dossier APPALTI
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per
approfondimenti vedi anche:
A.N.AC. (già Autorità Vigilanza Contratti Pubblici)
<--->
Partenariato Pubblico Privato - MEF/RGS
* * *
A.N.AC. (massimario
dell'Autorità) - A.N.AC. (massimario
di giurisprudenza) |
anno 2023 |
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settembre 2023 |
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APPALTI SERVIZI:
In relazione ad una procedura non avente finalità lucrative
è ammissibile tra organizzazioni di volontariato un
contratto di avvalimento con corrispettivo ridotto.
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CONTRATTI pubblici e obbligazioni della pubblica
amministrazione - Organizzazione volontariato - Avvalimento
- Contratto - Corrispettivo inferiore a quello di mercato -
Ammissibilità.
Ove il contratto di avvalimento
intercorra tra organizzazioni di volontariato e ai fini
della partecipazione a una procedura per l’affidamento di
una convenzione estranea a finalità lucrative, le finalità
solidaristiche che animano le parti del rapporto non possono
non avere ricadute sulla determinazione del corrispettivo
contrattuale, giustificandosi così una determinazione del
corrispettivo del contratto di avvalimento in misura
apparentemente inferiore rispetto a quella normalmente
praticabile nell’ambito di un rapporto di tipo strettamente
commerciale, che pertanto non può costituire utile parametro
di riferimento per la verifica della adeguatezza del
corrispettivo e della affidabilità della relazione tra
ausiliaria e ausiliata ai fini della corretta esecuzione del
contratto (TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 19.09.2023 n. 2014 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2023 |
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APPALTI:
Sull’integrazione del bando di gara e sui limiti del
soccorso istruttorio anche alla luce nel nuovo codice.
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Contratti pubblici e obbligazioni della pubblica
amministrazione -Appalto di servizi – Bando –
Eterointegrazione - Ammissibilità.
L’eterointegrazione del bando
–ancorché si risolva, in effetto, nella prefigurazione più
ampia e comprensiva (in senso qualitativo o quantitativo)
dei requisiti di accesso alla procedura di gara, rispetto al
canone di (determinatezza e) autosufficienza della relativa
legge speciale– non collide con il principio di (rigorosa)
tassatività delle cause di esclusione (che è, di per sé,
corollario dell’onere di puntuale ed esaustiva
prefigurazione delle condizioni concorrenziali), proprio
perché si tratta di condizioni necessarie (in ragione della
attitudine non derogabile della legge) ed implicite (e, come
tali, suscettibili di essere colmate, nei sensi chiariti, in
via di diretta applicazione della legge generale) (1).
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Contratti pubblici e obbligazioni della pubblica
amministrazione -Appalto di servizi –Soccorso istruttorio -
Limiti.
Deve tenersi per ferma la non
soccorribilità (sia in funzione integrativa, sia in funzione
sanante) degli elementi integranti, anche documentalmente,
il contenuto dell’offerta (tecnica od economica): ciò che si
porrebbe in contrasto con il superiore principio di parità
dei concorrenti. Restano, per contro, ampiamente sanabili le
carenze (per omissione e/o per irregolarità) della
documentazione c.d. amministrativa.
In altri termini, si possono emendare le carenze o le
irregolarità che attengano alla (allegazione) dei requisiti
di ordine generale (in quanto soggettivamente all’operatore
economico in quanto tale), non quelle inerenti ai requisiti
di ordine speciale (in quanto atte a strutturare i termini
dell’offerta, con riguardo alla capacità economica, tecnica
e professionale richiesta per l’esecuzione delle prestazioni
messe a gara) (2).
Il Consiglio di Stato coglie l’occasione per offrire un
inquadramento generale dell’istituto del soccorso
istruttorio, anche alla luce del nuovo codice, evidenziando,
in primis, che l’istituto del soccorso istruttorio
obbedisce, per vocazione generale (art. 6 l. n. 241/1990),
ad una fondamentale direttiva antiformalistica che guida
l’azione dei soggetti pubblici ed equiparati.
Con riguardo alle procedure di evidenza pubblica, esso si fa
carico di evitare, nei limiti del possibile, che le rigorose
formalità che accompagnano la partecipazione alla gara si
risolvano –laddove sia garantita la paritaria posizione dei
concorrenti– in disutile pregiudizio per la sostanza e la
qualità delle proposte negoziali in competizione e, in
definitiva, del risultato dell’attività amministrativa.
In tale prospettiva, la regola –che traduce operativamente
un canone di leale cooperazione e di reciproco affidamento
tra le stazioni appaltanti o gli enti concedenti e gli
operatori economici (art. 1, comma 2-bis, l. n. 241/1990)–
ha visto riconosciuta (ed accresciuta) la sua centralità nel
nuovo codice dei contratti pubblici: il quale, per un verso,
vi dedica (a differenza del codice previgente, una autonoma
e più articolata disposizione (art. 101) e, per altro verso,
ne amplifica l’ambito, la portata e le funzioni, superando,
altresì, talune incertezze diffusamente maturate nella
prassi operativa.
Il Consiglio di Stato precisa che, quand’anche si intenda
dilatarne al massimo la portata (in certo modo filtrando
–con non abusiva operazione esegetica, ben fondata su un
ragionevole canone di ordine teleologico– l’interpretazione
dell’art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50/2016 con la più
ariosa prospettiva dischiusa, in termini solo parzialmente
innovativi, dall’art. 101 del d.lgs. n. 36/2023), si dovrà,
in ogni caso, puntualizzare, sotto un profilo funzionale, la
necessaria distinzione tra:
a) soccorso integrativo o completivo (comma 1, lettera a) dell’art.
101 d.lgs. n. 36 cit., non difforme dall’art. 83, comma 9),
che mira, in termini essenzialmente quantitativi, al
recupero di carenze della c.d. documentazione amministrativa
necessaria alla partecipazione alla gara (con esplicita
esclusione, quindi, della documentazione inerente l’offerta,
sia sotto il profilo tecnico che sotto il profilo
economico), sempre che non si tratti di documenti bensì non
allegati, ma acquisibili direttamente dalla stazione
appaltante (in prospettiva, tramite accesso al fascicolo
virtuale dell’operatore economico);
b) soccorso sanante (comma 1 lettera b), anche qui non difforme
dall’art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50), che consente, in
termini qualitativi, di rimediare ad omissioni, inesattezze
od irregolarità della documentazione amministrativa (con il
limite della irrecuperabilità di documentazione di incerta
imputazione soggettiva, che varrebbe a rimettere in gioco
domande inammissibili);
c) soccorso istruttorio in senso stretto (comma 3), che
–recuperando gli spazi già progressivamente riconosciuti
dalla giurisprudenza alle forme di soccorso c.d.
procedimentale– abilita la stazione appaltante (o l’ente
concedente) a sollecitare chiarimenti o spiegazioni sui
contenuti dell'offerta tecnica e/o dell'offerta economica,
finalizzati a consentirne l’esatta acquisizione e a
ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante,
superandone le eventuali ambiguità, a condizione di
pervenire ad esiti certi circa la portata dell’impegno
negoziale assunto, e fermo in ogni caso il divieto
(strettamente correlato allo stringente vincolo della par
condicio) di apportarvi qualunque modifica;
d) soccorso correttivo (comma 4): che, in realtà, a differenza
delle altre ipotesi –rispetto alle quali si atteggia,
peraltro, a fattispecie di nuovo conio, come tale
insuscettibile, almeno in principio, di applicazione
retroattiva– prescinde dall’iniziativa e dall’impulso della
stazione appaltante o dell’ente concedente (sicché non si
tratta, a rigore, di soccorso in senso stretto), abilitando
direttamente il concorrente, fino al giorno di apertura
delle offerte, alla rettifica di errori che ne inficino
materialmente il contenuto, fermo il duplice limite formale
del rispetto dell’anonimato e sostanziale della
immodificabilità contenutistica.
Sotto un profilo operativo, il soccorso procede (con la
evidenziata e non rilevante peculiarità del soccorso
correttivo, che è oggi riconosciuto ex lege) da una
(doverosa, trattandosi al solito di potere-dovere)
assegnazione di un termine (ora positivamente prefigurato in
misura non inferiore a cinque e non superiore a dieci
giorni) entro il quale l’operatore economico può integrare o
sanare (a pena di esclusione: comma 4 dell’art. 101) la
documentazione amministrativa ovvero (ma in tal caso, è il
caso di soggiungere, senza automatismi espulsivi) chiarire
ed illustrare, nei termini (e nei limiti) della specifica
richiesta, il tenore della propria offerta.
La norma si cura di precisare (offrendo, con ciò, espressa
soluzione positiva a talune ipotesi già oggetto di
controverso intendimento) che sono soccorribili (purché, in
tal caso, documentabili con atti di data certa, anteriore al
termine di presentazione delle offerte: il che conferma che
si deve trattare di una omissione meramente formale e non di
una originaria carenza sostanziale):
a) la mancata presentazione della garanzia provvisoria;
b) l’omessa allegazione del contratto di avvalimento;
c) la carenza dell'impegno al conferimento, per i concorrenti
partecipanti in forma di raggruppamento costituendo, del
mandato collettivo speciale.
In definitiva, appare evidente, sotto il profilo della
prefigurazione di una direttiva esegetica tendenzialmente
non restrittiva, il programmatico ampliamento dell’ambito
del soccorso, fino al segno di marcare un possibile
conflitto con il canone di autoresponsabilità (che in
generale sollecita gli operatori economici, in virtù della
postulata qualificazione professionale e del correlativo
dovere di diligenza, al pieno e puntuale rispetto delle
formalità procedimentali, evitando gli aggravi imposti dalla
rimessione in termini: per i quali ben potrebbe
prospettarsi, anche alla luce del criterio di buona fede, un
forma di immeritevole abuso).
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(1) Precedenti conformi: in generale, sull’eterointegrazione del
bando di gara, Cons. Stato, Ad. plen., 30.01.2014, n. 7;
Cons. Stato, Ad. plen., 20.05.2013, n. 14 e, tra le tante,
Tar per l’Abruzzo, Pescara, sez. I, 30.01.2020, n. 41.
Precedenti difformi: non risultano
precedenti difformi.
(2) Precedenti conformi: in generale, sulla non soccorribilità
delle carenze dell’offerta, Cons. Stato, Ad. Plen.
25.02.2014, n. 9 e, tra le tante, Cons. Stato, sez. V,
13.02.2019, n. 1030. Sulla ammissibilità della richiesta di
chiarimenti finalizzati a consentire l’interpretazione delle
offerte e ricercare l’effettiva volontà dell’impresa
partecipante alla gara, superando le eventuali ambiguità,
fermo il divieto di integrazione dell’offerta, Cons. Stato,
sez. V, 27.01.2020, n. 680.
Precedenti difformi: alcune sentenze,
richiamando la sentenza Corte di Giustizia UE, sez. VIII,
11.05.2017, C-131/2016 Archus, precisano che non è in
contrasto con il principio della par condicio tra i
concorrenti la richiesta di correzione o completamento
dell’offerta su singoli punti, qualora l’offerta necessiti
in modo evidente di un chiarimento o qualora si tratti di
correggere errori materiali manifesti, fatto salvo il
rispetto di alcuni requisiti: Cons. Stato, sez. V,
08.03.2022, n. 1663; Cons. Stato, sez. V, 27.03.2020, n.
2146. In relazione allo specifico caso in esame, avente ad
oggetto la produzione del certificato di equipollenza dei
titoli di studio, pur muovendo da analoghe premesse in
ordine alla necessità della certificazione di che trattasi,
hanno ritenuto che la stazione appaltante avrebbe potuto (e
allora: dovuto) dare seguito all’iter di soccorso
istruttorio, eventualmente sollecitando la produzione del
certificato di equipollenza (o alla valorizzazione di
risorsa alternativa), C.g.a., sez. giur., 02.01.2023, n. 4 e
C.g.a., sez. giur., 06.03.2023, n. 174, le quali, tuttavia,
giungono a tale conclusione, partendo dal presupposto che il
curriculum vitae non fosse, come tale, qualificabile come
“requisito di partecipazione”, ma come “mezzo a comprova del
requisito di partecipazione”, ritenendo pertanto che non
concretasse, per tale vita, “componente dell’offerta tecnica
o economica” ed essendo semmai da includere tra la
“documentazione amministrativa”, sicché la sua sostituzione,
in ragione dell’anonimato, non sarebbe stata idonea a
comportare una “modificazione soggettiva” dell’offerta (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 21.08.2023 n. 7870 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2023 |
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APPALTI: Le
varianti migliorative condizionate all'ok della Pa non sono causa di
esclusione.
E la commissione giudicatrice può attribuire un punteggio in sede di
valutazione dell'offerta tecnica, afferma il Consiglio di Stato.
Le
varianti migliorative presentate in sede di offerta la cui fattibilità è
condizionata all'autorizzazione di enti o amministrazioni pubbliche ovvero
coinvolge aree di proprietà di soggetti privati non comportano l'esclusione
dalla gara dell'offerente che le abbia proposte. Tali varianti migliorative
possono quindi essere legittimamente oggetto di attribuzione di un
punteggio in sede di valutazione dell'offerta tecnica.
La loro concreta
fattibilità attiene infatti alla fase esecutiva dell'appalto, cosicché
l'eventuale
mancata realizzazione delle indicate condizioni deve essere valutata ai fini
dell'inadempimento contrattuale, rispetto al quale operano gli ordinari
strumenti civilistici di tutela. Ne consegue che la verifica in ordine alla
fattibilità delle varianti proposte non può trovare ingresso nella
precedente
fase di valutazione delle offerte in sede di gara.
Si è espresso in questi
termini il Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.07.2023 n. 6644, le cui
affermazioni
vanno analizzate anche alla luce delle novità introdotte dal D.lgs. 36/2023
in
tema di varianti migliorative in sede di offerta.
Il fatto
Un ente
appaltante
aveva bandito una procedura aperta per l'affidamento dell'esecuzione dei
lavori di messa in sicurezza di alcune infrastrutture. L'aggiudicazione
disposta agli esiti della gara veniva impugnata
da un altro concorrente partecipante alla procedura. Il Tar Campania
respingeva il ricorso, ma la pronuncia del primo
giudice veniva appellata davanti al Consiglio di Stato.
In sede di appello
il ricorrente riproponeva il medesimo unico
motivo già sottoposto e respinto al giudice di primo grado. Tale motivo si
fondava sulla ritenuta illegittimità
dell'operato della commissione giudicatrice che aveva attribuito il
punteggio massimo, nell'ambito dell'offerta
tecnica, in relazione alle varianti migliorative presentate
dall'aggiudicatario.
L'illegittimità derivava dal fatto che tali
varianti non erano attuabili o per la necessaria autorizzazione di enti o
amministrazioni pubbliche o perché ricadenti
su aree di proprietà privata.
Il Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha
respinto l'appello.
Ha infatti ritenuto corrette
le argomentazioni del giudice di primo grado che aveva ritenuto che fossero
attinenti esclusivamente alla fase
esecutiva le problematiche relative al conseguimento delle autorizzazioni,
pareri e nulla osta necessari per la
realizzazione delle varianti migliorative proposte. Così come ha considerato
altresì irrilevante in sede di valutazione
dell'offerta il fatto che alcune aree su cui sviluppare gli interventi
oggetto delle varianti fossero di proprietà di
soggetti privati.
Ricorda infatti il Consiglio di Stato che per
giurisprudenza consolidata l'offerta che contenga varianti
migliorative che comportano la realizzazione di interventi che insistono su
aree di altre amministrazioni o di soggetti
privati o che comunque necessitano di atti autorizzativi di altri enti
pubblici non può mai essere esclusa dalla gara.
Si
tratta infatti di elementi che attengono alla fase esecutiva del rapporto,
che come tali possono essere valutati solo
in caso di inadempimento dell'aggiudicatario nell'ipotesi in cui, chiamato a
realizzare gli interventi oggetto di varianti, non riesca a ottenere le
necessarie autorizzazioni o la disponibilità delle relative aree.
L'immediata conseguenza di queste affermazioni è
che l'offerta che contenga varianti migliorative la cui effettiva
realizzazione è subordinata alle circostanze indicate
non può essere considerata un'offerta condizionata, come tale inammissibile
e soggetta ad esclusione in sede di
gara.
Ciò in quanto non si tratta di condizioni in senso proprio che vengono
in considerazione in sede di valutazione
dell'offerta, bensì di circostanze da apprezzare in fase esecutiva che,
qualora non si verifichino, rendono
l'aggiudicatario inadempiente, con la conseguente possibilità per l'ente
appaltante di attivare gli ordinari strumenti di
tutela a fronte dell'inadempimento di obbligazioni contrattuali assunte
dall'appaltatore.
L'insieme di queste
considerazioni porta il giudice amministrativo d'appello a concludere che
non solo l'offerta recante le varianti
migliorative con le caratteristiche sopra rappresentate non può essere
esclusa, ma che del tutto legittimamente la
commissione giudicatrice ha considerato tali varianti in sede di valutazione
dell'offerta tecnica del concorrente,
attribuendogli il punteggio ritenuto congruo.
Il nuovo Codice
La disciplina
delle varianti migliorative che i concorrenti
possono presentare in sede di offerta riceve una rivisitazione significativa
nel D.lgs. 36/2023.
Nel D.lgs. 50/2016 -normativa in vigore in relazione alla fattispecie oggetto della pronuncia in
commento- era previsto che gli enti
appaltanti potessero autorizzare la presentazione di varianti da parte dei
concorrenti e in questo caso dovevano
indicare nei documenti di gara i requisiti minimi che tali varianti dovevano
avere per essere prese in considerazione
nonché le modalità per la loro presentazione (articolo 95, comma 14).
Al
riguardo si era sviluppato un dibattito
incentrato sulla ritenuta distinzione tra varianti in senso proprio,
consentite solo se preventivamente autorizzate
dall'ente appaltante nei documenti di gara, e offerta migliorativa, che
veniva invece sempre ammessa anche in
mancanza di una specifica clausola autorizzatoria contenuta nel bando.
La
giurisprudenza prevalente aveva infatti
evidenziato che la possibilità di presentare da parte dei concorrenti
migliorie rispetto al progetto posto a base di gara
era elemento connaturato all'utilizzo del criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa.
Tali migliore erano
quindi da ritenere sempre consentite - a prescindere da qualunque
indicazione autorizzativa contenuta nei
documenti di gara a condizione che le stesse non alterassero i caratteri
essenziali delle prestazioni da rendere, cioè
relativamente agli appalti di lavori non proponessero un'opera
intrinsecamente e radicalmente diversa da quella
richiesta dall'ente appaltante. Proprio sulla base di questo principio si
era andata consolidando la distinzione tra
varianti non consentite a meno che non vi fosse in questo senso un'esplicita
autorizzazione nei documenti di gara e
miglioramenti progettuali, ammessi sempre e comunque.
Questi ultimi venivano
comunemente identificati come
quelle soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, funzione e
tipologia del progetto posto a base di gara,
riguardavano singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell'opera,
concretizzandosi in integrazioni, precisazioni e
migliorie idonee a rendere il progetto meglio rispondente alle esigenze
dell'ente appaltante, senza snaturarne i
contenuti essenziali.
Nella pratica questa distinzione non era in realtà
agevole. Da qui interpretazioni giurisprudenziali difficilmente
riconducibili a un indirizzo univoco in merito a ciò che dovesse
considerarsi variante in senso proprio (vietata, salvo
esplicita preventiva autorizzazione nel bando di gara) o mera offerta
migliorativa, sempre consentita. Il quadro è
destinato a mutare a seguito delle previsioni del D.lgs. 36/2023.
Il nuovo
Codice, all'articolo 108, comma 11, adotta
una disciplina diversa e più restrittiva, che pone al centro un concetto
diverso rispetto alle previgente normativa, e
cioè l'ipotesi in cui la variante si traduca nell'offerta di opere
aggiuntive rispetto al progetto esecutivo posto a base di
gara. In sostanza le varianti migliorative, almeno a livello di formulazione
espressa della norma, si identificano con
l'offerta di opere aggiuntive.
La possibilità di presentare in sede di
offerta tecnica opere aggiuntive è espressamente
prevista, ma a questa astratta possibilità si accompagna un limite
significativo. Viene infatti stabilito che è vietato
all'ente appaltante in relazione a tali eventuali opere aggiuntive di
attribuire uno specifico punteggio all'offerta
tecnica presentata.
Tenendo conto di questa previsione, il nuovo quadro
normativo sembra potersi sintetizzare
secondo le seguenti linee interpretative:
- le varianti in senso proprio al
progetto posto a base di gara non sono mai
ammesse, essendo venuta meno la facoltà della preventiva autorizzazione
delle stesse nei documenti di gara da
parte dell'ente appaltante;
- è consentita in astratto la proposizione di
opere aggiuntive, fermo restando che in
concreto questa possibilità sembra incontrare degli ostacoli operativi nel
momento in cui è precluso di attribuire un
punteggio aggiuntivo alle offerte che contengano tali opere;
- resta il tema
dell'ammissibilità di modifiche
migliorative al progetto contenute nell'offerta tecnica che non
rappresentano vere e proprie varianti.
Fermo restando
la difficoltà di stabilire in concreto quando si tratti di modifiche
migliorative (ammesse) e di varianti in senso proprio
(vietate), la possibilità di presentare in sede di offerta tecnica modifiche
migliorative al progetto posto a base di gara
sembra doversi consentire negli stessi termini e con le medesime limitazioni
indicate dalla giurisprudenza formatasi
nella vigenza del D.lgs. 50.
Resta infatti fermo il principio di fondo
ripetutamente affermato in passato dal giudice
amministrativo secondo cui vietare in termini assoluti la proposizione di
soluzioni migliorative in sede di offerta
tecnica appare una contraddizione insanabile rispetto all'utilizzo del
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa. Tale criterio, infatti, trova uno dei suoi punti qualificanti
proprio nei contributi progettuali che possono
essere forniti dai concorrenti ai fini del miglioramento della qualità del
progetto (articolo
NT+Enti Locali & Edilizia del 14.07.2023).
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SENTENZA
Con un unico motivo di gravame, sostanzialmente, l’appellante
contesta l’attribuzione alla controinteressata del punteggio massimo di 80
per l’offerta tecnica in relazione alle varianti migliorative presentate,
che in realtà non erano attuabili o per la necessità di autorizzazioni di
diversi enti e amministrazioni, o perché ricadenti su aree aventi interesse
naturalistico o in proprietà di privati terzi, o perché costituivano
stravolgimento del progetto.
Alla luce delle esposte argomentazioni tecniche, l’appellante chiede,
altresì, la verifica tecnica dell’operato della commissione di gara, essendo
palesi, a suo dire, le violazioni delle regole dell’arte e le oggettive
quanto inspiegabili valutazioni tecniche.
La controinteressata, invece, assumendo l’infondatezza dell’appello
unitamente all’amministrazione appellata, contesta con appello incidentale
la mancata esclusione di S2, tra l’altro, per invalidità dell’avvalimento e
per incongruità dell’offerta.
La sentenza appellata ha ritenuto proprie della fase esecutiva le
problematiche connesse al mancato conseguimento di
autorizzazioni/pareri/nulla osta sulle migliorie presentate dal concorrente
nella gara e ha ritenuto, altresì, irrilevante che gli interventi proposti
da Lombardi ricadano in parte in aree anche di proprietà privata, esterne ai
limiti delle aree indicate dal RUP.
Il Collegio ritiene condivisibili le motivazioni della sentenza appellata
alla luce dei consolidati precedenti della Sezione per i quali l’eventuale
offerta che preveda interventi su aree di altre amministrazioni non potrebbe
mai comportare l’esclusione del concorrente in quanto circostanza che
attiene alla fase esecutiva del rapporto, potendo determinare
l’inadempimento dell’aggiudicatario solo nel caso in cui i necessari
permessi, assensi o autorizzazioni dei legittimi proprietari, pubblici o
privati, non intervengano.
Le medesime considerazioni valgono con riferimento alla presunta
inammissibilità dell’offerta perché le migliorie richiederebbero
l’acquisizione di autorizzazioni/pareri/assensi.
Ed invero: “Non è infatti da ritenere condizionata l’offerta in cui
l’operatore economico si sia impegnato, come nell’odierna fattispecie,
immediatamente e senza limiti alla realizzazione dell’opera, anche laddove
essa richieda il previo rilascio da parte di altra pubblica amministrazione
di titoli abilitativi (Cons. Stato, V, 27.12.2017, n. 6085, che richiama
C.G.A.R.S. 08.02.2017, n. 37): ciò, in quanto, il loro rilascio attiene non
alla fase della valutazione dell’offerta, bensì alla fase di esecuzione, nel
cui ambito, per l’ipotesi che l’aggiudicataria non si renda al riguardo
parte diligente, soccorrono i rimedi che la legge riconnette
all’inadempimento alle obbligazioni contrattuali” (Cons. Stato, V, n.
6212 del 2021).
“Alla luce di ciò, gli interventi contestati dall’appellante non si
appalesano dunque estranei ed esorbitanti dall’opera prevista, così da
implicare sic et simpliciter l’azzeramento del punteggio tecnico assegnato a
… (o l’esclusione di quest’ultima): trattasi invero di interventi che, in
quanto relativi ad aree limitrofe a quelle direttamente interessate
dall’opera e potenzialmente impattanti anche sull’accesso a queste ultime,
ben possono, non irragionevolmente, essere considerati e valutati dalla
stazione appaltante sulla base dei suindicati criteri previsti dalla lex
specialis, nel perimetro dell’apprezzamento discrezionale rimesso alla
stessa stazione appaltante per la valutazione dell’offerta tecnica. In tale
contesto, peraltro, la sola natura eventualmente privata dell’area
interessata dagli interventi non vale a escludere di per sé, in assenza di
diverse evidenze offerte dall’appellante, i proposti benefici per l’opera, e
dunque la valutabilità delle migliorie od opere aggiuntive ai fini
dell’attribuzione del punteggio tecnico” (Cons. Stato, V, n. 5510 del
2021). |
APPALTI:
Sulla necessità del possesso ininterrotto dei requisiti
anche in caso di cessione del ramo d’azienda.
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Contratti pubblici e obbligazioni della pubblica
amministrazione – Appalto – Requisiti di partecipazione –
Affitto del ramo d’azienda – Irregolarità fiscale -
Esclusione.
La regola del possesso ininterrotto
dei requisiti di partecipazione trova applicazione anche
nell’ipotesi in cui – successivamente alla presentazione
dell’offerta – sia intervenuto un contratto di affitto di
ramo d’azienda, sicché l’irregolarità fiscale riscontrata
nei confronti della cedente refluisce inevitabilmente sulla
posizione della cessionaria subentrata in corso di
procedura, determinandone l’esclusione ex art. 80, comma 4,
del d.lgs. n. 50 del 2016 (1).
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(1) Conformi: Cons. Stato, sez. V, n. 6706 del 2021; Cons. Stato,
sez. III, n. 5517 del 2021.
Difformi: non risultano precedenti difformi.
Con la sentenza in commento, il Collegio ha respinto un
ricorso proposto avverso un provvedimento recante
l’esclusione di un operatore economico per non aver
mantenuto i requisiti di cui all’art. 80, comma 4, d.lgs. n.
50 del 2016 per l’intera durata della procedura di gara,
essendo state accertate irregolarità fiscali nei confronti
dell’impresa cedente.
Nella prospettiva del ricorrente, l’operazione di affitto
d’azienda avrebbe dovuto determinare una cesura netta tra la
posizione dell’originario concorrente e quella
dell’operatore economico subentrante. Il provvedimento di
esclusione sarebbe, dunque, illegittimo giacché al momento
della sua emanazione l’Amministrazione aggiudicatrice aveva
già concluso con esito positivo le verifiche sulla cedente
del ramo d’azienda, per cui da quel momento avrebbe potuto
valutare soltanto la situazione dell’impresa cessionaria.
Il Collegio ha ritenuto non condivisibile siffatto rilievo.
Invero, “l’Adunanza Plenaria (decisione n. 8 del 20.07.2015)
del Consiglio di Stato ha evidenziato che il possesso dei
requisiti di ammissione si impone a partire dall’atto di
presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la
durata della procedura di evidenza pubblica […]; sulla
scorta delle riferite coordinate ermeneutiche la
giurisprudenza amministrativa ha ritenuto necessaria la
verifica del possesso dei requisiti di cui all’art. 80 del
d.lgs. n. 50 del 2016 anche in capo all’affittante
l’azienda, oltre che naturalmente all’affittuario, onde
evitare che il ricorso a tale strumento negoziale, così come
ad altri pure ammissibili, possa costituire strumento per
eludere il principio del possesso necessariamente
continuativo dei requisiti di partecipazione” (cfr. Tar
Lazio-Roma, n. 4276/2019; Cons. Stato, n. 6706/2021; Tar
Lazio-Roma, n. 6144/2018).
Del resto “deve ritenersi che l’affitto dell’azienda, pur
comportando una modifica dell’identità giuridica del
titolare dell’azienda, assicuri comunque una continuità
sostanziale dell’impresa, consentendo all’affittuario di
proseguire ininterrottamente l’attività economica
avvalendosi dell’insieme coordinato di mezzi già organizzato
a tali fini dalla parte affittante. Per tali ragioni si
giustifica, al ricorrere dei presupposti supra delineati e
in applicazione del principio ubi commoda, ibi incommoda,
l’imputazione in capo all’affittuario tanto dei benefici (in
termini di possesso dei requisiti correlati alla
disponibilità dell’azienda) quanto degli svantaggi (riferiti
ad eventuali cause di esclusione ascrivibili al precedente
titolare dell’azienda) discendenti dall’acquisita
disponibilità dell’azienda” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n.
8081/2021).
Ad avviso del Collegio, non è in discussione la possibilità
per gli operatori economici di dare vita ad operazioni
societarie espressione dell’autonomia imprenditoriale né
potrebbe fondatamente prospettarsi che la determinazione
della S.A. sia limitativa di tale libertà, venendo piuttosto
in rilievo la necessaria salvaguardia di ulteriori principi
che presidiano le procedure ad evidenza pubblica, quali par
condicio, concorrenza e trasparenza. “Ciò che non può essere
ammesso è la scomparsa dal fuoco del controllo dei requisiti
del soggetto cedente o locatore dell’azienda, altrimenti
mediante la trasmissione dell’azienda si porrebbe a
disposizione degli operatori economici un comodo strumento
per eludere il principio di continuità del possesso dei
requisiti di partecipazione alle selezioni pubbliche”.
Pertanto, la irregolarità fiscale riscontrata nei confronti
della cedente refluisce inevitabilmente sulla posizione
della cessionaria subentrata in corso di procedura
giovandosi dei requisiti della cedente stessa,
determinandone così l’esclusione ex art. 80, comma 4, del
d.lgs. n. 50 del 2016, poiché la regola del possesso
ininterrotto dei requisiti di partecipazione per tutta la
durata della procedura di gara trova applicazione anche
nell’ipotesi in cui, successivamente alla presentazione
dell’offerta, sia intervenuto il contratto di affitto (cfr.
Cons. Stato, sent. n. 5517/2021)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 05.07.2023 n. 4011 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
Parte ricorrente, sostiene che gli atti impugnati sarebbero
illegittimi poiché pretenderebbero di disporre l’esclusione
dalla gara di un’impresa (-OMISSIS-) che non risulta più
rivestire il ruolo di concorrente alla selezione, avendo
ceduto la propria partecipazione, nell’ambito
dell’operazione di cessione del complesso aziendale, ad
altro soggetto giuridico (-OMISSIS- srl) che, per l’effetto,
è subentrato assumendo la veste di concorrente ed una volta
che la S.A., in pendenza di gara, aveva riscontrato
positivamente il possesso dei requisiti di cui all’art. 80
del Codice in capo ad entrambi.
In buona sostanza, l’operazione di affitto d’azienda (messa
in atto nell’ambito di una complessiva operazione di
risanamento sfociata nella richiesta di concordato
preventivo in continuità aziendale cd. indiretta, come si
evince dal relativo decreto di omologa a pag. 8, vale a dire
tramite la costituzione di una società ad hoc cui
conferire l’intero compendio aziendale) avrebbe dovuto
determinare una cesura netta tra la posizione
dell’originario concorrente e quella dell’operatore
economico subentrante, dovendo la stazione appaltante, una
volta accertata in costanza di gara il possesso dei
requisiti di cui all’art. 80 cit., restare indifferente e
non mostrare più attenzione alle vicende che, specie con
riguardo alla permanenza dei requisiti di cui all’art. 80
del Codice appalti, avrebbero potuto nel frattempo attingere
la pozione del “dante causa”.
l rilievo non può essere condiviso.
Come giustamente evidenziato dalla So. e dalle altre parti
resistenti, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato
(decisione n. 8 del 20.07.2015, che richiama le decisioni n.
10 del 2014, nn. 15 e 20 del 2013; nn. 8 e 27 del 2012; n. 1
del 2010), ha evidenziato che il possesso dei requisiti di
ammissione si impone a partire dall’atto di presentazione
della domanda di partecipazione e per tutta la durata della
procedura di evidenza pubblica, in quanto, per esigenze di
trasparenza e di certezza del diritto, che non collidono col
principio del favor partecipationis, la verifica del
possesso, da parte del soggetto concorrente, dei requisiti
di partecipazione alla gara deve ritenersi immanente
all’intero procedimento di evidenza pubblica (si tratta del
cd. principio di continuità del possesso dei requisiti);
sulla scorta delle riferite coordinate ermeneutiche la
giurisprudenza amministrativa ha ritenuto necessaria la
verifica del possesso dei requisiti di cui all’art. 80 del
D.lgs. n. 50/2016 anche in capo all’affittante l’azienda,
oltre che naturalmente all’affittuario, onde evitare che il
ricorso a tale strumento negoziale, così come ad altri pure
ammissibili, possa costituire strumento per eludere il
principio del possesso necessariamente continuativo dei
requisiti di partecipazione (cfr. TAR Lazio-Roma, n.
4276/2019; Cons. Stato, n. 6706/2021; TAR Lazio-Roma, n.
6144/2018).
Del resto “deve ritenersi che l’affitto dell’azienda, pur
comportando una modifica dell’identità giuridica del
titolare dell’azienda, assicuri comunque una continuità
sostanziale dell’impresa, consentendo all’affittuario di
proseguire ininterrottamente l’attività economica
avvalendosi dell’insieme coordinato di mezzi già organizzato
a tali fini dalla parte affittante. Per tali ragioni si
giustifica, al ricorrere dei presupposti supra delineati e
in applicazione del principio ubi commoda, ibi incommoda,
l’imputazione in capo all’affittuario tanto dei benefici (in
termini di possesso dei requisiti correlati alla
disponibilità dell’azienda) quanto degli svantaggi (riferiti
ad eventuali cause di esclusione ascrivibili al precedente
titolare dell’azienda) discendenti dall’acquisita
disponibilità dell’azienda La continuità sostanziale
dell’impresa, dunque, costituisce un effetto naturale del
contratto di affitto di azienda, che, in ragione della sua
portata generale, deve poter essere apprezzato non soltanto
nelle ipotesi in cui la fattispecie negoziale si realizzi
prima dell’indizione della gara, ma anche qualora il
contratto sia concluso in sua pendenza da un operatore
economico che abbia già assunto la posizione di candidato,
offerente o aggiudicatario della procedura di affidamento,
consentendosi in siffatte ipotesi il subentro
dell’affittuario nella posizione dell’affittante ai fini
della partecipazione alla pubblica gara” (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, n. 8081/2021).
Peraltro, “l'affitto d'azienda, alla stessa stregua della
cessione, mette l'affittuario/cessionario in condizione di
potersi giovare dei requisiti e delle referenze in relazione
al compendio aziendale; l'atto di cessione di azienda
abilita la società subentrante, previa verifica dei 5
contenuti effettivamente traslativi del contratto di
cessione, ad utilizzare i requisiti maturati dalla cedente,
atteso che sono certamente riconducibili al patrimonio della
società o dell’imprenditore cessionari. I requisiti
posseduti dal soggetto cedente devono considerarsi compresi
nella cessione in quanto strettamente connessi all'attività
propria del ramo o dell’azienda ceduta (Consiglio di Stato
sez. III, 17/03/2017, n. 1212). In caso di subentro di una
società ad altra a seguito di affitto di azienda opera la
presunzione di continuità in quanto sia pure mediante
percezione del canone per la durata dell’affitto, il
locatore si giova dei risultati economici dell’azienda
conseguiti dalla successiva gestione e l’affittuario a sua
volta si giova delle referenze del complesso aziendale
acquisito (Consiglio di Stato sez. V, 21.08.2017 n. 4045).
Come afferma Adunanza Plenaria n. 10 del 04.05.2012, la
continuità dell’attività imprenditoriale ben può verificarsi
in ipotesi di cessione di azienda o di ramo di azienda a
titolo particolare, consistente nel passaggio all’avente
causa dell’intero complesso dei rapporti attivi e passivi
nei quali l’azienda stessa o il suo ramo si sostanzia. Il
cessionario, così come si avvale dei requisiti del cedente
sul piano della partecipazione a gare pubbliche, così
risente delle conseguenze sullo stesso piano delle eventuali
responsabilità del cedente. Pertanto, senza alcun dubbio, la
regola del possesso ininterrotto dei requisiti di
partecipazione per tutta la durata della procedura di gara
trova applicazione anche nell’ipotesi in cui,
successivamente alla presentazione dell’offerta, sia
intervenuto il contratto di affitto” (cfr. Cons. Stato,
Sez. III, n. 5517/2021).
Non è affatto in discussione la possibilità per gli
operatori economici di dare vita ad operazioni societarie
espressione dell’autonomia imprenditoriale né potrebbe
fondatamente prospettarsi che la determinazione della S.A.
sia limitativa di tale libertà, venendo piuttosto in rilievo
la necessaria salvaguardia di ulteriori principi che
presidiano le procedure ad evidenza pubblica, quali par
condicio, concorrenza e trasparenza e gli effetti che in
tale specifico ambito non possono non assumere le suddette
scelte imprenditoriali che per di più nel caso di specie
sono state poste in essere in un’ottica di chiara continuità
operativa tra i due soggetti coinvolti come documentalmente
comprovato dallo stesso decreto di omologa del concordato
preventivo.
Alcun rilievo possono assumere nella vicenda per cui è causa
gli approdi giurisprudenziali pure citati da parte
ricorrente che a ben vendere si riferiscono ad ipotesi in
cui le operazioni di gara erano state ultimate con
l’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva,
registrandosi in un momento successivo all’ultimazione delle
operazioni di gara fenomeni di subentro quali quello per cui
è causa.
Ciò che non può essere ammesso è la scomparsa dal fuoco del
controllo dei requisiti del soggetto cedente o locatore
dell’azienda, altrimenti mediante la trasmissione
dell’azienda si porrebbe a disposizione degli operatori
economici un comodo strumento per eludere il principio di
continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle
selezioni pubbliche.
In altre parole, la irregolarità fiscale riscontrata nei
confronti della -OMISSIS- (quale cedente del ramo di
azienda) refluisce inevitabilmente sulla posizione della
cessionaria (-OMISSIS-) –subentrata in corso di procedura
giovandosi dei requisiti della cedente- determinandone così
l’esclusione dalla medesima procedura ex art. 80, co. 4, del
d.lgs. n. 50/2016, poiché la regola del possesso
ininterrotto dei requisiti di partecipazione per tutta la
durata della procedura di gara trova applicazione anche
nell’ipotesi in cui, successivamente alla presentazione
dell’offerta, sia intervenuto il contratto di affitto (cfr.
Cons. Stato, sent. n. 5517/2021).
L’esigenza sottesa ad una simile interpretazione, secondo la
condivisibile giurisprudenza, è ancora più evidente nel caso
in cui si tratti di affitto (come nella fattispecie) e non
di cessione dell’azienda, “dal momento che l’influenza
dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per
tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire
un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal
codice degli appalti…”.
A tale specifico riguardo (contratto di affitto di azienda)
è stato affermato proprio che: “non soltanto
l'affittuario è in condizione di utilizzare mezzi d'opera e
personale facenti capo all'azienda affittata ma,
soprattutto, si mette in condizione di avvantaggiarsi anche
dei requisiti di ordine tecnico organizzativo ed economico
finanziario facenti capo a tale azienda, per quanto ciò
avvenga per un periodo di tempo determinato e malgrado la
reversibilità degli effetti una volta giunto a scadenza il
contratto di affitto d'azienda, con l'obbligo di
restituzione del complesso aziendale” (cfr. Cons. Stato,
Sez. III, 12.12.2018, n. 7022, cit.; Cons. Stato, sez. V,
05.11.2014, n. 5470, cit.) (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 05.07.2023 n. 4011 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
A
fronte di una certificazione rilasciata dall’Agenzia delle
Entrate che attesti l’irregolarità del concorrente ai sensi
dell’art. 80, co. 4, del codice, l’esclusione costituisce un
atto dovuto.
Le certificazioni relative alla regolarità contributiva e
tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi
preposti si impongono alle stazioni appaltanti che non
possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non
residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto
o sui presupposti di tali certificazioni.
Spetta, infatti, in via esclusiva
all'Agenzia delle Entrate il compito di dare un giudizio
sulla regolarità fiscale dei partecipanti a gara pubblica,
non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di
autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di
regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa
la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata
agli enti previdenziali.
È evidente che il vincolo posto alle stazioni appaltanti di
attenersi alle risultanze delle certificazioni rilasciate
dagli enti preposti risponda allo scopo di ridurre i
possibili arbitrii nelle verifiche delle Amministrazioni
aggiudicatrici oltre che di garantire una maggior certezza e
speditezza delle procedure di affidamento.
---------------
In merito al provvedimento di esclusione e se ciò determini,
o meno, la carenza di legittimazione a ricorrere avverso
l’aggiudicazione, occorre rilevare al riguardo che:
- per consolidata giurisprudenza, nel processo amministrativo la
mera partecipazione (di fatto) alla gara non è sufficiente
ad attribuire la legittimazione ad agire;
- la situazione legittimante costituita dall'intervento nel
procedimento selettivo deriva, infatti, da una posizione
qualificata che postula il positivo esito del sindacato
sulla ritualità dell'ammissione del soggetto ricorrente alla
gara;
- pertanto, la definitiva e inoppugnabile esclusione dalla gara o
l'accertamento giurisdizionale retroattivo della sua
legittimità impedisce di assegnare al concorrente la
titolarità di una situazione soggettiva sostanziale che lo
abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva;
- essendosi, dunque, nella specie, accertata la legittimità dell'esclusione -OMISSIS- dalla
procedura di affidamento oggetto di causa, lotto 1, la
medesima è carente di legittimazione ad agire avverso
l’aggiudicazione in favore dell’odierna controinteressata:
l'accoglimento dei motivi aggiunti rivolti a tale
provvedimento non comporterebbe, infatti, l’affidamento
dell'appalto in suo favore, ma la ripetizione della gara,
laddove, però, l'interesse strumentale alla rinnovazione
della gara può essere perseguito soltanto da una impresa che
non sia stata esclusa, in quanto il provvedimento
estromissivo risultato legittimo priva il concorrente della
disponibilità di qualsivoglia interesse qualificato, anche
di mera natura strumentale, preordinato ad ottenere la
riedizione integrale della procedura; diversamente opinando
anche un quisque de populo sarebbe legittimato ad impugnare
bandi o fasi valutative di gare in relazione alle quali egli
sia rimasto estraneo, dovendosi equiparare a tale posizione
il concorrente escluso per carenza di offerta ammissibile.
Peraltro un tale approdo non contrasta gli orientamenti
della giurisprudenza della Corte di Giustizia per la quale
il concorrente che sia escluso dalla procedura di gara con
provvedimento definitivo (come tale si deve ritenere anche
il provvedimento espulsivo impugnato in questa sede) è privo
di legittimazione a ricorrere avverso gli ulteriori atti
della procedura, ivi compresa l’aggiudicazione definitiva ad
altro concorrente.
---------------
II) Con il secondo motivo di doglianza parte ricorrente
sostiene che l’originario concorrente non verserebbe in una
condizione di grave irregolarità fiscale definitivamente
accertata, tenuto conto che -OMISSIS- (chiaramente elencate
dalla S.A. nella comunicazione di avvio del procedimento, ad
onta del deficit comunicativo prospettato da controparte)
sarebbero oggetto di perdurante contestazione in sede
giurisdizionale.
Il rilievo non merita positiva considerazione.
Al riguardo deve evidenziarsi che il provvedimento di
esclusione trae origine dalle inequivoche risultanze della
certificazione dell’Agenzia delle Entrate che ha attestato
la sussistenza -OMISSIS- che, per l’effetto, in pendenza
della selezione ha irrimediabilmente perso un requisito di
partecipazione; con l’ulteriore rilievo che, contrariamente
a quanto prospettato da controparte, con la comunicazione
acquisita al prot. SRA--OMISSIS-, nel trasmettere la
certificazione attestante -OMISSIS- della ricorrente,
l’Agenzia dell’Entrate ha altresì evidenziato che “A seguito
della richiesta di informazioni questo Ufficio si è
prontamente attivato richiedendo all’Agente della
Riscossione per la provincia di Napoli notizie in merito
alla vigenza di alcune sospensioni disposte dall’Autorità
Giudiziaria riferite a -OMISSIS-. Il predetto Agente con
nota -OMISSIS-, ha comunicato l’assenza di sospensioni,
definizioni agevolata e rateizzazioni. Conseguentemente, si
è appurato che l’Autorità giudiziaria in data -OMISSIS- ha
disposto la revoca -OMISSIS-, il cui dato risulta,
all’attualità, aggiornato in procedura. Conseguentemente, si
trasmette il certificato rilasciato in data odierna
(allegato) che annulla e sostituisce quello inviato in data
-OMISSIS-. In merito alle ulteriori richieste di
informazioni circa le posizioni debitorie definitivamente
accertate 7 presso l’erario alle date del -OMISSIS- si
comunica che non risultano carichi pendenti definitivamente
accertati, stante la presenza di sospensioni non revocate
alle predette date”.
Considerato il chiaro contenuto negativo della
certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, alla
Stazione appaltante non restava che procedere
all’esclusione, come evidenziato dalla consolidata
giurisprudenza, anche di questa Sezione, secondo cui: “a
fronte di una certificazione rilasciata dall’Agenzia delle
Entrate che attesti l’irregolarità del concorrente ai sensi
dell’art. 80, co. 4, del codice, l’esclusione costituisce un
atto dovuto. Le certificazioni relative alla regolarità
contributiva e tributaria delle imprese partecipanti,
emanate dagli organi preposti si impongono alle stazioni
appaltanti che non possono in alcun modo sindacarne il
contenuto, non residuando alle stesse alcun potere
valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali
certificazioni; spetta, infatti, in via esclusiva
all'Agenzia delle Entrate il compito di dare un giudizio
sulla regolarità fiscale dei partecipanti a gara pubblica,
non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di
autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di
regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa
la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata
agli enti previdenziali” (cfr. TAR Campania-Napoli, Sez.
I, n. 775/2022 e n. 114/2020; Cons. Stato, Sez. III, n.
8148/2020; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 8/2012;
Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2682/2013 ).
È evidente che il vincolo posto alle stazioni appaltanti di
attenersi alle risultanze delle certificazioni rilasciate
dagli enti preposti risponda allo scopo di ridurre i
possibili arbitrii nelle verifiche delle Amministrazioni
aggiudicatrici oltre che di garantire una maggior certezza e
speditezza delle procedure di affidamento.
Peraltro secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate,
l’impugnazione proposta innanzi alla Commissione tributaria,
connotata interinalmente da un provvedimento di sospensione
cautelare poi revocato, riguardava l’atto di liquidazione
emesso dall’Agente della Riscossione in riscontro alla
domanda di definizione agevolata, non già le -OMISSIS-,
rimaste dunque incontestate (al pari, secondo quanto
evidenziato dall’Agenzia delle Entrate, dei presupposti
avvisi di accertamento); come chiarito dalla giurisprudenza
“la definitività dell'accertamento tributario decorre non
dalla notifica della cartella esattoriale -in sé, semplice
atto con cui l'agente della riscossione chiede il pagamento
di una somma di denaro per conto di un ente creditore, dopo
aver informato il debitore che il detto ente ha provveduto
all'iscrizione a ruolo di quanto indicato in un precedente
avviso di accertamento- bensì dalla comunicazione di quest'ultimo.
La cartella di pagamento (che infatti non è atto del
titolare della pretesa tributaria, ma del soggetto
incaricato della riscossione) "costituisce solo uno
strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di
natura sostanziale, cioè non possiede ... alcuna autonomia
che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui
l'obbligazione è stata enunciata” (ex multis,
Cass., SS.UU., 08.02.2008, n. 3001), laddove è l'avviso di
accertamento l'atto mediante il quale l'ente impositore
notifica formalmente la pretesa tributaria al contribuente,
a seguito di un'attività di controllo sostanziale.
E' invece l'avviso di accertamento il titolo esecutivo della
pretesa tributaria, ossia l'atto formale con cui
l’Amministrazione finanziaria muove una precisa
contestazione al contribuente in merito all'adempimento di
una specifica obbligazione fiscale: con esso vengono
indicati al contribuente i dati di fatto e di diritto per i
quali è richiesto un versamento, nonché la misura dello
stesso (art. 42 del D.P.R. 29.09.1973, n. 600) e
l'imponibile (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 8148/2020).
In ordine, poi, all’ulteriore argomento (peraltro esposto
dalla ricorrente in via del tutto residuale sia nel ricorso
introduttivo che nei motivi aggiunti), relativo
all’esistenza di un concordato preventivo presentato in data
-OMISSIS- è pacifico che la legge 134/2012 ha sottratto
l’istituto del concordato preventivo con continuità
aziendale, di cui all’art. 186-bis L.F, dal novero delle
cause che determinano l’esclusione dell’impresa dalla
partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti
pubblici.
Nondimeno, il legislatore con il citato art. 186-bis, comma
4, ha considerato la partecipazione alla gara come un atto
da sottoporre comunque e sempre al controllo giudiziale del
Tribunale fallimentare.
In proposito, giova richiamare la sentenza del Consiglio di
Stato – Adunanza Plenaria 27/05/2021 n. 11, laddove è
precisato che “la centralità e l’importanza che riveste
l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della
partecipazione alla gara, conduce a ritenere che il rilascio
e il deposito di tale autorizzazione debba intervenire prima
che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e,
dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione
appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto
di aggiudicazione.
Si tratta di una posizione che già è stata fatta propria
dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (Cons.
St., sez. V, n. 1328 del 2020), alla quale si è richiamata
anche l’ANAC (delibera n. 362 del 2020), e che ha il pregio
di individuare un limite temporale definito, (più) idoneo ad
assicurare l’ordinato svolgimento della procedura di gara,
senza far carico l’amministrazione aggiudicatrice e gli
altri concorrenti dei possibili ritardi legati ai tempi di
rilascio (o di richiesta) dell’autorizzazione... così ….. è
comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso
concreto valutare se un’autorizzazione tardiva ma pur sempre
sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di
appalto o di concessione possa avere efficacia integrativa o
sanante”.
In definitiva le censure avverso il provvedimento di
esclusione si appalesano infondate e ciò determina la
carenza di legittimazione a ricorrere avverso
l’aggiudicazione e la conseguente improcedibilità dei motivi
aggiunti.
Ed infatti, occorre rilevare al riguardo che:
- per consolidata giurisprudenza, seguita anche da questa Sezione,
nel processo amministrativo la mera partecipazione (di
fatto) alla gara non è sufficiente ad attribuire la
legittimazione ad agire (cfr. TAR Campania, sez. I, n.
3805/2017);
- la situazione legittimante costituita dall'intervento nel
procedimento selettivo deriva, infatti, da una posizione
qualificata che postula il positivo esito del sindacato
sulla ritualità dell'ammissione del soggetto ricorrente alla
gara;
- pertanto, la definitiva e inoppugnabile esclusione dalla gara o
l'accertamento giurisdizionale retroattivo della sua
legittimità impedisce di assegnare al concorrente la
titolarità di una situazione soggettiva sostanziale che lo
abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva (cfr.
Cons. Stato, sez. III, n. 924/2015);
- essendosi, dunque, nella specie, accertata –nei sensi dianzi
illustrati– la legittimità dell'esclusione -OMISSIS- dalla
procedura di affidamento oggetto di causa, lotto 1, la
medesima è carente di legittimazione ad agire avverso
l’aggiudicazione in favore dell’odierna controinteressata:
l'accoglimento dei motivi aggiunti rivolti a tale
provvedimento non comporterebbe, infatti, l’affidamento
dell'appalto in suo favore, ma la ripetizione della gara,
laddove, però, l'interesse strumentale alla rinnovazione
della gara può essere perseguito soltanto da una impresa che
non sia stata esclusa, in quanto il provvedimento
estromissivo risultato legittimo priva il concorrente della
disponibilità di qualsivoglia interesse qualificato, anche
di mera natura strumentale, preordinato ad ottenere la
riedizione integrale della procedura; diversamente opinando
anche un quisque de populo sarebbe legittimato ad
impugnare bandi o fasi valutative di gare in relazione alle
quali egli sia rimasto estraneo, dovendosi equiparare a tale
posizione il concorrente escluso per carenza di offerta
ammissibile (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV,
n. 3688/2016; TAR Campania, sez. I, 3805/2017; TAR Campania,
Napoli, sez. III, n. 2567/2015; TAR Sicilia, Palermo, sez.
I, n. 119/2015; sez. II, n. 294/2016; TAR Umbria Perugia, n.
205/2016; TAR Lazio, Roma, sez. III, n. 7540/2016).
Peraltro un tale approdo non contrasta gli orientamenti
della giurisprudenza della Corte di Giustizia per la quale
il concorrente che sia escluso dalla procedura di gara con
provvedimento definitivo (come tale si deve ritenere anche
il provvedimento espulsivo impugnato in questa sede) è privo
di legittimazione a ricorrere avverso gli ulteriori atti
della procedura, ivi compresa l’aggiudicazione definitiva ad
altro concorrente (cfr. Cons. Stato n. 374/2020 che richiama
Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 21.12.2016
C-355/15 Bietregemeinschaft Technische Gebaudedetreuung
Gesmbh un Caverion Osterreich; Cons Stato, sez. V,
12.09.2019, n. 6159; V, 25.06.2018 n. 3923; V, 23.03.2018,
n. 1849; V, 08.11.2017, n. 5161)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 05.07.2023 n. 4011 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2023 |
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APPALTI:
Gare, escluso chi non paga contributo dovuto all'Anac.
Il pagamento all'Anac del contributo è condizione di ammissibilità alla
gara; in caso di omesso pagamento scatta l'esclusione.
Lo ha precisato il TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, con la
sentenza 29.06.2023 n. 946.
La vicenda riguardava una gara di appalto in cui un concorrente (peraltro
unico partecipante alla selezione), a seguito di un malfunzionamento della
piattaforma MePa, aveva presentato in cartaceo la documentazione per la
partecipazione mezz'ora prima del termine finale, senza però riuscire ad
effettuare il pagamento del contributo Anac.
Successivamente la commissione di gara aveva riscontrato la mancata
produzione dell'attestazione del pagamento di tale contributo e ne aveva
disposto l'acquisizione tramite la procedura di soccorso istruttorio,
chiedendo lumi all'Anac sulla legittimità dell'operato. L'Autorità riteneva
l'operato non conforme a legge e da qui il ricorso.
I giudici calabri premettono che Il pagamento del contributo Anac previsto
dall'art. 1, comma 67, L. n. 266/2005 ha natura di «contribuzione
obbligatoria» di scopo che è espressamente finalizzata alla copertura
dei costi relativi al funzionamento dell'Anac posti (in parte) a carico, per
quanto qui occorre evidenziare, degli operatori economici sottoposti alla
vigilanza dell'Autorità la cui mancata corresponsione è sanzionata, per
legge, con l'inammissibilità dell'offerta.
Tale contributo Anac costituisce inoltre «condizione di ammissibilità
dell'offerta», cosicché il mancato versamento entro il termine di
presentazione della domanda di partecipazione comporta automaticamente e
obiettivamente l'inammissibilità dell'offerta e conseguentemente
l'esclusione del concorrente.
Per il Tar, quindi, l'omesso versamento del contributo non dà luogo quindi a
una causa di esclusione in senso stretto per mancanza dei requisiti
partecipativi di ordine generale o speciale. Peraltro, si riferisce nella
sentenza, è emerso che non si erano registrati problemi tecnici sulla
piattaforma telematica Anac tali da impedire il pagamento del contributo
entro la data di decadenza per come stabilito dal bando
(articolo ItaliaOggi del 14.07.2023).
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SENTENZA
Considerato che:
- la ricorrente non ha versato il contributo A.n.a.c., stabilito
dall’art. 1, comma 67, L. n. 266/2005, nei termini di gara, in violazione
dell’art. 12.4 del disciplinare, secondo cui “il mancato pagamento del
contributo di gara nei termini, ovvero l’impossibilità di dimostrazione
dello stesso, comporta l’esclusione del concorrente dalla procedura di gara,
ai sensi dell’art. 1, comma 67, della L. 266/2005”;
- a mente dell’art. 1, comma 67, L. n. 266/2005, richiamato
dall’art. 12.4 del disciplinare, l’A.n.a.c. “cui è riconosciuta autonomia
organizzativa e finanziaria, ai fini della copertura dei costi relativi al
proprio funzionamento di cui al comma 65 determina annualmente l'ammontare
delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati,
sottoposti alla sua vigilanza, nonché le relative modalità di riscossione,
ivi compreso l'obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori
economici quale condizione di ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle
procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche”;
- il pagamento del contributo A.n.a.c. previsto dall’art. 1, comma
67, L. n. 266/2005 «ha natura di “contribuzione obbligatoria” (cfr.,
Corte costituzionale 06.07.2007, n. 256) di scopo che è espressamente
finalizzata alla copertura dei costi relativi al funzionamento dell’ANAC
posti (in parte) a carico, per quanto qui occorre evidenziare, degli
operatori economici sottoposti alla vigilanza dell’Autorità la cui mancata
corresponsione è sanzionata, per legge, con l’inammissibilità dell’offerta,
in deroga alla disciplina generale di cui all’art. 80, comma 4,» del
D.Lgs. n. 50/2016 (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 07.10.2021, n. 10331);
- tale contributo A.n.a.c. costituisce inoltre “condizione di
ammissibilità dell'offerta”, cosicché il mancato versamento entro il
termine di presentazione della domanda di partecipazione «comporta
automaticamente e obiettivamente l’inammissibilità dell’offerta e
conseguentemente l’esclusione del concorrente, autore di un’offerta non
ammissibile per legge, analogamente a quanto stabilisce l’art. 59, comma 4,
d.lgs. n. 50/2016, per le offerte “considerate inammissibili” al ricorrere
dei presupposti ivi indicati» (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 07.10.2021, n.
10331; Consiglio di Stato, Sez. III, 12.03.2018, n. 1572);
- sebbene il Collegio sia consapevole della sussistenza di
orientamenti giurisprudenziali non univoci in materia, alla luce degli
indicati e condivisibili assunti interpretativi l’omesso versamento del
contributo non dà luogo quindi a una causa di esclusione in senso stretto
per mancanza dei requisiti partecipativi di ordine generale o speciale e
pertanto, per un verso, ad esso non si attagliano le censure della
ricorrente relative alla disciplina sulle cause di esclusione dalla gara e
al principio del favor partecipationis, mentre sotto concorrente
profilo la prescrizione contenuta nell’art. 12.4 della lex specialis
risulta ragionevole e conforme art. 1, comma 67, L. n. 266/2005; TAR
Calabria, Catanzaro, Sez. I, 15.05.2023, n. 747);
Considerato altresì che:
- dalle evidenze processuali è emerso che, quanto meno a decorrere
dal 03.05.2022, non si sono registrati problemi tecnici sulla piattaforma
telematica A.n.a.c. tali da impedire il pagamento del contributo entro la
data di decadenza per come stabilito dal bando, atteso che la ricorrente
alla data del 03.05.2023 aveva chiesto e ottenuto il rilascio del
certificato PassOE che presuppone l’individuazione del C.I.G., a sua volta
necessario per procedere al pagamento del contributo;
Ritenuto che:
- il gravame si palesa quindi infondato e la controversia può
essere decisa in forma semplificata ex art. 74 c.p.a.; |
anno 2022 |
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luglio 2022 |
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ATTI AMMINISTRATIVI - AMBIENTE-ECOLOGIA: Sulla
legittimità, o meno, dell'ordinanza sindacale di proroga tecnica del
servizio di igiene urbana.
Per condivisa giurisprudenza amministrativa: “deve ritenersi legittimo il ricorso all'istituto della
ordinanza contingibile ed urgente per la proroga del contratto del servizio
di gestione dei rifiuti, malgrado il Comune non si sia tempestivamente
attivato per la indizione della gara per l'affidamento di tale servizio, in
quanto la situazione di pericolo per la salute pubblica e l'ambiente
connesse alla gestione dei rifiuti, non fronteggiabile adeguatamente con le
ordinarie misure, legittimava comunque il sindaco all'esercizio dei poteri
"extra ordinem" riconosciutigli dall'ordinamento giuridico (art. 50 d.lgs.
18.08.2000 n. 267) e, di fronte all'urgenza di provvedere, non rileva
affatto chi o cosa abbia determinato la situazione di pericolo che il
provvedimento è rivolto a rimuovere”.
In termini confermativi, si è condivisibilmente affermato che: “L'esecuzione
del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani
deve, in generale, essere svolto con efficacia ed immediatezza a tutela del
bene pubblico indicato dalla legge; pertanto qualora la necessità di
provvedere si appalesi imperiosa —specie al fine di prevenire eventuali
ipotesi di emergenze sanitarie e di igiene pubblica— il Sindaco può
legittimamente ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile ed
urgente, ai sensi dell' art. 50, comma 5, del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 ,
anche se sussiste una apposita disciplina che regoli, in via ordinaria, la
materia. L'acclarato legittimo esercizio del potere di ordinanza —in
presenza dei presupposti di cui all'art. 191 del T.U. ambiente— giustifica
la deroga ad ogni altra normativa di settore, essendo caratteristica propria
delle ordinanze ambientali di cui all' art. 191 del d.lgs. 152/2006 (così
come, in genere, di tutte le ordinanze extra ordinem contemplate
dall'ordinamento) quella di poter operare in deroga alle disposizioni
vigenti”.
---------------
... per l'annullamento:
- delle Ordinanze Sindacali n. 76/2019 del 22.05.2019 e n.
95/2019 del 26.06.2019 del Comune di Castellaneta, aventi entrambe ad
oggetto la proroga tecnica del servizio di igiene urbana,
- nonché per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del
danno da essa subito nella vicenda in esame.
...
1. La ricorrente –aggiudicataria in ATI con Er. s.r.l. del servizio di
raccolta e gestione dei rifiuti solidi urbani nel territorio del Comune di
Castellaneta– ha impugnato le ordinanze Sindacali n. 76/2019 del 22.05.2019
e n. 95/2019 del 26.06.2019 del Comune di Castellaneta, aventi entrambe ad
oggetto la proroga tecnica del servizio di igiene urbana.
A sostegno del ricorso, essa ha articolato i seguenti motivi di gravame,
appresso sintetizzati:
1) violazione degli artt. 23, 41 e 97 Cost; 50 d.lgs.
n. 267/2000; eccesso di potere sotto vari profili;
2) violazione degli artt.
23, 41 e 97 Cost; 50 d.lgs. n. 267/2000; 191 d.lgs. n. 152/2006; eccesso di
potere sotto vari profili;
3) violazione degli artt. 23, 41 e 97 Cost; 205
d.lgs. n. 152/2006; eccesso di potere sotto vari profili.
Ha chiesto pertanto l’annullamento degli atti impugnati, instando altresì
per il risarcimento dei danni da essa subiti nella vicenda in esame. Il
tutto con vittoria delle spese di lite.
...
3. Nel merito, con i primi due motivi di gravame, che possono essere
esaminati congiuntamente, per comunanza delle relative censure, la
ricorrente deduce l’illegittimità delle impugnate ordinanze contingibili e
urgenti, avuto riguardo –in thesi– all’assenza della situazione di
eccezionalità/imprevedibilità, la quale cosa avrebbe imposto l’adozione di
rimedi di natura ordinaria.
Le censure sono infondate.
3.1. Premette anzitutto il Collegio che, per condivisa giurisprudenza
amministrativa: “deve ritenersi legittimo il ricorso all'istituto della
ordinanza contingibile ed urgente per la proroga del contratto del servizio
di gestione dei rifiuti, malgrado il Comune non si sia tempestivamente
attivato per la indizione della gara per l'affidamento di tale servizio, in
quanto la situazione di pericolo per la salute pubblica e l'ambiente
connesse alla gestione dei rifiuti, non fronteggiabile adeguatamente con le
ordinarie misure, legittimava comunque il sindaco all'esercizio dei poteri
"extra ordinem" riconosciutigli dall'ordinamento giuridico (art. 50 d.lgs.
18.08.2000 n. 267) e, di fronte all'urgenza di provvedere, non rileva
affatto chi o cosa abbia determinato la situazione di pericolo che il
provvedimento è rivolto a rimuovere” (TAR Lecce, I, 19.02.2019, n. 275).
In termini confermativi, si è condivisibilmente affermato che: “L'esecuzione
del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani
deve, in generale, essere svolto con efficacia ed immediatezza a tutela del
bene pubblico indicato dalla legge; pertanto qualora la necessità di
provvedere si appalesi imperiosa —specie al fine di prevenire eventuali
ipotesi di emergenze sanitarie e di igiene pubblica— il Sindaco può
legittimamente ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile ed
urgente, ai sensi dell' art. 50, comma 5, del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 ,
anche se sussiste una apposita disciplina che regoli, in via ordinaria, la
materia. L'acclarato legittimo esercizio del potere di ordinanza —in
presenza dei presupposti di cui all'art. 191 del T.U. ambiente— giustifica
la deroga ad ogni altra normativa di settore, essendo caratteristica propria
delle ordinanze ambientali di cui all' art. 191 del d.lgs. 152/2006 (così
come, in genere, di tutte le ordinanze extra ordinem contemplate
dall'ordinamento) quella di poter operare in deroga alle disposizioni
vigenti” (TAR Catania, IV, 16.09.2019, n. 2196).
3.2. Tanto premesso, e venendo ora alla fattispecie in esame, rileva il
Collegio che, con contratto rep. n. 2237/16 le parti hanno espressamente
pattuito (art. 2) che: “il contratto avrà durata di anni 2 (due) decorrenti
dal 27.06.2016, data di consegna dell’appalto sotto riserva di legge.
Qualora dopo la scadenza del contratto fosse necessario prorogare
l’affidamento per il tempo occorrente per l’espletamento di una nuova gara
di appalto, previa comunicazione inviata entro tre mesi dalla scadenza (…)
l’Impresa Appaltatrice sarà tenuta alla prosecuzione del servizio, in regime
di temporanea “prorogatio” per almeno trecento giorni e fino ad un massimo
di trecentosessanta giorni dalla naturale scadenza, senza poter pretendere,
in aggiunta al canone vigente al termine del periodo contrattuale ed agli
eventuali aggiornamenti ISTAT (…) indennizzo alcuno”.
Pertanto, sino al 26.06.2019 l’Amministrazione era legittimata a ricorrente
alla proroga, durante il tempo di “espletamento di una nuova gara di
appalto”.
In tal senso essa ha disposto con Determina n. 951/18, che ha disposto
proroga sino al 29.04.2019.
3.3. In data 18.03.2019 si è tenuta presso la Prefettura una riunione, nel
corso della quale il Direttore dell’Ager ha dichiarato che: “… sarebbe
necessario che il Sindaco adottasse provvedimenti extra ordinem previsti dal
TUEL al fine di scongiurare emergenze igienico-sanitarie”.
Sulla base di tale premesse, con ordinanza sindacale n. 53/19, visto il
bando di gara ponte pubblicato in data 08.04.2019, è stata disposta proroga
del servizio sino al 26.05.2019, e pertanto, entro il suddetto termine
contrattuale del 26.06.2019.
In pendenza del procedimento di affidamento della nuova gara, il servizio è
stato prorogato con l’impugnata ordinanza sindacale n. 76/19 sino al
27.06.2019, e pertanto, con un solo giorno di ritardo rispetto alla scadenza
del 26.06.2019.
Indi, con successiva ordinanza sindacale n. 95/19 (parimenti impugnata), è
stata disposta proroga del servizio sino al 16.07.2019.
4. Emerge pertanto da quanto sopra che:
- la proroga del servizio sino al 26.06.2019 era stata convenzionalmente
pattuita dalle parti, in pendenza dei presupposti (necessità di procedere
all’indizione di nuova gara di appalto);
- la successiva proroga sino al 16.07.2019 è stata disposta previa riunione
prefettizia, nella quale si è convenuto in ordine alla necessità di proroga,
stante la pendenza della procedura per l’affidamento del servizio in esame.
5. Per tali ragioni, reputa il Collegio che il ricorso all’ordinanza
contingibile e urgente costituisca esercizio non irragionevole di
discrezionalità amministrativa, essendo la proroga stata disposta al fine di
evitare soluzioni di continuità nella gestione e smaltimento dei rifiuti
solidi urbani, in pendenza della gara per l’affidamento del servizio.
6. Alla luce di tali considerazioni, i primi due motivi di gravame sono
infondati, e devono pertanto essere rigettati (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 19.07.2022 n. 1238 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2022 |
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APPALTI: Questo Consiglio ha più volte affermato che l’art. 89, comma 1, cod. appalti -nell’imporre in capo all’ausiliario l’esecuzione diretta dei lavori o dei
servizi in caso di avvalimento relativo ai «criteri relativi
all’indicazione dei titoli di studio e professionali di cui all’allegato
XVII, parte II, lett. f), o alle esperienze professionali pertinenti»-
pone una norma di stretta interpretazione, perché restringe l’ambito di operatività
dell’istituto tratteggiato al primo periodo della stessa disposizione,
secondo cui, «[l]’operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui
all’articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta
relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario,
tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lett. b) e c),
necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con
esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, nonché il possesso dei
requisiti di qualificazione di cui all’articolo 84, avvalendosi delle
capacità di altri soggetti, anche di partecipanti al raggruppamento, a
prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi».
---------------
7.- Con il secondo motivo di appello, Se. si duole che il Tar
Campania, in violazione dell’art. 89, comma 1, cod. contratti pubblici,
abbia escluso la necessità che, in relazione al requisito esperenziale sopra
detto, il contratto di avvalimento preveda un impegno diretto ed espresso
dall’ausiliaria a prestare in proprio le prestazioni oggetto del servizio.
Anche questa statuizione del primo giudice, che si fonda sulla medesima
considerazione sopra svolta -e cioè che oggetto del prestito non sia il
personale qualificato ma l’esperienza triennale di gestione- è corretta.
Questo Consiglio ha più volte affermato (sez. IV, sentenza
17.12.2020, n. 8111; sez. V, sentenza 26.04.2021, n. 3374; sez. III, sentenza 09.03.2020, 1704) che l’art. 89, comma 1, cod. appalti -nell’imporre in capo all’ausiliario l’esecuzione diretta dei lavori o dei
servizi in caso di avvalimento relativo ai «criteri relativi
all’indicazione dei titoli di studio e professionali di cui all’allegato
XVII, parte II, lett. f), o alle esperienze professionali pertinenti»-
pone una norma di stretta interpretazione (Consiglio di Stato, sezione VI,
sentenza 24.02.2022, n. 1308), perché restringe l’ambito di operatività
dell’istituto tratteggiato al primo periodo della stessa disposizione,
secondo cui, «[l]’operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui
all’articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta
relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario,
tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lett. b) e c),
necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con
esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, nonché il possesso dei
requisiti di qualificazione di cui all’articolo 84, avvalendosi delle
capacità di altri soggetti, anche di partecipanti al raggruppamento, a
prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi».
Nel caso di specie, pur avendo la gara ad oggetto la prestazione di
assistenza domiciliare da svolgersi a mezzo di operatori in possesso di
specifici titolo di studio (terapisti della riabilitazione, logopoedisti,
infermieri e operatori socio sanitari), la lex specialis non ha posto
quale requisito tecnico l’indicazione di tali titoli o l’esperienza
professionale degli operatori, ma, come detto al punto che precede,
l’esperienza dell’impresa nel settore (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 20.06.2022 n. 5022 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E’ noto che a dover essere specificamente e puntualmente motivata
deve essere la valutazione di anomalia, non quella che, invece, la escluda, sicché è sufficiente il
rinvio che il provvedimento di aggiudicazione fa alle valutazione positiva
del Rup, all’esito della procedura di valutazione di anomalia dell’offerta,
che si è dipanata in due richieste di giustificazioni, cui hanno fatto
seguito gli articolati chiarimenti del controinteressato e la produzione di
copiosa documentazione relativa alle statistiche aziendali.
---------------
E' stato statuito che:
- il discostamento delle tabelle ministeriali sul costo del lavoro,
di per sé, non è indice di incongruità dell’offerta, a meno che la
discordanza non sia considerevole e palesemente ingiustificata;
- in ogni caso, anche in ipotesi di discordanza considerevole, la
valutazione sull’anomalia dell’offerta è comunque frutto di un giudizio
tecnico discrezionale, globale e sintetico, sindacabile solo in caso di
manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza che rendano palese
l’inattendibilità complessiva dell’offerta;
- la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica
di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e
valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità
ed è sufficiente che tali stime si mostrino ragionevoli ed attendibili;
- l’amministrazione non deve fornire, in sede procedimentale, una
valutazione specifica sul giudizio di non anomalia;
- l’onere della prova dell’anomalia dell’offerta, nei termini
appena esposti, grava, invece, su chi intenda farla valere in giudizio.
---------------
9.2.- Nel merito, il motivo è infondato.
E’ noto, infatti, che a dover essere specificamente e puntualmente motivata
deve essere la valutazione di anomalia, non quella che, invece, la escluda
(tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 18.06.2021, n.
4712; sez. III, sentenza 18.01.2021, n. 544), sicché è sufficiente il
rinvio che il provvedimento di aggiudicazione fa alle valutazione positiva
del Rup, all’esito della procedura di valutazione di anomalia dell’offerta,
che si è dipanata in due richieste di giustificazioni, cui hanno fatto
seguito gli articolati chiarimenti del controinteressato e la produzione di
copiosa documentazione relativa alle statistiche aziendali.
...
10.3.- La motivazione del primo giudice, su entrambi i motivi in esame,
resiste alle censure dell’appellante.
Il Tar Campania ha premesso, in primo luogo, i principi che l’hanno guidato
nell’esame delle censure, affermando che:
- «la procedura di valutazione dell’anomalia dell’offerta è
volta all’accertamento sulla serietà, congruità ed attendibilità
dell’offerta stessa nel suo complesso e costituisce espressione di un potere
tecnico-discrezionale della stazione appaltante non sindacabile in sede di
legittimità, a meno che le valutazioni siano immotivate o manifestamente
illogiche, ovvero fondate sui errori di fatto o deficienze istruttorie, non
potendo il giudice adito procedere ad una autonoma verifica della congruità
dell’offerta e delle singole voci, ciò rappresentando un’inammissibile
invasione della sfera propria della Pubblica Amministrazione»;
- «l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti, a
dimostrazione della non anomalia della propria offerta, rientra nella
discrezionalità tecnica, con la conseguenza che soltanto in caso di
macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidenti errori di valutazione
oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il giudice di
legittimità può esercitare il proprio sindacato, ferma restando
l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello della Pubblica
Amministrazione»;
- «essendo lo scopo dell’indagine quello di accertare se in
concreto l’offerta sia, nel suo complesso, attendibile ed affidabile in
relazione alla corretta esecuzione dell’appalto, la valutazione di congruità
deve essere globale e sintetica e non può pertanto concentrarsi
esclusivamente ed in modo parcellizzato sulle singole voci di costo, non
avendo per oggetto la ricerca di singole inesattezze dell’offerta»;
- «più specificamente, ai valori del costo del lavoro risultanti
dalle tabelle ministeriali, si è chiarito oramai che essi rappresentano un
semplice parametro di valutazione della congruità dell’offerta, perciò
l’eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle
tabelle ministeriali non legittima un giudizio di anomalia o di incongruità
e occorre, perché possa dubitarsi della congruità, che la discordanza sia
considerevole e palesemente ingiustificata, alla luce di una valutazione
globale e sintetica, espressione di un potere tecnico-discrezionale
insindacabile salvo che la manifesta e macroscopica erroneità o
irragionevolezza non renda palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.07.2019, n. 5353)»;
- «la norma di cui all’art. 97, comma 5, lett. d), d.lgs.
50/2016 prevede l’esclusione non già nel caso di violazione del costo del
lavoro indicato nelle tabelle di cui al decreto ministeriale, ma soltanto
per la violazione dei minimi salariali retributivi indicati nelle dette
tabelle. Si tratta di una norma in linea con la giurisprudenza pregressa in
materia di tabelle indicanti il costo del lavoro, la quale, da un lato,
ha ammesso la derogabilità delle indicazioni risultanti dalle tabelle,
qualora l’impresa fornisca idonea giustificazione, mentre, dall’altro
lato, ha costantemente escluso la derogabilità dei minimi salariali
previsti dalla contrattazione collettiva, precludendo la giustificazione
delle relative violazioni».
Nel fare applicazione di tali principi al caso di specie e con specifico
riferimento alle censure dell’appellante, il primo giudice ha poi osservato
che:
- quanto, al monte ore mediamente lavorate, «le doglianze
formulate, concernendo in definitiva singole voci di costo, che, in ragione
di una particolare organizzazione aziendale nonché della compensazione tra
sottostime e sovrastime, risultano non dirimenti rispetto all’obiettivo
perseguito dalla ricorrente di dimostrare la complessiva antieconomicità e
implausibilità dell’offerta aggiudicataria in relazione alla corretta e
regolare esecuzione dell’appalto alle condizioni proposte, non essendo di
per sé significative della prospettata anomalia»;
- «la riduzione del costo del personale mediante scostamento dai
valori indicativi contenuti nelle tabelle ministeriali, infatti, non esclude
la congruità dell’offerta ove l’aggiudicatario, in sede di giustificazioni,
ne dimostri in concreto l’affidabilità e la sostenibilità, essendo chiaro
che il costo del lavoro non è uguale per tutte le imprese che partecipano
alla stessa procedura di gara, e che è ben possibile che un non eccessivo
scostamento trovi adeguata giustificazione nella particolare efficienza
dell’organizzazione aziendale oltre che nella possibilità per l’impresa di
realizzare economie di scala e/o di fruire di sgravi contributivi, o altre
condizioni di favore che consentono una riduzione dei costi del lavoro
rispetto a quello di altro operatore pur in parità di ore lavorate»;
- «nel caso all’esame, il minor tasso di assenteismo trova
supporto, oltre che nelle statistiche aziendali degli ultimi cinque anni, in
un’efficiente organizzazione del personale, in relazione alle peculiari
prestazioni oggetto di contratto, ex se comportanti un rapporto diretto,
anche fiduciario, tra l’operatore e il paziente, che, anche secondo le
plausibili valutazioni di conferma della S.A., consente di sopperire alle
assenze dell’operatore, tenuto conto della peculiarità del servizio
assistenziale svolto, non con la individuazione di sostituti (da cui
scaturirebbe l’abbassamento delle ore medie lavorate di ciascun
operatore/dipendente, secondo l’impostazione di parte ricorrente), quanto
piuttosto con una diversa articolazione del lavoro del medesimo operatore»;
- «in sede di formulazione dell’offerta e di conseguente
verifica della sua congruità, è consentito alle imprese tener conto della
determinazione di un tasso di assenteismo reale, fondato sulla concreta
esperienza lavorativa dell’impresa interessata, purché lo stesso rifletta
l’organizzazione e le modalità di lavoro dell’impresa nella quale saranno
inseriti ed alla quale dovranno comunque conformarsi anche i lavoratori
provenienti dal precedente gestore. Va inoltre considerato che dalle
giustificazioni offerte è emersa la possibilità di coprire eventuali
diseconomie conseguenti ad un tasso di assenza maggiore di quello
immaginato, da un lato, compensandole con le economie derivanti dalla
diversificazione delle retribuzioni globali e dalle relative sovrastime
(essendo state “livellate” verso l’alto alcune voci, come, ad esempio, gli
scatti di anzianità, pur nella consapevolezza che i 5 scatti spetteranno, ad
un minore numero di operatori, posto che la gran parte dei dipendenti del
gestore uscente risultano assunti solo di recente) e, dall’altro, in ragione
della previsione di un utile di impresa abbastanza ampio, in grado di
coprire eventuali disarmonie»;
- «quanto inoltre alla contestata errata decontribuzione SUD di
cui alla legge 178/2020, in disparte quanto rimarcato dalle difese
resistenti circa l’impegno statale alla proroga fino al 31.12.2029 (come
peraltro già previsto dal comma 165 dell’art. 1, per cui “Dal 01.07.2021 al
31.12.2029 l’agevolazione di cui al comma 161 è concessa previa adozione
della decisione di autorizzazione della Commissione europea ai sensi
dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea e nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa applicabile
in materia di aiuti di Stato”), va in ogni caso dato atto della circostanza
che, in caso di mancata autorizzazione in sede europea, […] l’aggiudicataria
potrebbe beneficiare di altre agevolazioni, come peraltro ipotizzato dalla
stessa ricorrente a pag. 27 del ricorso, sotto forma di contributi de
minimis (€ 200.000 nel triennio dell’affidamento 2022-2024) in favore delle
cinque imprese esecutrici dell’appalto (Ac., Ge., Me. d’o., Me. ed Ic.), di
talché in ogni caso l’aumentato costo del lavoro non inficerebbe la
sostenibilità dell’offerta nel suo complesso, tenuto conto dell’ampio
margine di utile previsto, e considerato che nell’ambito delle procedure di
gara pubbliche, in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, salvo il
caso in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è dato stabilire
una soglia di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi
anomala (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 22.03.2021, n. 2437)».
Le osservazioni e le conclusioni raggiunte dal primo giudice sono
condivisibili.
Risultano dirimenti, in particolare, le seguenti considerazioni:
- il discostamento delle tabelle ministeriali sul costo del lavoro,
di per sé, non è indice di incongruità dell’offerta, a meno che la
discordanza non sia considerevole e palesemente ingiustificata;
- in ogni caso, anche in ipotesi di discordanza considerevole, la
valutazione sull’anomalia dell’offerta è comunque frutto di un giudizio
tecnico discrezionale, globale e sintetico, sindacabile solo in caso di
manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza che rendano palese
l’inattendibilità complessiva dell’offerta;
- la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica
di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e
valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità
ed è sufficiente che tali stime si mostrino ragionevoli ed attendibili
(Consiglio di Stato, sez. V, sentenze 25.05.2022, n. 4191, e
08.06.2018, n. 3480);
- l’amministrazione non deve fornire, in sede procedimentale, una
valutazione specifica sul giudizio di non anomalia;
- l’onere della prova dell’anomalia dell’offerta, nei termini
appena esposti, grava, invece, su chi intenda farla valere in giudizio (tra
le tante, Consiglio di Stato, sez. V, sentenze 19.04.2021, n. 3167,
e 30.11.2020, n. 7554; sez. IV, sentenza 04.06.2020, n. 3528) (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 20.06.2022 n. 5022 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
Consiglio di Stato si pronuncia in materia di valutazione delle pregresse
vicende professionali dichiarate dal concorrente ai fini dell’ammissione o
esclusione dalla gara.
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Contratti della Pubblica Amministrazione - Gara- Ammissione ed
esclusione.
Il provvedimento con il quale una stazione
appaltante ammette alla gara un concorrente ritenendo non rilevanti a tal
fine le pregresse vicende professionali da questi dichiarate non richiede in
linea di massima un’analitica motivazione in proposito, ma è correttamente e
congruamente motivato anche con il fatto stesso dell’ammissione, dato che in
questo caso la motivazione si desume per implicito e si identifica con
l’adesione alle controdeduzioni sul punto del concorrente stesso.
Un’espressa e puntuale motivazione, preceduta se del caso dalla necessaria
istruttoria, si richiede invece nel provvedimento di ammissione pronunciato
ove vi sia contestazione sul punto da parte degli altri concorrenti ovvero
in presenza di vicende professionali pregresse di evidente particolare
rilevanza.
Un’espressa e puntuale motivazione si richiede altresì per il provvedimento
di esclusione, che deve spiegare perché un presunto illecito professionale
si sia ritenuto esistente e tanto grave da escludere l’affidabilità del
concorrente.
Non è determinante nel senso dell’esclusione il fatto che determinate
circostanze siano state considerate giusta causa a tal fine da altra
stazione appaltante (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.06.2022 n. 4831 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
11.2. In linea generale va ricordato che:
- ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 50/2016,
l’esclusione per motivi di onorabilità e affidabilità è rimessa all’ampia
valutazione discrezionale della stazione appaltante così come è
discrezionale la valutazione di cui alle successive lettere c-bis, c-ter e
c-quater; in tal senso, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ha
ribadito che relativamente al giudizio svolto dalla stazione appaltante
operano “i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a
valutazioni di carattere discrezionale in cui l'amministrazione sola è
chiamata a fissare "il punto di rottura dell'affidamento nel pregresso e/o
futuro contraente" [Cassazione, sezioni unite civili, nella sentenza del
17.02.2012, n. 2312, che ha annullato per eccesso di potere giurisdizionale
una sentenza di questo Consiglio di Stato che aveva a sua volta ritenuto
illegittimo il giudizio di affidabilità professionale espresso
dall'amministrazione in relazione all'allora vigente art. 38, comma 1, lett.
f), dell'abrogato codice dei contratti pubblici di cui al decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163]; limiti che non escludono in radice,
ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma che
impongono al giudice una valutazione della correttezza dell'esercizio del
potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e
all'attendibilità della scelta effettuata dall'amministrazione”
(decisione n. 16 del 20.08.2020, par. 15);
- la stazione appaltante che procede all’ammissione alla gara di
un’impresa, non ritenendo rilevanti le pregresse vicende professionali
dichiarate dal concorrente, non è tenuta a esplicitare in maniera analitica
le ragioni di siffatto convincimento, potendo la motivazione risultare anche
implicitamente o per facta concludentia, ossia con la stessa
ammissione alla gara dell’impresa (Cons. Stato, sez. V, 19.02.2021, n. 1500;
id. 09.09.2019, n. 6112);
- la motivazione può essere ricavata per relationem
dall’adesione della stazione appaltante alle argomentazioni con cui, nel
rendere le rispettive controdeduzioni, le società partecipanti alla gara
hanno contestualmente indicato le ragioni idonee ad escludere l’incidenza
delle vicende ivi indicate sulla propria integrità e affidabilità
professionale (Cons. Stato, sez. IV, 10.11.2021, n. 7501).
- è invece il provvedimento di esclusione, fondato sulla
valutazione della esistenza di un illecito professionale e sulla sua
qualificazione in termini di “gravità” tali da minare la affidabilità
del concorrente, a necessitare di una espressa e puntuale motivazione; la
stazione appaltante deve quindi motivare puntualmente le esclusioni, e non
anche le ammissioni, se su di esse non vi è, in gara, contestazione (Cons.
Stato, sez. V, 05.05.2020, n. 2850; id., VI, 18.05.2016, n. 3198);
- solo una pregressa vicenda professionale che appaia, ictu
oculi, di particolare rilevanza, impone alle Amministrazioni oneri
positivi di istruttoria e di motivazione, in funzione di tutela delle
legittime aspirazioni degli altri concorrenti e del più generale interesse
pubblico alla retta e trasparente conduzione della procedura (Cons. Stato,
sez. V, n. 1500 del 2021, cit.).
...
11.6. Del tutto irrilevante, infine, è la circostanza che in alcuni
precedenti giurisprudenziali i medesimi fatti commessi dall’aggiudicataria
sarebbero stati considerati come cause di esclusione dell’odierna appellata.
Al riguardo, la Sezione ha infatti già evidenziato (sentenza 31.12.2020, n.
8563) che la stazione appaltante conserva un’autonoma sfera di
discrezionalità nel valutare i fatti che possono minare l’affidabilità degli
operatori economici partecipanti alla gara, senza che possa assumere rilievo
determinante la circostanza che quei medesimi fatti siano stati considerati
giusta causa di esclusione da parte di un’altra stazione appaltante.
In tal senso, la Sezione ha richiamato la giurisprudenza della Corte di
Giustizia, secondo cui “se un'amministrazione aggiudicatrice dovesse
essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo,
le sarebbe probabilmente difficile accordare un'attenzione particolare al
principio di proporzionalità al momento dell'applicazione dei motivi
facoltativi di esclusione” (Corte di giustizia UE, Sez. IV, sentenza del
19.06.2019, in causa C-41/18).
...
19.2. In primo luogo, si osserva che non è contestata la circostanza che i
fatti cui si riferiscono le predette esclusioni, nella gara in esame siano
stati integralmente dichiarati.
Tale circostanza priva di rilevanza i più recenti arresti giurisprudenziali
citati dalla società appellante, addotti quali sintomatici di un contrasto
giurisprudenziale in materia.
In tali pronunce è stata infatti sottolineato che l’obbligo di dichiarare
una precedente esclusione “è formula sintetica per dire che il concorrente è
tenuto a dichiarare quella pregressa vicenda professionale astrattamente in
grado di far dubitare della sua integrità e affidabilità professionale come
operatore chiamato all’esecuzione di un contratto d’appalto (che abbia
condotto la stazione appaltante ad adottare un provvedimento di esclusione”
(Cons. Stato, Sez. V, 20.09.2021, n. 6407), ovvero che l’esclusione
può essere comminata quando “per effetto del silenzio serbato dall’offerente
sulle pregresse esclusioni, la stazione appaltante non sia stata messa nelle
condizioni di aver conoscenza di uno o più precedenti significativi in grado
di orientarne il giudizio” (Cons. St., Sez. III, 24.12.2021, n. 8596).
Nel caso in esame, al contrario, non solo le vicende oggetto delle
precedenti esclusioni sono state dichiarate da -OMISSIS- ma il Comune ha
comunque chiesto ulteriori chiarimenti, i quali sono stati debitamente
forniti dall’impresa (cfr. i documenti n. 22 e n. 23, depositati in primo
grado del Comune).
L’Amministrazione ha quindi legittimamente ritenuto tali episodi, relativi
ad altre gare, non ostativi all’ammissione di -OMISSIS-, in linea con
l’orientamento richiamato dal Tar, secondo cui “il partecipante ad una
gara di appalto non è tenuto a dichiarare le esclusioni comminate nei suoi
confronti in precedenti gare per aver dichiarato circostanze non veritiere,
poiché, al di là dei provvedimenti sanzionatori spettanti all’ANAC in caso
di dolo o colpa grave nel mendacio, la causa di esclusione dell’omettere le
informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di
selezione si riferisce –e si conclude– all’interno della procedura di gara
in cui è maturata (in termini, Cons. Stato, V, 09.01.2019, n. 196; V, 21.11.2018, n. 6576; V, 13.09.2018, n. 5365; V, 26.07.2018, n.
4594)” (Cons. Stato, sez. V, 03.02.2021, n. 1000).
Il rilievo meramente interno alla singola procedura di gara della tipologia
di esclusione in esame, trova poi conferma anche nella giurisprudenza più
recente, la quale ha sottolineato che il legislatore ha chiaramente definito
le condotte che danno luogo ad una esclusione automatica prolungata nel
tempo da ogni procedura di gara, “così mostrando il chiaro intento di
specificare i casi che per il loro disvalore possono giustificare il
propagarsi degli effetti espulsivi in via automatica.
Si tratta dei casi per
i quali è prevista l’iscrizione nel casellario informatico tenuto dall’A.n.a.c.
(art. 213, comma 10, d.lgs. 18.04.2016, n. 50) vale a dire la
presentazione in gara di false dichiarazioni o di falsa documentazione e a
condizione che l’A.n.a.c. ravvisi che esse siano state rese con dolo o colpa
grave “in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto
della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione”
(così il comma 12 del citato art. 80); questi episodi comportano
l’esclusione da ogni procedura di gara per il tempo in cui perdura
l’iscrizione nel casellario giudiziario (cfr. art. 80, comma 5, lett. f-ter
e g).
Sarebbe, allora, poco ragionevole che il legislatore, da un lato, abbia
previsto in dettaglio quelle vicende tra le varie previste dal comma 5
dell’art. 80 cit. che danno luogo a prolungata esclusione da ogni procedura
di gara e, dall’altro, al comma 10–bis abbia poi introdotto una
generalizzata estensione temporale dei provvedimenti di espulsione,
valevole, cioè, quale che sia stata la causa di esclusione tra quelle
previste dal comma 5 dell’art. 80 e per ogni altra procedura di gara” (Cons.
Stato, sez. V, n. 8406 del 16.12.2021).
Vero è che “v’è un obbligo dichiarativo a carico dell’operatore economico
che è comunque tenuto a dichiarare in altre procedure il precedente
provvedimento espulsivo subito, con conseguente onere dell’altra stazione
appaltante, nella procedura di gara da sé stessa indetta, di (ri)valutare
nuovamente l’episodio causa di esclusione e decidere autonomamente se
ammettere il concorrente o (ri)affermare nuovamente la rilevanza espulsiva
della condotta”.
Tuttavia non si può predicare alcun effetto espulsivo automatico dalla nuova
procedura di gara cui l’impresa abbia richiesto di partecipare, sussistendo
un principio generale per il quale “ogni provvedimento di esclusione si
genera e si consuma all’interno della procedura di gara per il quale è stato
adottato dalla stazione appaltante […] salvi gli obblighi dichiarativi in
capo a ciascun operatore economico che dovrà informare la stazione
appaltante delle precedenti esclusioni; in coerenza logica, la disposizione
del comma 10–bis si pone quale norma di chiusura di questo microsistema
poiché delimita il periodo di rilevanza ai fini espulsivi di una pregressa
vicenda professionale della quale sia stata informata la stazione appaltante
(e correlativo il periodo al quale gli obblighi dichiarativo debbono aver
riferimento)” (così ancora la sentenza n. 8406/2021, cit.) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.06.2022 n. 4831 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
commissione di gara non può disapplicare, integrare o modificare la lex
specialis.
Le norme cristallizzate nel bando di gara vincolano
rigidamente l'operato dell'Amministrazione e della commissione, che non può
disapplicare, integrare o modificare le disposizioni di un bando.
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17. Una questione, in particolare, decide la controversia.
18. E’ del tutto pacifico che la Commissione, in relazione al criterio
numero uno, non abbia applicato la formula prevista dalla lex specialis,
ma una formula del tutto differente in aperta violazione della regola
secondo cui le norme cristallizzate nel bando di gara, vincolano rigidamente
l'operato dell'Amministrazione e della commissione, che non può disapplicare,
integrare o modificare le disposizioni di un bando.
Quel che è poi del tutto pacifico è che la formula non era preventivamente
conosciuta dai concorrenti.
18.1. Si è verificato quel che questa Sezione aveva già puntualmente
osservato in sede cautelare (ordinanza n. 2167/2021) e cioè che si sono
alterati gli aspetti di affinità valutabili, a vantaggio dei requisiti di
carattere dimensionale ed a scapito dei profili tipologici e di complessità
dei medesimi servizi. Tale statuizione, contrariamente a quanto affermato
dalla controinteressata non viene affatto scalfita dalla nota del
05.05.2021, depositata in prime cure dal Comune (documento 11 produzioni
della controinteressata), ed ignota a questa Sezione alla data di adozione
dell’ordinanza Cautelare n. 2167 del 23.04.2021.
La nota, pur prescindendo dalla assoluta irrilevanza di una sorta di “interpretazione
autentica” dei lavori della Commissione, paradossalmente, avvalora gli
argomenti dell’appellante (Consiglio
di Stato, sezione V,
sentenza 13.06.2022 n. 4793 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Ammessi
servizi comuni fra enti. Cooperazione possibile, ma senza corrispettivi in
denaro. L'avvocato generale della Corte di giustizia
Ue sull'in house in deroga al principio di gara.
La cooperazione fra amministrazioni è ammessa e consente di evitare la gara
pubblica se vi sono interessi comuni e se non sia previsto un prezzo per lo
svolgimento dei servizi «comuni».
Sono queste le
conclusioni 09.06.2022
nelle cause riunite C-383/21 e C-384/21
che ha esposto l'avvocato generale della Corte di giustizia Ue (Manuel
Campos Sánchez-Bordona), interessanti al fine di enucleare i principi che
governano a livello di diritto «eurounitario» la cooperazione fra
soggetti pubblici che consente di evitare la gara.
La vicenda affrontata nella controversia rimessa alla Corte dal giudice
nazionale nasce In Belgio e riguarda una «convenzione quadro di appalto»
fra una società di edilizia residenziale pubblica e un comune. Nell'ambito
di questa convenzione, un contratto di assistenza tecnica per la costruzione
di alloggi e un altro su servizi di inventario amianto che non sarebbero
stati aggiudicati con procedura di gara, ma affidati direttamente a una
terza entità, pubblica.
Nella sostanza, quindi, le due società avevano preferito non rivolgersi al
mercato e avevano evitato le ordinarie procedure di appalto pubblico per
l'acquisizione dei servizi. Si era in presenza di una entità in house
controllata congiuntamente da due amministrazioni aggiudicatrici e si
discuteva quindi sull'applicabilità o meno della direttiva appalti 2014/24.
A tale riguardo l'avvocato generale ha fatto presente che il fatto che
entrambe le parti di un accordo siano esse stesse autorità pubbliche non
esclude di per sé l'applicazione delle norme sugli appalti. Tuttavia,
l'applicazione delle norme sugli appalti pubblici non dovrebbe interferire
con la libertà delle autorità pubbliche di svolgere i compiti di servizio
pubblico affidati loro utilizzando le loro stesse risorse, compresa la
possibilità di cooperare con altre autorità pubbliche.
Ciò premesso, l'avvocato generale ha sottoposto alla Corte (che a breve
deciderà) la tesi per cui un'amministrazione aggiudicatrice che intenda
affidare un appalto pubblico rientrante nell'ambito di applicazione della
direttiva senza assoggettarsi alle procedure di aggiudicazione da essa
previste, deve rispettare comunque le condizioni di cui al suo articolo 12
(che prevede i requisiti del controllo analogo, cosiddetto in house
verticale, e della cooperazione fra soggetti pubblici, cosiddetto in
house orizzontale) e questo a partire dalla data limite per il
recepimento nel diritto interno della direttiva (al momento dell'affidamento
il Belgio non aveva ancora recepito la direttiva europea).
L'assoggettamento all'articolo 12, paragrafi 3 e 4, prima della
trasposizione della direttiva non deriva, ha sostenuto l'avvocato generale
nelle conclusioni, da un eventuale effetto diretto di tali disposizioni, ma
«dall'obbligo incombente a tutte le autorità statali di conformarsi alle
disposizioni delle direttive (articolo 288, terzo comma, Tfue) nonché di
cooperare lealmente e di assicurare la piena esecuzione degli obblighi
derivanti dai Trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni».
In particolare, ha affermato l'avvocato generale, l'articolo 12 (nei suoi
due commi) deve essere interpretato nel senso che, se uno stato ha scelto di
ricorrere alla facoltà di esclusione della gara, non si può parlare di
esistenza di una cooperazione (orizzontale) tra amministrazioni
aggiudicatrici quando la relazione che le lega, nel cui contesto esse si
impegnano a fornire i loro rispettivi servizi, non persegue obiettivi comuni
a tutte le predette amministrazioni.
Inoltre, non si può evitare di applicare la direttive 24/2014 (e quindi
evitare la gara) in presenza di una relazione tra amministrazioni
aggiudicatrici indipendenti nella quale una ottiene un servizio dall'altra a
fronte esclusivamente di un corrispettivo in denaro
(articolo ItaliaOggi del 17.06.2022).
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MASSIMA
V. Conclusioni
80. Per i motivi esposti, propongo che la Corte di giustizia
risponda al Conseil d’État (Consiglio di Stato, che agisce come Corte
suprema amministrativa, Belgio) nei seguenti termini:
«1) Un’amministrazione aggiudicatrice che intenda
aggiudicare un appalto pubblico rientrante nell’ambito di applicazione della
direttiva n. 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26
febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE,
senza assoggettarsi alle procedure di aggiudicazione da essa previste, deve
rispettare le condizioni di cui al suo articolo 12 a partire dalla data
limite per il recepimento nel diritto interno di tale direttiva qualora, a
tale data, detto recepimento non abbia avuto luogo.
2) L’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 deve essere
interpretato nel senso che:
– esclude l’esistenza di una cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici
quando la relazione che le lega, nel cui contesto esse si impegnano a
fornire i loro rispettivi servizi, non persegue obiettivi comuni a tutte le
predette amministrazioni;
– non è applicabile a una relazione tra amministrazioni aggiudicatrici
indipendenti nella quale una ottiene un servizio dall’altra a fronte
esclusivamente di un corrispettivo in denaro». |
APPALTI: Le
stazioni appaltanti non possono sindacare le certificazioni riguardanti la
regolarità fiscale e contributiva delle imprese.
In materia di gare pubbliche, le certificazioni relative
alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti,
emanate dagli organi preposti, si impongono alle stazioni appaltanti che non
possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse
alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali
certificazioni.
Spetta, infatti, in via esclusiva all'Agenzia delle Entrate il compito di
dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a una gara
pubblica, non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di autonomo
apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria,
ciò al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione
previdenziale, riservata agli enti previdenziali.
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La stazione appaltante ha effettuato l’interrogazione in data 18.02.2021 e
il portale AVC-Pass, con elaborazione in data 03.03.2021, ha fornito esito
di irregolarità con riferimento all’ambito provinciale di Cosenza.
Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (TAR Campania, Napoli Sez.
I, 03.02.2022, n. 775; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 8/2012;
Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2682/2013; TAR Campania, Napoli, Sez. I,
09.01.2020, n. 114; TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 07.05.2021, n. 681; TAR
Veneto, Venezia, Sez. I, 18.03.2021, n. 378; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII,
09.03.2020, n. 1053; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 11.11.2019, n. 5341; TAR
Lazio, Roma, Sez. III, 22.01.2019, n. 810; Consiglio di Stato, Sez. V,
08.04.2019, n. 2279; Consiglio di Stato, Sez. V, 12.02.2018, n. 856;
Consiglio di Stato, Sez. V, 21.06.2012, n. 3663; Consiglio di Stato, Sez. V,
18.01.2011, n. 789; TAR Campania Napoli Sez. I, 09.01.2020, n. 114), in
materia di gare pubbliche, le certificazioni relative alla regolarità
contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi
preposti si impongono alle stazioni appaltanti che non possono in alcun modo
sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo
sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni: spetta, infatti, in
via esclusiva all'Agenzia delle Entrate il compito di dare un giudizio sulla
regolarità fiscale dei partecipanti a una gara pubblica, non disponendo la
stazione appaltante di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto
delle certificazioni di regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione
circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti
previdenziali (TAR Sicilia-Catania,
Sez. III,
sentenza 08.06.2022 n. 1554 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Caro
materiali, troppe anomalie. Tar Lazio: dati non congrui, rilevazioni dei
prezzi da rifare. Accolto il ricorso dell'Ance sul decreto del Mims relativo
alle compensazioni per le imprese
Il decreto del Mims (ministero infrastrutture e
mobilità sostenibili) di rilevazione degli aumenti dei prezzi dei materiali
da costruzioni nel primo semestre 2021, che funge da base per le
compensazioni da riconoscere alle imprese, deve essere sottoposto a
revisione in ragione delle evidenti discrasie di alcuni prezzi.
Il TAR Lazio-Roma, Sez. III, con la
sentenza 03.06.2022 n. 7215
ha annullato parzialmente il decreto dell'11.11.2021 (poi modificato il 7
dicembre per rettificare il prezzo medio di un materiale) emesso ai sensi
dell'art. 1-septies del decreto-legge 25.05.2021 n. 73 (cosiddetto Decreto
Sostegni bis), per dare il via ad un meccanismo straordinario di adeguamento
dei prezzi dei materiali da costruzione impiegati nei contratti in corso di
esecuzione con «compensazioni, in aumento o in diminuzione», per le
variazioni percentuali di prezzo, rispetto al prezzo medio dell'anno
d'offerta, «eccedenti l'8% se riferite esclusivamente all'anno 2021 ed
eccedenti il 10% complessivo se riferite a più anni».
Nel ricorso presentato dall'Ance (l'associazione dei costruttori edili) si
eccepiva la parte in cui, in assenza di criteri univoci di rilevazione e in
presenza di dati ritenuti evidentemente irragionevoli e contraddittori
trasmessi da provveditorati, Unioncamere e Istat, nel decreto era stato
riportato un aumento percentuale del tutto irragionevole e di gran lunga
inferiore all'aumento reale registrato sul mercato per 15 materiali (dalle
lamiere in acciaio, ai chiusini in ghisa, alle tubazioni in ferro e Pvc
rigido, al legname e alle fibre in acciaio per il rinforzo del
calcestruzzo).
L'azione dell'Ance era corroborata da una rilevazione autonoma su 24
materiali ritenuti più significativi dall'associazione ed era mirata a
contestare la metodologia adottata dal ministero evidenziando
preliminarmente come la scelta di partenza dei 56 materiali da costruzione
effettuata nell'anno 2006 non fosse più attuale; venivano quindi indicate
alcune discrasie, a titolo esemplificativo, rinvenute nella rilevazione
degli aumenti durante il primo semestre e si contestava il fatto che il
ministero si fosse limitato ad «assemblare», tramite meri calcoli
aritmetici, i dati trasmessi dalle tre fonti di rilevazione, senza quindi
svolgere una reale istruttoria.
Il Tar, ha respinto un'eccezione di inammissibilità, e ha accolto in parte
il ricorso riconoscendo che dal raffronto dei dati resi all'esito delle
rilevazioni effettuate dai provveditorati, da un lato, e dalle camere
di commercio dall'altro, il disallineamento tra la media prezzi
ricavata dai due istituti di rilevazione risulta talmente ampio per alcuni
materiali «da rendere evidente la presenza di anomalie nel reperimento e
nell'elaborazione dei dati stessi; anche l'esame dei dati offerti dai
singoli provveditorati evidenzia rilevanti disallineamenti».
Pur tenendo conto dei differenti contesti territoriali risultava assai
anomalo un range di variazione oscillante tra lo zero (Emilia Romagna) e
oltre il 100% di altri contesti. Per il Tar si sarebbe dovuto «acclarare
in maniera approfondita la causa che aveva generato tali anomalie e
approntare i necessari correttivi mediante l'implementazione delle
informazioni necessarie alla stabilizzazione del dato».
I giudici hanno riconosciuto che i dati non sono congrui, ma hanno respinto
la richiesta dell'Ance di adottare rilevazioni esterne, essendo il sistema
di rilevazione ministeriale dotato di «una propria complessiva validità.
La sentenza ha chiesto al ministero un «supplemento istruttorio, condotto
anche autonomamente ed eventualmente facendo ricorso anche ad altre fonti e
tenendo, se del caso, anche conto delle introdotte nuove metodiche di
rilevazione, revisione e aggregazione dei dati» (articolo ItaliaOggi del
10.06.2022). |
LAVORI PUBBLICI: Caro-materiali,
cosa succede alle compensazioni dopo lo stop del Tar al decreto prezzi del
Mims.
Con la recente
sentenza 03.06.2022 n. 7215
del TAR Lazio-Roma, Sez. III, il giudice amministrativo ha
censurato il decreto del Mims dell'11.11.2021, recante le variazioni
percentuali dei prezzi dei
materiali di costruzione più significativi per il primo semestre 2021,
emanato in attuazione
dell'articolo 1-septies del decreto legge 73/2021.
Al di là delle motivazioni che hanno portato il Tar Lazio a queste
conclusioni –per le quali si rinvia
all'articolo pubblicato lunedì 6 giugno– occorre analizzare gli effetti che
la pronuncia è destinata ad
avere sul complesso e importante tema delle compensazioni/revisione dei
corrispettivi d'appalto,
oggetto recentemente di ripetuti interventi legislativi.
Nello specifico, questi effetti vanno valutati in relazione a due distinte
situazioni. In primo luogo,
occorre verificare in che misura la pronuncia vada a incidere sulle
compensazioni già eventualmente
riconosciute in base al decreto del Mims oggetto di censura, ovvero su
quelle ancora da riconoscere.
