali dell’offerta non in grado
di incidere sulla complessiva congruità di
essa.
Occorre, infatti, ricordare che:
- la valutazione di congruità deve essere
globale e sintetica, senza concentrarsi
esclusivamente ed in modo parcellizzato
sulle singole voci, dal momento che
l'obiettivo dell'indagine è l'accertamento
dell'affidabilità dell’offerta nel suo
complesso e non già delle singole voci che
la compongono (Cons. Stato A.P. n. 36/2012 ;
Cons. Stato, Sez. V, 14.06.2013, n.
3314; 01.10.2010, n. 7262; 11.03.2010
n. 1414; IV, 22.03.2013, n. 1633; III, 14.02.2012, n. 710);
- ciò che interessa al fine dello
svolgimento del giudizio successivo alla
valutazione dell’anomalia dell’offerta è
rappresentato dall’accertamento della
serietà dell’offerta desumibile dalle
giustificazioni fornite dalla concorrente e
dunque la sua complessiva attendibilità.
La stazione appaltante, nel caso di specie,
si è attenuta a tale principio ed ha chiesto
chiarimenti sul costo del lavoro che, tenuto
conto della natura dell’appalto oggetto di
gara, rappresenta la voce preponderante dei
costi.
Le giustificazioni fornite dalla cooperativa
aggiudicataria riguardavano, ovviamente, i
profili per i quali erano stati chiesti i
chiarimenti e le giustificazioni.
Il provvedimento della stazione appaltante
che ha accolto le giustificazioni e ha
ritenuto congrua l’offerta non contiene una
motivazione dettagliata su tutti i costi, ma
può ben rinviare alle giustificazioni
fornite dalla concorrente (come è accaduto,
per i dettagli, anche nel caso di specie).
Se in sede giurisdizionale il concorrente
classificatosi al secondo posto deduce
l’inattendibilità dell’offerta per aspetti
non specificatamente presi in considerazione
dalla stazione appaltante, legittimamente
l’aggiudicataria può difendersi in giudizio
provvedendo a giustificare tali voci in sede
processuale e, di conseguenza, il giudice è
tenuto a pronunciare anche su tali aspetti
in base al principio dell’art. 112 c.p.c.
In pratica, l’introduzione di ulteriori
elementi di giustificazione dell’offerta,
rispetto a quelli oggetto della richiesta di
chiarimenti della stazione appaltante –della quale l’appellante lamenta
l’inammissibilità– discende proprio dalla
tecnica difensiva utilizzata dalla
ricorrente nel presente giudizio: ne
consegue l’infondatezza della proposta
doglianza.
12. - Altrettanto infondato è il secondo
motivo di appello: nella sentenza di primo
grado il TAR, dopo aver richiamato i
principi costantemente affermati dalla
giurisprudenza in ordine alla funzione della
verifica dell’anomalia dell’offerta, diretta
ad accertare la sua sostenibilità
complessiva e non a verificare specifiche
eventuali inesattezze, ha rilevato che
“parte ricorrente si limita a dedurre
pretese carenze informative nelle
giustificazioni fornite dall’aggiudicataria
all’amministrazione, sostenendo così che
l’offerta avrebbe dovuto essere esclusa solo
per tale ragione” ed ha poi sottolineato
che, invece, avrebbe dovuto “fornire il
quadro economico generale e pluriennale
delle relative ripercussioni sull’offerta
complessiva e sulla sua pretesa
insostenibilità”.
In pratica, il primo giudice, ha
semplicemente rilevato che per poter
contestare il giudizio complessivo di
congruità dell’offerta reso dalla stazione
appaltante la ricorrente avrebbe dovuto
dimostrare non soltanto la mancata
giustificazione di talune voci, ma
l’insostenibilità complessiva dell’offerta.
Con tale affermazione il TAR ha, in pratica,
richiamato il costante orientamento della
giurisprudenza secondo cui l’esclusione
dalla gara necessita la prova
dell'inattendibilità complessiva
dell’offerta (Cons. Stato A.P., 29.11.2012, n. 36; Sez. V, 26.09.2013, n.
4761; 18.08.2010, n. 5848; 23.11.2010, n. 8148)
Ne consegue che la decisione del primo
giudice, non presenta alcuno dei vizi
dedotti con i primi due motivi di appello,
ma semmai richiama principi affermati dalla
giurisprudenza consolidata del giudice
amministrativo. |
APPALTI
FORNITURE:
Acquisto
suppellettili.
Domanda
Per effetto di imminenti nuove assunzioni, l’ente deve procedere con
l’acquisto di arredi. Come RUP mi sono posto il problema dell’esistenza di
eventuali limiti di spesa ed a tal proposito si chiede di sapere se siano
ancora vigenti specifici divieti sulla spendita.
Risposta
La questione degli acquisti di arredi/mobili –al netto delle ipotesi di
arredi destinati ad uso scolastico e per i servizi dell’infanzia– ha, nel
tempo, ricevuto varie limitazioni.
Le ultime sono risalenti alla legge 228/2012 (art. 1, comma 141) poi
modificata con il D.L. 210/2015 convertito con la legge 21/2016.
In particolare, i contingentamenti previsti dalla normativa richiamata
operavano –originariamente– per gli anni 2012/2016 (in realtà poi per il
2016 le limitazioni sono state sospese proprio con il decreto legge appena
richiamato).
Tale disciplina stabilisce che le “amministrazioni pubbliche inserite nel
conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’art. 1, comma 3,
della L. n. 196/2009, nonché le autorità indipendenti e la Commissione
nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono effettuare spese
di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli
anni 2010 e 2011 per l’acquisto di mobili e arredi, se non destinati all’uso
scolastico e dei servizi all’infanzia, salvo che l’acquisto sia funzionale
alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili. In tal
caso il collegio dei revisori dei conti o l’ufficio centrale di bilancio
devono verificare preventivamente i risparmi realizzabili, che devono essere
superiori alla minore spesa derivante dall’attuazione del presente comma. La
violazione della presente disposizione è valutabile ai fini della
responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti”.
La questione della vigenza dei limiti di spesa è stata di recente
riaffrontata dalla Corte dei Conti, sezione reg. Veneto delibera n. 173/2018
che appare utile richiamare per fornire un preciso riscontro al quesito.
La deliberazione appena richiamata (così come la delibera della sezione
Regionale della Puglia con n. 140/2017) ha confermato che l’obbligo di
contenimento (il tetto di spesa) già non si applicava nel 2017 ed a maggior
ragione non trova applicazione nel 2018.
Pertanto, deve ritenersi che l’acquisto possa essere espletato fermo
restando il suggerimento della Corte dei Conti secondo cui “se pure il
limite di spesa per l’acquisto di mobili ed arredi non sia, allo stato,
tuttora vigente, spetterà comunque all’ente locale valutare la piena
compatibilità di tale tipologia di spesa con la complessiva situazione
finanziaria e patrimoniale nonché, nelle ipotesi di acquisto, procedere alla
corretta applicazione della disciplina prevista dall’allegato 4/3 al D.Lgs.
n. 118/2011 in tema di contabilità economico-patrimoniale” (Corte dei Conti,
sezione reg. Veneto delibera n. 173/2018).
Si tratta in sostanza di limitare gli acquisti a quelli effettivamente
necessari (14.11.2018 - tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Il
subappalto nelle concessioni.
Domanda
In una concessione di servizi con lavori di manutenzione straordinaria, ai
sensi del d.lgs. 50/2016, l’eventuale subappalto della prestazione
accessoria incontra il limite del 30% previsto per gli appalti ai sensi
dell’art. 105 del citato codice?
Risposta
Il legislatore comunitario con la direttiva 2014/23/UE del 26.02.2014
per la prima volta interviene in modo rilevante sulle concessioni, e
conseguentemente a livello locale il d.lgs. 50/2016, prevede una normativa
che attribuisce alla materia una dignità negoziale e una disciplina organica
e specifica anche con riferimento alla fase esecutiva.
La maggior parte delle concessioni, siano esse di servizi o di lavori, sono
caratterizzate da prestazioni eterogenee, quali servizi di progettazione,
esecuzione di lavori e gestione della struttura, con una incidenza
funzionale che varia in base all’obiettivo che l’Amministrazione vuole
perseguire, ma con un elemento distintivo fondamentale, rispetto
all’appalto, rappresentato dal rischio in capo al concessionario (sulla
definizione dei rischi si rinvia all’art. 3 del d.lgs. 50/2016).
Nella parte III del codice, dedicata appunto alle concessioni, ed in
particolare nell’art. 174 viene disciplinato l’istituto del subappalto che
secondo un’autorevole dottrina si differenzia da quello della subconcessione,
consentita solo se prevista in sede di gara e configurabile in ragione
dell’assunzione di parte del rischio in capo al sub-concessionario.
Dalla lettura dell’articolo emerge che l’eventuale subappalto, sia esso
necessario, ovvero ai fini della qualificazione, o meramente facoltativo non
prevede limiti quantitativi e neppure la previsione di una specifica
autorizzazione da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice, limitandosi ad
indicare al comma 2 l’obbligo di precisare in sede di offerta le parti del
contratto di concessione che intendono subappaltate a terzi, a cui si
aggiunge, nel caso di contratti di valore sopra soglia, l’onere di indicare
una terna di nominativi, con l’eccezione:
“a) concessione di lavori, servizi e forniture per i quali non sia
necessaria una particolare specializzazione;
b) concessione di lavori, servizi e forniture per i quali
risulti possibile reperire sul mercato una terna di nominativi di
subappaltatori da indicare, atteso l’elevato numero di operatori che
svolgono dette prestazioni” (07.11.2018 - tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Pubblicazione dati commissari concorso.
Domanda
Nel nostro ente abbiamo nominato una commissione di concorso. Il presidente
e il segretario della commissione sono dipendenti interni. I due
componenti/esperti, sono esterni. Uno è ex dipendente di una PA ora in
pensione e l’altro è un dipendente in servizio presso un altro comune.
Quali
obblighi di pubblicazione di atti e documenti abbiamo, ai sensi del d.lgs.
33/2013?
Risposta
Il decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, alla luce delle modifiche
introdotte con il d.lgs. 97/2016, prevede, all’articolo 19, quanto segue:
Art. 19 Bandi di concorso
1. Fermi restando gli altri obblighi di pubblicità legale, le pubbliche
amministrazioni pubblicano i bandi di concorso per il reclutamento, a
qualsiasi titolo, di personale presso l’amministrazione, nonché i criteri di
valutazione della Commissione e le tracce delle prove scritte.
2. Le pubbliche amministrazioni pubblicano e tengono costantemente aggiornato
l’elenco dei bandi in corso.
Come si può notare, a parte il riferimento agli altri obblighi di pubblicità
legale, nessuna parte del testo, tratta della pubblicazione dei dati dei
componenti delle commissioni di concorso, in modo differente a come avviene
–ad esempio– per i componenti delle commissioni di gara, i cui obblighi di
pubblicazione sono ben definiti nell’art. 29, comma 1, primo periodo, del d.lgs. 50/2016
[1].
Per i componenti delle commissioni di concorso, quindi, occorre rifarsi ad
altre disposizioni del d.lgs. 33/2013 ed, in particolare, all’articolo 15,
rubricato Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi di
collaborazione o consulenza.
Per i due componenti esterni, infatti, trattandosi di “collaboratori”, in
qualche modo retribuiti, la cui designazione trova fondamento nell’art. 7,
comma 6, del d.lgs. 165/2001, gli obblighi di pubblicazione di dati e
documenti risultano i seguenti:
a) estremi dell’atto di conferimento dell’incarico;
b) curriculum vitae;
c) dati relativi a incarichi o titolarità di cariche in enti di diritto
privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione, o lo
svolgimento di attività professionali;
d) compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di collaborazione o
consulenza specificando le eventuali componenti variabili o legate alla
valutazione del risultato.
A tali obblighi, si aggiunge quanto previsto dall’art. 53, comma 14, del
d.lgs. 165/2001, il quale prevede l’obbligo di pubblicare anche
l’attestazione dell’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni di
conflitto di interessi, anche potenziale.
Le informazioni richieste vanno pubblicate entro tre mesi dal conferimento
dell’incarico e devono essere mantenute per i tre anni successivi alla
cessazione. La mancata pubblicazione degli estremi degli atti di
conferimento degli incarichi e dell’attestazione di avvenuta verifica, ex
art. 53 d.lgs. 165/2001, comporta l’inefficacia dell’atto, non consentendo,
quindi, né l’utilizzo della prestazione eventualmente resa, né la
liquidazione del compenso.
Nel caso in cui questo sia stato, comunque, corrisposto si determina una
responsabilità disciplinare in capo a chi l’ha disposto e l’irrogazione di
una sanzione, pari alla somma pagata.
Premesso quanto sopra, si risponde al quesito evidenziando quanto segue:
a) per ciò che concerne il presidente e il segretario della commissione –dipendenti dell’ente che bandisce il concorso– non ci sono obblighi
particolari di pubblicazione, su Amministrazione trasparente;
b) per i due componenti esterni, gli obblighi che il comune è tenuto ad
osservare, sono quelli previsti dall’art. 15, del d.lgs. 33/2013 e vanno
assolti nella sezione Amministrazione trasparente > Collaboratori e
consulenti;
c) l’ente che autorizza un proprio dipendente, a far parte di una
commissione di concorso di un altro comune (ex art. 53, commi 6 e seguenti,
d.lgs. 165/2001), dovrà assolvere i propri obblighi di pubblicazione, come
sancito all’art. 18, del d.lgs. 33/2013, nella sezione Amministrazione
trasparente > Personale > Incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti.
È bene ricordare, infine, che per tutti i componenti della commissione di
concorso e per il segretario, vigono, inoltre, gli obblighi “dichiarativi”
stabiliti nell’art. 35-bis, del d.lgs. 165/2001 [2]. Mentre per il comune
che bandisce il concorso, restano da assolvere gli obblighi di verifica
sulle dichiarazioni rese dai commissari. Obbligo che può essere agevolmente
assolto acquisendo, per tutti i componenti, segretario compreso, il
certificato penale e quello dei carichi pendenti, onde verificare l’assenza
di condanne, anche non definitive, per i reati previsti nel capo I, del
titolo II, del libro secondo, del codice penale (reati dei pubblici
ufficiali contro la pubblica amministrazione).
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[1] Art. 29, co. 1, d.lgs. 50/2016 “…alla composizione della commissione
giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti… devono essere pubblicati e
aggiornati sul profilo del committente, nella sezione “Amministrazione
trasparente”, con l’applicazione delle disposizioni di cui al decreto
legislativo 14.03.2013, n. 33.”
[2] Articolo 35-bis. Prevenzione del fenomeno della corruzione nella
formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici (06.11.2018 - tratto da e link a www.publika.it). |
ottobre 2018 |
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APPALTI:
Il
criterio del minor prezzo.
Domanda
L’ufficio sta predisponendo una indagine di mercato –con avviso pubblico–
per procedere con un acquisto da aggiudicare entro il 31.12.2018.
Considerato che si tratta di bene mobile con caratteristiche standardizzate
(più alcune specifiche che avremmo cura di indicare già in fase di avviso a
manifestare interesse) possiamo serenamente procedere con l’utilizzo del
criterio del minor prezzo o è necessario che tale scelta venga chiaramente
motivata?
Risposta
Come noto, il nuovo codice –nonostante alcune modifiche apportate con il
decreto correttivo (decreto legislativo 56/2017– supera il concetto di equiordinazione tra criteri di aggiudicazione dell’appalto. In sostanza,
semplificando, nel pregresso regime l’utilizzo del criterio del minor prezzo
o l’offerta economicamente più vantaggiosa risultava rimesso alle
valutazione del RUP. In giurisprudenza poi, ed in certa legislazione
regionale, il multi criterio (ovvero la scelta dell’offerta valutando
qualità e prezzo) veniva imposta in relazione agli appalti di servizi e,
segnatamente, in relazione all’aggiudicazione dei servizi sociali.
Con l’attuale codice dei contratti, come anticipato, tale situazione è stata
superata ed oggi –nonostante alcune recenti estensioni avvenute con il
correttivo– la possibilità di aggiudicare al minor prezzo deve considerarsi
ipotesi residuale e “subalterna” rispetto al criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
Le possibilità di utilizzo del mono criterio sono pertanto chiaramente
delimitate dal legislatore con l’articolo 95, commi 4 e 5, del codice dei
contratti.
In relazione agli acquisti/forniture con caratteristiche in parte
standardizzate dal mercato in marte rimesse alla scelta
dell’amministrazione, è sicuramente utile prendere in considerazione quanto
puntualizzato nel comma 4 dell’articolo citato nelle lettere b) e c).
Nella lettera b) si legge che “per i servizi e le forniture con
caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal
mercato;”
Nella lettera c), infine, si chiarisce la soglia entro cui il mono criterio
può essere utilizzato ovvero “per i servizi e le forniture di importo fino a
40.000 euro, nonché per i servizi e le forniture di importo pari o superiore
a 40.000 euro e sino alla soglia di cui all’articolo 35 solo se
caratterizzati da elevata ripetitività, fatta eccezione per quelli di
notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo".
Nel caso sottoposto si è in presenza di una fornitura contenuta entro i
40mila euro con affidamento diretto sulla base di una indagine informale su
preventivi.
La necessità di adeguare la scelta del criterio si impone al RUP nel caso
specifico per il fatto che alcune “condizioni” non sono “predefinite” dal
mercato ma, la stazione appaltante, esige un prodotto che abbia alcune
caratteristiche “soggettive” specifiche per rispondere alle proprie
esigenze.
A sommesso parere, nulla osta all’utilizzo del criterio del prezzo più basso
a condizione che le caratteristiche ulteriori (rispetto di quelle
standardizzate/fisse) siano di tipo “generale” ma, soprattutto, vengano
dettagliatamente chiarite già nell’avviso pubblico (o ancora prima nella
determinazione che avvia il procedimento informale di gara). Se tali
caratteristiche risultano chiaramente esplicitate nella determina che avvia
la procedura, il RUP avrà cura di indicare una specifica motivazione che
giustifica la scelta del criterio del minor prezzo.
A sostegno di quanto evidenziato si può anche citare recente giurisprudenza
(Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, sentenza del 23.10.2018 n. 783).
In particolare, in relazione alla fornitura di protesi per cui il ricorrente
cercava di dimostrare l’illegittimo uso del criterio del prezzo più basso,
il Collegio riconosce che pur nella temperata discrezionalità, nel regime
introdotto dal D.Lgs. n. 50 del 2016 rispetto alla previgente disciplina (D.Lgs.
n. 163 del 2006), delle amministrazioni appaltanti di scegliere il criterio
di aggiudicazione della gara pubblica ritenuto maggiormente rispondente alle
proprie esigenze di approvvigionamento delle forniture, pur nel rispetto del
favor innovativamente attribuito al criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa e ove sussistano i presupposti per utilizzare il criterio del
prezzo più basso (v. Cons. Stato A.P. n. 4 del 2018) e soprattutto a fronte
di una lex specialis che individua n. 4 specifiche e precise caratteristiche
tecniche che i dispositivi medici (protesi cocleari) offerti devono
possedere, con la conseguenza che l’amministrazione appaltante ha
precisamente individuato, descritto e valutato le caratteristiche e gli
standards tecnici che le “protesi cocleari” devono soddisfare (v. avviso di
indagine di mercato: doc. n. 1 della ricorrente).
È pertanto evidente che,
una volta individuati e specificati tali caratteristiche e standards
tecnici, la scelta del criterio di aggiudicazione operata dalla stazione
appaltante non appare immotivata o, tanto meno, viziata da manifesta
illogicità, con la conseguenza che la fornitura di protesi cocleari proposta
da ciascuna concorrente ben poteva essere valutata dall’amministrazione
appaltante esclusivamente in termini di ribasso dal prezzo base stabilito
dalla lex specialis.
Il giudice, in sostanza, ha “premiato” il comportamento del RUP che ha
chiaramente esplicitato le caratteristiche del prodotto per poter utilizzare
il criterio in commento (31.10.2018 - tratto da e link a
www.publika.it). |
APPALTI:
Dati componenti commissioni gara.
Domanda
Nella sezione del sito web istituzionale di Amministrazione Trasparente
vanno pubblicati i nomi dei componenti delle commissioni giudicatrici delle
procedure di affidamento di appalti pubblici?
Risposta
L’articolo 37 del Decreto Trasparenza (decreto legislativo 14.03.2013, n.
33), che riguarda la pubblicazione di dati e informazioni nella sotto
sezione di primo livello “Bandi di Gara e Contratti”, è stato
completamente riformulato dopo le modifiche introdotte dal d.lgs.
25.05.2016, n. 97, che dovevano essere applicate entro il 23.12.2016 (sei
mesi dall’entrata in vigore, fissata per il 23.06.2016).
Alcuni obblighi, già fissati dall’art. 1, comma 32, della legge Severino
(legge 06.11.2012, n. 190) sono rimasti inalterati, in particolare quelli
riguardanti l’elaborazione e la trasmissione all’ANAC (ex AVCP), entro il 31
gennaio di ogni anno, dei tracciati xml contenenti le informazioni sugli
affidamenti e sui loro CIG (Codici Identificativi di Gara).
Sono stati invece aggiunti –e richiamati– alcuni obblighi di pubblicazione
rintracciabili nell’ultimo Codice dei Contratti Pubblici (decreto
legislativo 50/2016), all’articolo 29, tra i quali ritroviamo proprio le
informazioni sulla composizione della commissione giudicatrice.
In particolare, sono assoggettati all’obbligo di pubblicazione non solo i
nominativi dei componenti della commissione giudicatrice, ma anche i loro
curricula.
Inoltre, sono da pubblicare (e aggiornare):
• tutti gli atti relativi alla programmazione di lavori e opere,
servizi, forniture, concorsi pubblici di progettazione, concorsi di idee,
concessioni, solo se non considerati riservati o secretati;
• i resoconti della gestione finanziaria dei contratti, al termine
della loro esecuzione.
Per approfondimenti in materia, si suggerisce di consultare anche le Linee
guida dell’Autorità (ANAC) approvate con deliberazione n. 1310 del
28.12.2016.
Quanto alle modalità da utilizzare per la pubblicazione degli atti, sono le
medesime che regolano la pubblicazione di tutti i dati e le informazioni
presenti nella sezione web di Amministrazione Trasparente, fissati dagli
articoli 6 e 9 del Decreto Trasparenza e dall’ormai celebre Allegato 2
(Documento tecnico sui criteri di qualità della pubblicazione dei dati) alla
deliberazione dell’Autorità (ex CIVIT) n. 50/2013 (30.10.2018 - tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Il Rup può essere anche commissario di gara.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Commissione di
gara – Componenti – Rup – Art. 77, d.lgs. n. 50 del 2016 –
Possibilità.
Nella vigenza del nuovo Codice dei
contratti, ai sensi dell’art. 77, comma 4, d.lgs. n. 50 del
2016, nelle procedure di evidenza pubblica, il ruolo di Rup
può coincidere con le funzioni di commissario di gara e di
presidente della commissione giudicatrice, a meno che non
sussista la concreta dimostrazione dell'incompatibilità tra
i due ruoli, desumibile da una qualche comprovata ragione di
interferenza e di condizionamento tra gli stessi (1).
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(1)
Ha premesso la Sezione che sul punto si sono formati due
orientamenti.
Infatti, all’orientamento alla quale aderisce (Tar
Veneto, sez. I, 07.07.2017, n. 660;
Tar Lecce, sez. I, 12.01.2018, n. 24;
Tar Bologna, sez. II, 25.01.2018, n. 87;
Tar Umbria 30.03.2018, n. 192), se ne contrappone
un secondo che ha inteso il comma 4 dell’art. 77, d.lgs. n.
50 del 2016, cogliendone il portato innovativo, rispetto
alle corrispondenti e previgenti disposizioni del d.lgs. n.
163 del 2006, proprio nella scelta di introdurre una secca
incompatibilità tra le funzioni tipiche dell'ufficio di RUP
(o ruoli equivalenti) e l'incarico di componente e finanche
di presidente della commissione.
Ad integrazione e supporto di questa impostazione si è
altresì evidenziato che la nuova regola del comma 4 è di
immediata applicazione, non essendo condizionata
dall'istituzione dell'albo dei commissari previsto dall'art.
77, comma 2 (Tar
Latina 23.05.2017, n. 325;
Tar Brescia, sez. II, 04.11.2017, n. 1306).
Per meglio intendere l’effetto innovativo dell’art. 77 comma
4, si consideri che l'art. 84, comma 4, dell'abrogato d.lgs.
n. 163 del 2006 si limitava a sanzionare le situazioni di
incompatibilità dei soli membri della commissione di gara
diversi dal presidente ("i commissari diversi dal
Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra
funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente
al contratto del cui affidamento si tratta"); viceversa,
l'incompatibilità prevista dall’art. 77, comma 4, del d.lgs.
n. 50 del 2016 -discendente anch’essa dall'aver svolto in
passato o dallo svolgere "alcun'altra funzione o incarico
tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui
affidamento si tratta"- non fa distinzione tra i
componenti della commissione di gara implicati nel cumulo di
funzioni e, pertanto, si estende a tutti costoro
indistintamente.
In favore di una lettura preclusiva del cumulo di funzioni
si era espressa anche l’ANAC nel primo schema delle Linee
Guida n. 3 che così recitava: "il ruolo di RUP è
incompatibile con le funzioni di commissario di gara e di
presidente della commissione giudicatrice (art. 77, comma 4,
del Codice)".
L’indirizzo dell’ANAC è mutato nel testo definitivo delle
Linee Guida (poi approvate con determinazione dell'ANAC n.
1096 del 26.10.2016) rielaborato, alla luce del parere del
Consiglio di Stato n. 1767 del 2016, nel senso che "Il
ruolo di RUP è, di regola, incompatibile con le funzioni di
commissario di gara e di presidente della commissione
giudicatrice (art. 77, comma 4 del Codice), ferme restando
le acquisizioni giurisprudenziali in materia di possibile
coincidenza" (punto 2.2., ultimo periodo).
A supporto della tesi affermnata dalla Sezione milita
l'indicazione successivamente fornita dal legislatore con il
correttivo approvato con 19.04.2017, n. 56, il quale,
integrando il disposto dell’art. 77, comma 4, ha escluso
ogni effetto di automatica incompatibilità conseguente al
cumulo delle funzioni, rimettendo all'amministrazione la
valutazione della sussistenza o meno dei presupposti
affinché il RUP possa legittimamente far parte della
commissione gara.
Sembra difficile negare che il correttivo normativo
introdotto nel 2017 abbia svolto una funzione di ausilio ad
una esegesi della disposizione che era già emersa alla luce
della prima versione dell’art. 77
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 26.10.2018 n. 6082 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
1. Col primo motivo di ricorso, la Del.Ga ha
lamentato la violazione dell’art. 77 del d.lgs. 50/2016, per
avere l’ing. No.Ca. ricoperto le funzioni, tra di loro
incompatibili, di dirigente della CUC incaricato della
redazione del bando di gara oltre che di Presidente della
Commissione giudicatrice.
1.1. Il TAR Bolognese ha ritenuto in concreto non
incompatibile l’ufficio di Presidenza della Commissione
giudicatrice con le funzioni di dirigente della CUC Unione
Terre d’Argine.
Richiamando la giurisprudenza consolidata in materia, ha
infatti affermato che:
a) l’art. 77 del nuovo codice dei contratti pubblici è applicabile
esclusivamente “a regime”, cioè a seguito della
istituzione dell’albo nazionale dei commissari di gara;
b) nella fase intertemporale che precede tale momento, non sussiste
alcuna incompatibilità tra i ruoli di Presidente della
Commissione e di RUP o di soggetto aggiudicatore, a meno che
non venga dimostrata in concreto una specifica interferenza
tra le due funzioni;
c) tale prova nel caso presente è del tutto mancata, anche perché
il contenuto essenziale della lex specialis di gara
-predeterminato dall’ente locale con determina dirigenziale
n. 38 del 27.1.2017- è stato pedissequamente recepito nel
bando di gara ed il ruolo della CUC si è limitato alla
conduzione e all’espletamento della procedura selettiva.
1.2. La società appellante -dopo aver rilevato che nel caso
di specie il presidente della commissione ricopriva le
funzioni (non di RUP ma) di Presidente della Centrale di
committenza dell’Unione delle Terre d’argine designato ad
interim, e che in tale qualità egli aveva elaborato e
approvato gli atti di gara, designato sé stesso quale
presidente della Commissione e designato i commissari-
osserva che, anche volendo accedere alla teoria della non
immediata precettività del regime delle incompatibilità
introdotto dall’art. 77, la stazione appaltante avrebbe
dovuto valutare l’insussistenza di un'incompatibilità in
concreto a carico dell’Ing. Ca. in relazione alla
svolgimento sia della funzione di Presidente della
commissione di gara sia delle funzioni amministrative in
precedenza assolte e, quindi, con riguardo alla possibile
incidenza che tale cumulo di ruoli avrebbe potuto
determinare sul processo di valutazione delle offerte.
Aggiunge la parte appellante che l’art. 77 d.lgs. 50/2016
(al pari dell’art. 84, comma 4, d.lgs. 163/2006) è norma
preventiva, finalizzata a scongiurare il semplice pericolo
di possibili effetti distorsivi e non implicante alcun onere
probatorio a carico della parte che deduce l’incompatibilità
del commissario.
Indice concreto di una condizione di incompatibilità si
ricaverebbe nel caso specifico dal fatto che il presidente
della Commissione di gara, in qualità di dirigente della
centrale unica di committenza, ha approvato un bando
differente rispetto alle indicazioni fornite dal dirigente
del Comune di Carpi, in particolare nella individuazione del
valore della concessione, stimato non secondo il criterio
del fatturato (come suggerito nella relazione del dirigente
comunale) ma secondo il diverso criterio del corrispettivo
da riconoscere al comune.
2. Il motivo di appello non può trovare accoglimento.
2.1. Giova premettere che la gara, bandita con determina del
27.01.2017 n. 38, soggiace alle disposizioni dettate dal
nuovo Codice dei contratti.
In questo specifico scenario normativo, di utile rilievo ai
fini della tesi promossa dalla parte appellante è l’art. 77,
comma 4, del d.lgs. 50/2016, il quale, nella sua versione
originaria (applicabile ratione temporis alla vicenda qui
all’esame) disponeva che “I commissari non devono aver
svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico
tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui
affidamento si tratta”.
Con successiva modifica introdotta in sede di correttivo
dall'art. 46, comma 1, lett. d), d.lgs. 19.04.2017, n. 56,
ma non applicabile ratione temporis alla fattispecie
vigente, il comma 4 è stato arricchito di un addendum
ai sensi del quale “la nomina del RUP a membro delle
commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola
procedura”.
2.2.
Si tratta a questo punto di chiarire
quale sia la portata attribuibile alla prima versione
dell’art. 77, comma 4, e se essa possa essere intesa in
senso del tutto ostativo alla possibilità che in un medesimo
soggetto si cumulino le due funzioni di presidente di
Commissione e Rup (o presidente dell’ente aggiudicatore).
2.3. Una parte della giurisprudenza di primo grado ha
così inteso il comma 4, cogliendone il portato innovativo,
rispetto alle corrispondenti e previgenti disposizioni del
d.lgs. 163/2006, proprio nella scelta di introdurre una
secca incompatibilità tra le funzioni tipiche dell'ufficio
di RUP (o ruoli equivalenti) e l'incarico di componente e
finanche di presidente della commissione.
Ad integrazione e supporto di questa impostazione si è
altresì evidenziato che la nuova regola del comma 4 è di
immediata applicazione, non essendo condizionata
dall'istituzione dell'albo dei commissari previsto
dall'articolo 77, comma 2 (in questo senso TAR Latina, sez.
I, 23.05.2017, n. 325; TAR Brescia sez. II, 04.11.2017, n.
1306).
2.4. Per meglio intendere l’effetto innovativo dell’art. 77,
comma 4, si consideri che l'art. 84, comma 4, dell'abrogato
d.lgs. n. 163 del 2006 si limitava a sanzionare le
situazioni di incompatibilità dei soli membri della
commissione di gara diversi dal presidente ("i commissari
diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono
svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o
amministrativo relativamente al contratto del cui
affidamento si tratta"); viceversa, l'incompatibilità
prevista dall’art. 77, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016
-discendente anch’essa dall'aver svolto in passato o dallo
svolgere "alcun'altra funzione o incarico tecnico o
amministrativo relativamente al contratto del cui
affidamento si tratta"- non fa distinzione tra i
componenti della commissione di gara implicati nel cumulo di
funzioni e, pertanto, si estende a tutti costoro
indistintamente.
2.5. In favore di una lettura preclusiva del cumulo di
funzioni si era espressa anche l’ANAC nel primo schema delle
Linee Guida n. 3 che così recitava: "il ruolo di RUP è
incompatibile con le funzioni di commissario di gara e di
presidente della commissione giudicatrice (art. 77, comma 4,
del Codice)".
L’indirizzo dell’ANAC è mutato nel testo definitivo delle
Linee Guida (poi approvate con determinazione dell'ANAC n.
1096 del 26.10.2016) rielaborato, alla luce del parere del
Consiglio di Stato n. 1767/2016, nel senso che "Il ruolo
di RUP è, di regola, incompatibile con le funzioni di
commissario di gara e di presidente della commissione
giudicatrice (art. 77, comma 4 del Codice), ferme restando
le acquisizioni giurisprudenziali in materia di possibile
coincidenza" (punto 2.2., ultimo periodo).
2.6. Un secondo e opposto orientamento giurisprudenziale
ha invece interpretato l’art. 77, comma 4, in continuità con
l’indirizzo formatosi sul codice antevigente, giungendo così
a concludere che, nelle procedure di evidenza pubblica, il
ruolo di RUP può coincidere con le funzioni di commissario
di gara e di presidente della commissione giudicatrice, a
meno che non sussista la concreta dimostrazione
dell'incompatibilità tra i due ruoli, desumibile da una
qualche comprovata ragione di interferenza e di
condizionamento tra gli stessi (TAR Veneto, sez. I,
07.07.2017, n. 660; TAR Lecce, sez. I, 12.01.2018, n. 24;
TAR Bologna, sez. II, 25.01.2018, n. 87; TAR Umbria, sez. I,
30.03.2018, n. 192).
2.7. Il Collegio ritiene di dare séguito a
questo secondo orientamento, a ciò indotto dalle seguenti
considerazioni.
2.7.1. Innanzitutto, vi è ragione di dubitare che l’art. 77,
comma 4, nella sua versione ante correttivo, intendesse
precludere al RUP la partecipazione alla commissione.
Una tale lettura era stata avversata da questo stesso
Consiglio di Stato nel parere n. 1767, del 02.08.2016, reso
ad ANAC sullo schema di Linee Guida n. 3, nel quale la
Commissione speciale aveva così censurato l’impostazione
espressa nel documento all’esame: "...la disposizione che
in tal modo viene interpretata (e in maniera estremamente
restrittiva) è in larga parte coincidente con l'articolo 84,
comma 4 del previgente 'Codice' in relazione al quale la
giurisprudenza di questo Consiglio aveva tenuto un approccio
interpretativo di minor rigore, escludendo forme di
automatica incompatibilità a carico del RUP, quali quelle
che le linee-guida in esame intendono reintrodurre (sul
punto ex multis: Cons. Stato, V, n. 1565/2015). Pertanto,
non sembra condivisibile che le linee-guida costituiscano lo
strumento per revocare in dubbio (e in via amministrativa)
le acquisizioni giurisprudenziali..." (vedasi il punto "Pag.
3, par. 1.2., terzo periodo" del parere 1767/2016).
A seguire, la stessa ANAC era giunta ad affermare
l'inesistenza di una tale automaticità allorché, nel testo
delle Linee Guida licenziato il 26.10.2016, aveva fatto
riferimento alla circostanza che "il ruolo di RUP è, di
regola, incompatibile con le funzioni di commissario di gara
e di presidente della commissione giudicatrice (art. 77,
comma 4 del Codice), ferme restando le acquisizioni
giurisprudenziali in materia di possibile coincidenza".
2.7.2. Un secondo e decisivo elemento esegetico è costituito
dall'indicazione successivamente fornita dal legislatore, il
quale, integrando il disposto dell’art. 77, comma 4, ha
escluso ogni effetto di automatica incompatibilità
conseguente al cumulo delle funzioni, rimettendo
all'amministrazione la valutazione della sussistenza o meno
dei presupposti affinché il RUP possa legittimamente far
parte della commissione gara.
Sembra difficile negare che il correttivo normativo
introdotto nel 2017 abbia svolto una funzione di ausilio ad
una esegesi della disposizione che era già emersa alla luce
della prima versione dell’art. 77.
La soluzione così avallata, sebbene astrattamente opinabile
se riguardata in relazione al tenore testuale della prima
versione dell’art. 77, sembra tuttavia costituire l’esito
ermeneutico maggiormente coerente con l’opzione che il
legislatore ha inteso consolidare in via definitiva. A ciò
aggiungasi che una lettura funzionale ad una uniforme
applicazione della disposizione (pur nel mutamento della sua
formulazione testuale) è da preferirsi anche sotto il
profilo del riflesso che tale soluzione può assumere sulla
continuità e sul buon andamento degli indirizzi della prassi
amministrativa.
2.7.3. In questi stessi termini si è di recente espressa l’ANAC,
con il parere di cui alla deliberazione n. 193/2018, ove
proprio con riguardo ad una fattispecie riconducibile alla
prima versione dell’art. 77, comma 4, d.lgs. 50/2016- si è
chiarito che “al fine di evitare forme di automatica
incompatibilità a carico del RUP, l’eventuale situazione di
incompatibilità, con riferimento alla funzione di
commissario di gara e Presidente della commissione
giudicatrice, deve essere valutata in concreto dalla
stazione appaltante verificando la capacità di incidere sul
processo formativo della volontà tesa alla valutazione delle
offerte, potendone condizionare l’esito” (e nello stesso
senso si pone la precedente delibera ANAC n. 436 del
27.04.2017).
2.8. Dando seguito, pertanto, alla qui
condivisa impostazione secondo la quale non può essere
ravvisata nessuna automatica incompatibilità tra le funzioni
di RUP e quelle di componente della commissione
giudicatrice, a meno che essa non venga dimostrata in
concreto -nell’ottica
di una lettura dell’art. 77, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016
che si ponga in continuità con l’indirizzo interpretativo
formatosi sul comma 4 dell’art. 84 del previgente d.lgs. n.
163/2006 (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III,
18.01.2018, n. 695)- occorre ulteriormente
evidenziare che:
- la garanzia di trasparenza ed imparzialità nella
conduzione della gara impedisce la presenza nella
commissione di gara di soggetti che abbiano svolto
un’attività idonea a interferire con il giudizio di merito
sull’appalto di che trattasi
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21.07.2011, n. 4438, parere n.
46 del 21.03.2012);
- la situazione di incompatibilità deve ricavarsi
dal dato sostanziale della concreta partecipazione alla
redazione degli atti di gara, al di là del profilo formale
della sottoscrizione o mancata sottoscrizione degli stessi e
indipendentemente dal fatto che il soggetto in questione sia
il funzionario responsabile dell'ufficio competente
(Cons. Stato, sez. V, 28.04.2014, n. 2191);
- per predisposizione materiale della legge di
gara deve quindi intendersi “non già un qualsiasi apporto
al procedimento di approvazione dello stesso, quanto
piuttosto una effettiva e concreta capacità di definirne
autonomamente il contenuto, con valore univocamente
vincolante per l'amministrazione ai fini della valutazione
delle offerte, così che in definitiva il suo contenuto
prescrittivo sia riferibile esclusivamente al funzionario”
(Cons. Stato, sez. V, 22.01.2015, n. 255 e 23.03.2015, n.