Il secondo tema –meno rilevante da un punto di vista di immediata
operatività, ma significativo in
prospettiva– riguarda le indicazioni che si possono trarre dalla sentenza
in relazione ai diversi
meccanismi compensativi delineati dalle norme successive (il decreto legge
4/2022 e il decreto legge
5/2022).
Il principio affermato dal Tar Lazio
In estrema sintesi il giudice amministrativo ha censurato il decreto del
Mims per difetto di
istruttoria. Ha infatti ritenuto che, a fronte di una pluralità di dati
provenienti da diverse fonti e
recanti elementi di disomogeneità e incompletezza, il Mims non avrebbe
dovuto limitarsi alla
semplice acquisizione degli stessi, non accompagnata da alcuna revisione
critica, trasferendoli come
tali nel decreto.
Al contrario, avrebbe dovuto accertare la causa delle
rilevate incongruenze, acquisire
tutte le necessarie informazioni aggiuntive e solo a quel punto, dopo le
necessarie integrazioni e
adattamenti, procedere all'emanazione del decreto. In sostanza, in presenza
di una situazione che –anche a causa dell'eccezionalità della situazione– presentava oggettive
difficoltà di reperimento dei
dati o che evidenziava l'incompletezza degli stessi o palesi incongruenze o
anomalie, il Ministero
avrebbe dovuto procedere con un adeguato supplemento istruttorio, per non
incorrere nella
violazione dei criteri di ragionevolezza e di adeguata motivazione.
L'evidente carenza di istruttoria è stata quindi posta alla base della
pronuncia del Tar Lazio. È stato
quindi accolto il ricorso ed è stato disposto che il Mims debba procedere
allo svolgimento di un
supplemento istruttorio, condotto anche autonomamente ed eventualmente
facendo ricorso anche
ad altre fonti e tenendo conto delle nuove metodiche di rilevazione,
revisione e aggregazione dei dati.
Gli effetti sulle compensazioni riconosciute e su quelle
ancora da riconoscere
I termini dell'accoglimento del ricorso da parte del giudice amministrativo
rappresentano l'elemento
fondamentale da tenere in considerazione ai fini dell'analisi degli effetti
della pronuncia sia sulle
compensazioni eventualmente già disposte –che peraltro risultano essere in
misura esigua– sia su
quelle ancora da disporre.
Occorre preliminarmente considerare che nel rivolgersi al giudice
amministrativo il ricorrente aveva
articolato una duplice domanda.
In via principale chiedeva l'annullamento
del decreto del Mims,
mentre in via subordinata veniva richiesto l'accertamento della sua
illegittimità nella formulazione
contestata con conseguente parziale integrazione dello stesso. Il Tar ha
accolto il ricorso in relazione
a questa seconda domanda. Ciò implica che il decreto del Mims non è stato
oggetto di annullamento
ma ne è stata accertata la non piena legittimità, nel contempo gravando il Mims di un'ulteriore
attività istruttoria necessaria per renderlo pienamente legittimo attraverso
le necessarie integrazioni
e modifiche.
Il mancato annullamento del decreto ha una duplice conseguenza ai fini che
si stanno analizzando.
In relazione alle compensazioni eventualmente già riconosciute sulla base
del decreto, le stesse
restano ferme, e non si pone alcuna questione di invalidità degli atti che
le hanno disposte. Questa
conclusione trova giustificazione nel fatto che il decreto del Mims,
pienamente legittimo al momento
in cui la compensazione è sta effettuata, non viene comunque annullato, ma
ne viene riconosciuta
una illegittimità parziale e sanabile.
Si deve peraltro ritenere che successivamente al completamento dell'attività
istruttoria da parte del
Mims e alla conseguente emanazione del decreto aggiornato le stazioni
appaltanti debbano
procedere a operare i relativi conguagli che tengano conto dei nuovi dati
rilevati rispetto a quelli
contenuti nel decreto originario. Se infatti è vero che le compensazioni
sono state effettuate sulla
base di un decreto all'epoca pienamente legittimo, è anche vero che la
successiva modificazione dei
dati rilevati non può considerarsi priva di effetti, anche per non creare
ingiustificate situazioni di
disparità di trattamento.
Più articolata si presenta la questione in relazione alle compensazioni
ancora da riconoscere e
corrispondere. In termini rigorosi la dichiarata parziale illegittimità del
decreto del Mims –per
rimuovere la quale il giudice amministrativo ha imposto un supplemento di
istruttoria– non
potrebbe consentire che lo stesso sia posto a base del calcolo delle future
compensazioni.
Se il
giudice amministrativo ha ritenuto i dati recepiti nel decreto non
attendibili, risulterebbe
contraddittorio e viziato il riconoscimento di compensazioni sulla base
degli stessi. Ciò considerando
che il giudizio di illegittimità parziale ha colpito proprio i dati
contenuti nel decreto di cui si dovrebbe fare applicazione per determinare
quanto dovuto a titolo di compensazione. La soluzione
di non procedere ad alcuna compensazione fino a quando il supplemento di
istruttoria non venga
ultimato e il Mims proceda quindi a riemanare il proprio decreto debitamente
modificato è
sicuramente quella in astratto preferibile.
Tuttavia vi sono esigenze operative molto sentite che possono spingere a
verificare anche la
praticabilità di soluzioni alternative. Occorre infatti in primo luogo
considerare che la norma di
riferimento è stata dettata per far fronte a situazioni eccezionali di
natura emergenziale, rispetto alle
quali la tempestività dell'adozione di tutte le misure necessarie -non
ultime l'adozione da parte elle
stazioni appaltanti dei provvedimenti che riconoscono le compensazioni-
riveste un ruolo centrale
per l'efficacia del meccanismo delineato. D'altro canto il decreto del Mims
–come detto– non è stato
dichiarato totalmente illegittimo e quindi annullato nella sua integralità,
ma ne è stata riconosciuta
l'illegittimità parziale in relazione alla ritenuta insufficienza
dell'attività istruttoria posta alla base
della definizione dei relativi contenuti.
La combinazione coordinata delle due considerazioni evidenziate potrebbe
anche portare –in una
logica attenta alle esigenze operative– a una soluzione che intanto
consenta di continuare a
riconoscere le compensazioni sulla base dei dati contenuti nel decreto,
parzialmente illegittimo ma
non annullato e quindi ancora in grado di produrre effetti giuridici.
Soluzione che magari potrebbe
trovare una qualche forma di riconoscimento attraverso una circolare o altro
provvedimento del
Mims, che consenta di operare le compensazioni in attesa dell'emanazione del
nuovo decreto.
Evidentemente anche in questo caso le compensazioni avrebbero in qualche
modo carattere
provvisorio –da evidenziare chiaramente nel relativo provvedimento di
riconoscimento– nel senso
che la loro esatta misura andrebbe successivamente rideterminata alla luce
dei dati contenuti nel
nuovo decreto del Mims.
Gli effetti sulle normative sopravvenute
La sentenza del Tar Lazio si riferisce alla normativa contenuta nel decreto
legge 73/2021, che
disciplinava il meccanismo di compensazione per l'anno 2021. Successivamente
vi sono stati due
ulteriori interventi legislativi: il decreto legge 4/2022 e il decreto legge
50/2022.
Il primo ha
introdotto un sistema revisionale valido per tutti gli appalti le cui
procedure di gara siano avviate
entro il 31.12.2023. Tale sistema si fonda anch'esso sull'emanazione
di decreti del Mims di
natura semestrale volti a rilevare le variazioni percentuali dei materiali
di costruzione più
significativi. Tali decreti sono emanati sulla base delle elaborazioni
effettuate dall'Istat, che deve
definire la metodologia di rilevazione di tali variazioni. Proprio questo
sistema articolato e in
particolare l'intervento dell'Istat dovrebbe rendere più solidi i decreti
del Mims, potendo
rappresentare un elemento di forza idoneo ad attenuare il possibile rischio
di difetto di istruttoria
evidenziato nella pronuncia del Tar Lazio.
Quanto al decreto legge 50/2022 –che riguarda esclusivamente le
compensazioni relative ai lavori
eseguiti e contabilizzati nell'anno 2022- il meccanismo compensativo non si
fonda su decreti del Mims ma sui prezziari regionali aggiornati, che
tuttavia devono tenere conto delle Linee guida
adottate dallo stesso Mims, previo parere del Consiglio superiore dei lavori
pubblici e dell'Istat e
previa intesa della Conferenza Stato-Regioni. Fermo restando che sia le
Linee guida che
l'aggiornamento delle Regioni devono rispettare il principio dell'adeguata
istruttoria, si deve ritenere
che anche in questo caso il meccanismo delineato rappresenti un idoneo
strumento di tutela rispetto
a possibili censure analoghe a quelle sollevate dal giudice amministrativo
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 08.06.2022). |
APPALTI: L'impresa
iscritta alla camera di commercio ma non ancora attiva dev'essere esclusa
dalla gara, salvo che la lex specialis stabilisca altrimenti.
La dimostrazione dell’iscrizione alla Camera di
Commercio per una definita attività (oggetto dell'affidamento) vuol
significare che, attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il
concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una
determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da
svolgere e che attività effettivamente esercitata ed oggetto sociale non
possono essere considerati come concetti coincidenti.
Ciò è stato affermato, con orientamento pressoché costante, dalla
giurisprudenza amministrativa, essendo noto che “la funzione della
prescrizione della lex specialis della gara, con la quale si richiede ai
concorrenti, ai fini della partecipazione, l'iscrizione alla Camera di
Commercio [sia nel regime previgente ove era prevista dall'art. 39, comma 1,
del codice dei contratti pubblici tra i requisiti idonei a dimostrare la
capacità tecnica e professionale dell'impresa, sia, e ancor più,
nell'impianto del nuovo Codice dei contratti pubblici, ove è assurta, con la
previsione di cui all'art. 83, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 50 del 2016,
a requisito di idoneità professionale, anteposto ai più specifici requisiti
attestanti la capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria dei
partecipanti alla gara, di cui alle successive lett. b) e c) del medesimo
comma] è finalizzata a selezionare ditte che abbiano una esperienza
specifica nel settore interessato dall'appalto.
Quando tale prescrizione si specifica nel senso che occorre dimostrare
l'iscrizione per una definita attività (oggetto dell'affidamento), ciò
significa che, attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il
concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una
determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da
svolgere”.
Il che esclude la possibilità di prendere in considerazione imprese la cui
attività non sia stata ancora attivata, come, peraltro, evidenziato da una
giurisprudenza altrettanto uniforme che avverte, altresì, che ai fini in
discussione non può giovare il fatto della mera contemplazione di
un'attività nell'oggetto sociale, il quale esprime solo la misura della
capacità di agire della società interessata, indicando i settori -invero,
potenzialmente illimitati- nei quali la stessa potrebbe in astratto operare,
e che, così facendo, indica degli ambiti operativi che devono reputarsi non
rilevanti ove non effettivamente attivati.
Tale orientamento mette, dunque, in evidenza che l’affidabilità dell’impresa
è strettamente connessa alla sua attivazione.
---------------
Il Collegio non condivide le suddette statuizioni, atteso che, come
dedotto dall’appellante, la dimostrazione dell’iscrizione alla Camera di
Commercio per una definita attività (oggetto dell'affidamento) vuol
significare che, attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il
concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una
determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da
svolgere e che attività effettivamente esercitata ed oggetto sociale non
possono essere considerati come concetti coincidenti.
Ciò è stato affermato, con orientamento pressoché costante, dalla
giurisprudenza amministrativa (sin da Cons. Stato, V, 19.02.2003, n.
925), essendo noto che “la funzione della prescrizione della lex specialis
della gara, con la quale si richiede ai concorrenti, ai fini della
partecipazione, l'iscrizione alla Camera di Commercio (sia nel regime
previgente ove era prevista dall'art. 39, comma 1, del codice dei contratti
pubblici tra i requisiti idonei a dimostrare la capacità tecnica e
professionale dell'impresa, sia, e ancor più, nell'impianto del nuovo Codice
dei contratti pubblici, ove è assurta, con la previsione di cui all'art. 83,
comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 50 del 2016, a requisito di idoneità
professionale, anteposto ai più specifici requisiti attestanti la capacità
tecnico-professionale ed economico-finanziaria dei partecipanti alla gara,
di cui alle successive lettere b) e c) del medesimo comma) è finalizzata a
selezionare ditte che abbiano una esperienza specifica nel settore
interessato dall'appalto.
Quando tale prescrizione si specifica nel senso che occorre dimostrare
l'iscrizione per una definita attività (oggetto dell'affidamento), ciò
significa che, attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il
concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una
determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da
svolgere” (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 18.01.2021, n. 508).
Il che esclude la possibilità di prendere in considerazione imprese la cui
attività non sia stata ancora attivata, come, peraltro, evidenziato da una
giurisprudenza altrettanto uniforme che avverte, altresì, che ai fini in
discussione non può giovare il fatto della mera contemplazione di
un'attività nell'oggetto sociale, il quale esprime solo la misura della
capacità di agire della società interessata, indicando i settori -invero,
potenzialmente illimitati- nei quali la stessa potrebbe in astratto
operare, e che, così facendo, indica degli ambiti operativi che devono
reputarsi non rilevanti ove non effettivamente attivati (cfr. Cons. di Giust.
Amm., 26.03.2020, n. 213; Cons. Stato, V, 10.04.2018, n. 2176; VI, 15.05.2015, n. 2486; III, 28.12.2011, n. 6968; VI, 20.04.2009, n.
2380; V, 19.02.2003, n. 925).
Tale orientamento mette, dunque, in evidenza che l’affidabilità dell’impresa
è strettamente connessa alla sua attivazione (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 01.06.2022 n. 4474 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
causa di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 50/2016 non opera
se gli illeciti anticoncorrenziali sanzionati dall'AGCM sono stati commessi
più di tre anni prima della data di pubblicazione del bando di gara.
Non sussistono i presupposti per l’applicazione della
fattispecie escludente di cui dell’art. 80, co. 5, lett. c), del D.lgs. n. 50/2016, atteso che gli illeciti
anticoncorrenziali stigmatizzati con gli invocati provvedimenti sanzionatori
dell’A.G.C.M. risalgono ad oltre un triennio rispetto alla procedura di gara
in questione (da computarsi a ritroso dalla data del bando), all’uopo
dovendosi attribuire rilevanza non già alla data di irrogazione delle
sanzioni bensì a quella di commissione degli illeciti sanzionati.
Ciò
sull’assunto (corroborato dalla formulazione dell'articolo 57, par. 7, della
direttiva 2014/24/UE e dalla pertinente pronuncia della Corte di Giustizia
dell'U.E., sezione IV, 24/10/2018, C-124/17) che i “fatti” (id est,
gli illeciti professionali) risalenti ad oltre un triennio non possono più
ritenersi idonei a dimostrare l'inaffidabilità dell’operatore.
---------------
Quanto al secondo motivo di impugnazione, non sussistono i
presupposti per l’applicazione della fattispecie escludente di cui dell’art.
80, co. 5, lett. c), del D.lgs. n. 50/2016, atteso che gli illeciti
anticoncorrenziali stigmatizzati con gli invocati provvedimenti sanzionatori
dell’A.G.C.M. risalgono ad oltre un triennio rispetto alla procedura di gara
in questione (da computarsi a ritroso dalla data del bando), all’uopo
dovendosi attribuire rilevanza non già alla data di irrogazione delle
sanzioni bensì a quella di commissione degli illeciti sanzionati (cfr. ex
multis, Consiglio di Stato, sez. V, 07/09/2021, n. 6233); ciò
sull’assunto (corroborato dalla formulazione dell'articolo 57, par. 7, della
direttiva 2014/24/UE e dalla pertinente pronuncia della Corte di Giustizia
dell'U.E., sezione IV, 24/10/2018, C-124/17) che i “fatti” (id est,
gli illeciti professionali) risalenti ad oltre un triennio non possono più
ritenersi idonei a dimostrare l'inaffidabilità dell’operatore.
In ogni caso, come condivisibilmente sostenuto dalla difesa di Re., vi è
documentale evidenza del fatto che i richiamati illeciti anticoncorrenziali
(e le relative misure di self-cleaning) -dai quali non può inferirsi
alcun automatismo espulsivo (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato
sez. V, 11/03/2021, n. 2088)- sono stati non soltanto espressamente
dichiarati dall’operatore economico in sede di partecipazione alla gara per
cui è causa (non essendo, dunque, ravvisabile alcuna ipotesi di omissione
dichiarativa), ma anche positivamente scrutinati dalla stazione appaltante
(il che esclude qualsivoglia imputabile omissione), dovendosi all’uopo
valorizzare il generale giudizio di insussistenza dei “motivi di
esclusione ai sensi dell’art. 80 del Codice” espresso nella
determinazione dirigenziale della S.U.A.B., in data 04/03/2020; detta
valutazione:
i) è certamente riferibile –sia pure con formula sintetica– a tutte
le situazioni dichiarate dai concorrenti (ivi incluse, dunque, quelle
relative alla posizione di Re. e qui rilevanti);
ii) costituisce espressione della discrezionalità
dell’Amministrazione in punto di apprezzamento dell’eventuale idoneità delle
richiamate occorrenze (tenuto conto anche delle misure di self-cleaning
adottate) a costituire gravi illeciti professionali;
iii) non risulta, infine, specificamente impugnata dalla
ricorrente, ciò conducendo di necessità alla reiezione della censura.
6. In conclusione, per quanto esposto, il ricorso e i motivi aggiunti vanno
respinti (TAR Basilicata,
sentenza 01.06.2022 n. 437 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2022 |
|
APPALTI: Il
procedimento di verifica dell'anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto
ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e
affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la
valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi
esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo.
L’esito della gara può infatti essere travolto solo quando il giudizio
negativo sul piano dell’attendibilità riguardi voci che, per la loro
rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione
economicamente non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente
affidabilità a garantire la regolare esecuzione del contratto volta al
perseguimento dell’interesse pubblico.
D’altro canto va anche rammentato che la formulazione di un’offerta
economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime
previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un
ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi
impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle
grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un
contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole
ed attendibile.
Pertanto la valutazione di congruità costituisce espressione di un tipico
potere tecnico-discrezionale insindacabile in sede giurisdizionale, salvo
che la manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell’operato
renda palese l’inattendibilità complessiva dell'offerta.
Giova poi anche richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale
secondo cui la verifica di congruità di un’offerta non può essere effettuata
attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va
condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell’offerta
analizzata ed alla capacità dell’impresa –tenuto conto della propria
organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di
particolari condizioni favorevoli esterne– di eseguire le prestazioni
contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso
sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto
fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità
di una di esse.
Inoltre, la motivazione del giudizio di non anomalia non deve essere
specifica ed estesa, potendo essere effettuata anche mediante rinvio per
relationem alle risultanze procedimentali e alle giustificazioni fornite
dall’impresa. La stazione appaltante non è poi tenuta a chiedere chiarimenti
su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma
può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con
riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla
complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e
inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio.
Inoltre in sede di procedimento di verifica dell’anomalia è pacificamente
ammessa la progressiva riperimetrazione, nella dialettica della fase
giustificativa, dei parametri di costo, con compensazione delle precedenti
sottostime e sovrastime, sia per porre rimedio a originari errori di
calcolo, sia, più in generale, in tutti i casi in cui l’entità dell’offerta
economica rimanga immutata.
Infine, in base ai consolidati principi della giurisprudenza, se in sede
giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per
aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione
appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio
provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale.
---------------
In sede di verifica
dell'anomalia dell'offerta, salvo il caso in cui il margine positivo risulti
pari a zero, non è dato stabilire una soglia di utile al di sotto della
quale l'offerta va considerata anomala - potendo anche un utile modesto
comportare un vantaggio significativo.
---------------
Secondo la giurisprudenza, se in sede giurisdizionale il ricorrente deduce
l’inattendibilità dell’offerta per aspetti non specificatamente presi in
considerazione dalla stazione appaltante, legittimamente l’aggiudicataria
può difendersi in giudizio provvedendo a giustificare tali voci in sede
processuale.
Infatti, come innanzi evidenziato, la stazione appaltante non è tenuta a
chiedere chiarimenti su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi,
anche marginali, ma può legittimamente limitarsi alla richiesta di
giustificativi con riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di
incidere sulla complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non
remunerativa e inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio
per cui è ben possibile, che, nella dialettica processuale, l’aggiudicataria
possa dovere giustificare ulteriori costi (marginali) in ordine ai quali la
stazione appaltante non aveva richiesto espliciti chiarimenti, considerando
l’offerta nel complesso attendibile.
---------------
In sede di procedimento di verifica dell’anomalia è pacificamente ammessa la
progressiva riperimetrazione, nella dialettica della fase
giustificativa, dei parametri di costo, con compensazione delle precedenti
sottostime e sovrastime, sia per porre rimedio a originari errori di
calcolo, sia, più in generale, in tutti i casi in cui l’entità dell’offerta
economica rimanga immutata.
---------------
Secondo la condivisibile giurisprudenza le giustificazioni addotte dal
concorrente per la comprova della congruità e serietà della propria offerta
ben possono fare riferimento a situazioni esistenti al momento in cui si
svolge la verifica di anomalia, per cui può certamente tenersi conto di
sopravvenienze sia fattuali che normative che dimostrino la concreta
affidabilità dell’offerta.
Infatti deve ritenersi consentita la modifica delle giustificazioni delle
singole voci di costo, rispetto alle giustificazioni già fornite, come pure
l’aggiustamento delle singole voci di costo anche in relazione a “sopravvenienze
di fatto o normative”, potendosi sempre
valorizzare “economie sopravvenienti, in grado di refluire
sull’affidamento del contratto”.
Invero, “è ammissibile non solo la
modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, rispetto alle
giustificazioni già fornite, come pure l'aggiustamento delle singole voci di
costo, sia in correlazione a sopravvenienze di fatto o normative, sia per
porre rimedio a originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti
ferma l'entità originaria dell'offerta economica, nel rispetto del principio
dell'immodificabilità, che presiede la logica della par condicio tra i
competitori; ma anche la rimodulazione degli elementi economici dell'offerta
in sede di giustificazioni sull'anomalia, con il solo limite di non
alterarne il quantum iniziale o l'equilibrio economico e purché si accerti
in concreto, sulla base di un apprezzamento globale e sintetico, che la
proposta economica risulti nel suo complesso affidabile e attendibile in
relazione alla corretta esecuzione dell'appalto”.
Altresì, “Premesso che lo scopo
essenziale cui si conforma il giudizio sull'anomalia dell'offerta va
individuato nella verifica della complessiva affidabilità dell'offerta sotto
il profilo economico, in vista della esecuzione delle prestazioni
contrattuali da parte dell'aggiudicatario, appare del tutto logico che detta
verifica si svolga avendo come parametri di valutazione il livello dei costi
al tempo in cui è effettuata la verifica. In altri termini, se la finalità
(indiscussa) del procedimento in questione è la verifica della attuale
attendibilità economica dell'offerta è del tutto coerente con tale finalità
la scelta di fare riferimento a parametri economici attualizzati”.
---------------
11. Prima di procedere alla disamina delle censure articolate con l’appello
principale, giova premettere che come più volte affermato dalla
giurisprudenza, il procedimento di verifica dell'anomalia non ha per oggetto
la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica,
mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso,
sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione
dell’appalto; pertanto la valutazione di congruità deve essere globale e
sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle
singole voci di prezzo (tra le tante, Cons. di Stato, V, 02.05.2019, n.
2879; III, 29.01.2019, n. 726; V, 23.01.2018, n. 430; 30.10.2017, n. 4978).
L’esito della gara può infatti essere travolto solo quando il giudizio
negativo sul piano dell’attendibilità riguardi voci che, per la loro
rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione
economicamente non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente
affidabilità a garantire la regolare esecuzione del contratto volta al
perseguimento dell’interesse pubblico.
D’altro canto va anche rammentato che la formulazione di un’offerta
economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime
previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un
ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi
impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle
grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un
contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole
ed attendibile (così espressamente Cons. di Stato, V, 2018, 3480).
Pertanto la valutazione di congruità costituisce espressione di un tipico
potere tecnico-discrezionale insindacabile in sede giurisdizionale, salvo
che la manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell’operato
renda palese l’inattendibilità complessiva dell'offerta (ex multis,
Cons. Stato, V, 17.05.2018 n. 2953; 24.08.2018 n. 5047; III, 18.09.2018 n.
5444; V, 23.01.2018, n. 230).
11.1 Giova poi anche richiamare il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo cui la verifica di congruità di un’offerta non può
essere effettuata attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre
offerte, perché va condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi
dell’offerta analizzata ed alla capacità dell’impresa –tenuto conto della
propria organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza
di particolari condizioni favorevoli esterne– di eseguire le prestazioni
contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso
sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto
fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità
di una di esse (Cons. St., sez. III, 09.10.2018, n. 5798).
11.2 Inoltre, la motivazione del giudizio di non anomalia non deve essere
specifica ed estesa, potendo essere effettuata anche mediante rinvio per
relationem alle risultanze procedimentali e alle giustificazioni fornite
dall’impresa. La stazione appaltante non è poi tenuta a chiedere chiarimenti
su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma
può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con
riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla
complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e
inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio (Cons. Stato,
Sez. III, 14.11.2018, n. 6430).
Inoltre in sede di procedimento di verifica dell’anomalia è pacificamente
ammessa la progressiva riperimetrazione, nella dialettica della fase
giustificativa, dei parametri di costo, con compensazione delle precedenti
sottostime e sovrastime, sia per porre rimedio a originari errori di
calcolo, sia, più in generale, in tutti i casi in cui l’entità dell’offerta
economica rimanga immutata (C.d.S., V, sent. n. 1874/2020; C.d.S., V, n.
4400/2019; C.d.S., V, 4680/2017).
11.3 Infine, in base ai consolidati principi della giurisprudenza, se in
sede giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per
aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione
appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio
provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale (Cons. Stato, Sez.
III, 14.11.2018, n. 6430; Consiglio di Stato, sez. III, 15.02.2021 n. 1361).
...
Ed infatti secondo la giurisprudenza condivisa dalla Sezione in sede di
verifica dell'anomalia dell'offerta, salvo il caso in cui il margine
positivo risulti pari a zero, non è dato stabilire una soglia di utile al di
sotto della quale l'offerta va considerata anomala - potendo anche un utile
modesto comportare un vantaggio significativo (Cons. Stato Sez. V,
22/03/2021, n. 2437; Cons. Stato Sez. III, Sent., 13.07.2021, n. 5283).
...
17.6. Né può condividersi la prospettazione contenuta nella memoria
difensiva di NTT secondo cui quanto dedotto (solo) in sede processuale non
avrebbe alcuna valenza, dovendo assegnarsi rilievo alle sole giustificazioni
prodotte nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta.
Ed invero, come innanzi evidenziato, secondo la giurisprudenza, se in sede
giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per
aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione
appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio
provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale (Cons. Stato, Sez.
III, 14.11.2018, n. 6430; Consiglio di Stato, sez. III, 15.02.2021 n. 1361).
Infatti, come innanzi evidenziato, la stazione appaltante non è tenuta a
chiedere chiarimenti su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi,
anche marginali, ma può legittimamente limitarsi alla richiesta di
giustificativi con riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di
incidere sulla complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non
remunerativa e inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio (Cons.
Stato, Sez. III, 14.11.2018, n. 6430) per cui è ben possibile, che, nella
dialettica processuale, l’aggiudicataria possa dovere giustificare ulteriori
costi (marginali) in ordine ai quali la stazione appaltante non aveva
richiesto espliciti chiarimenti, considerando l’offerta nel complesso
attendibile.
...
Ciò senza mancare di rilevare che per contro, come evidenziato in termini
generali, in sede di procedimento di verifica dell’anomalia è pacificamente
ammessa la progressiva riperimetrazione, nella dialettica della fase
giustificativa, dei parametri di costo, con compensazione delle precedenti
sottostime e sovrastime, sia per porre rimedio a originari errori di
calcolo, sia, più in generale, in tutti i casi in cui l’entità dell’offerta
economica rimanga immutata (C.d.S., V, sent. n. 1874/2020; C.d.S., V, n.
4400/2019; C.d.S., V, 4680/2017).
...
22.1. La censura è infondata.
Ed invero secondo la condivisibile giurisprudenza le giustificazioni addotte
dal concorrente per la comprova della congruità e serietà della propria
offerta ben possono fare riferimento a situazioni esistenti al momento in
cui si svolge la verifica di anomalia, per cui può certamente tenersi conto
di sopravvenienze sia fattuali che normative che dimostrino la concreta
affidabilità dell’offerta.
Infatti deve ritenersi consentita la modifica delle giustificazioni delle
singole voci di costo, rispetto alle giustificazioni già fornite, come pure
l’aggiustamento delle singole voci di costo anche in relazione a “sopravvenienze
di fatto o normative”, (C.d.S., V, n. 4400/2019), potendosi sempre
valorizzare “economie sopravvenienti, in grado di refluire
sull’affidamento del contratto” (C.d.S., V, 1874/2020; V, 3502/2019; in
senso analogo V, 4272/2020 secondo cui è “ammissibile non solo la
modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, rispetto alle
giustificazioni già fornite, come pure l'aggiustamento delle singole voci di
costo, sia in correlazione a sopravvenienze di fatto o normative, sia per
porre rimedio a originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti
ferma l'entità originaria dell'offerta economica, nel rispetto del principio
dell'immodificabilità, che presiede la logica della par condicio tra i
competitori (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2019, n. 4400); ma anche la
rimodulazione degli elementi economici dell'offerta in sede di
giustificazioni sull'anomalia, con il solo limite di non alterarne il
quantum iniziale o l'equilibrio economico e purché si accerti in concreto,
sulla base di un apprezzamento globale e sintetico, che la proposta
economica risulti nel suo complesso affidabile e attendibile in relazione
alla corretta esecuzione dell'appalto (Cons. Stato, sez. V, 12.02.2020, n.
1071)”.
Ancora di recente questa Sezione ha al riguardo evidenziato, nel solco
dell’indicato indirizzo giurisprudenziale: “Premesso che lo scopo
essenziale cui si conforma il giudizio sull'anomalia dell'offerta va
individuato nella verifica della complessiva affidabilità dell'offerta sotto
il profilo economico, in vista della esecuzione delle prestazioni
contrattuali da parte dell'aggiudicatario, appare del tutto logico che detta
verifica si svolga avendo come parametri di valutazione il livello dei costi
al tempo in cui è effettuata la verifica. In altri termini, se la finalità
(indiscussa) del procedimento in questione è la verifica della attuale
attendibilità economica dell'offerta è del tutto coerente con tale finalità
la scelta di fare riferimento a parametri economici attualizzati” (Cons.
Stato Sez. V, Sent., 20.01.2021, n. 593) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.05.2022 n. 4191 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Niente
principio di rotazione se la stazione appaltante bandisce una procedura
aperta senza limitare preventivamente il numero dei partecipanti.
L’articolo 36 d.lgs. n. 50/2016 impone espressamente
alle stazioni appaltanti, nell’affidamento dei contratti d’appalto sotto
soglia, il rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli
affidamenti.
Il principio costituisce necessario contrappeso alla notevole
discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nel decidere gli operatori
economici da invitare in caso di procedura negoziata e mira a evitare il
crearsi di rendite di posizione in capo al contraente uscente favorendo, per
converso, l’apertura al mercato più ampia possibile sì da riequilibrarne (e
implementarne) le dinamiche competitive.
La giurisprudenza costante individua, tuttavia, un limite di carattere
generale alla operatività della rotazione nel caso in cui la stazione
appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una
procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione dei
partecipanti attraverso inviti.
---------------
9. Il motivo è infondato.
9.1 L’articolo 36 d.lgs. n. 50/2016 impone espressamente alle stazioni
appaltanti, nell’affidamento dei contratti d’appalto sotto soglia, il
rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti.
Il principio costituisce necessario contrappeso alla notevole
discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nel decidere gli operatori
economici da invitare in caso di procedura negoziata (Cons. Stato, sez. V,
12.09.2019, n. 6160) e mira a evitare il crearsi di rendite di posizione in
capo al contraente uscente favorendo, per converso, l’apertura al mercato
più ampia possibile sì da riequilibrarne (e implementarne) le dinamiche
competitive (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 04.06.2019, n.
3755).
9.2 La giurisprudenza costante individua, tuttavia, un limite di carattere
generale alla operatività della rotazione nel caso in cui la stazione
appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una
procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione dei
partecipanti attraverso inviti (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 04.02.2020, n.
875, Sez. V, 02.07.2020, n. 4252; 05.11.2019, n. 7539; Tar Lombardia,
Milano, sez. II, sent. n. 881/2021) (TAR
Lombardia, Sez. IV,
sentenza 25.05.2022 n. 1205 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'Amministrazione
non può sindacare il modello organizzativo adottato dalle imprese
concorrenti, salvo che esso risulti manifestamente incompatibile con
l'oggetto del contratto posto a gara.
Il Collegio ritiene opportuno sintetizzare i principi
elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sulla delicata dialettica tra
il potere della stazione appaltante di sindacare l’offerta tecnica ed
economica del concorrente e, dall’altro lato, la libertà di
auto-organizzazione imprenditoriale dell’impresa in gara.
Più in particolare, si tratta di individuare i confini generali (così
come tracciati dalla giurisprudenza) fino ai quali può spingersi il potere
della stazione appaltante di sindacare l’offerta del concorrente
ogniqualvolta venga in rilievo un profilo attinente all’organizzazione del
fattore produttivo “lavoro”. Il che sottintende un’operazione di complesso
bilanciamento tra due polarità costituzionali potenzialmente contrapposte,
da un lato i principi di buon andamento della pubblica amministrazione e
tutela del lavoro (artt. 97, 4, 35 e 36 Cost.) e dall’altro lato la libertà
di iniziativa economica dell’imprenditore (art. 41 Cost.).
In tale contesto devono essere inquadrati i consolidati orientamenti
giurisprudenziali sviluppatisi sul potere della stazione appaltante di
sindacare:
(a) l’applicazione della clausola sociale inserita nel bando di
gara;
(b) la scelta imprenditoriale di adottare uno specifico contratto
collettivo piuttosto che un altro;
(c) la scelta imprenditoriale di adottare contratti di lavoro a
causa mista lavoro/formazione;
(d) la correttezza dell’inquadramento professionale della forza
lavoro assunta con contratti di lavoro dipendente;
(e) gli scostamenti del costo del lavoro
rispetto ai parametri medi delle tabelle ministeriali;
(f) la correttezza della qualificazione autonoma o
libero-professionale dei rapporti di lavoro dichiarati dal singolo
concorrente.
Il fil rouge che unisce questi orientamenti può essere sinteticamente
compendiato nell’assoluta centralità della libertà di iniziativa economica
dell’imprenditore (intesa soprattutto nella sua accezione euro-unitaria di
libertà di concorrenza), nel senso cioè che la stazione appaltante non può
mai imporre al concorrente un particolare modello di organizzazione del
lavoro, quale che sia il modo con cui tale imposizione viene esercitata (ad
esempio attraverso la prescrizione di un particolare tipo di contratto di
lavoro o di CCNL o del livello di inquadramento).
Come ogni diritto di rango costituzionale, tuttavia, anche quello sin
qui tratteggiato incontra un limite estremo ed invalicabile, e cioè
l’esigenza di evitare che esso sconfini abusivamente nella lesione del
principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e
nel pregiudizio dei diritti sociali costituzionalmente tutelati (artt. 4, 35
e 36 Cost.).
Tali opposti principi costituzionali prevalgono infatti sulla libertà di
auto-organizzazione imprenditoriale (legittimando quindi un sindacato della
stazione appaltante sull’organizzazione del lavoro del concorrente)
ogniqualvolta le concrete modalità di svolgimento del servizio oggetto di
affidamento pubblico, così come analiticamente declinate nella lex specialis
di gara, appaiono ictu oculi inconciliabili con la specifica matrice
organizzativa impressa dal singolo concorrente alla propria forza lavoro.
Ciò senza dimenticare che la scelta imprenditoriale di adottare un
particolare tipo di contratto di lavoro (oggettivamente inconciliabile con
la lex specialis) può talvolta consentire al singolo concorrente di eludere
i maggiori costi retributivi, contributivi e fiscali che sono invece sottesi
al diverso modello contrattuale reso necessario dalle specifiche tecniche di
gara, così realizzando non soltanto un pregiudizio all’interesse pubblico
della stazione appaltante, ma anche una forma di “dumping” ad un tempo
lesiva del leale gioco concorrenziale e dei diritti sociali.
---------------
7. In via preliminare, si rileva che la lex specialis non
prevedeva un limite all’utilizzo di risorse autonome piuttosto che di
manodopera dipendente per l’esecuzione dell’appalto. La valutazione svolta
dalla stazione appaltante deve, pertanto, ritenersi esercizio di
discrezionalità tecnica.
8. Ciò premesso, il Collegio ritiene opportuno sintetizzare i principi
elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sulla delicata dialettica tra
il potere della stazione appaltante di sindacare l’offerta tecnica ed
economica del concorrente e, dall’altro lato, la libertà di
auto-organizzazione imprenditoriale dell’impresa in gara.
9. Più in particolare, si tratta di individuare i confini generali (così
come tracciati dalla giurisprudenza) fino ai quali può spingersi il potere
della stazione appaltante di sindacare l’offerta del concorrente
ogniqualvolta venga in rilievo un profilo attinente all’organizzazione del
fattore produttivo “lavoro”. Il che sottintende un’operazione di complesso
bilanciamento tra due polarità costituzionali potenzialmente contrapposte,
da un lato i principi di buon andamento della pubblica amministrazione e
tutela del lavoro (artt. 97, 4, 35 e 36 Cost.) e dall’altro lato la libertà
di iniziativa economica dell’imprenditore (art. 41 Cost.).
10. In tale contesto devono essere inquadrati i consolidati orientamenti
giurisprudenziali sviluppatisi sul potere della stazione appaltante di
sindacare:
(a) l’applicazione della clausola sociale inserita nel bando di
gara (cfr. ex multis Consiglio di Stato 10.06.2019 n. 3885);
(b) la
scelta imprenditoriale di adottare uno specifico contratto collettivo
piuttosto che un altro (cfr. ex multis Consiglio di Stato 13.10.2015 n.
4699);
(c) la scelta imprenditoriale di adottare contratti di lavoro a causa
mista lavoro/formazione (cfr. ex multis Consiglio di Stato 18.01.2016
n. 143);
(d) la correttezza dell’inquadramento professionale della forza
lavoro assunta con contratti di lavoro dipendente (cfr. ex multis Consiglio
di Stato 15.11.2021 n. 7596);
(e) gli scostamenti del costo del lavoro
rispetto ai parametri medi delle tabelle ministeriali;
(f) la correttezza
della qualificazione autonoma o libero-professionale dei rapporti di lavoro
dichiarati dal singolo concorrente (cfr. Consiglio di Stato 25.03.2019 n.
1979, TAR Puglia-Lecce 02.11.2021 n. 1584, TAR Sardegna 05.02.2019
n. 94, TAR Lazio, Sezione Terza, 25.02.2015 n. 3294).
11. Il fil rouge che unisce questi orientamenti può essere sinteticamente
compendiato nell’assoluta centralità della libertà di iniziativa economica
dell’imprenditore (intesa soprattutto nella sua accezione euro-unitaria di
libertà di concorrenza), nel senso cioè che la stazione appaltante non può
mai imporre al concorrente un particolare modello di organizzazione del
lavoro, quale che sia il modo con cui tale imposizione viene esercitata (ad
esempio attraverso la prescrizione di un particolare tipo di contratto di
lavoro o di CCNL o del livello di inquadramento).
12. Come ogni diritto di rango costituzionale, tuttavia, anche quello sin
qui tratteggiato incontra un limite estremo ed invalicabile, e cioè
l’esigenza di evitare che esso sconfini abusivamente nella lesione del
principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e
nel pregiudizio dei diritti sociali costituzionalmente tutelati (artt. 4, 35
e 36 Cost.).
13. Tali opposti principi costituzionali prevalgono infatti sulla libertà di
auto-organizzazione imprenditoriale (legittimando quindi un sindacato della
stazione appaltante sull’organizzazione del lavoro del concorrente)
ogniqualvolta le concrete modalità di svolgimento del servizio oggetto di
affidamento pubblico, così come analiticamente declinate nella lex specialis
di gara, appaiono ictu oculi inconciliabili con la specifica matrice
organizzativa impressa dal singolo concorrente alla propria forza lavoro.
14. Ciò senza dimenticare che la scelta imprenditoriale di adottare un
particolare tipo di contratto di lavoro (oggettivamente inconciliabile con
la lex specialis) può talvolta consentire al singolo concorrente di eludere
i maggiori costi retributivi, contributivi e fiscali che sono invece sottesi
al diverso modello contrattuale reso necessario dalle specifiche tecniche di
gara, così realizzando non soltanto un pregiudizio all’interesse pubblico
della stazione appaltante, ma anche una forma di “dumping” ad un tempo
lesiva del leale gioco concorrenziale e dei diritti sociali.
15. Sul punto il Consiglio di Stato ha affermato, ad esempio, che “la parte
appellante non ha dimostrato, né in sede di giustificativi né mediante il
presente appello, la compatibilità “di fatto” o “organizzativa” con il
servizio dell’avvalimento di personale autonomo, ugualmente contestata dalla
stazione appaltante e non fatta oggetto di specifiche censure in sede di
gravame. Da questo punto di vista, l’Amministrazione ha puntualmente
evidenziato che, considerata la tipologia del servizio, il quale deve essere
garantito 24 ore su 24 per 7 giorni alla settimana, esso non può basarsi
sull’apporto esclusivo, quantomeno per medici e infermieri, di personale
autonomo, dovendo l’affidatario programmare le proprie attività con largo
anticipo e con turni rigorosamente prestabiliti” (cfr. Consiglio di Stato 25.03.2019 n. 1979) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 24.05.2022 n. 6688 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
modifica soggettiva del RTI a seguito della perdita, da parte della
mandataria o di una delle mandanti, dei requisiti di partecipazione ex art.
80 d.lgs. 50/2016 è consentita anche durante la gara.
La modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di
imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di cui all’art.
80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici)
da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in
sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando
l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del medesimo Codice.
Ne consegue che, laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei
requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di
partecipazione procedimentale, è comunque tenuta ad interpellare il
raggruppamento e, laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del
proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, deve
assegnargli un congruo termine per la predetta riorganizzazione.
In particolare, evidenza l’Adunanza plenaria, “il riconoscimento della
possibilità di modificare (in diminuzione) il raggruppamento temporaneo di
imprese, anche nel caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di
partecipazione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti, determina che,
laddove si verifichi un caso riconducibile a tale fattispecie, la stazione
appaltante, in applicazione dei principi generali di cui all’art. 1 della l.
n. 241/1990 e all’art. 4 d.lgs. n. 50/2016, debba interpellare il
raggruppamento (se questo non abbia già manifestato la propria volontà) in
ordine alla volontà di procedere alla riorganizzazione del proprio assetto
interno, al fine di rendere possibile la propria partecipazione alla gara”.
Del resto, la possibilità della modificazione (in “riduzione”) del RTI,
ricorrendo i presupposti di cui ai commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 d.lgs.
n. 50 del 2016, era già stata riconosciuta sempre dall’Adunanza plenaria di
questo Consiglio, con le sentenze 04.05.2012, n. 8 e 27.05.2021, n.
10 (cfr. punti 29.1 e 29.2).
---------------
Con il proprio motivo di appello, il RTI I.G. Go. s.r.l.
lamenta che l’esito cui è giunta la stazione appaltante –l’esclusione del RTI aggiudicatario dalla gara, dopo aver escluso la possibilità di
rimodulare l’assetto del raggruppamento mediante avvalimento o subappalto,
ovvero mediante assunzione da parte della mandataria delle quote
precedentemente coperte dalla mandante nella categoria considerata, ovvero
ancora in applicazione del meccanismo riduttivo di cui all’art. 48, commi
17, 18 e 19-ter del Codice dei contratti– si porrebbe in contrasto con il
meccanismo previsto da quest’ultima norma, che consente di rimanere in gara
previa estromissione (dal raggruppamento) della sola mandante, nonché con i
principi dettati dal diritto eurounitario in materia di evidenza pubblica,
alla luce dei quali le amministrazioni aggiudicatrici devono assicurare ogni
più ampia tutela all’esigenza –ormai di rilievo ordinamentale, a seguito
della Direttiva 2014/24/UE– di evitare l’esclusione dell’operatore per
ragioni a lui non direttamente riconducibili o imputabili qualora questo
faccia affidamento (o con associazione in RTI o in via mediata con
avvalimento o subappalto) a risorse altrui.
In estrema sintesi, rileva l’appellante come l’art. 48 del d.lgs. n. 50 del
2016 preveda sì, in via generale, al comma 9 il divieto di modificazione
della composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di
concorrenti “rispetto a quella risultante dall’impegno in sede di offerta”,
salvo però quanto disposto ai successivi commi 17 e 18, contemplanti delle
eccezioni al predetto principio generale.
Inoltre, sempre l’art. 48 dispone
al comma 19-ter (introdotto dall’art. 32, comma primo, lettera h), del d.lgs.
n. 56 del 2017) che “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19” (a mente del
quale “è ammesso il recesso di una o più imprese raggruppate, anche qualora
il raggruppamento si riduca ad un unico soggetto, esclusivamente per
esigenze organizzative del raggruppamento e sempre che le imprese rimanenti
abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o forniture o
servizi ancora da eseguire. In ogni caso la modifica di cui al primo periodo
non è ammessa se finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di
partecipazione alla gara”) trovano “applicazione anche laddove le modifiche
soggettive ivi contemplate si verificano in fase di gara”.
In ragione della novella normativa, dunque, la deroga all’immodificabilità
del raggruppamento temporaneo rispetto all’originaria composizione
risultante dall’impegno presentato in sede di offerta sarebbe consentita sia
in fase di gara che in fase esecutiva, ove conseguente ad un evento che
abbia privato le imprese –mandataria o mandante– della capacità di
contrarre con la pubblica amministrazione, a condizione beninteso che il
raggruppamento conservi la qualificazione adeguata ai lavori da eseguire.
Il motivo è fondato, alla luce del recente arresto dell’Adunanza plenaria di
questo Consiglio, 25.01.2022, n. 2.
Secondo tale orientamento –dal quale non vi è ragione evidente per
discostarsi, nel caso di specie– la modifica soggettiva del raggruppamento
temporaneo di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di
cui all’art. 80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici)
da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in
sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando
l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del medesimo Codice.
Ne consegue che, laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei
requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di
partecipazione procedimentale, è comunque tenuta ad interpellare il
raggruppamento e, laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del
proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, deve
assegnargli un congruo termine per la predetta riorganizzazione.
In particolare, evidenza l’Adunanza plenaria, “il riconoscimento della
possibilità di modificare (in diminuzione) il raggruppamento temporaneo di
imprese, anche nel caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di
partecipazione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti, determina che,
laddove si verifichi un caso riconducibile a tale fattispecie, la stazione
appaltante, in applicazione dei principi generali di cui all’art. 1 della l.
n. 241/1990 e all’art. 4 d.lgs. n. 50/2016, debba interpellare il
raggruppamento (se questo non abbia già manifestato la propria volontà) in
ordine alla volontà di procedere alla riorganizzazione del proprio assetto
interno, al fine di rendere possibile la propria partecipazione alla gara”.
Del resto, la possibilità della modificazione (in “riduzione”) del RTI,
ricorrendo i presupposti di cui ai commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 d.lgs.
n. 50 del 2016, era già stata riconosciuta sempre dall’Adunanza plenaria di
questo Consiglio, con le sentenze 04.05.2012, n. 8 e 27.05.2021, n.
10 (cfr. punti 29.1 e 29.2) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.05.2022 n. 4068 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Illegittima
l'esclusione dalla gara per tardivo pagamento del contributo ANAC.
La disciplina del soccorso istruttorio, che di per sé trova fondamento tanto nel codice dei
contratti pubblici all’art. 83, comma 9, quanto nell’art. 6 della L.
241/1990, costituisce il logico corollario dei principi del giusto
procedimento, del buon andamento e della leale collaborazione tra pubblica
amministrazione e privati, in una logica che mira al superamento del rigore
formale del procedimento amministrativo e alla garanzia del favor partecipationis.
Tale disciplina, frutto di una lunga evoluzione normativa e
giurisprudenziale, permette dunque alle Stazioni appaltanti, anche in
assenza e/o incompletezza di alcune dichiarazioni, di consentire la
regolarizzazione della documentazione da parte dei privati, allorquando tale
carenza documentale non si traduca in una mancanza sostanziale dei requisiti
di partecipazione alla gara.
In proposito, la giurisprudenza, aderendo all’orientamento già espresso
dalla Corte di giustizia dell’U.E., ha già chiarito che i principi di tutela
del legittimo affidamento, certezza del diritto e proporzionalità ostano ad
ogni regola dell'ordinamento di uno Stato membro che consenta di escludere
da una procedura di affidamento di un contratto pubblico l'operatore
economico non avvedutosi del tardivo o mancato versamento del contributo per
il funzionamento dell'Autorità nazionale anticorruzione.
---------------
Dunque, alla luce della normativa statale e delle pronunce della
giurisprudenza in materia, deve ritenersi, nel caso di specie, che la
gravata esclusione dalla gara della società ricorrente sia stata
oggettivamente sproporzionata e di per sé inconciliabile con il principio
del favor partecipationis e della tutela della concorrenza.
Il tardivo versamento dei contributi ANAC previsti per la partecipazione
alla gara pubblica, infatti, non afferisce né al contenuto
dell’offerta economica, né a quello dell’offerta tecnica, pertanto si
ritiene ragionevole qualificabile come un’irregolarità meramente formale,
peraltro ingenerata da un malfunzionamento tecnico di un sistema
informatico, certificato nella sua storicità fattuale dalla stessa Stazione
appaltante e lealmente fatto constare in anteparte dalla ricorrente con
apposita comunicazione indirizzata all’Amministrazione.
Detta irregolarità, pur se sanata dalla ... oltre il termine per
la presentazione delle offerte, in nessuno modo osta alla riammissione della
stessa alla gara in violazione del principio della par condicio
competitorum.
Si consideri, peraltro, che dal punto di vista della qualificazione del
contributo ANAC come elemento formale e non essenziale -poiché non
riguardante l’offerta economica e/o tecnica- un recente orientamento
giurisprudenziale ha chiarito che “il soccorso istruttorio, oltre a
consentire operazioni di completamento o chiarimento della domanda, permette
di sanare le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda, ossia la
mancanza e l'incompletezza della stessa, nonché ogni altra irregolarità,
quand'anche di tipo "essenziale", purché la stessa non riguardi l'offerta
economica o tecnica in sé considerata”.
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Sul piano della metodologia espositiva delle ragioni
poste a fondamento dell’accoglimento, i motivi dedotti da parte ricorrente
possono essere trattati congiuntamente, in quanto tutti riconducibili, per
diversi aspetti, ad una stessa questione di diritto, ovvero alla
illegittimità del provvedimento di esclusione dovuta al tardivo versamento
dei contributi ANAC previsti per la partecipazione alla gara pubblica
bandita dalla ASL BT.
La disciplina, che in questa sede occorre richiamare, è quella del soccorso
istruttorio.
Questo istituto, che di per sé trova fondamento tanto nel codice dei
contratti pubblici all’art. 83, comma 9, quanto nell’art. 6 della L.
241/1990, costituisce il logico corollario dei principi del giusto
procedimento, del buon andamento e della leale collaborazione tra pubblica
amministrazione e privati, in una logica che mira al superamento del rigore
formale del procedimento amministrativo e alla garanzia del favor partecipationis.
Tale disciplina, frutto di una lunga evoluzione normativa e
giurisprudenziale, permette dunque alle Stazioni appaltanti, anche in
assenza e/o incompletezza di alcune dichiarazioni, di consentire la
regolarizzazione della documentazione da parte dei privati, allorquando tale
carenza documentale non si traduca in una mancanza sostanziale dei requisiti
di partecipazione alla gara.
In proposito, la giurisprudenza, aderendo all’orientamento già espresso
dalla Corte di giustizia dell’U.E., ha già chiarito che i principi di tutela
del legittimo affidamento, certezza del diritto e proporzionalità ostano ad
ogni regola dell'ordinamento di uno Stato membro che consenta di escludere
da una procedura di affidamento di un contratto pubblico l'operatore
economico non avvedutosi del tardivo o mancato versamento del contributo per
il funzionamento dell'Autorità nazionale anticorruzione (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 19.04.2018, n. 2386; Corte di giustizia UE, 02.06.2016, C 27/15).
Dunque, alla luce della normativa statale e delle pronunce della
giurisprudenza in materia, deve ritenersi, nel caso di specie, che la
gravata esclusione dalla gara della società ricorrente sia stata
oggettivamente sproporzionata e di per sé inconciliabile con il principio
del favor partecipationis e della tutela della concorrenza.
Il tardivo adempimento in questione, infatti, non afferisce né al contenuto
dell’offerta economica, né a quello dell’offerta tecnica, pertanto si
ritiene ragionevole qualificabile come un’irregolarità meramente formale,
peraltro ingenerata da un malfunzionamento tecnico di un sistema
informatico, certificato nella sua storicità fattuale dalla stessa Stazione
appaltante e lealmente fatto constare in anteparte dalla ricorrente con
apposita comunicazione indirizzata all’Amministrazione.
Detta irregolarità, pur se sanata dalla Si. s.r.l. oltre il termine per
la presentazione delle offerte, in nessuno modo osta alla riammissione della
stessa alla gara in violazione del principio della par condicio
competitorum.
Si consideri, peraltro, che dal punto di vista della qualificazione del
contributo ANAC come elemento formale e non essenziale -poiché non
riguardante l’offerta economica e/o tecnica- un recente orientamento
giurisprudenziale ha chiarito che “il soccorso istruttorio, oltre a
consentire operazioni di completamento o chiarimento della domanda, permette
di sanare le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda, ossia la
mancanza e l'incompletezza della stessa, nonché ogni altra irregolarità,
quand'anche di tipo "essenziale", purché la stessa non riguardi l'offerta
economica o tecnica in sé considerata” (cfr. TAR Veneto, Venezia, Sez. I,
02.03.2020, n. 213; Cons. Stato, Sez. VI, 09.04.2019, n. 2344).
Inoltre, sulla base della ricostruzione dei fatti compiuta da parte
ricorrente, appare evidente che il comportamento dell’impresa sia stato
improntato al rispetto dei generali principi di correttezza e buona fede a
cui devono sempre essere informati i rapporti fra Amministrazione e privati
e che, dunque, il tardivo adempimento contributivo non sia stato affatto
imputabile alla negligenza della ditta, ma ad un un’oggettiva impossibilità
di procedere al pagamento, causata da un temporaneo malfunzionamento della
piattaforma informatica ANAC; tanto può essere desunto, in primis, dal fatto
che la ricorrente abbia presentato, nella stessa procedura di gara, offerte
anche per ulteriori lotti, per le quali ha tempestivamente adempiuto
all’onere contributivo ed, inoltre, dalla già menzionata autodichiarazione -allegata alla documentazione di gara- attestante l’impedimento tecnico
formale determinatosi nel procedere al pagamento.
Da ultimo, ma non per ultimo, l’importo minimale del contributo in questione
-due versamenti, ciascuno di euro 20,00- permette di far emergere la
oggettiva minimalità della irregolarità determinatasi nel caso di specie e
l’assoluta sproporzione delle conseguenze espulsive che da essa sono state
tratte (TAR
Puglia, Sez. II,
sentenza 20.05.2022 n. 730 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il “discrimine tra una
variante inammissibile ed una miglioria ammessa non può essere affidato a
una autonoma valutazione giudiziale dei bisogni che l'Amministrazione
intende soddisfare con l'indizione della procedura di gara, dal momento che
le clausole del bando sono di stretta interpretazione e la lex specialis
vincola non solo i concorrenti ma anche la stazione appaltante, che non ha
alcun margine di discrezionalità nella sua concreta attuazione, non potendo
disapplicare le regole ivi contenute nemmeno qualora esse risultino
formulate in modo inopportuno o incongruo, potendo nel caso, semmai,
ricorrere all'autotutela.
Nell'individuare tale discrimine si deve pertanto far riferimento ai criteri
più volte enunciati in giurisprudenza e precisamente: le soluzioni
migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono
liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a
diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di
valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque
preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite
dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del
progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui
ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della
stazione appaltante”.
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Alla fattispecie che ci occupa deve
pertanto essere applicato il tradizionale orientamento giurisprudenziale che
ha rilevato come il “discrimine tra una variante inammissibile ed una
miglioria ammessa non p(ossa) essere affidato a una autonoma valutazione
giudiziale dei bisogni che l'Amministrazione intende soddisfare con
l'indizione della procedura di gara, dal momento che le clausole del bando
sono di stretta interpretazione e la lex specialis vincola non solo i
concorrenti ma anche la stazione appaltante, che non ha alcun margine di
discrezionalità nella sua concreta attuazione, non potendo disapplicare le
regole ivi contenute nemmeno qualora esse risultino formulate in modo
inopportuno o incongruo, potendo nel caso, semmai, ricorrere all'autotutela;
nell'individuare tale discrimine si deve pertanto far riferimento ai criteri
più volte enunciati in giurisprudenza e precisamente: le soluzioni
migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono
liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a
diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di
valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque
preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite
dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del
progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui
ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della
stazione appaltante” (Cons. Stato sez. V, 15.11.2021, n. 7602; TAR
Marche, 27.10.2021, n. 758; Cons. Stato sez. V, 03.03.2021, n. 1808)
TAR Toscana, Sez. I, con la
sentenza 19.05.2022 n. 685 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Al
Rup spetta il potere di non aggiudicare l'appalto e di escludere l'offerta
anche per scostamenti tecnici.
Il responsabile unico del procedimento può adottare il provvedimento di
esclusione non solo per ragioni documentali o amministrative ma, nonostante
la posizione contraria della commissione di gara, anche per ragioni tecniche
come nel caso in cui, ad esempio, l'offerta non risulti tecnicamente
conforme alle prescrizioni della legge di gara.
È quanto ha stabilito il TAR
Toscana, Sez. I, con la
sentenza 19.05.2022 n. 685.
Il caso
Il tribunale amministrativo toscano è tornato sulla questione dei rapporti
tra il Rup (nella regione dirigente responsabile dei contratti, con acronimo
Drc) e la commissione di gara in particolare in relazione all'aggiudicazione
dell'offerta. La commissione di gara ha proposto l'aggiudicazione
trasmettendo gli atti al Rup che, ritenendo presenti degli scostamenti
nell'offerta tecnica (rispetto al progetto esecutivo posto a base di gara)
ha rinviato gli atti al collegio che, però, ha confermato il proprio operato
e la propria valutazione.
La commissione ha espresso un giudizio notevolmente divergente dalle
sottolineature del Rup visto che i supposti scostamenti tecnici in realtà,
per la commissione di gara, corrispondevano a semplici «integrazioni,
precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle
esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri
essenziali delle prestazioni richieste».
La commissione ha pertanto ribadito la necessità di aggiudicare al Rti primo
classificato.
Questa posizione non ha persuaso il Rup che ha proceduto con l'esclusione
del Rti primo graduato e della stessa impresa seconda classificata
disponendo la valutazione dell'anomalia dell'offerta della terza in
classifica.
In sostanza, il Rup non ha ritenuto conformi ai desiderata espressi nella
legge di gara ne la prima ne la seconda classificata escludendole.
I provvedimenti di esclusione sono stati immediatamente impugnati,
sottolineando tra l'altro che la competenza sulle esclusioni secondo le
disposizioni della legge di gara avrebbero dovuto ricadere sulla
commissione.
La sentenza
Secondo il Tar, nel procedimento non è ravvisabile alcuna incompetenza del
Rup nel decidere di non aggiudicare (e non confermare il verbale della
commissione di gara) e, pertanto, di escludere le offerte con correlata
responsabilità.
Anche se alcune disposizioni della legge di gara, se lette in modo «atomistico»,
potevano probabilmente portare ad affermare la competenza della commissione
ad adottare anche i provvedimenti di esclusione, da una lettura non parziale
è emersa invece una chiara distribuzione delle competenze.
In particolare, il disciplinare, «nel quadro della complessiva
determinazione delle competenze rispettive dei tre organi della procedura
(il presidente della commissione, la commissione di gara e il Drc che
svolge, ai fini della legislazione regionale, le funzioni del Rup) ha
attribuito inequivocabilmente al Drc il compito di approvare i verbali e
adottare "il provvedimento con il quale dispone le esclusioni" dalla
procedura».
E, precisamente, nel caso di specie l'esclusione è stata disposta per
ragioni tecniche ovvero «a seguito della riscontrata non conformità
dell'offerta tecnica del concorrente al progetto posto a base di gara».
L'epilogo, sulla questione specifica, della sentenza ha una indubbia valenza
pratica considerato che il giudice ha rammentato che il potere del Rup di
adottare il provvedimento di esclusione non «risulta per nulla limitato
alle sole esclusioni determinate da carenze documentali o altre ragioni
"amministrative" (come implicitamente prospetto dalla ricorrente), ma (…)
investe l'interezza delle ragioni di esclusione e, quindi, anche le
esclusioni determinate da ragioni "tecniche", ovvero determinate dalla non
rispondenza del progetto tecnico delle singole partecipanti alla procedura
alle specifiche tecniche previste dal progetto esecutivo a base di gara»
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 30.06.2022).
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SENTENZA
2. In particolare, risulta manifestamente infondato il primo motivo del
ricorso R.G. 1527/2021, relativo ad una presunta incompetenza del R.U.P. a
disporre l’esclusione dalla procedura dell’offerta della ricorrente,
trattandosi di valutazione a carattere prettamente tecnico (presuntamente)
riservata alla Commissione di gara.
A questo proposito, risulta, indubitabile il fatto che il disciplinare di
gara recasse una serie di previsioni che, a prima vista, potrebbero portare
a concludere per la necessità di incardinare la competenza a disporre
l’esclusione dalla procedura di gara delle offerte non rispondenti alle
specifiche tecniche della procedura in capo alla Commissione di gara; in
particolare, il riferimento è alle previsioni di cui alle pagine 6 (“la
Commissione giudicatrice, in seduta pubblica,…esclude le eventuali offerte
tecniche irregolari”), 20 (“nel caso in cui l’offerta non sia
ritenuta accettabile dalla Commissione giudicatrice il concorrente sarà
escluso dalla gara e non si procederà, pertanto, all’apertura della relativa
offerta economica”) e di cui al punto 5.2 (“determina l’esclusione
dalla gara il fatto che l’offerta tecnica…. sia ritenuta inaccettabile dalla
Commissione giudicatrice in quanto peggiorativa o incompatibile con il
progetto esecutivo a base di gara”) del disciplinare di gara che,
sembrano, almeno a prima vista, riservare il potere di esclusione dalla
procedura di gara per ragioni “tecniche” (ovvero a seguito della
riscontrata non conformità dell’offerta tecnica del concorrente al progetto
posto a base di gara) alla Commissione piuttosto che al R.U.P.
Con tutta evidenza, si tratta però di previsioni che non possono costituire
oggetto di una lettura atomistica, ma che devono essere inserite all’interno
della sistematica più complessiva della procedura di gara ed in particolare,
devono essere lette in maniera coordinata con la previsione di cui a pag. 6
del disciplinare di gara che, nel quadro della complessiva determinazione
delle competenze rispettive dei tre organi della procedura (il Presidente
della Commissione, la Commissione di gara ed il D.R.C. che svolge, ai fini
della legislazione regionale, le funzioni del R.U.P.) attribuisce
inequivocabilmente al D.R.C. il compito di approvare i verbali ed adottare “il
provvedimento con il quale dispone le esclusioni” dalla procedura.
La competenza finale all’adozione dei provvedimenti “finali” di
esclusione dalla procedura di gara risulta pertanto essere
inequivocabilmente attribuita, dal disciplinare di gara, al solo D.R.C. e,
con tutta evidenza, si tratta di un potere che non risulta per nulla
limitato alle sole esclusioni determinate da carenze documentali o altre
ragioni “amministrative” (come implicitamente prospetto dalla
ricorrente), ma che investe l’interezza delle ragioni di esclusione e,
quindi, anche le esclusioni determinate da ragioni “tecniche”, ovvero
determinate dalla non rispondenza del progetto tecnico delle singole
partecipanti alla procedura alla specifiche tecniche previste dal progetto
esecutivo a base di gara.
Risulta pertanto necessitata una lettura delle tre previsioni di cui alle
pag. 6, 20 ed al punto 5.2 del disciplinare di gara in coordinazione con la
finale attribuzione al D.R.C. della competenza all’adozione del
provvedimento di esclusione dalla procedura, con conseguenziale necessità di
riconoscere alla Commissione di gara solo una funzione di ausilio, con
riferimento a tutti i profili tecnici inerenti all’offerta del singolo
concorrente, di una scelta finale riservata al D.R.C.
Del resto, la costruzione proposta da parte ricorrente e tendente a
svalutare le competenze del D.R.C. presuppone, con tutta evidenza, una
necessità di “leggere” le competenze dell’Organo in termini di potere
vincolato alle determinazioni della Commissione di gara che non è per nulla
desumibile dalla già citata previsione di pag. 6 del disciplinare di gara
(come già detto, destinata a regolamentare le competenze rispettive degli
Organi della procedura) e che peraltro non risulta assolutamente in linea
con la complessiva strutturazione di una procedura di gara che tende, al
contrario, a riservare al D.R.C. la competenza finale all’emanazione di
tutti i provvedimenti di esclusione dalla procedura.
Quanto sopra rilevato basterebbe già a determinare il rigetto del primo
motivo del ricorso R.G. n. 1527/2021, non avendo la ricorrente censurato la
previsione del disciplinare di gara (pag. 6) che riserva al D.R.C. la
competenza all’adozione dei provvedimenti di esclusione dalla procedura.
Per completezza, la Sezione deve però rilevare come la strutturazione
complessivamente desumibile dal disciplinare di gara risulti ben in linea
con la ricostruzione delle rispettive sfere di competenza della Commissione
di gara e del R.U.P. emersa in giurisprudenza.
A questo proposito, deve sicuramente essere richiamata una recente decisione
della Sezione che ha rilevato come “la giurisprudenza …(abbia) in più
occasioni ribadito che il provvedimento di esclusione dalla gara è di
pertinenza della stazione appaltante, e non già dell'organo
straordinario-Commissione giudicatrice; la documentazione di gara può,
comunque, demandare alla Commissione giudicatrice ulteriori compiti, di mero
supporto ed ausilio del RUP, ferma rimanendo la competenza della stazione
appaltante nello svolgimento dell'attività di amministrazione attiva alla
stessa riservata (Consiglio di Stato sez. VI, 08/11/2021, n. 7419).
L’invocata disposizione del disciplinare non vale a sottrarre alla stazione
appaltante il potere di decidere la non conformità dell’offerta al progetto
dalla stessa predisposto imponendole la realizzazione di un’opera diversa da
quella voluta; la sua portata deve essere circoscritta al sub procedimento
che si svolge innanzi all’organo valutatore, senza che il vaglio positivo
dello stesso sulla “accettabilità” della offerta possa precludere un
successivo diverso accertamento del RUP” (TAR Toscana, sez. I,
19.04.2022, n. 526)
TAR Toscana, Sez. I, con la
sentenza 19.05.2022 n. 685 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Offerta tecnica – Legge di gara – Assenza di indicazione del
minimo della percentuale del ribasso del tempo di esecuzione
della prestazione – Linee guida ANAC – Strumento di
regolazione flessibile, privo di carattere precettivo.
Le specifiche indicazioni formulate
nelle Linee guida ANAC in relazione alla possibile
limitazione del ribasso delle tempistiche di esecuzione, in
quanto prive di carattere precettivo, operano esclusivamente
quale strumento di regolazione flessibile, con funzione
ricognitiva di princìpi di carattere generale e di mero
ausilio interpretativo alle Amministrazioni cui sono
rivolte, con il fine di promuovere interpretazioni uniformi
e comportamenti omogenei
(TAR Lazio, Roma, Sez. I, 03.07.2019, n. 8678).
Ne consegue che il discostamento da tali
indicazioni e, nel caso di specie, la mancata fissazione di
un limite al ribasso, rientra nell’ambito dell’ampia
discrezionalità attribuita dalla legge all’Amministrazione
in sede di predeterminazione dei criteri di selezione e
valutazione delle offerte
(Cons. Stato, sez. V, 18.06.2018 n. 3737),
e appare nel contempo ragionevole, perché finalizzata ad
assicurare il più ampio confronto concorrenziale, confronto
che sarebbe inevitabilmente frustrato quando su un elemento
organizzativo dirimente, come è il fattore tempo, gli
operatori interessati fossero condotti ad appiattire le
rispettive proposte su un valore soglia prestabilito (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 06.05.2022 n. 673 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Modalità
di nomina dell’arbitro ex art. 209, d.lgs. 50 del 2016 di parte nel caso in
cui la parte stessa non abbia provveduto.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Arbitrato – Nomina arbitro di
parte in caso di inerzia – Soggetto deputato - Individuazione.
Il presidente del tribunale è il soggetto
istituzionale deputato alla nomina dell’arbitro di parte nel caso di inerzia
della parte stessa (1).
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(1) Ha ricordato la Sezione che né l’art. 209, d.lgs. n. 50 del
2016 né il successivo art. 210 disciplinano espressamente l’ipotesi in cui
la parte, cui spetta la nomina dell’arbitro di parte, non provveda.
Prima di dare analitica risposta ai quesiti posti dall’ANAC (come si farà
nel prosieguo), la Sezione reputa necessario esporre il ragionamento
logico-giuridico sotteso alla decisione, anticipando sin da ora che il
Collegio ritiene di aderire alla soluzione che attribuisce al presidente del
tribunale il potere di designazione dell’arbitro nel caso di inerzia della
parte.
Ciò premesso, in primo luogo va evidenziato che, atteso il richiamo
esplicito operato al codice di procedura civile (“Ai giudizi arbitrali si
applicano le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto
disposto dal presente codice”), il chiaro disposto dell’art. 209, comma 10,
esclude che tecnicamente vi sia una lacuna.
La disposizione da ultimo richiamata serve proprio ad evitare le lacune e a
prevedere una disciplina di riferimento –il più possibile completa– per
tutti gli aspetti non regolati dal predetto articolo 209 codice appalti.
Leggendo l’articolo 209, comma 10, si ricava invero l’idea che all’arbitrato
in materia di appalti si applichi per intero il codice di procedura civile,
fatta eccezione per le regole contenute nel codice degli appalti.
Né in senso diverso può dirsi che il rinvio al codice di procedura civile
sia limitato alla fase del giudizio e non anche a quella di costituzione del
collegio arbitrale. Per la Sezione, la locuzione “giudizi arbitrali” deve
essere riferita all’”arbitrato”, come disciplinato al Titolo VIII del libro
IV del codice di procedura civile (artt. 806 e segg.) nei suoi diversi Capi.
Ragionando diversamente non sarebbe chiaro a quale dei diversi Capi (Capo I,
“Della convenzione di arbitrato”, II “Degli arbitri”, III “Del
procedimento”, IV “Del lodo” V “Delle impugnazioni”, ecc. ) il Codice degli
appalti abbia voluto fare riferimento.
Le affermazioni ora compiute, in secondo luogo, portano ad affermare che la
disciplina generale dell’arbitrato in materia di appalti è quella dettata
dal codice di procedura civile, attesa l’ampiezza del rinvio compiuto
dall’articolo 209, comma 10, mentre le norme contenute all’articolo 209
codice degli appalti hanno carattere derogatorio, e dunque eccezionale, pur
se contenute in una legge speciale (ossia che si applica “soltanto ad una
determinata materia o ad una determinata categoria di soggetti”), qual è il
codice degli appalti.
Venendo al caso di specie, il chiaro disposto dell’articolo 209, comma 10,
ove si effettua un amplissimo richiamo al codice di procedura civile, porta
a far concludere che la procedura di nomina degli arbitri da parte della
camera arbitrale abbia natura derogatoria rispetto a quella generale del
codice di procedura civile e dunque non possa essere applicata
analogicamente, giusta il divieto contenuto all’art. 14 Preleggi.
In terzo luogo, va evidenziato che la camera arbitrale è un organo
amministrativo e come tale soggetto al principio di legalità dell’azione
amministrativa, principio quest’ultimo che comporta la possibilità di
ritenere esistenti solo i poteri espressamente conferiti a tale organo
amministrativo dalla legge. Ne consegue che non possono riconoscersi, in via
analogica, poteri non conferiti dalla legge –anzi espressamente assegnati
al presidente del tribunale– come avverrebbe se la camera arbitrale
supplisse all’inerzia della parte privata designando l’arbitro.
Tale ultima considerazione risulta essere l’unica soluzione coerente sia con
la possibilità per le pubbliche amministrazioni di adottare solo i
provvedimenti espressamente stabiliti dalla legge (c.d. tipicità e numerus
clausus) sia con l’esplicita previsione legislativa di nominare unicamente
il presidente e, su designazione degli arbitri di parte, il collegio, ex
art. 209, comma 4 (“Il collegio arbitrale è composto da tre membri ed è
nominato dalla Camera arbitrale di cui all'articolo 210. Ciascuna delle
parti, nella domanda di arbitrato o nell'atto di resistenza alla domanda,
designa l'arbitro di propria competenza scelto tra soggetti di provata
esperienza e indipendenza nella materia oggetto del contratto cui
l'arbitrato si riferisce. Il Presidente del collegio arbitrale è designato
dalla Camera arbitrale tra i soggetti iscritti all'albo di cui al comma 2
dell'articolo 210, in possesso di particolare esperienza nella materia
oggetto del contratto cui l'arbitrato si riferisce”).
Va poi aggiunto che nel nostro sistema, sempre il principio di legalità,
porta al tendenziale rifiuto del ricorso a poteri impliciti. Come
chiaramente affermato dalla Corte costituzionale, vi è «l'imprescindibile
necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato
il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto.
Tale principio non consente «l'assoluta indeterminatezza» del potere
conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l'effetto
di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo
investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che
il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore,
ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e
nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica,
copertura legislativa dell'azione amministrativa» (Corte cost. 115/2011).
È ben vero che, nel caso di specie, all’articolo 210, comma 2, codice degli
appalti è stabilito che “la Camera arbitrale cura la formazione e la tenuta
dell'Albo degli arbitri per i contratti pubblici, redige il codice
deontologico degli arbitri camerali e provvede agli adempimenti necessari
alla costituzione e al funzionamento del collegio arbitrale”, tuttavia,
ritiene la Sezione, che, con un’interpretazione costituzionalmente
orientata, per le ragioni prima esposte, la locuzione “adempimenti necessari
alla costituzione e al funzionamento del collegio arbitrale” non possa
essere interpretata estensivamente nel senso di ampliare i poteri anche ad
ipotesi non disciplinate e a poteri non espressamente conferiti.
A conferma di quanto or ora affermato va aggiunto che, se si ritenesse la
camera arbitrale competente alla nomina dell’arbitro nel caso di inerzia
della parte, sarebbe necessario altresì individuare il procedimento
amministrativo che tale organo deve seguire, così svolgendo un compito che è
demandato unicamente al legislatore.
In quarto luogo, la Sezione osserva che se fosse riconosciuto alla camera
arbitrale il potere di nominare anche l’arbitro di parte, vi sarebbe un
collegio che per due terzi (il presidente e un arbitro) sarebbe composto da
soggetti nominati dallo stesso organo, ossia la camera arbitrale.
Fermo restando che la camera arbitrale ha certamente connotati di
elevatissima indipendenza, in via sistematica, sino a quando non vi sarà un
intervento del legislatore primario, va preferita la scelta che evita la
“concentrazione” di nomine nello stesso organo e che opta per la nomina da
parte di un soggetto terzo, anch’esso istituzionalmente caratterizzato da
imparzialità e indipendenza, peraltro non competente a nominare neppure il
presidente del collegio arbitrale.
In quinto luogo, occorre considerare che il dubbio sull’esistenza del potere
in capo alla camera arbitrale, dubbio riconosciuto sia dall’ANAC sia dal
DAGL, crea il rischio che l’atto di designazione dell’arbitro di parte sia
adottato in carenza di potere con conseguente nullità del collegio e del
lodo, ex art. 209, comma 7 (“La nomina del collegio arbitrale effettuata in
violazione delle disposizioni di cui ai commi 4, 5 e 6 determina la nullità
del lodo”).
La Sezione, in presenza di una norma (qual è il comma 10 dell’articolo 209)
che richiama espressamente il codice di procedura civile conferendo il
potere di nomina al presidente del tribunale, ritiene che vada seguito il
canone ermeneutico per cui, in presenza di diverse opzioni interpretative,
debba essere preferita quella più prudente e meno rischiosa per la validità
degli atti adottati.
La Sezione osserva altresì che la difficoltà interpretativa, legata alla
distinzione tra designazione e nomina, possa essere risolta.
Va osservato infatti che il presidente del tribunale, procedendo alla
designazione nello svolgimento del suo ruolo istituzionale, rispetterà le
disposizioni previste dal codice degli appalti (ivi comprese le
incompatibilità lì stabilite), procedendo a designazioni che la camera
arbitrale non avrà difficoltà ad inserire poi nel collegio arbitrale, con la
conseguenza che difficilmente vi potrà essere un problema in sede di nomina
del collegio da parte della camera arbitrale.
In ogni caso, se la camera arbitrale dovesse avere dubbi circa il possesso
dei requisiti da parte dell’arbitro designato dal presidente del tribunale,
potrà validamente interloquire col presidente del tribunale, che agisce
nell’esercizio di poteri di volontaria giurisdizione (Cassazione civile,
sez. I, 09.07.2018, n. 18004; Cassazione civile, sez. I, 21.07.2010, n. 17114), fermo restando che pur essendo inammissibile il ricorso
straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. o il reclamo
(Cassazione civile, sez. III, 19/01/2006, n. 1017), il decreto di nomina o
di sostituzione di un arbitro, è “provvedimento privo di carattere decisorio
e insuscettibile di produrre effetti sostanziali o processuali di cosa
giudicata” (Cassazione civile, sez. VI, 09.06.2020, n. 10985; Cassazione
civile, sez. I, 09.07.2018, n. 18004).
Alla luce delle considerazioni sino a qui esposte, la Sezione reputa di
rispondere così ai quesiti:
-
In ordine al primo quesito –“se effettivamente vi sia una lacuna
legislativa in ordine alla previsione dell'organo a cui spetta il potere di
designazione sostitutiva nel caso dei procedimenti arbitrali per i contratti
pubblici”– la Sezione ritiene che il rinvio esplicito al codice di
procedura civile, contenuto all’art. 209, comma 10, d.lgs. 50/2016, esclude
che tecnicamente vi sia una lacuna normativa.
-
In ordine al secondo quesito –“se l’arbitro di parte, trattandosi
di c.d. arbitrato amministrato, possa essere nominato dalla camera
arbitrale, e non dal presidente del tribunale, tenuto conto che la legge
delega ha escluso il ricorso a procedure arbitrali diverse da quelle
amministrate e ha accentuato il ruolo di garanzia svolto dalla Camera
arbitrale”– la Sezione è dell’avviso che, per le considerazioni
espresse, il presidente del tribunale sia il soggetto istituzionale deputato
alla nomina dell’arbitro di parte nel caso di inerzia della parte stessa.
-
In relazione al terzo quesito –“se permanendo il potere di nomina
da parte del presidente del tribunale, ai sensi dell’articolo 810 c.p.c.,
come deve essere coordinato tale potere di nomina con quello della camera
arbitrale di verifica del possesso, nell’arbitro designato dal Presidente
del Tribunale, dei requisiti soggettivi e della insussistenza negli stessi
delle condizioni di inconferibilità dell'incarico”– per le ragioni
esposte nel presente parere, la Sezione rileva che la distinzione tra
“designazione” e “nomina” dell’arbitro non è di ostacolo all’individuazione
del presidente del tribunale quale organo deputato alla designazione nel
caso di inerzia della parte. Partendo dal presupposto che i rapporti tra
presidente del tribunale e camera arbitrale dovranno essere improntati al
principio della leale collaborazione, la “designazione” da parte del
presidente del tribunale andrà effettuata tra coloro che possiedono i
requisiti soggettivi richiesti dal codice degli appalti; inoltre, poiché la
designazione è atto di volontaria giurisdizione, non si traduce in un
provvedimento giurisdizionale, con conseguente possibilità per la camera
arbitrale di interloquire qualora dovesse ritenere esistenti ‘imperfezioni’
nell’atto di nomina (Consiglio di
Stato, Sez. I,
parere 05.05.2022 n. 808 -
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LAVORI PUBBLICI: Verifica
della idoneità economico-finanziaria degli esecutori di lavori pubblici.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Appalto lavori – Idoneità
economico-finanziaria degli esecutori di lavori pubblici - disponibilità di
un patrimonio netto di valore positivo – Verifica – Limiti.
Nelle ipotesi previste dagli artt. 46, d.l. n. 189
del 2016 (c.d. decreto sisma 2016) e 6, d.l. n. 23 del 2020 (c.d. decreto
liquidità), l’accertamento, ai sensi dell’art. 79, comma 2, lett. c), d.P.R.
207 del 2010, dell’idoneità economico-finanziaria degli esecutori di lavori
pubblici può temporaneamente prescindere dalla disponibilità di un
patrimonio netto di valore positivo solo con riferimento alle imprese i cui
dati di bilancio sono cambiati in esito agli eventi cui si riferisce la
normativa emergenziale (1).
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(1) Ad avviso della Sezione è consentito il rilascio delle
attestazioni di qualificazione alle imprese che, in conseguenza degli eventi
sismici del 2016 e della recente emergenza epidemiologica da Covid-19,
presentino un patrimonio netto di valore negativo.
Militano in tal senso le seguenti considerazioni.
In primo luogo, va osservato che la disciplina emergenziale del 2016 e del
2020 ha lo scopo di consentire alle imprese che si trovano in difficoltà
(non per motivi di tipo “strutturale” ma) per ragioni eccezionali e
imprevedibili, quali il sisma o la pandemia da Covid 19, di proseguire
l’attività, derogando agli obblighi ordinariamente previsti dal codice
civile. In questo quadro, dunque, tra le due possibili soluzioni
ermeneutiche deve scegliersi quella più coerente con la ratio legis e,
dunque, quella che favorisce maggiormente la prosecuzione dell’attività
dell’impresa.
In secondo luogo, va osservato che, in forza della disciplina derogatoria
introdotta dagli articoli 46 del d.l. n. 189 del 2016 e 6 del d.l. n. 23 del
2020, ove la diminuzione del capitale nominale al di sotto della soglia del
minimo legale sia imputabile alle perdite verificatesi nel corso degli
esercizi finanziari espressamente considerati dalle norme citate, lo
scioglimento automatico della società è in ogni caso precluso, senza che sia
a tal fine necessario approvare in sede assembleare la reintegrazione del
valore dei conferimenti o la trasformazione dello schema societario.
Se dunque il legislatore dell’emergenza ha previsto la “sopravvivenza” della
società senza imporre tutte quelle attività che ordinariamente sono
stabilite dal codice civile, in via di principio non v’è ragione di
escludere che queste società, munendosi di attestato SOA, oltre a
sopravvivere, possano partecipare alle procedure di evidenza pubblica.
In altri termini, al pari dell’ammissione al procedimento di concordato
preventivo, ex artt. 160 e segg. della legge fallimentare, anche i tragici
effetti economico-sociali del sisma del 2016 e dell’emergenza sanitaria da
Covid-19 connotano in termini di specialità l’esercizio dell’attività
imprenditoriale e giustificano, per un verso, come previsto dall’articolo
182-sexies della legge fallimentare, la sospensione del meccanismo di
adeguamento contabile delle risultanze di bilancio e, per altro verso, la
derogabilità delle norme generali in materia di qualificazione previste dal
d.P.R. n. 207 del 2010.
La Sezione non ignora che, a differenza del concordato preventivo con
continuità aziendale, la partecipazione alle procedure di evidenza pubblica
da parte delle imprese di cui agli articoli 46 del d.l. n. 189 del 2016 e 6
del d.l. n. 23 del 2020 non si inserisce nell’ambito di uno specifico piano
di risanamento della crisi di liquidità.
Al riguardo, occorre tuttavia osservare che l’interesse della pubblica
amministrazione allo svolgimento di rapporti contrattuali con soggetti che
soddisfino gli essenziali criteri di adeguatezza economico-finanziaria è
tutelato dai ristretti termini temporali entro i quali è ammessa la
derogabilità dell’articolo 79, comma 2, lettera c), come più sotto sarà
specificato.
In terzo luogo, non può negarsi che l’adesione alla contraria tesi
dell’inderogabilità del requisito previsto dall’articolo 79, comma 2,
lettera c), del d.P.R. n. 207 del 2010, oltre a produrre conseguenze
applicative contraddittorie, verrebbe di fatto a vanificare lo scopo
perseguito dal legislatore con l’introduzione della speciale disciplina
emergenziale in esame, compromettendo irrimediabilmente sia le possibilità
di ripresa delle società colpite dalla crisi sia le possibilità di ripresa
dell’economia nazionale.
Sotto il primo aspetto –ossia quello della contraddittorietà– l'articolo
79, comma 2, lett. e), del d.P.R. n. 207/2010 rinvia tout court alle
disposizioni del codice civile in materia di rilevazione e valorizzazione,
anche ai fini giuridici, dei dati bilancio. Di talché, se la perdita di
capitale esclude, per effetto di una specifica disposizione di legge, la
necessità di procedere alla sua ricostituzione a garanzia del ceto creditorio, la medesima conclusione non può non valere nei rapporti con le
stazioni appaltanti rispetto alle quali il patrimonio netto (e, dunque,
anche il capitale sociale) costituisce la garanzia dell'esatto adempimento
delle obbligazioni contrattualmente assunte.
Sotto il secondo aspetto –ossia quello della finalità della disciplina
emergenziale– va ricordato che il legislatore, in ultimo col recente Piano
nazionale di Ripresa e Resilienza, ha ritenuto di poter “riavviare”
l’economia del Paese anche attraverso il rilancio degli appalti pubblici. Se
si precludesse la possibilità alle imprese in condizioni di disequilibrio
economico, per cause di natura non strutturale ma contingente, la
partecipazione alle gare di appalto, molto probabilmente non si
realizzerebbe l’obiettivo desiderato e lo squilibrio potrebbe non essere
superato dalla società con conseguente crisi e ripercussioni negative anche
sui livelli occupazionali.
Va in ultimo aggiunto che, come condivisibilmente sostenuto da ANAC con la
nota 01.02.2022, n. 7221, la deroga in questione non deve essere
concessa in modo indiscriminato a tutti gli operatori economici, cioè quelli
che già prima del sisma 2016 o della pandemia da Covid 19 avevano perso, per
svariate ragioni, tale requisito, “ma solo alle imprese i cui dati di
bilancio sono cambiati in esito agli eventi cui si riferisce la normativa
emergenziale”.
Inoltre, come già affermato in sede di richiesta di parere, può consentirsi
soltanto entro il limite espressamente indicato, rispettivamente,
dall'articolo 46 del d.l. 189/2016 -ovvero solo per "le perdite relative
all'esercizio in corso alla data del 31.12.2016" che "non rilevano,
nell'esercizio nel quale si realizzano e nei quattro esercizi successivi"- e dall'articolo 6 del d.l. n. 23/2020 -ovvero "alla data di entrata in
vigore del presente decreto e fino alla data del 31.12.2020 per le
fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta
data".
Pertanto, una volta terminato il predetto lasso temporale nel corso del
quale le perdite di esercizio non determinano l'applicazione dei meccanismi
codicistici di salvaguardia del capitale, l'impresa dovrà necessariamente
tornare in una condizione di equilibrio economico e, quindi, essere in
possesso, ai fini attestativi, del requisito del patrimonio netto positivo
di cui all'art. 79, comma 2, d.p.r. 207/2010.
A tale ultimo fine, considerato che l'attestazione di qualificazione, una
volta rilasciata, abilita l'impresa all'esecuzione di lavori pubblici per
tutto il periodo della sua validità (5 anni, con revisione al terzo anno),
risulta altresì necessario prevedere che le SOA, nel caso in cui, per le
imprese che ricadono nel regime speciale in esame, dovessero procedere al
rilascio dell'attestazione di qualificazione in carenza del requisito di cui
all'art. 79, comma 2, d.p.r. n. 207/2010:
- provvedano a comunicare tempestivamente all'Autorità l'avvenuto
rilascio, con indicazione dell'impresa, nonché degli estremi
dell'attestazione di qualificazione rilasciata;
- allo scadere della efficacia della deroga concessa dalla
normativa speciale, provvedano, relativamente alle attestazioni rilasciate
in carenza del requisito speciale del patrimonio netto positivo, al
monitoraggio circa la effettiva riacquisizione da parte dell'impresa
attestata del predetto requisito, procedendo alla dichiarazione la decadenza
dell'attestazione di qualificazione laddove tale monitoraggio abbia esito
negativo;
- comunichino tempestivamente all'Autorità l'esito del monitoraggio
svolto (Consiglio di Stato, Sez.
I,
parere 04.05.2022 n. 804 -
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aprile 2022 |
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APPALTI SERVIZI: Nelle
gare per l'affidamento della riscossione dei tributi obbligatorio indicare
il costo della manodopera.
Il servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali non è un
servizio intellettuale e pertanto, in sede di offerta, devono essere
esplicitati i costi della manodopera.
Questa è la conclusione a cui è giunto il TAR Lombardia-Milano, Sez. I, con la
sentenza 21.04.2022 n. 897.
La questione è di particolare interesse per tutti gli enti locali che si
apprestano ad effettuare procedure di affidamento della riscossione e
dell'accertamento dei tributi e delle altre entrate, avvalendosi della
potestà di cui all'articolo 52 del Dlgs 446/1997, nonché dei servizi
strumentali alla riscossione stessa, in relazione ai quali sta per essere
emanato il decreto che istituisce la Sezione separata dell'albo.
Il Tar Lombardia, nell'esaminare il ricorso di un concorrente non
aggiudicatario nell'ambito di una procedura di affidamento, avente ad
oggetto la riscossione coattiva dei tributi e di altre entrate, ha
evidenziato l'obbligo per il concorrente di esplicitare nella propria
offerta il costo della manodopera, secondo quanto prescritto dall'articolo
95, comma 10, del Dlgs 50/2016.
La disposizione appena richiamata specifica che: «nell'offerta economica
l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri
aziendali concernenti l'adempimento delle disposizioni in materia di salute
e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in
opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi
dell'articolo 36, comma 2, lett. a)». Inoltre, «le stazioni appaltanti
relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono
a verificare il rispetto di quanto previsto dall'art. 97, comma 5, lett. d)».
In altri termini, in tutte le procedure di affidamento, fatta eccezione per
gli affidamenti diretti previsti dall'articolo 36, comma 2, lett. a), del
citato decreto (fino al 30.06.2023 sostituito dall'articolo 1, comma 2,
del Dl 76/2020, che ha elevato, per i servizi e forniture, la soglia per
l'affidamento diretto a 139.000 euro), gli operatori economici devono
indicare nell'offerta il costo della manodopera, oltre che quelli connessi
alla sicurezza.
La norma esclude dall'applicazione di tale obbligo i servizi di natura
intellettuale, intendendo per tali quelli che richiedono lo svolgimento di
prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale,
costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel
contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e
all'organizzazione di mezzi e risorse; mentre va esclusa la natura
intellettuale del servizio avente a oggetto l'esecuzione di attività
ripetitive che non richiedono l'elaborazione di soluzioni personalizzate,
diverse, caso per caso, per ciascun utente del servizio, ma l'esecuzione di
meri compiti standardizzati (Consiglio di Stato, V, 28.07.2020 n. 4806,
nonché sezione V, n. 1291 del 2021).
Nel caso della riscossione dei tributi, il Tar ha osservato che si tratta di
attività caratterizzate da una connotazione fortemente automatica e
ripetitiva, spesso svolta con l'ausilio di supporti informatici. Tale
conclusione nasce dall'esame delle attività che ordinariamente la
caratterizzano, quali la predisposizione e la stampa di avvisi e solleciti,
la loro postalizzazione, la ricerca dei beni aggredibili utilizzando le
banche dati, sovente effettuata con procedure informatiche, il calcolo degli
importi dovuti, con l'aggiunta degli interessi e delle spese, nonché, da
ultimo, talune procedure cautelari, quali il pignoramento presso terzi e
l'iscrizione ipotecaria, sovente attivate con comunicazioni massive.
L'esclusione della natura intellettuale del servizio, rende necessario che
l'offerente indichi non solo i costi della manodopera, ma anche che gli
stessi siano determinati sulla base delle apposite tabelle ministeriali,
oggetto di verifica in sede di riscontro della congruità del suo valore
effettuata durante la verifica dell'anomalia dell'offerta.
La mancata indicazione di tali costi ha l'effetto di determinare
l'esclusione dell'offerta dell'operatore economico, non potendosi nella
fattispecie neppure ricorrere al soccorso istruttorio, indipendentemente dal
fatto che la circostanza non fosse prevista dalla documentazione di gara,
sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente
previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti
pubblici espressamente richiamata in detta documentazione (Corte di
giustizia dell'Unione europea, causa C-309/18, Consiglio di Stato, sentenza
n. 1526/2021).
Va comunque rilevato che, con riferimento ai servizi a supporto della
riscossione dei tributi (nello specifico la bonifica e l'aggiornamento delle
banche dati e la gestione dello sportello fisico e virtuale dei
contribuenti, il supporto alla riscossione e alla rendicontazione, il
supporto alla gestione del recupero degli importi non versati
volontariamente nonché alla lotta all'evasione ed all'esclusione, compresa
la relativa attività di riscossione, anche coattiva e infine il supporto
alla gestione degli istituti deflattivi del contenzioso, ivi compreso il
reclamo e la mediazione, della fase del precontenzioso e del contenzioso),
il Consiglio di Stato ha invece confermato la sua natura di servizio
intellettuale (sentenza n. 4098/2020)
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 11.05.2022).
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SENTENZA
23.3. Per servizi di natura intellettuale si devono intendere quelli che
richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via
eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione
di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle
attività materiali e all'organizzazione di mezzi e risorse; al contrario va
esclusa la natura intellettuale del servizio avente ad oggetto l'esecuzione
di attività ripetitive che non richiedono l'elaborazione di soluzioni
personalizzate, diverse, caso per caso, per ciascun utente del servizio, ma
l'esecuzione di meri compiti standardizzati (Cons. Stato, sez. V, n. 1291
del 2021; idem n. 4806 del 2020).
23.4. Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di
specie, va osservato che ai sensi dell’art. 4 del capitolato le attività
richieste hanno in gran parte una connotazione fortemente automatica e
ripetitiva, spesso eseguite attraverso supporti informatici.
Si pensi ad esempio all’attività di individuazione dei beni aggredibili,
espletabile attraverso la consultazione delle banche dati, e a tutta
l’attività di postalizzazione. Ed ancora l’elaborazione dei flussi per il
calcolo degli interessi, aggio e spese postali, la predisposizione, la
stampa e l’inoltro delle comunicazioni, secondo le modalità di legge; la
verifica delle anagrafiche dei debitori; la gestione degli eventuali sgravi
e rimborsi, intesi come riduzione del carico disposto da Regione, e
l’aggiornamento della relativa lista di carico; l’iscrizione del fermo
amministrativo dei beni mobili registrati o all’iscrizione di ipoteca sugli
immobili o ad ogni altra azione a tutela del credito, laddove il debito
rimanga insoluto, non sospeso o non sgravato.
E’ espressamente previsto che il concessionario disponga di un sistema
informativo che consenta di gestire le attività oggetto del servizio.
23.5. Si tratta di attività che non richiedono un apporto eminentemente
personale, anche perché le fasi decisionali a monte dei processi oggetto
dell’appalto rimangono in capo alla Regione (si pensi, ad esempio, agli
sgravi e ai rimborsi, che presuppongono determinazioni assunte dalla
Regione, sicché l’attività conseguente è meramente esecutiva).
23.6. In sintesi quindi non si può ravvisare nell’oggetto del servizio di
appalto un’attività di carattere intellettuale, neppure in termini di
prevalenza, sicché non risulta giustificata l’omissione dei costi della
manodopera, in violazione dell’art. 95, comma 10, del codice dei contratti.
23.7. L’omessa indicazione dei costi della manodopera non è neppure
giustificabile alla luce della mancanza nella documentazione di gara della
specifica previsione.
Ed invero la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in
un'offerta economica presentata nell'ambito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l'esclusione della medesima
offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell'ipotesi in cui
l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato
nella documentazione della gara d'appalto, sempre che tale condizione e tale
possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa
nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente
richiamata in detta documentazione (Consiglio di Stato sez. V, 22.02.2021,
n. 1526).
Né nel caso di specie risultava non editabile l’indicazione del costo della
manodopera, inserito dalla controinteressata nella propria offerta.
23.8. La mancata indicazione del costo della manodopera da parte della
ricorrente non risulta quindi giustificabile. La sua offerta avrebbe
pertanto dovuta essere esclusa. |
marzo 2022 |
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APPALTI: Obbligo
prima dell’aggiudicazione di controllare i
costi del personale.
Il TAR di Milano ricorda
che:
<<la giurisprudenza condivisa dal Collegio
ha chiarito che le stazioni appaltanti, ai
sensi dell’art. 95, comma 10, secondo
periodo, del d.lgs. n. 50/2016, prima
dell’aggiudicazione hanno obbligo di
controllare che i costi siano inferiori ai
minimi salariali retributivi indicati nelle
tabelle ministeriali, senza che per tale
verifica la disposizione richieda alcun
contraddittorio né, men che meno, che venga
attivato il procedimento di verifica delle
offerte anormalmente basse;
la norma di
rinvio è contenuta nell’art. 97 del d.lgs.
n. 50/2016, che disciplina tale
procedimento, ma il rinvio è limitato al
disposto di cui al comma 5, lett. d), di
tale articolo, sicché non può essere
interpretato nel senso che occorre attivare
comunque il procedimento citato;
il rinvio
in questione va, invece, interpretato nel
senso che prima dell’aggiudicazione le
stazioni appaltanti devono verificare il
rispetto, da parte dell’offerta vincitrice,
dei minimi salariali indicati nelle tabelle
ministeriali;
laddove la verifica dia esito
negativo la disposizione di cui al
richiamato art. 95, comma 10, non prevede
l’istituzione di alcun contraddittorio e
deve quindi ritenersi che l’offerta vada
irrimediabilmente esclusa, come previsto
dall’art. 97, comma 5 (cui rinvia l’art. 95,
comma 10), a norma del quale l’accertamento
che l’anomalia dell’offerta deriva da un
costo del personale inferiore ai minimi tabellari ne determina senz’altro
l’esclusione>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 21.03.2022 n.
648 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
2.1. Con riguardo al primo motivo, è
sufficiente osservare che:
- la stazione appaltante ha valutato i costi di manodopera delle
offerte presentate ai sensi della disciplina
di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n.
50/2016, a tenore della quale “nell’offerta
economica l’operatore deve indicare i propri
costi della manodopera” e le stazioni
appaltanti, “relativamente ai costi della
manodopera, prima dell’aggiudicazione
procedono a verificare il rispetto di quanto
previsto all’articolo 97, comma 5, lett.
d)”;
- il citato art. 97, comma 5, lett. d), prevede che la stazione
appaltante richieda spiegazioni agli
operatori ed escluda l’offerta laddove
accerti che la stessa sia “anormalmente
bassa in quanto: […] d) il costo del
personale è inferiore ai minimi salariali
retributivi indicati nelle apposite tabelle
di cui all’articolo 23, comma 16”;
- l’art. 23, comma 16, a sua volta, stabilisce che “per i
contratti relativi a lavori, servizi e
forniture, il costo del lavoro è determinato
annualmente, in apposite tabelle, dal
Ministero del lavoro e delle politiche
sociali sulla base dei valori economici
definiti dalla contrattazione collettiva
nazionale tra le organizzazioni sindacali e
le organizzazioni dei datori di lavoro
comparativamente più rappresentativi, delle
norme in materia previdenziale ed
assistenziale, dei diversi settori
merceologici e delle differenti aree
territoriali. In mancanza di contratto
collettivo applicabile, il costo del lavoro
è determinato in relazione al contratto
collettivo del settore merceologico più
vicino a quello preso in considerazione”;
- la commissione di gara ha effettuato una stima del valore della
manodopera prendendo in considerazione le
tabelle ministeriali di riferimento, ovvero
il “costo medio orario a livello
nazionale del personale per il settore
sorveglianza antincendio (CCNL 03.11.2009)
emanate dal Ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali, Direzione Generale della
Tutela delle Condizioni del Lavoro - Div. IV”,
alla luce delle quali ha valutato non
congrua l’offerta presentata dalla
ricorrente in considerazione del fatto che
il servizio posto a gara doveva essere
svolto da una squadra composta da almeno due
persone e che il costo per la manodopera
formulato in sede di offerta da parte della
ricorrente veniva quantificato in €
43.717,60, ovvero il 35,00% circa in meno
rispetto a quanto previsto dalle tabelle
ministeriali;
- la giurisprudenza condivisa dal Collegio ha chiarito che le
stazioni appaltanti, ai sensi dell’art. 95,
comma 10, secondo periodo, del d.lgs. n.
50/2016, prima dell’aggiudicazione hanno
obbligo di controllare che i costi siano
inferiori ai minimi salariali retributivi
indicati nelle tabelle ministeriali, senza
che per tale verifica la disposizione
richieda alcun contraddittorio né, men che
meno, che venga attivato il procedimento di
verifica delle offerte anormalmente basse;
la norma di rinvio è contenuta nell’art. 97
del d.lgs. n. 50/2016, che disciplina tale
procedimento, ma il rinvio è limitato al
disposto di cui al comma 5, lett. d), di
tale articolo, sicché non può essere
interpretato nel senso che occorre attivare
comunque il procedimento citato; il rinvio
in questione va, invece, interpretato nel
senso che prima dell’aggiudicazione le
stazioni appaltanti devono verificare il
rispetto, da parte dell’offerta vincitrice,
dei minimi salariali indicati nelle tabelle
ministeriali; laddove la verifica dia esito
negativo la disposizione di cui al
richiamato art. 95, comma 10, non prevede
l’istituzione di alcun contraddittorio e
deve quindi ritenersi che l’offerta vada
irrimediabilmente esclusa, come previsto
dall’art. 97, comma 5 (cui rinvia l’art. 95,
comma 10), a norma del quale l’accertamento
che l’anomalia dell’offerta deriva da un
costo del personale inferiore ai minimi
tabellari ne determina senz’altro
l’esclusione (TAR Toscana-Firenze, Sez. II,
n. 165/2019). |
febbraio 2022 |
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APPALTI FORNITURE: Caro-bollette,
appalti da rifare. Il Tar Molise ha accolto il ricorso di un trader del
mercato elettrico contro l'appaltante.
L'aumento del prezzo dell'energia, la cui
imprevedibilità e rilevanza è confermata dai recenti interventi del
legislatore, comporta “l'insostenibilità sopravvenuta dell'offerta” e il
conseguente squilibrio del sinallagma contrattuale, tale da imporre alla
stazione appaltante il riesame delle procedure ad evidenza pubblica.
E' questo il principio sancito dal TAR Molise con la
sentenza 14.02.2022 n. 41 con la quale ha accolto il ricorso di
un importante trader del mercato elettrico (assistito dallo studio DLA Piper),
risultato aggiudicatario di gara pubblica per la fornitura del servizio di
energia, con un prezzo fissato sulla base di offerte precedenti all'aumento
del prezzo dell'energia elettrica (offerte del maggio 2021).
La ricorrente aveva fatto presente all'amministrazione che nelle more dello
svolgimento della seconda fase dell'asta elettronica il prezzo dell'energia
elettrica era notevolmente aumentato (+200%). Conseguentemente, la società
aveva sollecitato la convenuta ad intraprendere tutte le possibili
iniziative per garantire tanto gli interessi pubblici quanto quelli privati,
il cui perseguimento era fortemente messo in discussione dalla formulazione,
nella prima fase della gara, di un prezzo che, divenuto del tutto incongruo,
non garantiva più la possibilità di esecuzione dell'appalto, a causa
dell'insostenibilità dei costi della materia prima.
A fronte di questa sopravvenuta criticità segnalata alla stazione appaltante
ancor prima dello svolgimento della seconda fase dell'asta elettronica,
questa, senza mai assumere una puntuale posizione sulla problematica della
sostenibilità effettiva dell'offerta della ricorrente, aveva speditamente
proceduto all'aggiudicazione della gara.
Nell'accogliere il ricorso, il Tar Molise ha sottolineato come “il
contegno sostanzialmente silente dell'Amministrazione si rivela assunto in
aperta violazione dei canoni di buona amministrazione, i quali, alla luce
della giurisprudenza elaborata in materia di silenzio amministrativo,
impongono invece l'adozione di un espresso pronunciamento sulla questione
sottoposta alla parte pubblica le quante volte, proprio in relazione al
dovere di correttezza di quest'ultima, sorga per il privato una legittima
aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle sue determinazioni".
Particolarmente importante nella valutazione effettuata dal Tar è il lasso
temporale trascorso dal momento della presentazione delle offerte (maggio
2021) a quello dell'aggiudicazione (ottobre 2021). “L'Amministrazione,
già per quanto detto, avrebbe pertanto dovuto farsi carico di una specifica
valutazione della problematica indicata, dal momento che la stessa era
sopravvenuta rispetto alla presentazione delle offerte: da qui il suo dovere
di esprimersi sul punto, con particolare riferimento alla debita verifica di
affidabilità dell'offerta della ricorrente alla stregua dei valori di
mercato in essere al tempo dell'aggiudicazione”.
Secondo il Tar, infine, la stazione appaltante in ogni caso può e deve
valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici,
appaia anormalmente bassa.
Previsione, quest'ultima, che si raccorda con il giudizio tecnico di
anomalia dell'offerta che mira a verificare la “congruità, serietà,
sostenibilità e realizzabilità” dell'aggiudicanda offerta.
Pertanto è valido il principio secondo il quale “l'obiettivo della
verifica di anomalia è quello di stabilire se l'offerta sia, nel suo
complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno”, in pari
tempo evidenziando che “il giudizio di anomalia deve essere complessivo e
deve tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano a favore,
sia quelli che militano contro l'attendibilità dell'offerta nel suo insieme
...”.
Essendo mutate nel tempo, per motivi non imputabili alla ricorrente, le
condizioni economiche del contratto, il Tar ha accolto il ricorso,
disponendo l'annullamento gli atti impugnati, ivi compreso il provvedimento
di aggiudicazione (articolo ItaliaOggi del 01.03.2022).
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SENTENZA
13 Ciò premesso, il ricorso va accolto per la fondatezza delle censure
di carenza di istruttoria e di motivazione, nonché di violazione dell’art.
97 del D.Lgs. n. 50/2016.
14. Occorre anzitutto evidenziare quanto è pacificamente emerso nel corso
del presente giudizio, vale a dire il fatto che le due fasi dell’asta
elettronica si sono svolte a distanza di oltre quattro mesi l’una
dall’altra, lasso temporale (dal maggio all’ottobre 2021) nel quale si è
verificata una grave crisi del mercato dell’energia elettrica, con effetti
di marcato e rapido rialzo del prezzo della materia prima.
La Stazione appaltante, che a base di gara aveva indicato l’importo presunto
di € 4.450.000,00 a fronte di un consumo preventivato di MWh 69.581,826, per
un prezzo unitario pari, pertanto, ad € 63,95, non ha contestato il dato
storico del forte aumento verificatosi nei mercati di riferimento. Tant’è
che la resistente ha osservato, alla pag. 10 della memoria depositata in
sede cautelare, che un eventuale aggiornamento degli atti di gara, e/o la
ripetizione della stessa, avrebbero comportato “una proroga del servizio
in corso e, con esso, un differimento della durata contrattuale a condizioni
molto più inique di quelle oggi offerte, con conseguenti (ed ancora)
maggiori rischi (di interruzione del pubblico servizio espletato)”.
Negli scritti conclusivi Molise Acque non ha poi potuto che dare atto degli
eventi occorsi nel secondo semestre dell’anno 2021 (vedasi, in specie, la
pag. 12 della memoria del 14.01.2022), pur contestandone l’imprevedibilità.