1565);
- ad integrare la prova richiesta, non è
sufficiente il mero sospetto di una possibile situazione di
incompatibilità, dovendo l’art. 84, comma 4, essere
interpretato in senso restrittivo, in quanto disposizione
limitativa delle funzioni proprie dei funzionari
dell'amministrazione
(Cons. Stato, sez. V, 22.01.2015, n. 255);
- detto onere della prova grava sulla parte che deduce la
condizione di incompatibilità (cfr. Cons. Stato, sez. V,
25.01.2016, n. 242 e 23.03.2017, n. 1320; Id., sez. III,
22.01.2015, n. 226);
- in ogni caso, la predetta incompatibilità non
può desumersi ex se dall’appartenenza del
funzionario-componente della Commissione, alla struttura
organizzativa preposta, nella fase preliminare di
preparazione degli atti di gara e nella successiva fase di
gestione, all'appalto stesso
(cfr. TAR Lazio, sez. III, 06.05.2014, n. 4728; TAR Lecce,
sez. III, 07.01.2015, n. 32). |
APPALTI:
All’Adunanza plenaria le conseguenze dell’omessa indicazione
degli oneri di sicurezza nel nuovo Codice dei contratti.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta –
Oneri di sicurezza – Omessa indicazione separata –
Conseguenza – Art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 –
Esclusione o soccorso istruttorio – Contrasto
giurisprudenziale – Rimessione all’Adunanza plenaria.
E’ rimessa all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato la questione se per le gare bandite nella
vigenza del d.lgs. 18.04.2016, n. 50, la mancata indicazione
separata degli oneri di sicurezza aziendale determini
immediatamente e incondizionatamente l’esclusione del
concorrente, senza possibilità di soccorso istruttorio,
anche quando non è in discussione l’adempimento da parte del
concorrente degli obblighi di sicurezza, né il computo dei
relativi oneri nella formulazione dell’offerta, né vengono
in rilievo profili di anomalia dell’offerta, ma si contesta
soltanto che l’offerta non specifica la quota di prezzo
corrispondente ai predetti oneri; nonché se, ai fini della
eventuale operatività del soccorso istruttorio, assuma
rilevanza la circostanza che la lex specialis richiami
espressamente l’obbligo di dichiarare gli oneri di sicurezza
(1).
---------------
Analoga rimessione è stata disposta dalla stessa Sezione con
ordinanza 26.10.2018, n. 6122.
(1) Ha chiarito la Sezione che sebbene l’Adunanza plenaria n. 19
del 2016 ha circoscritto la portata del principio enunciato
alle gare bandite nel vigore del d.lgs. n. 163 del 2006,
dichiarando espressamente di prescindere –perché il tema non
era oggetto del contendere e la relativa norma non era
applicabile ratione temporis– dagli effetti derivanti
dal nuovo Codice, non può, tuttavia, non evidenziarsi che
l’ampia formulazione dell’art. 80, comma 9, d.lgs. n. 50 del
2016 (che ammette il soccorso istruttorio con riferimento a
“qualsiasi elemento formale della domanda”) sembra
consentire, anche nella vigenza del nuovo Codice, di sanare
l’offerta che sia viziata solo per la mancata formale
indicazione separata degli oneri di sicurezza.
Sotto tale profilo, invero, la circostanza che, oggi, l’art.
95, comma 10, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, abbia esplicitato
che sussiste per l’operatore economico l’obbligo di indicare
in sede di offerta i propri costi per la manodopera e gli
oneri di sicurezza aziendali non sembra rappresentare
elemento di novità di per sé sufficiente a determinare il
superamento del principio di diritto enunciato dalla
sentenza dell’Adunanza plenaria n. 19 del 2016. Non va,
infatti, dimenticato che anche nel vigore del previgente
Codice, l’Adunanza plenaria aveva già desunto (v. in
particolare sentenza n. 3 del 2015) l’esistenza di un
obbligo normativo operante in tutte le gare d’appalto (ivi
comprese quelle di lavori) di indicare, a pena di
esclusione, gli oneri di sicurezza, precisando, altresì, che
pur nel silenzio della lex specialis, tale obbligo
dichiarativo eterointegrava il bando di gara.
Sotto tale profilo, l’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del
2016 si è limitato a rende esplicito un obbligo dichiarativo
che nel precedente sistema si ricavava, comunque,
implicitamente dal tessuto normativo. Non pare, tuttavia,
che tale espressa previsione normativa concernente l’obbligo
di indicare i costi di sicurezza aziendale sia un elemento
di novità di per sé in grado di escludere l’operatività del
soccorso istruttorio, il quale, peraltro, nel passaggio dal
vecchio al nuovo codice (specie con le ulteriori modifiche
apportate in sede di correttivo: d.lgs. n. 56 del 2017) è
stato persino potenziato (attraverso la generalizzazione del
principio di gratuità e l’eliminazione dell’ambigua
categoria delle c.d. irregolarità non essenziali).
Non sembra neanche che possa essere messo in discussione che
l’indicazione degli oneri di sicurezza sia un obbligo
previsto dalla legge a pena di esclusione e che, alla luce
del chiaro tenore testuale della previsione ora contenuta
nell’art. 95, comma 10, cit., il relativo obbligo
dichiarativo sia capace di eterointegrare il bando pur nel
silenzio della lex specialis. L’ammissibilità di un
fenomeno di eterointegrazione del bando, specie da parte di
norme legislative di contenuto univoco, è stato già
chiaramente riconosciuto in più occasioni dalla stessa
Adunanza plenaria (cfr. sentenza n. 9 del 2014, richiamata e
condivisa dalle sentenze nn. 3 e 9 del 2015 e n. 19 del
2016) e, anche rispetto a tale profilo, non sembra che il
nuovo Codice contenga elementi di novità capaci di
sovvertire tale conclusione.
L’eterointegrazione (e prima ancora la portata
potenzialmente escludente dell’obbligo dichiarativo di cui
si discute) non appare, tuttavia, argomento sufficiente ad
escludere l’operatività del soccorso istruttorio, ma, anzi,
ne costituisce il presupposto applicativo. Il soccorso
istruttorio, invero, opera proprio (od ormai solo) per le
c.d. irregolarità essenziali: cioè le inosservanze
dichiarative e documentali richieste a pena di esclusione.
L’esclusione del soccorso istruttorio per la mancata
indicazione degli oneri di sicurezza potrebbe semmai essere
argomentata diversamente, ovvero ritenendo che gli oneri di
sicurezza rappresentino (sempre e comunque) non un elemento
formale dell’offerta, ma un elemento sostanziale della
stessa, con la conseguenza che l’indicazione postuma
attraverso il soccorso istruttorio consentirebbe al
concorrente di determinare una (senz’altro inammissibile)
modifica ex post dell’offerta.
Sotto tale profilo, tuttavia, l’incondizionata
qualificazione degli oneri di sicurezza in termini di
elemento sostanziale dell’offerta si porrebbe in contrasto
con quanto precisato dall’Adunanza plenaria nella sentenza
n. 19 del 2016, la quale, come si è già ricordato, aveva
espressamente specificato (cfr. par. 35 della motivazione)
che: “gli oneri di sicurezza rappresentano un elemento
essenziale dell’offerta (la cui mancanza è in grado di
ingenerare una situazione di insanabile incertezza assoluta
sul suo contenuto) solo nel caso in cui si contesta al
concorrente di avere formulato un’offerta economica senza
considerare i costi derivanti dal doveroso adempimento dei
obblighi di sicurezza a tutela dei lavoratori. In questa
ipotesi, vi è certamente incertezza assoluta sul contenuto
dell’offerta e la sua successiva sanatoria richiederebbe una
modifica sostanziale del “prezzo” (perché andrebbe aggiunto
l’importo corrispondente agli oneri di sicurezza
inizialmente non computati). Laddove, invece, (come avviene
nel caso oggetto del presente giudizio), non è in
discussione l’adempimento da parte del concorrente degli
obblighi di sicurezza, né il computo dei relativi oneri
nella formulazione dell’offerta, ma si contesta soltanto che
l’offerta non specifica la quota di prezzo corrispondente ai
predetti oneri, la carenza, allora, non è sostanziale, ma
solo formale”.
Applicando il principio di diritto appena richiamato, la
qualificazione dell’omessa indicazione degli oneri di
sicurezza in termini di elemento formale dell’offerta (nel
caso in cui essi siano stati considerati ai fini del prezzo
ed inglobati in esso) imporrebbe, quindi, di consentire il
soccorso istruttorio a prescindere dalla circostanza, che di
per sé non appare dirimente alla luce dell’esistenza di un
pacifico principio di eterointegrazione, che la lex
specialis abbia richiamato o meno il relativo obbligo
dichiarativo.
Proprio tale rilievo apre ad una opzione esegetica che in
parte differisce anche da quella accolta dalla
III Sezione di questo Consiglio di Stato nella sentenza n.
2554 del 2018, o da quella sottesa alla questione
pregiudiziale attualmente al vaglio della Corte di
giustizia, nelle quali, invece, sembra attribuirsi rilievo
dirimente, ai fini di ammettere o negare il soccorso
istruttorio, proprio a questo dato formale (ovvero il
richiamo o meno nella lex specialis del relativo
obbligo dichiarativo).
Conclusione che sembra, tuttavia, contraddire, o, comunque,
attenuare, la portata del principio di etero-integrazione,
che la stessa giurisprudenza dell’Adunanza plenaria ha in
più occasioni ritenuto operante, specie se l’obbligo
legislativo risulta puntuale e univoco (come, puntuale e
univoco appare essere, appunto, quello previsto dall’art.
95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza 25.10.2018 n. 6069 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Utile
esiguo e anomalia dell’offerta.
Al di fuori dei casi in
cui il margine positivo risulti pari a zero,
non è possibile stabilire una soglia minima
di utile al di sotto della quale l'offerta
deve essere considerata anomala, poiché
anche un utile apparentemente modesto può
comportare un vantaggio significativo, sia
per la prosecuzione in sé dell’attività
lavorativa, sia per la qualificazione, la
pubblicità, il curriculum derivanti per
l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver
portato a termine un appalto pubblico (nella
fattispecie si trattava di un utile annuo,
dichiarato in sede di giustificazioni rese
nel procedimento di verifica dell’anomalia,
pari a euro 774,51)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 24.10.2018 n. 2394 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
La censura è in parte inammissibile e in
parte infondata.
E’ inammissibile -come già rilevato in
precedenza– nella parte in cui censura la
verifica di congruità dell’offerta del RTI
controinteressato per vizi diversi da quelli
per i quali questo Tribunale aveva già
annullata la precedente verifica di
congruità e con essa la consequenziale
aggiudicazione dell’appalto.
Si tratta, per
la precisione, della parte della doglianza
concernente una serie di costi asseritamente
non presi in considerazione dalla stazione
appaltante, ovverosia la tassa fissa di
registrazione e le spese di segreteria, il
costo derivante dall’esatto numero di
addetti da inquadrare nel IV livello, il
premio INAIL insuscettibile della riduzione
prospettata dal RTI Sa., il costo
variabile degli automezzi impiegati nel
servizio, la spesa per la produzione e la
distribuzione dei calendari per la raccolta
differenziata, la spesa per la sostituzione
dei vari contenitori, le spese per le
emergenze, il costo dei sacchetti.
La censura è, invece, infondata per la parte
che riguarda il costo del lavoro, il costo
dei bidoni, l’utile d’impresa.
Con riferimento al primo aspetto, va
considerato che il RTI Sa. dichiara un
aumento del costo del lavoro pari a Euro
950,49 all’anno, quale conseguenza
dell’inquadramento nel IV livello, anziché
nel III, degli addetti che in sede di
offerta possedevano quella qualifica.
Tale aumento non può sicuramente che essere
fatto rifluire nelle spese generali (come
pretenderebbe l’odierno controinteressato),
ma va sottratto all’utile annuo, prefigurato
dall’aggiudicatario nelle proprie
giustificazioni in Euro 1.725,00 annui.
Peraltro, il fatto che il consulente esterno
incaricato dal Comune sostenga che i
conteggi effettuati dal RTI Sangalli
eccedano i minimi salariali, e che dunque il
costo del lavoro sarebbe inferiore, lungi
dal smentire le dichiarazioni
dell’aggiudicatario, ne dimostra semmai
l’attendibilità. Resta fermo che è ai
conteggi dell’offerente (e non a quelli del
consulente) che occorre fare riferimento,
perché la verifica di congruità riguarda
quella specifica offerta (comprensiva di
livelli salariali maggiori di quelli minimi)
e non un’offerta astratta.
Per quanto riguarda il costo dei bidoni, il
consulente incaricato dal Comune ha stimato
un costo compreso tra 1,10 e 1,70 Euro + IVA
a bidone per quelli da 10 litri, e un costo
compreso tra 20,00 e 25,00 Euro + IVA a
bidone per quelli da 120 litri.
Il RTI Sa.i nelle proprie
giustificazioni indica un costo d’acquisto
di 0,50 Euro l’uno per quelli da 10 litri e
di 12,00 Euro l’uno per quelli da 120 litri.
Sennonché, a comprova di questi prezzi, che
il consulente dell’Amministrazione ritiene
fuori mercato, l’aggiudicatario ha
presentato un preordine presso un importante
operatore del settore. Detto operatore
economico, poi, su espressa richiesta del
Comune, ha confermato per iscritto le
particolari condizioni economiche
riconosciute con riguardo al quell’ordine al
RTI Sa..
Un tanto è sufficiente per ritenere
giustificato la voce di costo per i bidoni.
All’esito delle giustificazioni, al RTI
Sa. residua, dunque, un utile annuo di
Euro 774,51: si tratta di un utile esiguo,
ma non del tutto azzerato.
E, secondo il consolidato, orientamento
giurisprudenziale «al di fuori dei casi in
cui il margine positivo risulti pari a zero,
non è possibile stabilire una soglia minima
di utile al di sotto della quale l'offerta
deve essere considerata anomala, poiché
anche un utile apparentemente modesto può
comportare un vantaggio significativo, sia
per la prosecuzione in sé dell’attività
lavorativa, sia per la qualificazione, la
pubblicità, il curriculum derivanti per
l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver
portato a termine un appalto pubblico»
(così, C.d.S., Sez. III, sentenza n.
3861/2018).
In conclusione, il ricorso è infondato e per
questo viene respinto. |
APPALTI:
Alla Corte costituzionale l’automaticità delle conseguenze
derivanti dalla dichiarazione mendace.
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Procedimento amministrativo – Dichiarazione sostitutiva
atto di notorietà – Dichiarazione falsa – Conseguenza – Art.
75, d.P.R. n. 445 del 2000 – Conseguenza – Decadenza
automatica del beneficio – Violazione art. 3 Cost. –
Rilevante e non manifestamente infondata.
E’ rilevante e non manifestamente
infondata, per violazione dei principi di proporzionalità,
ragionevolezza e uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 75, d.P.R.
28.12.2000, n. 445, nella parte in cui introduce un
automatismo legislativo tra la non veridicità della
dichiarazione resa dall’interessato e la perdita dei
benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base della dichiarazione non veritiera (1).
---------------
(1) Analoga rimessione è stata disposta dalla Sezione con
ordinanze 23.10.2018, n. 1531,
25.10.2018, n. 1552 e
17.09.2018, n. 1346.
Ha chiarito la Sezione che le conseguenze decadenziali
(definitive) dal beneficio (peraltro, latu sensu
sanzionatorie), legate alla non veridicità obiettiva della
dichiarazione e, a fortiori, l’impedimento a
conseguire il beneficio medesimo, ai sensi del citato art.
75, d.P.R. 28.12.2000, n. 445, appaiono irragionevoli e
incostituzionali, contrastando con il principio di
proporzione, che è alla base della razionalità che, a sua
volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex
art. 3 Cost..
E tanto ove si considerino (innanzitutto e in via dirimente)
il meccanico automatismo legale (del tutto “slegato”
dalla fattispecie concreta) e l’assoluta rigidità
applicativa della norma in questione, che (da un lato)
impone tout court (senza alcun distinguo, né
gradazione) la decadenza dal beneficio (o l’impedimento al
conseguimento dello stesso), a prescindere dall’effettiva
gravità del fatto contestato (sia per le fattispecie in cui
la dichiarazione non veritiera riveste un’incidenza del
tutto marginale rispetto all’interesse pubblico perseguito
dalla P.A., sia per quelle nelle quali tale dichiarazione
risulta in netto contrasto con tale interesse, riservando,
quindi, il medesimo trattamento a situazioni di oggettiva
diversa gravità), e (dall’altro) non consente di escludere
nemmeno le ipotesi di non veridicità delle autodichiarazioni
su aspetti di minima rilevanza concreta, con ogni possibile
(e finanche prevedibile) abnormità e sproporzione delle
relative conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto
commesso.
Ha aggiunto la Sezione che è ben vero, infatti, che l’art.
75, d.P.R. n. 445 del 2000 deve qualificarsi quale norma
generale di semplificazione amministrativa.
Tuttavia, proprio in quanto tale, la suddetta norma, se, da
un lato, è sicuramente volta a rendere più efficiente ed
efficace l’azione dell’Amministrazione pubblica (buon
andamento, ai sensi dell’art. 97 Cost.), dall’altro è
(altrettanto inequivocabilmente) finalizzata a garantire i
diritti dei singoli costituzionalmente tutelati e di volta
in volta coinvolti nel procedimento amministrativo attivato
(e nell’ambito del quale sono state rese le
autodichiarazioni medesime): si pensi, ad esempio, al
diritto allo studio (art. 34), al diritto alla salute (art.
32), al diritto al lavoro (artt. 4 e 35), al diritto
all’assistenza sociale (art. 38), al diritto di iniziativa
economica privata (art. 41).
Sicché, anche nella prospettiva del necessario bilanciamento
degli interessi costituzionali coinvolti (nonché della
massima espansione possibile delle relative tutele), il
rigido automatismo applicativo (in uno ai correlati e
definitivi effetti preclusivi e/o decadenziali) si rivela,
in concreto, lesivo del doveroso equilibrio fra le diverse
esigenze in gioco, e persino tale da pregiudicare
definitivamente proprio quei diritti costituzionali del
singolo alla cui migliore e più rapida realizzazione la
norma di semplificazione de qua è, in definitiva,
finalizzata (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
ordinanza 24.10.2018 n. 1544 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
2. - Rileva, innanzitutto, il Collegio che l’impugnato
diniego risulta motivato dalla P.A. resistente sulla scorta
dell’omessa dichiarazione, da parte dell’istante, di taluni
debiti verso l’Erario (e cioè, la preesistenza di talune
cartelle di pagamento, come risultante dalla nota P.E.C.
pervenuta dall’Agenzia delle Entrate - Riscossione in data
20.12.2017 e viste le osservazioni ricevute in data 15.01.2018, da cui risulta, per talune cartelle l’avvenuta
presentazione della domanda di definizione agevolata, per
altra cartella la proposizione di ricorso, e per altre
ancora l’intenzione di presentare domanda di definizione
agevolata, omettendo qualsiasi valutazione sull’entità -minima o meno- dei relativi importi e, quindi, in maniera
del tutto automatica), ai sensi, sostanzialmente (a ben
vedere), dell’art. 75 del D.P.R. 28.12.2000 n. 445.
E’ opportuno rammentare che l’articolo 75 (“Decadenza dai
benefici”) del D.P.R. 28.12.2000, n. 445 (“Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
documentazione amministrativa”) dispone che:
“1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora
dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non
veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante
decade dai benefici eventualmente conseguenti al
provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non
veritiera”.
La granitica giurisprudenza formatasi in “subiecta materia”
(ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 09.04.2013, n. 1933) ha osservato che il su riportato art. 75 del
D.P.R. n. 445/2000 <<si inserisce in un contesto in cui alla
dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati
requisiti è attribuita funzione probatoria, da cui il dovere
del dichiarante di affermare il vero.
Ne consegue che la dichiarazione “non veritiera” al di là
dei profili penali, ove ricorrano i presupposti del reato di
falso, nell’ambito della disciplina dettata dalla L. n. 445
del 2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello
scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la
decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del
mendacio”.
Pertanto, <<In tale contesto normativo, in cui la
“dichiarazione falsa o non veritiera” opera come fatto,
perde rilevanza l’elemento soggettivo ovvero il dolo o la
colpa del dichiarante>> (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013), “poiché, se così fosse, verrebbe meno
la ratio della disciplina che è volta a semplificare
l’azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante” (Consiglio di Stato,
Sezione Quinta, 27.04.2012, n. 2447): sicché ogni
eventuale ulteriore circostanza, “senz’altro rilevante in
sede penale, in quanto ostativa alla configurazione del
falso ideologico, attesa la mancanza dell’elemento
soggettivo, ovvero della volontà cosciente e non coartata di
compiere il fatto e della consapevolezza di agire contro il
dovere giuridico di dichiarare il vero, non assume rilievo
nell’ambito della L. n. 445 del 2000, in cui il mendacio
rileva quale inidoneità della dichiarazione allo scopo cui è
diretto” (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n.