Non a caso, e sia pure in via meramente subordinata, l’Amministrazione ha
avanzato un’istanza di compensazione integrale delle spese di lite in caso
di accoglimento del ricorso, adducendo che la imprevedibilità dell’aumento
dei prezzi del mercato elettrico prospettata dal privato sarebbe sussistita
a maggior ragione “per l’Amministrazione rispetto ad un operatore
economico specializzato”.
A conferma della criticità economica a base del ricorso possono del resto
valere anche le misure straordinarie che il Legislatore è stato da ultimo
costretto a varare proprio per ridurre gli effetti degli aumenti dei prezzi
nel settore elettrico (id est: art. 1, commi 503 e 504, della L. n.
234 del 30.12.2021; art. 14, del D.L. n. 4/2022).
15. Orbene, a fronte di questa sopravvenuta criticità, dalla En.Di.
s.r.l. segnalata alla Stazione Appaltante, per la prima volta, ancor prima
dello svolgimento della seconda fase dell’asta elettronica,
l’Amministrazione, senza mai assumere una puntuale posizione sulla
problematica della sostenibilità effettiva dell’offerta della ricorrente, ha
proceduto invece speditamente all’aggiudicazione della commessa.
Sicché, sotto un primo aspetto, il contegno sostanzialmente silente
dell’Amministrazione si rivela assunto in aperta violazione dei canoni di
buona amministrazione, i quali, alla luce della giurisprudenza elaborata in
materia di silenzio amministrativo, impongono invece l'adozione di un
espresso pronunciamento sulla questione sottoposta alla parte pubblica le
quante volte, proprio in relazione al dovere di correttezza di quest’ultima,
sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le
ragioni delle sue determinazioni (quali che siano) (vd., ex multis, C.d.S.
n. 183/2020).
Vale difatti osservare che la nota di riscontro della Molise Acque prot. n.
15228/2021 ha eluso e sostanzialmente ignorato la sopravvenienza fattuale
sin qui tratteggiata, essendosi l’Azienda limitata ad affermare, in
proposito, di avere “da sempre considerato il prezzo indicato sulla
piattaforma CONSIP quale valore “attendibile” di riferimento, specialmente
per un appalto dalle caratteristiche sensibilmente variabili come il mercato
dell’energia e di difficile previsione, a maggior ragione se riferito ad
annualità diverse da quella in corso … Ad ogni modo, con offerta presentata
da codesta spett.le Società, nonostante il prezzo unitario offerto pari a
82,29 €/MWh risultasse maggiore sia del presunto prezzo unitario di 63,95 €/MWh
e superiore anche del prezzo PUN della Borsa Elettrica Italiana (IPEX -
Italian Power Exchange) di Maggio 2021 pari a 69,91 €/MWh questa Stazione
Appaltante non ha sollevato, nei confronti di codesta spett.le Società e di
tutti gli altri partecipanti, alcuna eccezione sul prezzo offerto accettando
offerte tutte al rialzo, sia per tener conto delle possibili oscillazioni
del mercato, sia per favorire la massima concorrenzialità e partecipazione
alla procedura in parola”.
Con il che il problema della insostenibilità sopravvenuta dell’offerta,
sollevato dalla ricorrente, era rimasto negletto.
16. La carenza di motivazione già emergente da quanto precede si manifesta
poi con particolare evidenza sol che si tenga debito conto dello iato
temporale trascorso dal momento della presentazione delle offerte (maggio
2021) a quello dell’aggiudicazione (ottobre 2021).
L’Amministrazione, già
per quanto detto, avrebbe pertanto dovuto farsi carico di una specifica
valutazione della problematica indicata, dal momento che la stessa era
sopravvenuta rispetto alla presentazione delle offerte: da qui il suo dovere
di esprimersi sul punto, con particolare riferimento alla debita verifica di
affidabilità dell’offerta della En.Di. s.r.l. alla stregua dei valori di
mercato in essere al tempo dell’aggiudicazione.
16.1. Questa conclusione va ribadita al cospetto dell’art. 10 del
disciplinare di gara, dal quale si evince che la Stazione appaltante si era
espressamente riservata la facoltà “di valutare la congruità dell’offerta
qualora appaia anormalmente bassa, procedendo secondo le modalità di cui
all’art. 97 del Codice”.
Ed è in particolare il 6° comma dell’art. 97 dianzi menzionato ad introdurre
il principio generale per cui “La stazione appaltante in ogni caso può
valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici,
appaia anormalmente bassa”. Previsione, quest’ultima, che si raccorda con il
primo comma del medesimo articolo di legge il quale, nel tracciare l’ubi
consistam del giudizio tecnico di anomalia dell’offerta, specifica che esso
mira a verificare la “congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità”
dell’aggiudicanda offerta.
Alla luce di queste coordinate normative la costante giurisprudenza
amministrativa ha quindi da tempo chiarito che “obiettivo della verifica di
anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso, e nel
suo importo originario, affidabile o meno”, in pari tempo evidenziando che
“il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di
tutti gli elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che
militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme ...” (C.d.S.,
n. 636/2012).
Più di recente si è altresì precisato che, “per consolidato intendimento,
nelle procedure di gara il procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta è finalizzato ad accertare l’attendibilità e la serietà
dell’offerta, nonché l’effettiva possibilità dell’impresa di eseguire
correttamente l’appalto alle condizioni proposte" (cfr. Cons. Stato, V, 16.04.2019, n. 2496; Id., III, 29.03.2019, n. 2079; Id., V,
05.03.2019, n. 1538)” (cfr. C.d.S., n. 1874/2020).
Da ultimo, la giurisprudenza di merito ha anche puntualizzato che “la
valutazione sulla sostenibilità dell’offerta deve essere effettuata anche
tenendo conto delle sopravvenienze di fatto e di diritto che incidono sulla
sua tenuta economica, e ciò sia in caso di rivalutazione in melius che in
peius per il concorrente” (TAR Lazio, n. 13167/2021; n. 10021/2021).
Sicché la carenza di istruttoria e di motivazione sul tema
dell’attendibilità e/o serietà dell’offerta di En.Di. s.r.l. è
decisivamente apprezzabile anche da questo angolo prospettico, che denota la
sostanziale fondatezza della censura di violazione dell’art. 97 del D.Lgs.
n. 50/2016.
Del resto il giudizio di anomalia dell’offerta ha trovato uno spazio
applicativo –pur nella vigenza del precedente Codice dei Contratti- anche
negli appalti con offerte a ribasso sui tempi di esecuzione dell’opera, per
i quali è stato chiarito che, in presenza di ribassi tali da far sorgere il
timore di mettere a repentaglio la serietà dell’offerta, l’Amministrazione
avrebbe dovuto farsi carico della problematica: essa avrebbe cioè dovuto
esprimere una valutazione consapevole sul punto (C.d.S., n. 4858/2013).
16.2. Né la fondatezza dei rilievi sin qui esposti può incontrare obiezioni
a fronte delle (invero) limitate contestazioni che la resistente ha
sollevato in riferimento agli elaborati peritali di parte privata.
Molise Acque ha infatti dedotto che questi ultimi nulla dimostrerebbero con
riferimento all’imprevedibilità del predetto rialzo dei prezzi alla data di
presentazione dell’offerta.
16.2.1. Il Collegio ritiene, anzitutto, che tale questione sia mal posta,
dovendosi –il seggio di gara- comunque interrogare sulla fattibilità
dell’offerta di En.Di. s.r.l. (come del resto delle altre eventuali
partecipanti) al tempo dell’aggiudicazione, tant’è che pure l’art. 95, comma
12, del D.Lgs. n. 50/2016 (rubricato “Criteri di aggiudicazione
dell'appalto”), consente di “non procedere all'aggiudicazione se nessuna
offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del
contratto”.
Ogni valutazione di idoneità dell’offerta è quindi comunque cristallizzata
al decisivo momento dell’aggiudicazione, conferendosi all’Amministrazione un
potere certamente discrezionale, il cui esercizio nella specie avrebbe
dovuto essere attentamente valutato dalla Stazione appaltante sotto altri
concorrenti aspetti suggeriti dalla norma da ultimo citata.
In primis appare illuminante il riferimento legislativo all’“oggetto del
contratto”, previsione che per i contratti ad effetti obbligatori quale
l’appalto non può che riferirsi direttamente al concetto di “prestazione”
(art. 1174 cod. civ.), imponendo quindi (a prescindere dalla reale
sussistenza di un factum principis) un esame dell’idoneità della stessa a
soddisfare gli interessi pubblici.
Ora, sotto questo profilo il capitolato speciale d’appalto del caso concreto
ha condizionato la fornitura del servizio di energia elettrica all’esigenza
di assicurarne la continuità e non interrompibilità “vista la funzione di
pubblica utilità svolta dal Cliente” (art. 19).
Con la conseguenza che, qualora la prestazione offerta non fosse da
ritenersi atta a garantire effettivamente la possibilità di una sua
esecuzione per tutta la durata dell’appalto, si andrebbe incontro ad una
soluzione di continuità del servizio pubblico che l’Amministrazione, in via
logicamente prioritaria e anche indipendentemente (ripetesi) da ogni
questione di imputabilità del fattore sopravvenuto, avrebbe il dovere di
prevenire, in quanto incompatibile con gli interessi dell’Amministrazione (e
di certo non pienamente ristorabile “per equivalente”).
16.2.2. Sotto l’aspetto più marcatamente economico, poi, sarebbe inesatto
pensare che quello dell’equilibrio contrattuale sia un tema circoscritto
alla mera fase esecutiva del contratto, come tale involgente al più
questioni di imputabilità di eventuali inadempimenti contrattuali.
La giurisprudenza amministrativa ha infatti già chiarito che “l’equilibrio
economico di una operazione contrattuale oggetto di una procedura ad
evidenza pubblica non attiene solo alla fase esecutiva del contratto, bensì
rappresenta anche una imprescindibile esigenza “a monte” della stipulazione
del contratto, come dimostra la disciplina in tema di valutazione delle
offerte anomale, volta proprio a far emergere quelle offerte che, siccome
anormalmente basse, non sarebbero in grado di garantire la qualità del
servizio, alla ricerca dell’equilibrio economico del contratto” (TAR
Sardegna, n. 554/2020).
16.2.3. E a confermare la connessione tra le due fasi (procedimentale e
negoziale) dell’attività contrattuale della pubblica Amministrazione vale,
appunto, il rispetto del principio del c.d. “utile necessario”. Il medesimo
richiede infatti che nei congrui casi venga vagliata l’effettiva
sostenibilità economica non solo dell’offerta strutturalmente in perdita
ab
initio (la quale tradirebbe per ciò solo lo scopo di lucro e, in definitiva,
la ratio essendi dei soggetti che dovrebbero operare sul mercato in una
logica di profitto), ma anche di quella in pareggio, o che presenti un utile
solo oltremodo modesto (cfr. TAR Salerno, n. 536/2021).
16.2.4. Lo svolgimento di una valutazione sulla sostenibilità dell’offerta
della ricorrente in funzione dell’affidamento della commessa, nella specie,
era anche del tutto coerente con il criterio prescelto per l’aggiudicazione
della fornitura.
L’art. 2 del capitolato speciale ha infatti previsto l’aggiudicazione al
prezzo più basso, ossia mediante un sistema che l’art. 95, comma 4, del
D.Lgs. n. 50/2016 concepisce come legato direttamente alle condizioni
“definite dal mercato”. Quindi anche in questo senso si imponeva ogni
attenta valutazione di idoneità parametrata –ripetesi, al tempo
dell’aggiudicazione- alle dinamiche di mercato, pena un’incoerenza con lo
stesso criterio prescelto a monte per l’aggiudicazione della gara.
16.2.5. In ogni caso, poi, la perizia di En.Di. srl ha persuasivamente
esposto, e coerentemente concluso, che “nessun operatore, considerando anche
tutti gli elementi forniti dai dati storici, avrebbe mai potuto prevedere
una crescita cosi incisiva e repentina dei prezzi di borsa sia sui mercati
nazionali sia su quelli europei. I dati analizzati hanno evidenziato i
legami con il fabbisogno nazionale, il mix energetico e gli eventi
imprevedibili come le crisi economiche”.
16.2.6. Senza dire, infine, che il punto della prevedibilità o meno del
rialzo in discussione nulla comunque toglierebbe all’illegittimità della
mancata istruttoria e valutazione in ordine alla sostenibilità dell’offerta
più volte detta.
17. In conclusione il ricorso deve dunque trovare accoglimento, con il
conseguente effetto di annullamento dell’impugnato provvedimento di
aggiudicazione della gara nei sensi di cui in motivazione.
Rimangono salve le determinazioni che l’Amministrazione riterrà di assumere
sia all’esito del giudizio di anomalia dell’offerta della ricorrente
(giudizio che dovrà comunque necessariamente legarsi all’attualità -C.D.S.
n. 72/2019-, ossia al tempo dell’aggiudicazione), sia, nel discrezionale
apprezzamento della Stazione appaltante, ai fini di una eventuale riedizione
della procedura di gara. |
APPALTI: Il
procedimento di verifica dell'anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto
ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e
affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la
valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi
esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo.
L’esito della gara può infatti essere travolto solo quando il giudizio
negativo sul piano dell’attendibilità riguardi voci che, per la loro
rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione
economicamente non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente
affidabilità a garantire la regolare esecuzione del contratto volta al
perseguimento dell’interesse pubblico.
D’altro canto va anche rammentato che la formulazione di un’offerta
economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime
previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un
ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi
impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle
grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un
contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole
ed attendibile.
Giova poi anche richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale
secondo cui la verifica di congruità di un’offerta non può essere effettuata
attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va
condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell’offerta
analizzata ed alla capacità dell’impresa –tenuto conto della propria
organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di
particolari condizioni favorevoli esterne– di eseguire le prestazioni
contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso
sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto
fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità
di una di esse.
Inoltre, la motivazione del giudizio di non anomalia non deve essere
specifica ed estesa, potendo essere effettuata anche mediante rinvio per
relationem alle risultanze procedimentali e alle giustificazioni fornite
dall’impresa. La stazione appaltante non è poi tenuta a chiedere chiarimenti
su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma
può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con
riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla
complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e
inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio.
---------------
6.2. Come più volte affermato dalla giurisprudenza, il procedimento di
verifica dell'anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole
inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in
concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in
relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la valutazione di
congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente
e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo (tra le tante, Cons. di
Stato, V, 02.05.2019, n. 2879; III, 29.01.2019, n. 726; V, 23.01.2018, n.
430; 30.10.2017, n. 4978).
L’esito della gara può infatti essere travolto solo quando il giudizio
negativo sul piano dell’attendibilità riguardi voci che, per la loro
rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione
economicamente non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente
affidabilità a garantire la regolare esecuzione del contratto volta al
perseguimento dell’interesse pubblico.
D’altro canto va anche rammentato che la formulazione di un’offerta
economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime
previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un
ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi
impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle
grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un
contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante
ragionevole ed attendibile (così espressamente Cons. di Stato, V, 2018,
3480).
Giova poi anche richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale
secondo cui la verifica di congruità di un’offerta non può essere effettuata
attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va
condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell’offerta
analizzata ed alla capacità dell’impresa –tenuto conto della propria
organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di
particolari condizioni favorevoli esterne– di eseguire le prestazioni
contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso
sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto
fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità
di una di esse (Cons. St., sez. III, 09.10.2018, n. 5798).
Inoltre, la motivazione del giudizio di non anomalia non deve essere
specifica ed estesa, potendo essere effettuata anche mediante rinvio per
relationem alle risultanze procedimentali e alle giustificazioni fornite
dall’impresa. La stazione appaltante non è poi tenuta a chiedere chiarimenti
su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma
può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con
riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla
complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e
inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio (Cons. Stato,
Sez. III, 14.11.2018, n. 6430).
6.3. Nella fattispecie in esame si osserva sempre in linea generale che la
verifica di anomalia è stata condotta dalla stazione appaltante in modo
accurato e approfondito. Infatti, la fase di verifica di congruità tesa ad
accertare l’adeguatezza e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della
concessione da parte dei concorrenti, sulla base del Piano economico
finanziario predisposto, è stata caratterizzata da una prima richiesta di
chiarimenti del 30.08.2019 e dal relativo riscontro del successivo 6
settembre, nonché da un’ulteriore richiesta di approfondimento.
Non può poi essere accolta neppure la doglianza con cui si sostiene che la
It. avrebbe inammissibilmente fornito in via postuma e integrato solo in
sede di giudizio le giustificazioni a sostegno della congruità della propria
offerta, al fine di emendare i vizi dedotti e illegittimamente non
riscontrati dall’amministrazione prima e dal tribunale poi.
Infatti, in base ai consolidati principi della giurisprudenza, se in sede
giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per
aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione
appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio
provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale (Cons. Stato, Sez.
III, 14.11.2018, n. 6430; Consiglio di Stato, sez. III, 15.02.2021 n. 1361) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 07.02.2022 n. 854 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2022 |
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APPALTI: L’Adunanza
plenaria pronuncia sulla legittimazione degli amministratori e dei soci di
una persona giuridica ad impugnare l’interdittiva antimafia.
---------------
Processo amministrativo – Legittimazione attiva – Interdittiva antimafia
– Amministratori ed i soci di una persona giuridica destinataria di
interdittiva – Non sono legittimati.
Gli amministratori ed i soci di una persona
giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di
legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento (1).
---------------
(1) La questione era stata rimessa dal C.g.a. con
sentenza non definitiva 19.07.2021 n. 726.
Sulla specifica questione dei soggetti legittimati ad impugnare le
informative prefettizie, la sentenza rileva come non si registri un
orientamento univoco nella giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Un primo orientamento ha stabilito che il ricorso proposto da soggetti
diversi dall’impresa destinataria dell’interdittiva è inammissibile per
carenza di legittimazione attiva, in quanto il decreto prefettizio può
essere impugnato solo dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti sulla
sua posizione giuridica di interesse legittimo (in tal senso Cons. Stato,
sez. III, 14.10.2020, n. 6205,
22.01.2019 n. 539,
16.05.2018 n. 2895, 11.05.2018,
n. 2824 e
n. 2829).
Un altro orientamento (Cons.
Stato, sez. III, 04.04.2017, n. 1559) ha invece riconosciuto la
legittimazione ad impugnare l’informativa, a tutela di un proprio interesse
morale, in una ipotesi relativa a ricorso proposto da ex amministratori
della società, o loro parenti, menzionati nell’interdittiva quali soggetti
partecipi degli elementi indiziari da cui viene desunto il pericolo di
condizionamento di stampo mafioso, ritenendosi la sussistenza della
legittimazione al ricorso, in ragione della lesione concreta ed attuale
della situazione professionale e patrimoniale dei soggetti che abbiano
dovuto rinunciare all’incarico di amministratori della società, nonché sotto
il profilo della potenziale lesione dell’onore e reputazione personale dei
soggetti sui quali nel provvedimento venga ipotizzato un condizionamento
mafioso.
Nell’ambito di tale secondo orientamento, viene anche ricordato altro
precedente (Cons. Stato, sez. III, 07.04.2021 n. 2793), sebbene nella
diversa fattispecie di scioglimento dell'organo consiliare comunale, ai
sensi dell'art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000.
L’Adunanza Plenaria ritiene che gli amministratori ed i soci di una società
destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione
attiva all’impugnazione di tale provvedimento.
non appare possibile, onde riconoscere la legittimazione attiva in sede
processuale (ai fini del ricorso avverso tale provvedimento), argomentare in
termini di “bilanciamento” del “sacrificio delle garanzie
procedimentali” ovvero di “compensazione” della “omessa garanzia
del contraddittorio endoprocedimentale” per il tramite di un riconoscimento
di legittimazione ad agire.
Appare, infatti, evidente che ciò che rileva, ai fini della soluzione del
quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria, è la individuazione della
sussistenza (o meno) di una situazione soggettiva in capo agli
amministratori ed ai soci della persona giuridica, con la conseguenza che,
laddove tale situazione venga individuata ed abbia, in particolare, la
consistenza di interesse legittimo, su di essa potrà fondarsi la
legittimazione ad agire in giudizio a tutela della posizione medesima, in
piena attuazione degli artt. 24 e 113 Cost. e, non ultimo, la stessa
possibilità di partecipazione procedimentale, ai sensi degli artt. 7 ss., l.
n. 241 del 1990 (salvo verificare la specifica compatibilità degli istituti
della l. n. 241 del 1990 con la disciplina del Codice delle leggi
antimafia); non sussistendo, in caso contrario, né la legittimazione ad
agire in giudizio né quella a partecipare al procedimento.
Né può essere obliato che, anche in sede di partecipazione procedimentale,
la stessa l. n. 241 del 1990 –utilizzando un concetto di “pregiudizio”
variamente riferito a diverse tipologie di “interesse”- conosce forme
e livelli diversi di partecipazione in funzione di tutela nell’ambito del
procedimento, riconoscendo:
- una partecipazione piena –quale forma di tutela “anticipata”
in sede procedimentale delle proprie situazioni giuridiche– ai destinatari
diretti del provvedimento che l’amministrazione intende assumere a
conclusione del procedimento amministrativo, ovvero a coloro che
dall’emanazione del medesimo, ancorché non ne siano diretti destinatari,
possano subire un pregiudizio (i cd. controinteressati in sede
procedimentale):
- una ulteriore forma di partecipazione, riconosciuta a quei
soggetti, portatori di interessi pubblici o privati “cui possa derivare
un pregiudizio dal provvedimento”.
E tali differenti forme di partecipazione procedimentale si riflettono su
distinte situazioni in sede processuale, quali quella della legittimazione
ad agire o a resistere, per un verso; ovvero dell’intervento (ad
adiuvandum o ad opponendum), per altro verso. (Cons. Stato, sez.
V,
08.04.2021, n. 2836; sez. IV,
16.02.2010, n. 887).
D’altra parte, il recente d.l. 06.11.2021, n. 152, nell’introdurre modifiche
agli artt. 92 e 93, d.lgs. n. 159 del 2011, prevede forme di partecipazione
del soggetto destinatario del provvedimento di informazione antimafia
interdittiva, disponendo che allo stesso venga data tempestiva
comunicazione, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di
infiltrazione mafiosa ed assegnandogli un termine (non superiore a venti
giorni) per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da
documenti, nonché per richiedere l'audizione.
Tale nuova disciplina per un verso stempera le perplessità espresse dalla
sentenza di rimessione in ordine all’adozione di un provvedimento “con
riverberi assai durevoli nel tempo, se non addirittura permanenti,
indelebili e inemendabili” senza alcun contraddittorio
endoprocedimentale (cui, nella prospettazione offerta, dovrebbe fare da “bilanciamento”
il riconoscimento di legittimazione processuale); per altro verso, rende
palese come il legislatore ritenga titolare di una situazione giuridica tale
da legittimarlo alla partecipazione procedimentale (nei termini ivi
specificamente disciplinati) il solo soggetto possibile destinatario della
misura interdittiva (la persona giuridica) e non altri (amministratori,
soci, etc.).
Il giudizio amministrativo, nella sua forma di giudizio impugnatorio di
atti, tende ad assicurare al soggetto che si ritiene leso un vantaggio, che,
attraverso l’eliminazione del provvedimento lesivo, consiste o nel
recuperare la pienezza del proprio patrimonio giuridico ovvero nel
conseguire (o tentare di conseguire) attraverso l’esercizio del potere
amministrativo un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.
Ma, in ambedue le ipotesi, l’effetto proprio della sentenza costitutiva di
annullamento si produce direttamente (e solo) sul patrimonio giuridico del
soggetto per il quale si è instaurata –volente o nolente- una particolare
relazione con la pubblica amministrazione, vuoi perché è l’amministrazione
stessa che, unilateralmente e procedendo ex officio, ha intercettato
la sua situazione giuridica, vuoi perché, al contrario, è stato il soggetto,
attraverso una propria iniziativa di avvio procedimentale, a postulare
l’esercizio (poi negato) del potere amministrativo.
Alla luce di quanto sin qui esposto, può allora affermarsi che le
caratteristiche di “personale” e “diretto”, che devono
assistere l’interesse legittimo, svolgono, sul piano sostanziale, anche il
ruolo di definire l’ambito della (possibile) titolarità della posizione
giuridica, il riconoscimento e tutela della medesima da parte
dell’ordinamento giuridico.
Nell’ambito della situazione dinamica in cui si pone l’esercizio del potere
amministrativo, dunque, l’interesse è “personale” in quanto si
appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, ed è
altresì (inscindibilmente con la prima caratteristica), anche “diretto”,
in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con
l’esercizio del potere amministrativo (per essere destinatario dell’atto e/o
per avere nei confronti dell’atto una posizione opposta, speculare a quella
del destinatario diretto).
Ne consegue che non possono esservi posizioni di interesse legittimo nei
confronti della pubblica amministrazione nell’esercizio del potere
amministrativo conferitole dall’ordinamento, che non siano quelle (e solo
quelle) che sorgono per effetto dello stesso statuto normativo del potere,
nell’ambito del rapporto giuridico di diritto pubblico, (pre)configurato
normativamente.
L’interesse legittimo prevede, dunque, l’instaurazione di un rapporto
giuridico con la pubblica Amministrazione; un rapporto giuridico che, per di
più, non è ipotizzabile come potenziale, ma che si instaura al momento
stesso dell’insorgenza della posizione.
Laddove, dunque, gli attributi di “personale” e “diretto”
attengono all’interesse legittimo in quanto posizione sostanziale, e
consentono di circoscriverne la titolarità, l’ulteriore attributo di
“attuale”, attiene alla proiezione processuale della posizione sostanziale,
alla emersione della esigenza di tutela per effetto di un atto concreto e
sincronicamente appezzabile di esercizio di potere, che renda dunque
necessaria l’azione in giudizio, onde ottenere tutela, e quindi “utile”,
a tali fini, la pronuncia del giudice.
E’ tale posizione giuridica, nei sensi sopra descritti, che legittima al
ricorso avverso l’atto amministrativo lesivo, se ed in quanto, attraverso
l’annullamento dell’atto, si conserva o consegue (o si può conseguire, anche
attraverso il riesercizio del potere amministrativo) quella utilità di cui
si è, o si ritiene di dovere diventare, o si intende diventare, “titolare”.
Al contrario, laddove non è individuabile tale posizione, ma pur tuttavia
sono enucleabili generiche posizioni di interesse (anche derivanti da
rapporti, quale che ne sia la fonte, intercorrenti tra soggetto in relazione
con il potere amministrativo ed ulteriori soggetti), queste ultime –che ben
possono ricevere indirettamente e/o di riflesso, un “pregiudizio”-
legittimano i loro titolari a spiegare intervento in giudizio, ma non già ad
impugnare autonomamente il provvedimento lesivo della sfera giuridica del
soggetto con il quale intrattengono a diverso titolo rapporti giuridici.
L’ampliamento o la compressione del patrimonio giuridico, come si è già
avuto modo di osservare, devono derivare direttamente dall’esercizio del
potere amministrativo e solo questo determina, in sede processuale, la
legittimazione ad agire.
Nel caso oggetto del presente giudizio, non può non rinvenirsi carenza di
legittimazione attiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona
giuridica colpita da interdittiva antimafia.
Come ha condivisibilmente affermato il prevalente orientamento della
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (si veda, inter alia,
Cons. Stato, sez. III, 22.01.2019, n. 539) “il decreto prefettizio
può essere impugnato dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti, e
quindi, dal destinatario dell’atto, e cioè dalla società, in quanto solo il
destinatario subisce la lesione immediata e diretta alla sua posizione
giuridica soggettiva di interesse legittimo che consente il ricorso dinanzi
al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a.”.
Si è anche affermato come laddove “la lesione lamentata dal ricorrente
riveste ed è stata da egli stesso qualificata come lesione del suo “diritto”
alla reputazione, alla dignità, situazione giuridica soggettiva che non ha
natura di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo”, vi è carenza di
titolarità di interesse legittimo “il che comporta ulteriori profili di
inammissibilità del ricorso sotto altro aspetto”.
Più specificamente, con riferimento alla posizione degli appellanti nella
presente sede, è la posizione degli stessi in rapporto alla persona
giuridica/società per azioni che, alla luce di quanto innanzi esposto,
esclude la loro legittimazione ad agire, non essendo individuabile una loro
titolarità di interesse legittimo.
Se, come essi stessi affermano (v. pag. 3 memoria del 15.10.2021), “il
carattere di persona giuridica attribuito alla società non può eliderne la
natura contrattuale e dunque il legame indissolubile con i contraenti, ossia
i soci, o con le persone fisiche che, come gli amministratori, svolgono
alcuni ruoli indispensabili perché la società possa determinarsi ad operare”,
appare evidente come gli amministratori e/o i soci non siano destinatari
diretti dell’esercizio del potere amministrativo, essendovi relazione
diretta solo tra potere amministrativo e persona giuridica, ma essi emergono
con un proprio (possibile e riflesso) pregiudizio solo per effetto di un
diverso rapporto (di natura contrattuale o di altro tipo) che li lega al
destinatario diretto (la società).
Ma questo rapporto, estraneo alla relazione intersoggettiva tra destinatario
dell’atto e pubblica amministrazione, è inidoneo a far sorgere situazioni di
interesse legittimo e impedisce, quindi, di configurare sul piano
processuale la legittimazione ad agire nei confronti del provvedimento di
interdittiva antimafia.
Ciò non significa che tale provvedimento non possa produrre “pregiudizi”
sulla loro sfera giuridica, ma che, in ogni caso, questi ultimi non possono
sorreggere la legittimazione ad impugnare, ma solo, nell’ambito del
sindacato giurisdizionale di legittimità e ricorrendone i presupposti, un
intervento in giudizio (Consiglio
di Stato, A.P.,
sentenza 28.01.2022 n. 3 -
commento tratto da e link a
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APPALTI: Natura
sanzionatoria dell’interdittiva Anac.
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●
Annullamento d’ufficio e revoca - Riesame – Rigetto – Natura.
● Processo amministrativo –
Giudicato – Ne bis in idem – Presupposti.
● Contratti della Pubblica
amministrazione - Casellario informatico – Annotazione – Natura.
●
Il rigetto di una istanza di riesame non equivale alla mancata
apertura del procedimento di riesame, concernendo non già il profilo
dell’iniziativa procedimentale, ma quello dell’epilogo decisorio,
presupponente una nuova ponderazione degli interessi, condotta sulla base
degli ulteriori elementi assunti a sostegno della decisione (1).
●
Qualora su di una
determinata domanda vi sia stata statuizione del giudice e detta statuizione
sia passata in giudicato, non è possibile che la stessa domanda venga
riproposta, in quanto ciò comporterebbe la violazione del principio del ne
bis in idem; ma perché ciò si verifichi, occorre che il precedente giudizio
coinvolga le stesse parti in causa e prospetti gli stessi elementi
identificativi dell’azione proposta, e quindi che nei giudizi sia chiesto
l’annullamento degli stessi provvedimenti, od al più di provvedimenti
diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità, in quanto
inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di
impugnazione (2).
●
Il potere esercitato
dall’Anac con l’annotazione nel casellario informatico, ai sensi del
predetto art. 38, comma 1-ter, d.lgs. n. 163 del 2006 ha natura
sanzionatoria ed afflittiva, con carattere dunque tassativo e di stretta
interpretazione (al pari, del resto, delle altre cause di esclusione); ne
consegue che l’art. 38, comma 1-ter, d.lgs. n. 163 del 2006 non si applica
al di fuori dei casi considerati di presentazione di falsa dichiarazione o
falsa documentazione (3).
---------------
(1) Ha chiarito la Sezione che la conferma impropria si ha allorché
l’amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame, si limiti a dichiarare
l’esistenza di un suo precedente provvedimento (in definitiva, a
richiamarlo), senza compiere alcuna ulteriore istruttoria e senza esprimere
una nuova motivazione; ove invece i fatti ed i motivi prospettati dal
richiedente siano in qualche modo rivalutati, si ha una decisione di merito,
di segno negativo, che costituisce una conferma propria (in quanto ha un
contenuto identico a quello originario), provvedimento autonomamente
impugnabile (Cons.
Stato, sez. VI, 17.07.2017, n. 3513).
Il riesame, quantunque ampiamente discrezionale, essendo rimesso alla
valutazione di merito dell’amministrazione (Cons.
Stato, sez. IV, 13.02.2020, n. 1141), allorché viene attivato, si
conclude con un provvedimento che, ove analogo al precedente, assume la
natura di conferma propria, esorbitando dall’ambito dell’atto ad effetto
confermativo, che si configura allorché l’amministrazione dà atto
dell’esistenza di un precedente provvedimento, rifiutando di procedere ad
una nuova valutazione dell’affare.
Né può trascurarsi di considerare come talora il potere di riesame sia
funzionale al ripristino della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento
(valore primario dell’ordinamento, come affermato anche, ovviamente su altro
piano, dalla giurisprudenza costituzionale nei più variegati settori
dell’ordinamento: a titolo esemplificativo, Corte cost., 30.11.1982,
n. 204 e 15.03.2020, n. 54).
(2) Sulla prima parte della massima v.
Cons., Stato, sez. III, 29.11.2018, n. 6808; sulla seconda parte
v.
Cons. Stato, sez. V, 26.11.2020, n. 7437.
(3) La Sezione ha ricordato che sul piano interpretativo, la
differenza tra dichiarazioni omesse e false, riconducendo le due ipotesi
rispettivamente nell’ambito dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), ovvero
lett. f-bis), d.lgs. n. 50 del 2016. In particolare,
Cons. Stato, Ad. Plen., 28.08.2020, n. 16 ha precisato che le
fattispecie riconducibili nella prima previsione non consentono l’esclusione
automatica dalla procedura di gara, ma impongono alla stazione appaltante di
svolgere la valutazione di integrità ed affidabilità del concorrente. Al
contrario, la falsità dichiarativa ha attitudine espulsiva automatica ed è
predicabile rispetto ad un “dato di realtà”, ovvero ad una situazione fattuale per la quale possa porsi l’alternativa logica “vero/falso” rispetto
alla quale valutare la dichiarazione resa dall’operatore (Cons.
Stato, sez. IV, 30.12.2020, n. 8532).
Ora, a prescindere da questi profili attinenti alla disciplina della gara,
ciò che rileva in questa sede è che risulta ormai acclarata la differenza
giuridica tra omessa dichiarazione e falsa dichiarazione. Solo quest’ultima
(unitamente alla falsa documentazione) assume valore, a termini dell’art.
38, comma 1-ter, d.lgs. n. 163 del 2006, ma anche dell’analogo art. 80,
comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella prospettiva della segnalazione
all’Anac, la quale, ove la ritenga resa con dolo o colpa grave, dispone
l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalla gara e
dagli affidamenti di subappalti.
Il sopravvenuto chiarimento giurisprudenziale non ha peraltro una “portata
innovativa”, in quanto, come detto, già l’art. 38, comma 1-ter, limitava,
come emerge dalla sua ermeneusi letterale, la segnalazione alle ipotesi di
falsa dichiarazione o falsa documentazione, locuzione che comunque non
ammette un’interpretazione estensiva (nei confronti delle dichiarazioni
omesse), operando il principio di stretta tipicità legale della fattispecie
sanzionatoria, come questa Sezione ha avuto occasione di porre in evidenza
in pronunce cautelari (cfr. Cons. Stato, V,
ord. 26.02.2021, n. 923, nonché
ord. 23.04.2021, n. 2163, intervenuta nel presente contenzioso).
Tornando sulla natura giuridica dell’annotazione nel casellario, osserva il
Collegio come sia impossibile escluderne una natura sanzionatoria, a
prescindere (come già ritenuto anche da Cass., sez. un., 04.12.2020, n.
27770) dalla ravvisabilità degli indici elaborati dalla giurisprudenza della
Corte di Strasburgo per l’affermazione di un quid pluris e cioè della natura
sostanzialmente penale (cui devono correlarsi determinate garanzie) della
sanzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 della convenzione europea
dei diritti dell’uomo, ed in particolare di quelli della qualificazione
giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, della intrinseca natura
dell’illecito e del grado di severità della sanzione in cui l’interessato
rischia di incorrere (c.d. “Engel criteria”, affermati per la prima volta
dalla Corte EDU, 08.06.1976, Engel c. Paesi Bassi, e poi ribaditi dalla
sentenza 04.03.2014, Grande Stevens e altri c. Italia), tematica cui è
applicabile la recente giurisprudenza costituzionale evocata
dall’appellante, concernente in definitiva l’estensione dello “statuto
costituzionale” delle sanzioni penali a quelle amministrative a carattere
punitivo (tra cui i principi di irretroattività della norma sfavorevole, e
di retroattività della lex mitior: cfr. Corte cost. 16.04.2021, n. 68).
Occorre considerare che, seppure l’annotazione sia generalmente ricondotta
nell’ambito della funzione di vigilanza e controllo dell’Anac (argomentando
anche dall’art. 213, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016), con riguardo alla
falsa dichiarazione o falsa documentazione non costituisce un mero atto
dovuto da parte dell’Anac a seguito della segnalazione, imponendo altresì un
giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione (in termini di dolo o
colpa grave), e producendo delle conseguenze inequivocabilmente afflittive,
in particolare l’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di
subappalti per un dato arco temporale, così da assumere -lo si ripete-
natura sanzionatoria (in termini
Cons. Stato, sez. V, 13.12.2019, n. 8480) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 25.01.2022 n. 491 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
1.- Con il primo, articolato, motivo l’appellante deduce che l’ANAC
ha aperto, su istanza della stessa Re., un procedimento caratterizzato da
un’istruttoria, anteriormente alla pubblicazione della sentenza di Cass.,
SS.UU., 04.12.2020, n. 27770, in contraddittorio con la società,
convocata in audizione, e conclusosi con una proposta di rigetto, da parte
dell’ufficio, in data 18.12.2020, dell’istanza di Re. e di conferma
della delibera n. 1106 del 2017, con conseguente decisione di procedere
all’annotazione dell’iscrizione; tale proposta è poi stata valutata e
recepita dal Consiglio dell’Autorità che, in data 22.12.2020, ha
deliberato in conformità della proposta dell’ufficio.
Per l’appellante, tale
attività esclude che possa configurarsi una mera comunicazione di ANAC,
espressiva dell’impossibilità di procrastinare l’annotazione della
segnalazione in ragione della sopravvenuta definitività delle pronunce
giurisdizionali, evidenziando al contrario un procedimento amministrativo di
secondo grado, a sua volta conclusosi con una delibera del Consiglio, di
rigetto dell’istanza di Re., avente natura di conferma propria, come si
evincerebbe anche dalla registrazione della seduta del 25.11.2020
(minuto 26,10).
Assume ancora l’appellante che, ferma la tendenziale
insussistenza di un obbligo di avviare un procedimento di riesame su istanza
di un privato, allorché siano valutati i contenuti della domanda stessa,
all’esito di un contraddittorio con l’istante, il procedimento di secondo
grado deve ritenersi avviato, e deve essere concluso con un provvedimento
espresso.
Il motivo è fondato.
La attenta scansione dell’attività compiuta dall’ANAC all’esito dell’istanza
di riesame di Re. in data 20.11.2020 impedisce al Collegio di
condividere l’assunto del giudice di prime cure, basato essenzialmente sul
contenuto delle affermazioni asseritamente rese dal presidente dell’Autorità
in apertura dell’audizione del 25.11.2020 e sulla nota in data 18.12.2020 definita “Appunto per il Consiglio”, da cui emergerebbe che l’ANAC
non ha inteso avviare un procedimento di riesame, circostanza confermata
dalla mancata comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, con il
corollario di escludere valore provvedimentale (in particolare di conferma
propria) alla nota impugnata.
Giova premettere che, per consolidata giurisprudenza, la distinzione tra
atto meramente confermativo, e quindi inimpugnabile, e atto di conferma in
senso proprio, autonomamente impugnabile, è data dallo svolgimento quanto al
secondo di una rinnovata valutazione e ponderazione, ovvero un riesame della
situazione che aveva condotto al precedente provvedimento; segnatamente,
ricorre l’atto meramente confermativo nel caso in cui è ribadita la
decisione assunta nell’atto precedente, senza alcuna rivalutazione degli
interessi, né nuovo apprezzamento dei fatti; vi è invece provvedimento di
conferma quando si procede ad un riesame della precedente decisione,
valutando nuovamente gli elementi di fatto acquisiti ovvero acquisendone di
nuovi, come pure ponderando una seconda volta gli interessi coinvolti.
Il
provvedimento di conferma si configura dunque come esito di un procedimento
di secondo grado, senza che rilevi il fatto che la decisione assunta
coincida perfettamente con quella contenuta nel precedente provvedimento,
perché quel che conta è che essa sia il frutto di un rinnovato esercizio del
potere amministrativo. In altri termini, sollecitata, in entrambi i casi, a
riaprire il procedimento da un’istanza esterna, l’amministrazione con l’atto
meramente confermativo dà una risposta negativa non riscontrando valide
ragioni di riapertura del procedimento concluso con la precedente
determinazione, laddove con il provvedimento di conferma dà una risposta
positiva, riapre il procedimento e adotta una nuova determinazione; di
conseguenza solo nel caso del provvedimento di conferma in senso proprio vi
è un procedimento e, all’esito di questo, un nuovo provvedimento, sia pure
di contenuto identico al precedente (in termini, tra le tante, Cons. Stato,
IV, 07.05.2021, n. 3579).
Nella fattispecie controversa si ha che, a seguito dell’istanza di riesame
della delibera n. 1106 del 2017 da parte di Re., con nota del 13 novembre
è stata fissata l’audizione dinanzi al Consiglio per il 25.11.2020; il
relativo verbale evidenzia, al di là del contestato incipit, che viene
disposto un rinvio in attesa della documentazione preannunciata ad
integrazione dell’istanza. Ricevuta detta documentazione, è intervenuta la
nota in data 18.12.2020 “Appunto per il Consiglio”; nella parte
contenente le “valutazioni”, la nota rileva preliminarmente che «occorre
valutare se l’istanza di riesame del provvedimento formulata dall’O.e. sia
accoglibile e se vi siano i margini per l’esercizio della c.d. “autotutela
decisoria», per poi affermare che, a parere dell’ufficio, «non si rinviene
alcuna rilevante sopravvenienza di fatto che imponga una rivisitazione del
provvedimento», tale non potendosi considerare l’attuale situazione di crisi
economica della società. La nota, quindi, nelle “conclusioni”, assume che
«non è possibile accogliere la […] istanza di riesame, a fronte
dell’insussistenza di sopravvenute ragioni di fatto che possano giustificare
un riesame del provvedimento», aggiungendo che non «si rinvengono i
presupposti per il riesame della delibera a suo tempo assunta e per
l’apertura di una nuova istruttoria neppure con la sola finalità di
rimodulare le sanzioni da irrogare».
Nell’adunanza del 22.12.2020 il Consiglio dell’Autorità ha deliberato
in conformità alla proposta dell’Ufficio.
Si tratta ora di capire se la nota interna e la conforme delibera del
Consiglio dell’ANAC si siano fermate ad un’attività prodromica o se invece
abbiano introdotto un nuovo procedimento di riesame.
Ad avviso del Collegio è configurabile la seconda opzione, in quanto la nota
del 18.12.2020 pone in luce che sia stato introdotto un procedimento
di riesame, e sia stata svolta l’istruttoria; l’ufficio dà conto delle
risultanze dell’audizione e degli argomenti posti da Re. a sostegno
dell’istanza di riesame (nuovo orientamento giurisprudenziale, situazione di
crisi finanziaria della società, aggravata dalla interdizione semestrale),
ritenendo che non costituiscano una rilevante sopravvenienza, concludendo
che l’istanza di riesame non è accoglibile. Il compiuto riesame è, del
resto, attestato anche dalla nota in data 05.01.2020, anche essa oggetto
del ricorso di primo grado, con la quale l’ANAC chiarisce apertis verbis che
«il Consiglio, ascoltati i difensori dell’O.e. nel corso dell’audizione del
25.11.2020, rivalutata l’intera vicenda, anche alla luce delle
considerazioni formulate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con
sentenza n. 27770 depositata il 04.12.2020, nell’adunanza del 22.12.2020 ha
dato mandato all’Ufficio di reinserire l’annotazione in oggetto».
Tale esito (di rigetto dell’istanza di riesame) non equivale alla mancata
apertura del procedimento di riesame, concernendo non già il profilo
dell’iniziativa procedimentale, ma quello dell’epilogo decisorio,
presupponente una nuova ponderazione degli interessi, condotta sulla base
degli ulteriori elementi assunti a sostegno della decisione.
Infatti la conferma impropria si ha allorché l’amministrazione, a fronte di
un’istanza di riesame, si limiti a dichiarare l’esistenza di un suo
precedente provvedimento (in definitiva, a richiamarlo), senza compiere
alcuna ulteriore istruttoria e senza esprimere una nuova motivazione; ove
invece i fatti ed i motivi prospettati dal richiedente siano in qualche modo
rivalutati, si ha una decisione di merito, di segno negativo, che
costituisce una conferma propria (in quanto ha un contenuto identico a
quello originario), provvedimento autonomamente impugnabile (Cons. Stato,
VI, 17.07.2017, n. 3513).
Il riesame, quantunque ampiamente discrezionale, essendo rimesso alla
valutazione di merito dell’amministrazione (Cons. Stato, IV, 13.02.2020, n. 1141), allorché viene attivato, si conclude con un provvedimento
che, ove analogo al precedente, assume la natura di conferma propria,
esorbitando dall’ambito dell’atto ad effetto confermativo, che si configura
allorché l’amministrazione dà atto dell’esistenza di un precedente
provvedimento, rifiutando di procedere ad una nuova valutazione dell’affare.
Né può trascurarsi di considerare come talora il potere di riesame sia
funzionale al ripristino della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento
(valore primario dell’ordinamento, come affermato anche, ovviamente su altro
piano, dalla giurisprudenza costituzionale nei più variegati settori
dell’ordinamento : a titolo esemplificativo, Corte cost., 30.11.1982,
n. 204 e 15.03.2020, n. 54), infrante, in una vicenda come quella in
esame, dalla presenza di un provvedimento, afflittivo in modo esponenziale,
come è nella effettualità propria di una sanzione interdittiva, basato su di
un’omessa dichiarazione “innocua”.
Corollario di ciò è, contrariamente a quanto statuito dal primo giudice,
l’ammissibilità del ricorso di primo grado, avente ad oggetto non solo il
provvedimento in data 24.12.2020, di notifica dell’inserimento
dell’annotazione interdittiva, ma anche la presupposta delibera del
Consiglio in data 22.12.2020, integrante i requisiti della conferma
propria.
2. - L’operata ricostruzione della vicenda in termini di conferma propria
evidenzia anche l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso
svolta dall’ANAC (e, in modo sostanzialmente sovrapponibile, anche dalle
altre parti resistenti) nella considerazione che risulterebbe violato il
principio del ne bis in idem e il giudicato, in quanto le doglianze svolte
da Re. in primo grado ed in questa sede riproposte sarebbero volte a
rimettere in discussione la delibera n. 1106 del 2017, su cui si è, appunto,
formato il giudicato, atteso che le note impugnate sono prive di natura
provvedimentale, valendo come mera presa d’atto del giudicato formatosi sul
predetto provvedimento sanzionatorio.
E’ noto il principio generale per cui qualora su di una determinata domanda
vi sia stata statuizione del giudice e detta statuizione sia passata in
giudicato, non è possibile che la stessa domanda venga riproposta, in quanto
ciò comporterebbe la violazione del principio del ne bis in idem (tra le
tante, Cons., Stato, III, 29.11.2018, n. 6808). Ma perché ciò si
verifichi, occorre che il precedente giudizio coinvolga le stesse parti in
causa e prospetti gli stessi elementi identificativi dell’azione proposta, e
quindi che nei giudizi sia chiesto l’annullamento degli stessi
provvedimenti, od al più di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto
vincolo di consequenzialità, in quanto inerenti ad un medesimo rapporto,
sulla base di identici motivi di impugnazione (così anche Cons. Stato, V, 26.11.2020, n. 7437).
Ma nella fattispecie in esame, il ricorso di primo grado ha ad oggetto
provvedimenti diversi dalla delibera dell’ANAC n. 1106 del 2017, e
precisamente la delibera ANAC del 24.12.2020, di annotazione della
sanzione interdittiva, e la nota del successivo 05.01.2021, di risposta
alla richiesta di differimento della stessa annotazione; la (solo) parziale
coincidenza dei motivi dedotti discende dalla natura dell’atto impugnato,
costituito da un provvedimento di conferma.
Peraltro, con riguardo al giudicato inter partes, di cui alla sentenza della
Sezione 27.12.2018, n. 7271, giova rilevare che è di rigetto e ha
pertanto un contenuto di accertamento negativo; invero tale tipo di
pronuncia lascia invariato l’assetto giuridico dei rapporti precedenti alla
radicazione del giudizio con l’impugnazione dell’atto amministrativo (Cons.
Stato, V, 08.04.2014, n. 1669), sì da non precludere il potere di riesame
dell’amministrazione. Ne consegue che il giudicato non ha subito alcun
vulnus, venendo in rilievo un ulteriore e diverso segmento di attività
amministrativa, conseguente all’istanza di riesame della deliberazione ANAC
n. 1106 del 2017.
3. - Con il secondo motivo di appello vengono riproposti i motivi di
primo grado; anzitutto il vizio procedimentale correlato all’asserita
violazione del principio del contrarius actus, in quanto gli atti
adottati all’esito del procedimento di riesame della delibera ANAC n. 1106
del 2017 non sono stati preceduti dalle garanzie procedimentali che avevano
caratterizzato l’adozione della prima delibera; inoltre la delibera
conclusiva non è neppure stata comunicata alla società, che ne ha avuto
conoscenza solamente in virtù del deposito documentale in giudizio.
Il motivo va respinto.
L’ANAC giustifica l’omessa comunicazione di avvio del procedimento in
considerazione del fatto che non sia stato introdotto un procedimento di
riesame, e che la audizione espletata si collochi in una fase
pre-procedimentale.
Ritiene il Collegio che un rapporto di comunicazione si sia comunque
instaurato dopo la presentazione dell’istanza di riesame; infatti il
Consiglio nell’adunanza dell’11.11.2020 ha disposto l’audizione della
società appellante, e di ciò le è stata data comunicazione con la nota in
data 13.11.2020, enucleante chiaramente l’oggetto del procedimento.
Tanto è vero che poi la Re. ha potuto sollecitare la conoscenza degli
atti intervenuti proprio conoscendo la pendenza del procedimento.
4. - Viene poi reiterato il vizio sostanziale, ravvisato nella violazione
dell’art. 38, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, in combinato disposto
con il comma 1, lett. h), dello stesso articolo, nella considerazione che i
provvedimenti impugnati siano illegittimi, non essendo oggettivamente
configurabile alcuna presentazione di falsa dichiarazione in ordine ai
requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alla gara, ma
solamente l’omessa dichiarazione di una procuratrice speciale della società,
non sanzionabile con l’annotazione nel casellario informatico.
Per l’appellante, il potere esercitato dall’ANAC ai sensi del predetto art.
38, comma 1-ter, ha natura sanzionatoria ed afflittiva (presentando i c.d.
“Engel criteria” che, in base alla giurisprudenza della Corte EDU,
consentono di qualificarlo come sostanzialmente penale), con carattere
dunque tassativo e di stretta interpretazione (al pari, del resto, delle
altre cause di esclusione).
Ne consegue che l’art. 38, comma 1-ter, non si applica al di fuori dei casi
considerati di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione;
la falsità presuppone una dichiarazione recante una immutatio veri, ed è
distinta dalla omessa dichiarazione. Nel caso di specie, una dichiarazione
non è mai stata presentata e il potere interdittivo è stato esercitato nei
confronti di una omessa dichiarazione, per di più innocua, essendo
incontestato che in capo alla procuratrice speciale di Re. non vi fossero
condanne penali che la stessa avrebbe dovuto dichiarare.
Il motivo è fondato.
La giurisprudenza ha chiarito, sul piano interpretativo, la differenza tra
dichiarazioni omesse e false, riconducendo le due ipotesi rispettivamente
nell’ambito dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), ovvero lett. f-bis), del
sopravvenuto d.lgs. n. 50 del 2016. In particolare, Cons. Stato, Ad. Plen.,
28.08.2020, n. 16 ha precisato che le fattispecie riconducibili nella
prima previsione non consentono l’esclusione automatica dalla procedura di
gara, ma impongono alla stazione appaltante di svolgere la valutazione di
integrità ed affidabilità del concorrente. Al contrario, la falsità
dichiarativa ha attitudine espulsiva automatica ed è predicabile rispetto ad
un “dato di realtà”, ovvero ad una situazione fattuale per la quale possa
porsi l’alternativa logica “vero/falso” rispetto alla quale valutare la
dichiarazione resa dall’operatore (Cons. Stato, IV, 30.12.2020, n.
8532).
Ora, a prescindere da questi profili attinenti alla disciplina della gara,
ciò che rileva in questa sede è che risulta ormai acclarata la differenza
giuridica tra omessa dichiarazione e falsa dichiarazione. Solo quest’ultima
(unitamente alla falsa documentazione) assume valore, a termini dell’art.
38, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, ma anche dell’analogo art. 80,
comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella prospettiva della segnalazione
all’ANAC, la quale, ove la ritenga resa con dolo o colpa grave, dispone
l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalla gara e
dagli affidamenti di subappalti.
Il sopravvenuto chiarimento giurisprudenziale non ha peraltro una “portata
innovativa”, in quanto, come detto, già l’art. 38, comma 1-ter, limitava,
come emerge dalla sua ermeneusi letterale, la segnalazione alle ipotesi di
falsa dichiarazione o falsa documentazione, locuzione che comunque non
ammette un’interpretazione estensiva (nei confronti delle dichiarazioni
omesse), operando il principio di stretta tipicità legale della fattispecie
sanzionatoria, come questa Sezione ha avuto occasione di porre in evidenza
in pronunce cautelari (cfr. Cons. Stato, V, ord. 26.02.2021, n. 923,
nonché ord. 23.04.2021, n. 2163, intervenuta nel presente contenzioso).
Tornando sulla natura giuridica dell’annotazione nel casellario, osserva il
Collegio come sia impossibile escluderne una natura sanzionatoria, a
prescindere (come già ritenuto anche da Cass., SS.UU., 04.12.2020, n.
27770) dalla ravvisabilità degli indici elaborati dalla giurisprudenza della
Corte di Strasburgo per l’affermazione di un quid pluris e cioè della natura
sostanzialmente penale (cui devono correlarsi determinate garanzie) della
sanzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 della convenzione europea
dei diritti dell’uomo, ed in particolare di quelli della qualificazione
giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, della intrinseca natura
dell’illecito e del grado di severità della sanzione in cui l’interessato
rischia di incorrere (c.d. “Engel criteria”, affermati per la prima volta
dalla Corte EDU, 08.06.1976, Engel c. Paesi Bassi, e poi ribaditi dalla
sentenza 04.03.2014, Grande Stevens e altri c. Italia), tematica cui è
applicabile la recente giurisprudenza costituzionale evocata
dall’appellante, concernente in definitiva l’estensione dello “statuto
costituzionale” delle sanzioni penali a quelle amministrative a carattere
punitivo (tra cui i principi di irretroattività della norma sfavorevole, e
di retroattività della lex mitior: cfr. Corte cost., 16.04.2021, n.
68).
Occorre considerare che, seppure l’annotazione sia generalmente ricondotta
nell’ambito della funzione di vigilanza e controllo dell’ANAC (argomentando
anche dall’art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016), con riguardo alla
falsa dichiarazione o falsa documentazione non costituisce un mero atto
dovuto da parte dell’ANAC a seguito della segnalazione, imponendo altresì un
giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione (in termini di dolo o
colpa grave), e producendo delle conseguenze inequivocabilmente afflittive,
in particolare l’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di
subappalti per un dato arco temporale, così da assumere -lo si ripete-
natura sanzionatoria (in termini Cons. Stato, V, 13.12.2019, n. 8480).
5. - L’accoglimento dello scrutinato motivo, portando all’annullamento degli
atti impugnati, ha efficacia assorbente ed esime il Collegio dalla disamina
dei residui motivi, concernenti, rispettivamente, un ulteriore profilo di
violazione dell’art. 38, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, nella
considerazione che l’omessa dichiarazione ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del
2006 della procuratrice speciale in relazione alla “gara Sa.” non ha
costituito una condotta consapevole dell’appellante, difettando dunque
l’elemento soggettivo attribuito dall’ANAC a Re., l’incompletezza del
riesame della delibera n. 1106 del 2017 (in relazione alla dichiarata
finalità anticoncorrenziale della “falsa dichiarazione”, rispetto alla quale
vi sarebbe incompetenza dell’ANAC), la violazione dell’art. 45 della
direttiva 2004/18/CE (che potrebbe consentire l’esclusione dalla singola
gara, ma non anche dalla partecipazione alle successive) e del principio
eurounitario di tassatività delle cause di esclusione, nonché, ancora, la
violazione dei principi di proporzionalità (che non può prescindere dalla
considerazione del carattere lieve delle irregolarità commesse e dunque
anche della mera omissione inoffensiva), di libera circolazione delle merci
e di parità di trattamento, oltre che della libertà di stabilimento, di
libera prestazione dei servizi e della libera concorrenza, e prospettanti,
in subordine, anche molteplici profili di illegittimità derivata dalla
illegittimità costituzionale dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Appare utile solamente aggiungere, per completezza di esposizione, che la
non veridicità delle dichiarazioni fornite dall’impresa alla stazione
appaltante presuppone la coscienza e volontà di rendere una dichiarazione
falsa e dunque il dolo generico dell’agente, e non anche il dolo specifico,
irrilevanti essendo le concrete intenzioni dell’agente, in quanto non è
richiesto l’animus nocendi o decipiendi, al pari del falso
documentale colposo.
Un’ultima considerazione può essere fatta sulla portata dell’art. 45, comma
2, lett. g), della direttiva 2004/18/CE (recepita dall’art. 38 del d.lgs. n.
163 del 2006); nella misura in cui consente l’esclusione dalla gara
dell’operatore economico «che si sia reso gravemente colpevole di false
dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a
norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni», perimetra l’effetto espulsivo alle ipotesi di grave colpevolezza, non
rinvenibili nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in
termini competitivi, essendo in possesso di tutti i requisiti previsti (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 25.01.2022 n. 491 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’Adunanza
plenaria pronuncia sulla possibilità della modifica soggettiva in gara del
Rti in caso di perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 del Codice
dei contratti da parte del mandatario o di una delle mandanti.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di partecipazione -
Perdita del raggruppamento temporaneo di imprese - Modifica soggettiva del
Rti – Anche in fase di gara – Possibilità.
La modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo
di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di cui
all’art. 80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50 da parte del mandatario o di una delle
mandanti, è consentita non solo in sede di esecuzione, ma anche in fase di
gara, in tal senso interpretando l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del
medesimo Codice (1).
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(1) La questione è stata rimessa dalla sez. V con
ord. 18.10.2021 n. 6959.
Data la premessa, l’Alto Consesso ha fatto conseguire che, laddove si
verifichi la predetta ipotesi di perdita dei requisiti, la stazione
appaltante, in ossequio al principio di partecipazione procedimentale, è
tenuta ad interpellare il raggruppamento e, laddove questo intenda
effettuare una riorganizzazione del proprio assetto, onde poter riprendere
la partecipazione alla gara, provveda ad assegnare un congruo termine per la
predetta riorganizzazione.
Adunanza Plenaria, con
sentenza 27.05.2021 n. 10, ha già avuto modo di affermare i seguenti
principi di diritto:
“a) l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d.lgs. n. 50 del 2016,
nella formulazione attuale, consente la sostituzione meramente interna del
mandatario o del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese con un
altro soggetto del raggruppamento stesso in possesso dei requisiti, nella
fase di gara, e solo nelle ipotesi di fallimento, liquidazione coatta
amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di
liquidazione o, qualora si tratti di imprenditore individuale, di morte,
interdizione, inabilitazione o anche liquidazione giudiziale o, più in
generale, per esigenze riorganizzative dello stesso raggruppamento
temporaneo di imprese, a meno che –per questa ultima ipotesi e in coerenza
con quanto prevede, parallelamente, il comma 19 per il recesso di una o più
imprese raggruppate– queste esigenze non siano finalizzate ad eludere la
mancanza di un requisito di partecipazione alla gara;
b) l’evento che conduce alla sostituzione meramente interna,
ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a
conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto
o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d.
sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della
concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la
riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere
correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara o la
prosecuzione del rapporto contrattuale”.
I commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 del Codice dei contratti sono stati
interpretati, dunque, nel senso di consentire, ricorrendone i presupposti,
esclusivamente la modificazione “in diminuzione” del raggruppamento
temporaneo di imprese, e non anche quella cd. “per addizione”, che si
verificherebbe con l’introduzione nella compagine di un soggetto ad essa
esterno. Si è in tal senso affermato:
“La deroga all’immodificabilità soggettiva dell’appaltatore costituito in
raggruppamento, tale da evitare in fase esecutiva la riapertura dell’appalto
alla concorrenza e, dunque, l’indizione di una nuova gara, è solo quella
dovuta, in detta fase, a modifiche strutturali interne allo stesso
raggruppamento, senza l’addizione di nuovi soggetti che non abbiano
partecipato alla gara (o, addirittura, che vi abbiano partecipato e ne siano
stati esclusi), ciò che contraddirebbe la stessa ratio della deroga, dovuta
a vicende imprevedibili che si manifestino in sede esecutiva e colpiscano i
componenti del raggruppamento, tuttavia senza incidere sulla capacità
complessiva dello stesso raggruppamento di riorganizzarsi internamente, con
una diversa distribuzione di diversi compiti e ruoli (tra mandante e
mandataria o tra i soli mandanti), in modo da garantire l’esecuzione
dell’appalto anche prescindendo dall’apporto del componente del
raggruppamento ormai impossibilitato ad eseguire le prestazioni o,
addirittura, non più esistente nel mondo giuridico (perché, ad esempio,
incorporato od estinto). È chiaro che la modifica sostituiva c.d. per
addizione costituisce ex se una deroga non consentita al principio della
concorrenza perché ammette ad eseguire la prestazione un soggetto che non ha
preso parte alla gara secondo regole di correttezza e trasparenza, in
violazione di quanto prevede attualmente l’art. 106, comma 1, lett. d), n.
2, del d.lgs. n. 50 del 2016, più in generale, per la sostituzione
dell’iniziale aggiudicatario”.
Ha aggiunto l’Alto consesso che la questione della estensione della perdita
dei requisiti di cui all’art. 80 non rappresentava affatto la questione
centrale di quel giudizio, né tale problema interpretativo forma
espressamente oggetto dei principi di diritto enunciati dalla citata
sentenza n. 10/2001 (né di questi costituisce il presupposto
logico-giuridico), principi solo in relazione ai quali si esplica l’effetto
nomofilattico voluto dall’art. 99 c.p.a.
Si è trattato, dunque, di una affermazione incidentale, non conseguente ad
una disamina argomentativa peraltro non necessaria, stante l’estraneità di
questo aspetto al thema decidendum.
Tanto precisato, occorre ricordare che i commi 17 e 18, nella loro
originaria formulazione, si occupavano di specifiche sopravvenienze, quali
la sottoposizione a procedura concorsuale (fallimento, liquidazione coatta
amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria,
concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di
liquidazione), ovvero, nel caso di imprenditore individuale, la morte,
l’interdizione e l’inabilitazione, ovvero ancora i “casi previsti dalla
normativa antimafia”.
In tali ipotesi, le disposizioni predette consentivano, rispettivamente, la
prosecuzione del rapporto di appalto con altro operatore in qualità di
mandatario, purché in possesso dei requisiti di qualificazione adeguati ai
lavori, servizi o forniture ancora da eseguire e, nel caso di sopravvenienza
relativa ad una delle mandanti, consentivano l’indicazione da parte del
mandatario di altro operatore economico subentrante in possesso dei
prescritti requisiti di idoneità, prevedendo altresì che, in caso di mancata
indicazione, fosse lo stesso mandatario tenuto all’esecuzione, direttamente
o a mezzo degli altri mandanti, purché in possesso dei requisiti adeguati ai
lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.
Il riferimento, in entrambe le disposizioni, ai “lavori ancora da
eseguire” rendeva chiaro –come sottolinea anche l’ordinanza di
rimessione– “che la fase cui le disposizioni avevano riguardo era quella
di esecuzione del contratto di appalto”.
A fronte di ciò, l’art. 32, comma 1, lett. h), del d.lgs. 19.04.2017 n. 56
ha introdotto nel testo dell’art. 48, per quel che interessa nella presente
sede, due modifiche:
- la prima nei commi 17 e 18, aggiungendo alle sopravvenienze già
ivi presenti anche il “caso di perdita, in corso di esecuzione, dei
requisiti di cui all’art. 80”;
- la seconda, consistente nell’introduzione del comma 19-ter, il
quale prevede che “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano
applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si
verifichino in fase di gara”.
Per un verso, dunque, il riferimento espresso al “corso dell’esecuzione”,
contenuto nei commi 17 e 18, farebbe propendere per ritenere l’ipotesi di “perdita
dei requisiti di cui all’art. 80”, come limitata ad una sopravvenienza
che si verifichi in quella fase; per altro verso, l’ampia dizione del comma
19-ter rende applicabili tutte le modifiche soggettive contemplate dai commi
17 e 18 (quindi anche la predetta “perdita dei requisiti di cui all’art.
80”), anche in fase di gara.
L’Adunanza Plenaria ritiene che l’antinomia evidenziata possa e debba essere
superata (come è noto, non ammettendo l’ordinamento lacune), attraverso il
ricorso ad altre considerazioni, riconducibili ai principi di
interpretazione secondo ragionevolezza ovvero secondo Costituzione (o
costituzionalmente orientata), cui peraltro lo stesso criterio di
ragionevolezza (riferibile all’art. 3 Cost.) si riporta.
A tali fini, giova innanzi tutto osservare come una interpretazione che
escluda la sopravvenienza della perdita dei requisiti ex art. 80 in fase di
gara, per un verso introdurrebbe una disparità di trattamento tra varie
ipotesi di sopravvenienze non ragionevolmente supportata; per altro verso,
perverrebbe ad un risultato irragionevole nella comparazione in concreto tra
le diverse ipotesi, poiché sarebbe consentita la modificazione del
raggruppamento in casi che ben possono essere considerate più gravi –secondo
criteri di disvalore ancorati a valori costituzionali che l’ordinamento deve
tutelare, come certamente quella inerente a casi previsti dalla normativa
antimafia- rispetto a quelli relative alla perdita di requisiti di cui
all’art. 80.
Inoltre, si verificherebbe un caso di concreta incapacità a contrattare con
la pubblica amministrazione da parte di imprese in sé “incolpevoli”,
riguardando il fatto impeditivo sopravvenuto una sola di esse, così finendo
per costituire una fattispecie di “responsabilità oggettiva”, ovvero
una inedita, discutibile (e sicuramente non voluta) speciale fattispecie di
culpa in eligendo.
Se uno dei principi fondamentali in tema di disciplina dei contratti con la
pubblica amministrazione -tale da giustificare la previsione stessa del
raggruppamento temporaneo di imprese- è quello di consentire la più ampia
partecipazione delle imprese, in condizione di parità, ai procedimenti di
scelta del contraente (e dunque favorirne la potenzialità di accedere al
contratto, al contempo tutelando l’interesse pubblico ad una maggiore
ampiezza di scelta conseguente alla pluralità di offerte), una
interpretazione restrittiva della sopravvenuta perdita dei requisiti ex art.
80, a maggior ragione perché non sorretta da alcuna giustificazione non solo
ragionevole, ma nemmeno percepibile, finisce per porsi in contrasto sia con
il principio di eguaglianza, sia con il principio di libertà economica e di
par condicio delle imprese nei confronti delle pubbliche
amministrazioni (come concretamente declinati anche dall’art. 1 della l. n.
241/1990 e dall’art. 4 del codice dei contratti pubblici).
Ed infatti, come condivisibilmente affermato dall’ordinanza di rimessione, “nessuna
delle ragioni che sorreggono il principio di immodificabilità della
composizione del raggruppamento varrebbero a spiegare in maniera convincente
il divieto di modifica per la perdita dei requisii di partecipazione ex art.
80 in sede di gara: non la necessità che la stazione appaltante si trovi ad
aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto del quale non
abbia potuto verificare i requisiti, in quanto, una volta esclusa
dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 10 del 2021 la c.d. sostituzione
per addizione, tale evenienza non potrà giammai verificarsi quale che sia la
vicenda sopravvenuta per la quale sia venuto meno uno dei componenti del
raggruppamento; né la tutela della par condicio dei partecipanti alla
procedura di gara, che è violata solo se all’uno è consentito quel che
all’altro è negato” (Consiglio
di Stato, A.P.,
sentenza 25.01.2022 n. 2 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
8. L’Adunanza Plenaria ritiene che la modifica soggettiva del raggruppamento
temporaneo di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di
cui all’art. 80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici)
da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in
sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando
l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del medesimo Codice.
Ne consegue che, laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei
requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di
partecipazione procedimentale, è tenuta ad interpellare il raggruppamento e,
laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del proprio assetto,
onde poter riprendere la partecipazione alla gara, provveda ad assegnare un
congruo termine per la predetta riorganizzazione.
9. Al fine di meglio inquadrare il “punto di diritto” rimesso all’esame di
questa Adunanza Plenaria occorre evidenziare, in punto di fatto, come nel
caso oggetto del presente giudizio la modificazione soggettiva in riduzione
del raggruppamento appellato sia stata dapprima ricercata dal r.t.i. Medil
attraverso il recesso della mandante (ipotesi disciplinata dall’art. 48,
comma 19, d.lgs. n. 50/2016) e solo successivamente, una volta negata
l’autorizzazione al recesso, si sia evidenziata la questione interpretativa
dei commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 e dunque se la modificazione
soggettiva del raggruppamento da questi ultimi prevista per il caso di
perdita di un requisito di partecipazione ex art. 80, co. 5, in capo alla
mandataria o alla mandante, sia applicabile anche in fase di gara e non solo
in fase di esecuzione del contratto.
Ciò comporta che l’Adunanza Plenaria deve:
- sia fornire, in funzione nomofilattica, l’interpretazione dei
commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 (se, cioè, come si è detto, la
modificazione in riduzione del raggruppamento ivi contemplata sia possibile
anche in fase di gara);
- sia chiarire (preliminarmente) se il diniego di autorizzazione al
recesso di cui al comma 19 influisca (anche eventualmente in senso
impeditivo) sulla applicabilità della modificazione prevista dai commi 17 e
18.
Ciò si evince dalla stessa ordinanza di rimessione, laddove questa, nel
formulare i quesiti e riferendosi alle “modalità procedimentali” onde
pervenire (se ritenuto ammissibile) alla modificazione soggettiva ai sensi
dei commi 17 e 18 in fase di gara, chiede, in sostanza, se tali norme siano
concretamente applicabili “anche qualora (la stazione appaltante) abbia
negato l’autorizzazione al recesso che sia stata richiesta dal
raggruppamento per restare in gara” e se, in caso affermativo, la medesima
stazione appaltante abbia (o meno) l’obbligo di “interpellare il
raggruppamento, assegnando congruo termine per la riorganizzazione del
proprio assetto” in modo da poter “riprendere la propria partecipazione alla
gara”.
10.1. Come è noto, l’art. 48, comma 9, del d.lgs. n. 50/2016 prevede, in via
generale, il divieto di modificazione della composizione dei raggruppamenti
temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti “rispetto a quella
risultante dall’impegno in sede di offerta”, fatto salvo quanto disposto ai
successivi commi 17 e 18, che costituisce ipotesi di “eccezione” al predetto
principio generale.
Più precisamente, i commi 17 e 18 dispongono:
(comma 17). “Salvo quanto previsto dall'articolo 110, comma 5,
in caso di fallimento liquidazione coatta amministrativa, amministrazione
controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero
procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione del mandatario ovvero,
qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte,
interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero in caso di
perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all'articolo 80,
ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante
può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia
costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i
requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora
da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante deve
recedere dal contratto”.
(comma 18). “Salvo quanto previsto dall'articolo 110, comma 5,
in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione
controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero
procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione di uno dei mandanti
ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte,
interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero in caso di
perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all'articolo 80,
ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non
indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei
prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a
mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di
qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.
Quanto all’ambito di applicazione di tali disposizioni, questa Adunanza
Plenaria, con sentenza 27.05.2021 n. 10, ha già avuto modo di affermare i
seguenti principi di diritto:
“a) l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d.lgs. n. 50 del 2016,
nella formulazione attuale, consente la sostituzione meramente interna del
mandatario o del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese con un
altro soggetto del raggruppamento stesso in possesso dei requisiti, nella
fase di gara, e solo nelle ipotesi di fallimento, liquidazione coatta
amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di
liquidazione o, qualora si tratti di imprenditore individuale, di morte,
interdizione, inabilitazione o anche liquidazione giudiziale o, più in
generale, per esigenze riorganizzative dello stesso raggruppamento
temporaneo di imprese, a meno che –per questa ultima ipotesi e in coerenza
con quanto prevede, parallelamente, il comma 19 per il recesso di una o più
imprese raggruppate– queste esigenze non siano finalizzate ad eludere la
mancanza di un requisito di partecipazione alla gara;
b) l’evento che conduce alla sostituzione meramente interna,
ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a
conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto
o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d.
sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della
concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la
riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere
correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara o la
prosecuzione del rapporto contrattuale”.
I commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 del Codice dei contratti sono stati
interpretati, dunque, nel senso di consentire, ricorrendone i presupposti,
esclusivamente la modificazione “in diminuzione” del raggruppamento
temporaneo di imprese, e non anche quella cd. “per addizione”, che si
verificherebbe con l’introduzione nella compagine di un soggetto ad essa
esterno. Si è in tal senso affermato:
“La deroga all’immodificabilità soggettiva dell’appaltatore costituito in
raggruppamento, tale da evitare in fase esecutiva la riapertura dell’appalto
alla concorrenza e, dunque, l’indizione di una nuova gara, è solo quella
dovuta, in detta fase, a modifiche strutturali interne allo stesso
raggruppamento, senza l’addizione di nuovi soggetti che non abbiano
partecipato alla gara (o, addirittura, che vi abbiano partecipato e ne siano
stati esclusi), ciò che contraddirebbe la stessa ratio della deroga, dovuta
a vicende imprevedibili che si manifestino in sede esecutiva e colpiscano i
componenti del raggruppamento, tuttavia senza incidere sulla capacità
complessiva dello stesso raggruppamento di riorganizzarsi internamente, con
una diversa distribuzione di diversi compiti e ruoli (tra mandante e
mandataria o tra i soli mandanti), in modo da garantire l’esecuzione
dell’appalto anche prescindendo dall’apporto del componente del
raggruppamento ormai impossibilitato ad eseguire le prestazioni o,
addirittura, non più esistente nel mondo giuridico (perché, ad esempio,
incorporato od estinto).
È chiaro che la modifica sostituiva c.d. per addizione costituisce ex se una
deroga non consentita al principio della concorrenza perché ammette ad
eseguire la prestazione un soggetto che non ha preso parte alla gara secondo
regole di correttezza e trasparenza, in violazione di quanto prevede
attualmente l’art. 106, comma 1, lett. d), n. 2, del d.lgs. n. 50 del 2016,
più in generale, per la sostituzione dell’iniziale aggiudicatario”.
10.2. Una ulteriore eccezione al principio generale di immodificabilità
della composizione del raggruppamento, benché non richiamata dal comma 9
dell’art. 48, è introdotta dal comma 19, che prevede: “E' ammesso il
recesso di una o più imprese raggruppate, anche qualora il raggruppamento si
riduca ad un unico soggetto, esclusivamente per esigenze organizzative del
raggruppamento e sempre che le imprese rimanenti abbiano i requisiti di
qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.
In ogni caso la modifica soggettiva di cui al primo periodo non è ammessa se
finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla
gara”.
Da un lato, dunque, il comma 9 dell’art. 48 introduce un principio generale
di “immodificabilità” della composizione del raggruppamento; dall’altro
lato, i commi 17, 18 e 19, quali norme di eccezione alla norma generale,
introducono una pluralità di esclusioni a tale principio, tali per la verità
(stante il loro numero) da renderne sempre meno concreta l’applicazione.
L’ampiezza dell’ambito applicativo delle eccezioni si dimostra, a maggior
ragione, alla luce di quanto previsto dal comma 19-ter dell’art. 48, in base
al quale “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione
anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase
di gara”.
10.3. Occorre evidenziare come le norme di eccezione di cui ai commi 17 e 18
disciplinano fattispecie diverse da quella di cui al comma 19. Ed infatti:
- mentre le ipotesi disciplinate dal comma 17 (con riferimento al
mandatario) e dal comma 18 (con riferimento ad uno dei mandanti) attengono a
vicende soggettive, puntualmente indicate, del mandatario o di un mandante,
conseguenti ad eventi sopravvenuti rispetto al momento di presentazione
dell’offerta;
- invece l’ipotesi di cui al comma 19 attiene ad una modificazione
della composizione del raggruppamento derivante da una autonoma
manifestazione di volontà di recedere dal raggruppamento stesso, da parte di
una o più delle imprese raggruppate, senza che si sia verificato nessuno dei
casi contemplati dai commi 17 e 18, ma solo come espressione di un diverso e
contrario volere rispetto a quello di partecipare, in precedenza
manifestato. Ed il recesso in tanto è ammesso, non tanto in base ad una più
generale valutazione dei motivi che lo determinano, ma in quanto le imprese
rimanenti “abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o
servizi o forniture ancora da eseguire” e sempre che la modifica soggettiva
derivante dal recesso non sia “finalizzata ad eludere un requisito di
partecipazione alla gara”.
Si tratta, dunque, nel caso disciplinato dal comma 19, di eccezione al
principio generale di immodificabilità della composizione del raggruppamento
del tutto diversa da quelle di cui ai commi 17 e 18, di modo che la
possibilità che la stazione appaltante non ammetta il recesso di una o più
delle imprese raggruppate non esplica alcun effetto sulle diverse ipotesi di
eccezione, relative alle vicende soggettive del mandatario o di uno dei
mandanti, disciplinate dai citati commi 17 e 18 dell’art. 48.
Quanto sin qui esposto in ordine ai rapporti tra ipotesi di cui ai commi 17
e 18 e distinta ipotesi di cui al comma 19 appare di particolare rilievo nel
caso oggetto del presente giudizio, poiché, come esattamente osservato
dall’ordinanza di rimessione, era “il recesso della mandante che il
raggruppamento intendeva in prima battuta far valere quale causa di
modificazione soggettiva in riduzione della compagine, e solo quando la
stazione appaltante, negando la sua autorizzazione, ha impedito che
l’effetto modificativo dovuto al recesso si producesse, ha assunto rilievo
la (diversa) vicenda modificativa costituita dalla perdita di un requisito
di partecipazione ex art. 80, comma 5, del codice dei contratti”.
Il diniego di autorizzazione al recesso non assume, quindi, alcun ruolo (tanto meno
di “precedente impeditivo”) al fine della soluzione del quesito
interpretativo rimesso a questa Adunanza Plenaria, stante la evidenziata
differenza della previsione di cui al comma 19 rispetto alle previsioni di
cui ai commi 17 e 18.
In altre parole, risolta la questione afferente all’autorizzazione al
recesso con il diniego di autorizzazione, il comma 19 non trova alcuna
residua applicazione nel caso oggetto del presente giudizio, dovendosi
invece affrontare, a tal fine, il problema di interpretazione dei commi 17,
18 e 19-ter, e dunque se –come chiede l’ordinanza di rimessione- la
modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese in caso di
perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 da parte del mandatario o
di una delle mandanti sia consentita anche in fase di gara, e non solo in
fase di esecuzione.
11.1. Il problema interpretativo dei commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 del
Codice dei contratti è ingenerato dall’antinomia normativa, ivi presente e
che come tale richiede soluzione, frutto di una tecnica legislativa non
particolarmente sorvegliata.
E’ opportuno preliminarmente precisare che tale problema non può dirsi
superato e risolto per effetto di quanto incidentalmente affermato da questa
stessa Adunanza Plenaria, con la propria citata decisione n. 10 del 2001 (v.
par. 23.3), al contrario di come invece ritengono l’appellante e la
costituita amministrazione.
Come condivisibilmente osservato anche dall’ordinanza di rimessione, la
questione della estensione della perdita dei requisiti di cui all’art. 80
non rappresentava affatto la questione centrale di quel giudizio, né tale
problema interpretativo forma espressamente oggetto dei principi di diritto
enunciati dalla citata sentenza n. 10/2001 (né di questi costituisce il
presupposto logico-giuridico), principi solo in relazione ai quali si
esplica l’effetto nomofilattico voluto dall’art. 99 c.p.a.
Si è trattato, dunque, di una affermazione incidentale, non conseguente ad
una disamina argomentativa peraltro non necessaria, stante l’estraneità di
questo aspetto al thema decidendum.
11.2 Tanto precisato, occorre ricordare che i commi 17 e 18, nella loro
originaria formulazione, si occupavano di specifiche sopravvenienze, quali
la sottoposizione a procedura concorsuale (fallimento, liquidazione coatta
amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria,
concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di
liquidazione), ovvero, nel caso di imprenditore individuale, la morte,
l’interdizione e l’inabilitazione, ovvero ancora i “casi previsti dalla
normativa antimafia”.
In tali ipotesi, le disposizioni predette consentivano, rispettivamente, la
prosecuzione del rapporto di appalto con altro operatore in qualità di
mandatario, purché in possesso dei requisiti di qualificazione adeguati ai
lavori, servizi o forniture ancora da eseguire e, nel caso di sopravvenienza
relativa ad una delle mandanti, consentivano l’indicazione da parte del
mandatario di altro operatore economico subentrante in possesso dei
prescritti requisiti di idoneità, prevedendo altresì che, in caso di mancata
indicazione, fosse lo stesso mandatario tenuto all’esecuzione, direttamente
o a mezzo degli altri mandanti, purché in possesso dei requisiti adeguati ai
lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.
Il riferimento, in entrambe le disposizioni, ai “lavori ancora da
eseguire” rendeva chiaro –come sottolinea anche l’ordinanza di
rimessione– “che la fase cui le disposizioni avevano riguardo era quella
di esecuzione del contratto di appalto”.
A fronte di ciò, l’art. 32, comma 1, lett. h), del d.lgs. 19.04.2017 n. 56
ha introdotto nel testo dell’art. 48, per quel che interessa nella presente
sede, due modifiche:
- la prima nei commi 17 e 18, aggiungendo alle sopravvenienze già
ivi presenti anche il “caso di perdita, in corso di esecuzione, dei
requisiti di cui all’art. 80”;
- la seconda, consistente nell’introduzione del comma 19-ter, il
quale prevede che “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano
applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si
verifichino in fase di gara”.
Per un verso, dunque, il riferimento espresso al “corso dell’esecuzione”,
contenuto nei commi 17 e 18, farebbe propendere per ritenere l’ipotesi di
“perdita dei requisiti di cui all’art. 80”, come limitata ad una
sopravvenienza che si verifichi in quella fase; per altro verso, l’ampia
dizione del comma 19-ter rende applicabili tutte le modifiche soggettive
contemplate dai commi 17 e 18 (quindi anche la predetta “perdita dei
requisiti di cui all’art. 80”), anche in fase di gara.
11.2. Tale contraddizione o incompatibilità tra norme, sussumibile nella
fattispecie generale dell’”antinomia normativa”, risulta ancora più
problematica per l’interprete, attesa la contestualità temporale delle
disposizioni che le prevedono, riferibili ed introdotte dalla medesima
fonte.
Ciò rende l’antinomia non risolvibile applicando normali criteri
interpretativi, quali il criterio gerarchico ovvero il criterio della
competenza della fonte, ovvero ancora i criteri cronologico o temporale o
quello di specialità, trattandosi in questo caso di introduzione di norme
per il tramite della medesima fonte.
Né particolari elementi utili all’interprete possono essere ricavati, in
applicazione dell’art. 12 disp. prel cod. civ., dalla lettera delle
disposizioni, ovvero dalla “volontà del legislatore”.
Quanto alla lettera delle disposizioni, essa non si presenta particolarmente
“affidabile”, tale cioè da poter desumerne un senso “fatto palese dal
significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”, non
essendo in particolare coordinati gli enunciati introdotti dal d.lgs. n. 56
del 2017 con quelli originari del Codice; e di ciò costituisce
dimostrazione, oltre ad altri casi non rilevanti nella presente sede, lo
stesso intervento interpretativo effettuato da questa Adunanza Plenaria con
la propria sentenza n. 10/2021.
Quanto alla interpretazione secondo criterio psicologico o soggettivo (cui
in parte si riporta la stazione appaltante: v. pagg. 4-5 memoria del
27.11.2021), essa non può essere utilmente esercitata, facendo leva sulla
relazione illustrativa al d.lgs. n. 56/2017, trattandosi in questo caso poco
più di una parafrasi del testo normativo.
11.3. Allo stesso tempo, non è possibile negare che si tratti di antinomia
cd. assoluta (o, secondo altre classificazioni, “totale”) – che si ha
allorché nessuna delle due norme può essere applicata alla circostanza
considerata senza entrare in conflitto con l’altra – sostenendo che, in
realtà, vi sarebbe solo una incompatibilità apparente di enunciati, state la
natura “generale” della norma espressa dal comma 19-ter e la natura
“parziale” di quella ricavabile dagli incisi dei commi 17 e 18.
E’ questo il caso che ricorrerebbe allorché si intenda sostenere che il
richiamo effettuato dall’art. 19-ter (norma generale) alle “modifiche
soggettive ivi contemplate” (cioè nei commi 17 e 18) vada inteso come
riferito alle predette modifiche “come disciplinate” dai medesimi commi 17 e
18 (e dunque, anche nei limiti per esse imposti). Da ciò conseguirebbe che
mentre la norma del comma 19-ter sarebbe tranquillamente applicabile (nel
suo effetto espansivo riferito alla fase di gara) a tutte le modifiche
soggettive salvo quelle derivanti “dalla perdita dei requisiti di cui
all’art. 80”, l’enunciato “in corso di esecuzione” a queste ultime
riferito introdurrebbe una norma speciale che sottrae i casi considerati
alla disciplina del comma 19-ter.
A questa tesi -sia pure con diversità di accenti e di formulazione e senza
che il problema venga espressamente affrontato in termini di antinomia
normativa- possono essere riportate anche precedenti decisioni del Consiglio
di Stato, indicate nell’ordinanza di rimessione, laddove si afferma che
sarebbe “del tutto illogico che l’estensione alla fase di gara di cui al
comma 19-ter, introdotto dallo stesso decreto correttivo, vada a
neutralizzare la specifica e coeva modifica del comma 18” (Cons. Stato, sez.
V, 28.01.2021 n. 833 e sez. III, 11.08.2021 n. 5852).
Ed è alla tesi in precedenza esposta che si riportano sia l’appellante,
quando parla di “effetto abrogativo” inammissibile, laddove sostiene che un
ampliamento della sopravvenienza della “perdita dei requisiti di cui
all’art. 80” comporterebbe un “effetto abrogativo” dell’inciso “in corso di
esecuzione”, presente nei commi 17 e 18 /(v. pag. 6 memoria del 02.12.2021), sia la stazione appaltante, la quale fa leva sulla natura
eccezionale, e quindi di stretta interpretazione, delle norme che derogano
al principio generale di immodificabilità del raggruppamento temporaneo di
imprese (art. 48, co. 9).
Benché non priva di elementi meritevoli di esame, anche questa tesi
interpretativa non può essere condivisa.
Ed infatti, perché possa sostenersi la ricorrenza di una ipotesi particolare
di antinomia (secondo talune classificazioni definita “parziale” o
“unilaterale"), occorrerebbe:
- o che uno dei due enunciati nomativi aggiungesse una
specificazione (ad esempio, nel caso di specie, ad una certa fase della
gara), tale da escludere (eccettuare) un singolo caso dalla classe di
fattispecie altrimenti disciplinata dalla norma generale; nel caso di
specie, invece, le fattispecie si presentano perfettamente coincidenti;
- ovvero (e quantomeno) che l’esclusione della singola fattispecie
fosse prevista dalla stessa norma generale, con una delle formule usualmente
utilizzate dal legislatore (ad esempio: “fatto salvo quanto previsto…etc.”),
e dunque, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere il comma 19-ter (norma
generale) ad escludere la specifica ipotesi della “perdita dei requisiti di
cui all’art. 80” dalla classe di fattispecie degli articoli 17 e 18 per le
quali interviene l’effetto ampliativo anche alla fase di gara.
Invece, in difetto di previsione espressa del legislatore, l’esclusione
della predetta fattispecie sarebbe il frutto di una doppia operazione
dell’interprete, il quale dovrebbe dapprima applicare l’estensione prevista
dal comma 19-ter alle molteplici fattispecie di cui ai commi 17 e 18 e poi
limitare tale estensione ad una sola di esse per effetto di una esclusione
che agirebbe per così dire “di rimbalzo” sulla norma generale. In questo
caso, per effetto di un duplice percorso interpretativo (secondo un
tragitto, per così dire, di “andata e ritorno”), l’interprete più che
risolvere un problema di antinomia finisce per auto-attribuirsi una potestà
normativa ex novo.
All’esclusione di tale ipotesi interpretativa perviene, in sostanza, anche
l’ordinanza di rimessione, laddove sostiene come risponda “a logica”
“l’argomento per il quale, se il legislatore, introducendo il comma 19-ter
all’interno dell’art. 48, avesse voluto fare eccezione alla deroga e
ripristinare il principio di immodificabilità ….la via maestra sarebbe stata
quella di operare la distinzione all’interno dello stesso comma 19-ter,
senza dare vita ad un arzigogolo interpretativo”.
Ed al fine di escludere l’interpretazione “restrittiva”, valga, da ultimo,
rilevare come questa sia conseguenza di una considerazione “sovrastimata”
dell’inciso “in corso di esecuzione”, posto che problemi interpretativi non
molto dissimili potrebbero porsi –volendo utilizzare il metodo
interpretativo qui non condiviso- anche per il fatto che il legislatore,
nel momento stesso in cui introduceva il comma 19-ter, non ha eliminato dai
commi 17 e 18 i riferimenti ai lavori, servizi o forniture “ancora da
eseguire”; cioè proprio quei riferimenti che, prima delle modifiche
introdotte dal d.lgs. n. 56/2017, costituivano il fondamento
dell’interpretazione limitativa delle sopravvenienze soggettive alla sola
fase di esecuzione.
12. L’Adunanza Plenaria ritiene che l’antinomia evidenziata possa e debba
essere superata (come è noto, non ammettendo l’ordinamento lacune),
attraverso il ricorso ad altre considerazioni, riconducibili ai principi di
interpretazione secondo ragionevolezza ovvero secondo Costituzione (o
costituzionalmente orientata), cui peraltro lo stesso criterio di
ragionevolezza (riferibile all’art. 3 Cost.) si riporta.
A tali fini, giova innanzi tutto osservare come una interpretazione che
escluda la sopravvenienza della perdita dei requisiti ex art. 80 in fase di
gara, per un verso introdurrebbe una disparità di trattamento tra varie
ipotesi di sopravvenienze non ragionevolmente supportata; per altro verso,
perverrebbe ad un risultato irragionevole nella comparazione in concreto tra
le diverse ipotesi, poiché sarebbe consentita la modificazione del
raggruppamento in casi che ben possono essere considerate più gravi –secondo criteri di disvalore ancorati a valori costituzionali che
l’ordinamento deve tutelare, come certamente quella inerente a casi previsti
dalla normativa antimafia- rispetto a quelli relative alla perdita di
requisiti di cui all’art. 80.
Inoltre, si verificherebbe un caso di concreta incapacità a contrattare con
la pubblica amministrazione da parte di imprese in sé “incolpevoli”,
riguardando il fatto impeditivo sopravvenuto una sola di esse, così finendo
per costituire una fattispecie di “responsabilità oggettiva”, ovvero una
inedita, discutibile (e sicuramente non voluta) speciale fattispecie di
culpa in eligendo.
Se uno dei principi fondamentali in tema di disciplina dei contratti con la
pubblica amministrazione -tale da giustificare la previsione stessa del
raggruppamento temporaneo di imprese- è quello di consentire la più ampia
partecipazione delle imprese, in condizione di parità, ai procedimenti di
scelta del contraente (e dunque favorirne la potenzialità di accedere al
contratto, al contempo tutelando l’interesse pubblico ad una maggiore
ampiezza di scelta conseguente alla pluralità di offerte), una
interpretazione restrittiva della sopravvenuta perdita dei requisiti ex art.
80, a maggior ragione perché non sorretta da alcuna giustificazione non solo
ragionevole, ma nemmeno percepibile, finisce per porsi in contrasto sia con
il principio di eguaglianza, sia con il principio di libertà economica e di
par condicio delle imprese nei confronti delle pubbliche
amministrazioni (come concretamente declinati anche dall’art. 1 della l. n.
241/1990 e dall’art. 4 del codice dei contratti pubblici).
Ed infatti, come condivisibilmente affermato dall’ordinanza di rimessione,
“nessuna delle ragioni che sorreggono il principio di immodificabilità della
composizione del raggruppamento varrebbero a spiegare in maniera convincente
il divieto di modifica per la perdita dei requisii di partecipazione ex art.
80 in sede di gara: non la necessità che la stazione appaltante si trovi ad
aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto del quale non
abbia potuto verificare i requisiti, in quanto, una volta esclusa
dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 10 del 2021 la c.d. sostituzione
per addizione, tale evenienza non potrà giammai verificarsi quale che sia la
vicenda sopravvenuta per la quale sia venuto meno uno dei componenti del
raggruppamento; né la tutela della par condicio dei partecipanti alla
procedura di gara, che è violata solo se all’uno è consentito quel che
all’altro è negato”.
Nel caso in esame, quindi, l’antinomia trova soluzione inquadrando il caso
concreto e le norme antinomiche ad esso applicabili nel più generale
contesto dei principi costituzionali ed eurounitari, fornendo una
interpretazione che renda applicabile una sola di esse in quanto coerente
con detti principi, e che consente una regolazione del caso concreto con
essi compatibile.
In tal modo, l’interpretazione determina –in presenza di norme incompatibili
ma provenienti da fonti di pari livello e contestualmente introdotte dalla
medesima fonte– la applicazione di una sola di esse (quella, appunto,
compatibile con le fonti sovraordinate della Costituzione e del diritto
dell’Unione Europea) e la non applicazione dell’altra, recessiva perché
contraria ai più volte richiamati principi.
Tale operazione interpretativa –lungi dal porsi come inedita “costruzione
giuridica”– costituisce, per un verso (sia pure in presenza di due norme
incompatibili e non di una sola con riferimento ad un caso da esse
disciplinato) solo una più articolata applicazione del metodo di
interpretazione secondo Costituzione; per altro verso, costituisce metodo
interpretativo non del tutto ignoto allo stesso legislatore ordinario,
laddove questi prevede (art. 15 disp. prel. cod. civ.) la possibile
abrogazione di norme “per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le
precedenti”. Se vi è, dunque, la possibilità di verificare l’intervenuta
abrogazione di una norma rimettendo al giudice/interprete la verifica della
incompatibilità tra due norme temporalmente successive, non sembrano
sussistere impedimenti a che la medesima operazione possa riguardare norme
incompatibili non successive ma coeve.
E ciò anche in attuazione del “principio di coerenza” dell’ordinamento
giuridico, che impone il superamento delle antinomie, rimettendo
all’interprete, chiamato ad individuare ed applicare la regola di diritto al
caso concreto, di verificare le possibilità offerte dall’interpretazione,
senza necessariamente (e prima di) evocare l’intervento del giudice delle
leggi.
13. Il riconoscimento della possibilità di modificare (in diminuzione) il
raggruppamento temporaneo di imprese, anche nel caso di perdita sopravvenuta
dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti,
determina che, laddove si verifichi un caso riconducibile a tale
fattispecie, la stazione appaltante, in applicazione dei principi generali
di cui all’art. 1 della l. n. 241/1990 e all’art. 4 d.lgs. n. 50/2016, debba
interpellare il raggruppamento (se questo non abbia già manifestato la
propria volontà) in ordine alla volontà di procedere alla riorganizzazione
del proprio assetto interno, al fine di rendere possibile la propria
partecipazione alla gara.
In modo non dissimile da quanto avviene ai fini del soccorso istruttorio, la
stazione appaltante concederà un termine ragionevole e proporzionale al caso
concretamente verificatosi, riprendendo all’esito l’ordinario procedimento
di gara.
Tali considerazioni non necessitano della formulazione di un principio di
diritto, in quanto pianamente desumibili dall’ordinamento giuridico
amministrativo vigente.
14. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’Adunanza Plenaria
formula il seguente principio di diritto: “la modifica
soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese, in caso di perdita dei
requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50
(Codice dei contratti pubblici) da parte del mandatario o di una delle
mandanti, è consentita non solo in sede di esecuzione, ma anche in fase di
gara, in tal senso interpretando l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del
medesimo Codice” (Consiglio
di Stato, A.P.,
sentenza 25.01.2022 n. 2 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Giurisdizione
del giudice ordinario nelle controversie aventi ad oggetto il pagamento del
servizio di raccolta rifiuti.
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Giurisdizione – Rifiuti – Raccolta – Pagamento del servizio –
Controversia – Giurisdizione giudice ordinario.
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la
controversia avente ad oggetto non l'esercizio del potere o la gestione del
ciclo dei rifiuti, intesa quale attività di raccolta, smaltimento e
riconversione dei rifiuti solidi urbani organizzata dalla P.A. attraverso
attività provvedimentale, discrezionale e autoritativa, ma una pretesa - il
pagamento del corrispettivo correlato alla fase di esecuzione del rapporto
avente ad oggetto la raccolta dei rifiuti- in relazione alla quale si
pongono questioni di natura "negoziale" e a contenuto meramente
patrimoniale, mentre non viene in rilievo alcun esercizio di potestà
autoritativa da parte della pubblica amministrazione (1).
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(1) Ha ricordato la Sezione che secondo il consolidato indirizzo
giurisprudenziale, la giurisdizione deve essere determinata sulla base della
domanda, dovendosi guardare, ai fini del riparto della giurisdizione tra
giudice ordinario e giudice amministrativo, al petitum sostanziale,
da identificare, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia
che si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della causa
petendi, ossia dell'intrinseca natura della situazione giuridica dedotta
in giudizio, da individuare con riguardo ai fatti allegati e al rapporto
giuridico di cui essi sono espressione (ex plurimis, Cass. Sez. Un.
20350 del 2018, Sez. Un., n. 25578 del 2020, Sez. Un. 13492 del 2021). In
tal senso è stata intesa la formula secondo cui "la decisione sulla
giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda" di cui all’art.
386 c.p.c..
L'indagine sulla intrinseca natura della situazione giuridica dedotta si
risolveva, in passato, nella ricerca del diritto soggettivo perfetto, come
tale desumibile da una norma attributiva al titolare di una protezione
diretta e immediata (cfr. Cass. Sez. Un. 1894 del 1962, Sez. Un. 789 del
1963), quale condizione ineludibile del radicamento della giurisdizione del
giudice ordinario, con effetti pratici in tema di riparto della
giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto interessi non assurgenti
a (o non emergenti ancora, in limine litis, come) diritti soggettivi
perfetti ma neppure (assurgenti) a interessi legittimi.
Era concettualmente chiaro che gli interessi legittimi altro non sono che
gli interessi che si rapportano al (o si confrontano con il) potere pubblico
nella vicenda concreta, ma l'oggetto di indagine in sede di riparto della
giurisdizione finiva per essere la posizione giuridica dedotta in causa
dall'attore per verificarne la natura o consistenza in termini di
diritto-non diritto, piuttosto che la condotta o il comportamento della
pubblica amministrazione, onde accertare se questa avesse agito in concreto
come autorità o jure privatorum.
La sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 ha avuto il merito di
chiarire che condizione ineludibile per configurare la giurisdizione
amministrativa, sia di legittimità sia esclusiva, è che la pubblica
amministrazione agisca come autorità, e non come "qualsiasi litigante
privato" e che oggetto di causa sia sempre la contestazione
dell'esercizio del potere in concreto. In questa prospettiva la "intrinseca
natura della situazione giuridica dedotta in giudizio" -che costituisce
l'oggetto dell'indagine sul petitum sostanziale- viene a coincidere
con la verifica della esistenza o meno di una contestazione in concreto
dell'esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione-autorità,
contestazione che costituisce condizione ineludibile per radicare la
giurisdizione amministrativa.
Non è quindi la generica (e spesso opinabile) inerenza (dell'oggetto) della
controversia a una "materia" tra quelle elencate nell'art. 133 c.p.a.
a far radicare la giurisdizione esclusiva, ma la contestazione delle
modalità di esercizio del potere concretamente esercitato dalla pubblica
amministrazione in quella materia.
A dimostrarlo è la giurisprudenza costituzionale, la quale, nonostante
l'ampiezza (e apparente totalità) della formula legislativa usata
nell'indicazione di una delle "materie" di giurisdizione esclusiva,
ha dichiarato l'infondatezza della proposta questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4 d.l. 90/2008, convertito, con modificazioni dalla
l. 123/2008, che devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo "tutte le controversie, anche relative a diritti
costituzionalmente tutelati, comunque attinenti alla complessiva azione di
gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti
dell'amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati".
E ciò in ragione del fatto che "l'espresso riferimento normativo ai
comportamenti della pubblica amministrazione deve essere inteso nel senso
che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono
soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo
e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall'amministrazione
al di fuori dell'esercizio di un'attività autoritativa. Nella specie
-prosegue il giudice delle leggi- venendo in rilievo questioni meramente
patrimoniali connesse al mancato adempimento da parte dell'amministrazione
di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, i
comportamenti posti in essere dall'amministrazione stessa non sono
ricompresi nell'ambito di applicazione della norma impugnata e rientrano,
invece, nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria,
correttamente adita" (Corte Cost. n. 35 del 2010).
Quanto agli “accordi di diritto pubblico”, questi sono destinati a
disciplinare e coordinare l'esercizio di potestà amministrative tra le
pubbliche amministrazioni contraenti su oggetti di interesse comune, ma non
a regolare questioni meramente patrimoniali tra le parti (da Cass. Sez. Un.
21770 del 2021) e, comunque, in presenza di accordi tra pubbliche
amministrazioni è predicabile la giurisdizione esclusiva solo quando la
controversia abbia come "oggetto immediato" l'accordo stesso (Cass.
Sez. Un. 21652 del 2021) e non vicende meramente patrimoniali ad esso in
ipotesi connesse (Cass. Sez. Un. 26291 del 2021).
Ha aggiunto la Sezione che la giurisprudenza delle Sezioni Unite è univoca
nell'affermare che la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo delle controversie attinenti alla complessiva azione di
gestione dei rifiuti, ora prevista dall'art. 133, comma 1, lett. p), cod.
proc. amm., presuppone che gli atti di gestione siano espressione
dell'esercizio di un potere autoritativo della P.A. (o dei soggetti a questa
equiparati), mentre quando in giudizio sia dedotto un rapporto obbligatorio
avente la propria fonte in una pattuizione di tipo negoziale intesa a
regolamentare gli aspetti meramente patrimoniali della gestione, la
controversia continua ad appartenere alla giurisdizione del giudice
ordinario (Cass., Sez. Un., 11.07.2010, n. 14126; Cass., Sez. Un.,
22.11.2010, n. 23597; Cass., Sez. Un., 24.05.2013, n. 12901; Cass., Sez.
Un., 15.11.2016, n. 23227).
Tale ultima situazione è stata ai medesimi fini equiparata al caso di
pretesa concernente la corresponsione del corrispettivo della gestione del
servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, affidato sulla base di
ordinanze contingibili e urgenti adottate (per ragioni di emergenza
ambientale) ai sensi del d.lgs. 191/2006, anch’essa devoluta alla
giurisdizione del giudice ordinario, atteso che essa riguarda unicamente
l'esecuzione del rapporto di natura privatistica intercorrente tra le parti
e la cognizione di aspetti puramente patrimoniali, senza involgere il
sindacato, in via diretta o incidentale, della legittimità dell'attività
provvedimentale urgente posta a monte dello stesso, la quale costituisce uno
strumento alternativo e sostitutivo del contratto di appalto (Cass., Sez.
Un., 24.06.2020, n. 12483).
Ci si muove, dunque, nell'ambito di una controversia inerente all'esecuzione
del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani, che involge la cognizione
di aspetti puramente patrimoniali, rappresentati dal pagamento del
corrispettivo maturato (Cass., Sez. Un., 19.07.2021 n. 2053). Tale
controversia attiene alla fase "contrattuale" dell'esecuzione del
rapporto, da ritenere equipollente, ai fini del riparto, alla stipula del
contratto, avendo la Corte di Cassazione stabilito che la giurisdizione del
giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene operativa nella
successiva fase contrattuale afferente all'esecuzione del rapporto, che si
apre con la stipula ovvero con l'inizio della esecuzione del contratto,
quale alternativa alla stipula dello stesso (cfr. Cass., Sez. Un.,
25.05.2018, n. 13191).
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SENTENZA
9. Nella vicenda in esame, l’A.G.O. di primo grado -OMISSIS-, adita dal
Comune di -OMISSIS- in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso il
22.03.2006, con sentenza n. -OMISSIS-, si era espressa sull’eccezione di
difetto di giurisdizione, accogliendola “…perché essa è del giudice
amministrativo, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. e), del D.Lgs.
80/1998. La norma riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutta la materia dei pubblici servizi e, in particolare, le
liti relative a prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale,
rese nell’espletamento di pubblici servizi, restandone esclusi solo i
rapporti individuali di utenza con soggetti privati. E’ così da ritenersi
che tale giurisdizione sussiste anche nella fattispecie, come la presente,
avente ad oggetto l’inadempimento di obbligazioni pecuniarie per la
prestazione di un pubblico servizio (qual è l’attività di smaltimento dei
rifiuti in base alla normativa che regola la materia) reso dal gestore a
favore di una pubblica amministrazione…”.
La statuizione era stata confermata dal giudice di appello con la sentenza
n. -OMISSIS-, sulla precipua motivazione che “…nel
caso che ne occupa, il Comune -OMISSIS- ha chiesto in via monitoria la
condanna del comune di -OMISSIS- al pagamento del corrispettivo per
l’intervenuto conferimento dei rifiuti solidi urbani presso una discarica
ricadente nel proprio territorio, epperò la natura del rapporto è certamente
di ordine pubblicistico sì come riconducibile all’ordinanza contingibile ed
urgente n. -OMISSIS- con la quale il Prefetto -OMISSIS- ebbe ad autorizzare
dati comuni ricadenti nella Provincia -OMISSIS- e, fra questi, il Comune di
-OMISSIS-, a conferire i propri rifiuti solidi urbani nella discarica di
proprietà del Comune -OMISSIS- al fine di far fronte al dichiarato stato di
emergenza ambientale. L’introdotta controversia, quindi, se pur ha ad
oggetto il pagamento di pretesi corrispettivi, implica, foss’anche per le
sole difese già convenute nell’atto di opposizione, prima ancora che
l’individuazione e la delibazione di clausole negoziali relative al detto
compenso, l’accertamento in via principale del contenuto e della disciplina
del rapporto (modalità di scarico, quantitativo, natura e consistenza dei
poteri di controllo esercitato sul conferimento) e, non ultimo, si risolve
nella stessa delibazione del modo in cui il Comune -OMISSIS- si è avvalso
dell’esercizio diretto del proprio potere di determinazione, autoritativa e
tecnicamente discrezionale (anche in relazione agli adempimenti istruttori
che presuppone), della tariffa richiedibile ai comuni conferenti, sì come
nella specie stabilita con la determina dirigenziale n. -OMISSIS-:
coinvolge, cioè, l’esistenza, l’efficacia e lo svolgimento del rapporto
pubblico e la stessa verifica dell’azione autoritativa della P.A. con
l’esercizio di poteri discrezionali di cui essa gode nella determinazione di
indennità, canoni o altri corrispettivi…”.