1933/2013).
Ai sensi della normativa generale di cui all’art. 75 del
D.P.R. n. 445 del 2000, quindi, “la non veridicità di quanto autodichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce
alla decadenza dei benefici ottenuti con l'autodichiarazione
non veritiera”; così la sent. 13.09.2016, n. 9699)”
(TAR Lazio, Roma, Sezione III-ter, 24.05.2017, n.
6207), “senza che tale disposizione lasci margine di
discrezionalità alle Amministrazioni (cfr. ad es. CdS
1172/2017)” (TAR Liguria, Genova, Sezione Prima, 14.06.2017, n. 534).
In definitiva, per effetto della suddetta esegesi
consolidata (tale da assurgere al rango di “diritto
vivente”, sicché neppure è possibile per il Tribunale
operare una c.d. “interpretazione costituzionalmente
conforme”):
- l’applicazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000
comporta l’automatica decadenza dal beneficio eventualmente
già conseguito, non residuando, nell’applicazione della
predetta norma, alcun margine di discrezionalità alle PP.AA.
che, in sede di controllo (d’ufficio) ex art. 71 del
medesimo Testo Unico, si avvedano della (oggettiva) non
veridicità delle autodichiarazioni, posto che tale norma
prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione
soggettiva del dichiarante, attestandosi (unicamente) sul
dato oggettivo della non veridicità, rispetto al quale
risulta, peraltro, del tutto irrilevante il complesso delle
giustificazioni addotte dal dichiarante medesimo;
- parimenti, tale disposizione, nel contemplare la decadenza
dai benefici conseguenti al provvedimento emanato sulla base
delle dichiarazioni non veritiere, impedisce (ovviamente e
a fortiori, come nel caso di specie) anche l’emanazione del
provvedimento (ampliativo) di accoglimento dell’istanza
tendente ad ottenere i benefici dalla P.A..
3. - Tuttavia, la predetta norma (art. 75 del D.P.R. n.
445/2000), intesa alla stregua dell’illustrato “diritto
vivente”, nel suo meccanico automatismo legale (del tutto
decontestualizzato dal caso specifico) e nella sua assoluta
rigidità applicativa (che non conosce eccezioni), sembra al
Collegio incostituzionale, per violazione dei principi di
ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza sanciti
dall’art. 3 della Costituzione.
4. - Ed invero, “il giudizio di ragionevolezza, lungi dal
comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e
astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni
relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal
legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto
alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che
intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle
limitazioni concretamente sussistenti. Sicché, …
l’impossibilità di fissare in astratto un punto oltre il
quale scelte di ordine quantitativo divengono manifestamente
arbitrarie e, come tali, costituzionalmente illegittime, non
può essere validamente assunta come elemento connotativo di
un giudizio di merito, essendo un tratto che si riscontra …
anche nei giudizi di ragionevolezza.
Del resto,……, le censure di merito non comportano
valutazioni strutturalmente diverse, sotto il profilo
logico, dal procedimento argomentativo proprio dei giudizi
valutativi implicati dal sindacato di legittimità,
differenziandosene, piuttosto, per il fatto che in quest’ultimo
le regole o gli interessi che debbono essere assunti come
parametro del giudizio sono formalmente sanciti in norme di
legge o della Costituzione” (Corte Costituzionale, 22.12.1988, n. 1130).
In conclusione:
- per un verso, il giudizio di ragionevolezza della norma di
legge deve essere necessariamente ancorato al criterio di
proporzionalità, rappresentando quest’ultimo “diretta
espressione del generale canone di ragionevolezza (ex art. 3 Cost.)” (Corte Costituzionale,
01.06.1995, n. 220);
- per altro verso, la ragionevolezza va intesa come forma di
razionalità pratica (tenuto conto, appunto, “delle
circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti” -
Corte costituzionale, cit., n. 1130/1988), non riducibili
alla mera (e sola) astratta razionalità sillogistico -deduttiva e logico- formale, laddove (invece) la ragione
(pratica e concreta) deve essere aperta all’impatto che su
di essa esplica il caso, il fatto, il dato di realtà (che
diventa esperienza giuridica), solo così potendo
(doverosamente) valutarsi l’adeguatezza del mezzo al fine,
la ragionevolezza “intrinseca”, in uno agli (eventuali)
esiti ed effetti sproporzionati e/o paradossali che possono
concretamente derivare da una regola generale apparentemente
ed astrattamente logica.
In tal senso, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal
limitarsi alla (sola) valutazione della singola situazione
oggetto della specifica controversia da cui sorge il
giudizio incidentale di legittimità costituzionale, si
appalesa idoneo (traendo spunto da quest’ultima) a vagliare
gli effetti della Legge sull’intera realtà sociale che la
Legge medesima è chiamata a regolare, anche in funzione
dell’<<“esigenza di conformità dell’ordinamento a valori di
giustizia e di equità” ... ed a criteri di coerenza logica,
teleologica …. , che costituisce un presidio contro
l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle
conseguenze della stessa» (sentenza n. 87 del 2012)>> (Corte
Costituzionale, sentenza 10.06.2014, n. 162).
E tanto anche confrontando i benefici che derivano
dall’adozione, per dir così, “neutra” del provvedimento con
i suoi “costi”, e valutando l’eventuale inadeguata
penalizzazione degli altri diritti e interessi di rango
costituzionale contestualmente in gioco (bilanciamento).
5. - Orbene, l’illustrata fattispecie di “automatismo
legislativo” di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000,
intesa alla stregua del “diritto vivente”, non sfugge, ad
avviso meditato del Collegio, a forti dubbi di
incostituzionalità per violazione dei principi di
proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza, di cui
all’art. 3 della Costituzione.
5.1 - Ed invero, le conseguenze decadenziali (definitive)
dal beneficio (peraltro, latu sensu sanzionatorie), legate
alla non veridicità obiettiva della dichiarazione, e, a fortiori, l’impedimento a conseguire il beneficio medesimo,
ai sensi del citato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, appaiono
al Tribunale irragionevoli e incostituzionali, contrastando
con il principio di proporzione, che è alla base della
razionalità che, a sua volta, informa il principio di
uguaglianza sostanziale, ex art. 3 della Costituzione.
E tanto ove si considerino (innanzitutto e in via dirimente)
il meccanico automatismo legale (del tutto “slegato” dalla
fattispecie concreta) e l’assoluta rigidità applicativa
della norma in questione, che (da un lato) impone tout court
(senza alcun distinguo, né gradazione) la decadenza dal
beneficio (o l’impedimento al conseguimento dello stesso), a
prescindere dall’effettiva gravità del fatto contestato (sia
per le fattispecie in cui la dichiarazione non veritiera
riveste un’incidenza del tutto marginale rispetto
all’interesse pubblico perseguito dalla P.A., sia per quelle
nelle quali tale dichiarazione risulta in netto contrasto
con tale interesse, riservando, quindi, il medesimo
trattamento a situazioni di oggettiva diversa gravità), e
(dall’altro) non consente di escludere nemmeno le ipotesi di
non veridicità delle autodichiarazioni su aspetti di minima
rilevanza concreta, con ogni possibile (e finanche
prevedibile) abnormità e sproporzione delle relative
conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto commesso.
5.2 - Sotto altro profilo, inoltre, l’assoluta rigidità
applicativa dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 appare
eccessiva, in quanto non consente (parimenti
irragionevolmente e inadeguatamente) di valutare l’elemento
soggettivo (dolo -la c.d. coscienza e volontà di immutare
il vero- ovvero colpa, grave o meno -nell’ipotesi di fatto
dovuto a mera leggerezza o negligenza dell’agente) della
dichiarazione (oggettivamente) non veritiera, nella naturale
(e contestuale) sede del procedimento amministrativo (o
anche, laddove la P.A. lo ritenga, nell’ambito del
pertinente giudizio penale).
5.3 - Né può ritenersi che i suddetti dubbi di
costituzionalità possano essere superati facendo leva sulla
ratio sottesa alla disposizione di che trattasi,
rinvenibile, secondo il diritto “vivente” (cfr., ex plurimis,
Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 2447/2012), nel
principio generale di semplificazione amministrativa (cui si
accompagna l’affermazione dell’autoresponsabilità -
“oggettiva” - del dichiarante).
E’ ben vero, infatti, che l’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000
debba qualificarsi quale norma generale di semplificazione
amministrativa.
Tuttavia, proprio in quanto tale, la suddetta norma, se, da
un lato, è sicuramente volta a rendere più efficiente ed
efficace l’azione dell’Amministrazione pubblica (buon
andamento, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione),
dall’altro è (altrettanto inequivocabilmente) finalizzata a
garantire i diritti dei singoli costituzionalmente tutelati
e di volta in volta coinvolti nel procedimento
amministrativo attivato (e nell’ambito del quale sono state
rese le autodichiarazioni medesime): si pensi, ad esempio,
al diritto allo studio (art. 34), al diritto alla salute
(art. 32), al diritto al lavoro (artt. 4 e 35), al diritto
all’assistenza sociale (art. 38), al diritto di iniziativa
economica privata (art. 41, come nel caso di specie).
Sicché, anche nella prospettiva del necessario bilanciamento
degli interessi costituzionali coinvolti (nonché della
massima espansione possibile delle relative tutele), il
rigido automatismo applicativo (in uno ai correlati e
definitivi effetti preclusivi e/o decadenziali) si rivela,
in concreto, lesivo del doveroso equilibrio fra le diverse
esigenze in gioco, e persino tale da pregiudicare
definitivamente proprio quei diritti costituzionali del
singolo alla cui migliore e più rapida realizzazione la
norma di semplificazione de qua è, in definitiva,
finalizzata.
E tanto vieppiù allorché si consideri che l’art. 40
(“Certificati”) del D.P.R. 28.12.2000, n. 445 (“Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di documentazione amministrativa”), come modificato
dall’art. 15, comma 1, lett. a), L. 12.11.2011, n.
183, ha disposto che “01. Le certificazioni rilasciate dalla
pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità
personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei
rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della
pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i
certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti
dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47” e che
<<02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è
apposta, a pena di nullità, la dicitura: “Il presente
certificato non può essere prodotto agli organi della
pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici
servizi”>>: sicché, in definitiva, essendo il privato
obbligato, e non più (meramente) facultato, a presentare
alle PP.AA. le “dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47”,
la semplificazione de qua si risolve, in ultima analisi, per
un verso, nella (sicura) diminuzione degli adempimenti a
carico dell’Amministrazione Pubblica (a fronte dei controlli
d’ufficio, “anche a campione”, ai sensi dell’art. 71 del
D.P.R. n. 445/2000), e, per altro verso, nell’eccessiva
(considerate le conseguenze automatiche derivanti
dall’eventuale dichiarazione non veritiera, ex art. 75 del
D.P.R. n. 445/2000) autoresponsabilità (“oggettiva”) del
privato medesimo.
6. - Pertanto, rispetto ad una disposizione -l’art. 75 del
D.P.R. n. 445/2000-, nel significato in cui essa “vive”
nella (costante) applicazione giudiziale, il Collegio non
può che sollevare la questione di legittimità
costituzionale, tenuto conto, per quanto innanzi esposto,
che la stessa appare non superabile in via interpretativa
(in ragione, appunto, del “diritto vivente”) e non
manifestamente infondata.
7. - Inoltre, l’intervento del Giudice delle Leggi appare
assolutamente necessario nella presente controversia, non
potendosi prescindere dalla definizione (necessariamente e
logicamente pregiudiziale) di tale questione ai fini della
decisione del presente giudizio (in cui viene all’esame, per
l’appunto, una fattispecie nella quale la Pubblica
Amministrazione ha fatto pedissequa ed automatica
applicazione della norma in questione, a prescindere da
qualsivoglia valutazione in ordine all’entità -minima o
meno- dei debiti erariali emersi nel caso concreto), in
quanto, nell’ipotesi in cui il citato art. 75 del D.P.R. n.
445/2000 dovesse essere dichiarato incostituzionale,
verrebbe meno l’unico presupposto normativo posto,
sostanzialmente (a ben vedere), a fondamento del gravato
diniego, nel mentre, in caso contrario, il gravame sarebbe
infondato alla stregua delle censure formulate dalla parte
ricorrente.
8. - Il Collegio, in conclusione, ritiene che la questione
di legittimità costituzionale, per contrasto con i principi
di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza di cui
all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 75 del D.P.R. 28.12.2000, n. 445, sia rilevante (sussistendo, appunto,
il nesso di assoluta pregiudizialità tra la soluzione della
prospettata questione di legittimità costituzionale e la
decisione del presente giudizio) e non manifestamente
infondata, e debba, conseguentemente, essere rimessa
all’esame della Corte Costituzionale, mentre il giudizio in
corso deve essere sospeso fino alla decisione della
Consulta.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce -
Sezione Terza, pronunciando sul ricorso indicato in
epigrafe, sospende il giudizio e solleva questione di
legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 della
Costituzione, nei sensi e termini di cui in motivazione,
dell’art. 75 del D.P.R. 28.12.2000, n. 445.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte
Costituzionale. |
APPALTI: RUP
e scelta appaltatori.
Domanda
Nel nostro ente stiamo predisponendo il regolamento che disciplina le
acquisizioni di forniture, servizi e lavori nel sotto soglia comunitario ed
in particolare, più specificatamente, in relazione all’applicazione concreta
dell’articolo 36 del codice dei contratti.
Strutturando la disciplina della procedura negoziata semplificata, in
relazione alle forniture ed ai servizi, ci si è posti il problema
dell’interazione sul mercato elettronico in relazione alla scelta dei
soggetti da invitare al procedimento di gara.
Che tipo di criteri possono essere utilizzati?
Risposta
La questione della scelta degli appaltatori da invitare al procedimento di
gara, nel caso di acquisto dal mercato elettronico (sia il MEPA sia la
vetrina del soggetto aggregatore regionale) è stata oggetto di
considerazione anche da parte di recentissima giurisprudenza (in questo
senso il Consiglio di Stato, sentenza, n. 5833 del 10.10.2018).
La giurisprudenza, così come già l’ANAC (con le linee guida n. 4 in tema di
acquisizione nell’ambito sotto soglia comunitario e segnatamente in
relazione all’applicazione dell’articolo 36 del codice dei contratti),
evidenzia che la scelta degli appaltatori da invitare alla procedura
negoziata (e su cui innestare o gli inviti tradizionali o le RDO sul mercato
elettronico) deve avvenire previa indagine di mercato.
È chiaro poi che nell’avviso –anche “lanciato” sul MEPA– dovranno
essere specificati i criteri per la scelta degli appaltatori da invitare
alla competizione semplificata. Uno dei criteri, suggeriti anche dall’ANAC,
è quello del sorteggio che deve avvenire con modalità trasparenti e
tutelando l’anonimato degli appaltatori. Le stesse “dinamiche” delle
piattaforme dei soggetti aggregatori consentono di lanciare un “sorteggio”
anche tra tutti gli iscritti.
Sotto il profilo pratico, già nella determinazione che approva l’avviso
pubblico per avviare l’indagine di mercato il RUP dovrebbe indicare quali
siano i criteri che poi determinano la scelta degli appaltatori da invitare,
sempre fatto salvo che lo stesso responsabile unico del procedimento non
abbia suggerito al dirigente/responsabile del servizio di invitare tutti gli
appaltatori che abbiamo manifestato l’interesse ad essere invitati alla
competizione.
Ad ausilio del RUP sembra importante riportare alcuni passi della sentenza
citata (che, a margine di una complessa vicenda sulla negata possibilità di
ottenere finanziamenti ministeriali che esigevano una procedura di gara
trasparente ed oggettiva, ha respinto il ricorso del comune proprio perché
era stata omessa l’indagine di mercato con la previa fissazione dei criteri
di scelta degli appaltatori da invitare) in cui si legge:
• le stesse Linee Guida n. 4 dell’ANAC, approvate dal Consiglio
dell’Autorità con delibera n. 1097 del 26.10.2016 e aggiornate al d.lgs. n.
56 del 19.04.2017 con la delibera n. 206 del 01.03.2018, hanno chiarito, al
punto 5.1.1., lett. c), che le stazioni appaltanti possano dotarsi, nel
rispetto del proprio ordinamento, di un regolamento in cui vengano
disciplinati, tra gli altri, i criterî di scelta dei soggetti da invitare a
presentare offerta a seguito di indagine di mercato o attingendo all’elenco
degli operatori economici propri o da quelli presenti nel mercato
elettronico delle pp.aa. o altri strumenti similari gestiti dalle centrali
di committenza di riferimento;
• l’opportunità di indicare almeno tali criterî risponde
all’esigenza di evitare che il ricorso al mercato elettronico, sia esso
facoltativo o, come in questo caso, obbligatorio per le stazioni appaltanti,
si presti comunque a facili elusioni della concorrenza, poiché la stazione
appaltante deve selezionare, in modo non discriminatorio, gli operatori da
invitare, in numero proporzionato all’importo e alla rilevanza del contratto
e, comunque, in numero almeno pari a cinque, sulla base dei criterî definiti
nella determina a contrarre ovvero nell’atto equivalente;
•in questo modo si intende evitare che anche il ricorso a cataloghi del
mercato elettronico o standardizzati, in uso presso le stazioni appaltanti,
presti il fianco all’aggiramento dei principî atti ad assicurare
imparzialità, trasparenza, e par condicio tra gli operatori
economici, quando pure qualificati e iscritti in detti elenchi, con la
scelta di eventuali operatori “graditi” da invitare finanche in tali
elenchi
(24.10.2018 - tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
La
giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la possibilità
di applicare in modo attenuata il tendenziale divieto di
commistione tra le caratteristiche oggettive della offerta e
i requisiti soggettivi della impresa concorrente, alla
duplice condizione:
a) che taluni aspetti dell’attività dell’impresa possano
effettivamente ‘illuminare’ la qualità della offerta e
b) che lo specifico punteggio assegnato, ai fini
dell'aggiudicazione, per attività analoghe a quella oggetto
dell'appalto, non incida in maniera rilevante sulla
determinazione del punteggio complessivo.
---------------
4. In via
subordinata rispetto all’accoglimento del primo motivo il
RTI appellante ha censurato l’illegittimità dell’intera
procedura di gara, la quale risulterebbe irrimediabilmente
viziata a causa dell’indebita commistione fra requisiti
soggettivi del concorrente e requisiti oggettivi
dell’offerta risultante dalla lex specialis.
In particolare, sulla base del criterio di gara dinanzi
descritto sub 2.1 sarebbe accaduto che l’indice PSF
illegittimamente assumesse la duplice valenza:
i) di requisito soggettivo per la partecipazione del singolo
concorrente (nel caso di PSF di valore inferiore a 18) e
ii) di elemento di valutazione dell’offerta (nel caso di PSF di
valore superiore a 18, il quale assurgeva ad elemento di
valutazione dell’offerta tecnica).
4.1. Il motivo è infondato.
4.1.1. E’ vero che, in base a un consolidato orientamento,
costituisce principio generale regolatore delle gare
pubbliche quello che vieta la commistione fra i criteri
soggettivi di qualificazione e quelli oggettivi afferenti
alla valutazione dell'offerta (in tal senso –ex multis
-: Cons. Stato III, sent. 18.06.2012, n. 3550).
E’ altresì vero che, nel caso in esame, la fissazione di una
diversa soglia di punteggio relativa a un determinato
elemento di valutazione (il più volte richiamato indice
PSF), così come la fissazione di una soglia di punteggio
minima non si atteggiava ad elemento di qualificazione dei
concorrenti, ma esprimeva soltanto l’esigenza della stazione
appaltante di poter disporre di concorrenti idonei ad
assicurare un livello minimo di qualità tecnica.
Si tratta di un criterio valutativo del tutto conforme alla
previsione del comma 8 dell’articolo 83 del decreto
legislativo 18.04.2016, n. 50 (‘Codice dei contratti
pubblici’), secondo cui le stazioni appaltanti possono
indicare “livelli minimi di capacità” (evidentemente
intesi quali forme di barrage condizionanti la stessa
partecipazione alle gare) e, allo stesso tempo, procedere “[alla]
verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative
[e] delle competenze tecniche e professionali” (intesa
evidentemente in senso gradualistico e parametrico, con
possibilità di modulare la valutazione in ragione del
diverso grado di capacità riscontrato).