Nel corpo del provvedimento, la Corte di Appello di Catania richiama
giurisprudenza della Corte di Cassazione, conseguente alla pronuncia della
Corte Costituzionale n. 204/2004, laddove “…è da ritenersi pacifico che
le controversie concernenti indennità, canoni od altri corrispettivi, non
attratte nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo perché
riservate alla giurisdizione del Giudice ordinario sono solo quelle a
contenuto meramente patrimoniale, e cioè quelle nelle quali non venga in
rilievo il potere della P.A. a tutela di interessi generali. Ove, invece, si
realizzi detta ultima ipotesi, perché la controversia coinvolge la verifica
dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto sottostante, ovvero la
verifica dell’esercizio di poteri discrezionali di cui essa gode nella
determinazione di indennità, canoni o altri corrispettivi, la giurisdizione
spetta al giudice amministrativo…”.
10. Osserva il Collegio che la vicenda processuale, pur scaturendo da una
serie reiterata di atti autoritativi della Prefettura -OMISSIS-, con i quali
veniva ordinato ai due Comuni parti dell’odierna controversia di
conferire/ricevere i rifiuti in un determinato arco temporale, inerisce ad
obblighi strettamente patrimoniali nascenti dal rapporto e, più in generale,
a posizioni soggettive che attengono al rapporto di dare/avere tra le parti,
per le quali è salva la giurisdizione del giudice ordinario.
In particolare, l’art. 33 d.lgs. 80/1998 (oggi confluito nell’art. 133, co.
1, lett. c), c.p.a.), ratione temporis, ritenuto dall’A.G.O.
applicabile al caso di specie, recitava:
“1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi
compresi quelli afferenti al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni, al
mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle
telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14.11.1995, n. 481.
2. Tali controversie sono, in particolare, quelle:
a) concernenti la istituzione, modificazione o
estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le aziende
speciali, le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione
urbana;
b) tra le amministrazioni pubbliche e i gestori
comunque denominati di pubblici servizi;
c) tra le amministrazioni pubbliche e i soci di
società miste e quelle riguardanti la scelta dei soci;
d) in materia di vigilanza e di controllo nei
confronti di gestori dei pubblici servizi;
e) aventi ad oggetto le procedure di affidamento
di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti
comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa
nazionale o regionale;
f) riguardanti le attività e le prestazioni di
ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di
pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio
sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti
individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente
risarcitorie che riguardano il danno alla persona e delle controversie in
materia di invalidità.
3. All'articolo 5, primo comma, della legge 06.12.1971, n. 1034,
sono soppresse le parole: "o di servizi.”.”.
Il noto arresto della Corte Costituzionale n. 204/2004 e la successiva
giurisprudenza del giudice regolatore della giurisdizione hanno, a più
riprese, evidenziato che l’art. 5 l. n. 1034 del 1971 (oggi art. 133 cod.
proc. amm.), nel riservare alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie relative alla materia dei servizi
pubblici, eccettuate quelle concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi, ha inteso far salva la giurisdizione del giudice ordinario
soltanto nell’ipotesi in cui la controversia non abbia ad oggetto la
determinazione di pretese che implicano l’esercizio di una discrezionalità
da parte della p.a., ossia non coinvolga la verifica dell’azione
autoritativa di quest’ultima.
Le controversie concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi,
riservate, in materia di servizi pubblici, alla giurisdizione del giudice
ordinario sono solo quelle con un contenuto meramente patrimoniale, senza
che assuma rilievo un potere d’intervento della p.a. a tutela degli
interessi generali; quando, invece, la controversia coinvolge la verifica
dell’azione autoritativa della p.a. sull’intera economia del rapporto
controverso, la medesima è attratta nella sfera di competenza
giurisdizionale del giudice amministrativo (sul punto, ex multis,
Cass. Civ., SS.UU., Ord. n. 10268/2019, Cons. St., Sez. V, n. 2077/2018).
Con la pronuncia del 2004 della Corte Costituzionale, viene, dunque, ad
essere abbandonata una nozione ampia di "pubblico servizio",
comprensiva di ogni prestazione permeata da evidenti interessi
pubblicistici, ancorché la relativa organizzazione possa presupporre un
rapporto intersubiettivo tra enti pubblici finalizzato ad assicurare
concretamente la fruizione del servizio da parte degli utenti finali. Tale
sarebbe, in particolare, il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi
urbani reso dal Comune in favore dei suoi cittadini tramite l'utilizzazione
di pubblica discarica della quale il Comune stesso è obbligato ad avvalersi,
in virtù di provvedimenti autoritativi legati alla nota situazione di
emergenza che ha comportato una gestione commissariale affidata al
Presidente della Regione Siciliana (C.G.A. n. 938 del 21.12.2005).
A tal proposito, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, il Comune di
-OMISSIS- ha chiesto in via subordinata la disapplicazione dell’atto
dirigenziale -OMISSIS- del Comune -OMISSIS-, determinativo dei costi di
conferimento in discarica. Impregiudicata la mancata impugnazione nei
termini sia delle ordinanze prefettizie che della citata determina
dirigenziale, quanto al predicato potere di disapplicazione di quest’ultimo
atto ad opera del giudice adito, debbono rassegnarsi le seguenti
considerazioni.
Il giudice amministrativo ha un potere generale di annullamento e un potere
di disapplicazione soltanto in presenza di atti normativi.
Il giudice ordinario ha un potere generale di disapplicazione e un potere di
annullamento soltanto nei casi previsti dalla legge.
L’art. 4 della legge abolitiva del contenzioso, 20.03.1865, n. 2248, All. E,
prevede che «quando la contestazione cade sopra un diritto che si
pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i Tribunali si
limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione
all’oggetto dedotto in giudizio». L’atto amministrativo «non potrà
essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità
amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in
quanto riguarda il caso deciso».
L’art. 5 della stessa legge prevede che «in questo, come in ogni altro
caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i
regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi».
Le norme riportate contemplano due diverse forme di disapplicazione.
La prima forma è di disapplicazione principale e presuppone che l’atto
amministrativo sia oggetto di diretta lesione della posizione giuridica
fatta valere.
In questi casi, a seguito della creazione della stessa giurisdizione
amministrativa, in presenza di un provvedimento che incide negativamente su
diritti soggettivi, anche se annullabile, si delinea, normalmente, un
rapporto giuridico tra potere pubblico e interesse legittimo oppositivo, con
giurisdizione del giudice amministrativo.
La seconda forma è di disapplicazione incidentale che si ha quando l’atto
amministrativo non costituisce l’oggetto diretto della lesione e viene in
rilievo soltanto in via, appunto, incidentale.
Il terreno di elezione di tale forma di disapplicazione è quello relativo
alle controversie tra privati in cui, ai fini della loro risoluzione, può
assumere valenza pregiudiziale il giudizio di validità di un atto
amministrativo (Cons. St., sez. VI, n. 6792/2020).
Nel caso di specie, è evidente che la richiesta disapplicazione dell’atto
dirigenziale si pone in chiave evidentemente strumentale alla domanda
principale di rigetto di pretese creditorie, secondo un modello proprio del
sindacato del giudice ordinario.
Al giudice amministrativo, dunque, non è consentito esercitare un vaglio
sull’atto attraverso un generale potere di disapplicazione; al contrario,
questi, ove adito nei termini, avrebbe potuto esercitare la giurisdizione
generale di legittimità sull’atto mediante il potere di annullamento.
Il problema che ne residua, in questa sede, è quello di stabilire se la
tipologia della controversia all'esame possa o meno ricondursi a taluna fra
le materie che l’art. 33, co. 1, d.lgs. 80/1998 aveva "ritagliato" in
favore della giurisdizione amministrativa, essenzialmente in ragione
dell'esercizio di potestà pubblicistiche da parte dell'amministrazione.
A tale quesito il Collegio reputa debba darsi risposta negativa.
Andando per ordine, ripercorrendo il perimetro applicativo della norma:
- è da escludere, pacificamente, che nella specie si configuri una
controversia afferente ad un rapporto di concessione di pubblico servizio
(con conseguente irrilevanza dell'ulteriore questione relativa alla
riconducibilità, o meno, delle prestazioni patrimoniali ingiunte con
decreto, nel novero delle "indennità, canoni ed altri corrispettivi");
- è altrettanto da escludere che si versi in materia di attività
provvedimentale a carattere autoritativo adottata dalla P.A. o da un privato
gestore nell'ambito di un procedimento disciplinato dalla legge n. 241 del
1990;
- è da escludere, altresì, che si versi in materia di "affidamento
di un pubblico servizio";
- è da escludere, da ultimo, che la controversia all'esame rientri
tra quelle concernenti "la vigilanza e il controllo nei confronti del
gestore".
Con particolare riferimento al primo alinea, giova evidenziare che dalla
presupposta ed oggettiva inesistenza di un rapporto di concessione di
pubblico servizio, deriva la non riconducibilità all’ipotesi di cui
all’odierno art. 133, co. 1, lett. c), c.p.a. di quello che il G.O. menziona
come provvedimento discrezionale di determinazione dell’indennità, canone o
altro corrispettivo dovuto dal Comune di -OMISSIS-. Al contrario, è lo
stesso G.O. che richiama le ordinanze prefettizie quale fonte primaria del
rapporto tra i due Comuni. Di conseguenza l’atto dirigenziale n. -OMISSIS-
del Comune -OMISSIS- (presunto provvedimento tariffario) viene ad assumere
una dimensione funzionalmente collegata alle ordinanze prefettizie e
temporalmente conseguente ad esse, senza trovare, però, alcun aggancio né
fattuale né normativo nell’ambito di un rapporto di concessione di pubblico
servizio, disciplinato quanto ai tratti autoritativi e non dal citato art.
33 d.lgs. 80/1998, oggi art. 133, lett. c), c.p.a..
Come di seguito si andrà ad enucleare, la vicenda contenziosa non può
nemmeno ricadere nel perimetro applicativo delle ulteriori ipotesi di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di accordi tra
PP.AA. (oggi, art. 133, co. 1, n. 2, c.p.a. ed art. 15 l. 241/1990) ovvero
attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti (oggi,
art. 133, co. 1, lett. p, c.p.a.).
Preliminarmente, giova rilevare che, secondo il consolidato indirizzo
giurisprudenziale, la giurisdizione deve essere determinata sulla base della
domanda, dovendosi guardare, ai fini del riparto della giurisdizione tra
giudice ordinario e giudice amministrativo, al petitum sostanziale, da
identificare, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che
si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della causa
petendi, ossia dell'intrinseca natura della situazione giuridica dedotta
in giudizio, da individuare con riguardo ai fatti allegati e al rapporto
giuridico di cui essi sono espressione (ex plurimis, Cass. Sez. Un.
20350 del 2018, Sez. Un., n. 25578 del 2020, Sez. Un. 13492 del 2021). In
tal senso è stata intesa la formula secondo cui "la decisione sulla
giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda" di cui all’art.
386 c.p.c..
L'indagine sulla intrinseca natura della situazione giuridica dedotta si
risolveva, in passato, nella ricerca del diritto soggettivo perfetto, come
tale desumibile da una norma attributiva al titolare di una protezione
diretta e immediata (cfr. Cass. Sez. Un. 1894 del 1962, Sez. Un. 789 del
1963), quale condizione ineludibile del radicamento della giurisdizione del
giudice ordinario, con effetti pratici in tema di riparto della
giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto interessi non assurgenti
a (o non emergenti ancora, in limine litis, come) diritti soggettivi
perfetti ma neppure (assurgenti) a interessi legittimi. Era concettualmente
chiaro che gli interessi legittimi altro non sono che gli interessi che si
rapportano al (o si confrontano con il) potere pubblico nella vicenda
concreta, ma l'oggetto di indagine in sede di riparto della giurisdizione
finiva per essere la posizione giuridica dedotta in causa dall'attore per
verificarne la natura o consistenza in termini di diritto-non diritto,
piuttosto che la condotta o il comportamento della pubblica amministrazione,
onde accertare se questa avesse agito in concreto come autorità o jure
privatorum.
La sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 ha avuto il merito di
chiarire che condizione ineludibile per configurare la giurisdizione
amministrativa, sia di legittimità sia esclusiva, è che la pubblica
amministrazione agisca come autorità, e non come "qualsiasi litigante
privato" e che oggetto di causa sia sempre la contestazione
dell'esercizio del potere in concreto. In questa prospettiva la "intrinseca
natura della situazione giuridica dedotta in giudizio" -che costituisce
l'oggetto dell'indagine sul petitum sostanziale- viene a coincidere
con la verifica della esistenza o meno di una contestazione in concreto
dell'esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione-autorità,
contestazione che costituisce condizione ineludibile per radicare la
giurisdizione amministrativa.
Non è quindi la generica (e spesso opinabile) inerenza (dell'oggetto) della
controversia a una "materia" tra quelle elencate nell'art. 133 c.p.a.
a far radicare la giurisdizione esclusiva, ma la contestazione delle
modalità di esercizio del potere concretamente esercitato dalla pubblica
amministrazione in quella materia.
A dimostrarlo è la giurisprudenza costituzionale, la quale, nonostante
l'ampiezza (e apparente totalità) della formula legislativa usata
nell'indicazione di una delle "materie" di giurisdizione esclusiva,
ha dichiarato l'infondatezza della proposta questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4 d.l. 90/2008, convertito, con modificazioni dalla
l. 123/2008, che devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo "tutte le controversie, anche relative a diritti
costituzionalmente tutelati, comunque attinenti alla complessiva azione di
gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti
dell'amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati".
E ciò in ragione del fatto che "l'espresso riferimento normativo ai
comportamenti della pubblica amministrazione deve essere inteso nel senso
che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono
soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo
e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall'amministrazione
al di fuori dell'esercizio di un'attività autoritativa. Nella specie
-prosegue il giudice delle leggi- venendo in rilievo questioni meramente
patrimoniali connesse al mancato adempimento da parte dell'amministrazione
di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, i
comportamenti posti in essere dall'amministrazione stessa non sono
ricompresi nell'ambito di applicazione della norma impugnata e rientrano,
invece, nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria,
correttamente adita" (Corte Cost. n. 35 del 2010).
Quanto agli “accordi di diritto pubblico”, questi sono destinati a
disciplinare e coordinare l'esercizio di potestà amministrative tra le
pubbliche amministrazioni contraenti su oggetti di interesse comune, ma non
a regolare questioni meramente patrimoniali tra le parti (da Cass. Sez. Un.
21770 del 2021) e, comunque, in presenza di accordi tra pubbliche
amministrazioni è predicabile la giurisdizione esclusiva solo quando la
controversia abbia come "oggetto immediato" l'accordo stesso (Cass.
Sez. Un. 21652 del 2021) e non vicende meramente patrimoniali ad esso in
ipotesi connesse (Cass. Sez. Un. 26291 del 2021). Nella fattispecie, ad ogni
modo, non era stato formalizzato alcun accordo tra le PP.AA. coinvolte.
Orbene, dalla ricostruzione degli atti di causa, emerge che il rapporto
giuridico in contestazione trae origine dalle ordinanze prefettizie,
necessitate da preminenti interessi concernenti la tutela dell’ambiente e
della salute pubblica, con le quali viene disposto imperativamente al Comune
di -OMISSIS- (e ad altri Comuni) di conferire i propri rifiuti nella
discarica del Comune -OMISSIS- ed a quest’ultimo di riceverli. Le ragioni
alla base del provvedimento attengono in via esclusiva alla incapacità del
comune di -OMISSIS- (e degli altri comuni) di garantire in proprio un
servizio pubblico di conferimento dei R.S.U..
Tali ordinanze di necessità ed urgenza sono state reiterate nel tempo, tanto
che l’attività di conferimento nella discarica-OMISSIS- ad opera dei comuni
impossibilitati a provvedere in proprio, ha assunto una caratterizzazione
durevole e prolungata (nel caso oggetto del presente giudizio, il Comune di
-OMISSIS- avrebbe versato dal 2003 al 2005).
L’unica fonte che disciplinava l’attività di conferimento dei rifiuti nella
discarica -OMISSIS- era dunque rappresentata dalla ordinanza prefettizia di
necessità ed urgenza pro tempore, che i Comuni interessati hanno
applicato senza muovere alcuna contestazione.
E’ altrettanto vero che le ordinanze prefettizie non regolamentano le
modalità prettamente esecutive del conferimento, ossia i limiti del
quantitativo da versare, i poteri di controllo sull’attività di
conferimento, i costi sostenuti dal Comune -OMISSIS- per “lavorare” i
rifiuti altrui nell’ambito del proprio ciclo di gestione, le conseguenti
obbligazioni a carico dei Comuni che versavano, i quali –di fatto– si
avvalevano di una struttura altrui con conseguente arricchimento e vantaggio
per la propria comunità.
In altri termini, tali ordinanze restano al di fuori del perimetro della
controversia, riguardante i rapporti di dare-avere tra le parti.
Unica disciplina attinente la fase esecutiva del conferimento è da
rinvenirsi nell’atto dirigenziale n. -OMISSIS- della Divisione Igiene Urbana
del Comune -OMISSIS-, con il quale viene individuato il costo sostenuto per
il ciclo di gestione dei rifiuti versati dai Comuni “terzi”, in
ragione del quantitativo versato.
Mentre gli altri comuni interessati, come argomentato dalla difesa del
Comune -OMISSIS-, hanno adempiuto alle obbligazioni sorte nel tempo, così
come calcolate secondo le modalità di cui alla D.D. -OMISSIS- del Comune
-OMISSIS- e riportate nelle fatture conseguentemente emesse, ciò non è
avvenuto per il Comune di -OMISSIS-, per le ragioni di parte sopra esposte.
Atteso che gli unici due atti che regolamentano la vicenda in questione
sono, dunque, le ordinanze prefettizie e la D.D. -OMISSIS-del Comune
-OMISSIS-, emerge ictu oculi come queste siano state incontestate,
all’epoca, dal Comune di -OMISSIS-, che non pare abbia proposto soluzioni
alternative –anche in sede stragiudiziale– per risolvere in modo ad esso più
conveniente il problema dello smaltimento dei R.S.U. della propria comunità.
Nei fatti (e sul punto vi è ben più di un principio di prova in atti) il
Comune di -OMISSIS- ha versato i propri rifiuti nella discarica individuata
dal provvedimento prefettizio.
Ciò su cui il collegio vuol porre l’attenzione non è la tardività
dell’impugnazione dei due provvedimenti citati da parte del Comune di
-OMISSIS-, bensì la consistenza del perimetro dell’odierno giudizio, che non
censura la fase prettamente organizzativa del servizio pubblico di
smaltimento dei rifiuti urbani (attuato sulla base di determinazioni
autoritative assunte dal Prefetto, nell’ambito di una situazione
emergenziale per l’ambiente e la salute pubblica) bensì attiene alle pretese
patrimoniali avanzate dal Comune -OMISSIS, in ragione del rapporto
imperativamente scaturito dai citati provvedimenti contingibili ed urgenti.
I tratti di attività autoritativa che hanno investito la vicenda nel suo
complesso, quanto alla fase organizzativa del servizio pubblico di
smaltimento dei rifiuti, si sono esauriti all’epoca dei fatti e sono stati
attuati dalle amministrazioni coinvolte in maniera coerente e conforme alle
disposizioni prefettizie. Le lamentate lacune del comune di -OMISSIS- (con
riferimento alla disciplina di dettaglio omessa dalle ordinanze prefettizie)
non hanno impedito il corretto esplicarsi dello svolgimento del servizio
pubblico nella sua dimensione organizzativa ed esecutiva, che ha come
necessaria ricaduta la quantificazione dei costi sostenuti dal Comune
-OMISSIS- e, dunque, delle somme dovute dal Comune di -OMISSIS-.
L’oggetto del giudizio, dunque, attiene, esclusivamente, a questioni
patrimoniali connesse all'inadempimento da parte del Comune di prestazioni
pecuniarie correlate alla fase di esecuzione di un rapporto obbligatorio.
Non ricorrendo alcuna delle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, la controversia deve essere risolta sulla base dei criteri
generali di riparto.
Non è in discussione l'esercizio del potere o la gestione del ciclo dei
rifiuti, intesa quale attività di raccolta, smaltimento e riconversione dei
rifiuti solidi urbani organizzata dalla P.A. attraverso attività
provvedimentale, discrezionale e autoritativa. Il petitum sostanziale
riguarda, dunque, una pretesa -il pagamento del corrispettivo correlato alla
fase di esecuzione del rapporto- in relazione alla quale si pongono
questioni di natura "negoziale" e a contenuto meramente patrimoniale,
mentre non viene in rilievo alcun esercizio di potestà autoritativa da parte
della pubblica amministrazione.
La giurisprudenza delle Sezioni Unite è univoca nell'affermare che la
devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle
controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, ora
prevista dall'art. 133, comma 1, lett. p), cod. proc. amm., presuppone che
gli atti di gestione siano espressione dell'esercizio di un potere
autoritativo della P.A. (o dei soggetti a questa equiparati), mentre quando
in giudizio sia dedotto un rapporto obbligatorio avente la propria fonte in
una pattuizione di tipo negoziale intesa a regolamentare gli aspetti
meramente patrimoniali della gestione, la controversia continua ad
appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass., Sez. Un.,
11.07.2010, n. 14126; Cass., Sez. Un., 22.11.2010, n. 23597; Cass., Sez.
Un., 24.05.2013, n. 12901; Cass., Sez. Un., 15.11.2016, n. 23227).
Tale ultima situazione è stata ai medesimi fini equiparata al caso di
pretesa concernente la corresponsione del corrispettivo della gestione del
servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, affidato sulla base di
ordinanze contingibili e urgenti adottate (per ragioni di emergenza
ambientale) ai sensi del d.lgs. 191/2006, anch’essa devoluta alla
giurisdizione del giudice ordinario, atteso che essa riguarda unicamente
l'esecuzione del rapporto di natura privatistica intercorrente tra le parti
e la cognizione di aspetti puramente patrimoniali, senza involgere il
sindacato, in via diretta o incidentale, della legittimità dell'attività
provvedimentale urgente posta a monte dello stesso, la quale costituisce uno
strumento alternativo e sostitutivo del contratto di appalto (Cass., Sez.
Un., 24.05.2020, n. 12483).
Ci si muove, dunque, nell'ambito di una controversia inerente all'esecuzione
del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani, che involge la cognizione
di aspetti puramente patrimoniali, rappresentati dal pagamento del
corrispettivo maturato (Cass., Sez. Un., 19.07.2021 n. 2053). Tale
controversia attiene alla fase "contrattuale" dell'esecuzione del
rapporto, da ritenere equipollente, ai fini del riparto, alla stipula del
contratto, avendo la Corte di Cassazione stabilito che la giurisdizione del
giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene operativa nella
successiva fase contrattuale afferente all'esecuzione del rapporto, che si
apre con la stipula ovvero con l'inizio della esecuzione del contratto,
quale alternativa allo stipula dello stesso (cfr. Cass., Sez. Un.,
25.05.2018, n. 13191).
Tale aspetto emerge, nella sua totale evidenza, anche sulla base della
tipologia dell’azione originariamente azionata, attraverso la richiesta di
decreto ingiuntivo, successivamente proseguita in sede di giudizio di
opposizione. La controversia in esame ha ad oggetto esclusivo pretese di
carattere patrimoniale, attinenti alla fase meramente esecutiva di un
rapporto pubblicistico, fatte valere dal Comune -OMISSIS- e contestate,
sotto vari profili, sia nell’an che nel quantum debeatur dal
Comune di -OMISSIS-.
Non appare condivisibile, dunque, il passaggio della sentenza n. -OMISSIS-
(con la quale la Corte di Appello di Catania, nell’aderire alla
prospettazione del giudice di prime cure, ha confermato il difetto di
giurisdizione dell’A.G.O.) laddove ritiene che “l’introdotta
controversia, quindi, se pur ha ad oggetto il pagamento di pretesi
corrispettivi, implica, foss’anche per le sole difese già convenute
nell’atto di opposizione, prima ancora che l’individuazione e la delibazione
di clausole negoziali relative al detto compenso, l’accertamento in via
principale del contenuto e della disciplina del rapporto (modalità di
scarico, quantitativo, natura e consistenza dei poteri di controllo
esercitato sul conferimento) e, non ultimo, si risolve nella stessa
delibazione del modo in cui il Comune -OMISSIS- si è avvalso dell’esercizio
diretto del proprio potere di determinazione, autoritativa e tecnicamente
discrezionale (anche in relazione agli adempimenti istruttori che
presuppone), della tariffa richiedibile ai comuni conferenti, sì come nella
specie stabilita con la determina dirigenziale n. -OMISSIS-: coinvolge,
cioè, l’esistenza, l’efficacia e lo svolgimento del rapporto pubblico e la
stessa verifica dell’azione autoritativa della P.A. con l’esercizio di
poteri discrezionali di cui essa gode nella determinazione di indennità,
canoni o altri corrispettivi…”.
Invero, al di là del nomen iuris attribuito, il corrispettivo in
questione si configura esclusivamente come costo sostenuto dal
Comune-OMISSIS-, per la realizzazione e gestione della relativa “fase”
della discarica di C.da -OMISSIS-, in ragione delle superiori ed imperative
esigenze dei comuni limitrofi, che presentavano obiettive difficoltà nello
smaltimento dei R.S.U..
Sul fatto che tale atto possa dirsi espressivo dell’esercizio di un pubblico
potere, peraltro discrezionale, il Collegio esprime più di un dubbio, atteso
che la determinazione del quantum dovuto dai Comuni conferenti, si
appalesa come quantificazione –con funzione meramente compensativa e
ripristinatoria– di un costo “anticipato” dal Comune -OMISSIS-, in
esecuzione di un provvedimento prefettizio –quello sì– dalla connotazione
fortemente autoritativa.
L’atto dirigenziale in questione può essere inquadrato, nell’ambito di una
fattispecie a formazione progressiva, quale strumento di mera attuazione
della determinazione prefettizia, laddove l’individuazione di quella che
impropriamente viene denominata “tariffa” avviene mediante
l’estrapolazione dell’onere dovuto dai Comuni interessati (proporzionalmente
alla quantità versata) dai costi dell’ordinario ciclo di gestione del
trattamento dei rifiuti della comunità -OMISSIS-.
Al di là delle censure del Comune di -OMISSIS- sulla prova della
quantificazione dei rifiuti conferiti e del conseguente costo da sopportare
(aspetto questo, si ribadisce, attinente alla fase meramente esecutiva e
strettamente patrimoniale del rapporto in questione), è incontestato il
fatto che il predetto Comune, in ottemperanza (doverosa e non altrimenti
fronteggiabile) alle ordinanze prefettizie, abbia conferito i rifiuti del
proprio territorio nella prevista discarica del Comune -OMISSIS-. Talché
appare inconferente il richiamo al doveroso accertamento in via principale
del contenuto e della disciplina del rapporto nonché all’esistenza,
l’efficacia e lo svolgimento del rapporto pubblico, operati dall’A.G.O..
Al contrario, è di tutta evidenza che:
- il rapporto controverso ha trovato il suo diretto ed
irrinunciabile fondamento nei predetti atti della Prefettura -OMISSIS-
(provvedimenti autoritativi, incontestati, idonei ad esaurire la fase
organizzativa del servizio pubblico);
- pur mancando un atto negoziale ovvero un’altra forma di accordo
di diritto pubblico tra le parti, che disciplinasse il rapporto nella sua
dimensione esecutiva, è incontestato che questo abbia trovato compimento con
comportamenti concludenti da entrambe le parti;
- la D.D. -OMISSIS-, altro non ha fatto che elaborare –secondo un
preciso calcolo matematico– i costi dovuti, espungendoli da quelli ordinari
del ciclo di gestione dei rifiuti;
- la sequenza di atti e comportamenti, per come sopra delineata,
appare idonea ex se –ai sensi dell’art. 1173 c.c.– a fondare il
titolo dell’obbligazione oggetto del presente contenzioso.
Emerge, evidente come, ad oltre 6 anni dall’inizio della presente
controversia e ad oltre 20 anni dall’emanazione del predetto atto
dirigenziale, ci si trovi a discorrere di aspetti meramente patrimoniali del
rapporto che, al più, potrebbero riguardare la corretta quantificazione
delle somme dovute in ragione dei documenti prodotti dalle parti, il cui
perimetro rimane circoscritto nell’alveo di una fase meramente esecutiva del
rapporto, involgendo la quantificazione della prestazione, da una parte
(senza alcun aspetto autoritativo, ma ricognitivo), e la correlata
controprestazione dall’altra.
La vicenda, dunque, per come articolata in atti, non può essere ricondotta
né alla giurisdizione generale di legittimità né ad alcuna delle ipotesi di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
11. Per tutte le superiori ragioni deve essere dichiarato il difetto di
giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario,
davanti al quale il processo potrà essere riproposto ai sensi dell’art. 11
cod. proc. amm. (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 24.01.2022 n. 221 - commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Offerte
anomale, esclusione automatica.
In una gara sotto il milione di euro, anche se gli atti di gara non lo
prevedono, si deve sempre applicare la norma sull'esclusione automatica
delle offerte anomale.
Lo ha specificato l'Autorità nazionale anticorruzione con il
parere di Precontenzioso 12.01.2022 n. 4 rispetto ad
una procedura di affidamento di lavori di importo inferiore a un milione di
euro.
In particolare, veniva eccepita, in sede di precontenzioso, la legittimità
della scelta della stazione appaltante di non procedere all'esclusione
automatica delle offerte anomale, in applicazione della disciplina
introdotta dal D.L. n. 76/2020 che, per le procedure negoziate di importo
inferiore alle soglie Ue, fino al 30.06.2023, dispone la mancata operatività
dell'esclusione automatica nel solo caso in cui il numero delle offerte
ammesse alla gara è inferiore a 5 (e non inferiore a 10 come previsto
«ordinariamente») e la sua applicabilità invece per il caso di numero di
offerte ammesse superiore a 5.
Era avvenuto infatti che fossero state ammesse nove offerte. La stazione
appaltante, operante nei settori speciali, si difendeva assumendo che nella
sua veste di impresa pubblica operante nei settori speciali poteva limitarsi
(per gli acquisti di importo inferiore alla soglia comunitaria) ad applicare
un proprio regolamento la cui disciplina è soggetta unicamente al rispetto
dei principi comunitari a tutela della concorrenza.
Il punto sul quale l'Autorità si è soffermata è se fosse legittimo nel caso
di specie, e quindi in una procedura indetta sulla base di un regolamento
interno e di una lex specialis, richiamare la disciplina (ordinaria) di cui
all'articolo 97, comma 8 del codice appalti senza contemplare la modifica
legislativa di cui al D.L. n. 76/2020.
L'Anac non ha ritenuto legittimo l'operato della stazione appaltante perché
aderisce all'«orientamento interpretativo prevalente ed in corso di
consolidamento secondo cui la disciplina speciale dettata dal D.L. n.
76/2020, prevale sulla disciplina dei contratti sotto-soglia prevista
dall'articolo 36 del d.lgs. n. 50/2016, integrando e sostituendo l
previsioni della lex specialis con essa incompatibili, anche con riguardo a
quelle in tema di verifica dell'anomalia».
Inoltre, ha precisato sempre l'Anac, la «deroga temporanea introdotta dal
d.l. n. 76/2020 riguardante il numero minimo di offerte ammesse (ridotto a
cinque) necessario per fare scattare (in presenza delle rimanenti
condizioni) l'obbligo di esclusione automatica ha natura imperativa e
pertanto sostituisce di diritto la clausola del bando difforme».
Alla luce di questi principi la delibera stabilisce che, ancorché negli atti
di gara vi sia il richiamo agli articoli del Codice temporaneamente abrogati
fino al 30.06.2023 dal D.L. n. 76/2020, la stazione appaltante è tenuta
ad applicare la disciplina vigente al momento dell'indizione della procedura
e, in particolare, quella relativa all'esclusione automatica delle offerte
anomale.
Pertanto ad avviso dell'Anac la disciplina di gara deve ritenersi «eterointegrata
alla nuova formulazione dell'articolo 97, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016»
e deve trovare applicazione il nuovo regime giuridico, transitoriamente
previsto, per l'esclusione automatica delle offerte anomale
(articolo ItaliaOggi del 28.01.2022).
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Parere di Precontenzioso numero 4 del 12.01.2022
Istanza di parere per la soluzione delle controversie ex articolo 211, comma
1, del d.lgs. 18.04.2016 n. 50 presentata da Due T Gestioni e Costruzioni
S.r.l. - Procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara
Comune di Cossano C.se (prog. 11944). Sostituzione rete idrica in amianto
cemento. Rif. APP_39/pn/2021 - CIG 8817802866 - CUP G41B21004610005 –
Criterio di aggiudicazione: minor prezzo - Importo a base di gara:
708.453,89 euro – S.A.: Società Metropolitana Acque Torino S.p.A. PREC
221/2021/L – PB
Riferimenti normativi
Articolo 97, comma 8, d.lgs. n. 50/2016; Articolo 1, comma 3, del D.L.
16.07.2020, n. 76 (convertito con modificazioni in L. 11.09.2020 n. 120)
Parole chiave
Anomalia dell’offerta - Esclusione automatica – Ambito di applicazione della
disciplina di cui all’articolo 1, comma 3, del D.L. Semplificazioni –
Eterointegrazione della lex specialis
Massima
Le disposizioni normative contenute nell’art. 1 del decreto legge n.
76/2020, convertito in legge n. 120/2020, contengono una disciplina
derogatoria, temporalmente limitata e giustificata dall’esigenza di far
fronte ad una congiuntura economica resa particolarmente difficile dalla
pandemia da COVID-19, che come tale prevale sulla disciplina dei contratti
sotto-soglia prevista dall’articolo 36 del Codice appalti, con la
conseguenza che le previsioni della lex specialis con essa incompatibili,
con specifico riferimento alla disciplina dell’esclusione automatica delle
offerta anomale, devono essere integrate e sostituite. |
APPALTI: Niente
violazione dello «stand still» con la sola esecuzione anticipata
dell'appalto.
La violazione dello «stand still», ovvero del termine di 35 giorni
dall'ultima comunicazione di aggiudicazione dell'appalto, inibisce/impedisce
solamente la stipula del contratto ma non anche l'avvio dell'esecuzione
(anticipata) dell'appalto.
In questo senso, il chiarimento fornito dal TAR
Campania-Napoli, Sez. V, con la
sentenza
05.01.2022 n. 78.
La vicenda
Tra i vari rilievi, la ricorrente si suole della violazione, da parte della
stazione appaltante, dell'obbligo del cosiddetto stand still. In pratica, lo
stand still (articolo 32, commi 9 e seguenti, del Codice dei contratti)
costituisce una sorta di "quarantena" dell'affidamento che impedisce la
stipula del contratto prima che siano trascorsi 35 giorni dall'ultima
comunicazione di aggiudicazione dell'appalto. Lo stand still quindi, si
sostanzia in un termine posto a favore degli operatori economici che si
ritengano lesi dalle operazioni compiute dalla stazione appaltante evitando
la "prematura" stipula del contratto che renderebbe più complicato (e spesso
invano) il ricorso di chi ritiene di poter ottenere l'affidamento.
Secondo la ricorrente, stante l'impugnazione degli atti di gara, la stazione
appaltante non avrebbe potuto né stipulare il contratto né affidare in via
d'urgenza il servizio ma avrebbe dovuto attendere l'esito della procedura
sull'istanza cautelare richiesta. Nel caso posto all'attenzione del giudice
campano nel periodo di "quarantena" la stazione appaltante si era, in
realtà, limitata solamente alla consegna in via d'urgenza dell'esecuzione
dell'appalto e non anche alla stipula del correlato contratto. Proprio
questo motivo, nella corretta interpretazione della norma, porta il giudice
a respingere la doglianza.
Le motivazioni
Nel caso di specie, si è chiarito che la violazione della regola dello
«stand still» «presuppone che sia intervenuta la stipulazione del contratto,
senza la quale non sussiste alcuna violazione della clausola di stand still,
non essendo l'esecuzione in via d'urgenza parificabile alla stipulazione del
contratto».
In ogni caso, precisa il giudice, la violazione della regola in parola
«senza che concorrano vizi propri dell'aggiudicazione, non comporta» di per
sé l'annullamento dell'aggiudicazione o l'inefficacia del contratto, in
quanto trattasi di una fase successiva a quella di selezione del migliore
contraente, che, per ciò stesso, non potrebbe ripercuotersi negativamente
sul provvedimento di aggiudicazione definitiva (ex multis, Consiglio di
Stato, sezione III, 17.06.2019, n. 4087; Tar Lazio, Roma, sezione II,
11.03.2021, n. 3047).
Inoltre, nel caso di specie, si era in presenza di un servizio essenziale
che non poteva tollerare interruzione (in particolare, l'affidamento
riguardava una serie di servizi di vigilanza antincendio relativa a diversi
presidi ospedalieri) «dovendosi chiaramente evitare di lasciare i presidi
ospedalieri privi delle prescritte garanzie in caso di incendio, con
evidenti profili di responsabilità per la tutela della saluta pubblica».
Da ultimo, a ribadire la statuizione, il giudice campano rammenta, in ogni
caso, che per effetto dei recenti provvedimenti emergenziali (Dl 76/2020
convertito dalla legge 120/2020) l'esecuzione in via d'urgenza risulta –almeno fino al 30.06.2023- fortemente suggerita/incentivata dal
legislatore (nell'ottica di una richiesta velocizzazione dell'esecuzione dei
contratti per favorire la ripresa nel post-pandemia).
In questo senso, l'articolo 8, comma 1, lettera a) del Dl 76/2020 prevede
che «è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel
caso di servizi e forniture, l'esecuzione del contratto in via d'urgenza ai
sensi dell'articolo 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016,
nelle more della verifica dei requisiti di cui all'articolo 80 del medesimo
decreto legislativo, nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la
partecipazione alla procedura».
Da notare, che la disposizione ultima citata risulta particolarmente utile
anche in relazione dei contratti del Pnrr quale autentica misura di
semplificazioni lasciando, al Rup (organo che gestisce anche la questione
dell'esecuzione anticipata) poche alternative se non debitamente motivate
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 17.01.2022).
---------------
SENTENZA
6.2 Con l’unico motivo del ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente,
poi, lamenta la violazione della disciplina imperativa, di diretta
derivazione comunitaria, di cui al D.lgs. 50/2016, preclusiva alla stipula
del contratto sino alla conclusione della fase cautelare di primo grado,
essendo stato proposto ricorso avverso l’aggiudicazione con contestuale
domanda cautelare, rimarcando peraltro non sussistere nella specie ragioni
di urgenza per l’esecuzione anticipata del servizio, svolto dal gestore
uscente SO. s.r.l..
Il motivo è infondato in fatto prima che in diritto.
Va premesso che, per consolidata giurisprudenza in tema di gara per
l'affidamento di un appalto pubblico, la violazione dell'art. 32, comma 8,
del decreto legislativo n. 50 del 2016, presuppone che sia intervenuta la
stipulazione del contratto, senza la quale non sussiste alcuna violazione
della clausola di stand still, non essendo l'esecuzione in via
d'urgenza parificabile alla stipulazione del contratto.
Peraltro, è stato anche rilevato che la mera violazione della clausola di
stand still, senza che concorrano vizi propri dell'aggiudicazione, non
comporta l'annullamento dell'aggiudicazione o l'inefficacia del contratto,
in quanto trattasi di una fase successiva a quella di selezione del migliore
contraente, che, per ciò stesso, non potrebbe ripercuotersi negativamente
sul provvedimento di aggiudicazione definitiva (ex multis, Consiglio
di Stato, sez. III, 17.06.2019, n. 4087; TAR Lazio, Roma, sez. II ,
11.03.2021, n. 3047).
Venendo al caso all’esame, osserva il Collegio, come incontestatamente
dedotto dalla resistente e dalla controintressata, che nessun contratto è
stato ancora stipulato, posto che, a fronte della cessazione del precedente
affidamento alla ditta uscente So. s.r.l. l’amministrazione ha disposto
l’affidamento anticipato del servizio al RTI aggiudicatario a far data dal
02.08.2021, trattandosi di servizio rientrante tra i servizi pubblici
essenziali che non può tollerare interruzioni (come anche evidenziato
all’art. 4.3. del Capitolato tecnico), dovendosi chiaramente evitare di
lasciare i presidi ospedalieri privi delle prescritte garanzie in caso di
incendio, con evidenti profili di responsabilità per la tutela della saluta
pubblica.
Ciò in conformità all’articolo 8, comma 1, lett. a), del D.L. 76/2020, che
dispone “… è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza
e, nel caso di servizi e forniture, l'esecuzione del contratto in via
d'urgenza ai sensi dell'articolo 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50
del 2016, nelle more della verifica dei requisiti di cui all'articolo 80 del
medesimo decreto legislativo, nonché dei requisiti di qualificazione
previsti per la partecipazione alla procedura …”. |
APPALTI: All’Adunanza
plenaria l’escussione della cauzione provvisoria prestata dall’operatore
destinatario della proposta di aggiudicazione.
L’Adunanza plenaria è chiamata a pronunciare sulla corretta interpretazione
della disciplina della garanzia provvisoria prestata dagli operatori
economici che partecipano alle procedure selettive regolate dal d.lgs. n. 50
del 2016. Ciò con specifico riferimento alla questione se,
l’amministrazione, in presenza degli altri presupposti, possa dar luogo o
meno all’escussione della cauzione prestata dal destinatario della proposta
di aggiudicazione ma non ancora formalmente aggiudicatario della gara.
La sentenza in rassegna ha anche espresso rilevanti principi di ordine
processuale in punto di legittimazione e interesse a ricorrere avverso gli
atti delle procedure selettive (soprattutto in punto di rilevanza della
definitività dell’esclusione) ed ha approfondito le specifiche connotazioni
del ricorso incidentale nelle sue diverse declinazioni.
---------------
Contratti pubblici – Garanzia provvisoria – Escussione anteriore al
provvedimento di aggiudicazione – Deferimento all’Adunanza plenaria
Va rimesso alla Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato il seguente quesito: se l’art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016
possa (recte, debba) trovare applicazione non solo nei confronti del
soggetto cui sia già stata definitivamente aggiudicata la gara, ma anche nei
confronti del soggetto che la commissione giudicatrice, dopo le valutazioni
di spettanza, abbia proposto per l’aggiudicazione (1).
---------------
(1) I. – Con la decisione in rassegna la quarta sezione del
Consiglio di Stato, premessi alcuni rilevanti principi di ordine processuale
e sostanziale, ha deferito all’Adunanza plenaria la questione di cui in
massima relativa alla corretta interpretazione della disciplina in materia
di escussione della cauzione prestata dalle imprese partecipanti alla gara
e, segnatamente, se detta escussione sia ammessa nei confronti
dell’operatore economico che sia soltanto destinatario della proposta di
aggiudicazione.
II. – La sentenza –che ha respinto l’appello incidentale e, in parte,
quello principale- ha osservato quanto segue:
a) su un primo aspetto processuale, relativo al regime di impugnazione degli
esiti della gara:
a1) la contestazione dell’esito di una procedura di selezione del contraente
può essere formulata soltanto dall’operatore economico che a quella
procedura abbia preso parte;
a2) non rileva, in proposito, la mera partecipazione di fatto, poiché solo
la legittima partecipazione ascrive in capo all’operatore una situazione
differenziata e qualificata (ossia l’interesse legittimo alla regolare
conduzione delle operazioni di selezione da parte della stazione appaltante)
che lo facoltizza a lamentare, in sede processuale, l’esito della procedura,
proprio in quanto vi ha partecipato secundum jus;
a3) la partecipazione alla gara, quale fattore legittimante la formulazione
di un ricorso avverso l’esito della stessa, rileva quale elemento (recte,
presupposto) normativo, non semplicemente fattuale, dell’istanza di
giustizia veicolata in giudizio: la formulazione di un ricorso e la sua
decidibilità nel merito richiedono infatti, alla sua base, una situazione
sostanziale giuridicamente qualificata, posto che il processo è, nella sua
essenza, la forma pubblicistica di tutela di situazioni giuridiche
soggettive e l’assenza, originaria o sopravvenuta, di tale fondamento
sostanziale dell’istanza di giustizia priva ab imis la dinamica processuale
del suo stesso oggetto;
a4) non ha titolo ad impugnare l’aggiudicazione non solo il partecipante che
sia stato in precedenza escluso dalla gara, eventualmente anche in sede di
autotutela officiosa, con provvedimento inoppugnato, ma anche l’impresa che
abbia visto respinto in sede giurisdizionale, con pronuncia definitiva, il
proprio ricorso avverso l’estromissione dalla gara: in questo ultimo caso la
pronuncia giurisdizionale, nel respingere il ricorso, accerta che il
concorrente non ha ab origine partecipato secundum jus alla gara;
a5) le
pronunce di rigetto del giudice amministrativo, infatti, si limitano a
dichiarare l’infondatezza dei motivi di censura svolti dall’interessato
avverso una manifestazione provvedimentale di volontà, che, dunque, resta ab
origine l’unica fonte di regolazione della fattispecie;
a6) in siffatta ipotesi, pertanto, il concorrente è da intendersi ab imis
estraneo alla procedura, posto che la sua partecipazione di fatto non ha
riposato su un sostrato normativo legittimante;
a7) tali considerazioni di massima valgono anche nel caso in cui il ricorso
avverso l’aggiudicazione sia stato formulato in pendenza dell’impugnativa
avverso l’atto di esclusione: la reiezione di quest’ultima determina, in
chiave processuale, la perdita ex tunc, in capo al ricorrente, della
posizione legittimante il successivo ricorso avverso l’aggiudicazione, quale
riflesso necessario ed ineludibile della carenza sostanziale di un interesse
legittimo al regolare svolgimento della gara, strutturalmente insuscettibile
di cristallizzarsi in capo ad un soggetto che non vi abbia tout court preso
parte o ne sia stato legittimamente escluso (sul punto, in senso
sostanzialmente conforme, Corte di giustizia UE, grande sezione, 21.12.2021, C-497/20, Randstad Italia s.p.a., infra § i1);
a8) tale conclusione è
conforme all’indirizzo interpretativo eurounitario e nazionale:
I) il regolatore euro-unitario non conosce una disciplina generale del
processo, rimessa ai legislatori nazionali con l’unico limite dei principi
di equivalenza (del trattamento delle situazioni giuridiche nazionali ed
euro-unitarie) ed effettività (della tutela giurisdizionale in concreto
erogabile);
II) il diritto processuale nazionale impone, con l’art. 120, comma 7, c.p.a.,
che tutti gli atti emessi nell’ambito di una procedura di gara già oggetto
di un ricorso debbano essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti
(detta disposizione ha un carattere processuale e tende a perseguire il fine
della concentrazione processuale, quale fattore di razionalizzazione e
velocizzazione del contenzioso; essa non impinge nella natura sostanziale
degli atti impugnati, non ne muta il regime giuridico, non incide sulla
relativa efficacia, non ne elide l’autonomia strutturale e funzionale);
a9) il giudice investito di una tale complessa controversia (solo
processualmente) unitaria deve prendere le mosse dal ricorso avverso l’atto
di esclusione, non solo perché temporalmente anteriore, ma soprattutto
perché funzionalmente propedeutico alla stessa possibilità di cognizione
dell’impugnativa dell’aggiudicazione: la verifica della ritualità
dell’esclusione del concorrente è, infatti, oggettivamente prioritaria
rispetto allo scrutinio delle censure da questi mosse avverso il successivo
esito della gara;
a10) del resto, il diritto UE conosce, anche nella materia
degli appalti, il valore della risorsa giustizia, la cui ontologica scarsità
osta a che sia dispersa nello scrutinio di ricorsi avverso atti di
aggiudicazione formulati da concorrenti che, al momento della delibazione da
parte del giudice, risultino oramai estranei alla gara stessa;
a11) non può che interpretarsi così il passaggio operato dalla sentenza
della Corte di giustizia UE, sez. VIII, 21.12.2016, C-355/15, B.T.G. (
§ 34), alla luce anche della successiva sentenza sez. VIII, 11.05.2017,
C-131/16, Archus e Gama (in Riv. giur. edilizia, 2017, I, 533), secondo cui
“[il diritto euro-unitario] consente ad ogni partecipante escluso di
contestare non solo la decisione di esclusione, ma anche, fintantoché detta
contestazione è pendente, le successive decisioni che gli arrecherebbero
pregiudizio ove la propria esclusione fosse annullata”: del resto, le
condizioni dell’azione debbono sussistere al momento del radicamento della
lite e persistere per tutta la relativa durata, per cui, se al momento della
delibazione giudiziale del ricorso avverso l’aggiudicazione il concorrente
risulti definitivamente escluso dalla procedura a seguito del rigetto
dell’impugnazione dell’atto di estromissione a suo tempo emanato dalla
stazione appaltante, ne viene meno ex tunc la legittimazione e lo stesso
interesse a ricorrere;
b) su un secondo aspetto processuale, inerente all’assetto delle
impugnazioni incidentali di primo grado:
b1) premessa la natura occasionale, accessoria e, per così dire, non
“originaria” dell’interesse sotteso alla proposizione dell’impugnazione
incidentale (che non consegue all’atto, ma all’altrui impugnazione di tale
atto), il ricorso incidentale c.d. proprio non introduce una domanda demolitoria autonoma nell’oggetto, ma costituisce una contro-impugnazione
rivolta avverso il medesimo atto già impugnato ex adverso, che viene
censurato nella parte in cui è lesivo per il ricorrente incidentale
(qualifica processuale che, sul piano sostanziale, corrisponde a quella di
controinteressato);
b2) da un punto di vista processuale, il ricorso incidentale proprio non
estende l’oggetto provvedimentale del giudizio stricto sensu inteso, che
resta incentrato sull’atto già aggredito con l’impugnazione principale, ma
ne arricchisce la cognizione, estesa anche alle censure incidentali: non
tende teleologicamente a rimuovere l’atto gravato, ma a mantenerlo e per far
ciò, stigmatizza profili di illegittimità dell’atto, distinti da quelli
lamentati ex adverso, tali da neutralizzare l’impugnazione principale,
preservando l’assetto degli interessi delineato dal provvedimento;
b3) viceversa, il ricorso incidentale improprio attinge un diverso atto, il
cui prospettico annullamento priverebbe di efficacia l’avversa impugnazione
principale (ad esempio, l’impugnazione incidentale dell’ammissione alla gara
del soggetto che ha impugnato, in via principale, l’aggiudicazione della
stessa);
b4) siffatta impugnazione, dunque, arricchisce l’oggetto del giudizio e mira
a sterilizzare ab externo l’iniziativa giurisdizionale principale,
elidendone ab imis i presupposti (in primis di ammissibilità o
procedibilità);
b5) anche il ricorso incidentale improprio, pur connotato da
un portato demolitorio, mira comunque, in definitiva, a preservare l’assetto
degli interessi fissato dall’Amministrazione;
b6) la natura finalisticamente difensiva e strutturalmente conservativa del
ricorso incidentale (proprio od improprio che sia), nonostante la forma
impugnatoria, ne condiziona intrinsecamente l’ammissibilità e la
procedibilità;
b7) invero, il ricorso incidentale:
I) è ammissibile solo se effettivamente in grado, ove accolto, di
neutralizzare l’avversa impugnazione;
II) è procedibile solo in caso di ritenuta fondatezza dell’impugnazione
principale, posto che, in caso contrario, l’assetto degli interessi fissato
in via amministrativa resterebbe comunque immutato;
b8) quanto a quest’ultimo punto, va evidenziato che a sostegno
dell’impugnazione incidentale non vi è una lesione attuale (che richiede
l’esperimento di una impugnazione autonoma), ma una mera lesione virtuale
conseguente all’ipotetico accoglimento dell’impugnazione principale: ove
venga meno questo pericolo, la finalità difensiva cui è preordinato il
ricorso incidentale è pienamente soddisfatta, sì che l’impugnazione
incidentale perde naturaliter di interesse;
b9) ne consegue che la reiezione, per qualsivoglia ragione, del ricorso
principale di primo grado rende, in ogni caso, improcedibile per
sopravvenuta carenza di interesse il ricorso incidentale (arg. anche da
Cons. Stato, Ad. plen., 18.05.2018, n. 8, oggetto della
News US 30.05.2018 che esclude espressamente la possibilità di esaminare il ricorso
incidentale escludente in caso di difettosa costituzione del rapporto
processuale da parte del ricorrente principale);
c) sul versante sostanziale inerente al mantenimento dei requisiti in capo
all’impresa partecipante per tutta la durata della gara:
c1) i requisiti di partecipazione devono sì essere posseduti al momento
della formulazione della domanda, ma debbono altresì essere mantenuti per
tutto il corso della procedura amministrativa di selezione del contraente;
c2) argomentare diversamente, del resto, condurrebbe a diverse aporie
logiche:
I) il concorrente, una volta ammesso, potrebbe in seguito perdere i
requisiti di partecipazione senza alcuna conseguenza negativa, beneficiando
in tal modo, per tutto il seguito del procedimento, di una sorta di “zona
franca” sostanziale, collidente con gli scopi e le ragioni dell’evidenza
pubblica;
II) sotto altro aspetto, l’ammissione di un concorrente ne cristallizzerebbe
una volta per tutte la facoltà di partecipare alla gara, rendendo de jure
irrilevanti tutte le eventuali vicende successive pur occorse durante lo
svolgimento del procedimento, in spregio del principio di continuità
dell’azione amministrativa e di immanenza del pubblico interesse perseguito
dall’Amministrazione mediante la procedura di selezione del contraente;
III) sotto altro profilo, il dovere di lealtà e trasparenza, insito nella
partecipazione stessa dell’operatore economico ad un procedimento di
selezione del contraente (che genera un conseguente e sotteso rapporto
amministrativo specificamente normato), impone la pronta comunicazione
all’Amministrazione –tra l’altro– delle vicende penali che abbiano
interessato gli esponenti apicali del concorrente costituito in forma
societaria;
c3) nell’ipotesi di rinvio a giudizio di esponenti apicali dell’operatore
economico al quale la commissione giudicatrice aveva proposto di aggiudicare
la gara (e, dunque, prima della conclusione del contratto), del tutto
legittimamente la stazione appaltante omette la stipulazione ed esclude
l’operatore economico dalla gara:
I) ciò che, a valle della stipulazione negoziale, costituisce, per
disposizione della lex specialis specificamente ed incondizionatamente
accettata dai concorrenti, causa di risoluzione di diritto del contratto, a
monte della stessa non può che valere quale causa ostativa alla conclusione
del medesimo;
II) diversamente argomentando si verificherebbe l’ossimoro giuridico di una
stipulazione contrattuale operata dalla stazione appaltante nella
consapevole prospettiva dell’immediato e doveroso scioglimento unilaterale
del vincolo;
III) l’intervento, nel corso della procedura di evidenza pubblica, di una
causa (sostanziale) ostativa alla prospettica stipulazione del contratto non
può che riflettersi, in chiave procedimentale, nell’immediata estromissione
del concorrente dalla gara;
IV) del resto, giacché la gara è teleologicamente volta alla stipulazione
del contratto, un concorrente giuridicamente incapace di stipulare tale
contratto –per il sopraggiungere di una causa a ciò ostativa– non ha più
ragione di (continuare a) prendere parte alla procedura, che, peraltro,
impone alla stazione appaltante la spendita di energie amministrative per
loro natura scarse e, dunque, necessariamente da ottimizzare;
V) una tale conclusione è in linea con il potere di esclusione dell’impresa
per il mancato di rispetto dei protocolli di legalità ex art. 1, comma 17,
l. n. 190 del 2012: la relativa clausola non costituisce né una “condizione
generale di contratto” (art. 1341 c.c.), né, comunque, una previsione
negoziale, quanto, al contrario, una condizione di partecipazione ad un
procedimento amministrativo indetto, nell’esercizio di un potere
istituzionalmente riservato, dall’amministrazione (peraltro, in termini più
generali, l’applicazione della normativa civilistica nelle materie oggetto
di potere amministrativo non è immediata e, per così dire, fisiologica, ma è
viceversa eccezionale –arg. a contrario dall’art. 1, comma 1-bis, l. n. 241
del 1990– posto che la fattispecie, proprio in quanto frutto della spendita
di potere, è interamente regolata secondo il meccanismo norma–potere–effetto);
d) quanto alla questione, anch’essa di ordine sostanziale, sottoposta
all’attenzione della Plenaria:
d1) il vigente testo dell’art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016, come
modificato dal d.lgs. n. 56 del 2017, ha il seguente tenore: “La garanzia
copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta
ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione
antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159; la garanzia è svincolata
automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto”;
d2) in precedenza, l’articolo recitava come segue: “La garanzia copre la
mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione, per fatto dell’affidatario
riconducibile ad una condotta connotata da dolo o colpa grave, ed è
svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto
medesimo”: risalta, dunque, l’intervenuta espunzione, nel vigente testo, di
ogni riferimento all’elemento soggettivo dell’affidatario, viceversa
contemplato nella precedente versione, limitandosi l’attuale formulazione
dell’articolo, ad individuare, quale presupposto dell’escussione, la
sussistenza di un “fatto riconducibile all’affidatario”, ovvero “l’adozione
di informazione antimafia interdittiva”;
d3) la prima locuzione (“fatto riconducibile all’affidatario”) esprime un
collegamento meramente eziologico fra un “fatto” dell’aggiudicatario e la
“mancata sottoscrizione del contratto”, richiamando dunque una concezione
meramente oggettiva dei presupposti per l’applicazione dell’escussione, cui
è estranea ogni valutazione circa la colpevolezza di tale “fatto”;
d4) peraltro, la scelta dell’espressione “fatto”, anziché dell’espressione
“atto”, rafforza vieppiù questa conclusione, posto che, nel linguaggio
tecnico-giuridico, il “fatto” rimanda ad un mero accadimento materiale
(dunque anche ad un’azione umana, ma vista esclusivamente nel suo portato
materiale e nella sua natura oggettiva), senza alcuna rilevanza circa il
sotteso assetto volontaristico del soggetto, proprio, invece, dello “atto”
in senso stretto;
d5) tale esegesi trova ulteriore, indiretta conferma nell’individuazione,
come ulteriore fattispecie che attiva l’escussione, dell’adozione di
informativa antimafia interdittiva;
d6) tale provvedimento compete alla
pubblica autorità (cui è, dunque, estraneo qualsiasi intervento
dell’interessato) a seguito della discrezionale valutazione di elementi
sintomatici di permeabilità mafiosa, ed è emesso
senza che sia necessario alcuno scrutinio circa la colpevolezza del soggetto
in ordine a tale situazione permeabilità, che ben può essere anche
semplicemente subita o tollerata;
d7) l’assoluta irrilevanza dell’elemento soggettivo in tale seconda ipotesi
depone, quindi, per un’analoga conclusione circa l’altra fattispecie, in
omaggio anche ad un criterio di necessaria coerenza interna della
disposizione di legge, che deve sempre guidare l’interprete nel trarne la
corrispondente norma;
d8) in definitiva la disposizione in parola prescinde
da un addebito di colpevolezza in capo all’interessato e pertanto:
I) si applica automaticamente al verificarsi, per quanto qui di interesse,
di qualunque “fatto” riconducibile alla sfera giuridica dell’affidatario che
abbia reso impossibile la stipulazione del contratto, locuzione volutamente
ampia al cui interno ben può sussumersi il difetto, originario o
sopravvenuto in corso di procedura, dei necessari requisiti di
partecipazione stabiliti dalla legge; II) è priva di carattere sanzionatorio,
con ogni relativa conseguenza in ordine all’irrilevanza dei principi di
diritto di provenienza sovra-statuale –in primis della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, come interpretata dalla relativa Corte– circa i
caratteri del “diritto punitivo”, locuzione che, come noto, in sede
sovra-nazionale si protende oltre i confini ascritti in sede nazionale al
diritto penale;
d9) la natura sanzionatoria del provvedimento di escussione della cauzione
non è, tuttavia, unanimemente sostenuta nella giurisprudenza amministrativa
e in dottrina;
d10) non può non evidenziarsi, inoltre, che:
I) è revocabile in dubbio che la funzione sanzionatoria di una misura, tanto
più se indiretta, ne attesti ex se la natura giuridica propriamente sanzionatoria;
II) un istituto o ha natura sanzionatoria o non la ha, non
contemplandosi casi di istituti con natura sanzionatoria “seppure non in
senso proprio”, alla luce del principio di tassatività e legalità
espressamente posto a fondamento del diritto amministrativo sanzionatorio (cfr.
art. 1, l. n. 689 del 1981; art. 3, d.lgs. n. 472 del 1997);
d11) in conclusione sul punto, l’escussione della garanzia deve essere
ritenuta legittimamente disposta dalla stazione appaltante in ogni caso in
cui la stipulazione del contratto non sia possibile a motivo di un “fatto”
relativo alla sfera giuridica dell’aggiudicatario, quale ben può essere la
mancanza o la perdita sopravvenuta dei requisiti cui la legge subordina la
partecipazione ad una gara, senza che sia necessaria alcuna ulteriore
indagine;
d12) resta, a questo punto, il distinto profilo della possibilità di
equiparare, ai fini de quibus, l’aggiudicatario propriamente detto ed il
soggetto a cui favore è stata semplicemente proposta l’aggiudicazione: va
rilevato che la disposizione vigente fa riferimento esclusivamente
all’aggiudicatario, laddove stabilisce che “la garanzia copre la mancata
sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione”;
d13) sul piano interpretativo, va ritenuto non potersi omettere un’esegesi
di carattere logico-sistematico e teleologico della disposizione, invero
necessaria al fine di collocarne ed inquadrarne armonicamente il portato
normativo entro il più ampio ambito regolatorio recato dal d.lgs. n. 50 del
2016;
d14) in detta prospettiva, doverosamente attenta al dato sistematico ed alla
proiezione finalistica, emerge plasticamente l’assoluta identità, ai fini de quibus, tra la situazione dell’aggiudicatario e quella in cui versa il
soggetto “proposto per l’aggiudicazione” che, tuttavia, si sia visto
rifiutare la formale aggiudicazione, con contestuale esclusione dalla
procedura, poiché, all’esito dei controlli operati dalla stazione appaltante
proprio in vista della stipulazione del contratto, sia emersa l’assenza, non
importa se originaria o sopravvenuta, dei necessari requisiti di legge;
d15) in un caso siffatto, invero, la mancata stipulazione del contratto
consegue in via diretta, immediata ed esclusiva ad un “fatto” del soggetto
già proposto per l’aggiudicazione (dunque già individuato come vincitore
della selezione), risultato privo di uno dei requisiti necessari per la
stessa partecipazione alla gara;
d16) va ritenuto che un’interpretazione siffatta, lungi dal violare la
disposizione, ne trae di contro la norma più consona alla sottesa ratio,
tesa a concentrare, a differenza che nel passato (cfr. art. 48, comma 1,
d.lgs. n. 163 del 2006), i controlli amministrativi sul solo soggetto
risultato vincitore della selezione, al fine di alleviare l’onere gravante
sulla stazione appaltante e concentrarne le energie sul controllo del solo
operatore con cui, all’esito della gara, deve essere stipulato il contratto,
di converso limitando a carico di quest’ultimo il rischio dell’eventuale
escussione della garanzia;
d17) la disposizione in parola, del resto, ove menziona “la mancata
sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione”, richiama quella fase
situata dopo l’esito della procedura e prima della sottoscrizione negoziale,
ossia proprio la fase in cui si svolgono i controlli sul soggetto proposto
per l’aggiudicazione, una
volta operato, da parte della commissione giudicatrice, il confronto
concorrenziale in cui si sostanzia il senso ed il proprium della gara
pubblica;
d18) l’esegesi proposta, dunque, non determina una violazione
della disposizione –la cui natura non sanzionatoria, peraltro, non impone
alcun rigido perimetro all’interprete– ma, al contrario, ne trae, ad avviso
del Collegio, la norma più coerente con la più ampia cornice regolatoria
recata dal corpus codicistico in cui la disposizione è contenuta:
risulterebbe, invero, contraddittorio e diseconomico obbligare la stazione
appaltante a procedere all’aggiudicazione nei confronti del “proposto” e,
subito dopo, ad esercitare l’annullamento in autotutela di tale
provvedimento per carenza, in capo all’affidatario, di un imprescindibile
requisito soggettivo;
III. – Per completezza, si osserva quanto segue:
e) sul principio di
continuità del possesso dei requisiti, la sua inderogabilità e gli effetti
nel tempo:
e1) Cons. Stato, sez. IV, 11.11.2021, n. 7533, § 39.4 ss.,
citata nella sentenza non definitiva in rassegna;
e2)
News US in data 12.01.2011 a Cons. giust. amm. sic., sez. giur.,
ordinanza 29.12.2020, n. 1211, §§ m), n) (ivi i richiami alle plurime decisioni
dell’Adunanza plenaria intervenute sul punto);
f) sui protocolli di legalità o patti di integrità e relativa accettazione
da parte del concorrente:
f1) Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 12.01.2022, n. 32;
f2) Corte di giustizia UE, 22.10.2015, C-425/14, Soc. impr.
Edilux c. Assess. beni culturali Sicilia (in Appalti & Contratti, 2015, 12,
90, con nota di CANAPARO; Riv. corte conti, 2015, 5, 381; Giur. it., 2016,
1459, con nota di CRAVERO; Giornale dir. amm., 2016, 318, con nota di
VINTI), citata nella sentenza non definitiva in rassegna;
g) sul sindacato
della valutazione discrezionale della gravità della condotta dell’operatore
economico che partecipa alla gara (tutte citate nella sentenza non
definitiva in rassegna):
g1) Cons. Stato, sez. IV, 11.11.2021, n.
7533, cit.;
g2) Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2020, n. 8532;
g3)
Cons.
Stato, Ad. plen., 28.08.2020, n. 16, in Foro it., 2021, III, 103;
Urbanistica e appalti, 2021, 85, con nota di NICODEMO; Giornale dir. amm.,
2021, 79 (m), con nota di RIVELLINI e oggetto della
News US in data 17.09.2020);
h) sulle condizioni dell’azione (in particolare legittimazione e interesse),
e rilevabilità della loro carenza, ex officio e anche in appello (su un
piano generale):
h1)
Cons. Stato, Ad. plen.
09.12.2021, n. 22, citata
nella sentenza non definitiva in rassegna (oggetto della
News US n. 94 del
23.12.2021, cui si rinvia per ogni approfondimento);
h2)
Cons. Stato,
Ad. plen., 20.02.2020, n. 6, in Foro it. 2020, III, 289, con nota di
TRAVI; Guida al dir., 2020, 18, 88, con nota di LADDAGA; Foro amm., 2020,
224; Giornale dir. amm., 2020, 520, con nota di MIRATE, MANNUCCI; Dir. proc.
amm., 2020, 1030 (m), con nota di FRANCA; oggetto della
News US in data 13.03.2020, con ampio approfondimento sul tema;
h3) Cons. Stato, Ad. plen.,
25.02.2014, n. 9, citata nella sentenza non definitiva in rassegna, in
Foro it., 2014, III, 429, con nota di SIGISMONDI; Dir. proc. amm., 2014,
544, con nota di BERTONAZZI; Urbanistica e appalti, 2014, 1075, con nota di
FANTINI; Giornale dir. amm., 2014, 918 (m), con note di FERRARA, BARTOLINI;
Nuovo notiziario giur., 2014, 550, con note di BARBIERI; tale pronuncia è
stata successivamente richiamata, in punto di elementi costitutivi delle
condizioni dell’azione, nella sentenza della plenaria 06.04.2018, n. 3,
in Foro it., 2018, III, 321 e, quanto all’ordine di trattazione delle
questioni, nella pronuncia dell’Ad. plen. 27.04.2015, n. 5, in Foro it.,
2015, III, 265, con nota di TRAVI; Urbanistica e appalti, 2015, 1177, con
nota di VAIANO; Riv. neldiritto, 2015, 2084, con note di COLASCILLA NARDUCCI;
Riv. dir. proc., 2015, 1256, con nota di FANELLI; Giur. it., 2015, 2192 (m),
con nota di FOLLIERI; Dir. proc. amm., 2016, 205, con nota di PERFETTI,
TROPEA);
i) sulla legittimazione e interesse ad impugnare gli atti di gara in caso di
esclusione:
i1)
Corte di giustizia UE, grande sezione, 21.12.2021, C-497/20, Randstad Italia s.p.a., oggetto della
News US in data 18.01.2022, la
quale nel concentrare l’attenzione sulla definitività del provvedimento di
esclusione, ha ritenuto che le disposizioni europee in tema di appalti
pubblici non ostano a una disposizione del diritto interno di uno Stato
membro che, secondo la giurisprudenza nazionale, impedisce alle imprese che
hanno partecipato a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico,
di contestare la conformità al diritto UE di una sentenza del supremo organo
della giustizia amministrativa di tale Stato membro. In particolare ha
affermato che:
I) la ricevibilità dei ricorsi di cui all’art. 1 della direttiva n.
89/665/CE non può essere subordinata alla condizione che il ricorrente
fornisca la prova del fatto che l’amministrazione aggiudicatrice, in caso di
accoglimento del ricorso, sarà indotta a ripetere la procedura di
aggiudicazione di appalto pubblico;
II) l’esistenza di una tale possibilità deve essere considerata sufficiente
a tal proposito;
III) ne consegue che qualora la ricorrente, in qualità di offerente escluso
dalla procedura di aggiudicazione di un appalto, ha proposto dinanzi al
giudice amministrativo un ricorso di primo grado fondato su motivi intesi a
dimostrare l’irregolarità di tale procedura, detto ricorso deve essere
esaminato nel merito;
IV) per quanto riguarda gli offerenti esclusi dalla procedura, questi non
sono più considerati interessati e non devono ricevere comunicazione della
decisione di aggiudicazione se la loro esclusione è divenuta definitiva;
V) al contrario, qualora tali offerenti non siano ancora stati
definitivamente esclusi, la decisione di aggiudicazione deve essere loro
comunicata;
VI) l’esclusione di un offerente è definitiva se gli è stata comunicata ed è
stata ritenuta legittima da un organo di ricorso indipendente o se non può
essere oggetto di una procedura di ricorso;
VII) il carattere non ancora definitivo della decisione di esclusione
determina la legittimazione ad agire contro la decisione di aggiudicazione,
legittimazione che non può essere svilita da altri elementi, non rilevanti,
quali la classificazione dell’offerta dell’offerente escluso o il numero di
partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto;
VIII) nel caso di specie, il Consiglio di Stato, ritenendo irricevibili i
motivi diretti a contestare la decisione di aggiudicazione, sulla base del
fatto che la ricorrente era stata esclusa dalla procedura, ha violato le
direttive UE nella parte in cui prevedono che solo l’esclusione definitiva
può avere l’effetto di privare un offerente della sua legittimazione ad
agire contro la decisione di aggiudicazione. In particolare, sia nel momento
in cui la ricorrente aveva proposto ricorso dinanzi al Tar competente,
sia nel momento in cui questo ha deciso, la decisione della commissione di
gara di escluderla dalla procedura non era ancora stata ritenuta legittima
da quest’ultimo giudice o da qualsiasi altro organo di ricorso indipendente;
IX) pertanto, la riforma della sentenza del Tar da parte del Consiglio di
Stato, che ha dichiarato irricevibile la parte del ricorso con cui era
contestata l’aggiudicazione del contratto a un terzo, è incompatibile con il
diritto a un ricorso effettivo garantito dall’art. 1, par. 1 e 3, della
direttiva n. 89/665/CE, letto alla luce dell’art. 2-bis, par. 2, di quest’ultima
e, di conseguenza, la sentenza non è neanche conforme all’art. 47, primo
comma, della Carta;
i2) Corte di giustizia UE, sez. VIII, 11.05.2017,
C-131/16, Archus e Gama, in Riv. giur. edilizia, 2017, I, 533, § 57-59, cit.;
i3) Corte di giustizia UE, sez. VIII, 21.12.2016, C-355/15, B.T.G., §
24 ss., cit.;
j) sulle regole che presiedono alla esaminabilità del ricorso
incidentale:
j1) Cons. Stato, sez. V, 17.02.2014, n. 755 (in Foro it.,
2014, III, 219 cui si rinvia per ogni approfondimento di dottrina e
giurisprudenza);
j2) Cons. Stato, Ad. plen., 07.04.2011, n. 4 in Foro it.,
2011, III, 306, con nota di SIGISMONDI; Urbanistica e appalti, 2011, 674,
con nota di LAMBERTI; Corriere merito, 2011, 763 (m), con nota di RAIOLA;
Foro amm.-Cons. Stato, 2011, 1132; Giur. it., 2011, 1651 (m), con nota di
TROPEA; Guida al dir., 2011, fasc. 19, 70, con nota di PALLIGGIANO;
Giurisdiz. amm., 2011, I, 513; Giornale dir. amm., 2011, 1103 (m), con nota
di GISONDI; Riv. giur. edilizia, 2011, I, 570; Riv. neldiritto, 2011, 1530,
con nota di IZZO; Dir. proc. amm., 2011, 1035, con nota di SQUAZZONI,
GIANNELLI, FOLLIERI, MARINELLI; Arch. giur. oo. pp., 2011, 404;
j3) il
principio elaborato dalla Plenaria (per cui il ricorso incidentale risente –per la sua teorica esaminabilità– in quanto strutturalmente accessorio,
della rituale proposizione della causa in primo grado, principio estensibile
ai motivi aggiunti cd. propri), è declinato motivatamente da Cons. Stato,
sez. IV, 18.05.2018, n. 2999 secondo cui “… il thema decidendum del
giudizio di appello amministrativo è costituito esclusivamente dalle domande
e dai motivi ritualmente introdotti in prime cure con atto tempestivamente
notificato e depositato secondo la disciplina sua propria (ricorso
principale, ricorso incidentale, motivi aggiunti; cfr. sul punto Cons.
Stato, Ad. plen. 27.04.2015, n. 5, in Foro it., 2015, III, 265, con nota
di TRAVI; Urbanistica e appalti, 2015, 1177, con nota di VAIANO; Riv.
Neldiritto, 2015, 2084, con nota di COLASCILLA NARDUCCI; Riv. dir. proc.;
2015, 1256, con nota di FANELLI; Giur. it., 2015, 2192 (m), con nota di
FOLLIERI; Dir. proc. amm., 2016, 205, con nota di PERFETTI, TROPEA; Dir.
proc. amm., 2016, 830 (m), con nota di BERTONAZZI; § 6.3.)”;
k)
sull’escussione della garanzia prevista dall’art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50
del 2016 e dalla precedente disciplina contenuta nel d.lgs. n. 163 del 2006
((tutte citate nella sentenza in rassegna):
k1) con specifico riferimento
alla disciplina transitoria della cauzione provvisoria,
Cons. Stato, sez. V,
ordinanza 26.04.2021, n. 3299, in Comuni d'Italia, 2021, 4-5, 148,
oggetto della
News US in data
03.06.2021, con cui il Consiglio di Stato
ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in materia,
censurando la mancata previsione della retroattività della regola più
favorevole, introdotta dall’art. 93, comma 6, del nuovo codice dei
contratti pubblici (di cui al d.lgs. n. 50 del 2016), secondo la quale
l’escussione della cauzione può avvenire solo nei confronti
dell’aggiudicatario e non anche (come in precedenza disponeva l’art. 48,
comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006) nei confronti degli altri concorrenti
pur non aggiudicatari;
k2) Cons. Stato, sez. IV, 22.04.2021, n. 3255;
k3) Cons. Stato, sez. V,
27.06.2017, n. 3701;
k4) Cons. Stato, sez. V, 19.04.2017, n. 1818;
k5) Cons. Stato, sez. IV, 28.12.2016, n. 5501;
k6) Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 2016, n. 5, in Contratti Stato e
enti pubbl., 2016, 2, 85, con nota di TONON; Nuovo notiziario giur. 2016,
255, con nota di BARBIERI; Urbanistica e appalti, 2016, 787, con nota di
CARANTA; Guida al dir., 2016, 13, 82, con nota di CORRADO; Riv. Neldiritto,
2016, 1586, con nota di CELLAI;
k7) Cons. Stato, sez. IV, 19.11.2015,
n. 5280, in Foro amm., 2015, 2770;
k8) Cons. Stato, sez. IV, 09.06.2015,
n. 2829;
k9) Cons. Stato, Ad. plen., 10.12.2014, n. 34, in Giurisdiz.
amm., 2014, 276; Urbanistica e appalti, 2015, 171, con nota di MANFREDI;
Foro amm., 2015, 1363 (m), con nota di AMATO;
k10) Cons. Stato, sez. V, 10.09.2012, n. 4778, in Foro amm., 2015, 2509;
k11) con specifico riferimento alle questioni di giurisdizione: Cass. civ.,
sez. un., 31.03.2021, n. 9005;
l) in dottrina:
l1) sulla nuova disciplina
della cauzione disegnata dall’art. 93 del codice e in particolare sulla
previsione che ne prevede l’escussione solo a carico dell’aggiudicatario: M. ZOPPOLATO, in Trattato sui contratti pubblici, a cura di SANDULLI – DE
NICTOLIS, Milano, 2019, III, Procedure di gara e criteri di scelta del
contraente, 477 ss.; R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni,
Bologna, 2020, 1168 ss.;
l2) sul rapporto fra ricorso principale e incidentale di primo grado, sulla
natura giuridica di quest’ultimo, sull’indole accessoria e condizionata, sui
soggetti legittimati a proporlo, sulle modalità e termini di proposizione:
VILLATA – BERTONAZZI, in Il processo amministrativo, a cura di QUARANTA e
LOPILATO, Milano, 2011, 415 ss.; DE NICTOLIS, Codice del processo
amministrativo, Milano, 2017, 812 ss. (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza non definitiva 04.01.2022 n. 26 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Variazione delle giustificazioni delle voci
di costo in sede di verifica della anomalia
dell’offerta.
Il TAR Milano ribadisce,
in coerenza con la consolidata
giurisprudenza, che la verifica di anomalia
è finalizzata ad accertare l’attendibilità e
la serietà dell’offerta sulla base di una
valutazione globale e sintetica e precisa
che:
<<- in termini generali, è ammissibile una variazione delle
giustificazioni delle singole voci di costo,
non solo in correlazione a sopravvenienze di
fatto o di diritto, ma anche al fine di
porre rimedio ad originari e comprovati
errori di calcolo, sempre che resti ferma
l’entità originaria dell’offerta, nel
rispetto del principio dell’immodificabilità
dell’offerta stessa, che presiede la logica
della par condicio tra i competitori;
- viceversa, è vietata una modificazione della composizione
dell’offerta che ne alteri l’equilibrio
economico; diversamente opinando
si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza
di consentire un’elusiva modificazione a
posteriori della stessa, snaturando la
funzione propria del subprocedimento di
verifica dell’anomalia, che è volto ad un
apprezzamento globale dell’attendibilità
dell’offerta;
- in sede di giudizio di anomalia sono consentiti aggiustamenti e
spostamenti di costi tra le varie componenti
del prezzo, potendosi tenere conto anche di
eventuali sopravvenienze (normative o di
fatto), a condizione che ciò non comporti
una modificazione dell’offerta stessa>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 04.01.2022 n. 9 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
- sul punto va ribadito, in coerenza con la consolidata
giurisprudenza, che la verifica di anomalia
è finalizzata ad accertare l’attendibilità e
la serietà dell’offerta sulla base di una
valutazione globale e sintetica;
- in termini generali, è ammissibile una variazione delle
giustificazioni delle singole voci di costo,
non solo in correlazione a sopravvenienze di
fatto o di diritto, ma anche al fine di
porre rimedio ad originari e comprovati
errori di calcolo, sempre che resti ferma
l’entità originaria dell’offerta, nel
rispetto del principio dell’immodificabilità
dell’offerta stessa, che presiede la logica
della par condicio tra i competitori
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.08.2021 n.
5644; Id., 16.03.2020, n. 1873);
- viceversa, è vietata una modificazione della composizione
dell’offerta che ne alteri l’equilibrio
economico (cfr. Cons. Stato, sez. V,
24.04.2017, n. 1896), diversamente opinando
si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza
di consentire un’elusiva modificazione a
posteriori della stessa, snaturando la
funzione propria del subprocedimento di
verifica dell’anomalia, che è volto ad un
apprezzamento globale dell’attendibilità
dell’offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V,
20.07.2021, n. 5455; Cons. Stato, sez. VI,
15.01.2021, n. 487);
- in sede di giudizio di anomalia sono consentiti aggiustamenti e
spostamenti di costi tra le varie componenti
del prezzo, potendosi tenere conto anche di
eventuali sopravvenienze (normative o di
fatto), a condizione che ciò non comporti
una modificazione dell’offerta stessa (cfr.
ex multis, Cons. Stato, V,
24.03.2020, n. 2056; III, 02.03.2017, n.
974); |
anno 2021 |
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dicembre 2021 |
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APPALTI: Consiglio
Stato su ASMEL non qualificabile come ‘centrale committenza’ o ‘soggetto
aggregatore’.
Con la recente
sentenza 06.12.2021 n. 8072 del Consiglio di Stato, Sez. V, viene
disposto che l’Asmel–Società Consortile a r.l., non può essere qualificata
“centrale di committenza” o “soggetto aggregatore”.
Nel caso di specie, Asmel aveva proposto appello rispetto alla sentenza di
primo grado contro la delibera n. 32 del 30.04.2015 di ANAC che le aveva
vietato lo svolgimento di attività di intermediazione negli acquisti
pubblici, dichiarando altresì prive del presupposto di legittimazione le
gare poste in essere da tale società, a causa dell’inosservanza da parte di
quest’ultima dei modelli organizzativi per le centrali di committenza
previsti dalla normativa applicabile in materia di contratti pubblici.
Il Consiglio di Stato, conferma, quindi l’appellata sentenza ritenendo
esente dai contestati profili di illegittimità il provvedimento impugnato
con cui l’ANAC ha negato ad Asmel s.c.a.r.l. la qualificazione di “centrale
di committenza”, a ragione della non corrispondenza ai tipi legali
previsti dall’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, 163 per l’unione di
comuni e l’accordo consortile, escludendone altresì la qualificazione di “organismo
di diritto pubblico”.
I giudici di secondo grado ricostruiscono il quadro normativo e ricordano
che, con la sentenza del 04.06.2020 (C-3/19), la Corte di Giustizia ha
chiarito che, al fine di garantire la libera prestazione dei servizi e
l’apertura ad una concorrenza non falsata, non può essere riconosciuta da
una normativa nazionale la qualità di «centrale di committenza» ad un
soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi
dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18.
I magistrati amministrativi, non hanno condiviso la tesi dell’appellante
secondo cui la qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel e la
sua legittimazione alla indizione della procedura di gara per conto degli
enti locali associati sarebbero derivate dall’essere un’associazione tra
amministrazioni aggiudicatrici (rappresentate dai piccoli comuni associati)
e, a sua volta, amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto –atteso che l’ANAC ha accertato la carenza in capo ad Asmel dei
requisiti di legge– il Consiglio di Stato, con la sentenza 8072 del
06/12/2021 ha disposto che la stessa Amsel–Società Consortile a r.l., non
può essere qualificata “centrale di committenza” o “soggetto
aggregatore”, in quanto non iscritta all’albo tenuto dall’Autorità ai
sensi dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici,
insufficiente essendo, a tali fini, l’iscrizione all’Anagrafe unica delle
stazioni appaltanti (20.12.2021 -
commento tratto da e link a www.anci.it).
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SENTENZA
2. I motivi così sintetizzati, che per la loro connessione possono essere
oggetto di trattazione unitaria, sono infondati.
3. Correttamente l’appellata sentenza ha ritenuto esente dai contestati
profili di illegittimità il provvedimento impugnato con cui l’ANAC-
individuato nell’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163
inserito dall’art. 23, comma 4, d.l. 06.12.2011, n. 201, conv. dalla
l. 22.12.2011, n. 214 il dato normativo di raffronto della legittimità
della forma giuridica adoperata (per essere ivi disposto l’obbligo per i
«Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti ricadenti nel
territorio di ciascuna Provincia» di affidare «ad un’unica centrale di
committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle
unioni dei comuni, di cui all’articolo 32 del testo unico di cui al decreto
legislativo 18.08.2000 n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un
apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei
competenti uffici») e precisate le modalità di funzionamento del “sistema Asmel” (caratterizzato da una partecipazione solo indiretta degli enti
locali alla centrale di committenza siccome realizzata mediante
l’intermediazione dell’associazione Asmel cui essi, in prima battuta, hanno
aderito) – ha negato ad Asmel s.c.a.r.l. la qualificazione di centrale di
committenza a ragione della non corrispondenza ai tipi legali previsti
dall’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, 163 per assumere la veste
di “centrale di committenza”, vale a dire l’unione di comuni e l’accordo
consortile, escludendone altresì la qualificazione di “organismo di diritto
pubblico”.
4. Giova anzitutto richiamare il quadro normativo di riferimento, così come
già ricostruito dalla Sezione nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 68
del 03.01.2019.
La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, servizi e forniture 2004/18/CE, individuava, all’art. 1, comma 9, le
“amministrazioni aggiudicatrici” ne “lo Stato, gli enti pubblici
territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite
da uno o più di tali enti pubblici territoriali o da uno o più di tali
organismi di diritto pubblico”, mentre per il comma 10, una “centrale di
committenza” era “un’amministrazione aggiudicatrice che: - acquista
forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici, o –
aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o
servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici”.
L’art. 11 (Appalti pubblici e accordi quadro stipulati da centrali di
committenza) chiariva: “1. Gli Stati membri possono prevedere la possibilità
per le amministrazioni aggiudicatrici di acquistare lavori, forniture e/o
servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza. 2. Le
amministrazioni aggiudicatrici che acquistano lavori, forniture e/o servizi
facendo ricorso ad una centrale di committenza nei casi di cui all’articolo
1, paragrafo 10, sono considerate in linea con la presente direttiva a
condizione che detta centrale l’abbia rispettata”.
L’art. 3, comma 34, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, ratione temporis vigente,
forniva la definizione di centrale di committenza, in perfetta coerenza con
la direttiva comunitaria, come di «un’amministrazione aggiudicatrice che: -
acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o
altri enti aggiudicatori, o - aggiudica appalti pubblici o conclude accordi
quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni
aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori».
L’«amministrazione aggiudicatrice» era, invece, identificata al comma 25,
come «le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli
altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le
associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti
soggetti».
L’art. 33, comma 3-bis, nella sua ultima formulazione specificava infine: «I
Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni
e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove esistenti, ovvero
costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e
avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad
un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 07.04.2014,
n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi
attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o
da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza
sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice
identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano
all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti
previsti dal presente comma. Per i Comuni istituiti a seguito di fusione
l'obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello
di istituzione».
L’art. 32 (Unioni di comuni) del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 (Testo unico
enti locali) prescrive: «L’unione di comuni è l’ente locale costituito da
due o più comuni, di norma contermini, finalizzato all’esercizio associato
di funzioni e servizi»; l’art. 31 (Consorzi) prevede, invece, che: «Gli enti
locali per la gestione associata di uno o più servizi e per l’esercizio
associato di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme
previste per le aziende speciali di cui all’articolo 114, in quanto
compatibili. Al consorzio possono partecipare altri enti pubblici, quando
siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti».
4.1. Come rilevato dalla Sezione nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, la
disciplina nazionale, sopra trascritta, va letta nel senso che le
amministrazioni aggiudicatrici previste dal Codice dei contratti pubblici
del 2006, vale a dire le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici
territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di
diritto pubblico, le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati,
costituiti da siffatti soggetti, possono assumere la funzione di centrale di
committenza, con obbligo, però, per i Comuni (dapprima con popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti e, poi, non capoluogo di provincia) di
rivolgersi a centrali di committenza configurate secondo un preciso modello
organizzativo, ovvero quello dell’unione dei comuni di cui all’art. 32 del
Testo unico degli enti locali (qualora sia già esistente) o quello del
consorzio tra i comuni che si avvale degli uffici delle province (nonché
nell’ultima formulazione anche ad un soggetto aggregatore o alle province ai
sensi della l. 07.04.2014, n. 56).
5. Su queste premesse, la Sezione, considerato che “una centrale di
committenza è dunque, per il diritto euro-unitario, un’impresa che offre il
servizio dell’acquisto di beni e servizi a favore delle amministrazioni aggiudicatrici” e rilevato che la disposizione nazionale sulle centrali di
committenza che operano per i piccoli comuni “appare derogatoria rispetto
alla regola generale, limitando il modello organizzativo utilizzabile a due
soli schemi rispetto al più ampio novero di soggetti che, nella qualità di
amministrazioni aggiudicatrici, potenzialmente possono assumere la veste di
centrale di committenza”, che inoltre “il modello organizzativo del
consorzio tra i comuni –tenuto conto della definizione di “amministrazione aggiudicatrice” dell’art. 3, comma 25, in cui il riferimento è ai “consorzi,
comunque denominati, costituiti da detti soggetti” ovvero ai consorzi
costituiti solamente tra soggetti pubblici– sembra richiamare una forma di
cooperazione tra comuni di tipo pubblicistico, come quella prevista
dall’art. 31 del Testo unico degli enti locali, che esclude la
partecipazione di soggetti privati” ed infine che “l’espresso riferimento ai
comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti nell’originaria
formulazione dell’art. 33, comma 3-bis, come pure ai comuni non capoluogo di
provincia, nella formulazione più recente, ossia ad una connotazione
territoriale degli enti aderenti, induce a ritenere che l’ordinamento
interno si sia riferito a una corrispondenza tra il territorio dei comuni
ricorrenti alla centrale di committenza e l’ambito di operatività della
stessa …limitato al territorio dei comuni compresi nell’unione dei comuni
ovvero costituenti il consorzio”, ha chiesto alla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea di pronunziarsi sulla compatibilità di tale disciplina
interna con il diritto eurounitario (tenuto conto, in particolare, della
possibilità di un più ampio ricorso all’istituto delle centrali di acquisto,
prevista dalla direttiva 2004/18/CE) e con i principi di libera circolazione
dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli
appalti pubblici di servizi.
5.1. In particolare, l’ordinanza di rinvio ha posto i seguenti quesiti
pregiudiziali:
- “se osta al diritto comunitario, una norma nazionale, come
l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, che limita
l’autonomia dei comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza a due
soli modelli organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero
il consorzio tra comuni da costituire”; e, in ogni caso
- “se osta al diritto
comunitario, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei
servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti
pubblici di servizi, una norma nazionale come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs.
12.04.2006, n. 163 che, letto in combinato disposto con l’art. 3, comma
25, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in relazione al modello organizzativo dei
consorzi di comuni, esclude la possibilità di costituire figure di diritto
privato quali, ad esempio il consorzio di diritto comune con la
partecipazione anche di soggetti privati”; e, infine,
- “se osta al diritto
comunitario e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei
servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti
pubblici di servizi, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3-bis, che,
ove interpretato nel senso di consentire ai consorzi di comuni che siano
centrali di committenza di operare in un territorio corrispondente a quello
dei comuni aderenti unitariamente considerato, e, dunque, al massimo,
all’ambito provinciale, limita l’ambito di operatività delle predette
centrali di committenza”.
6. Con la sentenza del 04.06.2020 (C-3/19), la Corte di Giustizia ha
anzitutto chiarito che, al fine di garantire la libera prestazione dei
servizi e l’apertura ad una concorrenza non falsata, non può essere
riconosciuta da una normativa nazionale la qualità di «centrale di
committenza» ad un soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva
2004/18. La Corte ha poi aggiunto che “Tenuto conto dell’ampio margine di
discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri, nulla nella direttiva
2004/18 né nei principi ad essa sottesi osta neppure a che gli Stati membri
possano adattare i modelli di organizzazione di tali centrali di committenza
sulla base delle proprie esigenze e delle circostanze particolari prevalenti
in uno Stato membro, prescrivendo a tal fine modelli di organizzazione
esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di persone o di imprese
private”.
6.1. La Corte, premesso che “il legislatore italiano, anzitutto
incoraggiando il ricorso degli enti locali a centrali di committenza, create
secondo modelli organizzativi definiti, poi imponendo ai piccoli enti locali
l’obbligo di ricorrere a tali centrali, ha cercato non solo di prevenire il
rischio di infiltrazioni mafiose, ma anche di prevedere uno strumento di
controllo delle spese” e considerato anche che, “tenuto conto dello stretto
legame esistente tra la nozione di “amministrazione aggiudicatrice” e quella
di “centrale di acquisto (…) non si può ritenere che le centrali di
committenza offrano servizi su un mercato aperto alla concorrenza delle
imprese private”, ha concluso che “una normativa nazionale che limiti la
libertà di scelta dei piccoli enti locali di ricorrere a una centrale di
committenza, prescrivendo a tal fine due modelli di organizzazione
esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di persone o di imprese
private, non viola l’obiettivo di libera prestazione dei servizi e di
apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, perseguito
dalla direttiva 2004/18, dal momento che essa non colloca alcuna impresa
privata in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti”.
Secondo la Corte di Giustizia, dunque, detta normativa nazionale non accorda
alcuna preferenza ad un’impresa offerente nazionale, ma concorre alla
realizzazione dei su indicati obiettivi “in quanto pone i piccoli enti
locali al riparo dal rischio di un’intesa tra una centrale di committenza e
un’impresa privata che detenga una partecipazione in tale centrale di
committenza”.
6.2. Tanto premesso, la Corte di Giustizia si è quindi pronunziata sui
quesiti pregiudiziali dichiarando che: “L’articolo 1, paragrafo 10, e
l’articolo 11 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi,
come modificata dal regolamento (UE) n. 1336/2013 della Commissione, del 13.12.2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a
una disposizione di diritto nazionale che limita l’autonomia organizzativa
dei piccoli enti locali di fare ricorso a una centrale di committenza a soli
due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la
partecipazione di soggetti o di imprese private. L’articolo 1, paragrafo 10,
e l’articolo 11 della direttiva 2004/18, come modificata dal regolamento n.
1336/2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una
disposizione di diritto nazionale che limita l’ambito di operatività delle
centrali di committenza istituite da enti locali al territorio di tali enti
locali”.
7. Acclarata dunque l’insussistenza di profili di incompatibilità della
disciplina sulle centrali di committenza recata dall’art. 33-bis del d.lgs.
163/2006, vigente ratione temporis, con il diritto comunitario, quanto alla
scelta di consentire ai piccoli comuni il ricorso a soli due modelli
organizzativi di centrali di committenza (le unioni di comuni se esistenti o
la costituzione di un consorzio di comuni), esclusivamente pubblicistici e
con ambito di operatività limitata al territorio degli enti locali che hanno
costituito la centrale di committenza, sono infondate le doglianze di Asmel
contro la sentenza appellata che bene ha ritenuto legittima la sua
esclusione dal perimetro delle amministrazioni aggiudicatrici. Asmel associa
infatti un soggetto privato ed ha essa stessa natura privatistica, oltre ad
aver operato al di fuori del territorio degli enti locali fondatori: tanto
comporta, in base alla disciplina di legge regolante la fattispecie,
l’impossibilità di svolgimento da parte della stessa delle funzioni di
centrale di committenza.
7.1. La giurisprudenza si è recentemente espressa in tal senso in due
recenti decisioni, successive alla citata sentenza della Corte di Giustizia,
richiamando i principi ivi affermati (oltre ad essersi occupata di doglianze
concernenti la carenza dei requisiti della centrale unica di committenza in
capo ad Asmel e delle clausole di gara che imponevano il versamento di un
corrispettivo, in una percentuale dell’importo di aggiudicazione, a suo
favore e a carico dell’aggiudicatario, prima della stipula del contratto, in
virtù di un atto unilaterale d’obbligo compilato e sottoscritto dai
concorrenti al momento della partecipazione, nelle sentenze di cui a Cons.
Stato, V, 19.05.2020, n. 3173, e 17.03.2021, n. 2276: sebbene nei
relativi giudizi solo per dichiarare inammissibili i ricorsi per difetto di
interesse e legittimazione ad agire, a causa della mancata partecipazione
alla gara delle imprese ricorrenti e della non ricorrenza nella specie di
clausole del bando c.d. escludenti e perciò immediatamente impugnabili).
7.2. In particolare, per quanto di interesse, la sentenza del Consiglio di
Stato, V, 12.11.2020, n. 6975 ha accolto le censure sollevate da un
operatore economico avverso gli atti di indizione di una gara, con cui si è
lamentato che “non poteva essere delegato l’espletamento di procedure
concorsuali ad Asmel consortile S.c.a.r.l., in quanto priva dei requisiti di
legge per poter essere considerata una centrale di committenza” e che
parimenti illegittima doveva considerarsi la richiesta contenuta in tutti i
propri bandi di versamento a suo favore da parte dell’aggiudicataria dei
costi di gestione della sua piattaforma perché in violazione dell’art. 41,
comma 2-bis, del d.lgs. 50/2016, in base al quale “E’ fatto divieto di porre
a carico dei concorrenti, nonché dell’aggiudicatario, i costi di gestione
delle piattaforme di cui all’art. 58”.
La sentenza da ultimo citata ha dunque annullato l’intera procedura di gara,
ritenendo che Asmel non potesse rivestire la posizione di centrale di
committenza: e ciò nonostante i correttivi adottati a valle dell’impugnata
deliberazione ANAC n. 32/2015 per il fatto che Asmel “continuerebbe a non
possedere neppure le caratteristiche del modello organizzativo previsto
dall’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 per la costituzione di centrali di
committenza da parte dei comuni, continuando ad avere (nonostante
l’intervenuta estromissione dei soci privati) una sostanziale natura
privatistica, in quanto società di diritto privato costituita da altre
associazioni (Asmel Campania ed Asmel Calabria)”.
7.3. La pressoché coeva sentenza di questa Sezione, 03.11.2020, n. 6787
ha invece respinto l’appello dell’associazione Asmel (la quale detiene il
25% delle quote sociali della Asmel Consortile s.c.a.r.l.) e confermato la
decisione di prime cure di accoglimento di un ricorso proposto dall’Autorità
Nazionale Anticorruzione -nell’esercizio della legittimazione ad agire in
giudizio riconosciuta dall’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei
contratti pubblici (al fine di “prevenire illegittimità nel settore dei
contratti pubblici, con particolare riferimento all’impugnazione dei bandi e
degli altri atti generali, in relazione a «gravi violazioni» del Codice dei
contratti pubblici”)- e incentrato sull’illegittimità degli atti della
procedura di gara indetta da Asmel s.c.a.r.l., per conto di vari enti
locali, proprio per il difetto della qualifica di centrale di committenza
attribuibile a quest’ultima, che non avrebbe potuto essere considerata come
amministrazione aggiudicatrice, non essendo in possesso dei requisiti per
bandire una gara per la stipula di convenzioni quadro per l’acquisizione di
forniture a favore di pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 3, comma
1, lett. i) [che contiene la definizione di «centrale di committenza»] e
lett. m) [definizione di «attività di committenza ausiliarie»] e dell’art.
37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici.
7.3.1. In particolare, nella richiamata decisione, da cui non vi è ragione
di discostarsi, la Sezione (richiamata la pronunzia della Corte di Giustizia
sui quesiti pregiudiziali posti da questo Consiglio di Stato con ordinanza
n. 68 del 03.01.2019 e alla luce dei principi ivi affermati) non ha
condiviso la tesi dell’appellante secondo cui la qualifica di centrale di
committenza in capo ad Asmel e la sua legittimazione alla indizione della
procedura di gara per conto degli enti locali associati sarebbero derivate
dall’essere un’associazione tra amministrazioni aggiudicatrici
(rappresentate dai piccoli comuni associati) e, a sua volta, amministrazione
aggiudicatrice per l’art. 3, comma 1, lett. a), del Codice dei contratti
pubblici (che definisce «amministrazioni aggiudicatrici», le
«amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti
pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni,
unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti»); ed ha
altresì escluso che l’Asmel associazione, costituendo “lo strumento per
consentire ai medesimi enti soci di raggiungere l’obiettivo della
centralizzazione delle commesse pubbliche degli enti locali di minor
dimensione” (senza che ciò implicasse alcun conferimento di funzioni
pubblicistiche, dagli enti pubblici soci alla stessa Asmel), avrebbe avuto
tutti i requisiti dell’organismo di diritto pubblico (e dovesse, perciò,
anche sotto questo profilo, essere qualificata come amministrazione
aggiudicatrice).
7.3.2. Si trascrivono di seguito le motivazioni della decisione.
“13. - Le censure così sintetizzate sono infondate.
13.1. - In punto di fatto occorre precisare che la procedura di gara per cui
è controversia è stata indetta da Asmel Consortile S.C. a r.l. nella
asserita qualità di centrale di committenza.
13.2. - Secondo l’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, «se
la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia», come nel
caso di specie, tra le diverse modalità consentite per l’acquisizione di
beni, servizi o lavori, è previsto il ricorso a una centrale di committenza
o a soggetti aggregatori qualificati.
13.3. - Peraltro, come ben rilevato dall’Anac, per poter acquisire la
qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che
il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni
appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge 18.10.2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012, n. 221, ma anche
all’elenco dei soggetti aggregatori (inizialmente istituito presso l’AVCP e
attualmente compreso nelle competenze dell’Anac, per effetto dell’art. 213,
comma 16, del Codice dei contratti pubblici, secondo cui «E' istituito,
presso l'Autorità, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni
appaltanti, l'elenco dei soggetti aggregatori»).
L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 (Acquisizione di
beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento) del
decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge
23.06.2014, n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che
intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza,
diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole
regioni, devono richiedere all’Anac l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è
condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di
competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26, comma 1, della legge
23.12.1999, n. 488 […]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.); vale a
dire, per stipulare le convenzioni quadro che sono oggetto del bando di gara
indetto da Asmel Consortile (quale centrale di committenza) e impugnato
dall’Anac col ricorso in primo grado.
13.4. - Che le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di
committenza siano diverse, lo si ricava, anzitutto, dalla lettera dell’art.
9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l’elenco dei soggetti
aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1
dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito dell’Anagrafe unica […]»).
In secondo luogo, la distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale
prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza
regionali, iscritti di diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i
quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2
dell’art. 9 cit. («il carattere di stabilità dell'attività di
centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le
acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche
territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della
centralizzazione della domanda»), come precisati nel d.P.C.M. 11.11.2014
(adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti, la cui verifica
è riservata all’Anac.
13.5. - La soluzione trova conferma anche nell’art. 38 del Codice dei
contratti pubblici, che ha introdotto un nuovo sistema di qualificazione
delle stazioni appaltanti, non ancora entrato in vigore, basato
sull’istituzione di «un apposito elenco delle stazioni appaltanti
qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza», cui
possono accedere gli operatori economici in possesso dei requisiti descritti
ai commi 3 e 4 dell’art. 38. Anche secondo quest’ultima disposizione,
dell’elenco fanno distintamente parte le stazioni appaltanti, le centrali di
committenza e i soggetti aggregatori che conseguano la qualificazione
rilasciata dall’Autorità.
13.6.- Il trattamento normativo differenziato opera, infine, anche
nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 216, comma 10,
del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede che «[f]ino alla data di
entrata in vigore del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di
cui all'articolo 38, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante
l'iscrizione all'anagrafe di cui all'articolo 33-ter del decreto-legge
18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012,
n. 221». Gli effetti (provvisori) della qualificazione (e in particolare la
possibilità di pretendere dall’Anac il rilascio del «codice identificativo
della gara (CIG)» necessario per l’effettuazione delle procedure di gara:
art. 38, comma 8) si producono, infatti, solo per le stazioni appaltanti, in
quanto siano iscritte all’anagrafe unica; non per le centrali di committenza
e i soggetti aggregatori (per i quali, come si è veduto, è necessario –sulla
base dell’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014 cit.– anche l’inserimento
nell’elenco dei soggetti aggregatori).
13.7. In conclusione, né la Asmel Consortile s.c. a r.l. (che, come veduto,
ha indetto la procedura di gara spendendo la qualifica di centrale di
committenza), né Asmel Associazione (indicata nel bando come stazione
appaltante), possono essere qualificate come centrali di committenza o
soggetti aggregatori, non risultando iscritte all’anzidetto elenco ed
essendo insufficiente, a tali fini, la loro iscrizione all’anagrafe unica
delle stazioni appaltanti.
(…) Nella pendenza della vicenda contenziosa riferita, ai fini della
controversia in esame, è rilevante rimarcare, nondimeno, che Asmel
Consortile mai ha acquisito l’iscrizione nell’elenco dei soggetti
aggregatori o delle centrali di committenza”.
7.3.3. La sentenza ha poi ulteriormente precisato che, essendo oggetto
dell’accertamento svolto il difetto in capo ad Asmel Associazione della sua
qualificazione come centrale di committenza o soggetto aggregatore e
conseguentemente la sua incapacità a svolgere le relative funzioni,
costituente “uno specifico vizio della procedura di gara avviata da Asmel
(attraverso Asmel Consortile), maturato in un ambito pubblico”, per
avere il soggetto (in astratto tenuto all’applicazione dell’evidenza
pubblica) illegittimamente esercitato il potere in relazione alla concreta
vicenda in esame, risulta pertanto “irrilevante stabilire se Asmel
Associazione rientri nella definizione legale di organismo di diritto
pubblico (questione diffusamente trattata nella sentenza impugnata e
nell’appello)”, dovendo per analoghe ragioni escludersi la ricorrenza
dei “presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea" (richiesto dall’appellante al fine di
stabilire se Asmel debba essere qualificata come organismo di diritto
pubblico, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del Codice dei contratti
pubblici e delle direttive europee in materia di appalti e concessioni).
7.3.4. La menzionata sentenza ha ritenuto poi fondate anche le doglianze
concernenti l’illegittimità del bando di gara nella parte in cui imponeva ai
concorrenti, per poter partecipare alla procedura, di corredare l’offerta
con un atto unilaterale d’obbligo, impegnandosi, nell’ipotesi di
aggiudicazione della gara, al pagamento del costo del servizio svolto da
Asmel s.c.a.r.l. quale centrale di committenza per conto degli enti locali,
in violazione dell’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici
(ai cui sensi: «[è] fatto divieto di porre a carico dei concorrenti,
nonché dell'aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione delle
piattaforme di cui all'articolo 58», inserito dall'art. 28, comma 1, del
d.lgs. 19.04.2017, n. 56), norma che preclude alle stazioni appaltanti di
riversare i costi derivanti dall’utilizzo delle piattaforme telematiche di
negoziazione, non solo nei confronti dei concorrenti ma anche dell’eventuale
aggiudicatario (ritenendo quindi erroneo il riferimento dell’appellante
all’art. 16-bis del r.d. n. 2440 del 1923, avente un oggetto diverso e
specificamente riferito alle spese per la stipula e la registrazione dei
contratti).
7.4. Alla luce delle considerazioni che precedono e dei principi affermati
dalla giurisprudenza nelle su indicate decisioni, deve dunque ritenersi che
la sentenza appellata, sia pure incentrata essenzialmente sulla mancata
qualificabilità di organismo di diritto pubblico (che, invece, nel
provvedimento dell’ANAC solo costituiva un elemento aggiuntivo alla
decisione di escludere la qualificazione di centrale di committenza per
mancanza dell’appartenenza ad uno dei tipi legali), sia corretta e immune
dalle censure formulate.
7.5. Né sussiste la lamentata disparità di trattamento con riguardo
all’inserimento da parte di ANAC nell’elenco dei soggetti aggregatori del
Consorzio CEV (in tesi analogo nella forma giuridica e operatività ad Asmel
consortile), per la non ricorrenza di situazioni identiche e sovrapponibili.
7.5.1. Con delibera n. 58 del 22.07.2015, il Consorzio CEV era stato infatti
iscritto da Anac con riserva (“a condizione che venga effettuata la
modifica statutaria volta ad eliminare la possibilità, anche solo in linea
teorica, della partecipazione di privati nella compagine sociale e di
qualsiasi vocazione commerciale dello stesso”); tuttavia successivamente
ANAC ha dapprima sospeso (con effetto immediato a far data dal 15.10.2015)
la detta iscrizione e poi (con delibera n. 125 del 10.02.2016) ha espunto il
Consorzio CEV dall’elenco dei soggetti aggregatori, per mancato possesso dei
requisiti di cui all’art. 2, comma 1, del d.P.C.M. 11.11.2014 (ovvero “il
carattere di stabilità mediante un’organizzazione dedicata allo svolgimento
dell’attività di centrale di committenza”).
7.6. Né risulta ricorrente la censurata violazione del principio del “tempus
regit actum” (per avere il provvedimento dell’ANAC prima e l’appellata
sentenza poi preso in considerazione una formulazione non vigente della
norma di cui all’art. 33, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006 al tempo della
sua adozione, il 30.04.2015).