4.1.2. Del resto, la possibilità per le stazioni appaltanti
di individuare “livelli minimi di capacità” idonei a
condizionare la stessa partecipazione (ma non ad escludere
la possibilità di utilizzare i medesimi parametri anche ai
fini valutativi) è stata ammessa dal paragrafo 5
dell’articolo 58 della c.d. ‘Direttiva appalti’ n.
2014/24/UE.
4.1.3. Si osserva inoltre che la giurisprudenza
amministrativa ha riconosciuto la possibilità di applicare
in modo attenuata il tendenziale divieto di commistione tra
le caratteristiche oggettive della offerta e i requisiti
soggettivi della impresa concorrente, alla duplice
condizione a) che taluni aspetti dell’attività dell’impresa
possano effettivamente ‘illuminare’ la qualità della
offerta e b) che lo specifico punteggio assegnato, ai fini
dell'aggiudicazione, per attività analoghe a quella oggetto
dell'appalto, non incida in maniera rilevante sulla
determinazione del punteggio complessivo (in tal senso:
Cons. Stato, V, 03.10.2012, n. 5197).
Si tratta di condizioni che sussistono nel caso in esame,
atteso che:
i) agli aspetti tecnici sottesi alla formulazione dell’indice PSF
veniva riconosciuta notevole importanza ai fini della
valutazione economico-finanziaria del singolo concorrente;
ii) il punteggio del PSF non era riconosciuto soltanto in relazione
alle pregresse esperienze professionali (atteggiandosi nella
sostanza a requisito esperienziale) ma era connesso a
ulteriori e diversi parametri (quali la liquidità corrente,
l’autonomia finanziaria e l’indebitamento bancario)
svincolati dalla mera esperienza pregressa del concorrente.
4.2. Anche il secondo motivo di appello deve dunque essere
respinto (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 22.10.2018 n. 6026 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Offerta economicamente più vantaggiosa, Consiglio di Stato:
le Linee guida Anac n. 2 non sono vincolanti.
Tali Linee guida non sono idonee a rappresentare parametro
di legittimità delle determinazioni adottate dalle singole
stazioni appaltanti nella fissazione delle regole di gara.
In merito all'eventuale discrasia fra la
legge di gara e le prescrizioni di cui alle linee guida
dell’ANAC n. 2 del 21.09.2016 (in tema di ‘Offerta
economicamente più vantaggiosa’), deve osservarsi che
“trattandosi pacificamente di linee guida ‘non vincolanti’
(le quali traggono la propria fonte di legittimazione nella
generale previsione di cui al comma 2 dell’articolo 213 del
nuovo ‘Codice dei contratti’), esse non risultano idonee a
rappresentare parametro di legittimità delle determinazioni
adottate dalle singole stazioni appaltanti nella fissazione
delle regole di gara”.
---------------
5. Con il terzo motivo di appello (reiterativo di
analogo motivo già articolato in primo grado e respinto dal
TAR) la Si. lamenta che illegittimamente la stazione
appaltante, nel delineare le regole di attribuzione dei 70
punti relativi alla componente tecnica dell’offerta, si
sarebbe soffermata in modo pressoché esclusivo sulle
componenti tecniche ed organizzative delle concorrenti ed
avrebbe trascurato qualunque riferimento agli aspetti
tecnici dell’offerta concretamente ricollegati alle
caratteristiche dell’appalto.
5.1. Il motivo è infondato.
5.1.1. Va in primo luogo osservato che non può essere
accolto il motivo con cui si è lamentata in parte qua
la discrasia fra la legge di gara e le prescrizioni di cui
alle linee guida dell’ANAC n. 2 del 21.09.2016 (in tema di ‘Offerta
economicamente più vantaggiosa’).
Al riguardo ci si limita ad osservare che, trattandosi
pacificamente di linee guida ‘non vincolanti’ (le
quali traggono la propria fonte di legittimazione nella
generale previsione di cui al comma 2 dell’articolo 213 del
nuovo ‘Codice dei contratti’), esse non risultano
idonee a rappresentare parametro di legittimità delle
determinazioni adottate dalle singole stazioni appaltanti
nella fissazione delle regole di gara.
Il testo in questione, quindi, lungi dal fissare regole di
carattere prescrittivo, si atteggia soltanto quale strumento
di “regolazione flessibile”, in quanto tale volto
all’incremento “dell’efficienza, della qualità dell’attività
delle stazioni appaltanti”.
Il testo in parola risulta ricognitivo di princìpi di
carattere generale, ivi compreso quello della lata
discrezionalità che caratterizza le scelte
dell’amministrazione in punto di individuazione degli
elementi di valutazione delle offerte.
Sulla base di orientamenti più che consolidati, tuttavia,
deve affermarsi che tali scelte non possano essere censurate
in giudizio se non in caso di palesi profili di
irragionevolezza e abnormità (nel caso di specie non
ravvisabili).
Ebbene, a fronte di lavorazioni non caratterizzate da
altissimo contenuto tecnico e da una certa ripetitività
(quali le manutenzioni sui fabbricati ferroviari non
interferenti con l’esercizio ferroviario e la conduzione e
manutenzione di impianti di riscaldamento) non appare
irragionevole la scelta della stazione appaltante di
delineare indicatori di valutazione fondati essenzialmente
sulla valutazione della struttura di impresa,
sull’organizzazione del personale e sull’organizzazione
tecnica del singolo concorrente.
Non può del resto essere condivisa la tesi dell’appellante
secondo cui i parametri di valutazione in tal modo delineati
non avrebbero in alcun modo consentito di tenere conto dei
profili tecnici dell’offerta e delle caratteristiche dei
beni e dei servizi offerti.
Lo svolgimento dei lavori e dei servizi messi a gara non
richiedeva una complessa attività di progettazione, ma
soltanto una adeguata organizzazione delle lavorazioni e dei
servizi posti a fondamento della lex specialis.
Conseguentemente può risultare opinabile –ma non certamente
abnorme– la scelta della stazione appaltante di valorizzare,
ai fini valutativi, gli elementi relativi all’organizzazione
del personale e all’organizzazione tecnica.
5.2. Anche il terzo motivo di appello deve quindi essere
escluso (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 22.10.2018 n. 6026 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
La consegna in via d’urgenza delle prestazioni
contrattuali non comporta l’insorgere di vincoli
contrattuali di tipo privatistico tra amministrazione
appaltante ed appaltatore.
Essa, infatti, è un provvedimento di natura eccezionale, dal
quale non deriva il perfezionamento del contratto.
Trattasi, infatti, di un provvedimento tipicamente adottato
nelle more della stipulazione, allorché ricorrano
circostanze di urgenza che non consentono gli indugi delle
formalità necessarie alla stipulazione: con la conseguenza
che la consegna d’urgenza limita i rapporti tra le parti
alle sole prestazioni oggetto dell’ordine
dell’Amministrazione pubblica e non coinvolge l’intero
complesso dell’esecuzione delle opere.
Va, quindi, escluso che, nella fattispecie, fosse necessaria
la previa stipula del contratto ai fini dell’attivazione, in
capo alla Stazione appaltante, della prevista possibilità di
chiedere l’esecuzione d’urgenza di talune prestazioni.
---------------
1. Dato, quindi, atto della ammissibilità dell’impugnativa,
è infondato il primo degli argomenti di censura con essa
esposti.
Parte ricorrente assume che il sig. Tr.Da., dipendente della
stessa Co. s.r.l., difettasse dei poteri per ricevere la
consegna anticipata dei lavori in mancanza della previa
stipula del contratto, ipotesi che nella fattispecie non era
affatto configurabile; e ciò in quanto nei confronti del
predetto nominativo sarebbe stato conferito, con procura
speciale, il solo potere di stipulare il contratto e di
procedere alla successiva ordinaria consegna dei lavori.
1.1 Va, innanzi tutto, osservato come il comma 8 dell’art.
32 del D.Lgs. 50/2016 stabilisca che: “Divenuta efficace
l'aggiudicazione, e fatto salvo l'esercizio dei poteri di
autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la
stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha
luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso
termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero
l'ipotesi di differimento espressamente concordata con
l'aggiudicatario. Se la stipulazione del contratto non
avviene nel termine fissato, l'aggiudicatario può, mediante
atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da
ogni vincolo o recedere dal contratto. All'aggiudicatario
non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese
contrattuali documentate. Nel caso di lavori, se è
intervenuta la consegna dei lavori in via di urgenza e nel
caso di servizi e forniture, se si è dato avvio
all'esecuzione del contratto in via d'urgenza,
l'aggiudicatario ha diritto al rimborso delle spese
sostenute per l'esecuzione dei lavori ordinati dal direttore
lavori, ivi comprese quelle per opere provvisionali. Nel
caso di servizi e forniture, se si è dato avvio
all'esecuzione del contratto in via d'urgenza,
l'aggiudicatario ha diritto al rimborso delle spese
sostenute per le prestazioni espletate su ordine del
direttore dell'esecuzione. L'esecuzione d'urgenza di cui al
presente comma è ammessa esclusivamente nelle ipotesi di
eventi oggettivamente imprevedibili, per ovviare a
situazioni di pericolo per persone, animali o cose, ovvero
per l'igiene e la salute pubblica, ovvero per il patrimonio,
storico, artistico, culturale ovvero nei casi in cui la
mancata esecuzione immediata della prestazione dedotta nella
gara determinerebbe un grave danno all'interesse pubblico
che è destinata a soddisfare, ivi compresa la perdita di
finanziamenti comunitari”.
1.2 La consegna in via d’urgenza delle prestazioni
contrattuali non comporta l’insorgere di vincoli
contrattuali di tipo privatistico tra amministrazione
appaltante ed appaltatore.
Essa, infatti, è un provvedimento di natura eccezionale, dal
quale non deriva il perfezionamento del contratto.
Trattasi, infatti, di un provvedimento tipicamente adottato
nelle more della stipulazione, allorché ricorrano
circostanze di urgenza che non consentono gli indugi delle
formalità necessarie alla stipulazione: con la conseguenza
che la consegna d’urgenza limita i rapporti tra le parti
alle sole prestazioni oggetto dell’ordine
dell’Amministrazione pubblica e non coinvolge l’intero
complesso dell’esecuzione delle opere.
Va, quindi, escluso che, come dalla ricorrente sostenuto,
fosse necessaria la previa stipula del contratto ai fini
dell’attivazione, in capo alla Stazione appaltante, della
prevista possibilità di chiedere l’esecuzione d’urgenza di
talune prestazioni
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.10.2018 n. 1003 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La
cauzione provvisoria è configurata dal Codice come strumento
di garanzia dell’offerta.
In tal senso, depone il disposto dell’art. 93, comma 1, del
D.Lgs. 50/2016, laddove prevede che “L'offerta è corredata
da una garanzia fideiussoria, denominata "garanzia
provvisoria" pari al 2 per cento del prezzo base indicato
nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di
fideiussione, a scelta dell'offerente”.
Di talché un costante insegnamento giurisprudenziale ha
affermato che “la cauzione costituisce parte integrante
dell’offerta e non mero elemento di corredo della stessa;
sicché essa si pone come strumento di garanzia della serietà
ed affidabilità dell’offerta che vincola le imprese
partecipanti ad una gara pubblica all’osservanza
dell’impegno assunto a rispettarne le regole,
responsabilizzandole, mediante l’anticipata liquidazione dei
danni subiti dall’amministrazione, in ordine alle
dichiarazioni rese anche con riguardo al possesso dei
requisiti di ammissione alla procedura. La cauzione
provvisoria costituisce, dunque, una misura di natura
patrimoniale che, da un lato, è finalizzata, come la caparra
confirmatoria, a confermare la serietà di un impegno da
assumere in futuro, dall’altro costituisce, ove prevista,
naturale effetto della violazione di regole e doveri
contrattuali espressamente accettati”; con la conseguenza
che “l’escussione della cauzione provvisoria costituisce
conseguenza della violazione dell’obbligo di diligenza
gravante sull’offerente e dell’inosservanza della lex
specialis avente carattere di gravità”.
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3. Lamenta, da
ultimo, parte ricorrente che la Provincia di Mantova, a
fronte degli inadempimenti dalla medesima valutati quali
presupposti di revoca dell’aggiudicazione, avrebbe potuto
procedere alla sola escussione della garanzia provvisoria: e
non anche di quella definitiva.
Anche tale profilo di doglianza non si presta a
condivisione.
3.1 Va, in proposito, osservato come, ai sensi del comma 1
dell’art. 103 del Codice dei contratti, di cui al D.Lgs.
50/2016, “L'appaltatore per la sottoscrizione del
contratto deve costituire una garanzia, denominata "garanzia
definitiva" a sua scelta sotto forma di cauzione o
fideiussione con le modalità di cui all'articolo 93, commi 2
e 3, pari al 10 per cento dell'importo contrattuale e tale
obbligazione è indicata negli atti e documenti a base di
affidamento di lavori, di servizi e di forniture. … La
cauzione è prestata a garanzia dell'adempimento di tutte le
obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni
derivanti dall'eventuale inadempimento delle obbligazioni
stesse, nonché a garanzia del rimborso delle somme pagate in
più all'esecutore rispetto alle risultanze della
liquidazione finale, salva comunque la risarcibilità del
maggior danno verso l'appaltatore”.
Diversamente, la cauzione provvisoria è configurata dallo
stesso Codice come strumento di garanzia dell’offerta.
In tal senso, depone il disposto dell’art. 93, comma 1, del
D.Lgs. 50/2016, laddove prevede che “L'offerta è
corredata da una garanzia fideiussoria, denominata "garanzia
provvisoria" pari al 2 per cento del prezzo base indicato
nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di
fideiussione, a scelta dell'offerente”.
Di talché un costante insegnamento giurisprudenziale (cfr.,
ex multis, Cons. Stato, sez. V, 10.04.2018 n. 2181)
ha affermato che “la cauzione costituisce parte
integrante dell’offerta e non mero elemento di corredo della
stessa; sicché essa si pone come strumento di garanzia della
serietà ed affidabilità dell’offerta che vincola le imprese
partecipanti ad una gara pubblica all’osservanza
dell’impegno assunto a rispettarne le regole,
responsabilizzandole, mediante l’anticipata liquidazione dei
danni subiti dall’amministrazione, in ordine alle
dichiarazioni rese anche con riguardo al possesso dei
requisiti di ammissione alla procedura. La cauzione
provvisoria costituisce, dunque, una misura di natura
patrimoniale che, da un lato, è finalizzata, come la caparra
confirmatoria, a confermare la serietà di un impegno da
assumere in futuro, dall’altro costituisce, ove prevista,
naturale effetto della violazione di regole e doveri
contrattuali espressamente accettati”; con la
conseguenza che “l’escussione della cauzione provvisoria
costituisce conseguenza della violazione dell’obbligo di
diligenza gravante sull’offerente e dell’inosservanza della
lex specialis avente carattere di gravità”.
3.2 È ben vero che, secondo quanto disposto dal comma 6
dello stesso art. 93, “la garanzia copre la mancata
sottoscrizione del contratto dopo l'aggiudicazione dovuta ad
ogni fatto riconducibile all'affidatario o all'adozione di
informazione antimafia interdittiva…; la garanzia è
svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione
del contratto”.
Ma è altrettanto vero che, nella fattispecie, non è venuta
in considerazione la sola mancata sottoscrizione del
contratto (non imputabile, come precedentemente illustrato,
a fatto proprio della Stazione appaltante), quanto,
ulteriormente, il mancato adempimento (anticipata esecuzione
dei lavori in via d’urgenza) di un’obbligazione dalla
ricorrente assunta mediante consenso prestato alla richiesta
in tal senso formulata dall’Amministrazione.
Ne deriva che la fattispecie viene ad integrare una
tipologia pluriarticolata di inadempimento: a fronte della
quale, non venendo in considerazione un vizio dell’offerta
(“garantita” dalla prestazione della cauzione
provvisoria, che assiste l’intera fase di partecipazione
alla gara, fino al conclusivo provvedimento aggiudicatorio),
la Stazione appaltante ha, nel caso di specie, correttamente
provveduto all’incameramento della cauzione definitiva dalla
parte prestata a garanzia della sottoscrizione del contratto
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.10.2018 n. 1003 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
All’Adunanza plenaria la questione se è consentito ad
un’impresa componente il raggruppamento di ridurre la
propria quota di esecuzione.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Raggruppamento
temporaneo di imprese – Quota di lavori dichiarata in
offerta - Requisito di un componente insufficiente –
Riduzione della quota se il raggruppamento nel suo insieme
ha i requisiti – Contrasti in giurisprudenza - Rimessione
all’Adunanza plenaria.
E’ rimessa all’Adunanza plenaria la
questione se è consentito ad un’impresa componente
raggruppamento temporaneo di imprese, che possegga il
requisito di qualificazione in misura insufficiente per la
quota di lavori dichiarata in sede di presentazione
dell’offerta, di ridurre la propria quota di esecuzione,
così da renderla coerente con il requisito di qualificazione
effettivamente posseduto, nel caso in cui il raggruppamento
nel suo insieme sia in possesso di requisiti di
qualificazione sufficienti a coprire l’intera quota di
esecuzione dei lavori (1).
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(1)
Ha ricordato la Sezione che sul punto si sono registrati
diversi orientamenti.
Secondo un primo orientamento (Cons,
St., sez. V, 02.07.2018, n. 4036; id.
22.08.2016, n. 3666; id,
25.02.2016, n. 786) la mancanza del requisito di
qualificazione in misura corrispondente alla quota di lavori
cui si era impegnata una delle imprese costituenti il
raggruppamento in sede di presentazione dell’offerta è causa
di esclusione dell’intero raggruppamento, anche se, per
ipotesi, il raggruppamento nel suo insieme sia in possesso
del requisito di qualificazione sufficiente all’esecuzione
dell’intera quota dei lavori.
Tale orientamento muove dalla distinzione tra requisiti di
qualificazione, quote di partecipazione e quote di
esecuzione.
I requisiti di qualificazione attengono alle caratteristiche
soggettive del concorrente che aspira all’aggiudicazione e
consentono alla stazione appaltante di valutare la capacità
imprenditoriale del concorrente a realizzare quella parte di
lavoro che gli sarà poi eventualmente aggiudicata. La quota
di partecipazione, invece, altro non è che la percentuale di
“presenza” all’interno del raggruppamento e ha
riflessi sulla responsabilità del componente all’interno del
raggruppamento stesso. La quota di esecuzione è infine la
parte di lavoro, servizio o fornitura che verrà
effettivamente realizzata nel caso di affidamento.
Così definiti questi tre elementi, si esclude che il
requisito di qualificazione possa essere preso in
considerazione per il raggruppamento nel suo complesso,
dovendo necessariamente riguardare il singolo componente del
raggruppamento. Si precisa peraltro che questo non significa
reintrodurre surrettiziamente il principio della triplice
corrispondenza, ma soltanto rendere necessaria la
corrispondenza tra la quota di esecuzione e quella di
qualificazione, in applicazione del dettato normativo.
Secondo altro orientamento (Cons.
St., sez. V, 08.11.2017, n. 5160; id.,
sez. IV, 12.03.2015, n. 1293) non è consentita
l’esclusione dell’operatore economico dalla procedura, in
presenza di tre condizioni: che lo scostamento tra il
requisito di qualificazione dichiarato e la quota di lavori
per la quale l’operatore si è impegnato non sia eccessivo;
che il raggruppamento nel suo complesso sia comunque in
possesso dei requisiti sufficienti a coprire l’intero
ammontare dell’appalto; che il raggruppamento abbia la forma
di raggruppamento orizzontale. A sostegno della tesi della
non esclusione del raggruppamento, è stato addotto, prima di
tutto, il principio del favor partecipationis, che
risulterebbe frustrato dall’esclusione di un raggruppamento
che, nel suo complesso, possegga i requisiti di
partecipazione.
Ha quindi chiarito il Tar che i due orientamenti richiamati
accolgono una diversa concezione del requisito di
qualificazione.
Il primo orientamento lo ritiene “personale”, ossia
riferito alla singola impresa facente parte del
raggruppamento; il secondo orientamento invece lo ritiene
riferibile al raggruppamento nel suo complesso, con la
conseguenza che non costituisce motivo di esclusione il caso
in cui il singolo componente non possieda un requisito di
qualificazione sufficiente per l’esecuzione della propria
quota di lavori, se il raggruppamento nel suo complesso è “sovrabbondante”
rispetto al requisito richiesto dal bando.
Ha quindi rilevato la Sezione che a seconda della soluzione
che si intenda dare al contrasto tra opposti orientamenti
sottoposto all’Adunanza plenaria, altra questione viene a
porsi in via subordinata.
Qualora si consenta all’impresa, che ha assunto una quota di
lavori eccessiva rispetto al requisito di qualificazione
posseduto, la modifica in corso di procedura (per essere
nella fase successiva a quella di presentazione delle
offerte) della quota di esecuzione dei lavori, così da
impedire l’esclusione del raggruppamento, occorre definire
le condizioni in presenza delle quali detta modifica può
ammettersi. Le sentenze richiamate nel secondo orientamento,
infatti, hanno posto la condizione che lo scostamento (tra
quota di esecuzione assunta e requisito di qualificazione
posseduto) sia minimo, al punto da poter qualificare lo
stesso alla stregua di un errore materiale (Cons.
St., sez. V, 06.03.2017, n. 1041).
Ove si voglia dar seguito a tale impostazione, sarà
necessario determinare la soglia, superata la quale, lo
scostamento non possa più essere considerato “minimo”.
Sempre nell’ipotesi in cui si sposi il secondo orientamento
che, mediante la modifica della quota di esecuzione
dichiarata, evita l’esclusione del raggruppamento, è
opportuno chiarire se la stazione appaltante, che lo
scostamento riconosca, debba ricorrere al soccorso
istruttorio (opzione esclusa da
Cons. St., sez. V, 02.07.2018, n. 4036) per
concedere al raggruppamento di operare la modifica
consentita, o possa farne a meno procedendo direttamente
alla valutazione dell’offerta, per avere essa stessa –si
potrebbe dire “d’ufficio”– accertato che la riduzione
della quota di esecuzione in capo ad una delle imprese è
compensata dal maggior requisito di qualificazione posseduto
da altro componente (Consiglio
di Stato, Sez. V,
ordinanza 18.10.2018 n. 5957 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
7. Con l’unico motivo di appello proposto Pe.Gi. s.p.a. rileva che il giudice di primo grado si è
posto in consapevole contrasto con l’orientamento della
giurisprudenza amministrativa per il quale, ferma la
doverosa e necessaria corrispondenza tra i requisiti di
partecipazione di ciascun raggruppamento e il valore dei
lavori da eseguire, nel caso di scostamento tra la quota di
lavori da eseguire dal singolo partecipante al
raggruppamento e il requisito di partecipazione da questi
posseduto non v’è ragione di esclusione se: a) lo
scostamento non è di rilevante entità; b) il raggruppamento
sia nel complesso in possesso dei requisiti necessari
all’esecuzione dei lavori; c) il raggruppamento abbia natura
orizzontale.
L’orientamento esposto, aggiunge l’appellante, è conforme
alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della
Corte di Giustizia dell’Unione europea di disporre
l’esclusione dalla procedura come sanzione massima solo in
caso di violazioni gravemente conculcanti i canoni che
regolano il settore dei contratti pubblici, per il
necessario bilanciamento tra il principio del libero accesso
alle gare e quello della necessaria affidabilità degli
offerenti.
Conclude l’appellante che la stazione appaltante avrebbe
dovuto, pertanto, avviare un dialogo con il raggruppamento
per consentirle di modificare le quote di esecuzione dei
lavori dei partecipanti così da ripartire tra gli altri la
parte mancante ad una di essi.
8. Rileva il Collegio che la questione posta dall’unico
motivo di appello proposto ha dato luogo a contrastanti
orientamenti nella giurisprudenza di questo Consiglio di
Stato e deve, per questo, essere rimessa all’Adunanza
plenaria ex art. 99, comma 1, Cod. proc. amm.
9. Prima di esporre i termini del contrasto, è opportuno
precisare che l’appalto oggetto di causa è disciplinato dal
nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs. 05.04.2016,
n. 50, in quanto il bando è pubblicato il 03.08.2017.
L’art. 217, comma 1, lett. u), d.lgs. 05.04.2016, n. 50 ha
disposto l’abrogazione del d.p.r. 05.10.2010, n. 207,
regolamento di attuazione ed esecuzione del vecchio codice
dei contratti pubblici, d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
specificando, però, quali disposizioni sono immediatamente
abrogate (a far data dalla sua entrata in vigore) e quali,
invece, restano in vigore in attesa dell’adozione degli atti
attuativi del nuovo codice.
Tra queste ultime rientrano le disposizioni di cui alla
Parte II, Titolo III, Capo IV, rilevanti nel presente
giudizio.
9.1. L’art. 92, comma 2, d.P.R. 05.10.2010, n. 207
prevede che: “Le quote di partecipazione al raggruppamento o
consorzio, indicate in sede di offerta, possono essere
liberamente stabilite entro i limiti consentiti dai
requisiti di qualificazione posseduti dall'associato o dal
consorziato”; la norma sancisce il principio di necessaria
corrispondenza tra le quote di partecipazione al
raggruppamento e i requisiti di qualificazione posseduti.
Tale principio è rafforzato dalla previsione contenuta
nell’ultima parte del 2° comma dell’art. 92, per la quale: “I
lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le
quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di
modifica delle stesse, previa autorizzazione della stazione
appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti
di qualificazione posseduti dalle imprese interessate”.
9.2. In precedenza, era richiesta una triplice
corrispondenza tra quota di partecipazione, quota di
esecuzione e requisito di qualificazione.
L’art. 37, comma 13, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 prevedeva,
infatti, che “i concorrenti riuniti in raggruppamento
temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale
corrispondente alla quota di partecipazione al
raggruppamento”.
Successivamente, la triplice corrispondenza fu limitata agli
appalti di lavori (dall’art. 1, comma 2-bis, lettera a), del
d.l. 06.07.2012 n. 95 conv. in l. 07.08.2012, n. 135),
per poi essere definitivamente superata dall’art. 12, comma
8, d.l. 28.03.2014, n. 47 conv. in l. 23.05.2014, n.
80 che ha abrogato la disposizione contenuta nell’art. 37,
comma 13, d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
Il d.lgs. 05.04.2016 n. 50, attualmente vigente, non
prevede la triplice corrispondenza, bensì soltanto
l’obbligo, nel caso di lavori, forniture o servizi di
specificare nell’offerta “le categorie di lavori o le parti
del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai
singoli operatori economici riuniti o consorziati” (art. 48,
comma 4).
9.3. Pur essendo venuto meno l’obbligo di corrispondenza tra
quote di partecipazione al raggruppamento e quote di
esecuzione dei lavori, costituisce orientamento consolidato
che se le imprese componenti il raggruppamento dichiarano,
in sede di offerta, una quota di partecipazione
corrispondente alla quota di lavori da eseguire, è
necessario che il requisito di qualificazione sia coerente
con entrambi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.07.2018, n.
4036; V, 13.06.2018, n. 3623; V, 05.02.2018, n.
730; V, 25.02.2016 n. 786).
10. E’ sorta, allora, la questione se sia consentito ad
un’impresa componente il raggruppamento, che possegga il
requisito di qualificazione in misura insufficiente per la
quota di lavori dichiarata in sede di presentazione
dell’offerta, di ridurre la propria quota di esecuzione,
così da renderla coerente con il requisito di qualificazione
effettivamente posseduto, nel caso in cui il raggruppamento
nel suo insieme sia in possesso di requisiti di
qualificazione sufficienti a coprire l’intera quota di
esecuzione dei lavori.
Su tale questione si registra il contrasto giurisprudenziale
che si intende rimettere all’Adunanza plenaria.
11. Secondo un primo orientamento, la mancanza del requisito
di qualificazione in misura corrispondente alla quota di
lavori cui si era impegnata una delle imprese costituenti il
raggruppamento in sede di presentazione dell’offerta è causa
di esclusione dell’intero raggruppamento, anche se, per
ipotesi, il raggruppamento nel suo insieme sia in possesso
del requisito di qualificazione sufficiente all’esecuzione
dell’intera quota dei lavori.
11.1. In tal senso si è recentemente espressa la sentenza di
questo Consiglio di Stato, sez. V, 02.07.2018, n. 4036.
La sentenza muove dalla distinzione tra requisiti di
qualificazione, quote di partecipazione e quote di
esecuzione.
I requisiti di qualificazione attengono alle caratteristiche
soggettive del concorrente che aspira all’aggiudicazione e
consentono alla stazione appaltante di valutare la capacità
imprenditoriale del concorrente a realizzare quella parte di
lavoro che gli sarà poi eventualmente aggiudicata.
La quota di partecipazione, invece, altro non è che la
percentuale di “presenza” all’interno del raggruppamento e
ha riflessi sulla responsabilità del componente all’interno
del raggruppamento stesso.
La quota di esecuzione è infine la parte di lavoro, servizio
o fornitura che verrà effettivamente realizzata nel caso di
affidamento.
Così definiti questi tre elementi, la sentenza esclude che
il requisito di qualificazione possa essere preso in
considerazione per il raggruppamento nel suo complesso,
dovendo necessariamente riguardare il singolo componente del
raggruppamento (si legge: “Né può ritenersi che il possesso
dei requisiti di qualificazione prescritti dalla legge di
gara potesse essere soddisfatto dal raggruppamento
complessivamente considerato, come sostiene parte
appellante, dovendo invece ciascuna impresa del
raggruppamento essere adeguatamente qualificata in relazione
alla specifica parte del servizio che assume: condizione
questa non soddisfatta per le due mandanti che, compilando
il modulo predisposto dalla Stazione appaltante, hanno
attestato di non essere qualificate per eseguire le parti di
servizio assunte.”).
Conclude la sentenza che questo non significa reintrodurre
surrettiziamente il principio della triplice corrispondenza,
ma soltanto rendere necessaria la corrispondenza tra la
quota di esecuzione e quella di qualificazione, in
applicazione del dettato normativo.
11.2. Sono riconducibili all’orientamento appena descritto
anche Cons. Stato, sez. V, 22.08.2016, n. 3666; sez. V,
22.02.2016, n. 786.
11.3. Un secondo orientamento invece ritiene non consentita
l’esclusione dell’operatore economico dalla procedura, in
presenza di tre condizioni: che lo scostamento tra il
requisito di qualificazione dichiarato e la quota di lavori
per la quale l’operatore si è impegnato non sia eccessivo;
che il raggruppamento nel suo complesso sia comunque in
possesso dei requisiti sufficienti a coprire l’intero
ammontare dell’appalto; che il raggruppamento abbia la forma
di raggruppamento orizzontale.
A sostegno della tesi della non esclusione del
raggruppamento, è stato addotto, prima di tutto, il
principio del favor partecipationis, che risulterebbe
frustrato dall’esclusione di un raggruppamento che, nel suo
complesso, possegga i requisiti di partecipazione (cfr.
Cons. St., sez. V, 08.11.2017, n. 5160).
A ciò è aggiunta la considerazione che una modesta rettifica
delle quote di partecipazione non è idonea a incidere
sull’affidabilità del raggruppamento, né è in grado di
modificare il regime della responsabilità dello stesso,
soprattutto nei casi di raggruppamento orizzontale, nel
quale la suddivisione delle quote attiene solo al profilo
quantitativo. In altre parole, nei raggruppamenti
orizzontali, per essere la responsabilità delle imprese
consociate è paritaria e solidale (come si ricava dall’art.
48 d.lgs. 18.04.2016, n. 50), non v’è rischio per la
stazione appaltante di ricevere una prestazione non adeguata
all’impegno assunto dall’aggiudicatario.
Non viene peraltro messo in discussione il principio della
par condicio o la serietà ed affidabilità dell’offerta, che
viene posta in linea con i requisiti di qualificazione
effettivi di ogni impresa riunita.
Del resto, la ripartizione delle quote nelle A.t.i.
orizzontali può essere la più varia, e pertanto non si vede
perché, atteso il possesso dei requisiti da parte dell’ATI
nel suo complesso, si debba vietare la modifica delle quote
di esecuzione (Cons. St., sez. V, 06.03.2017, n. 1041).
11.4. Si iscrive a questo orientamento anche la sentenza
Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2015 n. 1293.
12. Appare, dunque, al Collegio che i due orientamenti
richiamati accolgono una diversa concezione del requisito di
qualificazione.
Il primo orientamento lo ritiene “personale”, ossia riferito
alla singola impresa facente parte del raggruppamento; il
secondo orientamento invece lo ritiene riferibile al
raggruppamento nel suo complesso, con la conseguenza che non
costituisce motivo di esclusione il caso in cui il singolo
componente non possieda un requisito di qualificazione
sufficiente per l’esecuzione della propria quota di lavori,
se il raggruppamento nel suo complesso è “sovrabbondante”
rispetto al requisito richiesto dal bando.
12.1. È bene precisare che, in questo contesto, il
riferimento al concetto di raggruppamento sovrabbondante ha
un significato diverso rispetto a quello assunto in altre
pronunce di questo Consiglio di Stato (Cons. St., sez. V, 08.02.2017, n. 560).
In particolare, la giurisprudenza amministrativa ha
utilizzato tale espressione con riferimento ai
raggruppamenti nei quali ogni impresa componente possiede
autonomamente il requisito di partecipazione alla gara ma,
nonostante questo, decida di dar vita ad una forma
associativa per l’esecuzione dell’appalto.
Il Consiglio di Stato ha escluso che il carattere
“sovrabbondante” costituisca di per sé un motivo di
esclusione del raggruppamento, invitando il giudice a
verificare caso per caso se vi sia un intento elusivo della
disciplina della concorrenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29.12.2010, n. 9577).
Nel caso oggetto del presente giudizio invece, il termine
“sovrabbondante” va inteso come riferito solo al requisito
di qualificazione di una delle consociate, vale a dire nel
senso che quel requisito mancante, per essere posseduto da
altre imprese, in misura maggiore alla quota di esecuzione
da quest’ultima assunta, risulta essere per essa
sovrabbondante.
13. A seconda della soluzione che si intenda dare al
contrasto tra opposti orientamenti sottoposto all’Adunanza
plenaria, altra questione viene a porsi in via subordinata.
13.1. Qualora si consenta all’impresa, che ha assunto una
quota di lavori eccessiva rispetto al requisito di
qualificazione posseduto, la modifica in corso di procedura
(per essere nella fase successiva a quella di presentazione
delle offerte) della quota di esecuzione dei lavori, così da
impedire l’esclusione del raggruppamento, occorre definire
le condizioni in presenza delle quali detta modifica può
ammettersi.
Le sentenze richiamate nel secondo orientamento, infatti,
hanno posto la condizione che lo scostamento (tra quota di
esecuzione assunta e requisito di qualificazione posseduto)
sia minimo, al punto da poter qualificare lo stesso alla
stregua di un errore materiale (come sostenuto da Cons. St.,
sez. V, 06.03.2017, n. 1041).
Ove si voglia dar seguito a tale impostazione, sarà
necessario determinare la soglia, superata la quale, lo
scostamento non possa più essere considerato “minimo”.
13.2. Sempre nell’ipotesi in cui si sposi il secondo
orientamento che, mediante la modifica della quota di
esecuzione dichiarata, evita l’esclusione del
raggruppamento, è opportuno chiarire se la stazione
appaltante, che lo scostamento riconosca, debba ricorrere al
soccorso istruttorio (opzione esclusa da Cons. St., sez. V,
02.07.2018, n. 4036) per concedere al raggruppamento di
operare la modifica consentita, o possa farne a meno
procedendo direttamente alla valutazione dell’offerta, per
avere essa stessa –si potrebbe dire “d’ufficio”– accertato
che la riduzione della quota di esecuzione in capo ad una
delle imprese è compensata dal maggior requisito di
qualificazione posseduto da altro componente.
Il Consiglio di Stato, con riferimento al diverso caso in
cui la quota di qualificazione dichiarata era inferiore a
quella realmente posseduta ha affermato che “l’errata
specificazione delle quote di partecipazione non determina
di per sé l’esclusione dalla procedura selettiva, potendo al
più indurre l’amministrazione ad esercitare il potere di
soccorso istruttorio per l’acquisizione degli eventuali
chiarimenti, con l’ulteriore precisazione per cui laddove la
legge di gara preveda misure espulsive per le predette
ipotesi di irregolarità, queste, essendo in contrasto con il
principio di tassatività delle cause di esclusione sancito
dall’art. 46, comma 1-bis, c.c.p. sono da considerare nulle e
improduttive di effetti” (Cons. St., sez. V, 19.02.2018, n. 1026).
Se è vero che i principi delineati dal Consiglio di Stato
riguardano un caso diverso da quello in esame, essi
potrebbero considerarsi validi per tutti i casi di erronea
indicazione delle quote, anche a fronte di un diverso
requisito di qualificazione.
14. La questione posta con l’odierna ordinanza è decisiva ai
fini della risoluzione dell’odierna controversia.
14.1. E’ ammesso dallo stesso appellante che una delle
imprese componenti il raggruppamento, la Ad.Bi. s.p.a.
non era in possesso del requisito di qualificazione utile
all’esecuzione della quota di lavori assunta (per una quota
di € 4.144.000,00 aveva dichiarato il possesso della
classifica IVbis che consente l’esecuzione di lavori fino a
€ 3.500.000,00).
14.2. D’altra parte, però, è da dire che non è dal
raggruppamento data fornita alcuna ragionevole motivazione
per la quale lo scostamento tra requisiti di qualificazione
e quota di lavori da eseguire possa essere considerata quale
“errore materiale” nel quale è incorso l’operatore al
momento della compilazione dell’offerta.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), non definitivamente pronunciando sul ricorso in
epigrafe, ne dispone il deferimento all'adunanza plenaria
del Consiglio di Stato. |
APPALTI:
Alla domanda "se la speciale disciplina contenuta nell’art. 53 del D.Lgs.
n. 50/2016 (ed in particolare l’espresso richiamo
all’applicabilità delle regole in materia di diritto di
accesso “ordinario”) debba considerarsi come un caso di
esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi
dell’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013" la risposta è
affermativa, in base ad un duplice ordine di considerazioni.
Dal punto di vista testuale, l’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013 è inequivocabile nello stabilire che il
diritto di accesso civico generalizzato “…è escluso…” nei
casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente
al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti. E
non c’è dubbio che l’accesso agli atti delle procedure ad
evidenza pubblica sia soggetto al rispetto di particolari
condizioni e limiti.
In effetti, l’art. 53 del D.Lgs. n.
50/2016 detta espressamente una disciplina sull’accesso in
parte derogatoria rispetto alle ordinarie regole, prevedendo
però, a monte, che il diritto di accesso agli atti delle
procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti
pubblici è disciplinato dalle pertinenti norme della L. n.
241/1990.
Dal punto di vista della successione delle leggi nel tempo se è vero che alla data
dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti
pubblici l’accesso pubblico generalizzato non era stato
ancora introdotto nell’ordinamento, è altrettanto vero che è
lo stesso legislatore del D.Lgs. n. 97/2016 a regolamentare
l’ipotesi di discipline sottratte per voluntas legis, anche
se precedente all’introduzione del nuovo istituto, alla
possibilità di accesso generalizzato.
Dal punto di vista interpretativo, si rileva invece che gli
atti delle procedure di affidamento ed esecuzione di
contratti pubblici sono formati e depositati all’interno di
una disciplina del tutto speciale e a sé stante, che
costituisce un complesso chiuso nel cui ambito vengono
contemperati interessi di varia e contrapposta natura, di
talché risulta del tutto giustificata la scelta del
legislatore volta ad impedire a soggetti non qualificati la
possibilità indiscriminata di accesso alla documentazione di
gara e post-gara;
- tale documentazione -si sottolinea- da un lato è
soggetta a penetranti controlli pubblicistici da parte dell’ANAC
e dall’altro coinvolge interessi privati di natura economica
e imprenditoriale di per sé sensibili (e quindi
astrattamente riconducibili alla causa di esclusione di cui
al comma 2, lett. c), dell’art. 5-bis del D.Lgs. n.