7.6.1. In primo luogo, come bene evidenziato dalla difesa erariale, la
stessa società Asmel consortile è stata costituita allo scopo di dare
applicazione alle nuove disposizioni di cui all’art. 33, comma 3-bis, del
d.lgs. 163/2006 (aggiunto dall'art. 23, comma 4, legge n. 214 del 2011 che
ne ha previsto la decorrenza al 01.01.2014) ed ha in effetti fondato la
propria legittimazione sulla norma che oggi assume non essere in vigore per
effetto delle sopravvenute modifiche normative (cfr. art. 23-ter del d.l.
24.06.2014, n. 90 che, per effetto delle modifiche che esso stesso ha
subito, ha spostato il termine di entrata in vigore al 01.11.2015); tant’è
che, come osserva l’Avvocatura, tra le varie deliberazioni dei Comuni che
hanno fatto ricorso ai servizi di committenza della centrale Asmel
(peraltro, tutte predisposte secondo modelli diffusi dall’Asmel stessa) vi
sono quelle con le quali si approva l’“accordo consortile ai sensi e per
gli effetti dell’art. 33, comma 3-bis, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 e
ss.mm.ii.”.
7.6.2. In ogni caso, a prescindere dalle formulazioni assunte dalla norma
nel tempo o dalla sua successiva abrogazione, rileva che quest’ultima rechi
in effetti un’identica disciplina sostanziale quanto alle limitazioni
imposte alla costituzione delle centrali di committenza da parte degli enti
locali di piccole dimensioni, sia con riferimento ai modelli organizzativi
applicabili sia con riguardo alla relativa compagine e all’ambito
territoriale di operatività, risiedendo la differente formulazione solo nel
porre tale obbligo prima a carico dei Comuni con popolazione inferiore ai
5.000 abitanti e poi a carico dei Comuni non capoluogo.
7.6.3. Ne segue che l’Autorità ha correttamente esaminato la fattispecie con
riferimento alla disciplina del tempo (a ragione non rinvenendo in essa
alcun aggancio normativo per fondare il presupposto di legittimazione alle
gare svolte dalla società consortile per conto di vari enti locali), ed
abbia motivato quindi l’esclusione di Asmel dal novero delle centrali di
committenza sulla non rispondenza ai modelli organizzativi legali e in
ragione delle su indicate limitazioni previste dal diritto interno, ritenute
conformi al diritto dell’Unione dalla Corte di Giustizia (cfr. anche al
riguardo paragrafo 41 della sentenza del 04.06.2020, in cui, nell’esaminare
in limine la ricevibilità della questione pregiudiziale, si afferma che “il
governo italiano ha precisato, in udienza, che la nuova normativa sulle
centrali di committenza, che abroga e sostituisce l’articolo 33, comma 3
bis, del decreto legislativo n. 163/2006, non avrà effetto prima del
31.12.2020, ragion per cui il procedimento principale resta disciplinato da
tale disposizione”).
7.6.4. Per completezza va evidenziato che l’ANAC (con delibera n. 780/2019)
ha ritenuto che, anche alla luce dell’attuale assetto societario e pur nel
mutato quadro normativo, Asmel Consortile non è legittimata ad affidare
servizi in qualità di centrale di committenza, né tanto meno si giustifica
l’imposizione di un contributo di carattere finanziario a carico
dell’aggiudicatario (cfr. al riguardo anche la citata sentenza di Cons.
Stato, V, n. 6787/2020).
7.7. Non sono neanche suscettibili di favorevole considerazione le doglianze
con cui l’appellante lamenta il mancato riconoscimento della qualifica di
organismo di diritto pubblico e, per tale via di “amministrazione
aggiudicatrice”, configurabile quindi quale centrale di committenza.
7.7.1. L’attribuzione ad Asmel della qualificazione di organismo pubblico di
suo comunque non comporterebbe la possibilità di svolgere attività di
acquisizione di beni e servizi sul mercato per conto di altre
amministrazioni (gli enti locali associati): rileva infatti, a monte e in
via assorbente, l’impossibilità per Asmel consortile di essere qualificata
per le ragioni anzidette come centrale di committenza e amministrazione
aggiudicatrice sulla base della disciplina nazionale (che è espressione
dell’ “ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati
membri”), riconosciuta compatibile col diritto euro-unitario dalla più volte
richiamata sentenza della Corte di Giustizia.
Ed infatti quest’ultima ha statuito che: “Dall’articolo 11 della
direttiva 2004/18, in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafi 9 e 10,
della direttiva 2004/18 e con il considerando 16 di quest’ultima, risulta
che l’unico limite che tale direttiva impone rispetto alla scelta di una
centrale di committenza è quello secondo cui tale centrale deve avere la
qualità di «amministrazione aggiudicatrice». Tale ampio margine
discrezionale si estende altresì alla definizione dei modelli organizzativi
delle centrali di committenza, purché le misure adottate dagli Stati membri
per l’attuazione dell’articolo 11 della direttiva 2004/18 rispettino il
limite stabilito da tale direttiva, relativo alla qualità di amministrazione
aggiudicatrice del soggetto al quale le amministrazioni aggiudicatrici
intendono rivolgersi in quanto centrale di committenza. Pertanto, a un
soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi
dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18, non può essere
riconosciuta, da parte di una normativa nazionale, la qualità di «centrale
di committenza», ai fini dell’applicazione di tale direttiva”.
Come detto, il modello proposto da Asmel consortile non può rientrare tra i
modelli organizzativi delle centrali di committenza definiti
dall’ordinamento nazionale.
7.7.2. In ogni caso, per quanto rileva, non può riconoscersi ad Asmel
consortile neppure la qualificazione di organismo di diritto pubblico, a ciò
ostando l’assenza tanto del requisito teleologico (lo svolgimento di
attività volte a soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere
non industriale e commerciale), stante la previsione dell’obbligo in capo
agli operatori commerciali aggiudicatari del pagamento di una commissione
per i servizi di committenza espletati dalla stessa, quanto quello
dell’influenza dominante, difettando il c.d. controllo analogo da parte
degli enti locali aderenti.
7.7.3. Al riguardo, con riferimento al primo profilo, giova richiamare
quanto statuito dalla la sentenza della Corte di Giustizia C‑3/19 secondo
cui: «Una centrale di committenza agisce infatti in qualità di
amministrazione aggiudicatrice, al fine di provvedere ai bisogni di quest’ultima,
e non in quanto operatore economico, nel proprio interesse commerciale.»
(cfr. par. 64); conformemente all’art. 1, paragrafo 9, di tale direttiva,
deve ritenersi che un’amministrazione aggiudicatrice “è un ente che
soddisfa una funzione di interesse generale, avente carattere non
industriale o commerciale” e che “non esercita, a titolo principale,
un’attività lucrativa sul mercato” (cfr. paragrafo 70 della sentenza).
7.7.4. Quanto al secondo aspetto, per le corrette motivazioni della sentenza
di prime cure, non può poi condividersi la tesi di parte appellante secondo
cui il controllo analogo risulterebbe dall’accordo consortile (nel quale
sarebbe descritto ogni adempimento legato all’espletamento delle diverse
fasi procedimentali degli appalti e ciascuno dei comuni eserciterebbe sulla
centrale di committenza un controllo analogo a quello svolto nei riguardi
dei propri uffici e servizi).
7.8. Peraltro, risulta dagli atti che, nell’ambito delle proprie competenze
in relazione alla tenuta e gestione dell’elenco c.d. in house di cui
all’articolo 192 d.lgs. 50/2016, ANAC ha comunicato le risultanze
istruttorie, all’esito della domanda di iscrizione nel predetto elenco del
comune di Caggiano e degli altri enti locali che partecipano ad Asmel
consortile, ravvisando la carenza dei requisiti dell’in house providing
di cui all’articolo 5 del Codice dei contratti pubblici, di fatto
confermando, sotto altro aspetto, l’assenza del requisito soggettivo di “amministrazione
aggiudicatrice” in capo ad Asmel, necessario per vedersi qualificare
centrale di committenza abilitata ai sensi e per gli effetti dell’articolo 9
del d.l. 66/2014.
7.8.1. Inoltre, difetta, come bene rilevato dal primo giudice, anche la
delimitazione territoriale dell’attività esercitata da Asmel, condizione
anch’essa ritenuta rispettosa dei limiti del margine di discrezionalità di
cui dispongono gli Stati membri nell’attuazione della direttiva 2004/2018.
Al riguardo, la Corte di Giustizia ha infatti affermato che “Una misura
con cui uno Stato membro limiti l’ambito di operatività territoriale delle
centrali di committenza ai rispettivi territori degli enti locali che le
hanno istituite, al fine di assicurarsi che tali centrali di committenza
agiscano nell’interesse pubblico di tali enti, e non nel loro proprio
interesse commerciale, al di là di tali territori, deve essere considerata
coerente con l’articolo 1, paragrafo 10, della direttiva 2004/18, il quale
prevede che una centrale di committenza deve avere la qualità di
amministrazione aggiudicatrice e deve, a tale titolo, soddisfare i requisiti
previsti all’articolo 1, paragrafo 9, di tale direttiva” (cfr. paragrafo
sentenza C-3/19).
7.9. Come evidenziato poi dal Consiglio di Stato (nella citata sentenza n.
6787/2020) per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di
soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo iscritto
all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del
decreto-legge 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge
17.12.2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori
(inizialmente istituito presso l’AVCP e attualmente compreso nelle
competenze dell’ANAC, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei
contratti pubblici, secondo cui «E' istituito, presso l'Autorità,
nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l'elenco dei
soggetti aggregatori»).
7.9.1. L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 del
decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge
23.06.2014,n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che intendono
operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza, diversi dalla
Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole regioni,
devono richiedere all’ANAC l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è
condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di
competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26,comma 1, della legge
23.12.1999, n. 488 […]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.).
7.9.2. Come chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio nella sentenza
su indicata le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di
committenza sono diverse: tale conclusione si ricava, anzitutto, dalla
lettera dell’art. 9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa
l’elenco dei soggetti aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni
appaltanti (il comma 1 dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito
dell’Anagrafe unica […]»).
In secondo luogo, la distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale
prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza
regionali, iscritti di diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i
quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2
dell’art. 9 cit. («il carattere di stabilità dell'attività di
centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le
acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche
territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della
centralizzazione della domanda»), come precisati nel d.P.C.M. 11.11.2014
(adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti la cui verifica
è riservata all’ANAC che ne ha accertato la carenza in capo ad Asmel, la
quale non può essere anche per ciò qualificata “centrale di committenza”
o “soggetto aggregatore”, in quanto non iscritta all’albo tenuto
dall’Autorità ai sensi dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti
pubblici, insufficiente essendo, a tali fini, l’iscrizione all’Anagrafe
unica delle stazioni appaltanti.
8. In conclusione, l’appello va respinto (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 06.12.2021 n. 8072 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Rilevanza
temporale, in sede di gara pubblica, dell’obbligo dichiarativo delle
condanne non automaticamente escludenti.
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Contratti della Pubblica amministrazione - Esclusione dalla gara -
Condanne non automaticamente escludenti - Comma 10-bis dell’art. 80, d.lgs.
n. 50 del 2016 – Interpretazione.
In sede di gara pubblica, il termine di tre anni di
cui al comma 10-bis dell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016 è applicabile agli
illeciti professionali contrattuali e alle condanne superiori ai tre anni
stessi, mentre laddove la durata della condanna comminata è inferiore ai tre
anni non potrà che applicarsi il criterio del primo periodo del citato comma
10-bis, che impone una esclusione pari alla durata della pena dal passaggio
in giudicato della sentenza (1).
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(1) La Sezione affronta la problematica della rilevanza temporale
dell’obbligo dichiarativo delle condanne non automaticamente escludenti ex
art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 e ritiene aderente al tipo
di causa escludente invocata, omogenea per questo profilo ad ogni altra
condanna ritenuta escludente dall’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, una
valutazione che tenga conto del passaggio in giudicato della sentenza, come
per altro espressamente imposto dal medesimo art. 80 in tutti i casi in cui
menziona esplicitamente la rilevanza di condanne penali. La lontananza nel
tempo della condotta oggetto di reato, per canto suo, entrerà legittimamente
nelle valutazioni discrezionali spettanti alla stazione appaltante.
Sulla specifica questione del dies a quo del termine di durata
dell’efficacia escludente delle condanne tutte, anche alla luce del tenore
letterale della disposizione, buona parte della giurisprudenza si è
orientata per l’applicazione, anche in caso di condanne non automaticamente
escludenti ma rilevanti in quanto possibili illeciti professionali, di un
termine di esclusione decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza (cfr.
Cons. St. n. 4937 del 2020; Tar Lazio n. 4917 del 2020).
Altra e diversa problematica attiene alla durata triennale di tale termine
ed agli effetti, anche sistematici, che essa in concreto produrrebbe nel
caso di specie. La problematica si inserisce infatti nel contesto e nella
evoluzione giurisprudenziale e normativa in cui è maturata la disciplina del
“grave illecito professionale” quale causa di esclusione dalla gara.
In particolare l’applicazione di tale termine produrrebbe intollerabili
effetti di incoerenza esterna rispetto a quanto previsto per le condanne per
reati tipicamente escludenti, quali ad esempio quelli disciplinati dall’art.
317 bis c.p.
Per questi ultimi, infatti, il comma 10-bis dell’art. 80 prevede un termine
di rilevanza della causa escludente pari alla durata della pena stessa in
ipotesi di pene inferiori a sette o cinque anni; praticamente, quindi, in
casi di ben possibile condanna a pene inferiori ai tre anni per taluno dei
reati, che per la loro gravità tipica addirittura obbligano la stazione
appaltante ad escludere il concorrente e possono comportare la pena
accessoria del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, si
avrebbe una efficacia temporale della durata dell’esclusione minore di
quella che si avrebbe nel presente caso, in cui è stata comminata una pena
di due mesi e pochi giorni di reclusione soggetta a valutazione
discrezionale della stazione appaltante.
Ne deriverebbe un effetto contrario alla ratio sottesa al disposto
normativo di creare un omogeneo e coerente sistema che garantisca, da un
lato, una durata massima degli effetti escludenti conseguenti a qualunque
tipo di condanna, dall’altro una omogeneità di trattamento tra le
fattispecie che costituiscono grave illecito professionale sub specie di
condanne, senza però trascurare la necessaria coerenza esterna della
disposizione rispetto ad altre ipotesi di condanne tipicamente escludenti,
che, come tali, sono state ritenute per definizione più gravi dallo stesso
legislatore.
Tale evidenza impone, a parere della Sezione, un’interpretazione sistematica
e costituzionalmente orientata della normativa, improntata al canone della
ragionevolezza e proporzionalità, non potendosi ritenere che il riferimento
contenuto nell’art. 10-bis “al comma 5”, ferma l’individuazione del
limite triennale massimo di esclusione per tutte le ipotesi di gravi
illeciti professionali, ivi comprese eventuali condanne non tipizzate dal
legislatore nella loro valenza escludente, sfoci, per condanne di durata
infratriennale e non corredate dalla pena accessoria del divieto di
contrattare con la pubblica amministrazione, nella palese violazione del
principio di uguaglianza e degli stessi criteri di proporzionalità ed
armonizzazione del sistema che hanno guidato il legislatore e la
giurisprudenza in materia.
Pertanto, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata e
sistematica della normativa, nonché del principio di proporzionalità di
derivazione eurounitaria che pure governa la materia deve ritenersi che il
termine di tre anni di cui al comma 10-bis sia applicabile agli illeciti
professionali contrattuali e alle condanne superiori ai tre anni stessi,
mentre laddove la durata della condanna comminata sia inferiore ai tre anni
non potrà che applicarsi il criterio del primo periodo del citato comma
10-bis, che impone una esclusione pari alla durata della pena dal passaggio
in giudicato della sentenza (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 02.12.2021 n. 1108 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
Pare inoltre opportuno al collegio, ai fini conformativi, chiarire anche la
problematica della rilevanza temporale dell’obbligo dichiarativo delle
condanne non automaticamente escludenti ex art. 80, comma 5, lett. c), D.lgs
50/2016, pure oggetto del primo motivo di ricorso e di oggettivo interesse
sostanziale per la ricorrente.
E’ evidente infatti come, nel considerare escludente l’omessa dichiarazione
in sé, la stazione appaltante abbia quantomeno implicitamente ritenuto la
condanna astrattamente idonea ad incidere sul suo giudizio.
Sul punto, per contrastare nel caso di specie la possibile rilevanza
escludente della condanna, la difesa della ricorrente chiede innanzitutto,
con il primo motivo di ricorso, di computare un termine triennale massimo di
rilevanza della condanna a decorrere dalla data del fatto storico oggetto di
condanna (pacificamente risalente al 2008) o, al più, della sentenza di
primo grado (risalente al 2013).
Al proposito la difesa di parte ricorrente cita la sentenza Cons. St., sez.
V, n. 6233/2021, che ha effettivamente preso in considerazione il fatto
storico oggetto di una pur recente condanna.
La soluzione, se pur guidata da più che ragionevoli esigenze pratiche di
applicazione del principio di proporzionalità, appare isolata in
giurisprudenza e pare al collegio non praticabile in termini generali. Si
consideri, infatti, che far decorrere il termine di rilevanza da un fatto di
reato, per definizione non noto alla collettività se non in seguito alla sua
emersione in seno al processo penale secondo le regole che lo governano,
significherebbe che pressoché in ogni caso sarebbe da escludere la rilevanza
di sentenze penali ai sensi dell’art. 80, co. 5, pur astrattamente
teorizzata ed acquisita in giurisprudenza, perché l’accertamento penale del
fatto (e talvolta anche la sua scoperta in sede di indagini) si cristallizza
fisiologicamente oltre il triennio dalle condotte. D’altro canto
l’equiparazione delle condanne non tipicamente escludenti ai fatti storici
di illecito contrattuale, pur pacificamente acquisita dalla giurisprudenza
nell’applicazione dell’art. 80, co. 5, necessariamente pone sullo stesso
piano illeciti la cui emersione segue iter strutturalmente diversi;
l’illecito contrattuale implica infatti contestazioni formali tra le parti,
che lo rendono immediatamente percepibile, mentre il reato non può che
emergere in esito al complesso iter delle indagini e dell’accertamento in
sede giudiziaria.
Per tali ragioni il collegio ritiene, sul punto, più convincente ed aderente
al tipo di causa escludente invocata, omogenea per questo profilo ad ogni
altra condanna ritenuta escludente dall’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, una
valutazione che tenga conto del passaggio in giudicato della sentenza, come
per altro espressamente imposto dal medesimo art. 80 in tutti i casi in cui
menziona esplicitamente la rilevanza di condanne penali. La lontananza nel
tempo della condotta oggetto di reato, per canto suo, entrerà legittimamente
nelle valutazioni discrezionali spettanti alla stazione appaltante.
In effetti, sulla specifica questione del dies a quo del termine di
durata dell’efficacia escludente delle condanne tutte, anche alla luce del
tenore letterale della disposizione, buona parte della giurisprudenza si è
orientata per l’applicazione, anche in caso di condanne non automaticamente
escludenti ma rilevanti in quanto possibili illeciti professionali, di un
termine di esclusione decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza (cfr.
Cons. St. n. 4937/2020; Tar Lazio 4917/2020).
Trattasi per altro della tesi patrocinata dalla difesa della stazione
appaltante, la quale ha evidenziato persino come la stessa ricorrente, in
fase di giustificazioni rese nel corso del procedimento, avesse dato per
assunto che il dies a quo di rilevanza della condanna dovesse
computarsi dal suo passaggio in giudicato.
Né può accedersi alla soluzione ibrida, pure proposta dalla difesa di parte
ricorrente, di considerare la sentenza di primo grado, che da un lato non
coinciderebbe con l’accadimento in senso naturalistico e, dall’altro, non
garantirebbe la certezza propria del giudicato.
Superato tale specifico aspetto, altra e diversa problematica attiene alla
durata triennale di tale termine ed agli effetti, anche sistematici, che
essa in concreto produrrebbe nel caso di specie.
Non è ignoto al Collegio l’indirizzo ermeneutico secondo cui, mediante il
generico riferimento “al comma 5”, contenuto nel nuovo comma 10-bis
dell’art. 80 –introdotto dal D.L. 18.04.2019, n. 32– il limite di rilevanza
temporale del fatto astrattamente configurabile quale “grave illecito
professionale” viene indicato come triennale in ogni caso, ivi incluse
le condanne e decorrente, appunto in tal caso, dalla data del passaggio in
giudicato (cfr. TAR Lazio, sez. II-ter, 11/05/2020, n. 4917; C.G.A.R.S.,
19/04/2021, n. 326; Cons. Stato, sez. IV, 05/08/2020, n. 4937; Tar Bari n.
318/2020).
Questa soluzione pare tuttavia al collegio che ingenererebbe, nella
procedura per cui è causa, effetti di incoerenza sistematica che sarebbero,
come sostanzialmente dedotto con il primo motivo di ricorso, obiettivamente
sproporzionati.
La problematica si inserisce infatti nel contesto e nella evoluzione
giurisprudenziale e normativa in cui è maturata la disciplina del “grave
illecito professionale” quale causa di esclusione dalle gara; si precisa
altresì che, in tutte le decisioni appena riportate, la coerenza, per così
dire sistematica “esterna”, del termine triennale applicato a
decorrere dal giudicato per una condanna per reato diverso da quelli che
costituiscono fattispecie tipiche ed obbligatorie di esclusione non è emersa
nei suoi profili critici, in quanto trattavasi di condanne risalenti ad
oltre il triennio, la cui rilevanza restava dunque in ogni caso esclusa.
L’evoluzione normativa in materia muove dall’art. 57 paragrafo 7 della
direttiva 2014/24/UE ai sensi del quale: “in forza di disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative e nel rispetto del diritto
dell’Unione, gli Stati membri specificano le condizioni di applicazione del
presente articolo. In particolare essi determinano il periodo massimo di
esclusione nel caso in cui l’operatore economico non adotti nessuna misura
di cui al paragrafo 6 per dimostrare la sua affidabilità. Se il periodo di
esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non
supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei
casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione
nei casi di cui al paragrafo 4”.
L’intento del legislatore eurounitario è stato quello di limitare, in
qualunque caso, la rilevanza temporale della cause di esclusione, oggetto di
recepimento nel nostro ordinamento con l’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, il
tutto in un’ottica garantista ed in attuazione del principio di
proporzionalità.
All’atto di primo recepimento di queste disposizioni il legislatore
nazionale si è limitato a prevedere, all’art. 80, comma 10, un termine degli
effetti escludenti derivanti da specifiche condanne penali che potrebbero
comportare la pena accessoria della incapacità di contrattare con la
pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.), senza prendere in
considerazione tutte le ulteriori ipotesi di esclusione contemplate dai
commi 4 e 5 dell’art. 80 stesso e in particolare le atipiche e possibili
fattispecie di condanna che, nel tempo, sono state ricondotte dalla
giurisprudenza al grave illecito professionale di cui all’art. 80, co. 5,
del d.lgs. n. 50/2016 stesso.
Ne è emersa, nella pratica, una non aderenza sul punto della legislazione
italiana a quella eurounitaria, provvisoriamente colmata per lo più mediante
una sostanziale applicazione diretta, in ogni ipotesi, del termine triennale
di rilevanza massima previsto al paragrafo 4 della citata direttiva (in tal
senso, ad esempio, Cons. St. 6576/2018).
Il legislatore è poi più volte intervenuto sul comma 10 dell’art. 80, per
colmare il vuoto normativo, innanzitutto inserendo un termine di durata
degli effetti escludenti derivanti dalle ipotesi di cui all’art. 80, commi 4
e 5.
Da ultimo con il D.L. 32/2019 c.d. Sblocca-Cantieri, applicabile alla
vicenda per cui è causa ratione temporis, la pertinente disciplina è
stata articolata tra un comma 10 e un nuovo comma 10-bis dell’art. 80 del
d.lgs 50/2016 che recitano:
“10. Se la sentenza penale di condanna definitiva non fissa la durata
della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica
amministrazione, la durata della esclusione dalla procedura d'appalto o
concessione è:
a) perpetua, nei casi in cui alla condanna consegue di diritto la
pena accessoria perpetua, ai sensi dell'articolo 317-bis, primo periodo, del
codice penale, salvo che la pena sia dichiarata estinta ai sensi
dell'articolo 179, settimo comma, del codice penale;
b) pari a sette anni nei casi previsti dall'articolo 317-bis,
secondo periodo, del codice penale, salvo che sia intervenuta
riabilitazione;
c) pari a cinque anni nei casi diversi da quelli di cui alle
lettere a) e b), salvo che sia intervenuta riabilitazione.
10-bis. Nei casi di cui alle lettere b) e c) del comma 10, se la pena
principale ha una durata inferiore, rispettivamente, a sette e cinque anni
di reclusione, la durata della esclusione è pari alla durata della pena
principale. Nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a
tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo
di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di
passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione
del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini
della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere
dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia
commesso”.
Sul punto del dies a quo, già si è detto.
Quanto alla durata del termine l’applicazione della pregressa disposizione
al caso di specie, alla luce dei principi tutti sin qui elaborati dalla
giurisprudenza, dovrebbe condurre in sostanza, e come per altro sostenuto
dalla difesa della stazione appaltante, all’applicazione di un termine di
rilevanza triennale decorrente dal passaggio in giudicato della condanna.
Tuttavia pare al collegio che l’applicazione di tale termine produrrebbe
intollerabili effetti di incoerenza esterna rispetto a quanto previsto per
le condanne per reati tipicamente escludenti, quali ad esempio quelli
disciplinati dall’art. 317-bis c.p..
Per questi ultimi, infatti, il comma 10-bis dell’art. 80 prevede un termine
di rilevanza della causa escludente pari alla durata della pena stessa in
ipotesi di pene inferiori a sette o cinque anni; praticamente, quindi, in
casi di ben possibile condanna a pene inferiori ai tre anni per taluno dei
reati, che per la loro gravità tipica addirittura obbligano la stazione
appaltante ad escludere il concorrente e possono comportare la pena
accessoria del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, si
avrebbe una efficacia temporale della durata dell’esclusione minore di
quella che si avrebbe nel presente caso, in cui è stata comminata una pena
di due mesi e pochi giorni di reclusione soggetta a valutazione
discrezionale della stazione appaltante.
Ne deriverebbe un effetto contrario alla ratio sottesa al disposto
normativo di creare un omogeneo e coerente sistema che garantisca, da un
lato, una durata massima degli effetti escludenti conseguenti a qualunque
tipo di condanna, dall’altro una omogeneità di trattamento tra le
fattispecie che costituiscono grave illecito professionale sub specie di
condanne, senza però trascurare la necessaria coerenza esterna della
disposizione rispetto ad altre ipotesi di condanne tipicamente escludenti,
che, come tali, sono state ritenute per definizione più gravi dallo stesso
legislatore
Nel caso specifico le condanna che ha comportato l’applicazione dell’esigua
pena di poco più di due mesi di reclusione irrogata al sig. -OMISSIS- per il
reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in autorizzazioni
amministrative ex art. 477 c.p. per fatti risalenti al dicembre 2008,
dovrebbe produrre un’efficacia escludente pari a tre anni dal passaggio in
giudicato della sentenza (avvenuto in data 17.12.2018 per declaratoria di
inammissibilità del ricorso per Cassazione) e sarebbe quindi astrattamente
rilevante per la gara per cui è causa. Per contro, laddove il sig. -OMISSIS-
fosse stato condannato per reati ostativi di cui al comma 1, l’esclusione
rileverebbe per un arco temporale pari alla effettiva durata della pena, e
sarebbe, nel caso di specie (o comunque in ben possibili ipotesi di
condanne, ancorché più elevate, infratriennali), per lo più irrilevante.
Tale evidenza impone, a parere del collegio, un’interpretazione sistematica
e costituzionalmente orientata della normativa, improntata al canone della
ragionevolezza e proporzionalità, non potendosi ritenere che il riferimento
contenuto nell’art. 10-bis “al comma 5”, ferma l’individuazione del
limite triennale massimo di esclusione per tutte le ipotesi di gravi
illeciti professionali, ivi comprese eventuali condanne non tipizzate dal
legislatore nella loro valenza escludente, sfoci, per condanne di durata
infratriennale e non corredate dalla pena accessoria del divieto di
contrattare con la pubblica amministrazione, nella palese violazione del
principio di uguaglianza e degli stessi criteri di proporzionalità ed
armonizzazione del sistema che hanno guidato il legislatore e la
giurisprudenza in materia.
Si noti, ad esempio, che la stessa pronuncia C.G.A.S. n. 326/2021, che ha
fatto applicazione di un termine triennale di esclusione per le condanne
integranti gravi illeciti professionali, lo ha motivato precisando che non
si può “logicamente consentire un trattamento giuridico più favorevole
alle situazioni nelle quali intervengano condanne ostative (per le quali è
pacifica la limitazione del periodo di inibizione e dunque la rilevanza
temporale della condanna, ex art. 80, co. 10 e 10-bis, primo periodo, del
Codice) rispetto situazioni diverse, assoggettabili ad una valutazione
discrezionale della stazione appaltante”; si ribadisce che, nello
specifico caso della sentenza del C.G.R.S., il risultato è stato comunque
l’esclusione della rilevanza della condanna in contestazione.
Pertanto, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata e
sistematica della normativa, nonché del principio di proporzionalità di
derivazione eurounitaria che pure governa la materia, il Collegio, ritiene
che il termine di tre anni di cui al comma 10-bis sia applicabile agli
illeciti professionali contrattuali e alle condanne superiori ai tre anni
stessi, mentre laddove la durata della condanna comminata sia inferiore ai
tre anni non potrà che applicarsi il criterio del primo periodo del citato
comma 10-bis, che impone una esclusione pari alla durata della pena dal
passaggio in giudicato della sentenza.
Nel caso di specie, pertanto, si ritiene che il periodo di rilevanza
escludente della condanna per il reato di cui all’art. 477 c.p. sia già
decorso, in quanto trattavasi di condanna di durata pari a due mesi e venti
giorni, passata in giudicato nel 2018
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 02.12.2021 n. 1108 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2021 |
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APPALTI: Legittimità
della esclusione da una gara, congiunta di un consorzio stabile e di due
consorziate non designate esecutrici.
---------------
●
Processo amministrativo – Rito appalti – Aggiudicazione – Impugnazione – Non
finalizzata a ottenere la rinnovazione della gara – Legittimazione –
Condizione
●
Processo amministrativo – Rito appalti – Impugnazione atti conseguenti
all’esclusione dalla gara – Limiti.
●
Contratti della Pubblica amministrazione - Gara - Divieto di partecipazione
del consorzio stabile e della consorziata non indicata quale esecutrice –
Ratio.
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Consorzi stabili - Soggetto
distinto dai consorziati- Conseguenza.
●
L'impugnazione dell’aggiudicazione non finalizzata a ottenere la
rinnovazione della gara dev’essere sorretta, per essere ritenuto
ammissibile, dalla c.d. prova di resistenza e, cioè, dalla dimostrazione a
priori che, se le operazioni si fossero svolte correttamente, la ricorrente
sarebbe risultata con certezza aggiudicataria.
●
Se il ricorrente intende contestare provvedimenti lesivi (quali la
segnalazione all’ANAC e l’incameramento della cauzione), che discendono
direttamente dalla disposta esclusione, non rileva la circostanza che non
abbia articolato censure avverso il provvedimento conclusivo della gara (o
che la relativa impugnazione sia irrituale), in quanto va, comunque,
riconosciuta la sussistenza di un interesse (patrimoniale e/o morale) a
contestare l’esclusione (1).
●
L’automatico divieto di partecipazione a una gara, tanto a carico del
consorzio stabile quanto della consorziata non indicata quale esecutrice,
può giustificarsi solo laddove un’indagine in concreto dimostri che il
rapporto fra i relativi organi conduca a individuare un unico centro
decisionale; la mera partecipazione dell’impresa a un determinato consorzio
stabile non può fornire elementi univoci in tal senso, tali da fondare una
vera e propria praesumptio juris et de jure, che si traduce in una sorta di
sillogismo categorico circa l’esistenza di un’unicità di rapporti fra
consorzio stabile e proprie consorziate.
●
Il Consorzio stabile, il quale partecipa a una gara d’appalto in
proprio deve ritenersi -in linea di principio- un soggetto distinto dai
consorziati, con conseguente irragionevolezza, sotto il profilo della
sproporzione, dell’esclusione automatica di tutti i soggetti imprenditoriali
che ne fanno parte non designati quali esecutori. Rimane salvo il
potere/dovere della stazione appaltante di verificare l’esistenza in
concreto di un collegamento tra il Consorzio stabile e le imprese
consorziate o tra queste ultime che possa fare ritenere che le offerte sono
espressione di un unico centro decisionale con conseguente alterazione della
concorrenza; non sono, invece, ammissibili meccanismi automatici i quali
sono sproporzionati.
---------------
(1) Ha chiarito la Sezione che qualora s’imponesse, in tali casi,
la contestazione dell’aggiudicazione, si attiverebbe un circuito vizioso,
che si tradurrebbe nella lesione del diritto alla tutela giudiziaria, in
quanto il concorrente: da un lato, non potrebbe contestare solo ed
esclusivamente la propria estromissione dalla gara; dall’altro lato,
non avrebbe nemmeno titolo per contrastare la propria iscrizione all’ANAC,
perché questa deriva in via automatica e obbligata dall’esclusione (e dalla
conseguente segnalazione).
Il TAR ha rilevato che esiste un contrasto tra l'orientamento maggioritario
accolto e quello minoritario secondo cui l'onere di indicare l’impresa
consorziata per la quale il consorzio stabile concorre costituisce
adempimento necessario al fine di evitare il divieto di partecipazione alla
gara e che solo tale specifica indicazione consente di superare la
necessaria presunzione di conflitto d’interessi derivante dalla
contemporanea partecipazione di una consorziata tramite il consorzio e in
un’altra forma.
Il TAR ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 23.12.2009,
Serrantoni, C-376/08 nella quale si è affermato che la previsione
dell’esclusione automatica del consorzio stabile e delle imprese che lo
compongono, le quali hanno partecipato in concorrenza alla stessa procedura
di affidamento di un pubblico appalto, viola i principi del Trattato in
quanto pone una presunzione assoluta d’interferenza reciproca anche nel caso
in cui il primo non sia intervenuto nel procedimento per conto delle seconde
e non consente agli operatori di dimostrare che le loro offerte sono state
formulate in modo pienamente indipendente.
In tale sentenza si è affermato che il diritto comunitario dev’essere
interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che dispone
l’esclusione automatica dalla partecipazione alle procedura di gara e
l’irrogazione di sanzioni penali nei confronti tanto del consorzio stabile
quanto delle imprese che ne sono membri, le quali hanno presentato offerte
concorrenti nell’ambito dello stesso procedimento, anche quando l’offerta di
detto consorzio non sia stata presentata per conto e nell’interesse di tali
imprese (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 30.11.2021 n. 3318 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
2. Sempre in via preliminare va esaminata l’eccezione di carenza
d’interesse, conseguente alla mancata dimostrazione del conseguimento
dell’aggiudicazione in caso di ammissione alla gara, che è stata valorizzata
in sede di rigetto della sospensiva, ma che il CGA, accogliendo l’appello
cautelare, ha invitato ad approfondire.
Il collegio, dopo attenta riflessione, ritiene fondata l’eccezione con
riferimento alla parte del ricorso avente ad oggetto l’aggiudicazione, ma
non anche per quella riferita all’esclusione.
2.1 Per quanto riguarda la prima, è jus receptum in giurisprudenza il
principio secondo cui, in materia di appalti, l’interesse all’impugnativa
deve manifestare la sua concretezza, nel senso che l’annullamento degli atti
gravati deve risultare idoneo ad arrecare al ricorrente un’effettiva
utilità, con la conseguenza che il gravame dell’aggiudicazione, che non sia
finalizzato ad ottenere la rinnovazione della gara, dev’essere sorretto, per
essere ritenuto ammissibile, dalla c.d. prova di resistenza e, cioè, dalla
dimostrazione a priori che, se le operazioni si fossero svolte
correttamente, la ricorrente sarebbe risultata con certezza aggiudicataria
(in termini Consiglio di Stato, III, 09.03.2020, n. 1710 con richiami a V,
26.04.2018, n. 2534; III, 17.12.2015, n. 5717 e 08.09.2015, n. 4209).
Nella fattispecie in esame, il criterio di aggiudicazione scelto dalla
stazione appaltante era quello del minor prezzo (vedi art. A4 della lettera
d’invito), relativamente al quale la posizione in graduatoria delle offerte
non seguiva a una valutazione di carattere tecnico-discrezionale, bensì a un
mero riscontro automatico dell’offerta economica.
Pur essendo vero che tale riscontro può essere effettuato anche dal giudice
amministrativo, è, però, necessario che questi sia posto nelle condizioni di
effettuare la prova di resistenza con l’indicazione del ribasso offerto
dall’impresa esclusa, così da verificare se lo stesso è maggiore di quello
indicato dall’aggiudicataria e dar atto che, in caso di annullamento
dell’esclusione, si ha la certezza dell’aggiudicazione (in modo automatico)
della gara (Consiglio di Stato, V, 13.11.2020, n. 7000).
Nella specie la ricorrente sostiene labialmente di aver prodotto la offerta,
ma questa non risulta dai documenti allegati; non ha, peraltro, nemmeno
indicato il ribasso negli scritti difensivi, in quanto si è limitata ad
affermare che “con la riammissione in gara può legittimante anche
aspirare ad un ricalcolo della soglia atteso che ancora non si è
perfezionata l’aggiudica a favore della contro interessata”.
Ne deriva che questo giudice non è nelle condizioni di verificare la
sussistenza dell’interesse all’impugnazione dell’aggiudicazione che,
peraltro, la stessa ricorrente ha ancorato a un presupposto in fatto (ricalcolo
della soglia) che non può realizzarsi, in quanto in contrasto con l’art. 95,
comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016; il ricorso va, pertanto, come detto,
dichiarato inammissibile per la parte in cui ha ad oggetto l’aggiudicazione.
2.2. A diversa conclusione deve, però, giungersi relativamente
all’impugnazione dell’esclusione, la quale costituisce l’oggetto principale
del giudizio, in quanto, come chiarito negli scritti difensivi, il bene
della vita a cui aspira la ricorrente è quello di evitare l’annotazione nel
casellario informatico dell’ANAC.
Va, sotto tale profilo, richiamato il condiviso orientamento
giurisprudenziale secondo cui, qualora il ricorrente intenda contestare (ma
anche prevenire l’adozione di, ndr) provvedimenti lesivi (quali la
segnalazione all’ANAC e l’incameramento della cauzione), che discendono
direttamente dalla disposta esclusione, non rileva la circostanza che non
abbia articolato censure avverso il provvedimento conclusivo della gara (o
che la relativa impugnazione sia irrituale, ndr), in quanto va, comunque,
riconosciuta la sussistenza di un interesse (patrimoniale e/o morale) a
contestare l’esclusione (per tutte Consiglio di Stato, IV, 29.07.2016, n.
3433).
Deve, peraltro, per completezza rilevarsi che, qualora s’imponesse, in casi
analoghi a quelli in esame, la contestazione dell’aggiudicazione, si
attiverebbe un circuito vizioso, che si tradurrebbe nella lesione del
diritto alla tutela giudiziaria, in quanto il concorrente: da un lato, non
potrebbe contestare solo ed esclusivamente la propria estromissione dalla
gara; dall’altro lato, non avrebbe nemmeno titolo per contrastare la propria
iscrizione all’ANAC, perché questa deriva in via automatica e obbligata
dall’esclusione (e dalla conseguente segnalazione).
Ne consegue che, come anticipato, il ricorso va ritenuto ammissibile per la
parte avente ad oggetto l’esclusione.
...
4. Ciò posto in rito, può procedersi all’esame dell’unico motivo di ricorso,
avente ad oggetto l’insussistenza dei presupposti per l’esclusione dalla
gara, che è fondato.
Invero, l’estromissione è avvenuta in applicazione dell’art. 48, comma 7,
secondo periodo del d.lgs. n. 50 del 2016 a seguito dell’accertamento, da
parte del seggio di gara, della partecipazione sia del Consorzio Stabile CIS,
il quale non aveva designato nessuna esecutrice, che delle imprese
consorziate “N. st.” s.r.l. (ricorrente) e “Pe. co.” s.r.l..
Orbene, la disposizione succitata, dopo avere disposto che i concorrenti non
possono partecipare alla gara in forma individuale e in raggruppamento o
consorzio ordinario di concorrenti, statuisce che:
- i consorzi stabili sono tenuti a indicare, in sede di offerta,
per quali consorziati concorrono;
- a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi
altra forma, alla medesima gara;
- in caso di violazione sono esclusi dalla gara sia il consorzio
che il consorziato e si applica l’articolo 353 del codice penale.
In ordine all’interpretazione di tale disposizione si riscontrano due
orientamenti giurisprudenziali, di cui il primo trova espressione nella
sentenza del TAR Emilia Romagna n. 851 del 2019 (richiamata dalla stazione
appaltante e dalla controinteressata) nella quale si è affermato che l’onere
di indicare l’impresa consorziata per la quale il consorzio stabile concorre
costituisce adempimento necessario al fine di evitare il divieto di
partecipazione alla gara e che solo tale specifica indicazione consente di
superare la necessaria presunzione di conflitto d’interessi derivante dalla
contemporanea partecipazione di una consorziata tramite il consorzio e in
un’altra forma. Si è, altresì, rilevato che si tratta di una disciplina che
segna un punto di equilibrio tra il principio di garanzia della genuinità
delle offerte e quello di libertà d’impresa, tenuto conto di quelli
ulteriori di libera concorrenza in ambito europeo.
A tale orientamento si contrappone quello secondo cui l’automatico divieto
di partecipazione a una gara, tanto a carico del consorzio stabile quanto
della consorziata non indicata quale esecutrice, potrebbe giustificarsi solo
laddove un’indagine in concreto dimostri che il rapporto fra i relativi
organi conduca a individuare un unico centro decisionale e la mera
partecipazione dell’impresa a un determinato consorzio stabile non può
fornire elementi univoci in tal senso, tali da fondare una vera e propria
praesumptio juris et de jure, che si traduce in una sorta di sillogismo
categorico circa l’esistenza di un’unicità di rapporti fra consorzio stabile
e proprie consorziate (in termini Consiglio di Stato, V, 16.02.2015, n.
801).
Il collegio, dopo attenta riflessione, ritiene di aderire al secondo
orientamento per le ragioni indicate nel precedente succitato, alle quali
vanno aggiunte le seguenti.
Deve, in primo luogo, rilevarsi che, prima dell’adozione del codice degli
appalti, la fattispecie in questione era disciplinata dall’art. 36, quinto
comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 (codice dei contratti) il quale, nella sua
versione originaria, antecedente alle modifiche apportate dall’art. 2, comma
1, lettera f, del d.lgs. n. 152 del 2008, conteneva un divieto generalizzato
di “partecipazione alla medesima procedura di affidamento del consorzio
stabile a dei consorziati” con comminatoria di applicazione dell’art.
353 c.p. in caso di inosservanza.
In ordine a tale disposizione è intervenuta la Corte di giustizia UE che,
con la sentenza 23.12.2009, Serrantoni, C-376/08, ha affermato che la
previsione dell’esclusione automatica del consorzio stabile e delle imprese
che lo compongono, le quali hanno partecipato in concorrenza alla stessa
procedura di affidamento di un pubblico appalto, viola i principi del
Trattato in quanto pone una presunzione assoluta d’interferenza reciproca
anche nel caso in cui il primo non sia intervenuto nel procedimento per
conto delle seconde e non consente agli operatori di dimostrare che le loro
offerte sono state formulate in modo pienamente indipendente.
Ha, altresì, affermato che il conseguente obbligo assoluto di esclusione
gravante sulle stazioni appaltanti è in contrasto con l’interesse
comunitario a che sia garantita la partecipazione più ampia possibile di
offerenti a una gara d’appalto e va oltre quanto necessario per raggiungere
l’obbiettivo consistente nel garantire l’applicazione dei principi di parità
di trattamento e di trasparenza.
Ha concluso nel senso che il diritto comunitario dev’essere interpretato nel
senso che esso osta a una normativa nazionale che dispone l’esclusione
automatica dalla partecipazione alle procedura di gara e l’irrogazione di
sanzioni penali nei confronti tanto del consorzio stabile quanto delle
imprese che ne sono membri, le quali hanno presentato offerte concorrenti
nell’ambito dello stesso procedimento, anche quando l’offerta di detto
consorzio non sia stata presentata per conto e nell’interesse di tali
imprese.
Giova rilevare che i su riportati principi sono conformi alla giurisprudenza
costante della Corte di Giustizia UE secondo cui l’esclusione automatica di
candidati o di offerenti che si trovino in una situazione di controllo o di
collegamento con altri offerenti eccede quanto necessario per prevenire
comportamenti collusivi e, pertanto, per garantire l’applicazione del
principio della parità di trattamento e il rispetto dell’obbligo di
trasparenza (v., in tal senso, sentenze del 19.05.2009, Assitur, C-538/07,
EU:C:2009:317, punto 28; del 23.12.2009, Serrantoni e Consorzio stabile
edili, C-376/08, EU:C:2009:808, punti 38 e 40, nonché del 22.10.2015,
Impresa Edilux e SICEF, C-425/14, EU:C:2015:721, punti 36 e 38).
Essi sono stati di recente ribaditi nella sentenza dell’08.02.2018, Lloyd’s
of London, C-144/17 in cui si è affermato che l’esclusione automatica
costituisce una presunzione assoluta d’interferenza reciproca nelle
rispettive offerte, per uno stesso appalto, d’imprese legate da una
situazione di controllo o di collegamento, la quale, in quanto esclude la
possibilità di dimostrare l’indipendenza delle loro offerte, è in contrasto
con l’interesse dell’Unione a che sia garantita la partecipazione più ampia
possibile di offerenti a una gara d’appalto (v. punto 36).
Si è, altresì, affermato che il rispetto del principio di proporzionalità
richiede che l’amministrazione aggiudicatrice sia tenuta a esaminare e
valutare i fatti, al fine di accertare se il rapporto sussistente tra due
entità abbia esercitato un’influenza concreta sul rispettivo contenuto delle
offerte depositate nell’ambito di una medesima procedura di aggiudicazione
pubblica, e la constatazione di una simile influenza, in qualunque forma, è
sufficiente affinché le suddette imprese possano essere escluse dalla
procedura (v. punto 38).
Le conclusioni a cui è giunta la Corte di Giustizia, nella succitata
sentenza 23.12.2009, Serrantoni, C-376/08, sono, a ben vedere, pienamente
coerenti con la peculiare natura dei consorzi stabili, i quali, secondo la
definizione data dall’art. 45, comma 2, lettera c), del d.lgs.vo n. 50 del
2016, sono soggetti formati da non meno di tre imprenditori consorziati che,
con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, hanno stabilito di
operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per un periodo
di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune
struttura di impresa.
Trattasi, pertanto, di aggregazioni durevoli di vari soggetti
imprenditoriali, che possiedono autonoma personalità e operano all’esterno
come un’unica impresa distinta da quella dei consorziati, le quali si
differenziano dai consorzi ordinari e dai raggruppamenti temporanei in
quanto sono astrattamente idonei a operare con un’autonoma struttura di
impresa e sono, pertanto, capaci di eseguire, anche in proprio, le
presentazioni previste nel contratto, ferma restando, ovviamente, la facoltà
di demandare l’esecuzione, nei limiti consentiti, alle consorziate (in
termini, recentemente, Consiglio di Stato, VI, 13.10.2020, n. 6165 e III,
04.02.2019, n. 865).
Ne consegue che il Consorzio stabile, il quale partecipa a una gara
d’appalto in proprio deve ritenersi -in linea di principio- un soggetto
distinto dai consorziati, con conseguente irragionevolezza, sotto il profilo
della sproporzione, dell’esclusione automatica di tutti i soggetti
imprenditoriali che ne fanno parte non designati quali esecutori.
Rimane ovviamente salvo il potere/dovere della stazione appaltante di
verificare l’esistenza in concreto di un collegamento tra il Consorzio
stabile e le imprese consorziate o tra queste ultime che possa fare ritenere
che le offerte sono espressione di un unico centro decisionale con
conseguente alterazione della concorrenza; non sono, invece, ammissibili
meccanismi automatici i quali sono, come detto, sproporzionati.
Nella fattispecie in esame il Consorzio stabile CIS ha partecipato in
proprio senza designare imprese consorziate e la stazione appaltante non ha
individuato elementi indiziari plurimi, precisi e concordanti atti a
suffragare il giudizio di riconducibilità dell’offerta presentata dalla
consorziata NG strade s.r.l. a un unico centro decisionale, cosicchè la
disposta esclusione automatica deve ritenersi illegittima
(TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 30.11.2021 n. 3318 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Il
provvedimento favorevole annullato tra legittimo affidamento, buona fede,
correttezza, illegittimità evidente e responsabilità: la pronuncia della
Plenaria.
L’Adunanza plenaria tratteggia perimetro, presupposti e limiti della
responsabilità della p.a. discendente dal ragionevole affidamento del
privato in ordine al legittimo esercizio del potere pubblico e all’operato
della pubblica amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona
fede, anche nell’ipotesi di provvedimento favorevole successivamente
annullato.
---------------
Pubblica amministrazione – Violazione dei canoni generali di correttezza
e buona fede – Responsabilità civile – Presupposti e limiti
L’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di
diritto:
a) “Nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti al pubblico
potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio
di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di
correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo
per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica, ma anche per il
caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi”.
b) “La responsabilità dell’amministrazione per lesione
dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento
favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua
legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in
caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia
conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento”.
c) “Nel settore delle procedure di affidamento di contratti
pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante
dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e
buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole
affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado
di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta
inficiato da colpa” (1).
---------------
(1) I. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato -alla quale la
seconda sezione del Consiglio di Stato con
ordinanza 06.04.2021, n. 2753
(oggetto della
News US in data 04.05.2021) aveva deferito alcune questioni
interpretative- con
articolata motivazione ha perimetrato la configurabilità dell’affidamento
del privato
sull’operato della p.a. e la connessa responsabilità di quest’ultima anche
in relazione alle
procedure riguardanti i contratti pubblici e in ipotesi di annullamento di
provvedimento
favorevole.
II. – La vicenda contenziosa che ha condotto al giudizio dinanzi al
giudice d’appello si è
articolata nelle fasi di seguito descritte:
a) all’esito dell’aggiudicazione di una gara
disposta dal Comune di Carinola, taluni
soggetti partecipanti alla medesima gara hanno proposto domanda di
annullamento, la quale è stata rigettata con sentenza del Tar per la
Campania,
sez. VIII, 20.07.2007, n. 6857;
b) tale sentenza è stata riformata dal Consiglio
di Stato (sez. V, 09.12.2008, n.
6058), con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado ed
annullamento
dell’aggiudicazione;
c) il Comune ha, quindi, preso atto della
pronuncia di annullamento ed ha, a sua
volta, formalmente revocato l’aggiudicazione definitiva della gara;
d) con successivo ricorso, l’originaria aggiudicataria ha chiesto
condannarsi
l’amministrazione al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale,
limitato al solo interesse negativo: in accoglimento della stessa domanda,
con
sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, 03.10.2012, n. 4017, il
Comune di
Carinola ‒in considerazione che l’affidamento asseritamente ingenerato si
sostanzierebbe nella buona fede dell’impresa interessata all’effettivo
conseguimento dell’utilitas rappresentata dall’aggiudicazione e che siffatto
affidamento sarebbe derivato da un comportamento colpevole dell’ente
pubblico‒ è stato condannato al risarcimento del danno, con quantificazione della
somma
dovuta ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a.;
e) la parte pubblica ha, quindi, proposto appello avverso detta sentenza
censurandone la statuizione di condanna per equivalente e, nel relativo
giudizio,
si è innestato il deferimento all’Adunanza plenaria di cui trattasi.
III. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria giunge alla
elaborazione delle
massime riportate sulla base del seguente percorso argomentativo:
f) sulla possibilità che il provvedimento
amministrativo possa essere per il soggetto
beneficiario fonte di un “legittimo e qualificato affidamento”, la cui
lesione per effetto
del successivo annullamento in sede giurisdizionale lo legittimi a domandare
il
risarcimento del danno nei confronti dell’amministrazione:
f1) l’affidamento nella legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione e
più in generale sulla correttezza del suo operato è riconosciuto dalla
risalente giurisprudenza dell’Adunanza plenaria come situazione giuridica
soggettiva tutelabile attraverso il rimedio del risarcimento del danno;
f2) l’affermazione di principio può essere fatta risalire alla sentenza del
05.09.2005, n. 6 (in Foro it., 2009, III, 124; Cons. Stato, 2005, I,
1440, con
nota di RUBULOTTA): nell’applicare le norme sull’evidenza pubblica la p.a. è
soggetta alle “norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal
diritto comune”;
f3) malgrado la legittimità dell’intervento in autotutela, l’Adunanza
plenaria
ha riconosciuto il risarcimento per la lesione dell’affidamento maturato
dall’aggiudicataria sulla conclusione del contratto, una volta che la sua
offerta era stata selezionata in gara come la migliore ed era stato emesso a
suo favore il provvedimento definitivo;
f4) negli stessi termini l’Adunanza plenaria si è più di recente espressa
con la
sentenza 04.05.2018, n. 5 (in Foro it., 2018, III, 453, con nota di
MIRRA; Giur. it., 2018, 1983, con nota di COMPORTI; Corriere giur., 2018,
1547, con nota di TRIMARCHI BANFI; Urbanistica e appalti, 2018, 639, con
nota di GIAGNONI; Appalti & Contratti, 2018, 5, 67 (m), con nota di
USAI; Guida al dir., 2018, 23, 88, con nota di CLARICH, FONDERICO; Resp.
civ. e prev., 2018, 1594, con nota di FOÀ, RICCIARDO CALDERARO; Rass.
avv. Stato, 2019, 1, 160, con nota di IZZI; Riv. trim. appalti, 2019, 1071,
con
nota di BEVIVINO, nonché oggetto della
News US 09.05.2018);
f5) secondo i principi formulati nei precedenti ora richiamati, le regole di
legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani
distinti:
I) uno relativo alla validità degli atti amministrativi;
II) l’altro
concernente
invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di
protezione in favore della controparte;
f6) oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in
rapporto di
pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti
impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità
per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi:
l’”ordinaria
possibilità che una responsabilità da comportamento scorretto sussista
nonostante
la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il
procedimento” è
stata in particolare affermata dalla citata pronuncia Cons. Stato, Ad. plen.
04.05.2018, n. 5, cit., in cui si è anche precisato che la responsabilità
precontrattuale dell’amministrazione nelle procedure di affidamento di
contratti pubblici è una responsabilità “da comportamento illecito, che
spesso
non si traduce in provvedimenti illegittimi, ma, per molti versi, presuppone
la
legittimità dei provvedimenti che scandiscono la parabola procedurale”;
f7) più di recente è stato affermato, su un piano generale, che
l’affidamento “è
un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di
una
attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario
l’aspettativa
al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale
attività”
(Cons. Stato, sez. VI, 13.08.2020, n. 5011): pur sorto nei rapporti di
diritto
civile, con lo scopo di tutelare la buona fede ragionevolmente riposta
sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella
reale, da altri creata (e di cui sono applicazioni concrete, tra le altre,
la
“regola possesso vale titolo” ex art. 1153 cod. civ., l’acquisto dall’erede
apparente di cui all’art. 534 cod. civ., il pagamento al creditore apparente
ex
art. 1189 cod. civ. e l’acquisto di diritto di diritti dal titolare
apparente ex
artt. 1415 e 1416 cod. civ.), l’affidamento è ormai considerato canone
ordinatore anche dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di
diritto amministrativo, ossia quelli che si instaurano nell’esercizio del
potere pubblico, sia nel corso del procedimento amministrativo sia dopo
che sia stato emanato il provvedimento conclusivo;
f8) a conferma della descritta evoluzione si pone l’art. 1, comma 2-bis,
della l.
n. 241 del 1990, il quale dispone che: “(i) rapporti tra il cittadino e la
pubblica
amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della
buona
fede” (comma aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera 0a), legge 11.09.2020, n. 120; di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione
digitali”);
f9) la disposizione ora richiamata ha positivizzato una regola di carattere
generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento
nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma
2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il
procedimento amministrativo è il luogo di composizione del conflitto tra
l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati,
coinvolti
nell’esercizio del primo:
I) per il migliore esercizio della discrezionalità
amministrativa il procedimento necessita pertanto dell’apporto dei soggetti
a vario titolo interessati, nelle forme previste l. n. 241 del 1990;
II) concepito
in questi termini, il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo
buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una
relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata;
III) in
ragione di ciò esso si rivolge all’amministrazione e ai soggetti che a vario
titolo intervengono nel procedimento;
IV) a fronte del dovere di
collaborazione e di comportarsi secondo buona fede possono pertanto
sorgere aspettative, che per il privato istante si indirizzano all’utilità
derivante dall’atto finale del procedimento, la cui frustrazione può essere
per l’amministrazione fonte di responsabilità;
V) inoltre la lesione
dell’aspettativa può configurarsi non solo in caso di atto legittimo, ma
anche nel caso di atto illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale;
VI) anche in questa seconda ipotesi può infatti darsi il caso che il
soggetto
beneficiario dell’atto per sé favorevole abbia maturato un’aspettativa
ragionevole alla sua stabilità, che dunque può essere ingiustamente lesa per
effetto dell’annullamento in sede giurisdizionale;
g) sui limiti entro cui può essere riconosciuto
il risarcimento per lesione
dell’affidamento, con particolare riguardo all’ipotesi di aggiudicazione di
appalto,
successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale:
g1) si tratta del settore dell’attività della pubblica amministrazione in
cui
tradizionalmente e più volte è stata riconosciuta la responsabilità di
quest’ultima: le ragioni alla base dell’orientamento di giurisprudenza
favorevole al privato venutosi a creare in questo settore si spiega sulla
base
del fatto che, sebbene svolta secondo i moduli autoritativi ed impersonali
dell’evidenza pubblica, l’attività contrattuale dell’amministrazione è nello
stesso tempo inquadrabile nello schema delle trattative pre-negoziali, da
cui
deriva quindi l’assoggettamento al generale dovere di “comportarsi secondo
buona fede” enunciato dall’art. 1337 del codice civile (come chiarito
dall’Adunanza plenaria nelle sopra citate pronunce del 05.09.2005, n.
6, e del 04.05.2018, n. 5, citt.);
g2) per comune acquisizione di diritto civile, la tutela risarcitoria per
responsabilità precontrattuale è posta a presidio dell’interesse a non
essere
coinvolto in trattative inutili, e dunque del più generale interesse di
ordine
economico a che sia assicurata la serietà dei contraenti nelle attività
preparatorie e prodromiche al perfezionamento del vincolo negoziale: la
reintegrazione per equivalente è pertanto ammessa non già in relazione
all’interesse positivo, corrispondente all’utile che si sarebbe ottenuto
dall’esecuzione del contratto, riconosciuto invece nella responsabilità da
inadempimento, ma dell’interesse negativo, con il quale sono ristorate le
spese sostenute per le trattative contrattuali e la perdita di occasioni
contrattuali alternative, secondo la dicotomia ex art. 1223 cod. civ. danno
emergente–lucro cessante;
g3) applicata all’evidenza pubblica, la responsabilità precontrattuale
sottopone
l’amministrazione alla duplice soggezione alla legittimità amministrativa e
agli obblighi di comportamento secondo correttezza e buona fede, i quali
costituiscono, come in precedenza esposto, profili tra loro autonomi, e da
cui può rispettivamente derivare l’annullamento degli atti adottati nella
procedura di gara e le responsabilità per la sua conduzione (da ultimo in
questo senso: Cons. Stato, sez. V, 12.07.2021, n. 5274; 12.04.2021,
n.
2938; 02.02.2018, n. 680);
g4) nei rapporti di diritto civile, affinché un affidamento sia legittimo
occorre
tuttavia che esso sia fondato su un livello di definizione delle trattative
tale
per cui la conclusione del contratto, di cui sono già stati fissati gli
elementi
essenziali, può essere considerato come uno sbocco prevedibile, e rispetto
al quale il recesso dalle trattative, in linea di principio libero, risulti
invece
ingiustificato sul piano oggettivo e integrante una condotta contraria al
dovere di buona fede ex art. 1337 cod. civ. (ex multis: Cass. civ., sez. II,
15.04.2016, n. 7545; sez. III, 29.03.2007, n. 7768);
g5) analogamente, per diffusa opinione nella giurisprudenza amministrativa
(da ultimo: Cons. Stato, sez. II, 20.11.2020, n. 7237), l’affidamento
è
legittimo quando sia stata pronunciata l’aggiudicazione definitiva, cui non
abbia poi fatto seguito la stipula del contratto, ed ancorché ciò sia
avvenuto
nel legittimo esercizio dei poteri della stazione appaltante;
g6) ne discende che:
I) l’aggiudicazione è considerata il punto di emersione
dell’affidamento ragionevole, tutelabile pertanto con il rimedio della
responsabilità precontrattuale;
II) il recesso ingiustificato assume i
connotati provvedimentali tipici della revoca o dell’annullamento d’ufficio
della gara, che interviene a vanificare l’aspettativa dell’aggiudicatario
alla
stipula del contratto e che, pur legittimo, non vale quindi ad esonerare
l’amministrazione da responsabilità per avere inutilmente condotto una
procedura di gara fino all’atto conclusivo ed avere così ingenerato e fatto
maturare il convincimento della sua positiva conclusione con la stipula del
contratto d’appalto;
g7) in senso parzialmente diverso si è espressa la sentenza Cass. civ., sez.
I, 03.07.2014, n. 15260 (in Foro it., 2015, I, 643, con nota di GALLI), la
quale ha
affermato che:
I) l’affidamento del concorrente ad una procedura di
affidamento di un contratto pubblico è tutelabile “indipendentemente da un
affidamento specifico alla conclusione del contratto”;
II) la stazione
appaltante è
quindi responsabile sul piano precontrattuale “a prescindere dalla prova
dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante”;
g8) l’apparente contrasto rispetto agli approdi della giurisprudenza
amministrativa deve tuttavia essere ridimensionato: la stessa
giurisprudenza amministrativa ha negato rilievo dirimente all’intervenuta
aggiudicazione definitiva, laddove ha in particolare affermato che la
verifica di un affidamento ragionevole sulla conclusione positiva della
procedura di gara va svolta in concreto, in ragione del fatto che “il grado
di
sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca,
riflettendosi
sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una
sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello
scrutinio di fondatezza
della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale” (Cons.
Stato,
sez. V, 15.07. 2013, n. 3831, in Contratti, 2014, 146, con nota di
PASSARELLA; Rass. avv. Stato, 2014, 1, 173, con nota di ROMEO);
g9) nella medesima prospettiva di un accertamento in concreto degli elementi
costitutivi della responsabilità precontrattuale si è del resto espressa la
Plenaria con sentenza 04.05.2018, n. 5, cit., secondo cui la
responsabilità
precontrattuale può insorgere “anche prima dell’aggiudicazionee possa
derivare
non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi
comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da
condurre
necessariamente in concreto, ai più volte richiamati doveri di correttezza e
buona
fede”;
g10) più in generale, l’Adunanza plenaria ha precisato che la tutela
civilistica
della responsabilità precontrattuale, pur nel quadro del principio generale
dell’autonomia negoziale delle parti, ivi compresa l’amministrazione, opera
nel senso di assicurare la serietà delle trattative finalizzate alla
conclusione
del contratto, per cui essa costituisce il punto di equilibrio tra:
I) la
libertà
contrattuale della stazione appaltante e la discrezionalità nell’esercizio
delle
sue prerogative pubblicistiche da una parte;
II) rispetto del limite della
correttezza e della buona fede, dall’altro;
g11) individuato un primo requisito dell’affidamento tutelabile nella sua
ragionevolezza e nel correlato carattere ingiustificato del recesso, il
secondo
consiste nel carattere colposo della condotta dell’amministrazione, nel
senso che la violazione del dovere di correttezza e buona fede deve essere
imputabile quanto meno a colpa, secondo le regole generali valevoli in
materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. (in
questo
senso va ancora richiamato Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2018, n. 5, cit.);
g12) l’affidamento del concorrente, a sua volta, non deve essere inficiato
da
colpa: sul punto va richiamato l’art. 1338 cod. civ., il quale assoggetta a
responsabilità precontrattuale la “parte che, conoscendo o dovendo conoscere
l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia
all’altra
parte”, ed in base al quale viene escluso il risarcimento se la conoscenza
di
una causa invalidante il contratto è comune ad entrambe le parti che
conducono le trattative, poiché nessuna legittima aspettativa di positiva
conclusione delle trattative può mai dirsi sorta (in questo senso, di
recente:
Cass. civ, sez. lav., ordinanza 31.01.2020, n. 2316;
III, sentenza 18.05.2016, n. 10156; sentenza 05.02.2016, n. 2327);
g13) il profilo in esame ha rilievo rispetto al potere di annullamento
d’ufficio
della procedura di gara, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del
1990,
che opera in modo distinto rispetto alla revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies della medesima legge sul procedimento amministrativo, perché
interviene non già come rivalutazione dell’interesse pubblico sotteso
all’affidamento del contratto, secondo l’ampia definizione del potere di
revoca data dalla disposizione da ultimo richiamata, ma per rimuovere un
vizio di legittimità degli atti della procedura di gara: se pertanto il
motivo
di illegittimità che ha determinato la stazione appaltante ad annullare in
autotutela la gara è conoscibile dal concorrente, la responsabilità della
prima deve escludersi (in questo senso: Cons. Stato, V, 23.08.2016, n.
3674, che ha affermato al riguardo che “al fine di escludere la risarcibilità del
pregiudizio patito dal privato a causa dell’inescusabilità dell’ignoranza
dell’invalidità dell’aggiudicazione, che il giudice deve verificare in
concreto se il
principio di diritto violato sia conosciuto o facilmente conoscibile da
qualunque
cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell’univocità
dell’interpretazione
della norma di azione e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze
di fatto cui
la legge ricollega l’invalidità”);
g14) peraltro, l’elemento della colpevolezza dell’affidamento si modula
diversamente nel caso in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia
disposto d’ufficio dall’amministrazione ma in sede giurisdizionale: in
questo secondo caso emergono con tutta evidenza i caratteri di specialità
del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità
che
nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti
amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di
questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio (con
l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle
condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé
favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di
decadenza entro cui ai sensi dell’art. 29 c.p.a. l’azione deve essere
proposta,
e di difenderlo);
g15) la situazione che viene così a crearsi induce, per un verso, ad
escludere un
affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per
effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non
imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed
addirittura
da questo avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro
verso
porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica
dell’atto introduttivo del giudizio.
IV. – Si segnala, per completezza, quanto segue:
h) sulla nozione di affidamento (legittimo):
Cons. Stato, sez. II,
ordinanza 09.03.2021, n. 2013 (oggetto della
News US in data 26.03.2021), secondo cui:
h1) “l’affidamento è un istituto giuridico che taglia trasversalmente
l’intero
ordinamento giuridico e senza dubbio assume rilievo nei rapporti tra i
privati e le
pubbliche amministrazioni, anche nelle fattispecie in cui vi è esercizio di
potere di
natura pubblicistica”;
h2) l’affidamento non è “un diritto soggettivo, come, invece, autorevolmente
sostenuto da parte della giurisprudenza, bensì una situazione giuridica
soggettiva
dai tratti peculiari propri, idonea a fondare una particolare
responsabilità, che si
colloca tra il contratto e il torto civile”;
h3) “ad ogni modo, per aversi un affidamento giuridicamente tutelabile in
capo al
privato, occorre, da un lato, una condotta della pubblica amministrazione
connotata
da mala fede o da colpa in grado di far sorgere nell’interessato, versante
in una
condizione di totale buona fede, un’aspettativa al conseguimento di un bene
della
vita e, dall’altro, che la fiducia riposta da quest’ultimo in un esito del
procedimento
amministrativo a lui favorevole sia ragionevole e non colposamente assunta
come
fondata”;
h4) ”in sostanza, ai fini della sussistenza dell’affidamento, il privato che
ha interloquito
con la pubblica amministrazione non soltanto non deve averla condotta
dolosamente o colposamente in errore, ma deve aver aspettativa qualificata,
ovverosia basata su una pretesa legittima alla luce del quadro ordinamentale
applicabile al caso di specie”;
h5) “va peraltro sottolineato che, ai fini dell’affidamento, l’ipotesi di
annullamento del
provvedimento favorevole in sede giurisdizionale va tenuta chiaramente
distinta da
quella di annullamento d’ufficio in autotutela e, ancor più, dalla revoca,
atteso che,
a fronte del medesimo petitum risarcitorio, le causae petendi sono
differenti. In
questi secondi casi, infatti, l’eventuale affidamento del privato (ammesso
che vi sia)
verrebbe pregiudicato da un condotta dell’amministrazione, la quale modifica
unilateralmente, melius re perpensa o alla luce di sopravvenienze, l’assetto
d’interessi precedentemente delineato nell’esercizio del suo potere
pubblicistico,
mentre nel primo caso il potenziale affidamento verrebbe leso da un
provvedimento
promanante dal potere giurisdizionale, nei cui confronti non può esserci in
radice,
per la natura terza del giudice, alcuna aspettativa qualificata ‒e dunque
tutelabile
mediante ristoro patrimoniale‒ all’accoglimento delle proprie ragioni. Ne
discende
che l’annullamento del provvedimento amministrativo in sede giurisdizionale
non
può mai ridondare in una lesione di un affidamento legittimo, idonea a
fondare una
domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione”;
i) sul diritto al risarcimento da lesione dell’affidamento verso un
provvedimento
amministrativo illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale:
i1) per l’indirizzo non favorevole:
I) Cons. Stato, sez. IV, sentenza 29.10.2014, n. 5346, in Urbanistica e appalti, 2015, 181, con nota di D'ANGELO,
secondo cui “Posto che anche nel diritto amministrativo sono applicabili i
principi
generali in virtù dei quali l'ignoranza della legge non scusa e non può
fondatamente
chiedere il risarcimento dei danni chi ne abbia con sua colpa cagionato la
sua
verificazione, non può dolersi di aver subìto un danno chi -per una
qualsiasi
evenienza e con un provvedimento espresso, ovvero a seguito di un silenzio-assenso
o una s.c.i.a.- abbia ottenuto un titolo abilitativo presentando un
progetto
oggettivamente non assentibile: in tal caso, infatti, il richiedente sotto
il profilo
soggettivo ha manifestato quanto meno una propria colpa (nel presentare il
progetto
assentibile soltanto contra legem) e sotto il profilo oggettivo attiva con
efficacia
determinante il meccanismo causale idoneo alla verificazione del danno (in
applicazione del principio di diritto enunciato è stata rigettata la domanda
di
risarcimento del danno avanzata dal costruttore che si lamentava del ritardo
dell'amministrazione comunale nel pronunciarsi sulle istanze di condono
avanzate
conseguentemente all'annullamento in sede giurisdizionale delle concessioni
edilizie inizialmente assentite, ancorché presentate in contrasto con gli
strumenti
urbanistici)”;
II) Cons. Stato, sez. V, 17.01.2014, n. 183 (in
Giornale
dir. amm., 2014, 704, con nota di MAGRI; Guida al dir., 2014, 7, 66, con
nota
di CORRADO; Danno e resp., 2014, 939, con nota di MAZZOLA), secondo
cui “In tema di lesione dell'interesse legittimo imputato ad un
provvedimento
favorevole illegittimo che venga successivamente annullato in sede
giurisdizionale,
e in assenza di altra statuizione di legge, trovano applicazione i principi
relativi
all'illecito aquiliano”;
i2) per l’indirizzo favorevole:
I) Cons. Stato, sez. IV, 20.12.2017,
n.
5980, in Foro amm., 2017, 2384, secondo cui “Quando il risarcimento è
fondato
sulla lesione dell'affidamento in conseguenza dell'emanazione di un atto
illegittimo
perché annullato in autotutela o in via giurisdizionale, non ci si duole del
danno
derivante dall'illegittimo esercizio di un potere amministrativo in senso
sfavorevole
al privato, bensì di un comportamento conseguenza del precedente esercizio
del
potere amministrativo in favore del danneggiato; pertanto, il provvedimento
amministrativo -che aveva concesso il diritto ad edificare e che, perché
illegittimo,
legittimamente è stato posto nel nulla e quindi non rileva più come
provvedimento
che rimuove un ostacolo all'esercizio di un diritto- continua a rilevare
per i proprietario del fondo o il titolare di altro diritto, che lo abiliti
a costruire sul fondo,
esclusivamente quale mero comportamento degli organi che hanno provveduto al
suo rilascio, integrando così, ex art. 2043 c.c., gli estremi di un atto
illecito per
violazione del principio del neminem laedere, imputabile alla p.a. e in
virtù del
principio di immedesimazione organica, per avere tale atto con la sua
apparente
legittimità ingenerato nel suo destinatario l'incolpevole convincimento,
avendo
questo il diritto di fare affidamento sulla legittimità dell'atto
amministrativo e,
quindi, sulla correttezza dell'azione amministrativa) di poter
legittimamente
procedere alla edificazione del fondo”;
II) Tar per la Campania, sez.
VIII, 03.10.2012, n. 4017 (in Urbanistica e appalti, 2013, 93, con nota di
CAPUTO), secondo cui “La colpevole negligenza nella stesura del bando, causa
d'annullamento dell'aggiudicazione, integra gli estremi della responsabilità
precontrattuale della stazione appaltante”;
III) Cons. Stato, sez. VI, 05.09.2011, n. 5002 (in Urbanistica e appalti, 2012, 66, con nota
di QUADRI; Giornale dir. amm., 2012, 493 (m), con nota di VITALE),
secondo cui “Anche se la revoca della gara è legittima, sussiste tuttavia la
responsabilità precontrattuale della p.a. per la violazione dei doveri di
lealtà e di
buona fede di cui all'art. 1337 c.c., a causa degli affidamenti ingenerati
nei
concorrenti, che solo a procedura quasi ultimata hanno appreso delle
risalenti intese
tra i ministeri che hanno condotto all'esito contestato, perché, subito dopo
la
pubblicazione del bando di gara, era già emerso un orientamento
oggettivamente
contrastante con le scelte operate e sfociate nell'indizione della gara, più
volte
rinviata, fino alla revoca”;
i3) con specifico riferimento all’annullamento giurisdizionale di una
concessione edilizia per la realizzazione di un nuovo fabbricato in luogo di
quello precedente, su ricorso di alcuni titolari di immobili situati nelle
vicinanze, cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 19, coeva alla
pronuncia in rassegna, resa all’esito di deferimento disposto con ordinanza
Cons. Stato, sez. II, 09.03.2021, n. 2013, cit.;
j) sul legittimo affidamento come elemento
fondamentale e indispensabile dello
Stato di diritto, cfr. in particolare:
j1) Corte cost., 09.05.2019, n. 108, in Giur. it., 2019, 2236, con nota
di
PAGANO; Giur. cost., 2019, 1341, con nota di MABELLINI;
j2) Corte cost., 27.06.2017, n. 149, in Giur. cost., 2017, 1837, con
nota di
TRIVELLIN;
j3) Corte cost., 12.04.2017, n. 73;
j4) Corte cost., 24.01.2017, n. 16, in Ambiente, 2017, 203, con nota di
SPINA;
j5) Corte cost., 21.07.2016, n. 203, in Rass. dir. farmaceutico, 2016,
789;
j6) Corte cost., 05.11.2015, n. 216, in Foro it., 2015, I, 3769;
j7) Corte cost., 31.05.2015, n. 56, in Foro it., 2015, I, 1903;
j8) Corte cost., 27.06.2012, n. 166, in Foro it., 2012, I, 2229;
j9) Corte cost., 22.10.2010, n. 302, in Foro it., 2011, I, 327;
j10) Corte cost., 24.07.2009, n. 236, in Foro it., 2009, I, 2921, con
nota di
ROMBOLI;
j11) Corte cost., 09.07.2009, n. 206, in Corriere giur., 2010, 323, con
nota di
RIZZO;
j12) Corte cost., 30.01.2009, n. 24, in Giur. cost., 2009, 165, con
nota di
SPUNTARELLI;
j13) Corte cost., 03.11.2005, n. 409, in Giur. cost., 2006, 2543, con
nota di
MATUCCI;
j14) Corte cost., 07.07.2005, n. 264, in Foro it., 2006, I, 2666;
j15) Corte cost., 12.11.2002, n. 446, in Giur. it., 2003, 841, con
nota di
MAURIELLO; Giur. cost., 2002, 3658, con nota di CARNEVALE;
j16) Corte cost., 04.11.1999, n. 416, in Foro it., 2000, I, 2456, con
nota di
PASSAGLIA; Mass. giur. lav., 2000, 130, con nota di CELOTTO; Riv. giur.
lav., 2000, II, 161, con nota di MAZZIOTTI; Giur. cost., 1999, 3625, con
nota
di CARNEVALE;
j17) Corte cost., 10.02.1993, n. 39, in Arch. civ., 1993, 685, con
nota di
ALIBRANDI; Dir. e pratica lav., 1993, 2429, con nota di ARGENTINO;
j18) Corte cost., 04.04.1990, n. 155, in Foro it., 1990, I, 3072, con
nota di
TARCHI; Corriere giur., 1990, 588, con nota di BERTI; Riv. dir. comm., 1990,
II, 211, con nota di BRANCADORO; Arch. civ., 1990, 771, con nota di
ALIBRANDI;
j19) Corte cost., 14.07.1988, n. 822, in Cons. Stato, 1988, II, 1378;
j20) Corte cost., 17.12.1985, n. 349, in Giust. civ., 1986, I, 659;
k) sul legittimo affidamento rispetto alla
retroattività legislativa:
k1) nella giurisprudenza costituzionale:
I) Corte cost., 20.05.2016, n.
108,
la quale richiama il principio del legittimo affidamento espressione di una
delle “molteplici declinazioni dell’art. 3 Cost.”;
II) Corte cost., 05.04.2012, n.
78 (in Foro it., 2012, I, 2585, con nota di PALMIERI A.; Contratti, 2012,
445,
con nota di D'AMICO; Guida al dir., 2012, 20, 30, con nota di
SACCHETTINI; Nuove leggi civ., 2012, 797 (m), con nota di DI
GIROLAMO; Banca, borsa ecc., 2012, II, 423, con nota di DOLMETTA,
SALANITRO, SEMERARO, TAVORMINA; Giur. it., 2012, 2283, con nota di
RIZZUTI; Nuova giur. civ., 2012, I, 1039, con nota di AIELLO; Giur. cost.,
2012, 1017, con nota di RESCIGNO; Rass. dir. civ., 2013, 194, con nota di
BELLO; Corriere giur., 2013, 19, con nota di PANDOLFINI; Giur. comm.,
2012, II, 1176, con nota di MANCINI; Giurisdiz. amm., 2012, IV, 347, con
nota
di PAGANO) secondo cui “La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte
affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo
di
regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata
retroattiva,
diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del
diritto e il
concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione ostano,
salvo che per
imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere
legislativo
nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito
giudiziario di una
controversia (ex plurimis: Corte eur. dir. uomo, sez. II, 07.06.2011, Agrati c. Italia, in Foro it., 2013, IV, 9, con nota di PALMIERI
A. […]). Pertanto, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un
intervento del
legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25
Cost.), se
giustificato da «motivi imperativi d’interesse generale», che spetta
innanzitutto al
legislatore nazionale e a questa Corte valutare, con riferimento a principi,
diritti e
beni di rilievo costituzionale, nell’ambito del margine di apprezzamento
riconosciuto dalla giurisprudenza della Cedu ai singoli ordinamenti
statali”;
III) Corte cost., 26.11.2009, n. 311 (in Riv. critica dir. lav., 2009,
901,
con nota di ZAMPIERI; Corriere giur., 2010, 619, con nota di CONTI; Giur.
cost., 2009, 4657, con nota di MASSA; Riv. it. dir. lav., 2010, II, 389, con
nota
di AVALLONE; Giur. it., 2010, 2011, con nota di DI SERI;
k2) nella giurisprudenza CEDU, tra le tante:
I) Corte eur. dir. uomo, sez.
II, 15.11.2012, Lombardi c. Italia;
II) 19.01.2010, Zuccalà c. Italia;
III)
grande camera, 29.03.2006, Scordino c. Italia (in Corriere giur., 2006,
929,
con nota di CONTI); grande camera, 06.10.2005, Draon c. Francia; sez. IV,
20.07.2004, Back c. Finlandia;
l) sul legittimo affidamento in relazione a norme
interne contrarie all’ordinamento
UE: Cons. Stato, Ad. plen.,
09.11.2021, n. 18, oggetto della
News US in
data
29.11.2021;
m) sul legittimo affidamento rispetto ai
mutamenti giurisprudenziali:
m1) Cons. Stato, Ad. plen.,
22.12.2017, n. 13, in Urbanistica e
appalti, 2018,
373, con nota di FOLLIERI; Riv. giur. urbanistica, 2018, 123, con nota di
ROSSA; Rass. avv. Stato, 2018, 1, 134, con nota di VITULLO, MUCCIO; Dir.
proc. amm., 2018, 1133, con nota di CASSATELLA; Riv. giur. edilizia, 2018,
I,
1022, con nota di APERIO BELLA; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 1022, n.
APERIO
BELLA, PAGLIAROLI; oggetto della
News US in data 08.01.2018;
m2) Cass. civ, sez. un., 11.07.2011, n. 15144, in Guida al dir., 2011,
32, 38, con
nota di SACCHETTINI; Corriere giur., 2011, 1392, con nota di CAVALLA,
CONSOLO, DE CRISTOFARO; Riv. dir. proc., 2012, 1072, con nota di
VANZ; Giusto processo civ., 2011, 1117, con nota di AULETTA; Rass. avv.
Stato, 2012, 2, 125, con nota di MELONCELLI; Giur. cost., 2012, 3153, con
nota di CONSOLO;
n) sulla tutela del legittimo affidamento nel diritto UE, in particolare:
n1) sul legittimo affidamento quale principio UE: Corte di giustizia CE, 03.05.1978, C-112/77, Topfer;
n2) sullo specifico rapporto tra certezza del diritto e difficoltà
interpretative del
dato normativo, Corte di giustizia CE, 17.07.1997, C-354/95, The Queen;
n3) con particolare riferimento alla certezza del diritto nella
trasposizione delle
direttive, Corte di giustizia CE, 25.07.1991, C-208/90, Emmott;
n4) sulla chiarezza e precisione della disciplina che impone obblighi a
carico del
contribuente, Corte di giustizia CE, 09.07.1981, C-169/80, Ammin. dogane
Francia, in Foro pad., 1981, IV, 25;
n5) sui caratteri della chiarezza e della prevedibilità delle norme UE per
gli
amministrati, Corte di giustizia CE, 12.11.1981, 212-217/80, in Foro
it., 1982, IV, 364, con nota di DANIELE;
n6) sulla certezza del diritto e legittimo affidamento nella modulazione
degli
effetti temporali della sentenza della Corte di giustizia: tra le più
significative, quantunque risalente, cfr. Corte di giustizia CE, 26.04.1988
C-97/86, C-193/86, C-199/86 e C-215/86, Asteris;
n7) sulla tutela dell’affidamento e ius poenitendi: Corte di giustizia CE,
12.07.1962, C-14/61, Hoogovens; 01.06.1961, C-15/60, Gabriel Simon; 12.07.1957, C-7/56, C-7/57, Algera;
n8) sulla tutela dell’affidamento quando un operatore economico sia in grado
di prevedere un provvedimento a sé sfavorevole: Corte di giustizia CE, sez.
I, 14.10.2010, C-67/09, Nuova Agricast Srl e Cofra Srl, in Foro it.,
2013, IV,
313, con nota di GRASSO;
n9) in materia di concorsi, cfr. Corte di giustizia UE grande sezione, 27.11.2012, C-566/10P, Repubblica italiana contro Commissione, in Foro it.,
2013, IV, 63, con nota di GRASSO (l’Autore ha evidenziato che in quel
caso “la decisione dispiegherà i suoi effetti soltanto come precedente
giacché, nel
caso concreto, al fine di preservare il legittimo affidamento dei candidati
prescelti,
la Corte di giustizia ha ritenuto opportuno non rimettere in discussione i
risultati
dei concorsi espletati. In precedenza, la Corte di giustizia […] aveva
affermato che
qualora una prova di un concorso generale bandito per la costituzione di una
riserva
di assunzioni venga annullata, i diritti di un ricorrente che non ha
superato tale
prova sono adeguatamente tutelati se la commissione giudicatrice e
l’autorità che ha il potere di nomina riesaminano le loro decisioni e
cercano una soluzione equa
per il suo caso senza che sia necessario modificare i risultati del concorso
nel loro
complesso o annullare le nomine effettuate in esito allo stesso; si tratta
infatti di
conciliare gli interessi dei candidati svantaggiati da un’irregolarità
commessa in
occasione di un concorso e gli interessi degli altri candidati”);
n10) in materia di scommesse,
Corte di giustizia UE, sez. I, 20.12.2017, C-322/16, Global Starnet (in Foro it., 2018, IV, 424, con nota di
FORTUNATO,
nonché oggetto della
News US in data 11.01.2018), con la quale la
Corte –tra l’altro– ha individuato le condizioni in presenza delle quali
il
legislatore può intervenire a modificare la disciplina di rapporti
concessori
in atto aventi ad oggetto giochi leciti;
n11) in tema di regolarità della concessione degli aiuti di stato:
I) con
specifico
riferimento agli aiuti finanziari alle banche,
Corte di giustizia UE, 03.12.2019, C-414/18, Iccrea Banca, in Giur. comm., 2021, II, 223, con
nota
di PIERINI, oggetto della
News US in data 09.01.2020;
II) Corte
giustizia
UE, 08.12.2011, C-81/10 P (in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2011,
1545),
secondo cui: “L'obbligo di notifica costituisce uno degli elementi
fondamentali nel
sistema di controllo istituito dal trattato nel settore degli aiuti di
stato” ed ancora
che: “tenuto conto del carattere imperativo del controllo sugli aiuti di
stato svolto
dalla commissione, le imprese beneficiarie di un aiuto possono, in linea di
principio
fare legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto solamente qualora
quest'ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista
dall'art. 88 Ce
e un operatore economico diligente deve di norma essere in grado di
accertarsi che
tale procedura sia stata rispettata; in particolare, quando un aiuto è stato
versato
senza previa notifica alla commissione, ed è pertanto illegittimo in forza
dell'art. 88
n. 3, Ce, il beneficiario dell'aiuto non può riporre, a quel punto nessun
legittimo
affidamento sulla regolarità della concessione dello stesso”;
n12) in tema di prelievo supplementare-quote latte,
Corte di giustizia UE,
sez. II,
11.09.2019, C-46/18, Caseificio Sociale San Rocco Soc. coop. a r.l.,
in Riv.
corte conti, 2019, 5, 221 e oggetto della
News US in data 15.10.2019;
Corte di giustizia CE, 25.03.2004, n. 495/00;
n13) in tema di appalti pubblici:
Corte di giustizia UE, sez. IX, 02.05.2019, C 309/18, Lavorgna s.r.l. (in Riv. corte conti, 2019, 3, 213, con nota
di
MARZANO; Nuovo notiziario giur., 2019, 539, con nota di SARZOTTI; Riv.
trim. appalti, 2019, 1473, con nota di COZZIO; Riv. it. dir. lav., 2019, II,
678,
con nota di MACCHIONE, oggetto della
News US n. 56 del 13.05.2019) secondo cui “I principi della certezza del diritto, della parità di
trattamento
e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE […], devono
essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come
quella
oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione
separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata
nell’ambito
di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta
l’esclusione
della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche
nell’ipotesi in
cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse
specificato nella
documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale
possibilità di
esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa
alle
procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta
documentazione.
Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli
offerenti di
indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di
trasparenza
e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non
ostano alla
possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di
ottemperare
agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine
stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”;
o) sulla posizione giuridica di chi entri in
relazione con l’Amministrazione pubblica,
attraverso un rapporto procedimentalizzato: Cons. Stato, sez. IV,
ordinanza
11.05.2021, n. 3701, oggetto della
News US in data 28.05.2021, secondo
cui:
o1) “non può essere sottovalutata la natura tipicamente relazionale
dell’interesse
legittimo pretensivo, e cioè della posizione (che come l’interesse legittimo
oppositivo
o difensivo) correlativa all’esercizio pur illegittimo del pubblico potere”;
o2) “l’interesse legittimo pretensivo esprime, ad un tempo, sia l’interesse
sostanziale
rappresentato dalla pretesa ad ottenere un ‘bene della vita’, sia
l’interesse
procedimentale per cui il provvedimento finale sia emanato seguendo il
procedimento previsto dalla legge”;
o3) “Non si tratta di un mero interesse ‘occasionalmente protetto’
(adoperando una
espressione tipica degli albori della giustizia amministrativa), cioè
protetto per il
tramite della tutela primaria della legalità amministrativa, bensì di una
situazione
giuridica immediata, diretta, concreta e personale del privato”;
o4) “Può risultare dunque artificioso il sovrapporre a una tale posizione
giuridica
soggettiva –riferibile ad un rapporto di diritto pubblico tra il
richiedente e
l’Amministrazione- una diversa situazione sostanziale (da richiamare per
individuare una ‘diversa’ giurisdizione), basata sul principio del neminem
laedere (il cui ambito di efficacia prescinde dalla esistenza di un
preesistente
rapporto tra danneggiante e danneggiato) o anche su un ‘contatto sociale’”;
o5) “In quest’ottica prospettica, per considerazioni sistematiche la Sezione
ritiene che
l’interesse pretensivo risulta di per sé leso quando l’Amministrazione emana
il
diniego avente natura autoritativa, ovvero resta inerte (risultando illogico
e in contrasto con la legge n. 241 del 1990 il ritenere che nel corso del
procedimento
l’inerzia dell’attività amministrativa –disciplinata dalle leggi
amministrative
sostanziali e processuali– sia definibile come un comportamento sottoposto
al
diritto privato)”;
o6) l’interesse pretensivo:
I) costituisce il presupposto logico-giuridico
del
diritto che poi vanta il richiedente, qualora in accoglimento della istanza
vi
sia il rilascio di un permesso, di una concessione, di una licenza o di un
altro
atto abilitativo ‘comunque denominato’;
II) ridiventa configurabile,
allorquando l’Amministrazione in sede di autotutela o il giudice in sede
giurisdizionale abbia annullato l’atto abilitativo, estinguendo di
conseguenza quel diritto di per sé configurabile solo quando l’atto
abilitativo favorevole risulti ancora efficace;
o7) in altri termini:
I) “quando è annullato (in sede amministrativa o
giurisdizionale)
il provvedimento favorevole, il più delle volte l’istanza originaria del
richiedente
non può che risultare infondata e va respinta”;
II) “nella prassi, quando
l’Amministrazione dapprima accoglie una istanza e poi annulla il titolo
abilitativo
perché risultato illegittimo, il secondo provvedimento comporta –anche se
ciò non
è esplicitato expressis verbis– il rigetto della istanza medesima”;
III)
“lo stesso
avviene in sostanza quando sia rilasciato un atto abilitativo (ad esempio,
un
permesso di costruire) e questo sia annullato dal giudice amministrativo su
istanza
di chi vi abbia interesse”;
IV) “In tal caso, nella prassi l’annullamento
dell’espresso
titolo abilitativo da parte del giudice amministrativo, in accoglimento del
ricorso di
chi vi abbia interesse, non sempre è seguito da un formale ed espresso
ulteriore
provvedimento negativo, di rigetto della originaria istanza”;
V) “Infatti, a
seconda
dei casi, l’annullamento del titolo abilitativo da parte del giudice può
comportare
sia la rinnovazione del procedimento e il rilascio di un ulteriore titolo abilitativo (se
ne sussistono tutti i presupposti), oppure la sostanziale fine della
vicenda, perché
dalla sentenza del giudice amministrativo si desume che il vizio dell’atto
abilitativo
è di per sé è insanabile, pur se un formale diniego non è emanato dopo la
sentenza
di annullamento”;
VI) “Ciò che rileva, sul piano sostanziale, è il fatto che
–con
l’annullamento dell’atto abilitativo– non sussiste più il diritto in
precedenza sorto
e torna ad esservi un interesse pretensivo che però non può più essere
soddisfatto,
quando un tale esito sia desumibile dalla sentenza del giudice
amministrativo (di
cui può anche prendere atto un ulteriore provvedimento, questa volta
negativo,
conseguente all’annullamento dell’atto abilitativo precedente)”;
o8) “Allorquando sia stato annullato l’atto abilitativo e dunque non sia più
configurabile il diritto ad esso conseguente, l’originario richiedente torna
ad essere
titolare di un interesse legittimo”;
o9) “in fondo, si tratta del ripristino della dinamica delle posizioni
giuridiche […]: il
ricorrente ed il controinteressato, beneficiario in quanto tale dell’atto abilitativo
impugnato, sono titolari di contrapposti interessi legittimi nel corso del
procedimento, sicché –una volta che la sentenza amministrativa abbia
annullato il
titolo abilitativo– il controinteressato non risulta più titolare del
diritto che era
sorto con l’atto ormai annullato”;
o10) “in altri termini, il controinteressato soccombente va qualificato come
titolare di
una posizione soggettiva contrapposta e speculare a quella del ricorrente
vittorioso,
in un quadro nel quale tra di loro e nei confronti dell’Amministrazione non
vi sono
diritti soggettivi da fare valere”;
o11) “qualora il controinteressato soccombente nel giudizio di legittimità
intenda
formulare una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione
anch’essa
soccombente, la relativa causa petendi riguarda proprio il come è stato in
precedenza esercitato il potere amministrativo e si deve verificare se il
vizio dell’atto
–oltre ad aver comportato il suo annullamento– deve avere conseguenze sul
piano
risarcitorio”;
p) sulla condotta della p.a. e
l’autodeterminazione dei privati: Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2018, n. 5, cit., secondo cui “Posto che anche nello svolgimento
dell'attività
autoritativa l'amministrazione è tenuta a rispettare, oltre alle norme di
diritto pubblico, le
norme generali dell'ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e
correttezza, la
loro violazione può configurare una responsabilità da comportamento
scorretto, che incide
sul diritto soggettivo dei privati di autodeterminarsi liberamente nei
rapporti negoziali”;
q) sulla responsabilità della pubblica
amministrazione e onere della prova:
q1) sulla pretesa risarcitoria dell’imprenditore fondata sulla lesione
dell’affidamento riposto nella condotta della p.a. che si assume difforme
dai
canoni di correttezza e buona fede: Cass. civ., 15.01.2021, n. 615,
in Giur. it., 2021, 1147, con nota di DE MARCO, secondo cui “la
responsabilità
della p.a. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della
violazione
dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione
amministrativa
sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato
che con
questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo
contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da
«contatto
sociale qualificato», inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex
art. 1173
c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e
dal successivo
annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui
nessun
provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia
riposto
il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione”;
q2) Cons. Stato, Ad. plen.,
23.04.2021, n. 7, in Foro it., 2021, III,
394, con nota
di PALMIERI A., PARDOLESI R., oggetto della
News US in data 13.05.2021 la quale ha evidenziato che la responsabilità della pubblica
amministrazione per lesione di interessi legittimi ha natura di fatto
illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale.
La
Plenaria ha precisato che anche in caso di danno da ritardo è necessario che
sia provato “sia il danno-evento (la lesione della libertà di
autodeterminazione
negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa
delle
scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di
causalità
rispetto alla condotta scorretta che si imputa all’amministrazione”.
La
sentenza,
inoltre, ha ribadito che il danno da ritardo nella conclusione del
procedimento amministrativo, costituendo una speciale ipotesi di
responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., richiede, ai sensi dell'art.
2697 c.c.,
la prova da parte del danneggiato di tutti gli elementi costitutivi della
relativa domanda, quali: la condotta della pubblica amministrazione,
l'elemento psicologico, il danno e il nesso causale tra detta condotta e il
danno;
q3) con particolare riferimento alla responsabilità risarcitoria nel
rapporto tra
norme di azione e norme di relazione: Cass. civ., sez. I, 05.02.2021,
n.
2738, in Foro it., 2021, I, 2452, con nota di MACARIO F.
La sentenza ha
evidenziato come una cosa sia la denuncia dell’illegittimità dell’azione
amministrativa, altra cosa la denuncia della lesione dell'affidamento del
privato nella legittimità di provvedimenti amministrativi ampliativi
successivamente annullati o nella mancata adozione di provvedimenti
anche ampliativi nei casi in cui il petitum sostanziale consista nella
violazione dei canoni della correttezza e buona fede da parte della pubblica
amministrazione. In queste ultime ipotesi, la tutela risarcitoria non è,
infatti,
proposta come rimedio della illegittimità (accertata o da accertare)
dell'azione amministrativa o come completamento di una inesistente tutela
demolitoria di provvedimenti amministrativi illegittimi sotto il profilo
della
violazione delle norme di azione.
“Il trade union di tale (condivisibile)
orientamento è dato dal fatto che in quei casi non è denunciata (o non è
chiesto di
dichiarare) la illegittimità di provvedimenti amministrativi, manifestandosi
una
acquiescenza del privato all'assetto di interessi dagli stessi provvedimenti
determinato (con il consolidamento del provvedimento diminutivo o del
provvedimento di annullamento o revoca di quello ampliativo di determinate
facoltà). Ad essere contestata è, piuttosto, la verifica della liceità del
comportamento
della pubblica amministrazione, evocata in giudizio dal privato su un piano
paritetico, dunque dinanzi al giudice ordinario, essendo controverso il
rispetto delle
norme di relazione (buona fede e correttezza, lesione ingiustificata
dell'affidamento,
proporzionalità, ecc.) che prescindono dal e soverchiano il rispetto formale
delle
norme di azione postulanti la tutela dell'interesse legittimo”;
q4) in tema di affidamento di contratti pubblici: Corte di giustizia UE, 30.09.2010, C-314/09, Graz Stadt (in Urbanistica e appalti, 2011, 398,
con
nota di GIOVAGNOLI; Giur. it., 2011, 664 (m), con nota di CIMINI; Riv.
amm. appalti, 2010, 188 (m), con nota di TOMASSI; Dir. e pratica amm., 2011,
1, 52 (m), con nota di CONTESSA; Foro amm.-Cons. Stato, 2011, 3014 (m), con
nota di FELIZIANI);
q5) sulla responsabilità della p.a. discendente da attività provvedimentale
posta in essere sulla base di norma dichiarata incostituzionale: Tar per
la
Sicilia, sez. st. Catania, sez. I, 30.07.2021, n. 2582;
q6) sui comportamenti della pubblica amministrazione, anche successivi al
bando, lesivi dei principî di buona fede e correttezza, responsabilità
precontrattuale e teoria del contatto sociale qualificato: Cons. Stato, Ad.
plen., 04.05.2018, n. 5, cit.;
q7) sul rapporto fra invalidità dell’atto, colpa d’apparato e scusabilità
dell’errore della p.a.
I) Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 19, cit.,
(in termini anche la sentenza 29.11.2021, n. 20, resa all’esito di
deferimento disposto con ordinanza Cons. Stato, sez. IV,
11.05.2021, n.
3701, cit.), secondo cui “il grado della colpa dell’amministrazione, e
dunque la
misura in cui l’operato di questa è rimproverabile, rileva sotto il profilo
della
riconoscibilità dei vizi di legittimità da cui potrebbe essere affetto il
provvedimento.
Al riguardo va ricordato che nel giudizio di annullamento la colpa
dell’amministrazione è elemento costitutivo della responsabilità
dell’amministrazione nei confronti delricorrente che agisce contro il
provvedimento
a sé sfavorevole, sebbene essa sia presuntivamente correlata
all’illegittimità del
provvedimento, per cui spetta all’amministrazione dare la prova contraria
dell’errore scusabile. Sulla base di questa presunzione, per il danno da
lesione
dell’affidamento da provvedimento favorevole, poi annullato, la colpa
dell’amministrazione è invece un elemento che ha rilievo nella misura in cui
rende
manifesta l’illegittimità del provvedimento favorevole al suo destinatario,
e
consenta di ritenere che egli ne potesse pertanto essere consapevole”;
II)
Cons.
Stato, sez. IV, 15.03.2021, n. 2193, secondo cui la “colpa
amministrativa”
è “da intendersi, per giurisprudenza consolidata […], come «colpa
d'apparato»,
ossia come frontale, macroscopica ed inescusabile violazione, da parte
dell'Autorità,
dei canoni di imparzialità, correttezza e buona fede che debbono sempre
conformarne l'azione”;
III) 17.04.2018, n. 2271, secondo cui ‒ “La
responsabilità civile della Pubblica Amministrazione derivante da un
provvedimento illegittimo è […] di natura extra contrattuale e non
oggettiva, e non
può prescindere dall'accertamento della colpevolezza”;
‒ “In presenza di atti illegittimi la colpa in astratto si potrebbe
presumere,
integrando l'accertamento dell'illegittimità, ai sensi degli artt. 2727 e
2729, comma
1, c.c., una forma di presunzione semplice in ordine alla sua sussistenza in
capo
all'Amministrazione […], tuttavia anch'essa superabile da prova contraria”;
IV)
con specifico riferimento all’ipotesi di eccessiva durata di un concorso, 02.10.2017, n. 4570, secondo cui “una procedura concorsuale concernente il
reclutamento di oltre mille dirigenti non può avere articolazione temporale
breve, e
non è affatto dimostrato che, nel caso specifico, l'Amministrazione abbia
travalicato
i tempi congrui a essa relativi, ossia quei limiti di ragionevolezza, da
rapportare alla
complessità della selezione anche in ragione del numero dei candidati che la
stessa
giurisprudenza della Suprema Corte invocata dagli appellanti […] richiama
quale
limite alla tutela risarcitoria, sotto il profilo dell'imputabilità
soggettiva del
danno”;
V) 18.07.2017, n. 3520, secondo cui “L'azione risarcitoria
innanzi
al giudice amministrativo non è […] retta dal principio dispositivo con
metodo
acquisitivo, tipica del processo impugnatorio, bensì dal generale principio
dell'onere
della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sul ricorrente gravava
l'onere di
dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di
ottenere il
riconoscimento di una responsabilità dell'Amministrazione per danni
derivanti
dall'illegittimo svolgimento dell'attività amministrativa di stampo autoritativo, da
ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata
dall'art. 2043
c.c., donde la necessità di verificare, con onere della prova a carico del
(presunto)
danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, compreso
il nesso di
causalità tra il fatto illecito ed il danno subito”;
q8) sulla responsabilità precontrattuale della p.a., su un piano generale:
I) un
originario orientamento (Cass. civ., sez. un., 05.08.1993, n. 9892,
in Corriere giur., 1994, 208, con nota di BATÀ; Resp. civ., 1994, 437, con
nota
di SBURLATI), escludeva la configurabilità dell responsabilità
precontrattuale in capo alla p.a. sul rilievo che essa “non è configurabile
con
riguardo allo svolgimento del procedimento amministrativo strumentale alla
scelta
del contraente, nell'ambito del quale l'aspirante alla stipulazione del
contratto è
titolare esclusivamente di un interesse legittimo al corretto esercizio del
potere di
scelta, onde difettano le condizioni strutturali per la configurabilità di
«trattative»
fra due soggetti e quindi di un diritto soggettivo dell'uno verso l'altro
all'osservanza delle regole della buona fede, come stabilito dalla citata
norma”;
II)
tale impostazione è stata superata per effetto della “scissione del
procedimento
in una fase negoziale e in una fase amministrativa” (V. LOPILATO, Manuale di
diritto amministrativo, Torino, 2021, I, 1379), sicché diviene rilevante il
momento di rilevanza della buona fede: un primo orientamento stabilisce
che “Per configurare responsabilità precontrattuale della pubblica
amministrazione aggiudicatrice occorre che la gara sia giunta ad uno stadio
tale da
avere ingenerato nel concorrente un affidamento consolidato in ordine alla
favorevole conclusione della procedura” (Cons. Stato, sez. V, 14.04.2015, n.
1864, in Foro it., 2015, III, 613, con nota di GALLI;
III) un secondo
orientamento ritiene che la buona fede operi con l’esternazione dell’invito
ad offrire (Cass. civ., sez. I, 03.07.2014, n. 15260, in Foro it., 2015,
I, 643, n.
GALLI);
IV) al secondo orientamento ha aderito la Plenaria con sentenza n.
5 del 2018, cit.;
q9) quanto ai presupposti e sull’(in)efficacia delle clausole che escludono
la
responsabilità precontrattuale, Cons. Stato, sez. IV, 16.05.2018, n.
2907;
q10) quanto alla tutela della p.a. nei confronti del privato e perimetro
della
giurisdizione esclusiva in materia di accordi: Cons. Stato, sez. III, n.
3755
(in Guida al dir., 2016, 40, 84, con nota di MEZZACAPO; Dir. proc. amm.,
2017, 677, con nota di ROMANI); Corte cost., 15.07.2016, n. 179, in Foro
it., 2016, I, 3047, con nota di TRAVI;
q11) sulla responsabilità da mancata regolarizzazione contabile, a
posteriori, di
lavori disposti in via d’urgenza da un ente locale: Corte cost., ordinanza 06.02.2001, n. 26, in Finanza loc., 2001, 711, con nota di OLIVERI;
q12) sulla responsabilità precontrattuale da revoca della procedura di gara
per
difficoltà finanziarie: Cons. Stato, sez. V, 13.07.2020, n. 4514 la
quale ha,
tra l’altro, evidenziato che “Poiché il danno risarcibile per responsabilità
precontrattuale -nella prospettiva non sanzionatoria, ma soltanto
ripristinatoria,
che connota tutto il sistema vigente della responsabilità civile- è
commisurato al
pregiudizio (sub specie di lesione del c.d. interesse negativo)
effettivamente sofferto
dalla parte contraente, la sua liquidazione non cambia a seconda della
tipologia o
della gravità della condotta contraria a buona fede ascritta alla pubblica
amministrazione”;
q13) sulla responsabilità della p.a. in ipotesi di importo dell’appalto
calcolato in
violazione del prezziario di riferimento: Cons. Stato, sez. V, 05.07.2021, n.
5107, secondo cui “Ammesso pure che la stazione appaltante abbia indicato
negli
atti di gara un prezzo a base d'asta non remunerativo dell'attività
prestata, non è
certo incolpevole l'operatore economico che abbia partecipato alla gara con
un'offerta al ribasso di detto prezzo. Questi, infatti, è tenuto ad un
dovere di correttezza e serietà non meno di quanto sia tenuta
l'amministrazione e, dunque, a
formulare la sua offerta in maniera consapevole e meditata; e quindi, prima
di
dichiarare il ribasso offerto, ad esaminare se le condizioni imposte
dall'amministrazione consentano la effettiva remunerazione dell'attività
svolta”;
q14) sulla responsabilità della p.a. in caso di project financing: Cons.