33/2013);
- nulla esclude che il legislatore
possa in futuro compiere una scelta diversa, ma tale scelta,
proprio in ragione del quadro normativo dianzi esposto,
dovrà essere espressa ed inequivoca.
---------------
Si
ritiene di dover aggiungere che:
- il c.d. diritto di accesso civico –mutuato dal Freedom of
Information Act statunitense– è istituto che si aggiunge a
quelli da tempo previsti nel nostro ordinamento a tutela
della trasparenza dell’azione amministrativa;
- non va infatti dimenticato che già dal 1990 il nostro
legislatore ha disciplinato il diritto di accesso tout court
(e, per la verità, già dal 1985 era stato introdotto il
diritto di accesso agli atti degli enti locali) e che, anche
in applicazione di specifiche direttive comunitarie, sono
state introdotte ulteriori, seppure settoriali, disposizioni
tese ad incrementare il livello di trasparenza dell’azione
amministrativa (si pensi, ad esempio, al diritto di accesso
alle informazioni in materia ambientale o al diritto di
accesso dei consiglieri comunali, regionali, etc.).
Va poi
ulteriormente ricordato che per la gran parte dei
procedimenti amministrativi è ormai previsto il modulo della
conferenza dei servizi (nell’ambito della quale qualunque
soggetto interessato può presentare memorie e documenti e
richiedere ovviamente l’accesso agli atti della procedura) e
che, in generale, gli artt. 7 e ss. e 10-bis della L. n.
241/1990 impongono alla P.A. di non adottare provvedimenti
“a sorpresa”.
Da ultimo, il legislatore ha introdotto un
obbligo pressoché generalizzato di pubblicazione degli atti
amministrativi nella sezione “Amministrazione trasparente”
del sito informatico di ciascuna amministrazione;
- da tutto ciò consegue che, in disparte la specifica
materia delle pubbliche commesse (per cui valgono le
considerazioni espresse dal TAR Parma e a cui il Collegio
ritiene di aderire), nei casi non coperti dal compendio
normativo di cui si è cercato di operare una rapida
ricognizione debbono pur sempre sussistere le ragioni
fondative del diritto di accesso civico generalizzato
(ossia, come dispone l’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n.
33/2013 “… favorire forme diffuse di controllo sul
perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo
delle risorse pubbliche e … promuovere la partecipazione al
dibattito pubblico….”).
---------------
Va premesso che, ad onta di quanto risulta dall’epigrafe
del ricorso (in cui è richiamato solo l’art. 116 cod. proc.
amm.), in realtà parte ricorrente introduce due distinte
domande, la prima finalizzata a denunciare l’illegittimità
del silenzio serbato dal Comune sull’istanza di accesso, la
seconda finalizzata invece ad ottenere una sentenza di
accertamento (del diritto di accesso) e di condanna
(all’esibizione degli atti in questione).
Ciò non pone peraltro alcun problema di ordine processuale,
visto che i giudizi di cui, rispettivamente, agli artt. 31 e
117 cod. proc. amm. e 116 cod. proc. amm., seguono entrambi
il rito camerale e sono dunque parimenti soggetti alle
disposizioni dell’art. 87 del codice processuale
amministrativo.
5. Con riguardo al contenuto della presente sentenza va però
osservato che nella specie il rito sull’accesso “assorbe”
evidentemente anche quello sul silenzio, visto che nel
giudizio sull’accesso al giudice amministrativo viene
chiesto di pronunciarsi comunque sulla fondatezza della
pretesa sostanziale, id est sul riconoscimento o meno del
diritto di accesso.
In ogni caso, nella specie non si pone
alcun problema di eventuale sconfinamento dai limiti esterni
della giurisdizione o di violazione dell’art. 31, comma 3,
cod. proc. amm., in quanto, per stessa prospettazione di
parte ricorrente, nel caso di accesso civico generalizzato
l’amministrazione destinataria della richiesta non dispone
di alcun potere discrezionale circa l’accoglimento o meno
della domanda, avendo già il legislatore stabilito a monte
quali sono le categorie di documenti sottratti all’accesso
civico.
6. Ciò detto, il Tribunale ritiene che il ricorso non sia
meritevole di accoglimento, e questo, sostanzialmente, per
le medesime ragioni evidenziate dal TAR Parma nella suddetta
sentenza n. 197/2018.
Questi i passaggi principali del percorso argomentativo che
il Tribunale emiliano ha seguito per pervenire al rigetto
del ricorso:
- la documentazione richiesta dal ricorrente concerneva, per
una parte, i documenti di una gara di appalto già espletata
e dalla quale lo stesso ricorrente era stato escluso, per la
restante parte, una serie di dati inerenti ad aspetti
relativi all’esecuzione del rapporto contrattuale scaturito
da tale gara (rapporto anch’esso allo stato esaurito).
Tale
documentazione poteva pertanto essere ricompresa nella sua
globalità nel concetto più generale di “….atti delle
procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti
pubblici….” di cui al comma 1 dell’art. 53 del D.Lgs. n.
50/2016;
- l’art. 53 reca una disciplina speciale per l’accesso agli
atti afferenti alle procedure ad evidenza pubblica. La prima
regola stabilita da questa norma è quella per cui “….il
diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento
e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le
candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e
seguenti della legge 07.08.1990, n. 241…”;
- a sua volta, l’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013
stabilisce che “…il diritto di cui all'articolo 5, comma 2,
è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di
divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi
compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla
disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni,
modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24,
comma 1, della legge n. 241 del 1990…”. Tale disposizione
stabilisce i casi di “esclusione assoluta”, nei quali cioè è
lo stesso legislatore ad avere indicato i casi nel quali il
diritto di accesso civico generalizzato non può essere
azionato, per cui l’amministrazione che detiene i documenti
richiesti non conserva alcuna possibilità di comparazione
discrezionale degli interessi coinvolti;
- ci si deve quindi domandare –si osserva nella sentenza-
se la speciale disciplina contenuta nell’art. 53 del D.Lgs.
n. 50/2016 (ed in particolare l’espresso richiamo
all’applicabilità delle regole in materia di diritto di
accesso “ordinario”) debba considerarsi come un caso di
esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi
dell’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013;
- la risposta al quesito, secondo il TAR Parma, è
affermativa, in base ad un duplice ordine di considerazioni.
Dal punto di vista testuale, l’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013 è inequivocabile nello stabilire che il
diritto di accesso civico generalizzato “…è escluso…” nei
casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente
al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti. E
non c’è dubbio che l’accesso agli atti delle procedure ad
evidenza pubblica sia soggetto al rispetto di particolari
condizioni e limiti.
In effetti, l’art. 53 del D.Lgs. n.
50/2016 detta espressamente una disciplina sull’accesso in
parte derogatoria rispetto alle ordinarie regole, prevedendo
però, a monte, che il diritto di accesso agli atti delle
procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti
pubblici è disciplinato dalle pertinenti norme della L. n.
241/1990.
Dal punto di vista della successione delle leggi nel tempo –si rileva ancora nella sentenza- se è vero che alla data
dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti
pubblici l’accesso pubblico generalizzato non era stato
ancora introdotto nell’ordinamento, è altrettanto vero che è
lo stesso legislatore del D.Lgs. n. 97/2016 a regolamentare
l’ipotesi di discipline sottratte per voluntas legis, anche
se precedente all’introduzione del nuovo istituto, alla
possibilità di accesso generalizzato.
Dal punto di vista interpretativo, si rileva invece che gli
atti delle procedure di affidamento ed esecuzione di
contratti pubblici sono formati e depositati all’interno di
una disciplina del tutto speciale e a sé stante, che
costituisce un complesso chiuso nel cui ambito vengono
contemperati interessi di varia e contrapposta natura, di
talché risulta del tutto giustificata la scelta del
legislatore volta ad impedire a soggetti non qualificati la
possibilità indiscriminata di accesso alla documentazione di
gara e post-gara;
- tale documentazione -si sottolinea- da un lato è
soggetta a penetranti controlli pubblicistici da parte dell’ANAC
e dall’altro coinvolge interessi privati di natura economica
e imprenditoriale di per sé sensibili (e quindi
astrattamente riconducibili alla causa di esclusione di cui
al comma 2, lett. c), dell’art. 5-bis del D.Lgs. n.
33/2013);
- nulla esclude -conclude il TAR Parma- che il legislatore
possa in futuro compiere una scelta diversa, ma tale scelta,
proprio in ragione del quadro normativo dianzi esposto,
dovrà essere espressa ed inequivoca.
7. Rispetto a tali condivisibili argomenti, il Collegio
ritiene di dover aggiungere che:
- il c.d. diritto di accesso civico –mutuato dal Freedom of
Information Act statunitense– è istituto che si aggiunge a
quelli da tempo previsti nel nostro ordinamento a tutela
della trasparenza dell’azione amministrativa;
- non va infatti dimenticato che già dal 1990 il nostro
legislatore ha disciplinato il diritto di accesso tout court
(e, per la verità, già dal 1985 era stato introdotto il
diritto di accesso agli atti degli enti locali) e che, anche
in applicazione di specifiche direttive comunitarie, sono
state introdotte ulteriori, seppure settoriali, disposizioni
tese ad incrementare il livello di trasparenza dell’azione
amministrativa (si pensi, ad esempio, al diritto di accesso
alle informazioni in materia ambientale o al diritto di
accesso dei consiglieri comunali, regionali, etc.).
Va poi
ulteriormente ricordato che per la gran parte dei
procedimenti amministrativi è ormai previsto il modulo della
conferenza dei servizi (nell’ambito della quale qualunque
soggetto interessato può presentare memorie e documenti e
richiedere ovviamente l’accesso agli atti della procedura) e
che, in generale, gli artt. 7 e ss. e 10-bis della L. n.
241/1990 impongono alla P.A. di non adottare provvedimenti
“a sorpresa”.
Da ultimo, il legislatore ha introdotto un
obbligo pressoché generalizzato di pubblicazione degli atti
amministrativi nella sezione “Amministrazione trasparente”
del sito informatico di ciascuna amministrazione;
- da tutto ciò consegue che, in disparte la specifica
materia delle pubbliche commesse (per cui valgono le
considerazioni espresse dal TAR Parma e a cui il Collegio
ritiene di aderire), nei casi non coperti dal compendio
normativo di cui si è cercato di operare una rapida
ricognizione debbono pur sempre sussistere le ragioni
fondative del diritto di accesso civico generalizzato
(ossia, come dispone l’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n.
33/2013 “… favorire forme diffuse di controllo sul
perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo
delle risorse pubbliche e … promuovere la partecipazione al
dibattito pubblico….”).
8. Ora, con riguardo al caso di specie, risulta evidente che
l’istanza del Consorzio ricorrente sia stata proposta in
stretta correlazione con la nuova gara indetta dal Comune di
Porto Recanati e che sia finalizzata, non ad un controllo
sul perseguimento di funzioni istituzionali o sull'utilizzo
di risorse pubbliche, ma ad acquisire informazioni utili con
riguardo all’esecuzione del precedente appalto (per esempio,
al fine di verificare se la ditta controinteressata -che
quasi certamente parteciperà alla nuova selezione- abbia
commesso errori professionali gravi, tali da determinarne
l’esclusione dalla nuova procedura).
Va infatti rilevato che
il servizio in parola (come questo Tribunale ha ritenuto
nella sentenza n. 45/2018) presenta caratteristiche di
standardizzazione tali per cui sembra da escludere che la
domanda presentata dal Consorzio sia finalizzata a conoscere
quali soluzioni tecniche innovative la ditta controinteressata abbia offerto al fine di aggiudicarsi la
commessa (ma in questo caso potrebbero eventualmente
rilevare ragioni ostative inerenti la tutela del know-how
industriale).
Deve dunque ritenersi che il diritto alla visione ed
estrazione di copia della documentazione in parola possa
essere esercitato secondo la disciplina generale dettata dal
Capo V della legge n. 241 del 1990 (“Accesso ai documenti
amministrativi”) la quale richiede, tra l’altro,
l’indicazione dello specifico interesse che giustifica
l’istanza (art. 22, comma 1, lett. a e b).
9. Per tutte queste ragioni il ricorso va respinto (TAR
Marche,
sentenza 18.10.2018 n. 677 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare telematiche.
Domanda
Sono un funzionario del settore tecnico di un comune non capoluogo di
provincia e vorrei sapere se è confermato l’obbligo delle gare telematiche
per l’appalto di lavori pubblici a partire dal 18.10.2018.
Risposta
L’art. 40 del codice dei contratti rubricato “Obbligo di uso dei mezzi di
comunicazione elettronici nello svolgimento di procedure di aggiudicazione”
stabilisce: “1. Le comunicazioni e gli scambi di informazioni nell’ambito
delle procedure di cui al presente codice svolte da centrali di committenza
sono eseguiti utilizzando mezzi di comunicazione elettronici ai sensi
dell’articolo 5-bis del decreto legislativo 07.03.2005, n. 82, Codice
dell’amministrazione digitale.
2. A decorrere dal 18.10.2018, le comunicazioni e gli scambi di informazioni
nell’ambito delle procedure di cui al presente codice svolte dalle stazioni
appaltanti sono eseguiti utilizzando mezzi di comunicazione elettronici“.
L’obiettivo del legislatore nazionale e comunitario è quello di garantire la
segretezza e l’immodificabilità delle offerte nelle procedure di
affidamento, attraverso l’introduzione obbligatoria dei mezzi di
comunicazione elettronici, in particolare mediante l’utilizzo delle
piattaforme telematiche di negoziazione per tutti gli approvvigionamenti.
Pertanto, a decorrere dal 18.10.2018 il comune potrà procedere agli acquisti
di forniture e servizi sotto soglia comunitaria utilizzando il Mepa, oppure
–ad esempio in Lombardia e Veneto– la piattaforma telematica di negoziazione
denominata Sintel (di Arca Regione Lombardia resa disponibile anche per gli
enti del Veneto.)
Analogamente, per l’affidamento di lavori pubblici inferiori a 150.000 euro
nel caso di manutenzione straordinaria, ovvero inferiori ad 1.000.000 euro
nel caso di manutenzione ordinaria, l’ente potrà utilizzare il Mepa o la
piattaforma Sintel (17.10.2018 - tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI:
Decorrenza del termine per impugnare l’esclusione dalla gara.
---------------
Processo amministrativo – Rito appalti – Esclusioni –
Dies a quo – Dalla piena conoscenza – Quando si verifica –
Individuazione.
L’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. non
implica l’assoluta inapplicabilità del generale principio
sancito dagli artt. 41, comma 2 e 120, comma 5, ultima
parte, c.p.a., per cui, in difetto della formale
comunicazione dell’atto o in mancanza di pubblicazione di un
autonomo atto di esclusione sulla piattaforma telematica
della stazione appaltante il termine decorre, comunque, dal
momento dell’intervenuta piena conoscenza del provvedimento
da impugnare, conoscenza che per i provvedimenti di
esclusione è insita nella percezione della sua adozione da
parte dell’impresa esclusa, tanto più se acquisita
congiuntamente a quella delle relative ragioni determinanti
(1).
---------------
(1)
Sebbene il comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., inserito
dall’art. 204, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016,
nella disciplina del c.d. rito super-speciale previsto per
l’impugnazione degli atti di esclusione e di ammissione
(d)alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi
e forniture, faccia riferimento, ai fini della decorrenza
dell’ivi previsto termine d’impugnazione di trenta giorni,
esclusivamente alla pubblicazione del provvedimento di
ammissione o esclusione sul profilo telematico della
stazione appaltante ai sensi dell’art. 29, comma 1, d.lgs.
n. 50 del 2016, ciò non implica l’inapplicabilità del
generale principio sancito dall’art. 41, comma 2, c.p.a. e
riaffermato nel comma 5, ultima parte, dell’art. 120 c.p.a.,
per cui, in difetto della formale comunicazione dell’atto
-o, per quanto qui interessa, in difetto di pubblicazione
dell’atto di ammissione sulla piattaforma telematica della
stazione appaltante-, il termine decorre dal momento
dell’avvenuta conoscenza dell’atto stesso, purché siano
percepibili i profili che ne rendano evidente la lesività
per la sfera giuridica dell’interessato in rapporto al tipo
di rimedio apprestato dall’ordinamento processuale.
In altri termini, in difetto di un’espressa e univoca
correlativa espressa previsione legislativa a valenza
derogatoria e in assenza di un rapporto di incompatibilità,
deve escludersi che il comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a.
abbia apportato una deroga all’art. 41, comma 2, c.p.a. e al
principio generale della decorrenza del termine di
impugnazione dalla conoscenza completa dell’atto.
La piena conoscenza dell’atto di ammissione della
controinteressata, acquisita prima o in assenza della sua
pubblicazione sul profilo telematico della stazione
appaltante, può dunque provenire da qualsiasi fonte e
determina la decorrenza del termine decadenziale per la
proposizione del ricorso
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 15.10.2018 n. 1297 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
Rilevato, a tal riguardo, che:
- Il cd. rito super accelerato di cui all’art. 120, comma 2-bis, cod. proc. amm. -secondo la più recente giurisprudenza
amministrativa- non comporta l’inapplicabilità del generale
principio sancito dall’art. 41, comma 2, cod. proc. amm.
secondo cui il termine per l’impugnazione dei provvedimenti
amministrativi decorre in ogni caso dal momento
dell’avvenuta conoscenza degli stessi, purché siano
immediatamente percepibili i profili che ne rendano evidente
la lesività per la sfera giuridica dell’interessato.
Infatti, sul punto specifico Cons. Stato, Sez. VI,
13.12.2017, n. 5870 ha rimarcato: «… Sebbene il comma
2-bis dell’art. 120 cod. proc. amm., inserito dall’art. 204,
comma 1, lett. b), d.lgs. n. 50/2016 (a decorrere dal 19.04.2016, ai sensi di quanto disposto dall’art. 220 d.lgs. n. 50/2016),
nella disciplina del c.d. rito
super-speciale previsto per l’impugnazione degli atti di
esclusione e di ammissione (d)alle procedure di affidamento
di pubblici lavori, servizi e forniture, faccia riferimento,
ai fini della decorrenza dell’ivi previsto termine
d’impugnazione di trenta giorni, esclusivamente alla
pubblicazione del provvedimento di ammissione o esclusione
sul profilo telematico della stazione appaltante ai sensi
dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50/2016, ritiene il
Collegio che ciò non implichi l’inapplicabilità del generale
principio sancito dall’art. 41, comma 2, cod. proc. amm. e
riaffermato nel comma 5, ultima parte, dell’art. 120 cod.
proc. amm., per cui, in difetto della formale comunicazione
dell’atto -o, per quanto qui interessa, in difetto di
pubblicazione dell’atto di ammissione sulla piattaforma
telematica della stazione appaltante-, il termine decorre
dal momento dell’avvenuta conoscenza dell’atto stesso,
purché siano percepibili i profili che ne rendano evidente
la lesività per la sfera giuridica dell’interessato in
rapporto al tipo di rimedio apprestato dall’ordinamento
processuale.
In altri termini, in difetto di un’espressa e
univoca correlativa espressa previsione legislativa a
valenza derogatoria e in assenza di un rapporto di
incompatibilità, deve escludersi che il comma 2-bis
dell’art. 120 cod. proc. amm. abbia apportato una deroga
all’art. 41, comma 2, cod. proc. amm. e al principio
generale della decorrenza del termine di impugnazione dalla
conoscenza completa dell’atto. La piena conoscenza dell’atto
di ammissione della controinteressata, acquisita prima o in
assenza della sua pubblicazione sul profilo telematico della
stazione appaltante, può dunque provenire da qualsiasi fonte
e determina la decorrenza del termine decadenziale per la
proposizione del ricorso. …».
- La regola in esame è stata recentemente riaffermata dal
Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 17.09.2018,
n. 5434) proprio con riferimento ad una vicenda
sovrapponibile a quella per cui è causa, ove il ricorso era
stata proposto, come nel caso di specie, per l’impugnazione
di un provvedimento che si limitava a recepire e confermare
l’esclusione da una procedura di gara (rectius declaratoria
della “non accettabilità” dell’offerta) in realtà già
disposta dalla Commissione nell’ambito di seduta pubblica
ove era presente un rappresentante dell’impresa, il quale
era dunque pienamente a conoscenza delle ragioni poste a
fondamento del provvedimento di esclusione.
La fattispecie è stata decisa dal Consiglio di Stato con la
seguente motivazione: «… Rilevato infatti che alla seduta
della commissione del 30.03.2018, alla quale era presente un
rappresentante dell’impresa appellante, è stata data lettura
integrale dei precedenti verbali, compreso di quello del
15.02.2018, recante la motivata declaratoria della “non
accettabilità” delle offerte della medesima appellante, che
la stazione appaltante, con l’impugnata determina n. 584 del
26.04.2018, si è limitata a recepire e confermare;
Rilevato infatti che, come recentemente evidenziato da
questo giudice (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4180
del 09.07.2018), “la disposizione in parola (art. 120,
comma 2-bis, cod. proc. amm.: n.d.e.) non implica l’assoluta
inapplicabilità del generale principio sancito dagli artt.
41, comma 2 e 120, comma 5, ultima parte, del cod. proc.
amm., per cui, in difetto della formale comunicazione
dell’atto -o, per quanto qui interessa, in mancanza di
pubblicazione di un autonomo atto di ammissione sulla
piattaforma telematica della stazione appaltante- il
termine decorre, comunque, dal momento dell’intervenuta
piena conoscenza del provvedimento da impugnare, ma ciò a
patto che l’interessato sia in grado di percepire i profili
che ne rendano evidente la lesività per la propria sfera
giuridica in rapporto al tipo di rimedio apprestato
dall’ordinamento processuale. In altri termini, “la piena
conoscenza dell’atto di ammissione della controinteressata,
acquisita prima o in assenza della sua pubblicazione sul
profilo telematico della stazione appaltante, può dunque
provenire da qualsiasi fonte e determina la decorrenza del
termine decadenziale per la proposizione del ricorso” (Cons.
St. 5870 del 2017)”;
Evidenziato che, laddove si tratti -come nella specie-
della impugnazione di un provvedimento di esclusione, la
conoscenza dei relativi profili lesivi deve ritenersi insita
nella percezione della sua adozione da parte dell’impresa
esclusa, tanto più se acquisita congiuntamente a quella
delle relative ragioni determinanti;
Evidenziato conseguentemente che il ricorso introduttivo del
giudizio di primo grado, proposto dalla parte ricorrente
solo in data 25.05.2018, non può che essere considerato
tardivo, nella parte in cui si rivolge avverso il
provvedimento di esclusione, di fatto adottato dalla
commissione di gara in occasione della seduta del 15.02.2018
e portato a conoscenza dell’impresa appellante (per il
tramite del suo rappresentante) alla seduta del 30.03.2018 …».
È pur vero che questo Collegio con sentenza n. 340 del
05.04.2017 (citata nella memoria di parte ricorrente del
05.10.2018) ha evidenziato, con riferimento ad una
fattispecie in cui veniva in contestazione la differente
ipotesi della omessa tempestiva impugnazione di una
ammissione, che: «… Per tutto quanto rilevato, il
Collegio ritiene che, nel caso di specie, essendo mancata la
pubblicazione sul profilo del committente, soltanto dalla
data di invio della pec decorra il termine dei trenta giorni
previsto per l’impugnativa dell’unico provvedimento che ha
reso noto l’elenco delle ditte ammesse e di quella risultata
aggiudicataria.
In tal senso depone quanto da ultimo
ribadito dal Consiglio di Stato (sez. Cons. Sato, sez. III,
sent. 4994 del 25.11.2016, richiamata anche dal ricorrente e
riferita all’applicazione dell’art. 120, comma 6-bis, c.p.a,
introdotto dall’art. 204 D.Lgs. n. 50 del 2016, seppure con
riferimento al diverso profilo del regime temporale di
applicazione delle nuove regole processuali) ai sensi del
quale “in difetto del (contestuale) funzionamento delle
regole che assicurano la pubblicità e la comunicazione dei
provvedimenti di cui si introduce l’onere di immediata
impugnazione -che devono, perciò, intendersi legate da un
vincolo funzionale inscindibile- la relativa prescrizione
processuale si rivela del tutto inattuabile, per la mancanza
del presupposto logico della sua operatività e, cioè, la
predisposizione di un apparato regolativo che garantisca la
tempestiva informazione degli interessati circa il contenuto
del provvedimento da gravare nel ristretto termine di
decadenza ivi stabilito” e che i dubbi circa l’applicazione
delle nuove regole processuali debbono “essere risolti
preferendo l’opzione ermeneutica meno sfavorevole per
l’esercizio del diritto di difesa (e, quindi, maggiormente
conforme ai principi costituzionali espressi dagli artt. 24 e
113)”.
Tale orientamento, del resto, risulta conforme ai
principi più volte ribaditi in ambito comunitario (il
riferimento è alle più recenti sentenze della Corte di
Giustizia 26.11.2015, C-166/14 e 08.05.2014,
C-161/13 che evidenziano la violazione del principio di
effettività laddove la normativa nazionale obbliga alla
proposizione di determinati ricorsi senza consentire una
previa completa conoscenza degli atti). …».
Tuttavia, la fattispecie in esame -come si illustrerà di
qui a breve- si caratterizza per una immediata e piena
cognizione, da parte della impresa interessata, delle
ragioni della esclusione fin dalla data del 09.03.2018 quando
il delegato della Na. era presente nel corso della
seduta pubblica in cui si decideva l’esclusione della stessa
ditta.
Inoltre, quelle stesse ragioni di esclusione
confluiscono nel successivo provvedimento del 27.04.2018 ed
attorno ad esse (in particolare la carenza, in capo alla
società istante, del requisito di capacità tecnico-professionale di cui al punto III.1.3 del bando ed al par.
2.2.3 del disciplinare di gara) ruota l’intero impianto del
ricorso introduttivo notificato solo in data 28.05.2018.
Ne consegue che se il dies a quo di cui al combinato
disposto degli artt. 120, comma 2-bis cod. proc. amm. e 29,
comma 1, dlgs n. 50/2016 come novellato sul punto dal dlgs 19.04.2017, n. 56 (“Il termine per l’impugnativa di cui al
citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui
gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto
disponibili, corredati di motivazione”) ha una ratio garantista nel senso di affermare l’impugnabilità del
provvedimento sin dal momento in cui si può avere piena
conoscenza dei relativi vizi, nel caso di specie non è
possibile mettere in discussione che sin dalla data del
09.03.2018 il delegato dell’impresa e quindi l’impresa stessa
avessero piena consapevolezza dei vizi della esclusione
medesima.
Pertanto, non vi è giustificazione alcuna nella fattispecie
de qua per derogare ai principi generali sanciti dall’art.
41, comma 2, cod. proc. amm., se non a patto di consentire
alla impresa ricorrente una ingiustificata remissione in
termini rispetto al termine decadenziale per impugnare, a
fronte di un comportamento indubbiamente negligente della
stessa ditta e quindi non meritevole di tutela sul piano
giuridico.
Peraltro, sul punto specifico dell’onere di immediata
impugnazione del provvedimento di esclusione si può ritenere
che l’art. 120, comma 2-bis, primo periodo cod. proc. amm.
non abbia portata innovativa rispetto al precedente quadro
normativo, come interpretato dalla giurisprudenza
amministrativa dell’epoca, diversamente da quanto affermato
da questo Collegio con le ordinanze n. 903 del 20.06.2018 e
n. 1097 del 20.07.2018 con riferimento al “provvedimento di
ammissione”.
Infatti, in precedenza (i.e. in epoca antecedente
all’entrata in vigore del dlgs n. 50/2016 che ha introdotto
la previsione di cui al comma 2-bis, primo periodo dell’art.
120 cod. proc. amm.), la necessità della immediata
impugnazione di un atto endoprocedimentale era stata
affermata dal Consiglio di Stato con riguardo al
provvedimento di esclusione adottato dalla Commissione nel
corso di una seduta alla quale avesse partecipato un
rappresentante della concorrente esclusa (cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 23.02.2015, n. 856: “… Il termine decadenziale per
impugnare gli atti delle procedure di affidamento di appalti
pubblici, ed in particolare l’aggiudicazione definitiva in
favore di terzi, decorre dalla conoscenza di quest’ultima
comunque acquisita dall’impresa partecipante alla gara (da
ultimo: Sez. IV, 20.01.2015, n. 143 e Sez. III, 07.01.2015, n. 25; in precedenza: Ad. plen. 31.07.2012, n. 31). A questo principio di diritto, ripetutamente
affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, fa
unica eccezione il caso in cui sia impugnato il
provvedimento di esclusione dalla gara adottato dalla
commissione nel corso della stessa ed in una seduta alla
quale abbia partecipato un rappresentante della concorrente
esclusa. Trattandosi infatti di determinazione
immediatamente lesiva, malgrado il suo carattere endoprocedimentale, la giurisprudenza fissa la decorrenza
del termine decadenziale ex art. 29 cod. proc. amm. in tale
momento (in questi termini: Sez. III, 22.08.2012, n.
4593; Sez. IV, 17.02.2014, n. 740; Sez. V, 22.12.2014, n. 6264, 14.05.2013, n. 2614; Sez. VI, 13.12.2011, n. 6531). …”).
Quindi, la regola applicabile nel caso concreto all’esame di
questo Giudice non costituisce reale deviazione rispetto
alla giurisprudenza, in precedenza formatasi, del Consiglio
di Stato (Cons. Stato, Sez. III, sent. 4994 del 25.11.2016)
e di questo TAR (sent. n. 340/2017) in ordine alla
generale affermazione della operatività del dies a quo
ex
art. 120, comma 2-bis, cod. proc. amm. unicamente se è attivo
il meccanismo di pubblicazione (dell’elenco di ammessi ed
esclusi) sul sito internet della stazione appaltante.
Invero, la giurisprudenza amministrativa menzionata (Cons.
Stato, Sez. III, 25.11.2016, n. 4994 e TAR Puglia, Bari, Sez. III,
05.04.2017, n. 340) è comunque temporalmente
antecedente rispetto al correttivo al codice dei contratti
pubblici di cui al decreto legislativo n. 57 del 19.04.2017 in forza del quale (cfr. novellato art. 29, comma 1, dlgs n. 50/2016) il
dies a quo per impugnare il
provvedimento di ammissione/esclusione ai sensi dell’art.
120, comma 2-bis, cod. proc. amm. non è più dato puramente e
semplicemente dalla pubblicazione sul profilo internet del
committente dei suddetti provvedimenti, bensì è costituito
dal momento (posticipato rispetto al primo) in cui gli atti
di cui al secondo periodo del citato art. 29, comma 1 (i.e.
documentazione attestante l’assenza dei motivi di esclusione
di cui all’art. 80 dlgs n. 50/2016, nonché la sussistenza
dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali)
sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione.
È quindi evidente -come rilevato in precedenza- che la
ratio garantista della nuova formulazione del citato art.
29, comma 1, dlgs n. 50/2016 (rectius dies a quo per impugnare
decorrente dalla piena conoscenza o conoscibilità dei vizi
dell’atto) si rinviene parimenti nella affermazione della
permanente validità del tradizionale orientamento che onera
l’impresa concorrente dall’impugnare immediatamente il
verbale di esclusione se reso nel corso di una seduta
pubblica ove era presente il delegato di detta impresa, come
appunto accaduto nella vicenda per cui è causa.
- Dunque, i suesposti principi possono -come anticipato-
trovare applicazione nel caso di specie. |
APPALTI:
PROCESSO AMMINISTRATIVO - Responsabilità precontrattuale del
privato - Violazione degli obblighi di buona fede e
correttezza - Domanda risarcitoria della P.A. -
Giurisdizione del giudice ordinario.
L’attrazione della tutela risarcitoria
dinanzi al giudice amministrativo può verificarsi soltanto
qualora il danno patito dal soggetto che agisce nei
confronti della pubblica amministrazione sia conseguenza
immediata e diretta della dedotta illegittimità del
provvedimento che ha impugnato
(cfr. Cass. civ. S.U. ordinanze nn. 17586 del 04.09.2015,
12799 del 22.05.2017, 1654 del 23.01.2018, Cass. civ. sez. I
n. 25644 del 27.10.2017 e Cass. sez. Lavoro n. 2327 del
05.02.2016).
In relazione a fattispecie vertenti su una
domanda risarcitoria avanzata dall’Amministrazione nei
confronti di un privato a titolo di responsabilità
precontrattuale, imperniata sulla violazione di obblighi di
buona fede e correttezza e sull’assenza di un provvedimento
da caducare, la Suprema Corte ha affermato l’attrazione
nella giurisdizione dell’A.G.O.
(cfr. Sez. un., 04.07.2017, n. 16419).
In senso analogo si è espressa anche la
giurisprudenza amministrativa, sul presupposto che la
giurisdizione amministrativa esclusiva trova il suo limite e
la sua giustificazione nelle situazioni connotate
dall’esercizio di un potere pubblicistico nelle quali
l’intreccio tra interessi legittimi e diritti soggettivi
rende difficile individuare di volta in volta il plesso
giurisdizionale competente, sicché ove l’Amministrazione si
reclama danneggiata da un comportamento attuato da privati,
senza alcuna inerenza ad un potere pubblico deve essere
declinata la giurisdizione a favore del giudice ordinario
(cfr. TAR Toscana, I Sezione, sentenza 12/05/2011, n. 818) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 12.10.2018 n. 2267 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Responsabilità precontrattuale dell’offerente e
giurisdizione giudice ordinario.
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Giurisdizione - Risarcimento danni – Responsabilità
precontrattuale – Dell’offerente che ha coinvolto la
stazione appaltante in trattative inutili – Giurisdizione
giudice ordinario.
La domanda risarcitoria proposta in
via riconvenzionale dall’Amministrazione, facendo valere la
responsabilità precontrattuale del privato per i danni da
essa sofferti in conseguenza del coinvolgimento in
trattative rivelatesi inutili -avendo partecipato ad una
gara senza verificare, alla stregua di elementi che dovevano
già essere conosciuti o conoscibili, la propria possibilità
di impegnarsi contrattualmente- si colloca al di fuori della
giurisdizione del giudice adito, rientrando in quella del
giudice ordinario (1).
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(1)
Ha chiarito il Tar che l’attrazione della tutela
risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo può
verificarsi soltanto qualora il danno patito dal soggetto
che agisce nei confronti della pubblica amministrazione sia
conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità
del provvedimento che ha impugnato (Cass. civ., S.U., ordd.
nn. 17586 del 04.09.2015, 12799 del 22.05.2017, 1654
del 23.01.2018).
Con la recente ordinanza delle Sezioni unite civili del
24.09.2018, n. 22435, poi, la Suprema Corte ha ribadito che
“si è al di fuori della giurisdizione amministrativa se
viene in rilievo una fattispecie complessa in cui
l’emanazione di un provvedimento favorevole, che venga
successivamente annullato in quanto illegittimo, si
configura solo come uno dei presupposti dell’azione
risarcitoria che si fonda altresì sulla capacità del
provvedimento di determinare l’affidamento dell’interessato
e la lesione del suo patrimonio che consegue a tale
affidamento e alla sopravvenuta caducazione del
provvedimento favorevole”.
Di particolare rilievo è l’ulteriore osservazione, svolta
nell’ordinanza n. 22435, a proposito delle materie
attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A., rispetto
alle quali si afferma che “permane la linea di discrimine
fra azioni risarcitorie dipendenti dall’illegittimità
dell’atto e azioni risarcitorie dipendenti dall’affidamento
derivato dal comportamento della pubblica amministrazione,
rimanendo privo di rilievo che tale comportamento sia più o
meno direttamente connesso all’esercizio dell’attività
appartenente al settore di competenza esclusiva. Nel secondo
caso il soggetto leso denuncia non già la lesione del suo
interesse legittimo pretensivo bensì quella della sua
integrità patrimoniale derivata dall’affidamento incolpevole
sulla legittimità dell’attribuzione favorevole poi caducata.
Viene quindi in rilievo in questa ipotesi non solo la
situazione lesa, che peraltro è riferibile a un diritto
soggettivo e non a un interesse legittimo, ma anche la
natura stessa del comportamento lesivo che non consiste
tanto ed esclusivamente nella illegittimità dell’agire della
p.a. ma piuttosto nella violazione del principio generale
del neminem laedere”.
Anche in precedenza, in relazione a fattispecie vertenti,
come quella in esame, su una domanda risarcitoria avanzata
dall’Amministrazione nei confronti di un privato a titolo di
responsabilità precontrattuale, imperniata sulla violazione
di obblighi di buona fede e correttezza e sull’assenza di un
provvedimento da caducare, la Suprema Corte ne aveva
affermato l’attrazione nella giurisdizione dell’A.G.O.
(Cass. civ., S.U., 04.07.2017, n. 16419).
In senso analogo, del resto, si è espressa anche la
giurisprudenza amministrativa, sul presupposto che la
giurisdizione amministrativa esclusiva, come chiarito dalla
Corte Costituzionale nella sentenza n. 204/2004, trova “il
suo limite e la sua giustificazione nelle situazioni
connotate dall’esercizio di un potere pubblicistico nelle
quali l’intreccio tra interessi legittimi e diritti
soggettivi rende difficile individuare di volta in volta il
plesso giurisdizionale competente”, sicché ove
l’Amministrazione “si reclama danneggiata da un
comportamento attuato da privati, senza alcuna inerenza ad
un potere pubblico” deve essere declinata la giurisdizione a
favore del giudice ordinario (Tar Toscana, sez. I,
12.05.2011, n. 818)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 12.10.2018 n. 2267 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
9) Sempre in via preliminare, si rende necessario, per
la soluzione della controversia in esame, qualificare il
titolo di responsabilità invocato da parte ricorrente.
9.1) A tale scopo,
il Collegio rammenta che la
giurisprudenza, sia civile che amministrativa, ha in più
occasioni affermato come, anche nello svolgimento
dell’attività autoritativa, l’amministrazione sia tenuta a
rispettare, non soltanto, le norme di diritto pubblico (la
cui violazione implica, di regola, l’invalidità del
provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento
per lesione dell’interesse legittimo), ma, anche le norme
generali dell’ordinamento civile, che impongono di agire con
lealtà e correttezza; la violazione di queste ultime,
quindi, può far nascere una responsabilità da comportamento
scorretto, che incide non sull’interesse legittimo ma sul
diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei
rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le
proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime
frutto dell’altrui scorrettezza (cfr., fra le altre, Cons.
Stato, sez. VI, 06.02.2013, n. 633; id., sez. IV, 06.03.2015, n. 1142; id., Ad. plen.,
05.09.2005, n. 6;
Cass. civ., Sez. un., 12.05.2008, n. 11656; Cass. civ.,
sez. I, 12.05.2015, n. 9636; Cass. civ., sez. I, 03.07.2014, n. 15250).
Recentemente, anche il Consiglio di Stato, in Adunanza
Plenaria, ha ribadito che: “Le regole di diritto pubblico
hanno ad oggetto il provvedimento (l’esercizio diretto ed
immediato del potere) e la loro violazione determina, di
regola, l’invalidità del provvedimento adottato. Al
contrario, la regole di diritto privato hanno ad oggetto il
comportamento (collegato in via indiretta e mediata
all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla
stazione appaltante nel corso della gara. La loro violazione
non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a
responsabilità. Non diversamente da quanto accade nei
rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di
correttezza e buona fede non sono regole di validità (del
provvedimento), ma regole di responsabilità (per il
comportamento complessivamente tenuto)” (così, sentenza
04/05/2018, n. 5).
9.2) Ebbene, applicando le suesposte coordinate ermeneutiche
al caso di specie, è agevole ricavare come l’esponente
alleghi e argomenti, in concreto, una responsabilità
dell’intimato Comune da provvedimento illegittimo, la
revoca, che, tuttavia, non ha impugnato, provocandone così
la inoppugnabilità.
9.3) In siffatte evenienze, reputa il Collegio che, pur non
essendovi preclusioni in rito in ordine all’ammissibilità
dell’azione risarcitoria per lesione dell’interesse
legittimo non accompagnata dall’impugnazione del
provvedimento asseritamente causativo dei danni, nondimeno,
occorre fare applicazione dell’art. 30, co. 3 c.p.a., a
tenore del quale “Nel determinare il risarcimento il giudice
valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento
complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento
dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria
diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di
tutela previsti”.
La disposizione, pur | |