Stato, sez. V,
11.01.2021, n. 368 (in Gazzetta forense, 2021, 149);
q15) sulla responsabilità della p.a. in caso di tardivo ritiro di un bando
in
autotutela quando l'amministrazione era già da tempo a conoscenza
dell'ineseguibilità dell'opera, cfr. Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 23.11.2020, n. 1092; Cons. Stato, sez. II, 20.11.2020, n. 7237
(in Contratti Stato e enti pubbl., 2021, 1, 51, con nota di TREVISAN; Giur.
it.,
2021, 921 (m), con nota di BARBERA);
q16) sulla responsabilità discendente dall’indizione di una gara di un
progetto
esecutivo di ristrutturazione di un'opera pubblica, rivelatosi, al momento
dell'avvio del cantiere, ineseguibile: Cons. Stato, sez. V, 23.12.2019,
n. 8731;
q17) sulla responsabilità precontrattuale in conseguenza di un annullamento
in
autotutela di concorso: Cass. civ., sez. lav., 20.08.2019, n. 21528,
secondo
cui “l'eventuale responsabilità della P.A. per l'accaduto non ha natura
contrattuale, […] trattandosi semmai di una tipica fattispecie di
responsabilità
precontrattuale (e dunque extracontrattuale) ex art. 1338 c.c., per avere la
P.A.,
attraverso l'indizione di un concorso illegittimo e la successiva stipula in
base ad
esso di un contratto di lavoro nullo, leso l'affidamento altrui. Non ha
dunque alcun
fondamento la pretesa che dalla mancata esecuzione del contratto derivi di
per sé,
ex art, 1218 c.c., il diritto […] al risarcimento del danno in misura pari
alle
retribuzioni perdute, spettando viceversa al medesimo, secondo le regole
proprie
della responsabilità extracontrattuale di cui quella precontrattuale
costituisce
specie […] dimostrare l'esistenza di danni, non estesi al c.d. interesse
positivo
all'adempimento contrattuale […] causalmente riconducibili al comportamento
altrui”;
r) sul procedimento amministrativo quale luogo
elettivo di composizione degli
interessi:
Corte cost., 23.06.2020, n. 116 (in Foro it., 2020, I, 3715,
con nota di
D'AURIA G., DELLA VALLE, oggetto della
News US in data 23.07.2020),
secondo cui:
r1) “è nella sede procedimentale che può e deve avvenire la valutazione
sincronica degli
interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con
l'interesse del
soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con
ulteriori
interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano
nei principî
costituzionali la loro previsione e tutela”;
r2) “la struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili
l'emersione
di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e
la
trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei principî di cui
all'art. 1 l. 07.08.1990 n. 241: efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza”;
r3) “viene in tal modo garantita, in primo luogo, l'imparzialità della
scelta, alla stregua
dell'art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed
efficace,
dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento
dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.”;
s) in dottrina:
s1) per un’ampia ricostruzione
della responsabilità precontrattuale della p.a. e
sua evoluzione nel tempo, tra gli scritti più recenti, cfr. V.
LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2021, I, 1372 ss;
s2) sulla responsabilità dello
Stato e della p.a. con particolare riferimento agli
elementi costitutivi dell’illecito, con una lettura critica sull’assetto
della
giurisprudenza nazionale, L. TORCHIA, Diritto amministrativo progredito,
Bologna, 2010, 201 ss., secondo cui “Il principio di responsabilità dello
Stato vale
per qualsiasi violazione e per qualunque dei poteri pubblici che lo ponga in
essere.
Le condizioni della responsabilità sono tre. La prima: per dare luogo a
responsabilità
e a risarcimento, la norma che viene violata deve attribuire diritti […]. La
seconda:
nel caso in cui lo Stato eserciti un potere discrezionale, questa violazione
deve essere
manifesta e grave […], nella diversa ipotesi in cui eserciti un potere
vincolato, il
contenuto dei diritti violati deve poter essere individuato sulla base di
disposizioni
della direttiva […]. La terza: vi deve essere un nesso causale tra la
violazione
dell’obbligo incombente sullo Stato e il danno subito da soggetti lesi. […]
La
giurisprudenza comunitaria […] mentre applica la prima e la terza delle
condizioni
menzionate a qualsiasi attività dello Stato, distingue quando si tratta di
dimostrare
la presenza della seconda condizione, chiedendo che vi sia una violazione
sufficientemente caratterizzata, se lo Stato esercita un potere
discrezionale, la sola
violazione del contenuto di una direttiva, nel caso di potere vincolato. In
un caso la
prova è resa più difficile e la responsabilità ristretta, nell’altro vi è
automatismo tra
illegittimità del provvedimento e responsabilità. Il giudice italiano, non
tenendo
conto di questa distinzione cardine attorno a cui ruota il sistema della
responsabilità
comunitaria, prende a prestito quegli stessi elementi che definiscono la
violazione
grave e manifesta, li inserisce nella nozione di colpa oggettiva e li
applica tout court
all’attività amministrativa, tanto discrezionale, quanto vincolata, senza
fare
distinguo, se non in punto di maggiore o minore scusabilità.
Ne consegue che
l’onere probatorio gravante sul privato è maggiore se confrontato con quello
richiesto dal sistema comunitario o, comunque, che l’amministrazione potrà
sempre
addurre a scusanti questi elementi. La corrispondente limitazione di
responsabilità
riflette una diversa concezione del rapporto amministrazione-privato, in cui
la
tutela della posizione del privato non è strumentale al perseguimento di
obiettivi di
sistema e, dunque, rappresenta per l’amministrazione ancora una limitazione
al
proprio potere, più che un vantaggio necessario. La seconda differenza,
forse più
nominale che sostanziale, riguarda la colpa. La Corte di giustizia ha
espunto
completamente dalle condizioni necessarie a configurare la responsabilità la
colpa
dello Stato membro.
Quando, però, si parla di colpa, si intende «un elemento
soggettivo, se si preferisce psichico o psicologico, che caratterizza –in
senso appunto
colposo o negligente o comunque nel senso che tradizionalmente si
attribuisce
all’espressione colpa– la condotta del soggetto cui viene imputata la
violazione e
con essa la responsabilità [CGUE, C-46/93 e C48/93, Conclusioni
dell’avvocato
generale, punto 85]».
Le ragioni per l’esclusione di tale elemento risiedono
nella
difficoltà di individuare un comportamento colposo dei pubblici poteri in
base a
criteri simili che si usano per il diritto civile o penale. Ciò, però, che
viene escluso è,
quindi, la colpa in senso soggettivo, e cioè proprio quello che ha fatto la
giurisprudenza italiana, passando da una nozione soggettiva ad una oggettiva
di
colpa. Rimane che l’ordinamento italiano inutilmente mantiene un concetto
che
come bene dimostra l’esperienza comunitaria, proprio perché completamente
soggettivizzato diventa parte della definizione della violazione e non dello
stato
soggettivo dell’organo amministrativo”
(Consiglio di Stato, Adunanza
plenaria,
sentenza 29.11.2021 n. 21 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’Adunanza
plenaria pronuncia sulla giurisdizione sulla responsabilità precontrattuale
dell’amministrazione nel settore delle procedure di affidamento di contratti
pubblici.
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Risarcimento danni – Responsabilità precontrattuale - procedure di
affidamento di contratti pubblici – Presupposti.
Nel settore delle procedure di affidamento di
contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione,
derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di
correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un
ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in
relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non
sia a sua volta inficiato da colpa (1).
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La questione è stata rimessa da
Cons. St., sez. II, ord.,
06.04.2021, n.
2753.
L’Adunanza plenaria n. 21 reitera anche i principi espressi dalla
Adunanza
plenaria 29.11.2021, n. 19.
(1) Ha chiarito l’Alto consesso che con riguardo alla questione,
concernente i limiti entro cui può essere riconosciuto il risarcimento per
lesione dell’affidamento, con particolare riguardo all’ipotesi di
aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture,
successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale, deve in
primo luogo essere precisato che questo settore dell’attività della pubblica
amministrazione è quello in cui tradizionalmente e più volte è stata
riconosciuta la responsabilità di quest’ultima.
Le ragioni alla base
dell’orientamento di giurisprudenza favorevole al privato venutosi a creare
in questo settore si spiega sulla base del fatto che, sebbene svolta secondo
i moduli autoritativi ed impersonali dell’evidenza pubblica, l’attività
contrattuale dell’amministrazione è nello stesso tempo inquadrabile nello
schema delle trattative prenegoziali, da cui deriva quindi l’assoggettamento
al generale dovere di «comportarsi secondo buona fede» enunciato dall’art.
1337 c.c. (come chiarito dall’Adunanza plenaria nelle sopra citate pronunce
del
05.09.2005, n. 6, e del
04.05.2018, n. 5).
La tutela risarcitoria per responsabilità precontrattuale è posta a presidio
dell’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, e dunque del
più generale interesse di ordine economico a che sia assicurata la serietà
dei contraenti nelle attività preparatorie e prodromiche al perfezionamento
del vincolo negoziale. La reintegrazione per equivalente è pertanto ammessa
non già in relazione all’interesse positivo, corrispondente all’utile che si
sarebbe ottenuto dall’esecuzione del contratto, riconosciuto invece nella
responsabilità da inadempimento, ma dell’interesse negativo, con il quale
sono ristorate le spese sostenute per le trattative contrattuali e la
perdita di occasioni contrattuali alternative, secondo la dicotomia ex art.
1223 cod. civ. danno emergente–lucro cessante.
Applicata all’evidenza pubblica, la responsabilità precontrattuale sottopone
l’amministrazione alla duplice soggezione alla legittimità amministrativa e
agli obblighi di comportamento secondo correttezza e buona fede, i quali
costituiscono, come in precedenza esposto, profili tra loro autonomi, e da
cui può rispettivamente derivare l’annullamento degli atti adottati nella
procedura di gara e le responsabilità per la sua conduzione (da ultimo in
questo senso: Cons. Stato, V, 12.07.2021, n. 5274; 12.04.2021, n.
2938; 02.02.2018, n. 680).
In senso parzialmente diverso si è espressa la Cassazione civile. Con
sentenza in data 03.07.2014, n. 15260 (Sezione I) la Suprema Corte ha
affermato che l’affidamento del concorrente ad una procedura di affidamento
di un contratto pubblico è tutelabile «indipendentemente da un affidamento
specifico alla conclusione del contratto»; la stazione appaltante è quindi
responsabile sul piano precontrattuale «a prescindere dalla prova
dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante».
L’apparente contrasto rispetto agli approdi della giurisprudenza
amministrativa deve tuttavia essere ridimensionato, avuto riguardo al fatto
che il caso deciso dalla Cassazione riguardava il concorrente primo
classificato in una procedura di gara poi annullata in sede giurisdizionale
amministrativa su ricorso di un altro concorrente. La stessa giurisprudenza
amministrativa non si è del resto arroccata su rigidi apriorismi, ma con
criterio elastico –che questa Adunanza plenaria ritiene condivisibile– ha
negato rilievo dirimente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, laddove
ha in particolare affermato che la verifica di un affidamento ragionevole
sulla conclusione positiva della procedura di gara va svolta in concreto, in
ragione del fatto che «il grado di sviluppo raggiunto dalla singola
procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore
dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura
rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di
fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità
precontrattuale» (Cons. Stato, sez. V, 15.07.2013, n. 3831).
Individuato un primo requisito dell’affidamento tutelabile nella sua
ragionevolezza e nel correlato carattere ingiustificato del recesso, il
secondo consiste nel carattere colposo della condotta dell’amministrazione,
nel senso che la violazione del dovere di correttezza e buona fede deve
esserle imputabile quanto meno a colpa, secondo le regole generali valevoli
in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. (in
questo senso va ancora richiamato
Cons. Stato, Ad. plen.,
04.05.2018, n.
5).
l’elemento della colpevolezza dell’affidamento si modula diversamente nel
caso in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto d’ufficio
dall’amministrazione ma in sede giurisdizionale. In questo secondo caso
emergono con tutta evidenza i caratteri di specialità del diritto
amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel
primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi
illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume
la qualità di controinteressato nel relativo giudizio.
Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto
nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a
sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine
di decadenza entro cui ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm. l’azione deve
essere proposta, e di difenderlo. La situazione che viene così a crearsi
induce per un verso ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che
l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene
un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere
conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all’altrui
ricorso; per altro verso porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo
prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio
(Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 29.11.2021 n. 21 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gare,
il terzo posto non preclude automaticamente la possibilità di ricorso.
La collocazione al terzo posto in graduatoria non preclude, in automatico,
la legittimazione ad agire, qualora l'operatore economico proponga censure
dirette all'esclusione e/o alla postposizione nella graduatoria stessa di
tutti i concorrenti che lo precedono, oppure alla caducazione dell'intera
procedura di gara.
È questo l'inquadramento del diritto all'azione in giudizio espresso dal TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV, con la
sentenza
12.11.2021 n. 2528.
Il fatto
In una procedura di appalto, relativa all'affidamento del servizio di
gestione del procedimento sanzionatorio delle violazioni alle norme del
codice della strada, un concorrente, posizionatosi terzo nella graduatoria
finale di merito, ha impugnato il provvedimento amministrativo di
aggiudicazione, deducendo la carenza istruttoria degli atti di gara, che non
hanno rilevato il difetto dei requisiti di partecipazione delle imprese
meglio collocate.
Legittimazione dell'azione giudiziale
Prima di affrontare nel merito la questione, il giudice ha accertato i
presupposti processuali per verificare la sussistenza delle condizioni
dell'azione giudiziale legate alla situazione sostanziale, la cui mancanza
avrebbe determinato una pronuncia di inammissibilità.
Nel processo amministrativo, il diritto di agire si collega, difatti, alla
lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente e sussiste
quando è «individuabile un'utilità della quale esso fruirebbe per effetto
della rimozione del provvedimento» (Consiglio di Stato, sentenza n.
4233/2019).
In altri termini, il riconoscimento di una situazione differenziata,
fondante la legittimazione al ricorso, presuppone il riconoscimento
immediato di un vantaggio, ossia di un provvedimento utile in capo
all'appellante. Il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in
conseguenza della lesione di un interesse sostanziale e tende a un
provvedimento del giudice idoneo, se favorevole, a rimuovere la stessa.
Il ricorrente ha censurato l'illegittimità dell'ammissione alla procedura di
gara delle prime due concorrenti in graduatoria; pertanto, essendosi
qualificato terzo, l'accoglimento del proprio gravame risulterebbe
significativo se venissero riconosciute fondate le doglianze che dimostrano
il non corretto posizionamento di tutte le imprese che lo precedono; solo
così potrebbe ottenere, con il giudizio, lo scorrimento in posizione utile e
la relativa aggiudicazione.
Diversamente, il consolidamento della posizione di una delle imprese meglio
collocate rispetto al ricorrente, determinerebbe l'improcedibilità del
ricorso, pregiudicando di per sé la possibilità del ricorrente di ottenere
il bene della vita perseguito (Tar Puglia, Bari, n. 308/2021), cioè
l'aggiudicazione dell'appalto, rendendo, quindi, privo di utilità un
eventuale provvedimento del giudice.
La sentenza
Il tribunale, nell'iter argomentativo ripercorso, ha poi proceduto alla
disamina della posizione della prima classificata, confermando la
legittimità della sua collocazione in graduatoria. Da questo è scaturito il
difetto di interesse dell'appellante a contestare la posizione della seconda
graduata, perché non potrebbe ottenere alcun beneficio da una eventuale
pronuncia processuale che accertasse l'illegittimità dell'ammissione alla
procedura della seconda qualificata.
In sostanza, per esaminare la fondatezza dell'impugnativa proposta, i
giudici hanno accertato la funzione di strumentalità che collega l'azione
all'interesse sostanziale, dichiarando improcedibile il ricorso perché il
ricorrente, anche in caso di accoglimento, non avrebbe comunque ottenuto
alcuna utilità
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 03.12.2021).
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SENTENZA
1. Occorre in primis svolgere alcune brevi considerazioni in
ordine all’interesse a ricorrere in capo a S., terza classificata nella
procedura.
1.1. È ormai ius receptum il principio secondo cui la terza
classificata si ritiene portatrice di un interesse attuale e concreto,
idoneo a connotare l’impugnazione in termini di ammissibilità, qualora la
stessa, agendo in giudizio, proponga censure dirette all’esclusione e/o alla
postposizione nella graduatoria di tutti i concorrenti che la precedono,
ovvero quando spenda motivi volti a contestare in toto la legittimità
della gara. Nel primo caso, l’interesse azionato in giudizio è quello a
ottenere l’aggiudicazione, nel secondo quello “indiretto” alla
riedizione della procedura, cui conseguono nuove chances di futura
aggiudicazione.
1.2. Nel caso di specie, la Sa. S.r.l. non ha proposto motivi di gravame dal
cui accoglimento possa scaturire l’annullamento radicale della procedura e
la ripetizione della stessa.
L’unico interesse fatto valere in giudizio è quello all’aggiudicazione,
coltivato mediante censure volte a rilevare l’illegittimità dell’ammissione
alla procedura delle prime due ditte in graduatoria.
1.3. Orbene, la ricorrente, in quanto terza classificata nella gara, potrà
conseguire il soddisfacimento di detto interesse solo ove risultino fondate
sia le censure proposte avverso la prima classificata, che quelle spese nei
confronti della seconda graduata. Solo in tal modo, invero, la Sa. potrebbe
divenire aggiudicataria dell’appalto e ottenere un effetto utile
dall’accoglimento del proprio gravame.
Ne consegue che, laddove il Tribunale accerti la regolarità della posizione
di una delle due concorrenti collocate in posizione poziore, verrebbe
meno l’interesse della parte ricorrente a contestare l’ammissione alla gara
dell’altra partecipante classificatasi in posizione a essa sovraordinata
(l’eventuale esclusione dalla procedura della seconda ditta, invero, non le
apporterebbe utilità di sorta).
L’eventuale consolidamento del posizionamento di una delle ditte che
precedono in graduatoria la Sa., pertanto, rendendo impossibile per quest’ultima
il conseguimento dell’aggiudicazione dell’appalto, determinerebbe la
sopravvenuta carenza di interesse alla decisione delle censure proposte
avverso l’ammissione alla gara dell’altra concorrente che la precede in
graduatoria. Con tutto quanto ne discende in termini di parziale
improcedibilità del gravame.
Le considerazioni che precedono sono state efficacemente compendiate, in
giurisprudenza, nei termini che seguono: «La terza classificata può
efficacemente coltivare, attraverso il giudizio, l'utilità
dell'aggiudicazione solo in quanto dimostri l'illegittimità del
posizionamento delle due imprese che l'hanno preceduta in graduatoria, salva
la piena ammissibilità delle censure che tendono ad invalidare l'intera
procedura, poiché, attraverso di esse, è coltivato un interesse diverso da
quello all'aggiudicazione, sub specie strumentale alla riedizione
dell'intera gara. Il principio costituisce espressione di quello più
generale dell'interesse ad agire, indefettibile condizione dell'azione che
nel processo amministrativo si collega alla «lesione della posizione
giuridica del soggetto» e sussiste qualora sia individuabile un'utilità
della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento.
Alla luce di tali principi il ricorso avverso il provvedimento
d'aggiudicazione non solo è inammissibile in radice se non contiene
doglianze dirette nei confronti di tutti gli operatori collocati in
graduatoria in posizione migliore del ricorrente, ma neppure può trovare
accoglimento nel caso di rigetto di tutte le censure avverso uno di tali
controinteressati, la cui posizione poziore si consoliderebbe pregiudicando
di per sé la possibilità del ricorrente di ottenere il bene della vita
perseguito» (TAR Puglia, Bari, II, 19.02.2021 n. 308). |
ottobre 2021 |
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APPALTI: Accesso
alle offerte tecniche di gara.
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Accesso ai documenti - Contratti della pubblica amministrazione - Offerte
tecniche – Limiti.
Ai fini dell’accesso alle offerte tecniche di gara è
utile, sebbene non quale pre-condizione per l’opposizione del segreto ma
quale criterio di valutazione della sua meritevolezza, la formulazione della
relativa dichiarazione già nel contesto dell’offerta o successivamente (1).
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(1) La verifica della conformità della dichiarazione relativa alla
segretezza tecnica e commerciale di parte della sua offerta tecnica,
depositata da Ad. s.p.a. in data 30.08.2021 in riscontro all’ordinanza della
Sezione n. 5620/2021, ai requisiti di specificità e adeguatezza
motivazionale ivi indicati, carenti –ad avviso della Sezione- nella
dichiarazione all’uopo precedentemente resa dalla medesima società.
Deve altresì precisarsi che, alla luce del tenore motivazionale e
dispositivo delle citate ordinanze, non viene in rilievo –né, quindi,
richiede che il Collegio fornisca ad essa, in questa sede, una autonoma
soluzione– la questione del rapporto (di bilanciamento) tra esigenza di
riservatezza del concorrente, per quanto concerne le informazioni contenute
nella relativa offerta tecnica che siano espressione della sua capacità
ideativa ed organizzativa, ed interesse del richiedente l’accesso, con
particolare riguardo alla sua eventuale inflessione difensiva ex art. 53,
comma 6, d.lvo n. 50/2016: ciò in quanto, oltre a non aver costituito
oggetto di specifiche deduzioni della parte appellante (che incentra le sue
critiche nei confronti delle modalità con le quali la società
controinteressata ha attuato la disclosure documentale, oscurando due
paragrafi del progetto tecnico da essa presentato in gara ed un allegato
dello stesso, come più analiticamente si dirà infra, essenzialmente
sostenendo l’insussistenza dei presupposti di segretezza atti a legittimare
la parziale opposizione ostensiva da quella avanzata),
Il potere del giudice esercitato con ordinanze istruttorie volte alla
verifica della possibilità di acquisire l’offerta tecnica integrale di gara,
esercitabile anche officiosamente ex art. 65, comma 3, c.p.a., è
principalmente orientato a garantire la completezza istruttoria del giudizio
di merito, con particolare riguardo alla acquisizione al relativo compendio
probatorio dei documenti di cui all’art. 46, comma 2, c.p.a., e non –se non
in via meramente mediata- a soddisfare l’interesse ostensivo di una delle
parti del giudizio, in funzione della difesa in giudizio degli interessi di
cui essa è soggettivamente portatrice.
Così delineati l’oggetto e la cornice del presente giudizio, deve
osservarsi, in via ugualmente preliminare, che la verifica relativa alla
sussistenza (recte, alla “motivata e comprovata”
rappresentazione da parte del titolare dei dati) di segreti “tecnici o
commerciali” implica un inevitabile margine di “affidamento” alla
dichiarazione della parte interessata, cui spetta in via prioritaria
apprezzare la relazione tra le informazioni riservate ed il suo specifico
background esperenziale e ideativo: dichiarazione che non si sottrae,
comunque, al sindacato del giudice amministrativo, inteso ad accertarne
l’attendibilità, anche sulla scorta delle deduzioni della parte interessata
ad ottenere la più ampia disponibilità di quelle informazioni, e rafforzato
dall’accesso diretto alle stesse (solo) da parte del giudice, che consente
ad esso di valutarne l’effettiva riconducibilità al patrimonio tecnico e
commerciale esclusivo dell’impresa cui ineriscono.
Né può omettersi di osservare che il sindacato del giudice amministrativo
in subiecta materia si alimenta di tutti gli elementi utili al suo
giudizio, sia intrinseci alle informazioni asseritamente riservate, sia
estrinseci alle stesse, come la sede in cui la parte interessata al
mantenimento del segreto ha manifestato le sottostanti ragioni
giustificative: sì che, da questo punto di vista, si rivela utile, sebbene
non quale pre-condizione per l’opposizione del segreto ma quale criterio di
valutazione della sua meritevolezza, la formulazione della relativa
dichiarazione già nel contesto dell’offerta o successivamente (aspetto che,
per una parte della giurisprudenza, incide invece sullo stesso an del
regime di secretazione, laddove si afferma, con riferimento al tema
dell’accesso, che esso “può essere escluso sempre che il concorrente, in
sede di offerta, dichiari preventivamente che talune informazioni fornite
nell’ambito dell'offerta costituiscono segreti tecnici e commerciali; con la
conseguenza che tale indicazione, costituendo specifico onere per il
concorrente che intenda mantenere riservate e sottratte all'accesso tali
parti della propria offerta, non può invece rappresentare, sul piano della
ragionevolezza interpretativa, un impedimento frapposto ex post
dall'aggiudicatario, a tutela della posizione conseguita, nei confronti
dell'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale da parte degli altri
concorrenti”: cfr.
Cons. Stato, sez. V, 01.07.2020, n. 4220).
Deve infine osservarsi che, inerendo l’indagine ai limiti del potere
acquisitivo del giudice (ed alle condizioni da osservare al fine di
conciliare le esigenze di completezza istruttoria del giudizio, tutela del
contraddittorio e parità tra le parti con la salvaguardia delle informazioni
oggetto di segreto), essa deve ritenersi affrancata dagli stringenti vincoli
immanenti al principio dispositivo, con la conseguente possibilità di
attingere ad argomenti ed elementi non dedotti dalle parti (ed in
particolare da quella interessata alla conoscenza della documentazione
tecnica della aggiudicataria)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
ordinanza 26.10.2021 n. 7173 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Criteri
di aggiudicazione basati su aspetti ambientali o sociali.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Offerta
economicamente più vantaggiosa – Offerta tecnica – Criteri di aggiudicazione
basati su aspetti ambientali o sociali – Ammissibilità - Limiti
Attraverso i criteri di aggiudicazione dei contratti
di cui all’art. 95, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016, l’amministrazione
appaltante può inserire -accanto o sullo stesso piano degli interessi
pubblici specifici connessi alla necessità di acquisire i beni e servizi
oggetto dell’appalto- ulteriori interessi sociali, in particolare il
conseguimento di un più elevato livello di tutela dei lavoratori impiegati
nell’esecuzione del contratto; quanto ai limiti di ammissibilità,
considerato che sia l’art. 67, paragrafo 2,della direttiva appalti
2014/24/UE, che l’art. 95, comma 6, del Codice, non prefigurano un elenco
tassativo di parametri sui quali basare i criteri di valutazione delle
offerte tecniche ma individuano un catalogo aperto e quindi integrabile con
ulteriori criteri (tra i quali, come risulta dallo stesso art. 95, comma 6,
«gli aspetti […] ambientali e sociali»), si deve concludere che la stazione
appaltante può discrezionalmente inserire tra i criteri di aggiudicazione
anche particolari condizioni di esecuzione dell’appalto volte a conseguire
obbiettivi di natura sociale (1) .
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(1) Ha chiarito la Sezione che la condizione necessaria per il
legittimo esercizio di tale potere discrezionale è costituita dalla verifica
della sussistenza di una connessione tra i criteri e l’oggetto dell’appalto
(art. 95, comma 6), nei termini della definizione di cui all’art. 95, comma
11, del codice dei contratti che considera connessi all’oggetto dell’appalto
i «criteri di aggiudicazione [che] riguardino lavori, forniture o servizi
da fornire nell'ambito di tale appalto sotto qualsiasi aspetto e in
qualsiasi fase del loro ciclo di vita, compresi fattori coinvolti nel
processo specifico di produzione, fornitura o scambio di questi lavori,
forniture o servizi o in un processo specifico per una fase successiva del
loro ciclo, anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto
sostanziale» (la disposizione recepisce l’art. 67, paragrafo 3, della
direttiva 2014/24/UE).
Prendendo in considerazione anche fattori relativi all’intero ciclo di vita
del lavoro, del bene o del servizio da acquisire, compresi i fattori
coinvolti anche in una fase successiva al ciclo di vita, tra i criteri di
aggiudicazione possono essere compresi anche criteri di natura sociale
riferiti all’applicazione di un determinato contratto collettivo di lavoro o
di una determinata tipologia di contratto di lavoro individuale, volti a
conseguire specifici obiettivi di stabilità occupazionale e di trattamento
economico e normativo dei lavoratori impiegati nell’appalto; fermo restando
il limite da tempo individuato dalla giurisprudenza europea, ossia che il
requisito non trasmodi nella previsione di criteri sociali che, abbandonando
il legame con l’oggetto del contratto (nei termini sopra richiamati),
prendano in considerazione gli aspetti relativi alla politica generale
dell’impresa o altri aspetti estranei al programma contrattuale.
Nel caso di specie, pertanto, si è ritenuta conforme alle direttive
enunciate la scelta dell’amministrazione appaltante di prevedere, nella
valutazione della «Esecuzione del servizio», il criterio della «Stabilità
del personale» (che tiene conto della «percentuale di lavoratori
adibiti all’appalto con contatto pluriennale a copertura della vigenza
dell’appalto»); e il criterio della «Disciplina rapporto di lavoro»,
che premia l’appaltatore che scelga di applicare il «CCNL Metalmeccanico
per la compagine dedicata alla manutenzione impiantistica [e il] CCNL Edile
per la compagine dedicata alla manutenzione edile» ovvero l’appaltatore
che dichiari di applicare il «CCNL Multiservizi per la compagine dedicata
alla manutenzione impiantistica [e il] CCNL Edile per la compagine dedicata
alla manutenzione edile»
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.10.2021 n. 7053 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Giustificazione
della non anomalia dell’offerta rese soltanto in sede giudiziaria.
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Contatti della Pubblica amministrazione – Offerte anomale –
Giustificazioni della non anomalia – Rese in sede giudiziaria – Tardività.
Sono tardive le giustificazioni della non anomalia
dell’offerta rese dal concorrente soltanto in sede giudiziaria (1).
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(1) La Sezione dà atto della possibilità, riconosciuta dalla
giurisprudenza, di giustificare la non anomali dell’offerta e richiama
principi pacificazione riconoscoiuti dal giudice di appello.
Ha ricordato che la disposizione dell’art. 95, comma 10, del Codice dei
contratti pubblici, laddove impone di indicare “i propri costi della
manodopera” nell’offerta economica, fissa un obbligo dichiarativo a pena
di esclusione che riguarda il singolo “operatore” ed ha ad oggetto i
“propri” costi della manodopera, ossia i costi da sostenersi
effettivamente da quest’ultimo per garantire l’esecuzione dell’appalto. Le
uniche deroghe a tale obbligo sono quelle previste dalla stessa disposizione
(forniture senza posa in opera, servizi di natura intellettuale, affidamenti
ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett. a), nessuna delle quali ricorrente nel
caso di specie.
La portata escludente dell’inosservanza dell’obbligo in parola da parte del
singolo operatore economico fissato dalla richiamata disposizione nazionale
è stata ritenuta conforme ai principi della certezza del diritto, della
parità di trattamento e di trasparenza -quali contemplati nella direttiva
2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli
appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE- dalla sentenza della
Corte di Giustizia, sez. IX, 02.05.2019, in causa C-309/18.
Ha affermato il Giudice eurounitario che i predetti principi della certezza
del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale secondo
la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in
un'offerta economica presentata nell'ambito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l'esclusione della medesima
offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell'ipotesi in cui
l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato
nella documentazione della gara d'appalto, sempreché tale condizione e tale
possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa
nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente
richiamata in detta documentazione.
Nei suoi principali snodi valutativi detta sentenza ha evidenziato che:
a) l'obbligo di indicare separatamente gli oneri per la sicurezza
aziendale in sede di offerta discende chiaramente dal combinato disposto
dell'art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici e dell'art. 83,
comma 9, del medesimo, il quale non consente la regolarizzazione di carenze
concernenti l'offerta tecnica o economica;
b) pertanto, qualsiasi operatore economico ragionevolmente
informato e normalmente diligente si presume a conoscenza dell'obbligo in
questione;
c) la regola opera anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare
i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione
della gara d'appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di
esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa
alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta
documentazione;
d) nondimeno, nei casi in cui il bando di gara contenga bensì un
espresso rinvio alle norme del Codice dei contratti pubblici, ma si
accompagni alla predisposizione di modelli dichiarativi ad uso obbligatorio
concretamente privi di spazio fisico per l'indicazione separata dei costi
della manodopera, debba demandarsi al giudice del merito la verifica della "materiale
impossibilità" di evidenziare, nel rispetto della prescrizione
normativa, i costi in questione, legittimandosi -in presenza di circostanze
idonee a "generare confusione" in capo agli offerenti- l'eventuale
attivazione del soccorso istruttorio.
In applicazione dei su indicati postulati anche sul versante interno non
residuano dubbi sulla piena predicabilità dell’automatismo espulsivo
correlato al mancato scorporo nell'offerta economica dei costi inerenti alla
manodopera e ciò a prescindere da una espressa previsione, in tal senso,
della lex specialis di gara (Cons. Stato, A.P., 02.04.2020, nn. 7 e
8; id., sez. V, 08.01.2021, n. 283; id. 10.02.2020, n. 1008; id. 24.01.2020,
n. 604).
La ratio dell’obbligo dell’indicazione separata dei costi della
manodopera è esplicitata nell’ultimo periodo dello stesso art. 95, comma 10,
secondo il quale “le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della
manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di
quanto previsto dall’art. 97, comma 5, lett. d)”, vale a dire il
rispetto dei minimi salariali retributivi del personale indicati nelle
tabelle di cui all’art. 23, comma 16.
Si tratta, all’evidenza, della finalità di tutela delle condizioni dei
lavoratori cui si accompagna, a determinate condizioni, la finalità di
consentire alla stazione appaltante la verifica della serietà dell’offerta
economica, in particolare, in presenza di offerte anormalmente basse.
La gravità della conseguenza giuridica dell’espulsione dalla gara segnala,
sul piano sostanziale, la rilevanza dei beni giuridici tutelati attraverso
l’imposizione della prescrizione normativa, che intende garantire la tutela
del lavoro sia sotto il profilo della applicazione dei contratti collettivi
(e, quindi, della tutela della retribuzione dei lavoratori secondo l’art. 36
Cost.), sia sotto il profilo della salute e della sicurezza dei lavoratori
(art. 32 Cost., ma anche secondo e terzo comma dell'art. 36 Cost., in cui si
fissano la durata massima della giornata lavorativa ed il diritto al riposo
settimanale nonché alle ferie annuali, che individuano altrettante
condizioni necessarie e rilevanti anche per la tutela della salute dei
lavoratori).
L’indicazione del costo della manodopera (così come degli oneri per la
sicurezza aziendale) svolge, in realtà, una duplice funzione: non solo ai
fini dell’eventuale giudizio di anomalia (che ha come unico scopo la
verifica della congruità dell’importo indicato dall’offerente come costo del
personale, da effettuare ai sensi dell’art. 97, comma 5, lett. d), del
Codice dei contratti, e con i limiti posti dal comma 6 della medesima
disposizione), ma, prima ancora, in sede di predisposizione dell’offerta
economica per formulare un’offerta consapevole e completa sotto tutti i
profili sopra evidenziati (Cons. Stato, sez. V, 30.06.2020, n. 4140).
Tali principi, ormai granitici nella giurisprudenza del giudice
amministrativo, portano ad escludere che l’onere di indicazione degli oneri
della manodopera possa ritenersi assolto con l’indicazione del costo
standardizzato già riportato nelle tabelle ministeriali, atteso che, come
correttamente affermato da Fo. nei propri scritti difensivi, si finirebbe
per implicitamente accettare che nessuna impresa adempia più realmente a
tale obbligo, essendo più agevole riservare il calcolo ad una fase
successiva all’aggiudicazione, anche al fine di calibrarne l’ammontare ad
eventuali esigenze di copertura di voci contestate (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 19.10.2021 n. 7036 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
2. Prima di affrontare il primo motivo di appello relativo alla
anomalia dell’offerta giova ripercorrere i principi cardini, elaborati da
una ormai granitica giurisprudenza del giudice amministrativo, che regolano
la materia in esame.
La giurisprudenza ha più volte chiarito che la verifica dell'anomalia
dell'offerta è finalizzata ad accertare l'attendibilità e la serietà della
stessa sulla base di una valutazione, ad opera della stazione appaltante,
che ha natura globale e sintetica e che costituisce espressione di un tipico
potere tecnico-discrezionale riservato alla p.a., insindacabile in sede
giurisdizionale salvo che per ragioni legate alla eventuale (e dimostrata)
manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell'operato
dell'amministrazione, tale da rendere palese l'inattendibilità complessiva
dell'offerta (Cons. Stato, sez. III, 19.10.2020, n. 6317).
In tale prospettiva, è, in termini generali, ammissibile una modifica delle
giustificazioni delle singole voci di costo, non solo in correlazione a
sopravvenienze di fatto o di diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad
originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l’entità
originaria dell’offerta economica, nel rispetto del principio dell’immodificabilità,
che presiede la logica della par condicio tra i competitori (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 16.03.2020, n. 1873; id. 11.12.2020, n. 7943).
Tale ammissibilità incontra (di là dalla rigidità delle voci di costo
inerenti gli oneri di sicurezza aziendale) il solo limite del divieto di una
radicale modificazione della composizione dell'offerta che ne alteri
l'equilibrio economico, allocando diversamente voci di costo nella sola fase
delle giustificazioni (Cons. Stato, sez. V, 24.04.2017, n. 1896).
Inoltre, la riallocazione delle voci deve avere un fondamento economico
serio allorché incida sulla composizione dell’offerta, atteso che,
diversamente, si perverrebbe all'inaccettabile conseguenza di consentire
un'elusiva modificazione a posteriori della stessa, snaturando la funzione
propria del sub-procedimento di verifica dell'anomalia, che è, per l’appunto,
di apprezzamento globale dell'attendibilità dell'offerta (Cons. Stato, sez.
VI, 15.01.2021, n. 487).
Ragionevoli, giustificate e proporzionate modificazioni e rimodulazioni
possono interessare anche la struttura dei costi per il personale.
Invero, l’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016, pone a carico di ogni
operatore economico l’onere di indicare espressamente nell’offerta economica
“i propri costi della manodopera”, anche al fine di consentire lo
svolgimento del successivo subprocedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta previsto dal successivo art. 97. La norma prevede, infatti, che
la stazione appaltante, “relativamente ai costi della manodopera”, proceda,
prima dell’aggiudicazione, a “verificare il rispetto di quanto previsto
all'art. 97, comma 5, lettera d)”, ossia che il “costo del personale” non
sia inferiore, salvo idonee spiegazioni, ai minimi salariali retributivi
indicati nelle apposite tabelle ministeriale ai sensi dell’art. 23, comma
16.
3. Nell’ambito di tale ristretto sindacato, il Collegio ritiene la
valutazione effettuata dalla commissione non sia congrua, e ciò pur aderendo
al principio secondo il quale il procedimento di verifica dell'anomalia
dell'offerta non mira ad individuare specifiche e singole inesattezze nella
sua formulazione ma, piuttosto, ad accertare in concreto che la proposta
economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta
esecuzione dell'appalto (Cons. Stato, sez. V, 29.12.2017, n. 6158).
Con
il primo motivo Eu. afferma che il giudice di primo grado non ha
considerato che, come affermato nei giustificativi prodotti in sede di gara,
“la Società ha scelto di imputare in offerta dei costi orari della
manodopera cautelativi rispetto a quelli sostenibili (applicando i parametri
aziendali) al fine di ottenere un ulteriore margine economico in grado di
garantire la copertura di costi aggiuntivi non preventivabili in fase di
presentazione dell’offerta. Nello specifico, in offerta, sono stati imputati
i costi orari indicati nelle ultime Tabelle Ministeriali pubblicate con
riferimento alla Provincia di Frosinone, anche se tali costi risultano
significativamente più alti rispetto a quelli concretamente applicabili
dalla Società al proprio personale”.
Prudenzialmente Euro ha indicato come
totale del costo del personale €/anno 4.458.086,88 in luogo di €/anno
4.005.094,32, che è la somma che dovrebbe essere effettivamente spesa per la
manodopera, per una differenza pari a € 452.992,32 su base annua. In tal
modo, attraverso le sovrastime si compenserebbero eventuali sottostime, con
conseguente complessiva sostenibilità dell’offerta di Euro nel suo
complesso.
Rileva il Collegio che, come correttamente affermato dal giudice di primo
grado, solo in sede giudiziale Euro ha introdotto argomentazioni in ordine
alle ragioni per cui la voce relativa al “costo del personale” –la
più importante, anche in considerazione del peso che la manodopera ha avuto
nell’offerta tecnica– non fosse sottostimata.
Per capire l’importanza di una seria stima del costo del lavoro vale
premettere che nell’offerta tecnica sono stati previsti n. 21 dipendenti
come staff aziendale di supporto; n. 7 lavoratori con funzioni di gestione,
controllo e coordinamento; n. 303 risorse con mansioni operative; n. 267
addetti al supporto operativo (id est, sostituzioni, interventi particolari,
squadre emergenza), per un totale di 598 dipendenti.
Nella giustificazione resa in data 31.07.2020 si fa riferimento alla
Tabella ministeriale dei costi della Provincia di Roma, sostituita poi,
nelle successive giustificazioni inviate in data 17.09.2020, dalle
Tabelle ministeriali della Provincia di Frosinone. Dalle giustificazioni
rese in ordine alla voce “Costi relativi alla sicurezza” si evince, da un
mero calcolo matematico, che gli stessi coprono 303 dipendenti, con la
conseguenza che risultano scoperti i 267 addetti a supporto operativo, con
maggiori oneri per un totale di per euro 40.050,00.
Dalle giustificazioni prodotte in gara –le uniche alle quali si possa fare
riferimento, non essendo assecondabile il tentativo di introdurre in
giudizio nuovi giustificativi– non è stata affermata la sovrastima di altre
voci di costo che possano coprire la mancata indicazione dei costi di
sicurezza di 267 dipendenti, che nella predetta giustificazione, resa in
data 31.07.2020, non trovano evidente copertura.
Ed in ogni caso, ove pure fosse stato fatto cenno a tale modus procedendi
in sede di redazione dell’offerta economica, sarebbe assorbente la
considerazione che la disposizione dell’art. 95, comma 10, del Codice dei
contratti pubblici, laddove impone di indicare “i propri costi della
manodopera” nell’offerta economica, fissa un obbligo dichiarativo a pena di
esclusione che riguarda il singolo “operatore” ed ha ad oggetto i “propri”
costi della manodopera, ossia i costi da sostenersi effettivamente da quest’ultimo
per garantire l’esecuzione dell’appalto. Le uniche deroghe a tale obbligo
sono quelle previste dalla stessa disposizione (forniture senza posa in
opera, servizi di natura intellettuale, affidamenti ai sensi dell’art. 36,
comma 2, lett. a), nessuna delle quali ricorrente nel caso di specie.
La portata escludente dell’inosservanza dell’obbligo in parola da parte del
singolo operatore economico fissato dalla richiamata disposizione nazionale
è stata ritenuta conforme ai principi della certezza del diritto, della
parità di trattamento e di trasparenza -quali contemplati nella direttiva
2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014,
sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE- dalla sentenza
della Corte di Giustizia, sez. IX, 02.05.2019, in causa C-309/18.
Ha affermato il Giudice eurounitario che i predetti principi della certezza
del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale secondo
la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in
un'offerta economica presentata nell'ambito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l'esclusione della medesima
offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell'ipotesi in cui
l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato
nella documentazione della gara d'appalto, sempre che tale condizione e tale
possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa
nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente
richiamata in detta documentazione.
Nei suoi principali snodi valutativi detta sentenza ha evidenziato che:
a) l'obbligo di indicare separatamente gli oneri per la sicurezza
aziendale in sede di offerta discende chiaramente dal combinato disposto
dell'art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici e dell'art. 83,
comma 9, del medesimo, il quale non consente la regolarizzazione di carenze
concernenti l'offerta tecnica o economica;
b) pertanto, qualsiasi operatore economico ragionevolmente
informato e normalmente diligente si presume a conoscenza dell'obbligo in
questione;
c) la regola opera anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare
i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione
della gara d'appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di
esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa
alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta
documentazione;
d) nondimeno, nei casi in cui il bando di gara contenga bensì un
espresso rinvio alle norme del Codice dei contratti pubblici, ma si
accompagni alla predisposizione di modelli dichiarativi ad uso obbligatorio
concretamente privi di spazio fisico per l'indicazione separata dei costi
della manodopera, debba demandarsi al giudice del merito la verifica della
"materiale impossibilità" di evidenziare, nel rispetto della prescrizione
normativa, i costi in questione, legittimandosi -in presenza di circostanze
idonee a "generare confusione" in capo agli offerenti- l'eventuale
attivazione del soccorso istruttorio.
In applicazione dei su indicati postulati anche sul versante interno non
residuano dubbi sulla piena predicabilità dell’automatismo espulsivo
correlato al mancato scorporo nell'offerta economica dei costi inerenti alla
manodopera e ciò a prescindere da una espressa previsione, in tal senso,
della lex specialis di gara (Cons. Stato, A.P., 2 aprile 2020, nn. 7
e 8; id., sez. V, 08.01.2021, n. 283; id. 10.02.2020, n. 1008; id.
24.01.2020, n. 604).
La ratio dell’obbligo dell’indicazione separata dei costi della
manodopera è esplicitata nell’ultimo periodo dello stesso art. 95, comma 10,
secondo il quale “le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della
manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di
quanto previsto dall’art. 97, comma 5, lett. d)”, vale a dire il rispetto
dei minimi salariali retributivi del personale indicati nelle tabelle di cui
all’art. 23, comma 16.
Si tratta, all’evidenza, della finalità di tutela delle condizioni dei
lavoratori cui si accompagna, a determinate condizioni, la finalità di
consentire alla stazione appaltante la verifica della serietà dell’offerta
economica, in particolare, in presenza di offerte anormalmente basse.
La gravità della conseguenza giuridica dell’espulsione dalla gara segnala,
sul piano sostanziale, la rilevanza dei beni giuridici tutelati attraverso
l’imposizione della prescrizione normativa, che intende garantire la tutela
del lavoro sia sotto il profilo della applicazione dei contratti collettivi
(e, quindi, della tutela della retribuzione dei lavoratori secondo l’art. 36
Cost.), sia sotto il profilo della salute e della sicurezza dei lavoratori
(art. 32 Cost., ma anche secondo e terzo comma dell'art. 36 Cost., in cui si
fissano la durata massima della giornata lavorativa ed il diritto al riposo
settimanale nonché alle ferie annuali, che individuano altrettante
condizioni necessarie e rilevanti anche per la tutela della salute dei
lavoratori).
L’indicazione del costo della manodopera (così come degli oneri per la
sicurezza aziendale) svolge, in realtà, una duplice funzione: non solo ai
fini dell’eventuale giudizio di anomalia (che ha come unico scopo la
verifica della congruità dell’importo indicato dall’offerente come costo del
personale, da effettuare ai sensi dell’art. 97, comma 5, lett. d), del
Codice dei contratti, e con i limiti posti dal comma 6 della medesima
disposizione), ma, prima ancora, in sede di predisposizione dell’offerta
economica per formulare un’offerta consapevole e completa sotto tutti i
profili sopra evidenziati (Cons. Stato, sez. V, 30.06.2020, n. 4140).
Tali principi, ormai granitici nella giurisprudenza del giudice
amministrativo, portano ad escludere che l’onere di indicazione degli oneri
della manodopera possa ritenersi assolto con l’indicazione del costo
standardizzato già riportato nelle tabelle ministeriali, atteso che, come
correttamente affermato da Fo. nei propri scritti difensivi, si
finirebbe per implicitamente accettare che nessuna impresa adempia più
realmente a tale obbligo, essendo più agevole riservare il calcolo ad una
fase successiva all’aggiudicazione, anche al fine di calibrarne l’ammontare
ad eventuali esigenze di copertura di voci contestate
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 19.10.2021 n. 7036 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: All’Adunanza
plenaria se la modifica soggettiva del Rti in caso di perdita dei requisiti
di partecipazione ex art. 80 da parte del mandatario o di una delle mandanti
è consentita anche in fase di gara.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di partecipazione -
Perdita del raggruppamento temporaneo di imprese - Modifica soggettiva del
Rti – Anche in fase di gara – Rimessione all’Adunanza plenaria
E’ rimessa all’Adunanza plenaria la questione se sia
possibile interpretare l’art. 48, commi 17, 18 e 19–ter, d.lgs. 18.04.2016,
n. 50 nel senso che la modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di
imprese in caso di perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 dello
stesso Codice dei contratti da parte del mandatario o di una delle mandanti
è consentita non solo in fase di esecuzione, ma anche in fase di gara.
In caso di risposta positiva alla prima domanda va precisata la modalità
procedimentale con la quale detta modifica possa avvenire, se, cioè, la
stazione appaltante sia tenuta, anche in questo caso, ed anche qualora abbia
già negato la autorizzazione al recesso che sia stata richiesta dal
raggruppamento per restare in gara avendo ritenuto intervenuta la perdita di
un requisito professionale, ad interpellare il raggruppamento, assegnando
congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da
poter riprendere la propria partecipazione alla gara (1).
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(1) Ha chiarito la
Sezione che nella sentenza dell’Adunanza
plenaria 27.05.2021, n. 10, la modificabilità del raggruppamento per la
perdita di requisiti di cui all’art. 80 del codice dei contratti in capo
alla mandataria o ad una delle mandanti in fase di gara è detta non
ammissibile incidentalmente, nel corso, cioè, della trattazione dedicata
alla questione centrale della quale l’Adunanza plenaria era stata investita
dal giudice rimettente, e dunque, senza che siano stati spesi argomenti a
supporto di tale conclusione, (se non il mero richiamo alle sentenze della
Quinta sezione alla delibera dell’Anac), né tanto meno messi a confronto gli
opposti orientamenti.
Ha aggiunto che l’interpretazione delle disposizioni rilevanti è sicuramente
connotata da alto livello di problematicità in quanto: il dato letterale, a
ben riflettere, non pare decisivo per ricavare la regola della fattispecie:
l’inciso “in corso di esecuzione” riferito al caso di perdita dei
requisiti di partecipazione, senza che lo si dica inutile o superfluo come
fatto dal giudice di primo grado, od anche illogico, potrebbe essere stato
avvertito dal legislatore come precisazione necessaria per evitare il
possibile dubbio interpretativo che il richiamo ai “requisiti di cui
all’art. 80” vale a dire a quei requisiti –e a quell’articolo del
codice– la cui verifica si compie in fase procedurale avrebbe potuto far
sorgere circa l’effettivo ambito applicativo della disposizione.
Si aggiunga che risponde a logica l’argomento per il quale se il
legislatore, introducendo il comma 19–ter all’interno dell’art. 48 del
Codice, avesse voluto far eccezione alla deroga e ripristinare il principio
di immodificabilità del raggruppamento in caso di perdita dei requisiti
generali di cui all’art. 80 del codice in fase di gara, la via maestra
sarebbe stata quella di operare la distinzione all’interno dello stesso
comma 19–ter, senza dar vita ad un arzigogolo interpretativo; rinviando alle
“modifiche soggettive” contemplate dai commi 17, 18 e 19, invero, la
norma pianamente dice suscettibili di portare alla modifica del
raggruppamento in fase di gara tutte le sopravvenienze ivi previste,
compresa la perdita dei requisiti generali.
Ad ogni modo non si può negare che occorra superare in sede interpretativa
una distonia e contraddizione tra le norme che sembra ricorrere su di un
duplice piano:
sul piano interno, poiché non può negarsi che, a voler seguire una certa
interpretazione tra le due possibili, si finisce coll’ammettere la modifica
soggettiva del raggruppamento in corso di gara in caso di impresa sottoposta
a procedura concorsuale o raggiunta da interdittiva antimafia e non invece
nel caso in cui la stessa abbia perduto qualcuno dei requisiti generali di
partecipazione: vero che ciascuna vicenda ha la sua peculiarità, ma resta il
fatto che la permanenza in gara o l’esclusione di un operatore economico
dipende da situazioni che tutte possono essere ricondotte quoad effectum
(e, dunque unitariamente assunte in sede di interpretazione del dato
normativo) alla perdita dell’integrità dell’operatore economico per la sua
condotta professionale (es. il mancato versamento di contributi
previdenziali o il mancato pagamento dei tributi, ma anche il dubbio circa
l’idoneità morale conseguente all’adozione di uno dei provvedimenti della
normativa antimafia) o alla perdita dell’affidabilità circa la sua capacità
di eseguire le prestazioni oggetto del contratto in affidamento (i pregressi
inadempimenti, specialmente se intervenuti con la stessa stazione
appaltante, ma anche lo stato di decozione comportante l’assoggettamento
alla procedura concorsuale), e delle quali indubbiamente quelle che
consentono la modifica soggettiva risultano per più versi maggiormente
allarmanti per l’interesse pubblico delle altre per le quali si viole
escluso.
Sempre sul piano interno, perché è consentita la modifica soggettiva del
raggruppamento anche in caso di perdita dei requisiti di partecipazione ex
art. 80 in fase di esecuzione, quand’ormai la stazione appaltante ha ben
poche possibilità di vagliare l’affidabilità del raggruppamento per come
riorganizzatosi al venir meno di un suo componente, con ogni possibile
incertezza sulla residuata capacità di esecuzione, e non in fase di gara
quando è ancora in tempo ad effettuare ogni verifica sui rimanenti
componenti.
Sul piano esterno, perché se è vero che la deroga al principio di
immodificabilità dei raggruppamenti per sopravvenuto assoggettamento a
procedura concorsuale di un soggetto aggregato o per adozione nei suoi
confronti di una misura prevista dalla normativa antimafia evita che le
vicende dell’uno possano ripercuotersi su tutti gli altri, in situazioni in
cui non sia incisa la capacità complessiva dello stesso raggruppamento che,
riorganizzatosi al suo interno, si ancora in grado di garantire l’esecuzione
dell’appalto (da ultimo, così è spiegata la deroga proprio dall’Adunanza
plenaria n. 10 del 2021, al par. 25) –a sua volta eliminando quelle
giustificate preoccupazioni (di non poter aggiudicarsi e concludere
l’esecuzione dell’appalto per colpa di uno degli associati) dell’imprese con
la finalità di favorire le aggregazioni di imprese, e, in ultima analisi,
ampliare il campo degli operatori economici che possono aspirare
all’aggiudicazione di pubbliche commesse– è fuor di dubbio, seguendo questa
via di ragionamento, queste stesse ragioni possano condurre a dire
giustificata la deroga all’immodificabilità del raggruppamento per la
perdita dei requisiti generali di partecipazione e, specularmente, a dire
non giustificato un diverso trattamento di detta vicenda.
Quanto sopra è tanto più vero ove si consideri che nessuna delle ragioni che
sorreggono il principio di immodificabilità della composizione del
raggruppamento varrebbero a spiegare in maniera convincente il divieto di
modifica per la perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 in sede
di gara: non la necessità di evitare che la stazione appaltante si trovi ad
aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto del quale non
abbia potuto verificare i requisiti, generali o speciali di partecipazione
in quanto, una volta escluso dall’Adunanza
plenaria nella sentenza n. 10 del 2021 la c.d. sostituzione per
addizione, tale evenienza non potrà giammai verificarsi quale che sia la
vicenda sopravvenuta per la quale sia venuto meno uno dei componenti del
raggruppamento, né la tutela della par condicio dei partecipanti alla
procedura di gara, che è violato solo se all’uno è consentito quel che
all’altro è negato, ma qui tutti sono trattati allo stesso modo perché
possono alle stesse condizioni pervenire all’aggiudicazione della procedura
di gara, ossia a condizione che sia garantito l’integrale e continuativo
possesso dei requisiti di partecipazione a partire dalla presentazione della
domanda e fino all’esecuzione del contratto, situazione che, a ben vedere,
ricorre sempre, quale che sia la ragione per la quale uno dei componenti del
raggruppamento viene meno se gli altri sono in grado di garantire con i loro
requisiti la corretta esecuzione del contratto.
Infine, valga la seguente riflessione: per quanto detto in precedenza, se
vietare la modifica soggettiva al raggruppamento del quale uno dei
componenti sia incorso in perdita dei requisiti di partecipazione in fase di
gara, ma che sia comunque capace di eseguire il contratto in affidamento,
non apporta alcun vantaggio alla stazione appaltante per la quale,
rispettata quest’ultima condizione, quale che sia il numero dei componenti
il raggruppamento, resta comprovata l’affidabilità dell’operatore,
innegabile, invece, è il vantaggio per le imprese che, da un lato,
hanno la necessità di raggrupparsi per poter competere in taluni segmenti di
mercato, e dall’altro, subirebbero ingiustamente effetti negativi di
altrui condotte che non hanno in alcun modo potuto evitare
(Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza 18.10.2021 n. 6959 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Appalti,
paletti alle ordinanze.
L’ente non può imporre la proroga o il rinnovo del contratto.
Il Tar di Reggio Calabria: no agli abusi dei comuni anche se si tratta di
igiene urbana.
Non è possibile imporre all'appaltatore la proroga o il rinnovo del
contratto, fissando unilateralmente il corrispettivo mediante ordinanza
contingibile ed urgente, nemmeno nel caso dei servizi di igiene urbana.
La
sentenza
18.10.2021 n. 794 del TAR
Calabria-Reggio Calabria evidenzia
l'abuso delle ordinanze contingibili ed urgenti sempre più spesso
riscontrabile nella gestione degli appalti dei comuni.
L'articolo 191 del d.lgs. 152/2006 prevede che «qualora si verifichino
situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute
pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il
presidente della giunta regionale o il presidente della provincia ovvero il
sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali
forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti,
nel rispetto, comunque, delle disposizioni contenute nelle direttive
dell'Unione europea, garantendo un elevato livello di tutela della salute e
dell'ambiente».
Tuttavia, questo potere va esercitato senza andare oltre i confini del buon
andamento della gestione e rispettando i principi costituzionali che
impongono l'equilibrio economico tra le parti, nella gestione dei rapporti
economici.
Secondo la giurisprudenza dominante, l'ordinanza contingibile ed urgente
permette all'ente solo di imporre al privato l'erogazione delle prestazioni,
nonostante la scadenza del contratto stipulato tra le parti, superando
l'assenza del consenso dell'operatore economico al prolungamento del
rapporto contrattuale. Tuttavia, con l'ordinanza non è consentito imporre
all'appaltatore un corrispettivo per l'espletamento di quel servizio, né,
tanto meno, l'ordinanza può fissare l'importo rinviando ad accordi
contrattuali scaduti o sulla cui vigenza ed efficacia vi è contesa tra le
parti.
Se così non fosse, si consentirebbe all'amministrazione pubblica di
sacrificare la libera iniziativa economica privata a beneficio del proprio
esclusivo interesse di risparmio di spesa, dandosi vita ad una grave
violazione dei principi desumibili dall'articolo 41 della Costituzione.
Occorre, pertanto, garantire il bilanciamento tra le esigenze di interesse
pubblico connesse alla necessità di proseguire il servizio di igiene urbana,
con quelle private dell'operatore economico all'ottenimento del giusto
prezzo: tale contemperamento è un obiettivo necessario per garantire il
rispetto del principio di proporzionalità tra le prestazioni, di matrice
comunitaria, operante anche nell'ordinamento interno, perché l'articolo 1
della legge 247/1990, legge sul procedimento amministrativo, richiama
espressamente i principi di diritto europeo; in ogni caso, la necessità di
non sacrificare oltre misura la libertà di impresa e l'economicità
profittevole di un servizio reso da un operatore economico, si desume
dall'articolo 97 della Costituzione, come diretta conseguenza dei principi
di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.
La situazione di necessità e urgenza non giustifica, dunque, la definizione
in via autoritativa e definitiva dell'importo dei canoni da corrispondere al
gestore.
Nel caso affrontato dal Tar Calabria non solo il comune aveva imposto il
prezzo, ma mediante l'ordinanza aveva anche previsto una proroga a del
contratto scaduto (quindi, tecnicamente un rinnovo), nonostante si fosse già
consumato il periodo di proroga tecnica di 12 mesi, previsto dall'originario
contratto.
Molti comuni cadono nell'errore di ritenere che le ordinanze contingibili ed
urgenti possano essere utilizzate come strumento per aggirare i principi
posti dalla Costituzione e dal codice dei contratti per gli affidamenti
degli appalti e la regolazione dei conseguenti contratti. Non sono rari i
casi nei quali le ordinanze sono adottate anche al di fuori dei confini
della gestione dei servizi di igiene urbana, come strumento per indurre gli
uffici ad agire, spesso in deroga estesissima alle regole generali del
procedimento amministrativo e degli appalti. Si tratta non di rado di
ordinanze rivolte agli uffici, appunto per ordinare loro di procedere ad un
appalto. Si tratta di atti profondamente illegittimi perché non possono
essere gli uffici oggetto dei poteri straordinari previsti dall'articolo 50
del d.lgs 267/2000, ma destinatari terzi, cittadini o imprese.
Tali ordinanze sono anche un metodo per aggirare il principio di separazione
tra politica e gestione, proprio in ambiti delicatissimi, perché spesso il
loro fine è quello di porre in essere affidamenti diretti o proroghe in
deroga (se non clamorosa violazione) delle norme del codice dei contratti e
di altre leggi speciali
(articolo ItaliaOggi del 04.12.2021).
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SENTENZA
Sul punto reputa il Collegio che dalla documentazione versata nel
fascicolo di causa emerga la fondatezza delle censure con cui, nel ricorso
principale ed in quelli per motivi aggiunti, la ricorrente lamentava la
violazione dell’art. 106, comma 11, del dlgs 50/2016 e dell’art. 23 della
legge 18.04.2005 n. 62, nonché di quelle con cui è denunziata
l’illegittimità della determinazione unilaterale del corrispettivo dovuto
alla ricorrente per effetto dei gravati provvedimenti di proroga
dell’affidamento.
10.1. Osserva il Collegio come la prima proroga del contratto tra le parti
sia stata adottata con la determina n. 15 dell'11/02/2019 (reg. gen. 110 del
15/02/2019) e che il vincolo negoziale a quella data era però già sciolto,
atteso che la durata del contratto era stata stabilita in tre anni o
trentasei mesi dalla consegna avvenuta il 10.02.2016, l’art. 3 comma 2 del
contratto precisava infatti che “alla scadenza del termine di durata il
contratto si intende cessato e risolto di diritto, senza necessità di
disdetta, preavviso, diffida o costituzione in mora”, pertanto non di
proroga dovrebbe parlarsi ma di rinnovo di un contratto scaduto, rispetto al
quale però opera la preclusione di cui all’art. 23 della legge 18.04.2005 n.
62.
Ma anche a voler ritenere che di proroga e non di rinnovo si trattasse,
appaiono manifestamente illegittime le successive proroghe (tecniche)
adottate dalla resistente amministrazione a mente dell’art. 106, comma 11,
del Dlgs 50/2016.
La norma in questione, infatti, stabilisce che “La durata del contratto
può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione
se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga”.
Ebbene, anche a voler considerare che l’originario contratto stipulato dalle
parti fosse ancora in corso di esecuzione al momento (il 04.09.2020)
dell’adozione del provvedimento gravato con il ricorso principale, in ogni
caso quel contratto prevedeva che la durata complessiva della proroga non
potesse eccedere il termine di un anno dalla scadenza originaria del vincolo
negoziale (avvenuta come visto il 09.02.2019), sicché la nuova proroga
adottata a settembre 2020, le precedenti (non impugnate) e le successive
(poi impugnate con motivi aggiunti), non erano legittimate da alcuna
disposizione del contratto o dei documenti di gara.
10.2. È fondata anche la doglianza con cui la ricorrente lamenta
l’unilaterale determinazione del corrispettivo dovuto per la proroga del
servizio. Sul punto non possono che essere richiamati i precedenti con cui
questo Collegio (da ultimo con le sentenze n. 168 del 12.03.2020 e 468 del
23.07.2020), ha evidenziato che la PA non può imporre (nemmeno con lo
strumento dell’ordinanza contingibile e urgente) un corrispettivo per
l'espletamento di un servizio, e tanto meno può farlo rinviando ad accordi
contrattuali sulla cui vigenza ed efficacia vi è contesa tra le parti.
Invero, diversamente opinando, si consentirebbe all'Amministrazione di
sacrificare la libera iniziativa economica privata a beneficio del proprio
esclusivo interesse al risparmio di spesa, con violazione dei principi
desumibili dall'art. 41 Cost. (cfr. in tal senso, C.d.S, V, 02.12.2002 n.
6624). |
APPALTI: Suddivisione
della gara in lotti per macroaree geografiche.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Lotti - Suddivisione –
Frazionamento delle procedure per macroaree geografiche – Legittimità.
A fronte della identità funzionale dell’oggetto
della procedura di gara, non irragionevolmente la Stazione appaltante
recupera l’eventuale deficit di diversificazione pro-concorrenziale
frazionando le procedure per macroaree geografiche, limitando così gli
importi a base d’asta. (2).
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(1) Ha premesso la Sezione che la suddivisione in lotti di cui
all’art. 51, d.lgs n. 50 del 2016 è prevista a tutela delle piccole e medie
imprese al fine di consentire la loro partecipazione e, dunque, è posta a
tutela della libera concorrenza. L’appalto in questione prevede la fornitura
dall’oggetto necessariamente unitario, motivo per cui la suddivisone in
lotti in termini geografici non appare difforme rispetto al precetto
normativo. La previsione di vincoli di partecipazione o di aggiudicazione
rientra tra le facoltà dell’amministrazione e non si risolve in un obbligo,
come anche indicato nella Direttiva 2014/24/UE.
La scelta della Stazione appaltante è frutto di un bilanciamento tra tutela
della concorrenza da una parte, ed esigenze tecnico-economiche dall’altra,
afferenti l’interesse pubblico alla prestazione di cui è attributaria
l’amministrazione, per cui la suddivisione in lotti geografici su base
d’asta non risulta irragionevole o illegittima, e, come affermato da recente
giurisprudenza, sebbene sia indubbio che la suddivisione in lotti
rappresenti uno strumento posto a tutela della concorrenza sotto il profilo
della massima partecipazione alle gare, è altrettanto indubbio che tale
principio non costituisca un precetto inviolabile né possa comprimere
eccessivamente la discrezionalità amministrativa di cui godono le Stazioni
appaltanti nella predisposizione degli atti di gara in funzione degli
interessi sottesi alla domanda pubblica, assumendo, piuttosto, la natura di
principio generale adattabile alle peculiarità del caso di specie. Nella
giurisprudenza della Sezione si è più volte affermato che la mancata
previsione del vincolo di aggiudicazione non comporta ex se illegittimità
della procedura.
In particolare, la sentenza n. 3683 del 2020 ha chiarito che “non è
l'assenza di tale vincolo, la cui previsione è meramente discrezionale (art.
51, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016), a determinare in sé la violazione
della concorrenza, bensì la strutturazione della gara in modo tale che la
sua apparente suddivisione in lotti, per le caratteristiche stesse di questi
o in base al complesso delle previsioni della lex specialis, favorisca in
modo indebito taluno dei concorrenti e gli consenta di acquisire l'esclusiva
nell'aggiudicazione dei lotti”.
Il problema si sposta dunque sulla logicità e ragionevolezza della
suddivisione in lotti: che, come chiarito, nel caso di specie è risultata
conforme ad un plausibile bilanciamento fra le esigenze di tutela della
concorrenza e quelle correlate alla organizzazione sul territorio della
prestazione oggetto dell’appalto.
Nella specie la Sezione ha escluso la illogicità del frazionamento per
essere state accorpate in alcuni lotti più Aziende Sanitarie, qualora tale
accorpamento sia comunque conforme al criterio territoriale di cui sopra:
non risultando, e non avendolo peraltro neppure dedotto l’appellante, che
gli accorpamenti in questione siano stati individuati e definiti in deroga
al ridetto criterio.
L’accorpamento nel medesimo lotto di Aziende non ricadenti in ambiti
territoriali eterogenei confermerebbe semmai la ragionevolezza del criterio
e la sua effettiva funzionalizzazione agli interessi collettivi portati
dalla stazione appaltante.
Ha aggiunto la Sezione che è proprio il diritto comunitario ad insegnare che
la tutela della concorrenza, che qui dunque appare garantita, può essere
peraltro recessiva (o quanto meno bilanciata) rispetto alle esigenze sottese
ad una efficiente ed efficace erogazione del servizio, in ragione della
prevalenza funzionale, nella disciplina (anche comunitaria) degli appalti
pubblici, del profilo causale inerente le ragioni della domanda pubblica: “Va
anzitutto osservato che il fatto che la disciplina degli appalti pubblici
sia ispirata al valore della tutela della concorrenza non vuol dire che ciò
comporti una restrizione sul piano della qualità delle prestazioni che può
richiedere l’amministrazione (secondo un parametro di proporzionalità),
specie a fronte di un servizio pubblico così delicato. A partire alla
sentenza della Corte di Giustizia, 17.09.2002, in causa C-513/99, è
acquisito il principio per cui la tutela della concorrenza nel settore dei
contratti pubblici implica anche la capacità dell’impresa di stare sul
mercato offrendo prodotti competitivi per soddisfare una domanda pubblica
qualificata, in relazione ai sottostanti interessi della collettività
(secondo la logica del contratto pubblico come strumento a plurimo impiego).
La positivizzazione di tale principio è scolpita nella direttiva 2014/24/UE
laddove si prevede, con riferimento alle capacità tecniche e professionali,
che “le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per
garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche
e l’esperienza necessarie per eseguire l’appalto con un adeguato standard di
qualità” (art. 58, paragrafo 4), confermando l’impostazione secondo la quale
la pubblica amministrazione ha interesse ad incentivare la partecipazione
alle gare di soggetti particolarmente qualificati, che garantiscano elevati
standard qualitativi al fine di svolgere al meglio le prestazioni oggetto di
gara” (Cons.
Stato, sez. III, n. 1076 del 2020).
Tale principio, positivizzato con riferimento alla disciplina dei requisiti,
rileva evidentemente –per identità di ratio- anche quale criterio che
orienta il margine di discrezionalità di cui dispone la stazione appaltante
(con il limite della logicità e della ragionevolezza) nell’individuazione
dei lotti, a tutela delle esigenze dell’amministrazione rilevanti sul piano
dell’organizzazione del servizio
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 12.10.2021 n. 6837 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Esclusione
per grave illecito professionale.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Grave
illecito professionale - Art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 –
Discrezionalità tecnica e amministrativa.
L’esclusione dalla gara per grave illecito
professionale, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del
2016, disegna un potere discrezionale in una duplice prospettiva: è
connotato da discrezionalità tecnica, specie nell’apprezzamento dei fatti (i
precedenti contrattuali della società) e nella sussunzione dei medesimi
nell’ambito dei gravi illeciti professionali, e da discrezionalità
amministrativa, in particolare nella valutazione relativa alla conseguente,
o meno, inaffidabilità dell’impresa, laddove bisogna stabilire se i “gravi
illeciti professionali” sono “tali da rendere dubbia la sua integrità o
affidabilità”, non venendo in predicato, in tale caso, una scienza tecnica o
giuridica (che invece soccorre nel sussumere le condotte poste in essere
dall’operatore nella nozione di gravi illeciti professionali) ma una
valutazione di opportunità circa il venir meno dell’affidabilità a cagione
della precedente condotta dell’operatore (1).
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(1)
Cons. St., Ad. plen., 28.08.2020, n. 16.
Ha chiarito il C.g.a. che la commistione fra discrezionalità tecnica e
amministrativa deriva anche dalla compartecipazione di due organi a detta
attività valutativa, la Commissione di gara, organo tecnico nella
composizione e nell’attività che svolge, e il rup, nel quale alle competenze
tecniche si aggiunge il potere di scelta amministrativa, in quanto organo
dell’Amministrazione.
Ha aggiunto che la discrezionalità trova il proprio fondamento nel diritto
UE, che delinea detta causa di esclusione come facoltativa (art. 57 par. 4
della direttiva 2014/24, come interpretato da Corte giust., sez. IV,
19.06.2019, C-41/18);
Essa si esplica innanzitutto sull’an: la richiamata lett. c) non fa
derivare l’esclusione da una circostanza indipendente dalla volontà
dell’Amministrazione, al pari delle fattispecie escludenti di cui ad altre
lettere del medesimo comma 5 dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016
(sottoposizione a fallimento, conflitto di interessi, distorsione della
concorrenza …) ma dalla dimostrazione della stazione appaltante circa
l’inaffidabilità dell’operatore economico: benché la disposizione individui
i gravi illeciti professionali come causa della valutazione discrezionale di
inaffidabilità, essa non stabilisce un rapporto di necessarietà fra le due
situazioni, il verificarsi del grave illecito professionale e la valutazione
di inaffidabilità: una volta accertato il grave illecito professionale,
l’Amministrazione adotta il provvedimento espulsivo solo laddove ritenga che
la commissione di detto illecito abbia reso l’operatore economico
inaffidabile (Cons. St., sez. IV,
08.10.2020, n. 5967 e sez. V,
27.02.2019, n. 1367) (CGARS,
sentenza 11.10.2021 n. 842 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it)
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SENTENZA
13.9. Attraverso gli atti qui impugnati l’Amministrazione ha quindi
riesercitato il potere di cui alla causa escludente prevista dall’art. 80,
comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 (la cui violazione è stata la
causa dell’annullamento giurisdizionale alla base dell’obbligo conformativo),
in cui la stessa è chiamata a fissare “il punto di rottura
dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente” (ss. uu.
17.02.2012 n. 2312 e Ad. plen. 28.08.2020 n. 16).
In base all’ art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, vigente
ratione temporis (le modifiche di cui all'art. 5, comma 1, del d.l.
14.12.2018 n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.02.2019 n.
12, che ha sostituito l'originaria lettera c) con le attuali lettere c), c-bis ) e c-ter), “si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi, con i
quali si indicono le gare, sono pubblicati successivamente alla data di
entrata in vigore del presente decreto, nonché, in caso di contratti senza
pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data,
non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”, così il
richiamato art. 5, comma 2, nel caso di specie la gara è stata bandita il 30.05.2018), “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che
l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali,
tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi
rientrano: le significative carenze nell'esecuzione di un precedente
contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione
anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un
giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno
o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo
decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate
ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni
false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione,
la selezione o l'aggiudicazione ovvero l'omettere le informazioni dovute ai
fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”.
La fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del
2016 si fonda quindi su tre elementi costitutivi: i gravi illeciti
professionali commessi dall’operatore economico e l’idoneità di questi a
rendere dubbia l’integrità e la moralità, nonché la dimostrazione della
stazione appaltante della sussistenza di detti due elementi.
La norma contempla poi alcune situazioni che integrano il requisito dei
gravi illeciti professionali quali le significative carenze nell'esecuzione
di un precedente contratto che ne hanno causato la risoluzione anticipata,
non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio,
ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre
sanzioni, il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale
della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di
proprio vantaggio e il fornire, anche per negligenza, informazioni false o
fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sulla gara, nonché
l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della
procedura di selezione.
L'elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella
lettera c) del comma 5 dell'art. 80 è, peraltro, meramente esemplificativa,
per come è reso evidente sia dalla possibilità della stazione appaltante di
fornirne la dimostrazione “con mezzi adeguati”, sia dall' incipit del
secondo inciso (“Tra questi [id est, gravi illeciti professionali]
rientrano”) che precede l'elencazione (Cons. St., sez. IV, 08.10.2020
n. 5967).
Su un punto, è bene essere chiari: armonicamente con la formulazione
“aperta” della norma, e con la necessità dalla stessa postulata che la
valutazione sia resa dalla stessa stazione appaltante (art. 34, comma 2 cpa,
primo alinea) il potere di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n.
50 del 2016 è un potere discrezionale in una duplice prospettiva.
Esso è connotato da discrezionalità tecnica, specie nell’apprezzamento dei
fatti (i precedenti contrattuali di -OMISSIS-) e nella sussunzione dei
medesimi nell’ambito dei gravi illeciti professionali, e da discrezionalità
amministrativa, specie nella valutazione relativa alla conseguente, o meno,
inaffidabilità dell’impresa, laddove bisogna stabilire se i “gravi illeciti
professionali” sono “tali da rendere dubbia la sua integrità o
affidabilità”, non venendo in predicato, in tale caso, una scienza tecnica
o giuridica (che invece soccorre nel sussumere le condotte poste in essere
dall’operatore nella nozione di gravi illeciti professionali) ma una
valutazione di opportunità circa il venir meno dell’affidabilità a cagione
della precedente condotta dell’operatore.
La commistione fra discrezionalità tecnica e amministrativa deriva dalla
compartecipazione di due organi a detta attività valutativa, la Commissione
di gara, organo tecnico nella composizione e nell’attività che svolge, e il
rup, nel quale alle competenze tecniche si aggiunge il potere di scelta
amministrativa (in quanto organo dell’Amministrazione). Nel caso di specie
la valutazione infatti è stata compiuta dapprima dalla Commissione di gara e
poi dal rup, che, con determina 16.09.2020 n. 278, ha approvato il
verbale 07.09.2020, dopo avere valutato gli atti di gara e svolto
ulteriori approfondimenti istruttori.
In quanto potere amministrativo altamente discrezionale, esso non è
vincolato dalla legge in modo tale che possa ritenersi sussistere un solo
atto legittimamente attuativo della norma.
Vi è infatti potere discrezionale se la disposizione di legge può essere
attuata (legittimamente) attraverso atti di vario contenuto (atteso che la
discrezionalità comporta una scelta fra più soluzioni possibili), la cui
individuazione discende da un giudizio che, purché “affidabile” (nel senso
di non illogico, non omissivo, non abnorme), rimane insindacabile dal
giudice della legittimità amministrativa (pur essendo passibile di
valutazione da parte del giudice contabile per quanto riguarda la
responsabilità per mala gestio), fatto salvo il rispetto dei canoni
(discendenti dalla legge e/o dai principi generali) che governano
l’esercizio della funzione.
Il rispetto di detti ultimi limiti costituisce l’oggetto del sindacato del
giudice amministrativo sulla discrezionalità amministrativa, nella
prospettiva della correttezza dell’esercizio del potere informato ai
princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della
scelta effettuata dall’amministrazione in relazione al fine pubblico. E ciò
senza che peraltro questo Giudice possa intervenire sul merito
amministrativo, cioè sulla scelta di opportunità, non governata da norme
giuridiche, sicché è impedito al g.a. di sostituire una valutazione
opinabile con altra valutazione opinabile.
Osta a ciò, nel caso in cui il potere non sia stato esercitato, il principio
di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel
divieto sancito dall’art. 34, comma 2 c.p.a. (secondo cui il giudice non può
pronunciare “con riferimento a poteri amministrativi non ancora
esercitati”).
Laddove invece il potere sia stato esercitato, operano per esso i
consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di
carattere discrezionale.
Quanto invece alla discrezionalità tecnica (di cui è appunto permeata la
fattispecie in esame) la costante giurisprudenza di questo Consiglio di
Stato afferma che il sindacato del giudice amministrativo sull’esercizio
dell’attività valutativa da parte della Commissione non può sostituirsi a
quello della pubblica amministrazione, in quanto il sindacato sostitutivo
non può essere svolto al di fuori dei tassativi casi sanciti dall’art. 134
c.p.a., fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica (Cons. St.,
sez. V, 08.01.2019 n. 173).
Ne deriva che, come da consolidato indirizzo giurisprudenziale, per
sconfessare il giudizio della Commissione giudicatrice non è sufficiente
evidenziarne la mera non condivisibilità, dovendosi piuttosto dimostrare “la
palese inattendibilità e l’evidente insostenibilità del giudizio tecnico
compiuto” (Cons. St., sez. II, 02.09.2019 n. 6058), ciò che nel caso
di specie, come meglio si dirà, non è accaduto, in quanto non sono emersi
travisamenti, pretestuosità o irrazionalità, idonei a porre in dubbio il
giudizio globale di affidabilità, ma margini di fisiologica opinabilità e
non condivisibilità della valutazione tecnico-discrezionale.
Nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs.
n. 50 del 2016 la discrezionalità si esplica innanzitutto sull’an: la
richiamata lett. c) non fa derivare l’esclusione da una circostanza
indipendente dalla volontà dell’Amministrazione, al pari delle fattispecie
escludenti di cui ad altre lettere del medesimo comma 5 dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 (sottoposizione a fallimento, conflitto di interessi,
distorsione della concorrenza …) ma dalla dimostrazione della stazione
appaltante circa l’inaffidabilità dell’operatore economico. E, benché la
disposizione individui i gravi illeciti professionali come causa della
valutazione discrezionale di inaffidabilità, essa non stabilisce un rapporto
di necessarietà fra le due situazioni, il verificarsi del grave illecito
professionale e la valutazione di inaffidabilità.
Ne deriva che, una volta accertato il grave illecito professionale,
l’Amministrazione adotta il provvedimento espulsivo solo laddove ritenga che
la commissione di detto illecito abbia reso l’operatore economico
inaffidabile. “Il relativo giudizio quindi è espressione di ampia
discrezionalità da parte della p.a., cui il legislatore ha voluto
riconoscere “un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del
requisito dell'affidabilità dell'appaltatore. Ne consegue che il sindacato
che il g.a. è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento
deve essere mantenuto sul piano della "non pretestuosità" della valutazione
degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera
"non condivisibilità" della valutazione stessa” (cfr. Cass. Civ., S.U., 17.02.2012, n. 2312)” (Cons. St., sez. IV,
08.10.2020 n. 5967 e sez.
V, 27.02.2019 n. 1367).
13.10. Da ultimo si rileva, al fine di inquadrare la fattispecie, che
l’ampia discrezionalità che connota il potere escludente di cui all’art. 80,
comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 trova il proprio fondamento nel
diritto UE, che disegna detta causa di esclusione come facoltativa.
Ai sensi dell'art. 57 par. 4 della direttiva 2014/24 le amministrazioni
aggiudicatrici “possono escludere” oppure gli Stati membri “possono
chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere” dalla
partecipazione alla procedura di appalto un operatore economico in una delle
suddette situazioni: dal testo della disposizione in questione risulta
quindi che “il compito di valutare se un operatore economico debba essere
escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto è stato affidato alle
amministrazioni aggiudicatrici, e non a un giudice nazionale” (Corte
giust., sez. IV, 19.06.2019, C-41/18).
La facoltà di cui dispone qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di
escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di appalto è
destinata in modo particolare a consentirle di valutare l'integrità e
l'affidabilità di ciascuno degli offerenti, come dimostrano l'art. 57 par.
4, lett. c) e g), nonché il considerando 101 della direttiva 2014/24. In
particolare, viene in evidenza un “elemento essenziale del rapporto tra
l'aggiudicatario dell'appalto e l'amministrazione aggiudicatrice, vale a
dire l'affidabilità del primo, sulla quale si fonda la fiducia che vi ripone
la seconda”. In tal senso, il considerando 101, comma 1, della direttiva
prevede che le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere gli “operatori
economici che si sono dimostrati inaffidabili”, mentre il comma 2 prende
in considerazione, nell'esecuzione degli appalti pubblici precedenti, “comportamenti
scorretti che danno adito a seri dubbi sull'affidabilità dell'operatore
economico”.
Nell’ambito della discrezionalità di cui beneficia l’Amministrazione la
Corte di giustizia ha stabilito che le amministrazioni aggiudicatrici devono
poter escludere un operatore economico “in qualunque momento della
procedura” e non solo dopo che un organo giurisdizionale ha pronunciato
la sua sentenza, il che costituisce un indizio ulteriore della volontà del
legislatore dell'Unione di lasciare un ampio margine di scelta
all'amministrazione aggiudicatrice di effettuare la propria valutazione
sull’affidabilità dell’operatore economico. E ciò in quanto “se
un'amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata
da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente
difficile accordare un'attenzione particolare al principio di
proporzionalità al momento dell'applicazione dei motivi facoltativi di
esclusione. Orbene, secondo il considerando 101 della direttiva 2014/24,
tale principio implica in particolare che, prima di decidere di escludere un
operatore economico, una simile amministrazione aggiudicatrice prenda in
considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o la
ripetizione di lievi irregolarità”.
“Il legislatore dell'Unione ha inteso affidare all'amministrazione
aggiudicatrice, e a essa soltanto, nella fase della selezione degli
offerenti, il compito di valutare se un candidato o un offerente debba
essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto” (Corte
giust., sez. IV, 19.06.2019, C-41/18).
Ne deriva che la Corte di giustizia non impone all’Amministrazione di
inferire da un’irregolarità non definitiva (in quanto oggetto di
contenzioso) l’inaffidabilità, pretendendo piuttosto che sia lasciata alla
discrezionalità della stazione appaltante la valutazione di detta
irregolarità, in un’ottica che tende a riconosce e a confidare nella
capacità valutativa del soggetto pubblico. Tanto è vero che nella
motivazione della pronuncia si legge che “Il potere discrezionale che
l'articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 conferisce
all'amministrazione aggiudicatrice è infatti paralizzato dalla semplice
proposizione da parte di un candidato o di un offerente di un ricorso
diretto contro la risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico
di cui era firmatario, quand'anche il suo comportamento sia risultato tanto
carente da giustificare tale risoluzione” (Corte giust., sez. IV,
19.06.2019, C-41/18)
(CGARS,
sentenza 11.10.2021 n. 842 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Riparametrazione
del possesso dei requisiti di partecipazione indicati dal bando (operazioni
effettuate nell’ultimo triennio) in ragione della effettiva esistenza della
società concorrente.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di partecipazione –
Imprese neo costituite - Riparametrazione dei requisiti di capacità tecnica
- Limiti.
In assenza di specifiche disposizioni limitative da
parte del bando di gara, la riparametrazione dei requisiti di capacità
tecnica per le imprese neo costituite può favorire condotte elusive e
condurre ad esiti del tutto inaccettabili, quali la partecipazione alla gara
di operatori economici costituitisi pochi giorni prima rispetto al termine
di scadenza di presentazione delle offerte ed in possesso di requisiti del
tutto esigui ed inidonei a comprovare l’affidabilità del concorrente (1).
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1) Ha ricordato la Sezione che per le imprese di recente
costituzione "il calcolo per la verifica del possesso dei requisiti
indicati nel bando va effettuato sugli anni di effettiva esistenza
dell'impresa e i bilanci e la documentazione da presentare sono da riferirsi
agli anni di effettiva operativa della stessa" (cfr. deliberazioni ANAC
20.12.2017, n. 1349; 23.05.2018, n. 473 e 14.06.2017, n. 671).
Tuttavia nella fattispecie oggetto di quel giudizio -relativa ad appalto di
ristorazione- vi era anzitutto la presenza di clausola nella lex
specialis dal tenore ambiguo non essendo chiaro se il criterio
dell’esecuzione di servizi analoghi nell’ultimo triennio ovvero di un numero
minimo di pasti (70.000) fosse riferito a ciascun anno del triennio o alla
media ponderata. In secondo luogo l’impresa interessata aveva
abbondantemente dimostrato il possesso del requisito nell’arco del triennio
(ben 432.145 pasti) avendo soltanto nell’anno 2015 erogato un numero di
pasti inferiore a 70.000 a causa della costituzione avvenuta soltanto nel
mese di giugno 2015.
pur non potendo la Sezione che condividere il su indicato principio,
sicuramente pro-concorrenziale, non lo ritiene nel caso di specie applicato
correttamente dalla stazione appaltante.
La previsione nel bando da parte dell’Amministrazione di specifici requisiti
di capacità tecnica costituisce attuazione dei principi di imparzialità e
buon andamento dell'azione amministrativa, predicati dall'art. 97 Cost., e
sostanziandosi nell'apprestamento da parte dell'Amministrazione degli
strumenti e delle misure più adeguati ed efficaci per il corretto ed
effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, in relazione
all'oggetto dell'appalto da affidare (Cons.
Stato sez. V, 23.06.2011, n. 3809).
Ai sensi dell’art. 83, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 i requisiti e le
capacità economico finanziarie e tecnico professionali “sono attinenti e
proporzionati all’oggetto dell’appalto, tenendo presente l’interesse
pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel
rispetto dei principi di trasparenza e rotazione”. Il successivo comma 8
onera la stazione appaltante di indicare le condizioni di partecipazione
richieste.
Mette conto richiamare anche il considerando 4 della Direttiva 2014/23/UE in
tema di “favor” per la partecipazione alle procedure di affidamento
dei pubblici appalti delle c.d. PMI ovvero delle piccole e medie imprese
quali l’odierna controinteressata.
La riparametrazione dei su indicati requisiti, di contro, per quanto
sicuramente finalizzata al “favor partecipationis”, non trova
specifica previsione nel nostro ordinamento in alcuna norma, si che la
lex specialis appare la naturale “sedes materiae”.
In assenza, infatti, di specifiche disposizioni limitative da parte del
bando di gara, la riparametrazione dei requisiti di capacità tecnica per le
imprese neo costituite può favorire condotte elusive e condurre ad esiti del
tutto inaccettabili, quali la partecipazione alla gara di operatori
economici costituitisi pochi giorni prima rispetto al termine di scadenza di
presentazione delle offerte ed in possesso di requisiti del tutto esigui ed
inidonei a comprovare l’affidabilità del concorrente. Per ipotesi, infatti,
basterebbe la costituzione dell’impresa concorrente una settimana prima e la
produzione di fatturato di poche centinaia di euro relativo a tal periodo,
che riparametrato, consentirebbe la partecipazione.
Riparametrare senza alcun limite il requisito sulla base dell’effettivo
periodo di tempo (inferiore a quello richiesto in bando) di operatività
dell’azienda (ovverosia a partire dal momento in cui l’attività ha avuto
avvio) comporterebbe la violazione di tale ratio, perché non verrebbe
assicurata l’esperienza ritenuta necessaria
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
I,
sentenza 11.10.2021 n. 834 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Inefficacia
del contratto di appalto.
---------------
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Chiarimenti – Natura.
●
Processo amministrativo - Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE –
Obbligo – Limiti.
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Contratti – Inefficacia –
Condizione.
●
I chiarimenti resi dalla stazione appaltante nel corso di una gara d’appalto
non hanno alcun contenuto provvedimentale, non potendo costituire, per
giurisprudenza consolidata, integrazione o rettifica della lex specialis di
gara, per cui gli stessi sono ammissibili solo se contribuiscono, con
un’operazione di interpretazione del testo a renderne chiaro e comprensibile
il significato, ma non quando, proprio mediante l’attività interpretativa,
si giunga ad attribuire ad una disposizione della lex specialis un
significato ed una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal
testo stesso.
●
L’obbligo di sollevare la questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE sussiste
quando la questione interpretativa sia rilevante ai fini della soluzione
della controversia.
●
La dichiarazione di inefficacia del contratto non costituisce un
effetto automatico dell’annullamento dell’aggiudicazione, ma può conseguire
ad una specifica valutazione effettuata dal giudice che ha annullato
l’aggiudicazione, sulla base degli elementi di valutazione indicati
dall’art. 122 c.p.a. (1).
---------------
(1) Ha chiarito la sentenza che nella materia dei contratti
pubblici, l’illegittimità dell’azione amministrativa, che si sia risolta
nell’annullamento dell’aggiudicazione, prospetta, alla stregua dell’art. 124
c.p.a., una articolata struttura rimediale rimessa, in base all’ordinario
canone dispositivo, alla domanda di parte (cfr. artt. 30, 40, comma 1,
lettere b) ed f), 41 e 64 cod. proc. amm., in relazione all’art. 99 cod.
proc. civ. e 2907 cod. civ.).
In particolare –contestualmente alla impugnazione, a mezzo di “azione di
annullamento” (art. 29 cod. proc. amm.), ad esito prospetticamente
demolitorio, dei “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento”
(art. 119, comma 1, lettera a) e 120 cod. proc. amm.)– è rimessa all’impresa
pregiudicata l’opzione:
a) per una “tutela in forma specifica”, a carattere
integralmente satisfattorio, affidata alla domanda di conseguire
l’aggiudicazione e il contratto (art. 124, comma 1, prima parte), il cui
accoglimento:
a1) postula, in negativo, la sterilizzazione
ope judicis, in termini di “dichiarazione di inefficacia”, del
contratto eventualmente già stipulato inter alios (essendo, per ovvie
ragioni, preclusa una ulteriore attribuzione dell’unitario bene della vita
gestito dalla procedura ad evidenza pubblica);
a2) richiede, in positivo, un apprezzamento di
spettanza in termini di diritto al contratto, con la certezza che, in
assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, il
ricorrente si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa;
b) per un “risarcimento del danno per equivalente” (art.
124, comma 1, seconda parte), e ciò:
b1) sia nel caso in cui il giudice abbia
riscontrato l’assenza dei presupposti per la tutela specifica (e, in
particolare, non abbia ravvisato, ai sensi degli artt. 121, comma 1 e 122
cod. proc. amm., i presupposti per dichiarare inefficace il contratto
stipulato ovvero, sotto distinto profilo, non abbia elementi sufficienti a
formulare un obiettivo giudizio di spettanza);
b2) sia nel caso in cui la parte abbia ritenuto
di non formalizzare la domanda di aggiudicazione (né si sia resa comunque “disponibile
a subentrare nel contratto”, anche in corso di esecuzione), nel qual
caso la “condotta processuale” va anche apprezzata in termini
concausali (cfr. art. 124, comma 2, in relazione al richiamato art. 1227
cod. civ.).
Insomma, ai sensi delle richiamate norme processuali, costituisce un preciso
onere dell’operatore economico che intende subentrare nella posizione
negoziale dell’aggiudicatario, formulare una specifica domanda di subentro
nel contratto.
La dichiarazione di inefficacia del contratto, infatti, non costituisce un
effetto automatico dell’annullamento dell’aggiudicazione, ma può conseguire
ad una specifica valutazione effettuata dal giudice che ha annullato
l’aggiudicazione, sulla base degli elementi di valutazione indicati
dall’art. 122 c.p.a.
(CGARS,
sentenza 08.10.2021 n. 841 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Sull’affidamento del servizio di gestione dei “distributori automatici”.
In primo luogo, l’affidamento in esame deve essere qualificato come
concessione di servizi e non appalto di servizi, trattandosi
dell’affidamento del servizio di gestione dei “distributori automatici”,
nell’ambito del quale l’affidatario trae i suoi guadagni non in funzione di
un corrispettivo ricevuto in via diretta dall’Amministrazione, ma con gli
introiti della vendita dei prodotti distribuiti.
Il rapporto di concessione di pubblico servizio, infatti, si distingue
dall'appalto di servizi proprio per l'assunzione, da parte del
concessionario, del rischio di domanda. Mentre l'appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest'ultimo grava
interamente sull'appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione
triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l'utenza
finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione.
Da ciò deriva che la determinazione della soglia comunitaria, quale limite
al sotto del quale è applicabile la disciplina dell’esclusione automatica in
caso di anomalia dell’offerta ex art. 97, comma 8, del codice dei contratti
pubblici deve essere determinata in relazione alla previsione relativa alle
concessioni di servizi, ovverosia in base all’art. l’art. 35, comma 1, lett.
a), del D.lgs. 50/2016 che stabilisce la soglia di euro 5.225.000 “per gli
appalti pubblici di lavori e per le concessioni”, riferendo testualmente
tale soglia a ogni tipo di concessione.
L’affidamento in esame si rivela, quindi, sotto soglia.
Da ciò deriva nel caso in esame l’applicabilità al comma 8 dell’art. 97 del
codice dei contratti pubblici, così come modificata dall’art. 1 del d.l. n.
32/2019, e anzi a ben vedere dell'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020,
n. 76, convertito in legge 11.09.2020, n. 120 (di cui più
diffusamente in seguito) che consente l’esclusione automatica alla gara per
le procedure di gara di importo al di sotto della soglia comunitaria che non
rivestano carattere transfrontaliero, che presentino una percentuale di
ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del
comma 2 e dei commi 2-bis e 2-ter del medesimo articolo.
---------------
Infondato è, inoltre, l’argomento, motivo di ricorso, secondo cui il comma 8
dell’indicato art. 97 non sarebbe applicabile, in quanto l’ultimo periodo
prevede che “comunque l’esclusione automatica non opera quando il numero
delle offerte ammesse è inferiore a dieci”, mentre la gara ha avuto un
numero di offerte pari “solo” a nove.
Al riguardo, infatti, l'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76,
convertito in legge 11.09.2020, n. 120, ha introdotto una deroga
temporanea quest’ultima disposizione, efficace per il periodo emergenziale,
e applicabile ratione temporis, secondo cui per i contratti pubblici sotto
soglia “nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le
stazioni appaltanti procedono all'esclusione automatica dalla gara delle
offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla
soglia di anomalia individuata ai sensi dell'articolo 97, commi 2, 2-bis e
2-ter, del dlgs n. 50 del 2016, anche qualora il numero delle
offerte ammesse sia pari o superiore a cinque”.
---------------
... per l'annullamento, previa adozione di misura cautelare,
-
del provvedimento di esclusione della ricorrente dalla procedura di gara per
l’affidamento del servizio di distribuzione automatica tramite apparecchi di
distribuzione bevande e cibi presso gli enti area Cecchignola e
dell’aggiudicazione alla controinteressata;
-
dei relativi verbali di gara che dispongono l’esclusione e l’aggiudicazione,
trasmessi a seguito di apposita istanza di accesso; del bando di gara e
relativo disciplinare, nella parte in cui (art. 8) prevede l’applicazione
dell’art. 97 Codice appalti, comma 8, e quindi dell’esclusione automatica
delle offerte ritenute anomale;
nonché per la declaratoria
-
dell’inefficacia del contratto eventualmente già stipulato tra resistente e
controinteressata nelle more del giudizio, in cui la ricorrente dichiara di
voler subentrare;
per la condanna
-
anche in subordine, o in uno con la richiesta di subentro, della stazione
appaltante al risarcimento dei danni arrecati per effetto degli atti
contestati, in via subordinata anche per la mera perdita di chance.
...
Parte ricorrente ha partecipato alla procedura negoziata, ai sensi dell’art.
36 del Codice dei contratti pubblici, da aggiudicarsi con il criterio del
minor prezzo, ai sensi dell’art. 95, comma 4, D.Lgs. 50 del 18.04.2016, e
nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento
previsti dall’art. 30, comma 1 e comma 7, per l’affidamento del servizio di
gestione dei “distributori automatici” delle Caserme dell’area Cecchignola.
Importo a base d’asta euro 438.524,59.
La medesima parte ricorrente ha contestato la sua esclusione automatica
dalla procedura, il bando di gara in parte qua, nonché l’aggiudicazione
emessa a favore della controinteressata Ma.Ve. Srl.
La medesima ricorrente, ha presentato l’offerta con lo sconto più alto, ma è
stata esclusa dalla procedura di gara in via automatica, in forza della
previsione del disciplinare, che, al punto 8, ha contemplato l’applicazione
dell’art. 97, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, indicando che si
sarebbe proceduto all’esclusione automatica delle offerte che avessero
presentato una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di
anomalia individuata ai sensi dell’art. 1, commi 2, 2-bis 2-ter, del
decreto cosiddetto semplificazioni (d.l. n. 32/2019).
La gara è stata, quindi, aggiudicata all’impresa odierna controinteressata.
L’offerta di parte ricorrente è, infatti, risultata aver superato la soglia
di anomalia, con un ribasso del 56,24%, a fronte del ribasso offerto
dall’aggiudicataria pari a 54,50%. La soglia dell’anomalia è stata calcolata
facendo le medie di tutti i ribassi per un risultato di 55,125%.
Parte ricorrente ha impugnato la sua esclusione automatica, il bando e il
disciplinare di gare e l’aggiudicazione all’impresa controinteressata,
nonché gli altri atti della procedura. Ha chiesto l’annullamento degli atti
impugnati, la declaratoria dell’inefficacia del contratto eventualmente
stipulato tra resistente e controinteressata nelle more del giudizio,
dichiarando di voler subentrare, nonché la condanna, anche in subordine, o
in uno con la richiesta di subentro, della stazione appaltante al
risarcimento dei danni arrecati per effetto degli atti contestati, in via
subordinata anche per la perdita di chance.
La medesima parte ricorrente ha formulato i seguenti motivi di ricorso: ...
...
3) Nel merito il ricorso si palesa infondato.
In primo luogo, l’affidamento in esame deve essere qualificato come
concessione di servizi e non appalto di servizi, trattandosi
dell’affidamento del servizio di gestione dei “distributori automatici”,
nell’ambito del quale l’affidatario trae i suoi guadagni non in funzione di
un corrispettivo ricevuto in via diretta dall’Amministrazione, ma con gli
introiti della vendita dei prodotti distribuiti.
Il rapporto di concessione di pubblico servizio, infatti, si distingue
dall'appalto di servizi proprio per l'assunzione, da parte del
concessionario, del rischio di domanda. Mentre l'appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest'ultimo grava
interamente sull'appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione
triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l'utenza
finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione
(conferma TAR Lazio-Roma, Sez. III, 18.03.2020, n. 3371).
Da ciò deriva che la determinazione della soglia comunitaria, quale limite
al sotto del quale è applicabile la disciplina dell’esclusione automatica in
caso di anomalia dell’offerta ex art. 97, comma 8, del codice dei contratti
pubblici deve essere determinata in relazione alla previsione relativa alle
concessioni di servizi, ovverosia in base all’art. l’art. 35, comma 1, lett.
a), del D.lgs. 50/2016 che stabilisce la soglia di euro 5.225.000 “per gli
appalti pubblici di lavori e per le concessioni”, riferendo testualmente
tale soglia a ogni tipo di concessione.
L’affidamento in esame si rivela, quindi, sotto soglia, anche volendo
ritenere, ad avviso del collegio correttamente, che il valore
dell’affidamento vada determinato moltiplicando per quattro il valore annuo
in virtù della previsione dei possibili rinnovi sino a tre anni. A tal fine
diviene anche irrilevante stabilire se il valore annuo è € 438.524,59 o €
535.000,00.
Da ciò deriva nel caso in esame l’applicabilità al comma 8 dell’art. 97 del
codice dei contratti pubblici, così come modificata dall’art. 1 del d.l. n.
32/2019, e anzi a ben vedere dell'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020,
n. 76, convertito in legge 11.09.2020, n. 120 (di cui più
diffusamente in seguito) che consente l’esclusione automatica alla gara per
le procedure di gara di importo al di sotto della soglia comunitaria che non
rivestano carattere transfrontaliero, che presentino una percentuale di
ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del
comma 2 e dei commi 2-bis e 2-ter del medesimo articolo.
Infondato è, inoltre, l’argomento, motivo di ricorso, secondo cui il comma 8
dell’indicato art. 97 non sarebbe applicabile, in quanto l’ultimo periodo
prevede che “comunque l’esclusione automatica non opera quando il numero
delle offerte ammesse è inferiore a dieci”, mentre la gara ha avuto un
numero di offerte pari “solo” a nove.
Al riguardo, infatti, l'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76,
convertito in legge 11.09.2020, n. 120, ha introdotto una deroga
temporanea quest’ultima disposizione, efficace per il periodo emergenziale,
e applicabile ratione temporis, secondo cui per i contratti pubblici sotto
soglia “nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le
stazioni appaltanti procedono all'esclusione automatica dalla gara delle
offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla
soglia di anomalia individuata ai sensi dell'articolo 97, commi 2, 2-bis e
2-ter, del decreto legislativo n. 50 del 2016, anche qualora il numero delle
offerte ammesse sia pari o superiore a cinque”.
Infondato è al riguardo l’assunto del ricorrente, in linea anche su quanto
indicato dal parere di pre-contenzioso ANAC di cui alla delibera n. 390/2021
-poi annullato in autotutela- secondo cui questa disposizione derogatoria
si applicherebbe solo agli appalti e non alle concessioni.
In assenza di una specifica delimitazione del campo di applicazione della
norma riferita nella rubrica dell’art. 1 ai contratti pubblici e nello
stesso comma 3 alle procedure di affidamento, si deve ritenere che la
disposizione si applichi anche alle concessioni e, in ogni caso, per quanto
riguarda il riferimento agli appalti contenuto nel comma 3 in questione
(“Per gli affidamenti di cui al comma 2, lettera b), le stazioni appaltanti
… procedono, a loro scelta, all'aggiudicazione dei relativi appalti, sulla
base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del
prezzo più basso”), operi il principio generale espresso dall’art. 164, comma
2, del D.Lgs. n. 50/2016, secondo cui alle procedure di aggiudicazione di
contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi, si applicano, per
quanto compatibili, le stesse diposizioni previste per gli appalti
“…relativamente ai principi generali, alle esclusioni…”.
Priva di pregio si rivela anche la censura inerente alla mancata valutazione
da parte della Stazione appaltante dell’assenza di interessi possibili di
natura transfrontaliera al fine di giustificare l’applicabilità della
disciplina degli affidamenti sotto soglia nella parte in cui prevedono
l’esclusione delle offerte anomale.
La parte ricorrente non ha, infatti, in alcun modo evidenziato le ragioni
per le quali ritiene che siffatto interesse transfrontaliero sussisterebbe,
tanto più in un contesto come quello della procedura in esame che si
concreta nella concessione di un servizio di natura prettamente locale,
quale quello di gestione dei “distributori automatici” delle Caserme
dell’area Cecchignola.
Da rigettare sono, infine, le censure di contrarietà al diritto eurounitario,
così come prive di pregio si presentano le deduzioni inerenti alla
contrarietà con i precetti della Carta Costituzionale delle previsioni
legislativa, di cui art. 97, comma 8, del codice dei contratti pubblici e,
più specificamente nel caso in questione, dell'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76 che consentono l’esclusione automatica per anomalia
dell’offerta per gli appalti sotto soglia.
Al riguardo il Collegio rileva come non sia rilevabile alcuna
incompatibilità con il diritto eurounitario, in forza del principio secondo
cui le norme della direttiva 2014/24 -invocata da parte ricorrente per
sostenere l’incompatibilità dell’esclusione automatica in caso di anomalia
dell’offerta– trovano applicazione, come stabilito dall’art. 4 della stessa
direttiva, esclusivamente “agli appalti che abbiano un importo, al netto
dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), pari o superiore” alle soglie dallo
stesso articolo individuate. L’art. 69 della Direttiva 2014/24/UE (che non
prevede l’esclusione diretta delle offerte anomalmente basse) non può,
quindi, applicarsi in via diretta nelle ipotesi di affidamenti sotto soglia,
in luogo della normativa interna attualmente in vigore.
Inoltre, la disciplina dell'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76
si colloca in un contesto emergenziale e derogatorio, di limitata durata
temporale (con scadenza al 31.12.2021) che, secondo un principio di
ragionevolezza e proporzionalità, per l’eccezionalità delle esigenze che
tende a soddisfare, non potrebbe porre problematiche di compatibilità con la
normativa eurounitaria (sul punto TAR Piemonte, Torino, Sez. I, del
17.11.2020 n. 736).
Non si ravvisano, altresì, profili di possibile contrasto della normativa
surrichiamata con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, in quanto le norme in
questione sono volte al più spedito e lineare svolgimento delle procedure di
evidenza pubblica, rispetto ai quali non si ravvisano profili di
irragionevolezza.
Per le suesposte ragioni il ricorso va rigettato
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 07.10.2021 n. 10278 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Differenza
tra avvalimento cd. "operativo" e avvalimento cd. "di garanzia".
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Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Avvalimento cd.
"operativo" e avvalimento cd. "di garanzia" – Differenza.
Mentre l’avvalimento di garanzia non richiede di
essere riferito a beni capitali descritti e individuati con precisione,
mirando esclusivamente ad asseverare (mediante il formale impegno
dell’ausiliaria di messa a disposizione della propria solidità finanziaria e
professionale) la generale capacità dell’offerente di onorare gli obblighi
contrattuali, di contro quello operativo impone l’individuazione specifica
dei mezzi, giacché concerne (recte, condiziona) la stessa esecuzione della
prestazione (1).
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(1) Ha ricordato la Sezione che la giurisprudenza prevalente,
invero, l’avvalimento di garanzia concerne requisiti inerenti alla
complessiva capacità economica e finanziaria dell’offerente e, come tale,
mira a rassicurare la stazione appaltante circa l’idoneità soggettiva
dell’offerente a far fronte alle obbligazioni derivanti dal contratto.
Viceversa, l’avvalimento operativo riguarda le risorse materiali in concreto
necessarie per eseguire il contratto: inerisce, dunque, alla stessa
possibilità oggettiva e, per così dire, “fisica” di eseguire la
prestazione.
Ne consegue che mentre l’avvalimento di garanzia non richiede di essere
riferito a beni capitali descritti e individuati con precisione, mirando
esclusivamente ad asseverare (mediante il formale impegno dell’ausiliaria di
messa a disposizione della propria solidità finanziaria e professionale) la
generale capacità dell’offerente di onorare gli obblighi contrattuali, di
contro quello operativo impone l’individuazione specifica dei mezzi, giacché
concerne (recte, condiziona) la stessa esecuzione della prestazione.
Orbene, allorquando (come nella specie) un’impresa proponga in gara un bene
fabbricato da un altro operatore e indichi quest’ultimo come ausiliario, sia
pure al solo dichiarato fine di dimostrare il buon esito di precedenti
commesse di contenuto analogo, si verte nell’ambito di una forma operativa
di avvalimento: questo, infatti, non è strutturalmente limitato alla
generica garanzia di solidità patrimoniale, ma è oggettivamente proteso ad
assicurare la stessa esecuzione della prestazione posta a gara, proprio in
quanto il bene offerto è prodotto dall’ausiliaria.
In tali casi è, pertanto, necessario che il contratto di avvalimento sia
specifico e dettagliato ed indichi con precisione le concrete “risorse”
-in termini di competenza e capacità produttive, gestionali e manutentive-
che l’ausiliaria mette a disposizione dell’ausiliata, pena, in caso
contrario, la nullità ex lege disposta dall’art. 89, comma 1, d.lgs.
n. 50 del 2016
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.10.2021 n. 6711 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2021 |
|
APPALTI: Giudizio
circa l’anomalia o incongruità dell’offerta.
Il TAR Milano con
riferimento al giudizio di anomalia
dell’offerta, ribadisce che:
<<- nelle gare pubbliche il giudizio circa
l’anomalia o l’incongruità dell’offerta
costituisce espressione di discrezionalità
tecnica, sindacabile dal giudice
amministrativo solo in caso di macroscopica
illogicità o di erroneità fattuale e,
quindi, non può essere esteso ad una
autonoma verifica della congruità
dell’offerta e delle singole voci;
- il procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta non mira a individuare
specifiche e singole inesattezze nella sua
formulazione ma, piuttosto, ad accertare in
concreto che la proposta economica risulti
nel suo complesso attendibile in relazione
alla corretta esecuzione dell’appalto; in altri termini, la
verifica della congruità di un’offerta ha
natura globale e sintetica, vertendo
sull’attendibilità della medesima nel suo
insieme e, quindi, sulla sua idoneità a
fondare un serio affidamento sulla corretta
esecuzione dell’appalto;
…
- in sede di verifica delle offerte anomale
la motivazione del relativo giudizio deve
essere rigorosa e analitica solo in caso di
giudizio negativo, mentre, in caso di
giudizio positivo, ovvero di valutazione di
congruità dell’offerta anomala, come
accaduto nella procedura di cui è causa, non
occorre che la relativa determinazione sia
fondata su un’articolata motivazione,
ripetitiva delle medesime giustificazioni
ritenute accettabili o espressiva di
ulteriori apprezzamenti;>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 03.09.2021 n.
1963 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
2.4.1. Le censure sono infondate.
Al riguardo, è sufficiente rilevare che:
- nelle gare pubbliche il giudizio circa l’anomalia o l’incongruità
dell’offerta costituisce espressione di
discrezionalità tecnica, sindacabile dal
giudice amministrativo solo in caso di
macroscopica illogicità o di erroneità
fattuale e, quindi, non può essere esteso ad
una autonoma verifica della congruità
dell’offerta e delle singole voci (ex
multis, C.d.S., Sez. V, n. 4755/2016; id.,
Sez. III, n. 514/2017);
- il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta non mira a
individuare specifiche e singole inesattezze
nella sua formulazione ma, piuttosto, ad
accertare in concreto che la proposta
economica risulti nel suo complesso
attendibile in relazione alla corretta
esecuzione dell’appalto (C.d.S., Sez. V, n.
2228/2017); in altri termini, la verifica
della congruità di un’offerta ha natura
globale e sintetica, vertendo
sull’attendibilità della medesima nel suo
insieme e, quindi, sulla sua idoneità a
fondare un serio affidamento sulla corretta
esecuzione dell’appalto;
- il RUP, nella fattispecie, ha effettuato l’istruttoria secondo le
regole del contraddittorio dettate dall’art.
97 del d.lgs. n. 50/2016, dapprima chiedendo
a So.It. S.p.A. (doc. 19 del Comune) di
produrre le giustificazioni utili a
comprovare la serietà e la sostenibilità
dell’offerta, relativamente alle singole
voci dell’offerta tecnica presentata, e
successivamente, ricevute le prime
giustificazioni, formulando ulteriori
richieste di precisazione (docc. 20-21 del
Comune) in relazione ad alcuni aspetti
ritenuti meritevoli di approfondimento;
- in sede di verifica delle offerte anomale la motivazione del
relativo giudizio deve essere rigorosa e
analitica solo in caso di giudizio negativo,
mentre, in caso di giudizio positivo, ovvero
di valutazione di congruità dell’offerta
anomala, come accaduto nella procedura di
cui è causa, non occorre che la relativa
determinazione sia fondata su un’articolata
motivazione, ripetitiva delle medesime
giustificazioni ritenute accettabili o
espressiva di ulteriori apprezzamenti;
- nella fattispecie, la coerenza del PEF con l’offerta presentata
dalla controinteressata è stata valutata
dalla Commissione, così come previsto
dall’art. 21 del Disciplinare di gara e come
risulta dal verbale n. 4 del 02.12.2019 (cfr.
doc. 10 del Comune);
- venendo poi, nello specifico, alle voci di costo di cui Pe.
S.p.A. lamenta il mancato computo, quanto al
profilo sub (a), il calcolo effettuato dalla
ricorrente non è corretto perché non va
riferito alla intera durata del servizio, e
ciò per le ragioni già esposte supra,
ai parr. 2.2.1, 2.3.1.1. e 2.3.1.2, cui si
rinvia per brevità;
- con riguardo al profilo sub (b), le doglianze si fondano su mere
supposizioni, che non sono sufficienti a
dimostrare che l’utile sia completamente
eroso, tenuto conto che la “Matrice dei
rischi” allegata allo Schema di
contratto riporta un rischio variabile annuo
tra € 70.000,00 ed € 35.000,00, con la
conseguenza che spetta al concorrente
valutarne e calcolarne l’incidenza; e, del
resto, la formulazione di un’offerta
economica e la conseguente verifica di
anomalia si fondano su stime previsionali e
dunque su apprezzamenti e valutazioni
implicanti un ineliminabile margine di
opinabilità ed elasticità, essendo quindi
impossibile pretendere una rigorosa
quantificazione preventiva delle grandezze
delle voci di costo rivenienti
dall’esecuzione futura di un contratto,
essendo per contro sufficiente che questa si
mostri ex ante ragionevole e
attendibile (C.d.S., Sez. V, n. 8688/2019); |
agosto 2021 |
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APPALTI:
APPALTI – Appalti di servizi – Prestazioni periodiche o
continuative – Interdittiva antimafia – Valore delle
prestazioni già eseguite – Individuazione.
Negli appalti pubblici di servizi
aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica,
aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative
connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività,
il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi
all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla
stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai
sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2
del dlgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale
pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova
contraria da parte della stazione appaltante che esercita il
recesso.
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APPALTI – Determinazione del valore-prezzo per le
prestazioni già eseguite – Revisione dei prezzi – Art. 115
d.lgs. n. 163/2006.
Nella determinazione del valore-prezzo
degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già
eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e
94, co. 2 del dlgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa
anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento
obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115
d.lgs. n. 163/2006 (Consiglio
di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 06.08.2021 n. 14 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: L’Adunanza
plenaria pronuncia sulla spettanza della revisione prezzi in caso di recesso
dal contratto di appalto a seguito di interdittiva antimafia.
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Informativa antimafia – Contratto di appalto – Appalto a prestazioni
periodiche – Recesso – Per intervenuta interdittiva antimafia – Pagamento
opere eseguite - Artt. 92 e 94, d.lgs. n. 159 del 2011 - Criterio –
Revisione prezzi – Spetta.
Negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a
seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni
periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e
ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi
all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante,
in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt.
92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, corrisponde al prezzo
contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria
da parte della stazione appaltante che esercita il recesso.
Nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi
per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92,
comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, deve intendersi compresa
anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di
revisione dei prezzi di cui all’art. 115, d.lgs. n. 163 del 2006 (1).
---------------
(1) La questione era stata rimessa dal
C.g.a. con ord., 22.01.2021, n. 48.
Preliminarmente l’Adunanza plenaria ha richiamato i principi espressi, anche
in ordine alla natura dell’interdittiva antimafia, dalla stessa Adunanza
plenaria
06.04.2018, n. 3 e
26.10.2020, n. 23.
Ha premesso l’Adunanza plenaria che negli appalti di servizi, quale è quello
per cui è processo, in cui l’aggiudicazione e quindi la determinazione del
prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore
dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può
essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti.
Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad
evidenza pubblica, deve infatti ritenersi coincidente con il miglior prezzo
di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione.
Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra
un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che
la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che
la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica.
Nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, quindi, il
prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe
connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica
amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo
economico si allontanasse oltre misura dal valore dell’utilità che la stessa
abbia, di fatto, a conseguire.
Ha aggiunto l’Alto consesso, con riferimento all’“utilità conseguite”,
che la peculiarità dell’appalto di servizi, connotato da prestazioni
tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso
della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che
le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità, ed
è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del recesso e non
ancora pagate abbiano una “utilità” diversa dalle prestazioni
periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione
appaltante, di aver conseguito dalle prestazioni ripetitive già eseguite e
non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle prestazioni periodiche
già eseguite e pagate.
L’Adunanza plenaria ha poi ricostruito i caratteri della revisione prezzi,
al fine di rispondere al quesito sottoposto e cioè se, nella determinazione
del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da pagarsi o già
pagato in relazione alle prestazioni già eseguite dall’esecutore attinto da
informativa antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e
94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, debba farsi riferimento solo al prezzo
originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo come integrato
dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata (anche essa prima della
interdittiva antimafia).
Ha escluso che l’istituto della revisione dei prezzi abbia finalità
risarcitorie; lo stesso viene concepito dal legislatore unicamente al fine
di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente
pattuito, ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo
(del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.
In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso
revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo
contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal
prezzo come integrato.
La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con
pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della
prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. Sicché, una volta
riconosciuto dall’amministrazione il ricorrere delle condizioni della
revisione, le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che
avere come base di riferimento il prezzo come revisionato.
Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei prezzi,
è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa” del
prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo,
rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con
riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a
produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto.
Il carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di
servizi, ai sensi dell’art. 115, d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile
ratione temporis), corrobora tale conclusione. La revisione, infatti,
opera anche se non espressamente pattuita dalle parti, in virtù di un
procedimento amministrativo da attivare obbligatoriamente al verificarsi dei
presupposti di legge. Ne deriva che la somma determinata a seguito della
revisione dei prezzi altro non è che una parte del prezzo, e, quale parte
del tutto, ne ha la stessa natura e conseguentemente deve averne la stessa
disciplina giuridica. Pertanto, tutte le norme giuridiche che si riferiscono
al “prezzo” contrattuale dovuto devono perciò ritenersi riferite al
prezzo legalmente integrato con la somma dovuta a titolo di revisione.
Se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare
per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione
derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un
prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che
sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis. La soluzione
negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato dalla
sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria e cioè il fatto che la
Pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”.
La Pubblica amministrazione così operando si approprierebbe
ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla
differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior)
costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione: tale differenza
costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme richiamate e
la stessa
sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria tendono a evitare
(Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 06.08.2021 n. 14 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
14. Le questioni sottoposte all’esame dell’Adunanza plenaria possono così
essere riassunte.
L’informazione interdittiva antimafia determina una particolare forma di
incapacità ex lege parziale (in quanto limitata a specifici rapporti
giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con
la conseguenza che al soggetto -persona fisica o giuridica- è precluso avere
con la Pubblica Amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto
dall'art. 67, co. 1, lett. g), d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui
prevede il divieto di ottenere "contributi, finanziamenti e mutui
agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate,
concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle
Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.”
La disposizione dell’art. 67, co. 1, lett. g), del codice antimafia va
interpretata nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente
dalla P.A., quale che ne sia la fonte e la causa, per il tempo di durata
degli effetti dell’interdittiva (Cons. St., sez. III, 04.06.2021, n. 4293).
Eccezione al detto principio è contenuta nel disposto degli artt. 92, co. 3
e 94, co. 2 che prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano
le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il
pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese
sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità
conseguite”.
Ai soggetti, sebbene già destinatari del provvedimento interdittivo, deve
essere comunque corrisposto il “valore delle opere già eseguite e il
rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti
delle utilità conseguite”.
15. Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione chiede di verificare come
debba essere interpretato il concetto di “valore delle opere già eseguite”
e, con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da
prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate (quale è quello per cui
qui è processo), come debba essere inteso il “valore dei servizi già resi”,
e cioè se debba tenersi conto solo del prezzo pattuito come desumibile dal
contratto stipulato tra le parti o dell’effettivo valore economico delle
prestazioni, che deve essere quantificato dovendosi anche tenere conto della
revisione dei prezzi che hanno interessato le opere già realizzate ed i
servizi già erogati.
16. Prima della risposta al quesito posto dal Consiglio di giustizia
amministrativa, occorre stabilire che cosa debba intendersi per “valore
delle opere (o servizi) già eseguiti”, pagabili al contraente privato
interdetto “nei limiti delle utilità conseguite”
dall’Amministrazione, non potendosi dare per scontata la equivalenza tra
prezzo contrattuale e valore delle prestazioni, ove si consideri il tenore
letterale delle norme in commento, che, da un lato, non prevedono il
pagamento del “prezzo” delle prestazioni già eseguite, ma fanno
riferimento al “valore” di dette prestazioni, e dall’altro lato
pongono l’ulteriore limite delle utilità conseguite.
16.1. Per rispondere al quesito pregiudiziale, vanno anzitutto ribaditi i
principi affermati nella sentenza dell’Adunanza plenaria 06.04.2018, n. 3,
secondo cui il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia”
determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico,
e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di
esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche
soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro cd. “lato
esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica
Amministrazione.
16.2. La successiva sentenza dell’Adunanza plenaria n. 23 del 2020 ha
precisato che:
“a fronte dell’estremo rigore risultante dal complessivo sistema
normativo disciplinante l’informazione antimafia e le sue conseguenze
(posto, lo si ribadisce, a tutela di essenziali valori costituzionali) –
costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione (ex
art. 14 disp. prel. cod. civ.: v. Cons. Stato, sez. IV, 28.10.2011 n. 5799),
quelle che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità,
consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di
informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore
eventualmente acquisite ovvero la possibilità di procedere alla loro dazione
da parte delle pubbliche amministrazioni.
Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del
d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del
“pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese
sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità
conseguite” –da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede
ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati– deve
rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di
eccezione.”
16.3. Ha precisato poi questa Adunanza plenaria che la norma ora citata si
applica anche agli appalti di servizi.
“Occorre anzi precisare che, intanto è possibile l’applicazione della
norma (co. 2, che parla di pagamento di “opere già eseguite”) anche ai
contratti di servizi e forniture in quanto il successivo co. 3 dell’art. 94
– nel riferirsi, al fine di escluderli, “alle revoche o ai recessi di cui al
comma precedente”, accomuna gli appalti di lavori (“nel caso in cui l’opera
sia in corso di ultimazione”) ai contratti di fornitura di beni e di servizi
(laddove la loro prosecuzione sia “ritenuta essenziale per il perseguimento
dell’interesse pubblico” e sempre che “il soggetto che la fornisce non sia
sostituibile in tempi rapidi”).”
16.4. Nella sentenza n. 23 del 2020 della Plenaria si è chiarito altresì che
“la norma di eccezione riguarda la “salvezza” del pagamento delle “opere
già eseguite” ovvero del “rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione
del rimanente”, mentre il riferimento “nei limiti delle utilità conseguite”
riguarda il “quantum” dovuto, di modo che, intanto potrà procedersi alla
verifica delle “utilità conseguite” (dall’amministrazione o, più in
generale, dall’interesse pubblico), in quanto si ritenga ammissibile la
predetta salvezza.”
“Le eccezioni di cui agli articoli 92, co. 3, e 94, co. 2, rappresentano una
precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un
“bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto
disposta in assenza di informativa antimafia.
Se è pur vero che la stipula del contratto e la sua esecuzione sono avvenute
“sub condicione”, è altrettanto vero che appare confliggente con evidenti
ragioni di equità, oltre che con i princìpi dell’attribuzione causale,
addossare tutto il peso delle conseguenze di ciò in capo al privato
contraente, consentendo all’amministrazione, che pure ha tenuto un
comportamento non coerente con le disposizioni normative (il ritardo
nell’informativa antimafia) di conseguire un indebito arricchimento.”
La sentenza puntualizza che “Nel più specifico caso di cui agli articoli
92, co. 3 e 94, co. 2, la salvezza del pagamento del valore delle opere già
eseguite e del rimborso delle spese già sostenute per l’esecuzione del
rimanente, deve essere commisurata “all’utilità conseguita”,
intendendosi per tale l’arricchimento derivante al patrimonio
dell’amministrazione.
16.5. Sulla scorta della sentenza dell’Adunanza sopra richiamata, con
l’espressione “utilità conseguite” si intende riconoscere “al
soggetto interdetto (…) il diritto a vedersi corrisposto un compenso
limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che
quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato
arricchimento”.
“Le utilità conseguite” non sono dunque necessariamente equivalenti
al valore e nemmeno al prezzo delle opere e servizi eseguiti.
Si tratta di “nozione riferibile ad una parte specifica e da questa
apprezzabile attraverso il filtro selettivo di una valutazione di
convenienza, tipica dell’operatore economico-giuridico individuale”;
pertanto, essa deve essere intesa in un senso più limitato e strettamente
patrimoniale, tale da applicarsi alle sole opere, servizi o forniture che
accrescono il patrimonio dell’amministrazione e che per quest’ultima
rappresentano un valore economicamente valutabile”.
Può, in conclusione, affermarsi che la determinazione delle utilità
conseguite è compito della p.a. che provvede, ricorrendone le condizioni di
fatto, alla quantificazione alla stregua delle norme di legge.
Con la quantificazione delle utilità conseguite non si riconoscono diritti
soggettivi o interessi legittimi sorti in capo al destinatario dopo
l’adozione dell’interdittiva antimafia ma si intende evitare che la pubblica
amministrazione “dall’esecuzione dell’opera o dalla prestazione di
servizi, possa trarre un ingiustificato arricchimento”, in applicazione
dei principi generali in materia del nostro ordinamento (art. 2041 cod. civ.).
16.6. Negli appalti di servizi, quale è quello per cui è processo, in cui
l’aggiudicazione e quindi la determinazione del prezzo contrattuale seguono
a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti,
pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto
coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti.
Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad
evidenza pubblica, deve infatti ritenersi coincidente con il miglior prezzo
di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione.
Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra
un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che
la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che
la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica.
Nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, quindi, il
prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe
connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica
amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo
economico si allontanasse oltre misura dal valore dell’utilità che la stessa
abbia, di fatto, a conseguire.
16.7. Quanto al secondo limite, delle “utilità conseguite”, ancora
una volta, la peculiarità dell’appalto di servizi per cui è processo,
connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive”
nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse,
implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro
utilità, ed è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del
recesso e non ancora pagate abbiano una “utilità” diversa dalle
prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte
della stazione appaltante, di aver conseguito dalle prestazioni ripetitive
già eseguite e non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle
prestazioni periodiche già eseguite e pagate.
16.8. Con riferimento quanto meno al caso di cui si controverte -appalto di
servizi aggiudicato con gara e connotato da prestazioni standardizzate,
omogenee, ripetitive e continuative- può quindi senz’altro ritenersi che il
valore dei servizi già eseguiti, da pagarsi all’impresa interdetta nei
limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, coincida con il
prezzo contrattuale dei servizi già resi.
17. Si può così affrontare il quesito specificamente posto dall’ordinanza di
rimessione all’Adunanza plenaria, già sintetizzato nel par. 15: se, nella
determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da
pagarsi o già pagato in relazione alle prestazioni già eseguite
dall’esecutore attinto da informativa antimafia, ai sensi e per gli effetti
degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 d.lgs. n. 159/2011 debba farsi riferimento
solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo
come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata (anche essa
prima della interdittiva antimafia).
17.1. Per rispondere al quesito occorre ricostruire brevemente la natura e
la finalità dell’istituto della revisione dei prezzi.
17.2. Occorre premettere che nel caso che ci occupa le norme applicabili,
ratione temporis, sono quelle di cui al d.lgs. n. 163/2006.
L’art 115 del citato decreto legislativo prevedeva che “tutti i contratti
ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture devono
recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene
operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili
dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo
7, co. 4, lett. c) e co. 5 (costi standardizzati)”.
La clausola di revisione dei prezzi costituiva un obbligo per le stazioni
appaltanti: la revisione era sempre dovuta anche in mancanza di clausole
nella lex specialis di gara. Era compito dell’operatore economico
chiederla in quanto l’obbligatorietà non comportava però il diritto
all’aggiornamento automatico del corrispettivo contrattuale. Si era soliti
dire al riguardo che il richiedente fosse titolare di un interesse legittimo
con riferimento all’an e di un diritto soggettivo al successivo
quantum.
17.3. Questo Consiglio di Stato ha ripetutamente accertato la natura e gli
obiettivi delle norme che prevedono la revisione dei prezzi.
Con la sentenza n. 2295 del 2015, interpretando la norma del 2006 sopra
citata, è stato precisato che “a) che la normativa in questione ha natura
imperativa, per cui si inserisce automaticamente e prevale addirittura sulla
regolamentazione pattizia, cosicché “nessuna preclusione è configurabile in
ordine al diritto che trova titolo e disciplina nella legge.”
L’assunto è stato confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III,
12.08.2019, n. 5686: “La revisione prezzi, secondo la disciplina pro
tempore applicabile, si applica ai contratti di durata pluriennale a partire
dall'anno successivo al primo, e l'art. 115 d.lgs. 163/2006 prevede
l'inserimento obbligatorio della clausola di revisione prezzi, con
conseguente sostituzione di diritto ex art. 1339 cod. civ. delle clausole
contrattuali difformi, nulle di pieno diritto ex art. 1419 cod. civ.”.
Con la sentenza del Consiglio di Stato n. 3874/2020 è stata ribadita la
natura dell’interesse che sottende l’istituto in questione: “L’istituto
della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse
pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche
amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione
qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni
stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di
formulazione dell’offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di
farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015 n. 2295;
Id., Sez. V, 20.08.2008 n. 3994; Id., Sez. III, 20.08.2018, n. 4985);
dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca
aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro
finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 23.04.2014 n. 2052; Sez. III 04.03.2015 n. 1074; Sez. V
19.06.2009 n. 4079).
Al contempo essa è posta a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire
l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei
costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad
una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni”.
La posizione dell’appaltatore in ordine all’an della revisione ha
–come si è accennato- natura di interesse legittimo: “La giurisprudenza
ha inoltre affermato che l’istituto della revisione prezzi si atteggia
secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di
preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del
compenso revisionale, modello che sottende l’esercizio di un potere
autoritativo tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nei confronti del
privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di
equiordinazione con la prima solo con riguardo a questioni involgenti
l’entità della pretesa. Ne deriva che sarà sempre necessaria l’attivazione
–su istanza di parte– di un procedimento amministrativo nel quale
l’Amministrazione dovrà svolgere l’attività istruttoria volta
all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del
compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del
provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne
stabilisce anche l’importo”.
La caratteristica di attività meramente tecnica dell’attività della p.a. nel
valutare le condizioni che legittimano la revisione prezzi si evince anche
dalla giurisprudenza delle Sezioni unite (Cass., sez. un., 12.10.2020 n.
21990).
17.4. Il richiamo alle interpretazioni della giurisprudenza sia
amministrativa che civile consente di escludere che l’istituto della
revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie; lo stesso viene concepito
dal legislatore unicamente al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma
contrattuale originariamente pattuito, ed evitare che una parte possa
avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri
sostenuto nei costi.
In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso
revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo
contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal
prezzo come integrato.
La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con
pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della
prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. Sicché, una volta
riconosciuto dall’amministrazione il ricorrere delle condizioni della
revisione –che nella specie risulta accertato già in forza di giudicato-, le
somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base
di riferimento il prezzo come revisionato.
18. Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei
prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa”
del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo,
rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con
riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a
produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto.
Il carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di
servizi, ai sensi dell’art. 115 d.lgs. n. 163/2006 qui applicabile
ratione temporis, corrobora tale conclusione. La revisione, infatti,
opera anche se non espressamente pattuita dalle parti, in virtù di un
procedimento amministrativo da attivare obbligatoriamente al verificarsi dei
presupposti di legge (Cons. St., sez. III, 02.05.2018, n. 2841). Ne deriva
che la somma determinata a seguito della revisione dei prezzi altro non è
che una parte del prezzo, e, quale parte del tutto, ne ha la stessa natura e
conseguentemente deve averne la stessa disciplina giuridica. Pertanto, tutte
le norme giuridiche che si riferiscono al “prezzo” contrattuale
dovuto devono perciò ritenersi riferite al prezzo legalmente integrato con
la somma dovuta a titolo di revisione.
Ragionando a contrario, se si seguisse la soluzione negativa e si ritenesse
non computabile nel prezzo da corrispondere la revisione dei prezzi in caso
di interdittiva antimafia dell’impresa esecutrice, si violerebbero la ratio
e la lettera dei citati artt. 92 e 94 del codice antimafia, che, prevedendo
il pagamento del valore delle prestazioni già eseguite, ancorché nei limiti
delle utilità conseguite dall’amministrazione, intende evitare
l’ingiustificato arricchimento dell’amministrazione. E’ questa la medesima
ratio sottesa alla revisione dei prezzi: evitare che oscillazioni dei
prezzi, tali da portare il prezzo pattuito sotto il valore di mercato delle
prestazioni, comportino un ingiustificato arricchimento della parte
contrattuale pubblica in danno della parte privata.
Pertanto, se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da
pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la
integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore
vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite
dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio
legis.
La soluzione negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato
dalla sentenza n. 23 del 2020 di questa Adunanza e cioè il fatto che la
pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”.
18.1. Nello specifico caso per cui è processo, negare il pagamento della
revisione dei prezzi significherebbe che la stazione appaltante sarebbe
autorizzata a quantificare le utilità conseguite calcolando il costo del
lavoro dei dipendenti (che forma la voce di spesa più rilevante con il
prestatore di servizi) alla stregua del prezzo previsto dal contratto
iniziale non tenendo conto degli aumenti subiti dallo stesso nel corso di un
arco temporale di oltre tredici anni.
La pubblica amministrazione così operando si approprierebbe
ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla
differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior)
costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione: tale differenza
costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme richiamate e
la stessa sentenza n. 23 del 2020 tendono a evitare.
19. Si devono in conclusione affermare i seguenti principi di diritto:
"a) negli appalti pubblici di servizi
aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad
oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da
standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni
già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite
dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per
gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011,
corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la
possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che
esercita il recesso;
b) nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi
da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli
artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d.lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa
anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di
revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006”
(Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 06.08.2021 n. 14 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Interdittiva
antimafia basata su una sola figura se attorno alla stessa si concentrano
una serie di elementi quali nonché la vicinanza ad una locale cosca mafiosa.
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Informativa antimafia – Presupposti – Persona vicina alla locale cosca
mafiosa e al mondo dello spaccio di stupefacenti – Legittimità.
E’ legittima l’interdittiva antimafia che si basi su una sola figura se
attorno alla stessa si concentrano una serie di elementi, quali la vicinanza
con soggetti controindicati nonché, attraverso questi e attraverso la figura
della compagna convivente, il mondo dello spaccio di stupefacenti, nonché la
vicinanza ad una locale cosca mafiosa (1).
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(1) Ha chiarito la Sezione che non rileva se tale figura controindicata non
sia più l’amministratore unico della società.
Come insegna una costante giurisprudenza di questa Sezione (02.05.2019,
n. 2855) alcune operazioni societarie possono disvelare una attitudine
elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a
creare una netta cesura con la pregressa gestione subendone, anche
inconsapevolmente, i tentativi di ingerenza (Cons. St., sez. III,
27.11.2018, n. 6707;
07.03.2013, n. 1386).
Contrariamente a quanto afferma il giudice di primo grado, tale operazione,
se collegata alla persona controindicata, assume un significato pregnante,
stante gli ulteriori elementi che rendono “più probabile che non” la sua
cointeressenza con gli ambienti della criminalità organizzata.
Aggiungasi la rilevanza che assume la frequentazione con soggetti
controindicati ai fini antimafia, tutt’altro che generica, essendo ben
individuati nella nota della legione Carabinieri i nominativi e i carichi
penali.
No rileva neanche il carattere non attuale di alcuni episodi.
Come chiarito dalla Sezione (21.01.2019, n. 515), il mero decorso del
tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell’attualità
del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle
vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste
ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde
l’irrilevanza della ‘risalenza’ dei dati considerati ai fini della rimozione
della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto
fatti nuovi positivi quanto il loro consolidamento, così da far virare in
modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita
definitiva dal cono d'ombra della mafiosità.
E’ evidente che il momento in cui l’interdittiva è adottata non fotografa
l’inizio della vicinanza della società agli ambienti della criminalità
organizzata, che possono trovare la loro genesi anche in epoca di gran lunga
antecedente.
In conclusione, la legittimità del provvedimento interdittivo si fonda sul
principio secondo cui i fatti valorizzati dal provvedimento prefettizio
devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo
il canone inferenziale –che è alla base della teoria della prova indiziaria-
quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza
o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a
possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata,
secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al
potere cautelare dell’amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 03.08.2021 n. 5723 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Novero
dei soggetti le cui condotte possono influire in modo ostativo sulla
partecipazione dei concorrenti alle gare pubbliche in caso di collegamento
tra società.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara -
Collegamento tra società – Limiti.
L’ampliamento del novero dei soggetti le cui
condotte possono influire in modo ostativo sulla partecipazione dei
concorrenti alle gare pubbliche è previsto, in via eccezionale, dall’art.
80, comma 3, unicamente per le ipotesi “di cui ai commi 1 e 2”, ovvero per
le ipotesi, affatto diverse e più gravi rispetto a quelle del comma 5, in
cui l’esclusione sia conseguenza di una condanna definitiva per uno dei
reati elencati dal comma 1 o dell’esistenza di una delle misure interdittive
previste al comma 2.
Pertanto, è illegittima l’esclusione dal procedimento
di gara per grave illecito professionale, desunto da una condanna subita da
un amministratore del socio unico persona giuridica di un concorrente
(amministratore privo di ruoli nella compagine societaria dell’operatore
economico che partecipa alla gara) subisca una condanna (in primo grado) per
bancarotta fraudolenta, in relazione al fallimento di una terza società (a
sua volta controllata dalla medesima socia unica persona giuridica di detto
concorrente), operante in altro settore (1).
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(1) Ha chiarito la Sezione che l’Amministrazione si è invero
determinata ad operare l’espulsione sulla base della regola
giurisprudenziale meglio descritta come “teoria del contagio” (Cons.
Stato n. 3507 del 2020), secondo la quale un comportamento illecito di
un amministratore di una persona giuridica, in grado per la sua posizione di
determinarne le scelte, non può che considerarsi illecito della persona
giuridica stessa; e tale condizione è suscettibile di estendersi, viziandone
la partecipazione, anche ad altre persone giuridiche che dalla prima siano
controllate.
Si tratta di un orientamento che, con riguardo al caso di specie, la Sezione
non condivide.
In linea di principio, esso si risolve, ancora una volta, nella creazione di
una regola giurisprudenziale che, a tacere della sua reale ragionevolezza
(nella sua applicazione più estrema appare espressione di una cultura di
sospetto, più che di legalità), non trova fondamento nella legge, la quale è
chiara (ed inequivoca) nel riferire la necessità di accertare il grave
illecito professionale in capo all’”operatore” che partecipa alla gara.
Vero è che l’accertamento dell’illecito professionale ex art. 80, comma 5,
d.lgs. 50 del 2016 è fattispecie aperta, essendo consentito alla
Amministrazione di accertarlo “con ogni mezzo”; ma, proprio perché si tratta
di un potere ampio della P.A., il suo esercizio non può prescindere da una
motivazione “forte”, adeguata alle circostanze del caso concreto e senza
automatismi, come invece la tesi del “contagio”, nella sua accezione
“assoluta” (ossia sganciata dal contesto concreto) finisce con l’implicare.
Nel caso di specie, l’Amministrazione si è limitata ad inferire la
inattendibilità professionale della odierna ricorrente in dipendenza dei
reati (pur indubbiamente gravi) per i quali è stato condannato
l’amministratore di altra società che, a sua volta, è socio unico della
società concorrente
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 02.08.2021 n. 9121 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2021 |
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APPALTI: Effetti
sulla partecipazione alla gara del controllo giudiziario.
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Informativa antimafia – Controllo giudiziario – Effetti sulla
partecipazione alla gara.
Alla luce dello scopo del controllo giudiziario la
retroattività degli effetti dell’interdttiva può predicarsi oltre che per la
fase successiva all’esecuzione, anche per la fase antecedente la verifica
dei requisiti in esito all’aggiudicazione; ove l’impresa concorrente sia
colpita da interdittiva l’esclusione può essere effettivamente congelata
dall’intervento del controllo giudiziario (a volte anteceduto dalla
sospensione degli effetti dell’interdittiva nelle more della decisione del
controllo) se sopraggiunto anteriormente al momento di verifica dei
requisiti in capo all’aggiudicatario(1).
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(1) Ha chiarito il
Tar che l’irretroattività dell’efficacia del controllo giudiziario ha, nel
suo essere netta, gli indubbi pregi della chiarezza e del porre in primo
piano l’interesse pubblico alla speditezza e certezza della contrattazione
pubblica.
Ritiene, tuttavia, il Tar che la questione meriti una ulteriore riflessione,
per appurare se la suddetta irretroattività sia, effettivamente, regola
assoluta.
È bene, anzitutto, precisare che non viene in alcun modo in discussione il
principio secondo cui il decreto ex art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011 non
modifica il giudizio in ordine alla sussistenza dei pericoli di
infiltrazione: esso senza dubbio “non costituisce un superamento dell’interdittiva,
ma in un certo modo ne conferma la sussistenza” (v. Cons. Stato,
n. 6377/2018; Cons. Stato, sez. V,
31.05.2018, n. 3268 e cfr. Cass. Pen. nn. 39.412 e 27.856 del 2019 che
escludono che il controllo abbia la conseguenza di vanificare il
provvedimento definitivo dell’informazione e che sia strumento alternativo
di impugnazione) e, ove nelle more del giudizio amministrativo, il Tribunale
della prevenzione rigettasse l’istanza di controllo per evidente esclusione
del requisito della occasionalità, tale elemento costituirebbe ulteriore
riscontro della legittimità dell’informativa nel giudizio amministrativo
(così Tar Napoli sent. n. 6659/2018).
Ciò di cui si dubita è che il sopraggiungere del provvedimento di ammissione
al controllo giudiziario possa avere in via assoluta effetti favorevoli solo
per gli atti amministrativi ad esso successivi (limitando in questa sede
l’analisi, per questione di rilevanza, ai soli atti contrattuali).
La questione dubitativa sorge, evidentemente, per effetto della scarsa
puntualità delle norme che hanno introdotto e regolato l’istituto.
Di tali disposizioni, come si ricorderà, non a caso, da tempo gli interpreti
hanno evidenziato la trascuratezza della regolazione dei rapporti tra
giudizio amministrativo e procedimento di prevenzione, mancanza che ha
portato Giudici penali e Giudici amministrativi ad intervenire per via
interpretativa per configurare un coordinamento, divenuto indispensabile in
ragione della ormai una larga applicazione dell’istituto.
Venendo alla specifica questione delle conseguenze dell’ammissione al
controllo giudiziario sulle procedure contrattualistiche pubbliche, essa
deve essere verificata tenendo conto della lettera della legge, della ratio
dell’istituto del controllo e degli interventi giurisprudenziali.
In punto di littera legis, laconicamente il comma 7 dell’art. 34-bis
cod. antim. prevede che “Il provvedimento che dispone l'amministrazione
giudiziaria prevista dall'articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi
del comma 6 del presente articolo sospende gli effetti di cui all'articolo
94” cod. antim. il quale, come noto, prevede, a sua volta, il divieto
per le appaltanti di stipulare/approvare/autorizzare i contratti con imprese
interdette ed obbliga al recesso dal contratto con esse stipulato (salvo la
facoltà per la p.a. di non recedere per garantire l’interesse pubblico
all’esaustiva esecuzione dell’appalto, con finalità analoga a quella del
commissariamento prefettizio ex art. 32, co. 10, d.l. n. 90/2014).
Il Legislatore, ancora, nel 2019 ha sentito la necessità di intervenire in
via additiva per congelare espressamente gli effetti dell’interdittiva in
conseguenza dell’ammissione al controllo giudiziario anche nella fase della
partecipazione delle gare pubbliche, prevedendo all’art. 80, co. 2, c.c.p.,
di seguito alla enunciazione dell’essere il provvedimento prefettizio motivo
di esclusione, che “Resta fermo altresì quanto previsto dall'articolo
34-bis, commi 6 e 7, del decreto legislativo 06.09.2011, n. 159”.
Tale formulazione, si badi, ha formula più generica della analoga previsione
di inoperatività del motivo di esclusione previsto per le imprese sottoposte
a confisca e sequestro in cui è chiara la lettera della legge nel
riconoscere la sterilizzazione del motivo di esclusione solo alle imprese
già sottoposte alla misura giudiziaria (“aziende o società sottoposte a
sequestro o confisca …. ed affidate ad un custode o amministratore
giudiziario o finanziario, limitatamente a quelle riferite al periodo
precedente al predetto affidamento”).
Ci si deve, allora chiedere se la novella, giustificata dalla relazione
illustrativa con la necessità del “coordinamento con le norme del codice
delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto
legislativo n. 159 del 2011”, con tale formulazione non voglia lasciare
una chance favorevole all’impresa che abbia ottenuto la misura della “bonifica”
durante la gara pubblica.
In punto di ratio legis va, poi, rammentato che il controllo
giudiziario è istituto di sostegno previsto dall’ordinamento per
l’imprenditore che sia marginalmente toccato dai clan e che individualmente
(specie in realtà piccole e contaminate e ad economia scarsa) non sia in
grado di reagire alla criminalità, sostegno costituito da un percorso
imprenditoriale sorvegliato dall’amministratore giudiziale, finalizzato alla
sua bonifica.
L’istituto va, però, coordinato con gli altri con cui esso si correla e, di
conseguenza risulta necessario porre in evidenza i confliggenti interessi in
gioco evincibili nell’incontro delle norme sulla contrattualistica con
quelle del codice antimafia:
- i plurimi interessi pubblici (anche non convergenti)
-) alla stipula del contratto con soggetto
meritevole di fiducia in quanto non interessato da fenomeni di infiltrazione
mafiosa,
-) alla stipula del contratto con il migliore
offerente,
-) alla certezza del soggetto contraente,
-) alla stipula nei tempi ristretti di cui
all’art. 32 c.c.p.;
- l’interesse dell’impresa concorrente a quella interdetta a
conservare gli effetti degli atti della stazione appaltante sfavorevoli a
quest’ultima ex art. 94 cod. antim. e di quelli conseguenti a sé favorevoli;
- l’interesse dell’impresa interdetta ed ammessa al controllo a
conservare i provvedimenti di evidenza pubblica/ contrattuale a lei
favorevoli/ reagire a quelli sfavorevoli comminati prima dell’ammissione al
controllo giudiziario, interesse che in realtà piccole e contaminate e ad
economia scarsa può coincidere con quello alla sopravvivenza dell’impresa
(sottolinea tale aspetto la Corte di Cassazione nella sentenza n. 27856/2019
che afferma che la ratio dell’istituto sia “quella di consentire,
a mezzo di specifiche prescrizioni e con l'ausilio di un controllore
nominato dal Tribunale, la prosecuzione dell'attività di impresa nelle more
della definizione del ricorso amministrativo al fine di evitare, in tale
lasso di tempo, la decozione dell'impresa che, privata di commesse pubbliche
e/o di autorizzazioni essenziali per la prosecuzione della propria attività,
potrebbe subire conseguenze irreparabili a causa della "pendenza" del
provvedimento prefettizio”) coincidente con quello pubblico (per come
osservato dal Cons. St. n. 4619/2021) alla forza lavoro ivi impiegata
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 29.07.2021 n. 1546 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Verifica
dell'anomalia, mano libera del Rup sulla gestione del procedimento.
I giudici di Palazzo Spada - Sez. III, con la
sentenza
02.07.2021 n. 5077, hanno affrontato
la censura, già respinta in primo grado (Tar Puglia, sentenza n. 335/2021),
sulla non corretta conduzione del subprocedimento di verifica della
potenziale anomalia da parte del Rup che si era avvalso dell'ausilio di un
esperto esterno in luogo della commissione di gara.
L'appellante, nel dettaglio, ha posto la questione della mancata previsione
dei criteri di scelta dell'esperto esterno, dell'approccio istruttorio del
Rup che si sarebbe limitato «a prendere atto delle conclusioni del
consulente senza alcuna volizione propria, sostanzialmente abdicando
all'esercito del potere-dovere di valutare la congruità dell'offerta».
Infine, è stata posta anche la questione del ruolo della commissione di gara
che, nel tema demolitorio, avrebbe dovuto essere, obbligatoriamente,
consultata dal Rup.
La decisione
I giudici del Consiglio di Stato non hanno condiviso nessuna delle censure
prospettate indicando il chiaro approccio istruttorio che il Rup deve
seguire nella gestione del subprocedimento di verifica dell'anomalia.
In primo luogo, in sentenza sono stati rammentati gli orientamenti
giurisprudenziali consolidati in tema di valutazione sulla potenziale
anomalia dell'offerta espressa dalla stazione appaltante e, quindi,
sull'ambito del giudizio.
In relazione al primo aspetto il collegio ha segnalato che «il giudizio di
anomalia costituisce espressione di tipico potere tecnico-discrezionale
riservato alla pubblica amministrazione, insindacabile in sede
giurisdizionale se non per manifesta erroneità, irragionevolezza e/o
inadeguatezza dell'istruttoria, senza che possa essere sostituita alla
verifica compiuta dall'amministrazione una autonoma valutazione di congruità
delle offerte da parte del concorrente controinteressato o del giudice».
Riguardo alla corretta delimitazione dell'ambito della valutazione, va
rammentato che il giudizio sulla potenziale anomalia, proprio perché solo
potenziale, è un giudizio globale che riguarda l'offerta nel suo complesso e
non si estrinseca in una verifica chirurgica «per singole voci».
Ciò che il Rup deve accertare, in sostanza, è «la serietà e affidabilità nel
suo complesso» dell'offerta «ed eventuali inesattezze o inadeguatezze di
singole voci» devono considerarsi «irrilevanti ai fini dell'esclusione dalla
gara».
La scelta di un consulente esterno
Sulla scelta di un consulente esterno, in luogo dell'ausilio della
commissione di gara, il giudice rimarca come queste decisioni rientrino
nell'ampia discrezionalità del Rup a «cui è affidata la (…) verifica, non
essendo il giudizio di congruità di competenza della Commissione di gara, le
cui incombenze sono limitate alla valutazione delle offerte dal punto di
vista tecnico ed economico previste dall'articolo 77 del Dlgs 50/2016
(Consiglio di Stato n. 3602/2020)».
Avendo, il Rup, la responsabilità/presidio del subprocedimento di verifica
della potenziale anomalia, compete a questo soggetto determinare lo
svolgimento istruttorio e i soggetti (anche esterni) eventualmente
necessari.
In pratica, se il Rup ritiene che sia necessario il supporto di una
professionalità esterna, come nel caso di specie, ha assoluta libertà di
azione e non ha alcun obbligo di «rivolgersi alla commissione o a dipendenti
interni (Consiglio di Stato n. 7805/2019; n. 3602/2020)».
Né questa prerogativa può dirsi inibita da prescrizioni contenute nel
disciplinare di gara che, evidentemente, non possono condizionare l'azione
amministrativa del Rup, in difetto non potrebbe rispondere pienamente della
propria decisione.
Allo stesso modo, prosegue la sentenza, «neppure può sostenersi fondatamente
che l'aver preso atto delle risultanze del parere tecnico da parte del Rup
equivalga a spogliarsi della propria competenza o recepirne acriticamente le
conclusioni».
L'accettazione delle risultanze dell'attività/valutazione esterna non
richiede un apparato motivazionale di particolare intensità mentre, al
contrario, una adeguata motivazione si renderebbe necessaria nel caso di
scostamento dal giudizio/valutazione espressa dall'esperto.
A poco rileva, infine, il fatto che la scelta dell'esperto esterno non sia
stata preceduta dalla previa definizione di criteri di competenza/esperienza
visto che, in questi casi, è sufficiente la motivazione indicata negli atti
di conferimento dell'incarico
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 08.07.2021).
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SENTENZA
1.1.- Il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è immune dai
vizi denunciati e l’esito della verifica non presenta macroscopiche
illogicità ed arbitrarietà.
1.2.- Va premesso che secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato,
il giudizio di anomalia costituisce espressione di tipico potere - tecnico
discrezionale riservato alla Pubblica Amministrazione, insindacabile in sede
giurisdizionale se non per manifesta erroneità, irragionevolezza e/o
inadeguatezza dell’istruttoria, senza che possa essere sostituita alla
verifica compiuta dall’Amministrazione una autonoma valutazione di congruità
delle offerte da parte del concorrente controinteressato o del giudice (cfr.
tra le tante, C.d.S. A.P. 29.12.2012, n. 36, Sez. V, 28.10.2019, n. 7391;
12.2.2020, n. 1066; Sez. III 19.09.2019, n. 6248 e 29.03.2019, n. 2079).
Inoltre, l’esame dell’offerta anomala va condotto complessivamente e non per
singole voci, con giudizio globale e sintetico, al fine di valutarne la
serietà e affidabilità nel suo complesso ed eventuali inesattezze o
inadeguatezze di singole voci sarebbero irrilevanti ai fini dell’esclusione
dalla gara (C.d.S., Sez. V, 18.12.2018, n. 7129; 29.01.2018, n. 589).
...
3.- Con riguardo al subprocedimento per la verifica dell’anomalia
dell’offerta, si osserva che la richiesta di consulenza esterna da parte del
RUP rientra nella scelta discrezionale dello stesso, cui è affidata la detta
verifica, non essendo il giudizio di congruità di competenza della
Commissione di gara, le cui incombenze sono limitate alla valutazione delle
offerte dal punto di vista tecnico ed economico ex art. 77 D.lgs. n. 50/2016
(Sez. III 05.06.2020, n. 3602).
Ove il RUP ritenga necessario per la verifica di un elemento di particolare
complessità approfondire l’istruttoria avvalendosi dell’ausilio di un
tecnico esterno specializzato, ben può adottare tale soluzione e non è
obbligato a rivolgersi alla Commissione o a dipendenti interni (C.d.S. Sez.
V, 13.11.2019, n. 7805; sez. III 05.06.2020 n. 3602).
Non ritiene il Collegio che l’art. 23 del disciplinare di gara possa
interpretarsi nel senso di vincolare il RUP ad avvalersi esclusivamente
della Commissione per la verifica dell’offerta anomala, atteso che la norma
precisa che il RUP si avvale della Commissione “se ritenuto necessario”.
La norma diversamente interpretata restringerebbe illegittimamente i poteri
istruttori del RUP.
3.1. - Neppure può sostenersi fondatamente che l’aver preso atto delle
risultanze del parere tecnico da parte del RUP equivalga a spogliarsi della
propria competenza o recepirne acriticamente le conclusioni: il RUP ha
manifestato di condividere le valutazioni tecniche del consulente e, a tal
fine, non si richiede una diffusa motivazione, che sarebbe, viceversa,
necessaria, secondo le regole generali, ove il parere tecnico acquisito
venisse disatteso (C.d.S. Sez. III, 20.05.2020, n. 3207).
D’altra parte, come rileva anche il primo giudice, l’acquisizione di parere
tecnico presuppone una specifica competenza i cui esiti, salvo macroscopiche
illogicità o errori, non si vede come potrebbero essere disattesi dal
Responsabile del procedimento che tali specifiche competenze ammette di non
possedere per il fatto stesso di risolversi ad avvalersi di un esperto.
Va, peraltro, osservato che il consulente esterno è stato nominato in
seconda battuta, a seguito della richiesta di seconde giustificazioni il
09.06.2020 esclusivamente sul costo della manodopera; mentre in una fase
precedente le giustificazioni prodotte in data 28.05.2020 erano state
esaminate dal RUP, che ha ritenuto di dover approfondire esclusivamente
l’ulteriore aspetto del costo della manodopera (cfr verbale n. 12 del
19.05.2020 e nota del 05.06.2020 del RUP All 1 prodotto dall’Azienda in I
grado).
E’ inammissibile per genericità e difetto di interesse, peraltro, la censura
concernente la mancata esternazione dei criteri che hanno presieduto alla
scelta del professionista incaricato, che è avvenuta in assenza di risorse
interne dotate di adeguata competenza tecnica ed è caduta su commercialista
e consulente del lavoro, sicuramente competente a svolgere le valutazioni in
materia di costo del lavoro, le uniche valutazioni “delegate” dal RUP
con la nota del 05.06.2020, come emerge dal testo della stessa relazione
tecnica. |
maggio 2021 |
|
APPALTI: Effetti
delle esclusioni sul ricalcolo della soglia
di anomalia nel modulo di inversione
procedimentale.
Il TAR Brescia, con
riferimento al problema di stabilire se
nelle procedure di gara che adottano il
modello della inversione procedimentale le
eventuali esclusioni, disposte all’esito
verifica dei requisiti di partecipazione dei
concorrenti, debbano o meno comportare il
ricalcolo della soglia di anomalia afferma
il seguente principio di diritto:
<<nelle procedure di gara da aggiudicarsi
secondo il criterio del minor prezzo e che
si svolgono secondo il modulo
dell’inversione procedimentale di cui
all’art. 133, comma 8, d.lgs. 50/2016
-previsto per gli appalti nei settori
speciali, ma esteso in via sperimentale e
provvisoria, fino al 31.12.2021, anche ai
settori ordinari– la soglia di anomalia deve
essere calcolata, una sola volta, subito
dopo l’apertura delle offerte.
Qualora, in
esito alla fase conclusiva della verifica
dei requisiti di partecipazione, si
ravvisino i presupposti per disporre
l’esclusione di uno o più concorrenti, la
stazione appaltante procede allo scorrimento
della graduatoria e alla verifica della
documentazione amministrativa del secondo
classificato, mantenendo ferma la soglia di
anomalia>>
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.05.2021 n. 476 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
4. Nel merito.
4.1. Peraltro, per completezza –ma fermo il
rilievo della inammissibilità– il ricorso è
pure infondato nel merito.
4.2. L'art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50 del
2016 prevede che “ogni variazione che
intervenga, anche in conseguenza di una
pronuncia giurisdizionale, successivamente
alla fase di ammissione, regolarizzazione o
esclusione delle offerte non rileva ai fini
del calcolo di medie nella procedura, né per
l'individuazione della soglia di anomalia
delle offerte”.
4.3. Tale norma introduce la regola della
c.d. “immodificabilità della graduatoria” e
della “irrilevanza delle sopravvenienze”
verificatesi, anche in conseguenza di una
pronuncia giurisdizionale, successivamente
alla fase di ammissione delle offerte,
includendo in quest’ultima anche le
ammissioni e le esclusioni disposte in esito
ad eventuale soccorso istruttorio.
4.4. Secondo la giurisprudenza (cfr. da
ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 14.10.2020, n. 6221; Cons. Stato, sez. V,
02.09.2019, n. 6013), la regola della
irrilevanza delle sopravvenienze obbedisce
alla duplice e concorrente finalità:
a) di
garantire, per un verso, continuità alla
gara e stabilità ai suoi esiti, onde
impedire che la stazione appaltante debba
retrocedere il procedimento;
b) di impedire,
o comunque vanificare, in prospettiva
antielusiva, la promozione di controversie
meramente speculative e strumentali da parte
di concorrenti non utilmente collocatisi in
graduatoria.
4.5. Di recente la giurisprudenza si è
interrogata su come si applichi il predetto
principio nel caso di procedure di gara
svolte secondo il modulo della c.d.
“inversione procedimentale” di cui all’art.
133, comma 8, del d.lgs. 50/2016, ossia
procedendo prima all’esame delle offerte e
solo successivamente alla verifica dei
requisiti di partecipazione degli offerenti
(normalmente limitata al solo soggetto
risultato aggiudicatario, ma con ampia
facoltà per la stazioni appaltanti di
ampliare discrezionalmente tale verifica ad
altri partecipanti, eventualmente
individuati a campione).
4.6. In particolare, l’art. 133, comma 8,
citato prevede che “Nelle procedure aperte,
gli enti aggiudicatori possono decidere che
le offerte saranno esaminate prima della
verifica dell'idoneità degli offerenti. Tale
facoltà può essere esercitata se
specificamente prevista nel bando di gara o
nell'avviso con cui si indice la gara. Se si
avvalgono di tale possibilità, le
amministrazioni aggiudicatrici garantiscono
che la verifica dell'assenza di motivi di
esclusione e del rispetto dei criteri di
selezione sia effettuata in maniera
imparziale e trasparente, in modo che nessun
appalto sia aggiudicato a un offerente che
avrebbe dovuto essere escluso a norma
dell'articolo 136 o che non soddisfa i
criteri di selezione stabiliti
dall'amministrazione aggiudicatrice”.
4.7. Incidentalmente va osservato che tale
norma, dettata specificamente per gli
appalti nei “settori speciali”, è stata
successivamente estesa in via sperimentale e
transitoria anche ai “settori ordinari”,
dapprima fino al 31.12.2020 (in forza
della L. 55 del 14.06.2019) e poi fino
al 31.12.2021 (ai sensi dell’art. 8,
comma 7, lett. c), del D.L. n. 76 del 16.07.2020, convertito con modificazioni
dalla L. 11.09.2020 n. 120).
4.8. Dal momento che nelle procedure di gara
che adottano il modello della inversione
procedimentale la verifica dei requisiti di
partecipazione dei concorrenti avviene dopo
l’esame delle offerte, può accadere che in
esito a tale verifica, o in esito
all’eventuale soccorso istruttorio
esercitato dalla stazione appaltante, uno o
più concorrenti siano esclusi. Di qui il
problema di stabilire se tali esclusioni
debbano o meno comportare il ricalcolo della
soglia di anomalia.
4.9. In favore della soluzione affermativa
deporrebbero due argomenti, entrambi
sostenuti nella controversia in esame dalla
parte ricorrente:
1) con un primo argomento si sostiene che, dal momento che
il principio della invarianza della soglia
di anomalia di cui all’art. 95, comma 15, del d.lgs. 50/2016 opera “successivamente
alla fase di ammissione, regolarizzazione o
esclusione delle offerte”, e dal momento
che tale fase include anche le ammissioni e
le esclusioni disposte in esito
all’eventuale soccorso istruttorio,
analogamente, nelle gare svolte secondo il
modulo dell’inversione procedimentale, le
esclusioni disposte in sede di verifica dei
requisiti e di eventuale soccorso
istruttorio, verificandosi ancora
nell’ambito della fase di ammissione delle
offerte, dovrebbero necessariamente
comportare il ricalcolo della soglia di
anomalia;
2) con un secondo argomento, si sostiene che la necessità di
procedere al ricalcolo della soglia di
anomalia a seguito della esclusione di
offerte presentate da concorrenti
rivelatisi, all’esito della procedura di
gara, privi di requisiti di partecipazione,
risponderebbe all’esigenza di evitare che il
calcolo della soglia di anomalia sia
inquinato da offerte che non avrebbero
dovuto partecipare alla gara in quanto
carenti di requisiti di partecipazione.
4.10. Gli argomenti appena esposti non
convincono il Collegio, alla luce di due
preminenti considerazioni, avallate da
recente giurisprudenza:
1) innanzitutto, nelle gare svolte secondo il modulo della
inversione procedimentale, l’eventuale
ricalcolo della soglia di anomalia a seguito
della esclusione di uno o più concorrenti in
esito alla verifica dei requisiti di
partecipazione (o all’eventuale soccorso
istruttorio), determinerebbe una
retrocessione della procedura di gara ad una
fase antecedente, e quindi un appesantimento
della gara, in aperto contrasto con le
finalità di semplificazione procedimentale
che stanno alla base dell’introduzione di
tale modulo procedimentale;
2) in secondo luogo, diversamente da quanto accade nelle procedure
di gara svolte secondo il modulo
procedimentale “ordinario”, in quelle
svolte secondo il modulo della “inversione
procedimentale” di cui all’art. 133,
comma 6, d.lgs. 50/2016, la verifica dei
requisiti di partecipazione si svolge “a
buste aperte” e ciò comporta che, se in
esito a tale fase fosse previsto l’obbligo
della stazione appaltante di procedere al
ricalcolo della soglia di anomalia, la
procedura di gara resterebbe esposta al
pericolo di condotte strumentali dei
concorrenti sottoposti a verifica, i quali,
divenendo rilevanti ai fini del calcolo
della soglia di anomalia -e quindi, in
definitiva, ai fini dell’esito della gara-
a seconda che comprovino o meno il possesso
dei requisiti di partecipazione, potrebbero
essere indotti a porre in essere
comportamenti fraudolenti (concordati o eterodiretti) a beneficio di altri
concorrenti, con un effetto di radicale
turbativa della procedura concorsuale e di
violazione dei principi di trasparenza,
libera concorrenza e par condicio dei
concorrenti.
4.11. Quest’ultimo argomento è stato
approfondito di recente, in modo
significativo, da TAR Bari, nella sentenza
della prima Sezione n. 1631 del 15.12.2020,
nella quale si individuano, a titolo
esemplificativo, alcune delle possibili
condotte fraudolente a cui potrebbe condurre
l’affermazione del principio invocato
dall’odierna parte ricorrente: “Si pensi,
ad esempio [si afferma in sentenza] ad
un’intenzionale incompletezza o irregolarità
di talune offerte già in sede di prima
partecipazione, ovvero ad un intenzionale
rifiuto di produrre la documentazione
richiesta a seguito di soccorso istruttorio
nel corso della procedura: tutte ipotesi in
cui la platea degli offerenti finirebbe per
essere modificata, con automatici riflessi
sul calcolo della soglia”.
4.12. D’altra parte, va anche osservato che
l’esigenza addotta dalla parte ricorrente
-e, più in generale, dai fautori della tesi
qui avversata- che la soglia di anomalia sia
calcolata depurandola dalle offerte prive di
requisiti di partecipazione, non potrebbe
comunque essere soddisfatta nelle procedure
di gara svolte secondo il criterio della
inversione procedimentale, dal momento che
in questa peculiare tipologia di
procedimento la verifica finale dei
requisiti non viene condotta su tutti i
partecipanti, ma soltanto sul concorrente
aggiudicatario o, al massimo, come nel caso
di specie, su un campione di concorrenti, a
seconda di quanto previsto nella legge di
gara; e ciò comporta che, quand’anche la
soglia di anomalia fosse ricalcolata
all’esito della fase conclusiva di verifica
dei requisiti, non potrebbe mai aversi la
certezza che la determinazione di tale
soglia non sia rimasta comunque influenzata
dalle offerte presentate da altri
concorrenti, anch’essi privi di requisiti,
ma non sottoposti a verifica.
4.13. Va poi considerato che proprio
l’esigenza di impedire turbative delle gare
“a buste aperte” ha condotto il
legislatore a non convertire in legge l’art.
36, comma 5, del d.lgs. 50/2016 (introdotto
dal D.L. n. 32 del 18.04.2019, c.d. Decreto
Sblocca Cantieri), il quale aveva introdotto
il modulo (facoltativo) della inversione
procedimentale anche per i contratti sotto
soglia per i “settori ordinari”,
prevedendo che in esito alla verifica dei
requisiti di partecipazione la stazione
appaltante avrebbe potuto “procede(re)
eventualmente a ricalcolare la soglia di
anomalia di cui all’art. 97”.
4.13.1. La norma è stata abrogata anche a
seguito dei rilievi critici formulati
dall’Autorità Nazionale Anticorruzione nel
documento di analisi sul testo del decreto
legge n. 32/2019 “Sblocca Cantieri”
(“Prime valutazioni di impatto sul
sistema degli appalti pubblici”, par.
2), ulteriormente ribaditi in sede di
audizione del 31.07.2020 al Decreto legge n.
76/2020 “Semplificazioni”; in
particolare, l’Autorità aveva rilevato che “L’inversione
procedimentale, oltre a non essere coerente
con un sistema di aggiudicazione al prezzo
più basso con esclusione automatica delle
offerte anomale che calcola la soglia di
anomalia sulla base delle offerte ammesse,
implica l’appesantimento procedurale del
secondo calcolo della soglia di anomalia,
favorisce l’aumento del contenzioso e lascia
margini per manovre in grado di condizionare
gli esiti dell’affidamento, in sede di
soccorso istruttorio, da parte di operatori
economici non utilmente collocati in
graduatoria e soggetti al controllo dei
requisiti”.
4.13.2. La legge di conversione n. 55 del
14.06.2019, nell’abrogare l’art. 36, comma
5, introdotto dal Decreto Sblocca Cantieri,
ha esteso ai “settori ordinari” in
via sperimentale e transitoria (fino al
31.12.2020, poi prorogato al 31.12.2021)
l’utilizzabilità del modulo della inversione
procedimentale previsto dall’art. 133, comma
8, per i “settori speciali”,
contestualmente modificando quest’ultimo
comma con l’espunzione della prevista
eventualità del ricalcolo della soglia di
anomalia in esito alla fase di verifica dei
requisiti, e ciò in considerazione della
particolarità della procedura
caratterizzata, appunto, dalla
posticipazione della fase di
ammissione/regolarizzazione a offerte già
note da parte del seggio di gara
(l’argomento è stato valorizzato in modo
particolare da TAR Bologna, I, n. 857 del
28.12.2020, a sostegno della tesi qui
condivisa).
4.13.3. Va altresì considerato che proprio i
dubbi interpretativi correlati alle norme in
questione hanno indotto verosimilmente la
Provincia di Brescia a precisare nei
documenti di gara in che modo sarebbe stato
applicato, nella procedura de qua, il modulo
della inversione procedimentale, e cioè, in
particolare, mantenendo invariata la soglia
di anomalia anche nell’eventualità della
esclusione di uno o più concorrenti in esito
alla fase conclusiva di verifica dei
requisiti. E tale previsione, dirimente ai
fini del giudicare, non è stata impugnata.
5. In definitiva, alla luce di tutte le
considerazioni fin qui svolte, il ricorso
deve essere dichiarato inammissibile per
mancata impugnazione di previsione
vincolante del bando di bara; peraltro, nel
merito, e fermo il rilievo della
inammissibilità, il ricorso sarebbe comunque
infondato nel merito alla luce del seguente
principio di diritto: “nelle procedure di
gara da aggiudicarsi secondo il criterio del
minor prezzo e che si svolgono secondo il
modulo dell’inversione procedimentale di cui
all’art. 133, comma 8, d.lgs. 50/2016
-previsto per gli appalti nei settori
speciali, ma esteso in via sperimentale e
provvisoria, fino al 31.12.2021, anche ai
settori ordinari– la soglia di anomalia deve
essere calcolata, una sola volta, subito
dopo l’apertura delle offerte; qualora, in
esito alla fase conclusiva della verifica
dei requisiti di partecipazione, si
ravvisino i presupposti per disporre
l’esclusione di uno o più concorrenti, la
stazione appaltante procede allo scorrimento
della graduatoria e alla verifica della
documentazione amministrativa del secondo
classificato, mantenendo ferma la soglia di
anomalia”. |
APPALTI: Verifica
dell'anomalia, il Rup non è obbligato a confutare ogni chiarimento a
sostengo dell'offerta.
La stazione appaltante non è obbligata a far precedere l'esclusione
dell'impresa, per rilevata anomalia dell'offerta, da alcun preavviso, né a
far corrispondere una ragione/giustificazione ad ogni elemento fornito
dall'appaltatore.
In questo senso si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza
03.05.2021 n. 3472.
La verifica dell'anomalia
Il giudice di Palazzo Spada ha chiarito la natura istruttoria della verifica
della congruità dell'offerta che non impone, in particolare il comma 5
dell'articolo 97 del Codice, una articolazione per cui a ogni
giustificazione prodotta debba corrispondere un riscontro/giudizio della
stazione appaltante.
Nel giudizio, l'appellante, dolendosi della sentenza di primo grado (Tar
Basilicata, sentenza n. 169/2020), qualificava come insufficiente il
contraddittorio procedimentale con il Rup della stazione appaltante.
Il responsabile unico, secondo la censura, non avrebbe sollevato «criticità
e rilievi sulle giustificazioni rese dall'impresa né sugli elementi posti
poi a base del provvedimento di esclusione».
Il procedimento di verifica, ha rammentato la sentenza, disciplinato con
l'articolo 97 del Codice non prevede una scansione rigida del
contraddittorio relativo, né prevede «predeterminate e vincolanti scansioni procedimentali, limitandosi» a fissare al comma 5, «un'unica richiesta di
chiarimenti (…), con un termine di risposta non inferiore a quindici giorni,
così delineando un procedimento monofasico e non più trifasico
(giustificativi, chiarimenti, contraddittorio) come nella precedente
disciplina».
La procedura, a ben vedere, si sostanzia in un momento di richiesta delle
giustificazioni a cui corrisponde la fase di analisi/verifica del Rup a cui
può far seguito, ma si tratta di momento solo eventuale, una o più richieste
di delucidazioni e/o integrazioni senza che il procedimento si debba
estendere all'infinito.
Si tratta, pertanto, di una fase istruttoria, molto simile a quella che il
responsabile del procedimento conduce, più in generale, ai sensi
dell'articolo 6 della legge 241/1990. Nella verifica della potenziale
anomalia, però, non è imposta alcuna necessità di confutare le deduzioni
dell'impresa in maniera chirurgica/analitica.
La sentenza
Secondo il giudice «è sufficiente a fondare il giudizio finale di
incongruità una motivazione che renda nella sostanza percepibile il percorso
logico sotteso» al mancato accoglimento esternando «le ragioni di inidoneità
degli argomenti spesi dall'interessata a superare le criticità
dell'offerta».
In questo caso, il sub-procedimento di verifica si era, comunque, articolato
in più fasi: in particolare, a una prima richiesta di chiarimenti avanzata
dal Rup ha fatto seguito un ulteriore invito a fornire integrazioni e
un'ulteriore richiesta di chiarimenti, in relazione a specifici profili,
fino al momento dell'audizione dei rappresentanti dell'impresa a conclusione
del procedimento.
È stata considerata irrilevante, quindi, la riflessione dell'appellante
secondo cui il «Rup avrebbe basato l'esclusione su profili di incongruità
dell'offerta che non erano stati preventivamente portati all'attenzione
della stessa».
Nel procedimento di verifica, infatti, il legislatore non ha previsto
l'obbligo della stazione appaltante di far precedere l'esclusione per
incongruità dell'offerta da un preavviso all'interessato. Questo perché
nella verifica in parola il contraddittorio procedimentale ha funzione
meramente istruttoria, consentendo alla stazione appaltante di acquisire
ogni elemento utile alla miglior valutazione dei dati contenuti nell'offerta
al fine di acclarare se questa sia effettivamente sostenibile e, «quindi,
consenta di realizzare l'interesse pubblico inerente al contratto da
aggiudicare, ma non è preordinato a risolvere in via anticipata un contrasto
tra differenti posizioni (Consiglio di Stato n. 3508/2020)».
Lo stesso principio del contraddittorio procedimentale, conclude la
sentenza, «non comporta, tuttavia, un vincolo assoluto di piena
corrispondenza tra giustificazioni richieste e ragioni di anomalia
dell'offerta».
Solamente nel caso in cui la stazione appaltante non possa sciogliere i
dubbi in ordine all'attendibilità dell'offerta soggetta a verifica di
anomalia «e lo richiedano le circostanze concrete (per incompletezza delle
giustificazioni fornite o perché residuano ancora profili controversi o
incerti), è necessario esperire ulteriori fasi del contraddittorio procedimentale»
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 24.05.2021).
---------------
SENTENZA
6.2. Va premesso che il vigente art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016 non articola
il contraddittorio inerente alla valutazione di anomalia secondo rigide,
predeterminate e vincolanti scansioni procedimentali, limitandosi a
prevedere, al comma 5, un’unica richiesta di chiarimenti da parte della
Stazione appaltante, con un termine di risposta non inferiore a quindici
giorni, così delineando un procedimento monofasico e non più trifasico
(giustificativi, chiarimenti, contraddittorio) come nella precedente
disciplina.
6.3. Sovvengono poi al riguardo i consolidati principi giurisprudenziali
secondo cui nel procedimento di verifica dell’anomalia non vi è necessità di
un’analitica confutazione delle deduzioni opposte dall’impresa, ma è
sufficiente a fondare il giudizio finale di incongruità una motivazione che
renda nella sostanza percepibile il percorso logico sotteso al loro mancato
accoglimento ed esterni le ragioni di inidoneità degli argomenti spesi
dall’interessata a superare le criticità dell’offerta (Cons. Stato, Sez. V,
05.09.2014, n. 4516 e Cons. Stato, Sez. V, 02.07.2012, n. 3850).
6.4. Alla luce dei riportati principi non ricorre qui alcuna violazione del
contradditorio procedimentale: esso è stato pienamente rispettato; ma le
giustificazioni fornite dalla concorrente non sono state ritenute
appropriate.
Nella fattispecie in esame il sub-procedimento di verifica di anomalia si è,
infatti, articolato in più fasi: in particolare, ad una prima richiesta di
chiarimenti avanzata dal RUP in data 13.03.2018 è seguito un ulteriore
invito a fornire integrazioni pervenuto a Co. in data 12.04.2018,
un’ulteriore richiesta di chiarimenti, in relazione a specifici profili, in
data 07.09.2018, fino all'audizione dei rappresentanti dell'impresa a
conclusione del procedimento.
A fronte di tali evidenze procedimentali non è revocabile in dubbio che Co.
sia stata posta nelle condizioni di dimostrare la sostenibilità e
plausibilità dell’offerta: difatti, alle originarie giustificazioni del
07.12.2016 sono seguite quelle del 27.03.2018 ed infine quelle del
12.09.2018.
Con riferimento ai giustificativi prodotti, la stazione appaltante ha poi,
di volta in volta, disposto, ove necessario, i dovuti approfondimenti (come
nel caso dei costi della manodopera), chiedendo alla concorrente specifici
chiarimenti e documentazione a comprova degli scostamenti tra i dati
riportati nelle tabelle ministeriali e i costi dichiarati da Co..
La durata, la complessità e l'articolazione del procedimento di verifica,
nelle fasi e scansioni sopra riportate, rappresentano sicuri e ragionevoli
indici dell’adeguatezza dell'istruttoria svolta e della effettiva
valutazione della osservazioni e delle deduzioni dell’impresa partecipante,
in ciò compendiandosi l'effettività del contraddittorio procedimentale che,
come detto, non implica la puntuale confutazione di tutte le osservazioni
svolte dagli interessati.
6.5. Con il mezzo in esame, l’odierna appellante si duole, inoltre, che il
RUP avrebbe basato l’esclusione su profili di incongruità dell’offerta che
non erano stati preventivamente portati all’attenzione della stessa Co.,
lamentando poi che in tale errore sarebbe incorso lo stesso verificatore.
6.6. Anche tali doglianze non possono trovare accoglimento.
6.7. Il contraddittorio procedimentale ex articolo 97 del D.lgs. 50/2016 non
può estendersi ad libitum e, soprattutto, come chiarito dalla
giurisprudenza, la stazione appaltante non è obbligata, ricevuti i
chiarimenti richiesti, a far precedere l’esclusione per incongruità
dell’offerta da un relativo preavviso all’interessato: ciò in quanto nella
verifica di anomalia il contraddittorio procedimentale ha funzione meramente
istruttoria, consentendo alla stazione appaltante di acquisire ogni elemento
utile alla miglior valutazione dei dati contenuti nell’offerta al fine di
acclarare se questa sia effettivamente sostenibile e, quindi, consenta di
realizzare l’interesse pubblico inerente al contratto da aggiudicare, ma non
è preordinato a risolvere in via anticipata un contrasto tra differenti
posizioni (cfr. in termini Cons. Stato, Sez. V, 04.06.2020, n. 3508).
Nel subprocedimento di verifica dell’anomalia è assicurata così al
concorrente la possibilità di illustrare la sostenibilità economica della
propria offerta; il principio del contraddittorio procedimentale non
comporta, tuttavia, un vincolo assoluto di piena corrispondenza tra
giustificazioni richieste e ragioni di anomalia dell’offerta.
Come chiarito inoltre dalla giurisprudenza, solo laddove la stazione
appaltante non possa sciogliere i dubbi in ordine all’attendibilità
dell’offerta soggetta a verifica di anomalia e lo richiedano le circostanze
concrete (per incompletezza delle giustificazioni fornite o perché residuano
ancora profili controversi o incerti), è necessario esperire ulteriori fasi
del contraddittorio procedimentale (cfr. in termini Cons. Stato, sez. V,
28.01.2019, 690).
6.7. Ne segue che, nella gara per cui è causa, il RUP, ritenuta l’anomalia
dell’offerta sulla base degli elementi acquisiti nel corso del
sub-procedimento di verifica di congruità ed inidonee le giustificazioni
prodotte dalla concorrente a dimostrare la complessiva sostenibilità
dell’offerta, non era tenuto ad avviare alcuna ulteriore interlocuzione
procedimentale per acquisire nuovi chiarimenti.
6.8. Spetta, infatti, all’offerente fornire nell’ambito del contraddittorio
procedimentale le prove documentali a supporto della asserita sostenibilità
della sua offerta ai sensi dell’articolo 97, comma 5, del D.lgs. 50/2016 che
prevede l’esclusione dell'offerta “se la prova fornita non giustifica
sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti”.
...
7.8. Non è invero superfluo rammentare che, per pacifica giurisprudenza, il
procedimento di verifica dell'anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto
ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e
affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la
relativa valutazione di congruità ha natura globale e sintetica, senza
concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di
prezzo (tra tante, III, 29.01.2019, n. 726; V, 23.01.2018, n. 430;
30.10.2017, n. 4978) e costituisce espressione di un tipico potere
tecnico-discrezionale insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che la
manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell’operato renda
palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta (ex multis, Cons.
Stato, V, 17.05.2018 n. 2953; 24.08.2018 n. 5047; III, 18.09.2018 n. 5444;
V, 23.01.2018, n. 230).
Sempre in tema, è acquisito il principio secondo cui il giudice
amministrativo può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione
sotto il profilo della logicità, ragionevolezza e adeguatezza
dell’istruttoria, senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica
della congruità dell’offerta e delle singole voci, ciò rappresentando
un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica
amministrazione (ex multis, Cons. Stato, V, 22.12.2014, n. 6231;
18.02.2013, n. 974; 19.11.2012, n. 5846; 23.07.2012, n. 4206; 11.05.2012, n.
2732).
Insomma, la verifica mira “a garantire e tutelare l’interesse pubblico
concretamente perseguito dall’amministrazione attraverso la procedura di
gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini
dell’esecuzione dell’appalto, così che l’esclusione dalla gara
dell’offerente per l’anomalia della sua offerta è l’effetto della
valutazione (operata dall’amministrazione appaltante) di complessiva
inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere” (C. Stato,
V, n. 230 del 2018, cit.).
...
8.2. Per costante giurisprudenza, che il Collegio condivide e a cui intende
dare continuità, i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle
ministeriali non costituiscono un limite inderogabile, ma rappresentano pur
sempre un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, di modo che
l’eventuale scostamento da tali parametri delle relative voci di costo, pur
non legittimando ex se un giudizio di anomalia, può essere accettato
sempre che risulti puntualmente e rigorosamente giustificato (Cons. Stato,
Sez. III, 14.05.2018, n. 2867; Cons. Stato, Sez. V, 18.12.2017, n. 5939;
Cons. St., sez. V, 09.04.2015, n. 1813).
Il limite all’ammissibilità di siffatti scostamenti (nel rispetto dei minimi
retributivi stabiliti in sede di contrattazione collettiva) riveste, dunque,
carattere “giustificativo”: le discordanze dalle predette tabelle
debbono essere perciò giustificate sulla scorta di una dimostrazione
puntuale e rigorosa ed accompagnate da significativi ed univoci dati
probatori, al di là di generiche affermazioni dell’impresa; se, infatti,
l’aggiudicataria è in linea generale gravata dell’onere di giustificare i
costi proposti (essendo a tal fine ammessa a fornire spiegazioni e
giustificazioni su qualsiasi elemento dell’offerta ed anche su voci non
direttamente indicate dalla stazione appaltante come incongrue, come
chiarito da Cons. Stato, Ad. Plen, 29.11.2012, n. 36), a maggior ragione
tale prova puntuale e rigorosa è richiesta quando il costo del lavoro non è
coincidente con quello medio tabellare (Cons. Stato, Sez. V, 30.11.2020, n.
7554).
Anche l’eventuale riferimento a valutazioni statistiche ed analisi
aziendali, che evidenzino una particolare organizzazione imprenditoriale a
giustificazione di tali scostamenti, vanno documentate e comprovate
dall’offerente e la relativa valutazione tecnico-discrezionale al riguardo è
rimessa alla Stazione appaltante.
...
9.2. Le argomentazioni dell’appellante, incentrate sulla congruità di
specifiche e parcellizzate voci dell’offerta o sulla generale ammissibilità
della modifica dei giustificativi in corso di gara, con il solo limite della
complessiva attendibilità dell’offerta presentata, non scalfiscono il
corretto ragionamento dell’impugnata sentenza: a questo è infatti sotteso il
fondamentale principio per cui il giudizio di anomalia ha natura globale e
sintetica e “può essere fondato anche sull'inattendibilità di singole
voci di costo dell'offerta che, tuttavia, per la loro importanza ed
incidenza, rendano l'intera operazione economica implausibile e, per
l'effetto, insuscettibile di accettazione da parte dell'Amministrazione, in
quanto insidiata da indici strutturali di carente affidabilità” (Cons.
Stato, Sez. V, 09.04.2015, n. 1813; Cons. Stato, Sez. V, 15.11.2012, n.
5703; Cons. Stato, Sez. V, 28.10.2010, n. 7631).
9.3. Il sub-procedimento di giustificazione dell'offerta anomala non è
volto, infatti, a consentire aggiustamenti dell'offerta in itinere ma mira,
al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già
formulata ed immutabile (ex multis: Cons. Stato, Sez. V, 31.08.2017,
n. 4146; Cons. Stato, Sez. V, 23.06.2016 n. 2811; Cons. Stato, Sez. VI,
20.09.2013, n. 4676; Cons. Stato, Sez. V, 02.07.2012, n. 3850; Cons. Stato,
Sez. VI, 07.02.2012, n. 636), non essendo possibile in sede di
giustificazioni rimodulare apoditticamente le voci di costo, senza alcuna
motivazione, al solo scopo di "far quadrare i conti", ossia di
assicurarsi che il prezzo complessivo offerto resti immutato e si superino
le contestazioni sollevate dalla stazione appaltante su alcune voci di costo
(Cons. Stato, Sez. V, 12.03.2018, n. 1541; Cons. Stato, 30.08.2018, n.
5088).
9.4. Alla luce dei richiamati principi, se è vero che deve distinguersi tra
il contenuto (immodificabile) della proposta contrattuale, affidata
all’offerta economica, e le giustificazioni della struttura dei costi
(motivatamente e ragionevolmente rimodulabili in sede di verifica di
anomalia), il Collegio rileva come nella fattispecie non ricorra la seconda
ipotesi indicata: ed infatti Co. non solo ha rideterminato i propri costi
(con specifico riferimento all’equilibrio tra i fattori che contribuiscono a
comporre il costo del lavoro), ma ha mutato, nei giustificativi di volta in
volta presentati, anche il numero delle risorse impiegate, le modalità di
assolvimento degli obblighi discendenti dal rispetto della clausola sociale
e (di riflesso) la definizione dello stesso margine d’utile, modificando
così la composizione e la struttura dell’offerta e alterandone, in
definitiva, l’equilibrio economico.
10. In conclusione, la sentenza di primo grado correttamente ha ritenuto che
il verificatore non si è soffermato su aspetti differenti dell’offerta
rispetto a quelli vagliati dalla Stazione appaltante e che si sia attenuto
ai dati esposti nell’offerta e nella verifica di anomalia; su queste
premesse, bene la sentenza ha ritenuto irrilevanti le integrazioni alle
valutazioni di anomalia raggiunte dalla Stazione appaltante con ulteriori
elementi, poiché ciò che rileva è il riscontro dell’attendibilità del
giudizio di incongruità dell’offerta di Co. formulato dall’Amministrazione
aggiudicatrice (motivato sulla mancanza di appropriate giustificazioni
quanto alle riscontrate considerevoli discordanze dai valori tabellari), che
è oggetto delle contestazioni dell’originaria ricorrente.
Tale giudizio, alla luce delle risultanze di causa, non è inficiato da
profili di illogicità, irragionevolezza e macroscopica erroneità che ne
consentono il sindacato giurisdizionale (cfr. ex multis, C.d.S., sez.
III, 09.12.2015, n. 5597; id. sez. IV, 04.06.2013, n. 3059; id., sez. V,
06.05.2015, n. 2274; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29.11.2012, n.
36 che ha ispirato il sopra indicato orientamento giurisprudenziale): nel
caso di specie, la valutazione di congruità dell’offerta è stata invero
effettuata con particolare accuratezza, come emerge dalla ricostruzione in
fatto del subprocedimento di verifica dell’anomalia nelle sue fasi e
articolazioni, e anche la motivazione di non congruità è stata
particolarmente attenta e analitica, ad ulteriore garanzia della serietà ed
affidabilità della valutazione dell’anomalia esplicata dalla Stazione
appaltante. |
aprile 2021 |
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APPALTI: Sul
c.d. principio di invarianza con riferimento
al calcolo delle medie e alla individuazione
della soglia di anomalia.
Il TAR Milano, con
riferimento al c.d. principio di invarianza
di cui all’art. 95, comma 15, del codice dei
contratti pubblici, in forza del quale:
«Ogni variazione che intervenga, anche in
conseguenza di una pronuncia
giurisdizionale, successivamente alla fase
di ammissione, regolarizzazione o esclusione
delle offerte non rileva ai fini del calcolo
di medie nella procedura, né per
l’individuazione della soglia di anomalia
delle offerte», precisa che:
<<La norma, che ricalca analoga previsione
dell’abrogato art. 38-bis del D.Lgs. n.
163/2006, ha dato luogo ad un ampio
dibattito in giurisprudenza, anche se allo
stato è possibile pervenire alle seguenti
conclusioni.
La “variazione” cui si riferisce il comma 15
può consistere anche in un provvedimento
amministrativo di autotutela e non solo in
una decisione giurisdizionale, come risulta
dall’uso della locuzione “anche”.
…
Il principio di invarianza trova
applicazione non solo a fronte dell’avvenuta
individuazione della soglia di anomalia
delle offerte, ma anche in tutti i
differenti casi di “calcolo di medie nella
procedura”.
A tale soluzione si perviene in
primo luogo dal dato letterale del comma 15,
che distingue il “calcolo di medie” dalla
“soglia di anomalia”, impiegando la
locuzione “né”>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 30.04.2021 n. 1080 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
4.1.1 La doglianza, per quanto suggestiva e
ben argomentata dai pur abili difensori di
-OMISSIS-, non convince il Collegio.
La lettera di invito, al paragrafo 3.1.1 (cfr.
il doc. 2 del resistente, pag. 32) prevede,
per il calcolo del punteggio dell’offerta
tecnica, che ciascun commissario attribuisca
ad ogni elemento qualitativo un coefficiente
variabile da zero ad uno secondo un giudizio
graduale, che parte da “offerta inadeguata”
(zero) per giungere fino a “offerta
eccellente” (uno).
In seguito la commissione avrebbe
determinato la “media provvisoria” per ogni
sub-criterio e trasformato la suddetta media
provvisoria in “media definitiva”,
riportando ad uno quella più alta e
proporzionando a quest’ultima tutte le
altre.
L’offerta economica deve invece valutarsi
(paragrafo 3.2 della lettera di invito)
attribuendo a ciascun elemento economico un
coefficiente variabile da zero ad uno,
mentre l’attribuzione del punteggio finale
prevede l’utilizzo del c.d. metodo
aggregativo compensatore, di cui al
paragrafo 3.4 della lettera di invito.
Quest’ultima non prevede però nulla per
l’ipotesi, come quella di cui è causa, in
cui sia annullata l’aggiudicazione
definitiva, con conseguente esclusione
dell’impresa prima classificata; in
particolare la citata legge di gara non
impone una seconda ed ulteriore
riparametrazione (ex art. 3.1.1 della
lettera di invito) per situazioni come
quelle di cui al presente contenzioso (si
ricordi che l’interpretazione della lex
specialis di gara segue le regole
ermeneutiche di cui agli articoli 1362 e
seguente del codice civile, dando quindi
innanzi tutto priorità al «senso letterale
delle parole»).
Di fronte all’avvenuto annullamento
dell’affidamento ad -OMISSIS-, la stazione
appaltante ha quindi dato applicazione alla
previsione dell’art. 95, comma 15, del codice
sul c.d. principio di invarianza, comma in
forza del quale: «Ogni variazione che
intervenga, anche in conseguenza di una
pronuncia giurisdizionale, successivamente
alla fase di ammissione, regolarizzazione o
esclusione delle offerte non rileva ai fini
del calcolo di medie nella procedura, né per
l’individuazione della soglia di anomalia
delle offerte».
La norma, che ricalca analoga previsione
dell’abrogato art. 38-bis del D.Lgs. n.
163/2006, ha dato luogo ad un ampio
dibattito in giurisprudenza, anche se allo
stato è possibile pervenire alle seguenti
conclusioni.
La “variazione” cui si riferisce il comma 15
può consistere anche in un provvedimento
amministrativo di autotutela e non solo in
una decisione giurisdizionale, come risulta
dall’uso della locuzione “anche”.
Nella presente fattispecie la variazione è
intervenuta nel 2020 e quindi dopo
l’aggiudicazione definitiva del 2019, per
cui deve reputarsi senz’altro conclusa la
“fase di ammissione, regolarizzazione o
esclusione delle offerte” di cui parla la
norma (secondo un diffuso indirizzo
esegetico, infatti, il principio di invarianza si applica solo dal momento
dell’aggiudicazione definitiva, cfr., fra le
tante, TAR Sicilia, Catania, Sez. I, n.
3077/2019).
Il principio di invarianza trova
applicazione non solo a fronte dell’avvenuta
individuazione della soglia di anomalia
delle offerte, ma anche in tutti i
differenti casi di “calcolo di medie nella
procedura”. A tale soluzione si perviene in
primo luogo dal dato letterale del comma 15,
che distingue il “calcolo di medie” dalla
“soglia di anomalia”, impiegando la
locuzione “né”.
Anche la giurisprudenza amministrativa
assolutamente prevalente estende
l’applicazione del comma 15 alle ipotesi,
diverse da quella della fissazione della
soglia di anomalia, nelle quali si faccia in
ogni modo questione di “calcolo di medie”.
Sul punto si veda, in primis, la recente
sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V,
n. 2257/2020, secondo cui «la regola è
destinata a trovare applicazione non
soltanto in presenza di criteri di
aggiudicazione automatici, come quello del
“minor prezzo”, per i quali sia previsto,
anche ai fini della determinazione della
soglia di anomalia, il “calcolo di medie” (cfr.
art. 97 del Codice), ma anche nelle ipotesi
di criteri rimessi alla valutazione
discrezionale della commissione valutatrice,
come nel caso della “offerta economicamente
più vantaggiosa”, le quante volte (come nel
caso che debba procedersi, in base al
disciplinare di gara, secondo il metodo del
c.d. confronto a coppie) la formazione della
graduatoria sia condizionata dal meccanismo
di “normalizzazione” del punteggio
conseguito da ciascun concorrente,
attraverso il confronto parametrico con
quello dell’offerta migliore, che è alterato
dalla modifica della platea dei concorrenti
da confrontare attraverso la
rideterminazione di valori medi (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 09.07.2019, n. 4789)».
Si badi che, nel caso deciso dal Consiglio
di Stato, il metodo di valutazione delle
offerte era, come nella presente
fattispecie, quello
“aggregativo-compensatore” (cfr. il punto
4.1 della sentenza citata).
In maniera significativa, la menzionata
sentenza del giudice amministrativo
d’appello conclude che: «Si tratta, perciò,
di fattispecie in cui è destinata ad
operare, in base alle riassunte premesse, la
regola della “cristallizzazione delle
medie”, non solo ai (meri) fini della
determinazione della soglia di anomalia (cfr.
art. 97 del Codice), ma anche ai (più
comprensivi) fini del divieto di regressione
procedimentale, che implica, secondo vale
ribadire, l’immodificabilità della
graduatoria anche all’esito della
estromissione di uno dei concorrenti la cui
offerta aveva concorso alla elaborazione dei
punteggi».
Anche la giurisprudenza del TAR Lombardia è
orientata nel senso che la regola dell’invarianza
vale in ogni ipotesi di “calcolo di medie”,
e non solo ai limitati fini della fissazione
della soglia di anomalia.
Sulla questione preme rinviare dapprima alla
pronuncia di questa Sezione n. 2461/2020 –a
quanto consta, non appellata– che ha deciso
una controversia nella quale un’impresa, non
ammessa alla valutazione dell’offerta
economica per insufficiente punteggio
ottenuto in quella tecnica, chiedeva
l’ammissione alla procedura di gara a
seguito dell’intervenuto annullamento
dell’aggiudicazione nei confronti della
prima classificata, invocando a proprio
vantaggio un nuovo calcolo di medie.
Anche la sentenza della Sezione I di questo
TAR n. 799/2019, al punto 3.3.1, distingue
chiaramente, quanto all’applicazione del
principio di invarianza, il “calcolo di
medie” nella procedura dalla individuazione
della “soglia di anomalia”.
A diversa conclusione non induce la lettura
della sentenza citata dalla difesa di
-OMISSIS- nel corso della discussione
all’udienza del 21.04.2020, vale a dire
la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione
V, n. 4664/2018.
In tale pronuncia, infatti, il giudice
d’appello ha escluso l’applicazione del
comma 15 in quanto la formula prevista dalla
legge di gara per l’attribuzione del
punteggio non prevedeva “valori medi” da
tenere fermi (si veda il punto 7.1 della
sentenza), sicché non poteva avere rilevanza
il principio ivi in discussione, fermo
restando che nella stessa sentenza (si veda
pag. 7) è affermato che la norma del comma
15 riguarda il «ricalcolo di medie
aritmetiche o la rideterminazione di soglie
di anomalia» (si noti l’uso della
congiunzione disgiuntiva “o”), come del
resto affermato dalla prevalente
giurisprudenza amministrativa.
A ciò si aggiunga che anche la recente
deliberazione di ANAC n. 155 del 24.02.2021
ammette l’applicazione dell’art. 95, comma 15,
in caso di utilizzo del metodo aggregativo
compensatore.
In definitiva l’Amministrazione risulta
avere rispettato la norme del codice dei
contratti di cui è causa; infatti, a fronte
del silenzio della lettera di invito –che
non prevede una nuova riparametrazione in
caso di annullamento d’ufficio
dell’aggiudicazione o comunque in ipotesi di
variazione della graduatoria–
l’Amministrazione ha dato lineare
applicazione al principio di invarianza,
posto che –giova ripeterlo– il metodo di
aggiudicazione della lettera di invito (ex
art. 3.1.1 succitato), prevede in più
occasioni il “calcolo di medie”.
Neppure -OMISSIS- potrebbe lamentare la
violazione del proprio diritto di difesa,
considerato che l’art. 95, comma 15, come
messo in luce più volte dalla giurisprudenza
(si veda ancora, fra le tante, la già citata
sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n.
2257/2020), vuole esclusivamente evitare
impugnazioni meramente strumentali ed una
inutile proliferazione del contenzioso, a
favore invece del regolare svolgimento e
della celerità delle procedure di gara, in
attuazione del principio di buon andamento
dell’azione amministrativa (art. 97 della
Costituzione).
Ad -OMISSIS- non è stato certo impedito di
contestare l’esito della presente gara; quel
che viene precluso dall’art. 95, comma 15, è
la possibilità di ottenere l’aggiudicazione
per così dire “per saltum”, cioè mediante un
calcolo matematico conseguente
all’estromissione di un partecipante, nel
caso di specie l’operatore aggiudicatario
della procedura. |
APPALTI: L'affidamento diretto, anche qualora preceduto dall'acquisizione di
preventivi, è una modalità di affidamento autonoma, distinta sia dalla
procedura negoziata sia dalle procedure ordinarie, ed è caratterizzata dalla
informalità.
●
L'affidamento diretto, anche qualora preceduto dall'acquisizione di
preventivi, è una modalità di affidamento autonoma, distinta sia dalla
procedura negoziata sia dalle procedure ordinarie, ed è caratterizzata dalla
informalità. Tale procedura non è sottoposta alle singole disposizioni del
Codice dei contratti (d.lgs. n. 50/2016), ma deve in ogni caso garantire il
rispetto dei principi di cui agli artt. 30, c. 1, 34 e 42 del Codice, nonché
del principio di rotazione.
Le singole disposizioni del Codice devono ritenersi applicabili solo se
espressive di principi generali o se espressamente richiamate negli atti di
gara in ragione di un auto vincolo della stazione appaltante.
●
L'affidamento diretto è una procedura informale per la quale il
legislatore ha evitato di imporre una precisa sequenza procedimentale,
consentendo alle stazioni appaltanti di adattarne lo svolgimento alle
caratteristiche dell'appalto, in base al principio di proporzionalità.
Nel caso di specie, inerente l'affidamento diretto del servizio di gestione
del Palazzetto dello Sport comunale, pertanto, il parziale scostamento dalla
sequenza ordinaria -avviso, manifestazione di interesse, preventivo- posto
in essere dal Comune, in ragione dell'urgenza di garantire la continuità del
servizio, non può in alcun modo ritenersi idoneo a superare la chiara scelta
circa la procedura da applicare, compiuta negli atti di indizione
dell'affidamento: il Comune ha infatti espressamente precisato anche
nell'avviso che si trattava di affidamento diretto.
La richiesta dei preventivi costituisce la garanzia minima del principio di
concorrenza imposta dal legislatore, mentre le stazioni appaltanti hanno in
ogni caso il potere-dovere di svolgere la procedura in modo da assicurare il
rispetto dei principi generali in materia di procedure ad evidenza pubblica,
tenendo conto delle specificità dell'affidamento.
Le stazioni appaltanti possono in definitiva introdurre forme di garanzia
della concorrenza ulteriori rispetto alla mera richiesta di preventivi,
senza con ciò vincolarsi all'applicazione integrale della disciplina
relativa alle procedure ordinarie e senza incorrere in una violazione del
principio di tipicità delle procedure. Ciò a fortiori allorché si tratti -
come nel caso di specie- di un affidamento di indubbio rilievo per la
collettività di riferimento.
In questo senso la scelta del Comune di consentire a tutti gli operatori
interessati di presentare direttamente un'offerta subito dopo la
pubblicazione dell'avviso, senza attendere la richiesta del preventivo, e
predeterminando gli elementi e i sub elementi di valutazione delle medesime
offerte, risulta una legittima misura di rafforzamento della concorrenza e
non una violazione del principio di tipicità delle procedure di scelta del
contraente
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 27.04.2021 n. 542 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
----------------
Al riguardo si legga anche:
●
Appalti: se l'affidamento diretto è gestito con criteri di gara non è più un
affidamento diretto. Gli errori gravi del Tar Veneto
(06.05.2021
- link a https://luigioliveri.blogspot.com). |
APPALTI: L’affidamento
diretto, anche qualora preceduto dall’acquisizione di preventivi, è una
modalità di affidamento autonoma, distinta sia dalla procedura negoziata sia
dalle procedure ordinarie, ed è caratterizzata dalla informalità.
Tale procedura non è sottoposta alle singole disposizioni del Codice, ma
deve in ogni caso garantire il rispetto dei principi di cui agli articoli
30, comma 1, 34 e 42 del Codice, nonché del principio di rotazione.
Le singole disposizioni del Codice devono ritenersi applicabili solo se
espressive di principi generali o se espressamente richiamate negli atti di
gara in ragione di un auto vincolo della stazione appaltante.
---------------
Il parziale scostamento dalla sequenza ordinaria -avviso, manifestazione di
interesse, preventivo– posto in essere dal Comune, in ragione dell’urgenza
di garantire la continuità del servizio, non può in alcun modo ritenersi
idoneo a superare la chiara scelta circa la procedura da applicare, compiuta
negli atti di indizione dell’affidamento: come si è detto il Comune ha
espressamente precisato anche nell’avviso che si trattava di affidamento
diretto.
Invero, l’affidamento diretto è una procedura informale per la quale il
legislatore ha evitato di imporre una precisa sequenza procedimentale,
consentendo alle stazioni appaltanti di adattarne lo svolgimento alle
caratteristiche dell’appalto, in base al principio di proporzionalità.
La richiesta dei preventivi costituisce la garanzia minima del principio di
concorrenza imposta dal legislatore, mentre le stazioni appaltanti hanno in
ogni caso il potere-dovere di svolgere la procedura in modo da assicurare il
rispetto dei principi generali in materia di procedure ad evidenza pubblica,
tenendo conto delle specificità dell’affidamento.
Le stazioni appaltanti possono in definitiva introdurre forme di garanzia
della concorrenza ulteriori rispetto alla mera richiesta di preventivi,
senza con ciò vincolarsi all’applicazione integrale della disciplina
relativa alle procedure ordinarie e senza incorrere in una violazione del
principio di tipicità delle procedure.
Ciò a fortiori allorché si tratti –come nel caso in esame- di un affidamento
di indubbio rilievo per la collettività di riferimento.
In questo senso la scelta del Comune di consentire a tutti gli operatori
interessati di presentare direttamente un’offerta subito dopo la
pubblicazione dell’avviso, senza attendere la richiesta del preventivo, e
predeterminando gli elementi e i sub-elementi di valutazione delle medesime
offerte, risulta una legittima misura di rafforzamento della concorrenza e
non una violazione del principio di tipicità delle procedure di scelta del
contraente.
---------------
Dal disposto dell’art. 95 del
Codice appalti emerge che la predeterminazione dei punteggi e dei
sub-punteggi non costituisce un principio generale inderogabile.
In base all’art. 95, comma 9, infatti, le stazioni appaltanti, quando
ritengono la ponderazione non possibile per ragioni oggettive, indicano nel
bando di gara l'ordine decrescente di importanza dei criteri.
---------------
2. Il primo, il secondo e il terzo motivo di
impugnazione sono tuttavia infondati in quanto tutti basati su di un
presupposto non condivisibile, ossia che nella fattispecie si tratti di una
procedura aperta.
2.1. Come invece chiarito dalla determinazione a contrarre del 15.07.2020 e
dall’“Avviso di indagine di mercato telematica finalizzato alla
valutazione di offerte per l’affidamento diretto del servizio di gestione
del Palazzetto comunale dello sport Sant’Anna” nel caso in esame si
trattava di un “affidamento diretto ai sensi dell'art. 36, comma 2, lett.
b), del d.lgs. n. 50/2016”.
In particolare il Comune ha qualificato la fattispecie come affidamento di
servizio sociale, privo di rilevanza economica, di valore (€ 330.000,00)
inferiore alla soglia di € 750.000,00 prevista dall’art. 35 del d.lgs. n. 50
del 2016 per tale tipologia di rapporti, e ha quindi applicato l’art. 36,
comma 2, lett. b), del Codice dei contratti pubblici, al tempo vigente
(15.07.2020).
E l’art. 36, comma 2, lett. b), del Codice nel testo modificato dal cd. “Decreto
Sblocca cantieri”, in vigore sino al 17.07.2020 (data di entrata in
vigore del d.l. n. 76 del 2020 c.d. “Decreto Semplificazioni”),
stabiliva che “le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di
lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui
all'articolo 35, secondo le seguenti modalità: …omissis … b) per affidamenti
di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i
lavori, o alle soglie di cui all'articolo 35 per le forniture e i servizi,
mediante affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove
esistenti, per i lavori, e, per i servizi e le forniture, di almeno cinque
operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite
elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione
degli inviti”.
2.2. L’affidamento diretto, anche qualora preceduto dall’acquisizione di
preventivi, è una modalità di affidamento autonoma, distinta sia dalla
procedura negoziata sia dalle procedure ordinarie, ed è caratterizzata dalla
informalità.
Tale procedura non è sottoposta alle singole disposizioni del Codice, ma
deve in ogni caso garantire il rispetto dei principi di cui agli articoli
30, comma 1, 34 e 42 del Codice, nonché del principio di rotazione.
Le singole disposizioni del Codice devono ritenersi applicabili solo se
espressive di principi generali o se espressamente richiamate negli atti di
gara in ragione di un auto vincolo della stazione appaltante.
2.3. Nel ricorso la ricorrente non ha contestato che si tratti di servizio
sociale privo di rilevanza economica. Pertanto non vi è questione circa
l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 36, comma 2, lett. b), del d.lgs.
n. 50 del 2016.
La ricorrente sostiene invece che il Comune si sarebbe auto vincolato ad
applicare le disposizioni relative alle procedure ordinarie e quindi le
singole disposizioni del Codice in quanto nell’avviso ha richiesto agli
operatori economici di presentare subito l’offerta –non la manifestazione di
interesse– in tal mondo seguendo lo schema della procedura aperta.
2.4. Tale conclusione non risulta tuttavia condivisibile.
Il parziale scostamento dalla sequenza ordinaria -avviso, manifestazione di
interesse, preventivo– posto in essere dal Comune, in ragione dell’urgenza
di garantire la continuità del servizio, non può in alcun modo ritenersi
idoneo a superare la chiara scelta circa la procedura da applicare, compiuta
negli atti di indizione dell’affidamento: come si è detto il Comune ha
espressamente precisato anche nell’avviso che si trattava di affidamento
diretto.
2.4. Invero l’affidamento diretto è una procedura informale per la quale il
legislatore ha evitato di imporre una precisa sequenza procedimentale,
consentendo alle stazioni appaltanti di adattarne lo svolgimento alle
caratteristiche dell’appalto, in base al principio di proporzionalità.
La richiesta dei preventivi costituisce la garanzia minima del principio di
concorrenza imposta dal legislatore, mentre le stazioni appaltanti hanno in
ogni caso il potere-dovere di svolgere la procedura in modo da assicurare il
rispetto dei principi generali in materia di procedure ad evidenza pubblica,
tenendo conto delle specificità dell’affidamento.
Le stazioni appaltanti possono in definitiva introdurre forme di garanzia
della concorrenza ulteriori rispetto alla mera richiesta di preventivi,
senza con ciò vincolarsi all’applicazione integrale della disciplina
relativa alle procedure ordinarie e senza incorrere in una violazione del
principio di tipicità delle procedure.
Ciò a fortiori allorché si tratti –come nel caso in esame- di un
affidamento di indubbio rilievo per la collettività di riferimento.
In questo senso la scelta del Comune di consentire a tutti gli operatori
interessati di presentare direttamente un’offerta subito dopo la
pubblicazione dell’avviso, senza attendere la richiesta del preventivo, e
predeterminando gli elementi e i sub-elementi di valutazione delle medesime
offerte, risulta una legittima misura di rafforzamento della concorrenza e
non una violazione del principio di tipicità delle procedure di scelta del
contraente.
2.5. Fermo quanto sopra le censure proposte dalla ricorrente impongono di
valutare se le singole disposizioni del Codice che si assumono violate siano
o meno espressive di principi generali.
3. Infondato è il primo motivo di ricorso con cui la ricorrente
lamenta la mancata predeterminazione nell’avviso della ponderazione relativa
a ciascun elemento e sub-elemento di valutazione delle offerte.
3.1. Dallo stesso disposto dell’art. 95 del Codice emerge che la
predeterminazione dei punteggi e dei sub-punteggi non costituisce un
principio generale inderogabile.
In base all’art. 95, comma 9, infatti, le stazioni appaltanti, quando
ritengono la ponderazione non possibile per ragioni oggettive, indicano nel
bando di gara l'ordine decrescente di importanza dei criteri.
E nel caso di specie il Comune ha effettivamente individuato nell’avviso gli
elementi e i sub elementi di valutazione “in ordine di importanza”.
Il principio generale concernente la predeterminazione dei criteri di
valutazione delle offerte, desumibile dall’art. 95 del Codice, è stato in
definitiva rispettato
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 27.04.2021 n. 542 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’istituzione di una commissione giudicatrice per la valutazione
dei progetti non può ritenersi un principio generale di applicazione
necessaria alle ipotesi di affidamento diretto.
La ratio di semplificazione chiaramente espressa dal legislatore con
l’introduzione dell’affidamento diretto sarebbe in radice compromessa
qualora si imponesse in ogni caso la nomina di una commissione giudicatrice.
Peraltro l’art. 77 non rientra tra le norme, espressamente indicate
dall’art. 142, comma 5-bis, come applicabili alle procedure di affidamento
dei servizi sociali.
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4. Infondati sono il secondo ed il terzo motivo di ricorso con
cui la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 77 del d.lgs. n. 50 del
2016 in quanto i progetti sarebbero stati valutati dal RUP anziché da una
Commissione e il RUP avrebbe sottoscritto la determina a contrarre.
4.1. L’istituzione di una commissione giudicatrice per la valutazione dei
progetti non può ritenersi un principio generale di applicazione necessaria
alle ipotesi di affidamento diretto.
La ratio di semplificazione chiaramente espressa dal legislatore con
l’introduzione dell’affidamento diretto sarebbe in radice compromessa
qualora si imponesse in ogni caso la nomina di una commissione giudicatrice.
Peraltro l’art. 77 non rientra tra le norme, espressamente indicate
dall’art. 142, comma 5-bis, come applicabili alle procedure di affidamento
dei servizi sociali
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 27.04.2021 n. 542 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Alla
Corte costituzionale l’ambito temporale di applicazione della disciplina più
favorevole sulla escussione della cauzione provvisoria prestata dagli
operatori economici che partecipino ad una gara pubblica.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Cauzione – Cauzione
provvisoria - Disciplina ex artt. 93, comma 6, e 216 d.lgs. n. 50 del 2016 –
Escussione – Ambito temporale di applicazione – Violazione artt. 3 e 117,
comma primo, Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza.
E’ rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, che
disciplina la cauzione provvisoria prestata dagli operatori economici che
partecipino ad una gara, nel combinato disposto con l’art. 216, d.lgs.
18.04.2016, n. 50, per contrasto con gli artt. 3 e 117, comma primo, (quest’ultimo
in relazione all’art. 49, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea) Cost., che precludono l’applicabilità della più
favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta -introdotta dal nuovo
Codice dei contratti, rispetto alla disciplina previgente del Codice
approvato con d.lgs. n. 163 del 2016- che prevede l’escussione della
cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e,
dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza
pubblica– in quanto già in vigore al momento dell’adozione del
provvedimento di escussione della garanzia provvisoria (1).
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(1) Ha chiarito la Sezione che l’art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 del
2016 circoscrive la possibilità, per la stazione appaltante, di escutere la
garanzia nei soli confronti dell’aggiudicatario (recte, “affidatario”), nei
casi specifici ivi contemplati. L’escussione della garanzia provvisoria ha
carattere latamente sanzionatorio, che costituisce conseguenza ex lege
dell’esclusione per riscontrato difetto dei requisiti da dichiarare.
Ai sensi dell’art. 216 del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016 le disposizioni
contemplate nel Codice si applicano “alle procedure e ai contratti per i
quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del
contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in
vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di
avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di
entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli
inviti a presentare le offerte”. Manca, invece, una disposizione espressa
che, in particolare, estenda l’applicazione della disciplina di cui al comma
6 dell’art. 93 cit. anche alle procedure di gara i cui bandi o avvisi siano
stati sì pubblicati in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n.
50 del 2016, ma relativamente alle quali l’amministrazione si sia
determinata ad escutere la cauzione prestata da uno dei partecipanti alla
gara non aggiudicatario in un momento successivo all’entrata in vigore dello
stesso.
Ha ancora ricordato la Sezione che come ancora di recente evidenziato da
Corte Cost. 21.03.2019, n. 63, il principio della retroattività della lex
mitior in “materia penale” è fondato tanto sull’art. 3 Cost., quanto
sull’art. 117, primo comma, Cost., eventuali deroghe a tale principio
dovendo superare un vaglio positivo di ragionevolezza in relazione alla
necessità di tutelare controinteressi di rango costituzionale.
Il principio in questione deve ritenersi applicabile anche alle sanzioni di
carattere amministrativo che abbiano natura “punitiva”.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n.
236 del 2011, n. 215 del 2008 e n. 393 del 2006), la regola della
retroattività della lex mitior in materia penale non è riconducibile alla
sfera di tutela dell’art. 25, secondo comma, Cost., che sancisce piuttosto
il principio –apparentemente antinomico– secondo cui “[n]essuno può essere
punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del
fatto commesso”.
Tale principio deve, invero, essere interpretato nel senso di vietare
l’applicazione retroattiva delle sole leggi penali che stabiliscano nuove
incriminazioni, ovvero che aggravino il trattamento sanzionatorio già
previsto per un reato, non ostando così a una possibile applicazione
retroattiva di leggi che, all’opposto, aboliscano precedenti incriminazioni
ovvero attenuino il trattamento sanzionatorio già previsto per un reato.
Cionondimeno, la regola dell’applicazione retroattiva della lex mitior in
materia penale –sancita, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2,
secondo, terzo e quarto comma, del Codice penale– non è sprovvista di
fondamento costituzionale: fondamento che la costante giurisprudenza della
Corte ravvisa anzitutto nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.,
“che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio
dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati
commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio
criminis o la modifica mitigatrice” (sentenza n. 394 del 2006). Ciò in
quanto, in via generale, “[n]on sarebbe ragionevole punire (o continuare a
punire più gravemente) una persona per un fatto che, secondo la legge
posteriore, chiunque altro può impunemente commettere (o per il quale è
prevista una pena più lieve)” (sentenza n. 236 del 2011).
La riconduzione della retroattività della lex mitior in materia penale
all’alveo dell’art. 3 Cost. anziché a quello dell’art. 25, secondo comma,
Cost., segna però anche il limite della garanzia costituzionale della quale
la regola in parola costituisce espressione. Mentre, infatti,
l’irretroattività in peius della legge penale costituisce un valore assoluto
e inderogabile, la regola della retroattività in mitius della delle
disposizioni sanzionatorie “è suscettibile di limitazioni e deroghe
legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni
oggettivamente ragionevoli” (sentenza n. 236 del 2011).
Il criterio di valutazione della legittimità di eventuali deroghe
legislative alla retroattività della lex mitior in materia sanzionatoria,
alla stregua dell’art. 3 Cost., è stato in particolare analizzato dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 393 del 2006, ove si osserva, tra
l’altro, che “la retroattività in mitius della legge penale è ormai
affermata non solo, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2 cod.
pen., ma trova ampi riconoscimenti nel diritto internazionale e nel diritto
dell’Unione europea. La retroattività della lex mitior in materia penale è
in particolare enunciata tanto dall’art. 15, comma 1, terzo periodo, del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, concluso a New
York il 16.12.1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25.10.1977, n. 881; quanto dall’art. 49, paragrafo 1, terzo periodo, CDFUE”.
Ne consegue che il valore tutelato dal principio in parola “può essere
sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo
rilievo”, con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma più
favorevole deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a
tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente
irragionevole (sentenza n. 393 del 2006).
Ha ancora affermato la Sezione che l’escussione della garanzia in parola non
può essere considerata una misura meramente ripristinatoria dello status quo
ante, né ha natura risarcitoria (o anche solo indennitaria), né mira
semplicemente alla prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore
economico. Si tratta, piuttosto, di una sanzione dall’elevata carica
afflittiva che, in assenza di una specifica finalità indennitaria (propria
della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte
dell’aggiudicatario) o risarcitoria, “si spiega soltanto in chiave di
punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una
finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente
comune anche alle pene in senso stretto” (Corte cost., n. 63 del 2019).
In ragione dei rilievi che precedono dovrebbe quindi concludere per
l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che precludono
l’applicabilità della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta –la quale prevede l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle
dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti
dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica– se già in vigore
al momento dell’adozione del provvedimento di escussione della garanzia
provvisoria (Consiglio di Stato,
Sez. V,
ordinanza 26.04.2021 n. 3299 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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ORDINANZA
Il Collegio, a fronte delle risultanze di causa, ritiene sussistere i
presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza per rimettere alla
Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art.
93, comma 6 (Garanzie per la partecipazione alla procedura), nel combinato
disposto con l’art. 216 (Disposizioni transitorie e di coordinamento) del
d.lgs. 18.04.2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) per contrasto
con gli artt. 3 e 117 comma primo (quest’ultimo in relazione all’art. 49,
par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) della
Costituzione.
In base all’art. 93, comma 6 citato, la cd. “garanzia provvisoria” prestata
dagli operatori economici che partecipino ad una gara “[…] copre la mancata
sottoscrizione del contratto dopo l'aggiudicazione dovuta ad ogni fatto
riconducibile all'affidatario o all'adozione di informazione antimafia
interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo
06.09.2011, n. 159; la garanzia è svincolata automaticamente al
momento della sottoscrizione del contratto”. Tale garanzia viene
obbligatoriamente posta a corredo dell’offerta e –come precisa il primo
comma della medesima disposizione– è “pari al 2 per cento del prezzo base
indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di
fideiussione”.
La norma è dunque chiara nel circoscrivere la possibilità, per la stazione
appaltante, di escutere detta garanzia nei soli confronti
dell’aggiudicatario (recte, “affidatario”), nei casi specifici ivi
contemplati.
Ai sensi dell’art. 216 del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016, peraltro, le
disposizioni contemplate nel vigente Codice dei contratti pubblici si
applicano “alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con
cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati
successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di
contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai
contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente
codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.
Non consta al Collegio che nel predetto corpo normativo vi sia una
disposizione espressa che, in particolare, estenda l’applicazione della
disciplina di cui al comma sesto dell’art. 93 cit. anche alle procedure di
gara i cui bandi o avvisi siano stati sì pubblicati in epoca antecedente
all’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ma relativamente alle quali
l’amministrazione si sia determinata ad escutere la cauzione prestata da uno
dei partecipanti alla gara non aggiudicatario in un momento successivo
all’entrata in vigore dello stesso.
Nel caso di specie, come già anticipato, la procedura di gara era soggetta
alla disciplina di cui al d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in particolare –per quanto riguarda la questione qui controversa– agli artt. 48 e 75.
Ai sensi della prima norma (comma primo), “Le stazioni appaltanti prima di
procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad
un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte
presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico,
di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il
possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara,
presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di
invito. Le stazioni appaltanti, in sede di controllo, verificano il possesso
del requisito di qualificazione per eseguire lavori attraverso il casellario
informatico di cui all'articolo 7, comma 10, ovvero attraverso il sito del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i contratti affidati a
contraente generale; per i fornitori e per i prestatori di servizi la
verifica del possesso del requisito di cui all'articolo 42, comma 1, lettera
a), del presente codice è effettuata tramite la Banca dati nazionale dei
contratti pubblici di cui all'articolo 6-bis del presente Codice. Quando
tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute
nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti
procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della
relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per
i provvedimenti di cui all'articolo 6, comma 11. L'Autorità dispone altresì
la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di
affidamento”.
A sua volta l’art. 75 al comma primo prevede che “L’offerta è corredata da
una garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o
nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta
dell’offerente […]”, di seguito precisando, al comma 6, che “La garanzia
copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed
è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto
medesimo”.
La prima disposizione (art. 48) si riferisce all’ipotesi di un controllo a
campione che abbia sortito esito negativo circa il possesso dei requisiti di
capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa (ossia dei c.d.
“requisiti speciali”) dichiarati dal concorrente all’atto dell’offerta.
La seconda previsione (art. 75) concerne invece il caso del contratto che
non venga sottoscritto per fatto dell’aggiudicatario.
Come esposto in precedenza, dopo aver escluso il raggruppamento facente capo
al Consorzio Leonardo Servizi e Lavori da una gara per l’affidamento di
servizi integrati, gestionali ed operativi, Consip s.p.a. provvedeva altresì
ad escutere la cauzione provvisoria da questi prestata non solo per l’unico
Lotto (il n. 6) nel quale il detto operatore economico era risultato primo
in graduatoria e quindi aggiudicatario, ma anche –in un secondo momento–
per tutti quelli per i quali lo stesso aveva presentato un’offerta (ossia i
Lotti 1, 7 e 10), nonostante il detto Rti non fosse risultato, in relazione
a questi ultimi, né aggiudicatario né –in ipotesi– secondo graduato. Ciò
in pacifica applicazione dell’art. 48 d.lgs. n. 163 del 2006, che non
distingue a tal fine tra aggiudicatari e semplici partecipanti alla gara
come invece fa il sopravvenuto art. 93, comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Ritiene il Collegio, alla luce delle risultanze di causa, di dover
confermare la natura anche sanzionatoria dell’istituto dell’escussione della
garanzia provvisoria, per come disciplinato dal d.lgs. n. 163 del 2006,
applicabile alla concreta vicenda controversa, in coerenza con i propri
precedenti arresti dai quali non vi è evidente ragione di discostarsi, nel
caso di specie.
Va in primo luogo richiamata la decisione dell’Adunanza plenaria 04.10.2005, n. 8 di questo Consiglio, che ha tra l’altro affermato che la cauzione
provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale
mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione indennitaria), può svolgere altresì una funzione sanzionatoria verso altri
possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti.
La successiva decisione 10.12.2014, n. 34 dell’Adunanza plenaria
faceva salvo tale presupposto, nel dichiarare che “E’ legittima la clausola,
contenuta in atti di indizione di procedure di affidamento di appalti
pubblici, che preveda l’escussione della cauzione provvisoria anche nei
confronti di imprese non risultate aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in
caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti di carattere generale
di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici”.
In termini più generali (ex multis, Cons. Stato, V, 27.06.2017, n. 3701;
V, 19.04.2017, n. 1818; IV, 19.11.2015, n. 5280; IV, 09.06.2015, n. 2829; V, 10.09.2012, n. 4778), l’incameramento della
cauzione va considerata una misura a carattere latamente sanzionatorio, che
costituisce conseguenza ex lege dell’esclusione per riscontrato difetto dei
requisiti da dichiarare ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.
Sempre secondo Cons. Stato, Ad. plen. n. 34 del 2014, la cauzione
provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale
mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione
indennitaria, ipotesi che nel caso di specie non rileva), svolge altresì una
funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei
concorrenti.
L’escussione della cauzione provvisoria assumerebbe quindi anche la funzione
di una sanzione amministrativa, seppure non in senso proprio.
Tale conclusione è stata poi ribadita da Cons. Stato, V, 10.04.2018, n.
2181, “in considerazione della natura sanzionatoria e afflittiva della
determinazione relativa all’incameramento della cauzione”.
Come ancora di recente evidenziato da Corte Cost. 21.03.2019, n. 63, il
principio della retroattività della lex mitior in “materia penale” è fondato
tanto sull’art. 3 Cost., quanto sull’art. 117, primo comma, Cost., eventuali
deroghe a tale principio dovendo superare un vaglio positivo di
ragionevolezza in relazione alla necessità di tutelare controinteressi di
rango costituzionale.
Il principio in questione deve ritenersi applicabile anche alle sanzioni di
carattere amministrativo che abbiano natura “punitiva”.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n.
236 del 2011, n. 215 del 2008 e n. 393 del 2006), la regola della
retroattività della lex mitior in materia penale non è riconducibile alla
sfera di tutela dell’art. 25, secondo comma, Cost., che sancisce piuttosto
il principio –apparentemente antinomico– secondo cui “[n]essuno può essere
punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del
fatto commesso”.
Tale principio deve, invero, essere interpretato nel senso di vietare
l’applicazione retroattiva delle sole leggi penali che stabiliscano nuove
incriminazioni, ovvero che aggravino il trattamento sanzionatorio già
previsto per un reato, non ostando così a una possibile applicazione
retroattiva di leggi che, all’opposto, aboliscano precedenti incriminazioni
ovvero attenuino il trattamento sanzionatorio già previsto per un reato.
Cionondimeno, la regola dell’applicazione retroattiva della lex mitior in
materia penale –sancita, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2,
secondo, terzo e quarto comma, del Codice penale– non è sprovvista di
fondamento costituzionale: fondamento che la costante giurisprudenza della
Corte ravvisa anzitutto nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.,
“che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio
dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati
commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio
criminis o la modifica mitigatrice” (sentenza n. 394 del 2006). Ciò in
quanto, in via generale, “[n]on sarebbe ragionevole punire (o continuare a
punire più gravemente) una persona per un fatto che, secondo la legge
posteriore, chiunque altro può impunemente commettere (o per il quale è
prevista una pena più lieve)” (sentenza n. 236 del 2011).
La riconduzione della retroattività della lex mitior in materia penale
all’alveo dell’art. 3 Cost. anziché a quello dell’art. 25, secondo comma,
Cost., segna però anche il limite della garanzia costituzionale della quale
la regola in parola costituisce espressione. Mentre, infatti,
l’irretroattività in peius della legge penale costituisce un valore assoluto
e inderogabile, la regola della retroattività in mitius della delle
disposizioni sanzionatorie “è suscettibile di limitazioni e deroghe
legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni
oggettivamente ragionevoli” (sentenza n. 236 del 2011).
Il criterio di valutazione della legittimità di eventuali deroghe
legislative alla retroattività della lex mitior in materia sanzionatoria,
alla stregua dell’art. 3 Cost., è stato in particolare analizzato dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 393 del 2006, ove si osserva, tra
l’altro, che “la retroattività in mitius della legge penale è ormai
affermata non solo, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2 cod.
pen., ma trova ampi riconoscimenti nel diritto internazionale e nel diritto
dell’Unione europea. La retroattività della lex mitior in materia penale è
in particolare enunciata tanto dall’art. 15, comma 1, terzo periodo, del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, concluso a New
York il 16.12.1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25.10.1977, n. 881; quanto dall’art. 49, paragrafo 1, terzo periodo, CDFUE”.
Ne consegue che il valore tutelato dal principio in parola “può essere
sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo
rilievo”, con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma più
favorevole deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a
tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente
irragionevole (sentenza n. 393 del 2006).
La giurisprudenza costituzionale è giunta ad assegnare al principio della
retroattività della lex mitior in “materia penale” un duplice, e
concorrente, fondamento: da un lato, il principio di eguaglianza di cui
all’art. 3 Cost., nel cui alveo peraltro la sentenza n. 393 del 2006, in
epoca immediatamente precedente alle sentenze “gemelle” n. 348 e n. 349 del
2007, aveva già fatto confluire gli obblighi internazionali derivanti
dall’art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e
politici e dall’art. 49, paragrafo 1, CDFUE, considerati in quell’occasione
come criteri interpretativi (sentenza n. 15 del 1996) delle stesse garanzie
costituzionali; dall’altro quello –di origine internazionale, ma avente ora
ingresso nel nostro ordinamento attraverso l’art. 117, primo comma, Cost.–
riconducibile all’art. 7 CEDU, nella lettura offertane dalla giurisprudenza
di Strasburgo, nonché alle altre norme del diritto internazionale dei
diritti umani vincolanti per l’Italia che enunciano il medesimo principio,
tra cui gli artt. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti
civili e politici e 49, paragrafo 1, CDFUE, quest’ultimo rilevante nel
nostro ordinamento anche ai sensi dell’art. 11 Cost.
Ratio della garanzia in questione è, sostanzialmente, il diritto dell’autore
del comportamento sanzionato ad essere giudicato in base all’apprezzamento
attuale dell’ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato,
anziché in base all’apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento
della sua commissione.
L’eventualità ed il limite in cui il principio della retroattività della lex
mitior sia applicabile anche alle misure sanzionatorie di carattere
amministrativo è questione esaminata dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 193 del 2016.
In tale occasione è stato rilevato come la giurisprudenza CEDU non abbia
“mai avuto ad oggetto il sistema delle sanzioni amministrative
complessivamente considerato, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie, ed in particolare quelle che, pur qualificandosi come
amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire
caratteristiche “punitive” alla luce dell’ordinamento convenzionale”.
Rispetto però a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e
finalità “punitiva”, il complesso dei principi enucleati dalla Corte di
Strasburgo a proposito della “materia penale” –ivi compreso quello di
retroattività della lex mitior– non potrà che estendersi anche a tali
sanzioni.
L’estensione del principio di retroattività della lex mitior in materia di
sanzioni di carattere amministrativo aventi natura e funzione “punitiva” è,
del resto, conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale
sviluppatasi, sulla base dell’art. 3 Cost., in ordine alle sanzioni
propriamente penali: “laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia
natura “punitiva”, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare
nei confronti di costui tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente
considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura
considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al
mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento.
E ciò salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di
rango costituzionale, tali da resistere al medesimo «vaglio positivo di
ragionevolezza», al cui metro debbono essere in linea generale valutate le
deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale” (Corte
cost. sentenza n. 63 del 2019).
Nel caso di specie, ritiene il Collegio che il regime di escussione della
garanzia provvisoria previsto a suo tempo dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del
2006 possa integrare, alla luce del richiamato consolidato indirizzo della
giurisprudenza amministrativa, una forma di sanzione di carattere punitivo a
carico dell’operatore economico che abbia fornito dichiarazioni rimaste poi
senza riscontro, sanzione peraltro abbandonata dalla normativa sopravvenuta.
Non sembra revocabile in dubbio che la misura sanzionatoria amministrativa
prevista dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 abbia natura punitiva e
soggiaccia pertanto alle garanzie che la Costituzione ed il diritto
internazionale assicurano alla materia, ivi compresa la garanzia della
retroattività della lex mitior.
L’escussione della garanzia in parola, infatti, non può essere considerata
una misura meramente ripristinatoria dello status quo ante, né ha natura
risarcitoria (o anche solo indennitaria), né mira semplicemente alla
prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore economico. Si
tratta, piuttosto, di una sanzione dall’elevata carica afflittiva (nel caso
di specie, all’incirca due milioni di euro), che in assenza di una specifica
finalità indennitaria (propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione
del contratto da parte dell’aggiudicatario) o risarcitoria, “si spiega
soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in
funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che
è certamente comune anche alle pene in senso stretto” (Corte cost., n. 63
del 2019).
In ragione dei rilievi che precedono dovrebbe quindi concludere per
l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che precludono
l’applicabilità, al caso di specie, della più favorevole disciplina
sanzionatoria sopravvenuta –la quale prevede l’escussione della cauzione
provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo
nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica– in
quanto già in vigore al momento dell’adozione, da parte di Consip s.p.a.,
del provvedimento di escussione della garanzia provvisoria.
Pertanto, poiché la presente controversia non può essere definita
indipendentemente dalla risoluzione delle delineate questioni di legittimità
costituzionale, ostando ad una diretta applicazione giudiziale dello ius
superveniens la previsione espressa di cui all’art. 216 del d.lgs. n. 50 del
2016, il giudizio va sospeso e vanno rimesse alla Corte costituzionale, ai
sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 09.02.1948, n. 1 e
dell’art. 23 l. 11.03.1953, n. 87, le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, nel
combinato disposto dell’art. 216 del medesimo decreto, per contrasto con
agli artt. 3 e 117 Cost.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 09.02.1948, n. 1, e 23 della legge 11.03.1953, n. 87,
dichiara
rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 117
comma primo della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale,
nei termini di cui in motivazione, dell’art. 93, comma 6, nel combinato
disposto con il successivo art. 216, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
Sospende il giudizio in corso e ordina l’immediata trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della Segreteria la presente
ordinanza sia notificata alle parti e sia comunicata al Presidente del
Consiglio dei Ministri
(Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza 26.04.2021 n. 3299 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Consiglio di Stato, affidamento diretto emergenziale senza
vincoli particolari.
I soggetti esclusi dalla selezione non possono contestare le valutazioni
effettuate dall'amministrazione
Con l'affidamento diretto la stazione appaltante rimane libera di negoziare
la prestazione con l'appaltatore che offre il miglior
prezzo senza particolari vincoli motivazionali.
In questo senso, in sintesi,
il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la
sentenza
23.04.2021 n. 3287.
La vicenda
La sentenza ha analizzato l'ambito di azione della stazione appaltante nel
momento in cui si cimentasse con l'utilizzo della
procedura dell'affidamento diretto, nel caso trattato, "emergenziale" come
previsto dall'articolo 1, comma 2, lett. a), della
legge 120/2020.
In primo grado (Tar Liguria, Genova, sentenza n. 66/2021) l'intento della
stazione appaltante di procedere con l'affidamento
diretto mediante «confronto» tra più preventivi è stato considerato come
diretto a innestare un autentico procedimento di
gara (sia pur semplificato) con conseguente esigenza di rispettare il
corredo minimo di principi declinati nell'articolo 30 del
codice dei contratti. Il primo giudice, quindi, ha annullato la gara per
pretesa difformità del prodotto fornito rispetto alle
richiese della stazione appaltante che, in realtà, nel procedimento si era
riservata la possibilità di una negoziazione ad hoc.
Di diverso avviso si è dimostrato il Consiglio di Stato considerato che, fin
dalla legge di gara, la stazione appaltante,
specificando che intendeva operare con l'affidamento diretto, ha esplicitato
chiaramente la volontà di una successiva
negoziazione con il concorrente con preventivo maggiormente conveniente.
La sentenza
Il giudice di Palazzo Spada ha rammentato che la fattispecie
dell'affidamento diretto, anche nella sua attuale configurazione
prevista dalla legge 120/2020, è una procedura di affidamento totalmente
svincolata dalla necessità di consultare più
preventivi. Del resto, si legge in sentenza, la stessa Anac ha posto la
possibilità di confronto, qualificandola come best practice,
nelle linee guida n. 4, come ipotesi di chiusura del micro sistema normativo
che consente al Rup di individuare il potenziale
affidatario secondo un'ampia valutazione tecnica e con indagini meramente
informali (ad esempio la consultazione di banche
dati).
Non solo, il giudice ha proseguito annotando che è lo stesso codice dei
contratti (articolo 32) che consente ulteriori
semplificazioni nell'affidamento diretto ammettendolo anche con il
cosiddetto atto unico (un'unica determina di affidamento
non preceduta dalla determina a contrarre).
Stesse indicazioni reiterate nella legge 120/2020 il cui comma 3
dell'articolo 1 ha puntualizzato che «Gli affidamenti diretti
possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente,
che contenga gli elementi descritti nell'articolo 32,
comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016».
Da qui, con indicazione utile ai Rup delle stazioni appaltanti, la
sottolineatura sulla motivazione della scelta dell'affidatario.
Il Collegio ha rammentato che si deve all'Anac la puntualizazione secondo
cui negli affidamenti diretti nel sotto soglia
comunitaria è del tutto sufficiente che la stazione appaltante motivi in
merito alla scelta dell'affidatario, «dando
dettagliatamente conto del possesso da parte dell'operatore economico
selezionato dei requisiti richiesti nella determina a
contrarre o nell'atto a essa equivalente, della rispondenza di quanto
offerto all'interesse pubblico che la stazione appaltante
deve soddisfare, di eventuali caratteristiche migliorative offerte dall'affidatario,
della congruità del prezzo in rapporto alla
qualità della prestazione, nonché del rispetto del principio di rotazione»
(Linee guida Anac n. 4, paragrafo 4.3.1).
L'epilogo, pertanto, è che con la decisione di procedere mediante
affidamento diretto (foss'anche nelle fattispecie di cui alla
lettera b), comma 2 dell'articolo 36, oggi derogabile) l'innesto della
possibilità di consultare più preventivi non impedisce la successiva
negoziazione con l'appaltatore che abbia presentato un preventivo ritenuto
congruo da parte della stazione
appaltante.
Il procedimento dell'affidamento diretto, pur con previa richiesta di
preventivi, in modo oggi anche rafforzato a causa
«dell'emergenza sanitaria in atto», tiene libera l'amministrazione aggiudicatrice «di individuare il prodotto più rispondente
alle proprie esigenze» sempre che di ciò si dia «chiaramente atto nel
provvedimento di affidamento».
La decisione, quindi, di procedimentalizzare l'affidamento diretto con la
richiesta di preventivi e il loro «confronto», ha
concluso il giudice, «non trasforma l'affidamento diretto in una procedura
di gara, né abilita i soggetti che non siano stati
selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall'amministrazione
circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie
esigenze»
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 10.05.2021). |
APPALTI: Affidamento
diretto anche con i preventivi. Non diventa una gara se si chiedono.
La richiesta di preventivi non trasforma un
affidamento diretto in una gara.
Lo ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la
sentenza 23.04.2021 n. 3287 rispetto ad una procedura di
affidamento diretto nella quale erano stati richiesti preventivi.
Si eccepiva, in sede di appello, che vi sarebbe stata una vera e propria
gara; nel caso specifico è stata prevista la previa valutazione di tre
preventivi (per i lavori) e la consultazione di cinque operatori economici,
per le forniture e i servizi.
I giudici di Palazzo Spada preliminarmente hanno chiarito che negli
affidamenti diretti ordinari sotto soglia, mentre l'art. 36, comma 2, lett.
a), del Codice dei contratti, così come modificato dal d.l. n. 32 del 2019
(cosiddetto Sblocca cantieri), non richiede nemmeno «la consultazione di
due o più operatori economici», la successiva lett. b), pur essa
modificata dal decreto del 2019, ha trasformato la precedente procedura
negoziata in affidamento diretto per i lavori di importo pari o superiore a
40mila euro e inferiore a 150mila euro, nonché per le forniture e i servizi
di importo inferiore alle soglie europee di cui all'articolo 35.
Per il Consiglio di Stato non c'è dubbio che si tratti di un affidamento
diretto sotto soglia, caratterizzato da modalità ulteriormente semplificate
rispetto a quelle disciplinate in via ordinaria dal Codice dei contratti, in
ragione dell'emergenza sanitaria in atto. Per questi motivi «l'amministrazione
era quindi libera di individuare il prodotto più rispondente alle proprie
esigenze, cosa di cui essa ha peraltro dato chiaramente atto nel
provvedimento di affidamento».
Nella sentenza, a differenza di quanto ritenuto dal Tar, si è affermato che
«la mera procedimentalizzazione dell'affidamento diretto, mediante
l'acquisizione di una pluralità di preventivi e l'indicazione dei criteri
per la selezione degli operatori (procedimentalizzazione che, peraltro,
corrisponde alle previsioni contenute nelle Linee guida n. 4 per tutti gli
affidamenti diretti; cfr. il par. 4.1.2 sull'avvio della procedura), non
trasforma l'affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i
soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni
effettuate dall'amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti
alle proprie esigenze»
(articolo ItaliaOggi del 30.04.2021).
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SENTENZA
6. L’appello è fondato.
Al riguardo, si osserva quanto segue.
7. In primo luogo, occorre qualificare la fattispecie di affidamento di cui
trattasi.
La stazione appaltante ha fatto applicazione della modalità disciplinata
dall’art. 1, comma 2, lett. a), del d.l. n. 76 del 2020, nella versione
vigente prima della conversione avvenuta con legge n. 120 del 2020, il
quale, in deroga all’art. 36, comma 2 del Codice dei contratti pubblici, ha
consentito alle amministrazioni aggiudicatrici di procedere tramite
affidamento diretto per “lavori, servizi e forniture di importo inferiore
a 150.000 euro” (la legge di conversione ha portato tale soglia per i
servizi e le forniture ad euro 75.000).
E’ opportuno rammentare che, negli affidamenti diretti ordinari sotto
soglia, mentre l’art. 36, comma 2, lett. a), del Codice dei contratti, così
come modificato dal d.l. n. 32 del 2019 (c.d. “Sblocca–cantieri”),
non richiede nemmeno “la consultazione di due o più operatori economici”,
la successiva lett. b), pur essa modificata dal decreto del 2019, ha
trasformato la precedente procedura negoziata in affidamento diretto per i
lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro,
nonché per le forniture e i servizi di importo inferiore alle soglie europee
di cui all’articolo 35.
Anche in questa ipotesi è stata peraltro confermata l’applicazione del
principio di rotazione mentre è stata prevista la previa valutazione di tre
preventivi (per i lavori) e la consultazione di cinque operatori economici,
per le forniture e i servizi.
In tutte le ipotesi di affidamento diretto, comunque, le tuttora efficaci
Linee Guida n. 4 dell’ANAC (non essendo stato ancora emanato il Regolamento
Unico previsto dall’art. 216, comma 29–octies del Codice dei contratti,
inserito dal decreto “Sblocca cantieri”) raccomandano quale “best
practice” il confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più
operatori economici.
Inoltre, secondo l’art. 32, comma 2, lett. a), del Codice dei contratti, “[...]Nella
procedura di cui all'articolo 36, comma 2, lett. a) e b), la stazione
appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina a
contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato, l’oggetto
dell’affidamento, l'importo, il fornitore, le ragioni della scelta del
fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale,
nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti”.
La stessa modalità è richiamata dall’art. 1, comma 3, del d.l. n. 76 del
2020 per gli affidamenti diretti sotto soglia, disciplinati dal medesimo
decreto, in cui il procedimento sia stato avviato entro il 31.12.2021 (“Gli
affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre,
o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell'articolo 32,
comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016”).
Ai fini degli affidamenti diretti sotto soglia (anche nella disciplina
ordinariamente applicabile recata dal Codice dei contratti), è dunque
sufficiente che la stazione appaltante motivi in merito alla scelta dell’affidatario,
“dando dettagliatamente conto del possesso da parte dell’operatore
economico selezionato dei requisiti richiesti nella determina a contrarre o
nell’atto ad essa equivalente, della rispondenza di quanto offerto
all’interesse pubblico che la stazione appaltante deve soddisfare, di
eventuali caratteristiche migliorative offerte dall’affidatario, della
congruità del prezzo in rapporto alla qualità della prestazione, nonché del
rispetto del principio di rotazione” (Linee Guida ANAC n. 4, par.
4.3.1).
7.1. Nel caso di specie, dalla richiesta di preventivo si evince che la
stazione appaltante:
- aveva espressamente precisato che avrebbe proceduto
all’affidamento “a seguito del confronto dei preventivi ricevuti sulla
base della convenienza economica per AMIU” (pag. 1);
- sebbene avesse indicato che “L’aggiudicazione avverrà ai sensi
dell’art. 95, comma 4, D.lgs 50/2016 a favore del concorrente che avrà
proposto il maggior ribasso unico percentuale [...], si era comunque
espressamente riservata la possibilità di “avviare eventuali negoziazioni
con uno o più degli operatori economici interpellati ritenuti idonei
all’esecuzione della prestazione richiesta, senza alcun vincolo in ordine
alla scelta finale” (pag. 13).
Nella determina di affidamento, l’Amministrazione ha poi dato atto di avere
provveduto a richiedere le schede tecniche e i campioni all’operatore
economico che ha presentato il maggior ribasso percentuale e di avere
ritenuto non conformi alle proprie esigenze alcuni dei prodotti offerti
dall’odierna appellante (in particolare, le “palette per la raccolta”),
rinviando quindi ad una successiva ricerca di mercato l’acquisto dei
prodotti in questione (pag. 2).
Per il resto il preventivo presentato è stato ritenuto “congruo, sulla
base dell’economicità evidenziata dal confronto con affidamenti analoghi
effettuati in passato”.
7.2. Attese le caratteristiche del procedimento di acquisto concretamente
posto in essere -ovvero un affidamento diretto sotto– soglia, caratterizzato
da modalità ulteriormente semplificate rispetto a quelle disciplinate in via
ordinaria dal Codice dei contratti, in ragione dell’emergenza sanitaria in
atto - l’Amministrazione era quindi libera di individuare il prodotto più
rispondente alle proprie esigenze, cosa di cui essa ha peraltro dato
chiaramente atto nel provvedimento di affidamento.
A differenza di quanto ritenuto dal TAR, inoltre, la mera
procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di
una pluralità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione
degli operatori (procedimentalizzazione che, peraltro, corrisponde alle
previsioni contenute nelle Linee Guida n. 4 per tutti gli affidamenti
diretti; cfr. il par. 4.1.2 sull’avvio della procedura), non trasforma
l’affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che
non siano stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate
dall’Amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie
esigenze.
7.3. Ad ogni buon conto, deve altresì convenirsi con l’appellante che in
nessuna parte della richiesta di preventivo sono state dettagliatamente
indicate le specifiche tecniche dei “360 attacchi a scatto in plastica
con peso non superiore a 300 gr comprese le viti e le brugole necessarie per
fissare le scope di setola al manico”, in maniera tale da poter far
ritenere con certezza che AMIU necessitasse di dispositivi di tipo
automatico, corrispondenti alla tipologia brevettata dalla società
appellata.
In sostanza -attesa la valenza generale del principio di equivalenza– dagli
atti del procedimento non risulta alcun elemento dal quale sia possibile
inferire che la difformità dell’offerta dell’appellante, rispetto ad alcune
delle caratteristiche richieste da AMIU, si sia risolta in un vero e proprio
“aliud pro alio”, tale da giustificarne l’esclusione dall’(ipotetica)
selezione.
Questo rigido automatismo, rilevante anche in assenza di una espressa
comminatoria escludente, opera nel solo caso in cui le specifiche tecniche
previste nella ‘legge di gara’ consentano di ricostruire con
esattezza il prodotto richiesto dall’Amministrazione e quindi di individuare
in maniera analitica ed inequivoca determinate caratteristiche tecniche come
indefettibili.
Tuttavia, ove questa certezza non vi sia e sussista al contrario un margine
di ambiguità circa l’effettiva portata delle clausole del bando, riprende
vigore il principio residuale, che impone di preferire l’interpretazione
della lex specialis maggiormente rispettosa del principio del
favor partecipationis e dell’interesse al più ampio confronto
concorrenziale, oltre che della tassatività -intesa anche nel senso di
tipicità ed inequivocabilità- delle cause di esclusione (Cons. Stato, sez.
III, 14.05.2020, n. 3084).
8. In definitiva, per quanto appena argomentato, l’appello deve essere
accolto. |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Compatibilità
della disciplina dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011 con i principi
costituzionali ed unionali.
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Informativa antimafia – Disciplina - Compatibilità con i principi
costituzionali ed unionali
La disciplina dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011 in
materia di informativa antimafia non si pone in contrasto con i principi
costituzionali ed eurounitari (1).
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(1) La Sezione ha premesso di non ignorare che voci fortemente
critiche si sono alzate rispetto alla presunta indeterminatezza dei
presupposti normativi che legittimano l’emissione dell’informazione
antimafia, soprattutto dopo la pronuncia della Corte europea dei diritti
dell’uomo del 23.02.2017, riguardante le misure di prevenzione personali, e
taluni autori, nel preconizzare l’“onda lunga” di questa pronuncia
anche nella contigua materia della documentazione antimafia, hanno fatto
rilevare come anche l’informazione antimafia generica, nelle ipotesi
dell’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011 (accertamenti
disposti dal Prefetto da compiersi anche avvalendosi dei poteri di accesso),
sconterebbe un deficit di tipicità non dissimile da quello che, secondo i
giudici di Strasburgo, affligge l’art. 1, lett. a) e b), del medesimo d.lgs.
n. 159 del 2011.
Si è osservato che l’assoluta indeterminatezza delle condizioni che possono
consentire al Prefetto di emettere una informazione antimafia “generica”,
in tali ipotesi di non meglio determinati accertamenti disposti dal
Prefetto, apparirebbe poco sostenibile in un ordinamento democratico che
rifugga dagli antichi spettri del diritto di polizia o dalle “pene”
del sospetto e voglia ancorare qualsiasi provvedimento restrittivo di
diritti fondamentali a basi legali precise e predeterminate.
L’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011 –ma con un
ragionamento applicabile anche alla seconda parte dell’art. 91, comma 6,
dello stesso Codice, laddove si riferisce a non meglio precisati “concreti
elementi”– non contemplerebbe, secondo tale tesi, alcun parametro
oggettivo, anche il più indeterminato, che possa in qualche modo definire il
margine di apprezzamento discrezionale del Prefetto, rendendo del tutto
imprevedibile la possibile adozione della misura.
La Sezione ha ritenuto, alla stregua di quanto già affermato dalla Sezione (05.09.2019,
n. 6105), che questa tesi non possa essere seguita e che, ferma
restando ovviamente, se del caso, ogni competenza del giudice europeo per
l’applicazione del diritto convenzionale e, rispettivamente, della Corte
costituzionale per l’applicazione delle disposizioni costituzionali, non sia
prospettabile alcuna violazione dell’art. 1, Protocollo 1 addizionale, Cedu,
con riferimento al diritto di proprietà, e, per il tramite di tale parametro
interposto, nessuna violazione dell’art. 117 Cost. per la mancanza di una
adeguata base legale atta ad evitare provvedimenti arbitrari.
Anche gli accertamenti disposti dal Prefetto, nella stessa provincia in cui
ha sede l’impresa o in altra, sono finalizzati, infatti, a ricercare
elementi dai quali possa desumersi, ai sensi dell’art. 84, comma 3, d.lgs.
n. 159 del 2011 (v. anche art. 91, comma 4), “eventuali tentativi di
infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi
delle società o imprese interessate” e tali tentativi, per la loro
stessa natura, possono essere desunti da situazioni fattuali difficilmente
enunciabili a priori in modo tassativo.
Nella stessa sentenza sopra ricordata, la Corte europea dei diritti
dell’uomo ha rammentato, in via generale, che “mentre la certezza è
altamente auspicabile, può portare come strascico una eccessiva rigidità e
la legge deve essere in grado di tenere il passo con il mutare delle
circostanze”, conseguendone che “molte leggi sono inevitabilmente
formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la cui
interpretazione e applicazione sono questioni di pratica” (§ 107), e ha
precisato altresì che “una legge che conferisce una discrezionalità deve
indicare la portata di tale discrezionalità” (§ 108).
Ora, non si può negare che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del
provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa, come si è visto, abbia fatto ricorso,
inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non
costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio
dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile
per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su
elementi “tipizzati” [quelli dell'art. 84, comma 4, lett. a), b), c)
ed f)], ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli
accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa
costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e,
quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata
della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e
ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario
rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di
equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione
secondo corretti canoni di inferenza logica.
L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in
questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da
autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del
resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi
tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato,
fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni
ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità
della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere
l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma
deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.
Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e
buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di
legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando
compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento
amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati”
dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del
provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed
attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la
prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica
(diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non
dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli
elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da
qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di
recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 30.11.2017, dep.
04.01.2018, n. 111).
Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a verificare la gravità
del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine
al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del
potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo,
consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che
devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la
ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che
l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che,
necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non
sanzionatoria, della misura in esame.
Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del
provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem
agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto
divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della
discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare
l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro
arbitrio.
La funzione di “frontiera avanzata” svolta dall’informazione
antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio
delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti,
risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la
capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di
fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo
valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi.
Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”,
dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare
qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome
di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la
sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per
usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella
citata sentenza, consiste anzitutto nel “tenere il passo con il mutare
delle circostanze” secondo una nozione di legittimità sostanziale.
Ma, come è stato recentemente osservato anche dalla giurisprudenza penale,
il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte
europea in generale compatibile con la normativa convenzionale poiché “il
presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una
‘condizione’ personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti,
anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di
vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una
sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del
processo penale” (Cass. pen., sez. II, 09.07.2018, n. 30974).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha così enucleato –in modo
sistematico a partire dalla
sentenza n. 1743 del 03.05.2016 e con uno sforzo ‘tassativizzante’–
le situazioni indiziarie, tratte dalle indicazioni legislative o dalla
casistica giurisprudenziale, che possono costituire altrettanti ‘indici’
o ‘spie’ dell’infiltrazione mafiosa, non senza precisare che esse,
per la loro stessa necessaria formulazione aperta, costituiscono un catalogo
aperto e non già un numerus clausus in modo da poter consentire
all’ordinamento di poter contrastare efficacemente l’infiltrazione mafiosa
all’interno dell’impresa via via che essa assume forme sempre nuove e sempre
mutevoli.
Basti qui ricordare a mo’ di esempio, nell’ambito di questa ormai
consolidata e pur sempre perfettibile tipizzazione giurisprudenziale, le
seguenti ipotesi, molte delle quali tipizzate, peraltro, in forma precisa e
vincolata dal legislatore stesso:
a) i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;
b) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure
emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando
la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della
contaminazione mafiosa, nelle multiformi espressioni con le quali la
continua evoluzione dei metodi mafiosi si manifesta;
c) la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle
misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011;
d) i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da
far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva”
dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”,
in cui il ricambio generazionale mai sfugge al “controllo immanente”
della figura del patriarca, capofamiglia, ecc., a seconda dei casi;
e) i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza,
colleganza, amicizia;
f) le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa;
g) le vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa, incluse
le situazioni, recentemente evidenziate in pronunzie di questa Sezione, in
cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a
iniziative, campagne, o simili, antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo
scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o
elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa;
h) la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i
relativi “benefici”;
i) l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in
assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.
Come condivisibilmente affermato nella sentenza 05.09.2019, n. 6105, deve
essere riaffermato, e con forza, che il sistema della prevenzione
amministrativa antimafia non costituisce e non può costituire, in uno Stato
di diritto democratico, un diritto della paura, perché deve rispettare
l’irrinunciabile principio di legalità, non solo in senso formale ma anche
sostanziale, sicché il giudice amministrativo, chiamato a sindacare il
corretto esercizio del potere prefettizio nel prevenire l’infiltrazione
mafiosa, deve farsi attento custode delle irrinunciabili condizioni di
tassatività sostanziale e di tassatività processuale di questo potere per
una tutela giurisdizionale piena ed effettiva di diritti aventi rango
costituzionale, come quello della libera iniziativa imprenditoriale (art. 41
Cost.), nel necessario, ovvio, bilanciamento con l’altrettanto
irrinunciabile, vitale, interesse dello Stato a contrastare l’insidia delle
mafie.
La libertà “dalla paura”, obiettivo al quale devono tendere gli Stati
democratici, si realizza anche, e in parte rilevante, smantellando le reti e
le gabbie che le mafie costruiscono, a scapito dei cittadini, delle imprese
e talora anche degli organi elettivi delle amministrazioni locali, imponendo
la legge del potere criminale sul potere democratico, garantito e, insieme,
incarnato dalla legge dello Stato, per perseguire fini illeciti e conseguire
illeciti profitti.
Al delicato bilanciamento raggiunto dall’interpretazione di questo Consiglio
di Stato non osta nemmeno l’orientamento assunto dalla Corte costituzionale
nelle sentenze n. 24 del 27.02.2019 e n. 195 del 24.07.2019, orientamento di
cui, per la sua importanza sistematica anche nella materia della
documentazione antimafia, occorre dare qui conto.
Come ha ben posto in rilievo la Corte costituzionale nella sentenza n. 24
del 2019, infatti, allorché si versi –come nel caso di specie– al di fuori
della materia penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di
predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può
legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente
protetto possa essere soddisfatta anche sulla base “dell’interpretazione,
fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni
legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da
formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione”.
Essenziale –nell’ottica costituzionale così come in quella convenzionale
(Corte europea dei diritti dell’uomo, sez. V, 26.11.2011, Gochev c.
Bulgaria; id., sez. I, 04.06.2002, Olivieiria c. Paesi Bassi; id.
20.05.2010, Lelas c. Croazia)– è, infatti, che tale interpretazione
giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente
destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter
ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa.
Nel caso di specie, non si può dubitare che l’interpretazione
giurisprudenziale tassativizzante, a partire dalla
sentenza n. 1743 del 03.05.2016, consenta ragionevolmente di
prevedere l’applicazione della misura interdittiva in presenza delle due
forme di contiguità, compiacente o soggiacente, dell’impresa ad influenze
mafiose, allorquando, cioè, un operatore economico si lasci condizionare
dalla minaccia mafiosa e si lasci imporre le condizioni (e/o le persone, le
imprese e/o le logiche) da questa volute o, per altro verso, decida di
scendere consapevolmente a patti con la mafia nella prospettiva di un
qualsivoglia vantaggio per la propria attività.
Né elementi di segno diverso sul piano della tassatività sostanziale, per di
più, si traggono dalla ancor più recente sentenza n. 195 del 24.07.2019, con
cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
l’art. 28, comma 1, d.l. n. 113 del 2018, che aveva inserito il comma 7-bis
nell’art. 143 del T.U.E.L., laddove la Corte costituzionale ha rilevato che,
mentre per l’attivazione del potere di scioglimento del Consiglio comunale o
provinciale occorre che gli elementi in ordine a collegamenti diretti o
indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso, raggiungano un
livello di coerenza e significatività tali da poterli qualificare come “concreti,
univoci e rilevanti” (art. 143, comma 1, del T.U.E.L.), invece, quanto
alle “condotte illecite gravi e reiterate”, di cui al comma 7-bis
censurato avanti alla Corte, è sufficiente che risultino mere “situazioni
sintomatiche”, sicché il presupposto positivo del potere sostitutivo
prefettizio “è disegnato dalla disposizione censurata in termini vaghi,
ampiamente discrezionali e certamente assai meno definiti di quelli del
potere governativo di scioglimento dei Consigli comunali e provinciali, pur
essendo il primo agganciato a quest’ultimo come occasionale appendice
procedimentale”.
Non è questo il caso, invece, dell’informazione antimafia, anche quella
emessa ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del
2011, poiché gli elementi di collegamento con la criminalità organizzata di
tipo mafioso devono essere sempre concreti, univoci e rilevanti, come la
giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente chiarito. Anzi
proprio la sentenza n. 195 del 24.07.2019 della Corte costituzionale sembra
confermare sul piano sistematico, a contrario, che l’infiltrazione mafiosa
ben possa fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti, dotati di
coerenza e significatività, quali enucleati dalla giurisprudenza di questo
Consiglio, sì che venga soddisfatto il principio, fondamentale in ogni Stato
di diritto come il nostro, secondo cui ogni potere amministrativo deve
essere “determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere
costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione
amministrativa”, per usare le parole della Corte costituzionale (sent.
n. 195 del 24.07.2019, appena citata, che richiama la sentenza n. 115 del
07.04.2011 della stessa Corte costituzionale sull’art. 54, comma 4, del
T.U.E.L.)
Ritiene questo Collegio che, alla luce di quanto si è chiarito, siano così
soddisfatte le condizioni di tassatività sostanziale, richieste dal diritto
convenzionale e dal diritto costituzionale interno, e indefettibili anche
per la delicatissima materia delle informazioni antimafia a tutela di
diritti fondamentali, come la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte
costituzionale nella propria costante giurisprudenza ribadiscono. La
tassatività sostanziale, come appena ricordato nella citazione della
giurisprudenza costituzionale, ben si concilia con la definita (dalla stessa
Corte costituzionale) “elasticità della copertura legislativa”,
giacché, come sopra detto, nella prevenzione antimafia lo Stato deve
assumere almeno la stessa flessibilità nelle azioni e la stessa rapida
adattabilità nei metodi, che le mafie dimostrano nel contesto attuale.
Parimenti la Sezione ha ritenuto che il criterio del “più probabile che
non” soddisfi, a sua volta, le indeclinabili condizioni di tassatività
processuale, pure menzionate dalla Corte costituzionale nella già richiamata
sentenza n. 24 del 27.02.2019, afferenti alle modalità di accertamento
probatorio in giudizio e, cioè, al quomodo della prova e “riconducibili
a differenti parametri costituzionali e convenzionali […] tra cui, in
particolare, il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e il diritto a un
‘giusto processo’ ai sensi, assieme, dell’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU
[…] di fondamentale importanza al fine di assicurare la legittimità
costituzionale del sistema delle misure di prevenzione” (Corte cost.
27.02.2019, n. 24).
Lo standard probatorio sotteso alla regola del “più probabile che non”,
nel richiedere la verifica della c.d. probabilità cruciale, impone infatti
di ritenere, sul piano della tassatività processuale, più probabile
l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa rispetto a “tutte le altre messe
insieme”, nell’apprezzamento degli elementi indiziari posti a base del
provvedimento prefettizio, che attingono perciò una soglia di coerenza e
significatività dotata di una credibilità razionale superiore a qualsivoglia
altra alternativa spiegazione logica, laddove l’esistenza di spiegazioni
divergenti, fornite di un qualche elemento concreto, implicherebbe un
ragionevole dubbio (Cons.
St., sez. III, 26.09.2017, n. 4483), non richiedendosi infatti,
in questa materia, l’accertamento di una responsabilità che superi
qualsivoglia ragionevole dubbio, tipico delle istanze penali, né potendo
quindi traslarsi ad essa, impropriamente, le categorie tipiche del diritto e
del processo penale, che ne frustrerebbero irrimediabilmente la funzione
preventiva.
Per queste ragioni la Sezione ha ribadito il proprio orientamento, già
riaffermato nella
sentenza n. 758 del 30.01.2019, senza dover rimettere la
questione di legittimità costituzionale e comunitaria degli artt. 84, comma
4, e 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, per violazione degli artt. 1 Prot.
add. CEDU, art. 2 Prot. nn. 4 e 6 CEDU e degli artt. 3, 24, 41, 42, 97 e 111
Cost..
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non
è un diverso procedimento logico, va del resto qui ricordato, ma la (minore)
forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva,
l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul
piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi
intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme,
ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più
appropriata, la c.d. probabilità cruciale” (Cons.
St., sez. III, 26.09.2017, n. 4483).
E questo Consiglio ha già esaurientemente illustrato nella già richiamata
sentenza n. 758 del 2019, alle cui argomentazioni tutte qui ci si richiama,
le ragioni per le quali a questa materia, sul piano della c.d. tassatività
processuale, non è legittimo applicare le regole probatorie del giudizio
penale, dove ben altri e differenti sono i beni di rilievo costituzionali a
venire in gioco, e in particolare i criterî di accertamento, propri del
giudizio dibattimentale, e la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio,
tipica inferenza logica che, se applicata al diritto della prevenzione,
imporrebbe alla pubblica amministrazione una probatio diabolica, come
si è osservato in dottrina, in quanto, se intesa in senso assoluto,
richiederebbe di falsificare ogni ipotesi contraria e, se intesa in senso
relativo (secondo il modello dell’abduzione pura, che implica l’assunzione
di una ipotesi che va corroborata alla luce degli specifici riscontri
probatori), richiederebbe alla pubblica amministrazione uno sforzo
istruttorio sproporzionato rispetto alla finalità del suo potere e ai mezzi
di cui è dotata per esercitarlo.
Le preoccupazioni, espresse dalla dottrina e da una parte minoritaria della
giurisprudenza amministrativa, circa la tenuta costituzionale della
prevenzione antimafia sono agevolmente superabili, per gli argomenti già
esposti in merito all’istituto dell’informazione antimafia, ma anche
ricorrendo al criterio dell’interpretazione sistematica, cui il giudice ben
può ricorrere per valutare i profili applicativi e interpretativi di un
istituto, esaminandone la coerenza con il sistema normativo in cui esso è
inserito.
Ed allora, per la materia in esame, non può sfuggire come il codice
antimafia abbia, al suo interno, principi ed istituti –ancorché diversi
dalla interdittiva antimafia– che sono posti a presidio di un ragionevole
contemperamento tra l’interesse generale prioritario alla prevenzione contro
la mafia e il diritto di ciascun imprenditore alla tutela costituzionale di
cui all’art. 41 Cost., appunto con i limiti che spetta al legislatore
stabilire.
L’istituto della gestione con controllo giudiziale di cui all’art. 34-bis
del codice antimafia, introdotto dall’art. 11, l. n. 161 del 2017, dimostra
in particolare come il legislatore abbia ben considerato ipotesi in cui –pur
in presenza di una informazione antimafia– l’interesse alla sopravvivenza di
una impresa può essere tutelato accordando una “occasione” per
rimuovere entro un periodo temporale breve, grazie appunto al controllo
giudiziale sulla gestione aziendale, la contaminazione mafiosa che il
provvedimento interdittivo aveva rilevato. E non a caso l’effetto sulla
informazione antimafia non è certo caducante, giacché il giudice ordinario,
che non ha potere di sindacarne la legittimità, determina solo la
sospensione dell’effetto interdittivo dell’impresa per tutto il periodo
della amministrazione controllata.
Il legislatore, quindi, ha stabilito:
a) che l’informazione antimafia è meramente sospesa nei suoi
effetti, fermo restando il sindacato del giudice amministrativo, che
parimenti resta sospeso, potendo riprendere il procedimento dopo la
conclusione del periodo fissato dal giudice ordinario;
b) che, ove la contaminazione mafiosa sia ritenuta occasionale e
quindi rimovibile in tempi brevi, la tutela costituzionale dell’impresa può
essere garantita, seppure sotto il controllo del giudice cui spetterà
valutare se durante il periodo stabilito –di solito uno o due anni– le
infiltrazioni siano state tutte rimosse, anche attraverso riscontrabili
modifiche nella compagine e nel “portafoglio contratti” della
società.
Questa ulteriore riflessione vale in modo compiuto a sgombrare il campo da
dubbi relativi alla sistematica condizione di equilibrio e contemperamento
realizzata dal codice antimafia con riguardo a interessi e diritti
meritevoli di indubbia considerazione.
La Sezione ha escluso peraltro l’esistenza di un obbligo di rimessione alla
Corte di giustizia nella presente sede d’appello, per essere questo
Consiglio di Stato giudice di ultima istanza per gli effetti dell’obbligo di
rimessione alla Corte europea sancito dall’art. 267, comma 3, TFUE. Tale
obbligo, infatti, non sussiste nelle ipotesi in cui la questione sollevata
sia identica ad altra sollevata in relazione ad analoga fattispecie già
decisa in via pregiudiziale della Corte, o la giurisprudenza costante della
Corte risolva il punto di diritto controverso, indipendentemente dalla
natura del procedimento in cui tale giurisprudenza si sia formata (c.d.
teoria dell’acte éclairé); ipotesi, quest’ultima, che, alla luce
della sopra riportata giurisprudenza della Corte di giustizia in materia,
appare ricorrere nel caso di specie (Cons.
St., sez. III, 03.04.2019, n. 2212)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 20.04.2021 n. 3182 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Giudice
competente a decidere la controversia avente ad oggetto i rapporti di
dare-avere in caso di risoluzione anticipata di una concessione di pubblico
servizio.
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Giurisdizione – Concessione amministrativa – Concessione di pubblico
servizio - Risoluzione anticipata - Rapporti di dare-avere – Controversia –
Giurisdizione giudice ordinario.
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la
controversia avente ad oggetto i rapporti di dare-avere tra una società e un
Comune a seguito della risoluzione anticipata della concessione di pubblico
servizio relativa all’espletamento di un servizio idrico, nel caso in cui
occorra valutare il valore patrimoniale di quanto richiesto dall’appellante
come rimborso per gli investimenti posti in essere (1).
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(1) Ha chiarito il C.g.a. che ai sensi dell’art. 133, comma 1,
lett. c), c.p.a. la giurisdizione esclusiva comprende le controversie in
materia di pubblici servizi (nella quale è ricompreso il servizio idrico),
escluse quelle concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi, ovvero
relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal
gestore di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti
del gestore.
La disposizione è stata interpretata, anche per differenza con la previsione
di giurisdizione esclusiva in materia di affidamenti di lavori, servizi e
forniture di cui alla successiva lett. e), n. 1, il cui oggetto è
espressamente limitato alla procedura di affidamento, come comprensiva delle
controversie insorte anche in fase esecutiva. La giurisprudenza tradizionale
formatasi sull’art. 5, l. 06.12.1971, n. 1034, in tema di concessioni di
beni o di servizi, riproposta, quanto ai servizi pubblici, con l’art. 133,
comma 1, lett. c), c.p.a è nel senso che la giurisdizione amministrativa
riguardi tendenzialmente tutta la fase esecutiva del rapporto, a eccezione
soltanto delle controversie di contenuto meramente patrimoniale, senza
alcuna implicazione sul contenuto della concessione (ss. uu. 04.08.2018, n.
20682 e 26.09.2017, n. 22357).
Nel caso all’esame del C.g.a. l’appellante ha chiesto il pagamento in
proprio favore di una somma a saldo degli investimenti non ammortizzati per
impianti, macchinari e manutenzione straordinaria, per effetto
dell’anticipato scioglimento della concessione per la gestione del servizio
idrico comunale alla stessa affidato con convenzione.
La controversia attiene all’applicabilità dell’art. 14 della convenzione del
1992, in base al quale “quando, per qualsivoglia ragione, avverrà la
risoluzione del presente contratto, il Comune o l’eventuale ditta
subentrante rileverà dalla Società tutte le attrezzature, i materiali, gli
apparecchi e gli impianti di proprietà della società stessa, il
corrispettivo di quanto sopra sarà determinato con stima da farsi in
contraddittorio in base al suo valore industriale al momento del trapasso
della gestione. Il Comune –o l’eventuale Ditta subentrante– si farà carico
degli oneri connessi ad eventuali finanziamenti ancora in essere per i beni
ad esso trasferiti”.
La pretesa sostanziale non implica lo scrutinio dell’esercizio del potere
pubblico, essendo limitata a stabilire la debenza, anche in punto di
quantum, della somma azionata. La circostanza è resa evidente dalla
formulazione della clausola convenzionale, che rimanda a una stima da
effettuarsi sulla base del valore industriale dell’intervento effettuato. Si
tratta quindi di valutare il valore patrimoniale di quanto richiesto
dall’appellante come rimborso per gli investimenti posti in essere, così
rientrando nelle controversie concernenti “indennità, canoni e altri
corrispettivi” devolute alla giurisdizione del g.o., non venendo in
rilievo quel potere pubblico che è sotteso alla scelta legislativa sulla
giurisdizione esclusiva del g.a.
La previsione della giurisdizione esclusiva del g.a. si legittima infatti,
secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, in riferimento alle
materie nelle quali vi è esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, di
un potere pubblico (Corte cost. 06.07.2004, n. 204 e 11.05.2006, n. 191),
così escludendo i “meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio”
(Corte cost. 15.07.2016, n. 179).
Anche considerando che il Comune ha contestato la debenza delle somme in
ragione della mancanza di autorizzazione preventiva rispetto agli
investimenti di cui alla pretesa della curatela fallimentare, la circostanza
rileva al più in punto di qualificazione dell’azione in termini di
arricchimento senza causa, non essendo quindi determinante al fine di
radicare la giurisdizione presso questo Giudice (CGARS,
sentenza 19.04.2021 n. 328 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
11. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della
sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto che la fattispecie non
rientri tra quelle devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo di cui all’art. 133 c.p.a., ritenendo altresì che la
controversia involga una concessione di pubblico servizio e non una
concessione di beni pubblici.
11.1. Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. la giurisdizione esclusiva
comprende le controversie in materia di pubblici servizi (nella quale è
ricompreso il servizio idrico di cui alla presente controversia), escluse
quelle concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi, ovvero relative
a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un
pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore.
La disposizione è stata interpretata, anche per differenza con la previsione
di giurisdizione esclusiva in materia di affidamenti di lavori, servizi e
forniture di cui alla successiva lett. e), n. 1, il cui oggetto è
espressamente limitato alla procedura di affidamento, come comprensiva delle
controversie insorte anche in fase esecutiva. La giurisprudenza tradizionale
formatasi sulla legge 06.12.1971, n. 1034, art. 5, in tema di concessioni di
beni o di servizi, riproposta, quanto ai servizi pubblici, con l’art. 133,
comma 1, lett. c), c.p.a è nel senso che la giurisdizione amministrativa
riguardi tendenzialmente tutta la fase esecutiva del rapporto, a eccezione
soltanto delle controversie di contenuto meramente patrimoniale, senza
alcuna implicazione sul contenuto della concessione (ss. uu. 04.08.2018, n.
20682 e 26.09.2017, n. 22357).
Nel caso di specie l’appellante chiede il pagamento in proprio favore della
somma di euro 5.955.208,84, oltre IVA ed oltre interessi, a saldo degli
investimenti non ammortizzati per impianti, macchinari e manutenzione
straordinaria, per effetto dell’anticipato scioglimento della concessione
per la gestione del servizio idrico comunale alla stessa affidato giusta
convenzione del 3.1.1992.
La controversia attiene all’applicabilità dell’art. 14 della convenzione del
1992, in base al quale “quando, per qualsivoglia ragione, avverrà la
risoluzione del presente contratto, il Comune o l’eventuale ditta
subentrante rileverà dalla Società tutte le attrezzature, i materiali, gli
apparecchi e gli impianti di proprietà della società stessa, il
corrispettivo di quanto sopra sarà determinato con stima da farsi in
contraddittorio in base al suo valore industriale al momento del trapasso
della gestione.
Il Comune –o l’eventuale Ditta subentrante– si farà carico degli oneri
connessi ad eventuali finanziamenti ancora in essere per i beni ad esso
trasferiti”.
La pretesa sostanziale non implica lo scrutinio dell’esercizio del potere
pubblico, essendo limitata a stabilire la debenza, anche in punto di
quantum, della somma azionata. La circostanza è resa evidente dalla
formulazione della clausola convenzionale, che rimanda a una stima da
effettuarsi sulla base del valore industriale dell’intervento effettuato.
Si tratta quindi di valutare il valore patrimoniale di quanto richiesto
dall’appellante come rimborso per gli investimenti posti in essere, così
rientrando nelle controversie concernenti “indennità, canoni e altri
corrispettivi” devolute alla giurisdizione del g.o., non venendo in
rilievo quel potere pubblico che è sotteso alla scelta legislativa sulla
giurisdizione esclusiva del g.a.
La previsione della giurisdizione esclusiva del g.a. si legittima infatti,
secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, in riferimento alle
materie nelle quali vi è esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, di
un potere pubblico (Corte cost. 06.07.2004, n. 204 e 11.05.2006, n. 191),
così escludendo i “meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio”
(Corte cost. 15.07.2016, n. 179).
Anche considerando che il Comune ha contestato la debenza delle somme in
ragione della mancanza di autorizzazione preventiva rispetto agli
investimenti di cui alla pretesa della curatela fallimentare, la circostanza
rileva al più in punto di qualificazione dell’azione in termini di
arricchimento senza causa, non essendo quindi determinante al fine di
radicare la giurisdizione presso questo Giudice.
Né può influire sulla giurisdizione il principio della ragionevole durata
del processo.
11.2. Il motivo di appello non è quindi fondato
(CGARS,
sentenza 19.04.2021 n. 328 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ai sensi dell'art. 31, co. 3, del d.lgs. n. 50 del 2016: "Il RUP,
ex lege 07.08.1990, n. 241, svolge tutti i compiti relativi alle procedure
di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione previste dal
presente codice, che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o
soggetti".
La norma invero attribuisce al R.U.P. lo svolgimento dei "compiti",
rimarcando dunque il ruolo centrale -di ausilio istruttorio e non solo- che
l'organo in questione riveste nell'ambito delle procedure di gara, mentre la
commissione giudicatrice è organo straordinario deputato ad un'attività di
giudizio "consistente nella" e "limitata alla" "valutazione delle offerte
dal punto di vista tecnico ed economico in qualità di organo straordinario e
temporaneo della stazione appaltante con funzioni istruttorie.
Ne deriva la competenza generale del R.u.p. a svolgere tutti i compiti (id
est, ad adottare tutti gli atti della procedura), non soltanto operazioni di
carattere materiale, ma anche attività giuridica esternata in veri e propri
atti.
Il precedente richiamato, dopo aver ricordato che "è stata ritenuta la
competenza del R.u.p. all'adozione del provvedimento di esclusione dalla
procedura di gara degli operatori economici", ha altresì evidenziato che,
sul piano del diritto positivo, con riferimento al provvedimento di
esclusione dalla procedura, l'art. 80 individua nella "stazione appaltante"
il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento di esclusione dell'operatore
economico.
Quindi, la competenza all'esternazione dell'atto va ravvisata in capo
all'organo della stazione appaltante che, istituzionalmente, assume la
posizione apicale (sia in base ai principi del diritto societario che in
base ai principi del diritto amministrativo, competente ad esprimere ed
esternare la volontà dell'ente è l'organo di vertice).
---------------
Come pacifico in giurisprudenza (per tutte si veda Consiglio di Stato sez.
IV, 09/07/2020, n. 4401), ai sensi dell'art. 31, co. 3, del d.lgs. n. 50 del
2016: "Il RUP, ai sensi della legge 07.08.1990, n. 241, svolge tutti i
compiti relativi alle procedure di programmazione, progettazione,
affidamento ed esecuzione previste dal presente codice, che non siano
specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti". La norma invero
attribuisce al R.U.P. lo svolgimento dei "compiti", rimarcando dunque
il ruolo centrale -di ausilio istruttorio e non solo- che l'organo in
questione riveste nell'ambito delle procedure di gara, mentre la commissione
giudicatrice è organo straordinario deputato ad un'attività di giudizio "consistente
nella" e "limitata alla" "valutazione delle offerte dal punto di
vista tecnico ed economico in qualità di organo straordinario e temporaneo
della stazione appaltante con funzioni istruttorie.
Come chiarito dalla giurisprudenza, ne deriva la competenza generale del
R.u.p. a svolgere tutti i compiti (id est, ad adottare tutti gli atti
della procedura), non soltanto operazioni di carattere materiale, ma anche
attività giuridica esternata in veri e propri atti (Cons. Stato, Sez. V,
12.02.2020 n. 1104).
Il precedente richiamato, dopo aver ricordato che "è stata ritenuta la
competenza del R.u.p. all'adozione del provvedimento di esclusione dalla
procedura di gara degli operatori economici (cfr. Cons. Stato, sez. V,
13.09.2018, n. 5371; III, 19.06.2017, n. 2983; V, 06.05.2015, n. 2274; V,
21.11.2014, n. 5760)", ha altresì evidenziato che, sul piano del diritto
positivo, con riferimento al provvedimento di esclusione dalla procedura,
l'art. 80 individua nella "stazione appaltante" il soggetto tenuto ad
adottare il provvedimento di esclusione dell'operatore economico.
Quindi, la competenza all'esternazione dell'atto va ravvisata in capo
all'organo della stazione appaltante che, istituzionalmente, assume la
posizione apicale (sia in base ai principi del diritto societario che in
base ai principi del diritto amministrativo, competente ad esprimere ed
esternare la volontà dell'ente è l'organo di vertice)
(CGARS,
sentenza 19.04.2021 n. 326 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Effetti
dell’esclusione dalla gara di un’offerta ritenuta anomala.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerte anomale – Esclusione –
Conseguenza.
L’annullamento del provvedimento di esclusione dalla
gara di un’offerta ritenuta anomala non comporta l’obbligo per la stazione
appaltante, prima di procedere all’aggiudicazione, di operare una nuova
valutazione di anomalia, ove la pronuncia caducatoria non comporti –come nel
caso di specie- margini per la riedizione del potere, fondandosi
sull’accertamento della sostenibilità economica di tale offerta (1).
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(1) Ha chiarito la Sezione che il giudicato che, accogliendo il
ricorso contro il provvedimento di esclusione per anomalia dell’offerta,
accerti la congruità dell’offerta medesima in punto di sostenibilità
economica della stessa, preclude la proposizione, all’esito di un nuovo
provvedimento di aggiudicazione non preceduto da nuova valutazione di
congruità, di motivi di ricorso che censurano l’aggiudicazione per ritenuta
anomalia della relativa offerta (anche in ragione del carattere globale ed
onnicomprensivo di tale giudizio)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 14.04.2021 n. 3085 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Partecipazione
dei privati al procedimento prodromico alla conclusione dell’accordo di
programma finalizzato all’attuazione di opere pubbliche.
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Opere pubbliche - Accordi di programma – Art. 34 T.u.e.l. -
Partecipazione di privati – Esclusione.
Ai sensi dell’art. 34 T.u.e.l. non è prevista la
partecipazione dei privati al procedimento prodromico alla conclusione
dell’accordo di programma, mentre gli enti che vi partecipano sono liberi di
aderire fino alla conclusione dell’accordo; conseguentemente deve escludersi
che si configuri una situazione di affidamento in capo al privato
interessato in via di fatto alla conclusione dell’accordo, specie quando gli
effetti di tale accordo consistano, nella sostanza, nell’esercizio di poteri
attinenti alla pianificazione del territorio (1).
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(1) La Sezione ha premesso che l’accordo di programma costituisce
una species del più ampio genus degli accordi di
programmazione negoziata (Cons.
Stato, sez. IV, 20.07.2018, n. 4413) e, in linea ancora più
generale, dell’istituto degli accordi fra amministrazioni di cui all’art.
15, l. n. 241 del 1990, che ne scandisce la disciplina residuale, per quanto
non espressamente previsto in quella speciale dell’art. 34, d.lgs. n. 267
del 2000 (Cons. Stato, sez. IV,
09.03.2021, n. 1948; sez. IV,
25.06.2013, n. 3458; sez. IV,
24.10.2012, n. 5450).
Secondo l’interpretazione che viene data della disciplina generale che regge
il suddetto istituto, quest’ultimo costituisce un modulo di semplificazione
procedimentale finalizzato alla definizione e all’attuazione di opere,
interventi o programmi di intervento, che implica l’azione integrata di più
amministrazioni, di modo che con la sottoscrizione dell’accordo, queste
assumono pari dignità in ragione della coessenzialità dell’apporto di
ciascuna di esse (Cons. Stato, sez. IV,
09.03.2021, n. 1948; sez. IV,
20.07.2018, n. 4413; sez. IV,
02.03.2011, n. 1339; sez. IV, 06.12.1999, n. 2067; sez. IV,
28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 21.11.2005, n. 6467).
Esso, dunque, non è non è qualificabile alla stregua di un qualsiasi
contratto civilistico o negozio stipulato in base al codice civile (Cons.
Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948).
Tale consenso si forma progressivamente attraverso fasi successive, che, a
partire dalla fase della “promozione” dell’accordo sono normalmente
scandite da atti o deliberazioni degli organi degli enti e delle
amministrazioni interessati e si perfeziona con la conclusione (ossia con la
sottoscrizione) dell’accordo di programma, che può dirsi così completo e
perfetto (Cons. Stato, sez. IV,
20.07.2018, n. 4413; sez. IV,
28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 17.06.2003, n. 3403).
Segnatamente, l’accordo di programma, secondo l’interpretazione che viene
data della disciplina che regge il suddetto istituto (l’art. 34, d.l.gs n.
267 del 2000) implica il consenso unanime delle amministrazioni che tale
accordo stipulano per attuare un’opera o un progetto (Cons. Stato, sez. IV,
20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 17.06.2003, n.
3403; sez. IV, 01.08.2001, n. 4206).
Ha ancora chiarito la Sezione che sono tassativi i casi in cui è consentito
riconoscere una situazione di affidamento giuridicamente rilevante in sede
di pianificazione del territorio; in sostanza le uniche evenienze, che
richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti
urbanistici generali sono date:
a) dal superamento degli standards minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di
sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di
zona di determinate aree;
b) da convenzioni di lottizzazione e accordi di diritto privato
intercorsi fra il comune e i proprietari delle aree;
c) da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di titoli
edilizi o di silenzio rifiuto su una domanda di rilascio di un titolo;
d) dalla modificazione in zona agricola della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.04.2021 n. 2999 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
29. Il primo motivo di appello è infondato.
29.1. Giova ribadire che, secondo la costante giurisprudenza di questo
Consiglio, l’accordo di programma costituisce una species del più ampio
genus degli accordi di programmazione negoziata (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
20.07.2018, n. 4413) e, in linea ancora più generale, dell’istituto
degli accordi fra amministrazioni di cui all’art. 15 legge n. 241 del 1990,
che ne scandisce la disciplina residuale, per quanto non espressamente
previsto in quella speciale dell’art. 34 d.lgs. n. 267 del 2000 (Cons.
Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948; sez. IV, 25.06.2013, n. 3458;
sez. IV, 24.10.2012, n. 5450).
29.1.1. Secondo l’interpretazione che viene data della disciplina generale
che regge il suddetto istituto, quest’ultimo costituisce un modulo di
semplificazione procedimentale finalizzato alla definizione e all’attuazione
di opere, interventi o programmi di intervento, che implica l’azione
integrata di più amministrazioni, di modo che con la sottoscrizione
dell’accordo, queste assumono pari dignità in ragione della coessenzialità
dell’apporto di ciascuna di esse (Cons. Stato, sez. IV, 09.03.2021, n.
1948; sez. IV, 20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 02.03.2011, n. 1339; sez. IV, 06.12.1999, n. 2067; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 21.11.2005, n. 6467).
Esso, dunque, non è non è qualificabile alla stregua di un qualsiasi
contratto civilistico o negozio stipulato in base al codice civile (Cons.
Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948).
29.1.2. Tale consenso si forma progressivamente attraverso fasi successive,
che, a partire dalla fase della “promozione” dell’accordo sono normalmente
scandite da atti o deliberazioni degli organi degli enti e delle
amministrazioni interessati e si perfeziona con la conclusione (ossia con la
sottoscrizione) dell’accordo di programma, che può dirsi così completo e
perfetto (Cons. Stato, sez. IV, 20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 17.06.2003, n. 3403).
29.1.3. Segnatamente, l’accordo di programma, secondo l’interpretazione che
viene data della disciplina che regge il suddetto istituto (l’art. 34 del
d.l.gs n. 267 del 2000) implica il consenso unanime delle amministrazioni
che tale accordo stipulano per attuare un’opera o un progetto (Cons. Stato,
sez. IV, 20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV,
17.06.2003, n. 3403; sez. IV, 01.08.2001, n. 4206).
29.1.4. Con specifico riferimento alla deduzione relativa alla circostanza
che il ripensamento del Comune avrebbe frustrato l’attività amministrativa
fino a quel momento compiuta, il Collegio evidenzia che, in base ai principi
enunciati nel tempo dalla giurisprudenza di questo Consiglio e poc’anzi
ribaditi, contrariamente a quanto affermato dalla società, non può dubitarsi
che ciascun ente rimane libero di addivenire o meno alla conclusione
dell’accordo di programma.
29.2. Le amministrazioni che hanno intrapreso le attività preordinate alla
conclusione di un accordo di programma possono sempre, nell’esercizio delle
loro prerogative istituzionali, rivalutare l’opportunità di giungere al suo
perfezionamento, specialmente allorché si verifichino delle sopravvenienze
in fatto, come nel caso di specie (la sopravvenuta chiusura dello
stabilimento del Gres e l’opportunità di recuperare tale area, piuttosto che
occupare altro suolo inedificato).
29.3. Può affermarsi, dunque, che, sino a quando l’accordo di programma non
si è perfezionato -e impregiudicata ogni statuizione, da parte del
Collegio, sui poteri degli enti in caso di sua conclusione, non costituendo
tale questione oggetto del presente giudizio (ancorché su questo aspetto, in
senso favorevole al potere di recesso, si vedano Cons. Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948; sez. V, 24.10.2000, n. 5710)- gli enti che hanno
intrapreso le attività necessarie per valutarne l’opportunità, il contenuto
e quant’altro occorra per giungere alla sua conclusione, rimangono
pienamente legittimati ad interrompere tali attività e, conseguenzialmente,
possono liberamente sottrarsi alla sua conclusione.
29.4. Non sussiste, dunque, alcuna illegittimità degli atti con i quali tale
volontà è stata manifestata dal Comune di Sorisole.
29.5. Si puntualizza che eventuali profili di illegittimità della nota del
Sindaco del Comune, per incompetenza dell’organo, rimangono superati dalla
successiva adozione della deliberazione, da parte del Consiglio comunale,
che ha manifestato, motivatamente, un intento pressoché identico a quello
previamente espresso dalla nota sindacale.
Un simile atto consiliare varrebbe dunque come convalida dell’atto
precedente o, comunque, come atto autonomamente lesivo della posizione della
società appellante (sicché un’eventuale pronuncia di annullamento del primo
atto non sortirebbe alcun risultato pratico favorevole per l’impresa).
29.6. Il primo motivo di appello va pertanto respinto.
30. Parimenti infondato è il secondo motivo di appello, con il quale si
lamenta, in sintesi, la lesione del legittimo affidamento riposto dalla
società nella conclusione dell’accordo e il mancato risarcimento dei danni
che ne sarebbero scaturiti.
31. Invero, le deduzioni dell’appellante poggiano su un fondamento che
questo Collegio non condivide e, anzi, ritiene manifestamente infondato.
31.1. Non sussiste, infatti, alcun affidamento che possa qualificarsi come
“legittimo”, se rapportato sia alla natura, sia alle caratteristiche
dell’istituto dell’accordo di programma, sia, infine, all’iter procedimentale che è stato effettivamente intrapreso e svolto nella vicenda
in esame.
31.1.1. Quanto al primo aspetto, va rimarcato come l’accordo previsto e
disciplinato dall’art. 34 del T.u.e.l. costituisce un’ipotesi di
amministrazione negoziata, con il quale più amministrazioni competenti in
procedimenti pluristrutturati o che comunque interessano il territorio di
più Comuni concordano le linee di azione per la realizzazione di una
determinata opera.
31.1.2. Per tale tipologia di accordi non è prevista la partecipazione dei
privati, i quali dunque rispetto a tutta l’attività ivi svolta non possono
che considerarsi terzi.
31.1.3. Già tale constatazione è sufficiente ad evidenziare come nessun
legittimo affidamento può sorgere rispetto ad un’attività che non coinvolge
in maniera diretta e da un punto di vista prettamente giuridico la parte
privata, in base all’ovvia considerazione, costituente un caposaldo
dell’ordinamento giuridico, che “res inter alios acta neque prodest neque
nocet”.
31.2. Questa Sezione, inoltre, ha avuto modo di sottolineare (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 03.11.2016, n. 4599; sez. IV, 05.09.2016, n.
3806; sez. IV, 25.05.2016 n. 2221; sez. IV, 10.05.2012 n. 2710), che
l’esercizio del potere di pianificazione urbanistica del territorio è
attribuito ai Comuni; a questi ultimi, non soltanto compete l’individuazione
delle destinazioni delle zone del territorio comunale (ed in particolare la
possibilità e limiti edificatori delle stesse), ma, in termini più generali,
è attribuita, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, la
possibilità di realizzare anche finalità economico–sociali della comunità
locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi
di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di
rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 18.08.2017, n. 4037).
31.2.1. A fronte di un’ampia discrezionalità e latitudine del potere di
governo del territorio, conferito alla gestione comunale, risulta arduo,
nella maggioranza dei casi, configurare, in capo al privato, un affidamento
definibile come “legittimo”, ossia basato non su una mera aspettativa di
fatto, ma su circostanze che oggettivamente, univocamente e incontrastabilmente conducano, ragionevolmente e secondo una valutazione
rigorosa, a intravedere la futura concessione del bene della vita.
32.2.2. Nel caso in esame, mancano indici concreti, conducenti e concordanti
di una simile evenienza.
32.2.3. Si consideri che, come segnalato dal Comune, non vi sono evidenze,
in base agli atti del procedimento, che l’attività preordinata all’accordo
fosse in uno stadio molto avanzato e questo fosse in procinto di essere
concluso, cosicché, persino laddove si volesse adoperare, come mero
espediente di ragionamento e per assurdo, la categoria civilistica del
recesso dalle trattative precontrattuali (art. 1337 c.c.), comunque non
potrebbe dirsi sorto quell’affidamento legittimo che giustifica e sorregge
la richiesta del risarcimento per responsabilità precontrattuale.
33. Si rimarca, infine, che, in consonanza a quanto sinora evidenziato, si è
avuto modo di sottolineare, anche di recente, l’ampia discrezionalità di cui
godono i Comuni nelle scelte urbanistiche che coinvolgono il loro territorio
(cfr. Corte cost., 21.12.2020, n. 276).
33.1. Ove si opinasse, come lascia intendere la società, che tali scelte
possono essere foriere di responsabilità (salvo casi eccezionali), si
menomerebbe di fatto una prerogativa che invece è riconosciuta all’ente di
diritto.
33.2. Tali conclusioni sono coerenti coi principi sviluppati dalla costante
giurisprudenza circa la tassatività dei casi in cui è consentito riconoscere
una situazione di affidamento giuridicamente rilevante in sede di
pianificazione del territorio (in sostanza le uniche evenienze, che
richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti
urbanistici generali sono date dal superamento degli standards minimi di cui
al d.m. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla
destinazione di zona di determinate aree, dalla lesione dell'affidamento
qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi
di diritto privato intercorsi fra il comune e i proprietari delle aree,
aspettative nascenti da giudicati di annullamento di titoli edilizi o di
silenzio rifiuto su una domanda di rilascio di un titolo e, infine, dalla
modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non abusivo, cfr. fra le tante Cons.
Stato, sez. IV, 18.08.2017, n. 4037; 18.11.2013, n. 5453).
34. Il secondo motivo di appello va pertanto respinto.
35. In conclusione, alla luce delle motivazioni suesposte, l’appello va
respinto.
36. Quanto alle spese del giudizio, Il Collegio rileva, inoltre,
che
l’infondatezza del ricorso in appello si fonda su ragioni manifeste in modo
da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. secondo
l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo
Consiglio (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 12.04.2018, n. 2205;
sez. IV, 28.12.2016, n. 5497, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88,
comma 2, lettera d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed
alla determinazione della sanzione), conformemente ai principi elaborati
dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. VI, n. 11939 del 2017; n.
22150 del 2016).
36.1. A tanto consegue il pagamento della sanzione nella misura di € 4.000
per l’appellante (cfr. sul punto, fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n.
2205 del 2018; n. 2116 del 2018; n. 364 del 2017; cui si rinvia a mente
dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.).
36.2. La condanna dell’appellante,
ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a.,
rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art.
2, comma 2-quinquies, lett. a) e d), della legge 24.03.2001, nr. 89, come da ultimo
modificato dalla legge 28.12.2015, n. 208.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull’appello n.r.g. 4334 del 2014, lo respinge
e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado con diversa
motivazione.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune di Sorisole,
delle spese del giudizio di appello che liquida in euro 15.000,00
(quindicimila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso
spese generali al 15%).
Condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., al pagamento
della somma di € 4.000,00 (quattromila/00) da versare secondo le modalità di
cui all’art. 15 disp. att. c.p.a., mandando alla Segreteria per i
conseguenti adempimenti
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.04.2021 n. 2999 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE: Corte
Conti, quadro economico integrabile con incentivi per funzioni tecniche non
previsti ma con motivazione rafforzata.
La Corte dei conti, sezione Emilia Romagna affronta, con il
parere 13.04.2021 n. 56, una questione abbastanza frequente nella gestione degli appalti
ovvero la possibilità di riconoscere gli incentivi per funzioni tecniche
(articolo 113 del Codice) non previsti nel quadro economico
dell'acquisizione.
In particolare, il sindaco di un Comune emiliano ha posto
al collegio il quesito sulla possibilità di riconoscere gli incentivi «se,
per le forniture di beni e servizi, non siano stati inizialmente previsti
nel quadro economico iniziale dell'appalto ma vengano previsti solo
attraverso provvedimento successivo».
Le condizioni indispensabili per riconoscere l'incentivo
Prima di fornire il riscontro, in delibera si rammentano quelle che sono le
condizioni minime imprescindibile per legittimare l'incentivo, in dettaglio
si precisa la necessità:
a) che la stazione appaltante si sia dotata dell'apposito
regolamento interno. Si tratta, sottolinea la sezione, di una condizione
«essenziale ai fini del legittimo riparto tra gli aventi diritto delle
risorse accantonate sul fondo e sede idonea per circoscrivere
dettagliatamene le condizioni alle quali gli incentivi possono essere
erogati»;
b) che le risorse finanziarie del fondo costituito ai sensi
dell'articolo 113, comma 2, del Codice dei contratti siano chiaramente
ripartite, per ciascuna opera, lavoro, servizio e fornitura, «con le
modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata
integrativa del personale»;
c) che l'impegno di spesa, conseguente, sia assunto a valere sulle
risorse stanziate nel quadro economico dell'appalto, «attraverso la
costituzione di un apposito fondo vincolato non superiore al 2% dell'importo
dei lavori posti a base di gara»;
d) quindi, secondo un controllo che compete anche in fase di
erogazione dell'incentivo a cura del responsabile del servizio del personale
o della contabilità, che «l'incentivo spettante al singolo dipendente non
ecceda il tetto annuo lordo del 50% del trattamento economico complessivo».
In relazione, poi, agli appalti di servizi e forniture, si impone
l'ulteriore condizione imprescindibile ovvero che risulti, formalmente,
«nominato il direttore dell'esecuzione».
Si deve trattare, pertanto, di appalto di importo pari/superiore ai 500mila
euro o di particolare complessità o tale da giustificare l'intervento, in
fase esecutiva, di diverse professionalità (in questo senso le linee guida
Anac n. 3)
Il fondo appositamente dedicato presuppone, a propria volta, «che gli oneri
inerenti alle attività elencate al comma 1 dell'art. 113 abbiano trovato
adeguata copertura nel bilancio dell'ente attraverso appositi stanziamenti».
Il riscontro
Nel riscontrare il quesito, la sezione rammenta il precedente della sezione
della Puglia (parere
18.07.2014 n. 133) che ha escluso una programmazione postuma degli
incentivi e quindi l'impossibilità di modificare i quadri economici visto
che il compenso per funzioni tecniche deve avere una adeguata copertura
finanziaria nella programmazione di spesa finalizzato all'acquisizione.
In
maniera, maggiormente, pragmatica però la sezione emiliana, invece, non
esclude la possibilità di una previsione/programmazione postuma
dell'incentivo e quindi di «successiva inclusione nel quadro economico»
purché ricorrano sia le condizioni generali predette e sempre che ciò non
determini un aggravio/incremento di costo per la stazione appaltante.
Considerato, infatti, che la finalità fondante gli incentivi è «quella di
accrescere l'efficienza della spesa attraverso il risparmio che deriva dal
ricorso a professionalità interne per lo svolgimento di attività funzionali
alla realizzazione di appalti, in circostanze che altrimenti richiederebbero
il ricorso a professionisti esterni, con possibili aggravi di costi per il
bilancio dell'ente interessato».
L'inciso ultimo, ovvero l'esigenza di non
incrementare/aggravare i costi induce, quindi, a ritenere che è possibile
una programmazione postuma sugli incentivi ma solamente se rimangono risorse
nell'ambito del quadro economico definito. Ad esempio, per economie
risultati dall'aggiudicazione.
La necessità di una motivazione rafforzata
Ad epilogo del riscontro, la sezione annota che, in ogni caso, una
programmazione postuma degli incentivi rappresenta una anomalia che
potrebbe/dovrebbe essere determinata solamente da fatti sopravvenuti ed
imprevedibili. In difetto non potrebbe non ravvisarsi un difetto di
programmazione che, di per sé, dovrebbe contraddire la stessa spettanza
degli incentivi.
In dettaglio, sul punto, in delibera si legge che nel caso di specie
«occorre tuttavia rilevare l'anomalia di una iscrizione solo successiva
della voce di costo legata agli incentivi nel quadro economico, la quale, se
non giustificata da fatti sopravvenuti e non prevedibili utilizzando
l'ordinaria diligenza, potrebbe essere sintomatica di un difetto di
programmazione». E in tema si richiama il precedente
parere 19.03.2019 n. 25 della
Sezione regionale di controllo per il Piemonte, «sulla centralità
del momento programmatorio, volto a definire i bisogni della collettività,
ad approntare le necessarie misure per soddisfarli ed a consentire la
verifica della congruità, proporzionalità, dell'efficienza dei risultati
raggiunti».
Per effetto di quanto, una modifica postuma del quadro economico, al fine di
inserire la voce di costo relativa agli incentivi «dovrà essere sostenuta da
un obbligo di motivazione rafforzata dei relativi provvedimenti, che dia
conto della finalizzazione all'interesse pubblico». Motivazione che
garantisce «il rispetto del principio costituzionale del buon andamento,
secondo un principio già espresso da questa Sezione in relazione all'incentivabilità
di funzioni tecniche svolte per la realizzazione di appalti non inseriti
nella programmazione, al ricorrere di circostanze eccezionali ed
imprevedibili (parere 10.02.2021 n. 11)»
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 22.07.2021). |
APPALTI: Verifica
di congruità del costo della manodopera di cui all’art. 97, comma 10, del
Codice dei contratti pubblici.
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Contratti della pubblica amministrazione – Offerta - Costo della
manodopera - Art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 – Verifica di
congruità – Contenuti - Parametro ANCE – Utilizzabilità ex se – Esclusione.
Ai fini della verifica della congruità dell’offerta
presentata in sede di gara non assume rilevanza il parametro ANCE che, se
può costituire un utile riferimento per corroborare le valutazioni di
congruità del costo del lavoro, quale canone riferito a dati generali e
aggregati (percentuale generale del costo del lavoro per singola tipologia
di lavorazione), non può costituire unico fondamento dell’analisi condotta
dalla Stazione appaltante (1).
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(1) La verifica del costo della manodopera di cui all’art. 95,
comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 mira ad accertare la congruità del valore
dichiarato non sulla base dell’affermato rispetto delle garanzie retributive
dei lavoratori, ma delle caratteristiche specifiche dell’impresa e
dell’offerta, considerando in concreto il numero di lavoratori impiegati per
l’esecuzione delle opere previste in contratto, distinti per inquadramento e
ore di utilizzo, al fine di determinare il costo orario delle maestranze
destinate all’esecuzione dell’appalto e verificare così il rispetto dei
parametri salariali di riferimento indicati nelle tabelle ministeriali di
cui all’art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50/2016, richiamato dall’art. 97,
comma 5, lett. d), del medesimo decreto (disposizione questa a cui fa rinvio
l’art. 95, comma 10, ai fini della verifica del costo della manodopera
condotta contestualmente o separatamente da una verifica di congruità
complessiva dell’offerta).
Come nella verifica di anomalia, devono essere forniti alla Stazione
appaltante tutti gli elementi necessari alla ricostruzione del costo della
manodopera sopportato dall’impresa per l’esecuzione di quanto proposto con
l’offerta prodotta in gara, eventualmente anche non strettamente relativi a
tale costo ma utili alla ricostruzione dello stesso.
Tale analisi non può limitarsi semplicemente alla verifica dell’incidenza
percentuale del costo complessivo della manodopera sulle singole
lavorazioni, confrontandola con quella riscontrabile nell’ambito del mercato
di riferimento, ma deve andare a considerare anche le particolarità della
singola impresa e della singola offerta al fine di accertare che il costo
complessivamente indicato inglobi effettivamente trattamenti salariali non
inferiori ai minimi previsti per i singoli lavoratori impiegati.
Non può pertanto assumere rilevanza il parametro ANCE che, se può costituire
un utile riferimento per corroborare le valutazioni di congruità del costo
del lavoro, quale canone riferito a dati generali e aggregati (percentuale
generale del costo del lavoro per singola tipologia di lavorazione), non può
costituire unico fondamento dell’analisi condotta dalla Stazione appaltante.
Il documento ANCE è infatti legato alla finalità di contrastare il lavoro
sommerso e irregolare e reca indici meramente convenzionali per una verifica
ex post della incidenza del costo del lavoro sul valore dell’opera, indici
che non possono essere “utilizzati ad altri fini o comunque quali
indicatori per i prezzi degli appalti”
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 08.04.2021 n. 867 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: ●
Sulla funzione dell'istituto dei prezzari regionali.
●
Sull'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare i prezziari regionali.
●
Il fondamento dell'istituto dei prezzari regionali rinviene in una duplice
esigenza.
Da un lato la funzione dell'istituto è quella, nell'interesse precipuo
delle Stazioni Appaltanti e della collettività, di assicurare la serietà
dell'offerta e la qualità delle prestazioni finali rese dall'operatore
economico selezionato, evitando che la previsione di importi di base
eccessivamente bassi impedisca di formulare offerte di sufficiente pregio
tecnico (come comprovato dalla collocazione della disciplina sotto l'art. 23
del D.Lgs. n. 50 del 2016 in tema di "Livelli della progettazione per gli
appalti, per le concessioni di lavori nonché per i servizi").
Dall'altro, l'istituto dei prezzari regionali ha funzione di regolare il
mercato delle opere pubbliche e di prevenirne le storture. L'impiego di
parametri eccessivamente bassi (o, viceversa troppo elevati), comunque non
in linea con le caratteristiche reali del settore imprenditoriale (come
declinate in concreto con riguardo ad un dato territorio ed uno specifico
frangente temporale), è in grado, infatti, di alterare il gioco della
concorrenza ed impedire l'accesso al mercato in condizioni di parità. Questi
ultimi sono valori a carattere sovraindividuale e di primaria importanza
nell'ottica dello stesso Codice dei Contratti Pubblici e del diritto
dell'Unione.
È, quindi, di tutta evidenza che la previsione di prezzari regionali operi
nell'interesse precipuo degli operatori economici del settore operanti sul
mercato, non tanto uti singuli, quanto come categoria unitaria.
La previsione in seno alla lex specialis di gara di una base d'asta non
rispettosa dei valori stabiliti nel prezzario regionale ex art. art. 23, c.
16, 3° periodo, del D.Lgs. n. 50 del 2016 è circostanza che, nella
prospettiva ex ante che deve caratterizzare la verifica in ordine alla
sussistenza delle condizioni dell'azione, impedisce la formulazione di
un'offerta seria da parte degli operatori economici interessati.
Ne discende che non può ragionevolmente pretendersi dagli stessi, ai soli
fini del possesso della legittimazione ad agire in giudizio con
l'impugnazione del Bando di gara, la presentazione di una domanda di
partecipazione alla procedura di affidamento. Quest'ultimo si tramuterebbe,
infatti, in un inutile adempimento formale, privo di qualsivoglia valenza
sul piano sostanziale.
●
Il chiaro tenore dell'art. 23, c. 16, 3° periodo, del D.Lgs. n.
50 del 2016, secondo il quale "Per i contratti relativi a lavori il costo
dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni è determinato sulla
base dei prezzari regionali aggiornati annualmente", spinge a ritenere che
le Stazioni Appaltanti siano tenute a fare puntuale applicazione dei
prezzari regionali.
La previsione in parola non si esprime, infatti, in termini di mera
possibilità (come accade aliunde ove si dice che la P.A. "può") ma pone un
vero e proprio obbligo in tal senso. Del resto, anche a ritenere che il
prezzario regionale non abbia valore "tout court" vincolante ma costituisca
la base di partenza per l'elaborazione delle voci di costo della singola
procedura, deve nondimeno ritenersi che in caso di eventuale scostamento da
detti parametri di riferimento, la stazione appaltante sia tenuta a darne
analitica motivazione (in questo senso cfr. anche la delibera A.N.A.C. n.
768 del 04.09.2019).
Ciò è vieppiù necessario ove tale scostamento sia particolarmente sensibile
non potendosi tollerare una determinazione del prezzo a base d'asta
completamente arbitraria in quanto priva del necessario apparato
giustificativo
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 06.04.2021 n. 497 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
marzo 2021 |
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APPALTI: Controinteressati
nel rito appalti – Appalto integrato con progettazione esecutiva ed
esecuzione dei lavori e progettista privo di requisiti.
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●
Processo amministrativo – Rito appalti – Controinteressato – Concorrente
primo in graduatoria - Aggiudicazione non decretata – Non è
controinteressato.
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Progettazione - Appalto integrato
- Progettista esterno sprovvisto di requisiti – Esclusione dalla gara –
Condizione.
●
Prima della formale aggiudicazione della gara il primo graduato all’esito
della procedura non riveste la qualifica di controinteressato, al quale il
ricorso deve essere notificato (1).
●
Nell’appalto integrato, che comprende progettazione esecutiva ed
esecuzione dei lavori, ai sensi dell’art. 59, comma 1-bis, del codice dei
contratti pubblici, è possibile la estromissione del soggetto sprovvisto del
requisito e la sua eventuale sostituzione con altro soggetto che, viceversa,
sia in possesso di tutti i requisiti di ordine generale, salvo il caso in
cui il progettista esterno all’impresa si associ con quest’ultima ai fini
della progettazione ma soprattutto ai fini dell’offerta, vale a dire si
qualifica come offerente (2).
---------------
(1) Ha ricordato il C.g.a. che il concorrente primo in graduatoria,
in assenza di un provvedimento di aggiudicazione, non rivestiva una
posizione di controinteressato in senso tecnico.
Le gare di appalto, come tutte le procedure concorsuali, si caratterizzano
per la loro articolazione in due fasi: la fase di ammissione alla procedura
e la fase di svolgimento della gara vera e propria.
Nella fase di ammissione, il candidato è titolare di un interesse legittimo
“strumentale” alla partecipazione, per cui vanta un interesse
legittimo oppositivo alla esclusione, rispetto al quale non sussistono
interessi qualificati di altri concorrenti a meno che non sia medio
tempore intervenuta l’aggiudicazione in loro favore.
La fase di svolgimento della gara, invece, si contraddistingue per la
scarsità dei beni della vita ai quali i concorrenti ammessi aspirano.
In particolare, nelle gare di appalto, il “bene della vita”,
costituito dall’aggiudicazione, è unico, per cui, mentre nell’ammissione può
essere eventualmente soddisfatto l’interesse legittimo “strumentale”
di ogni candidato, in esito allo svolgimento della gara può essere
soddisfatto uno e uno solo interesse legittimo “finale” ad ottenere
l’affidamento dell’appalto.
La vicenda contenziosa all’esame attiene alla fase dell’ammissione, in
quanto, sebbene la gara si sia svolta e sia stata formata la graduatoria, la
stazione appaltante non ha ancora proceduto all’aggiudicazione ed ha escluso
dalla procedura le prime due classificate.
In altri termini, non rileva la circostanza che la gara, al momento di
proposizione del ricorso, è già stata espletata, con la formazione della
relativa graduatoria.
(2) Ha ricordato il C.g.a. l’appalto in discorso è un appalto
integrato comprende progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori, ai
sensi dell’art. 59, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici.
L’appalto integrato è caratterizzato dal fatto che l’oggetto negoziale è
unico, nel senso che non vi è una doppia gara, una per la progettazione,
l’altra per l’esecuzione dei lavori, ma un’unica gara, con un unico
aggiudicatario, che diviene il solo contraente della stazione appaltante per
tutte le prestazioni pattuite.
Il comma 1-bis dell’art. 59, d.lgs. n. 50 del 2016, in proposito, stabilisce
che “le stazioni appaltanti possono ricorrere all’affidamento della
progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori sulla base del progetto
definitivo dell’amministrazione aggiudicatrice nei casi in cui l’elemento
tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell’appalto sia nettamente
prevalente rispetto all’importo complessivo dei lavori” e specifica che
“i requisiti minimi per lo svolgimento della progettazione oggetto del
contratto sono previsti nei documenti di gara nel rispetto del presente
codice e del regolamento di cui all’articolo 216, comma 27-octies; detti
requisiti sono posseduti dalle imprese attestate per prestazioni di sola
costruzione attraverso un progettista ‘raggruppato’ o ‘indicato’ in sede di
offerta, in grado di dimostrarli, scelto tra i soggetti di cui all’articolo
46, comma”.
Una previsione sostanzialmente simile era contenuta nell’art. 53, comma 3,
del previgente d.lgs. n. 163 del 2006.
Il progettista, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, quindi, può
essere individuato e coinvolto in tre modi: a) mandante in raggruppamento
temporaneo “eterogeneo” con gli operatori economici che partecipano
per l’appalto o alla concessione dei lavori e, in tal caso, assume anche la
qualifica di offerente; b) indicato ma estraneo all’offerente (cfr. sul tema
Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato,
09.07.2020, n. 13), cosiddetto ausiliario che presta un “avvalimento
atipico”; c) appartenente allo staff tecnico dell’offerente che concorre
per i lavori, a tale scopo contrattualizzato da quest’ultimo operatore
economico; in tal caso, lo staff tecnico può essere costituito anche da più
professionisti contrattualizzati individualmente in quanto assunti a tempo
indeterminato e a tempo pieno, quindi integrati nell’impresa con un rapporto
diretto.
Se lo staff tecnico dell’impresa non ha i requisiti tecnico-professionali
per la progettazione, l’impresa concorrente deve ricorrere a una delle
fattispecie sub a) o sub b).
Nella specie l’art. 10 del disciplinare di gara, coerentemente con la
descritta normativa, ha disposto che i soggetti in possesso di attestazione
SOA per la sola costruzione, ai sensi dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50
del 2016, devono alternativamente: indicare, in sede di offerta, un
progettista, sia esso persona fisica o giuridica, qualificato per l’attività
di progettazione, in possesso dei requisiti progettuali e di regolare
abilitazione professionale ad operare nello Stato italiano, al quale saranno
affidate in subappalto le attività di progettazione (Progettista “indicato”);
associare, quale mandante di raggruppamento temporaneo di tipo verticale
assegnatario della progettazione, uno dei soggetti elencati all’art. 46,
comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 e s.m.i., in possesso dei requisiti
progettuali di cui al successivo punto 10.2 (Progettista “associato”).
Il citato art. 10, inoltre, dispone che non è ammessa, pena l’esclusione, la
partecipazione alla gara di quei concorrenti che si avvalgono di progettisti
“indicati” o “associati” per i quali sussistono le cause
ostative alla partecipazione indicate nel paragrafo (vale a dire, i motivi
di esclusione di cui all’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la
sentenza n. 13 del 09.07.2020, ha chiarito che la posizione
giuridica del “progettista indicato” dall’impresa che ha formulato
l’offerta, è quella di un prestatore d’opera professionale che non entra a
far parte della struttura societaria che si avvale della sua opera, e men
che meno rientra nella struttura societaria
Il concorrente ed il “progettista indicato” rimangono due soggetti
distinti, che svolgono funzioni differenti, con conseguente diversa
distribuzione delle responsabilità.
Con la
decisione n. 13 del 2020, l’Adunanza Plenaria, pertanto,
confermando la posizione maggioritaria della giurisprudenza, ha affermato
che il progettista “indicato” va qualificato come professionista
esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo, sicché non rientra
nella figura del concorrente e, infatti, ha espresso il seguente principio
di diritto: “il progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia
dell’articolo 53, comma [3], del decreto legislativo n. 163 del 2006, va
qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto
esecutivo. Pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno
in quella di operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa
interna e da quella dell’Unione europea. Sicché non può utilizzare
l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione che esso è riservato
all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento cosiddetto “a
cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti pubblici, ora
abrogato e sostituito dal decreto legislativo n. 50 del 2016, che
espressamente lo vieta”.
Ha aggiunto la Sezione che accertata l’assenza di uno dei requisiti generali
nel progettista indicato, l’offerente debba essere automaticamente escluso,
come avvenuto nel caso di specie, ovvero sia possibile la estromissione del
soggetto sprovvisto del requisito e la sua eventuale sostituzione con altro
soggetto che, viceversa, sia in possesso di tutti i requisiti di ordine
generale.
La qualificazione del progettista indicato come di un soggetto diverso dai
concorrenti alla procedura determina che in caso di raggruppamento di
progettisti -quantomeno nelle ipotesi in cui il soggetto da estromettere non
sia stato determinante per la costituzione del raggruppamento, avendo
contribuito in modo essenziale a “portare” i requisiti di
qualificazione necessari alla partecipazione- il concorrente non possa
essere per ciò solo escluso a seguito dell’accertata carenza di un requisito
di carattere generale del progettista indicato, essendo consentita la sua
estromissione, nel caso di specie dal RTP dei progettisti, e la sua
sostituzione.
In altri termini, non essendo un offerente, ma un collaboratore (o, più
propriamente, un ausiliario) del concorrente, deve ritenersi possibile la
estromissione e l’eventuale sostituzione del progettista indicato con altro
professionista, non incorrendosi in una ipotesi di modificazione
dell’offerta, né di modificazione soggettiva del concorrente.
Un trattamento diverso, invece, deve essere riservato al caso nel quale il
progettista esterno all’impresa si associa con quest’ultima ai fini della
progettazione ma soprattutto ai fini dell’offerta, vale a dire si qualifica
come offerente.
La differenza si rivela evidente, poiché, trattandosi di offerente, il
progettista “associato”, non solo, al pari del progettista “indicato”,
è coinvolto direttamente dai motivi di esclusione di cui all’art. 80 del
Codice dei contratti pubblici ma, a differenza del progettista “indicato”,
è decisamente arduo ritenere che possa essere estromesso o sostituito, in
quanto ciò determinerebbe una modificazione dell’offerta e dell’offerente,
per cui la sua esclusione è destinata a riflettersi, travolgendolo,
sull’intero raggruppamento temporaneo tra l’impresa e il progettista.
D’altra parte, deve ritenersi che escludere in via automatica il concorrente
per una carenza riscontrata in capo ad un soggetto allo stesso estraneo
costituisce un esito contrario ai principi comunitari di cui all’art. 57,
comma 3, della Direttiva UE 2014/24, ed in particolare a quello di
proporzionalità (cfr. in proposito, sia pure in tema di subappalto, Corte di
giustizia dell’Unione Europea 30.01.2020, in causa C-395/2019).
Nel caso sottoposto all’esame del C.g.a. la clausola della lex specialis,
facendo riferimento anche ai progettisti “indicati”, ha chiaramente
disposto l’esclusione per fattispecie come quelle in esame, né tale clausola
è stata oggetto di impugnazione.
Tuttavia, l’esclusione dalla gara per inosservanza delle previsioni della
lex specialis può essere disposta solo ove tali previsioni siano poste a
tutela di un interesse pubblico effettivo e rilevante, sicché, nell’ottica
di favorire la realizzazione delle finalità sottese alla normativa in
materia, attraverso il fondamentale canone del favor partecipationis
è in atto un processo di dequotazione delle carenze formali o, comunque,
superabili che precludono l’accesso alla gara, di cui sono testimoni, in
particolare, l’introduzione del principio di tassatività delle fonti delle
cause di esclusione e l’ampliamento del c.d. soccorso istruttorio.
Il principio della tassatività delle fonti delle cause di esclusione, in
origine introdotto, attraverso il comma 1-bis dell’art. 46, d.lgs. n. 163
del 2016, dal d.l. n. 70 del 2011, è ora contenuto nell’art. 83, comma 8,
del d.lgs. n. 50 del 2016, il quale, nella parte finale, sancisce che “I
bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a
pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre
disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
Ora, non c’è dubbio che la causa di esclusione di cui all’art. 10 del
disciplinare sia correttamente mutuata dall’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016,
che disciplina per l’appunto i motivi di esclusione dalle gare pubbliche.
Tuttavia, il detto art. 80 si riferisce alla “esclusione di un operatore
economico dalla partecipazione”, sicché si riferisce agli offerenti,
vale a dire alle imprese concorrenti, laddove, come si è illustrato, il
progettista “indicato” non è un offerente, perché costituisce un
soggetto affatto diverso dal concorrente, per cui non può ritenersi che la
disposizione di legge si riferisca anche ai progettisti “indicati”.
Ne consegue che, a prescindere dalla mancata impugnazione, la clausola deve
essere dichiarata nulla, perché contiene una causa di esclusione non
prevista dal codice dei contratti pubblici o da altra disposizione di legge
(CGARS,
sentenza 31.03.2021 n. 276 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Principio
dell’unicità dell’offerta.
L’art. 32, comma 4, del
d.lgs. 18.04.2016, n. 50 che stabilisce che
ciascun concorrente non può presentare più
di un’offerta.
l principio di unicità dell’offerta, che
impone agli operatori economici di
presentare una sola proposta tecnica e una
sola proposta economica, al fine di
conferire all’offerta un contenuto certo ed
univoco, è posto a presidio:
- da un lato– del buon andamento, dell’economicità e della
certezza dell’azione amministrativa, per
evitare che la stazione appaltante sia
costretta a valutare plurime offerte
provenienti dal medesimo operatore
economico, tra loro incompatibili, e che
perciò venga ostacolata nell’attività di
individuazione della migliore offerta, e
- dall’altro– a tutela della par condicio dei concorrenti,
poiché la pluralità delle proposte
attribuirebbe all’operatore economico
maggiori possibilità di ottenere
l’aggiudicazione o comunque di ridurre il
rischio di vedersi collocato in posizione
deteriore, a scapito dei concorrenti fedeli
che hanno presentato una sola e univoca
proposta corrispondente alla prestazione
oggetto dell’appalto, alla quale affidare la
loro unica ed esclusiva chance di
aggiudicazione.
La presentazione di un’unica offerta capace
di conseguire l'aggiudicazione, infatti, è
il frutto di un’attività di elaborazione
nella quale ogni impresa affronta il rischio
di una scelta di ordine tecnico, che la
stazione appaltante rimette alle imprese del
settore, ma che comporta una obiettiva
limitazione delle possibilità di vittoria.
Alla luce di quanto sopra, dunque, la
possibilità di presentare una pluralità di
offerte o offerte alternative, comportando
l’opportunità di sfruttare una pluralità di
opzioni, non potrebbe mai essere accordata o
riservata ad una sola impresa concorrente,
ma dovrebbe comunque essere garantita a
tutte le partecipanti in nome della par
condicio e, pertanto, prevista e regolata
nella lex specialis.
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4. Sulla questione oggetto del presente
giudizio, l’articolo 32, comma 4, del d.lgs.
18.04.2016, n. 50, prevede che “ciascun
concorrente non può presentare più di
un’offerta”.
Il principio di unicità dell’offerta, che
impone agli operatori economici di
presentare una sola proposta tecnica e una
sola proposta economica, al fine di
conferire all’offerta un contenuto certo ed
univoco, è posto a presidio –da un lato–
del buon andamento, dell’economicità e della
certezza dell’azione amministrativa, per
evitare che la stazione appaltante sia
costretta a valutare plurime offerte
provenienti dal medesimo operatore
economico, tra loro incompatibili, e che
perciò venga ostacolata nell’attività di
individuazione della migliore offerta, e –dall’altro–
a tutela della par condicio dei
concorrenti, poiché la pluralità delle
proposte attribuirebbe all’operatore
economico maggiori possibilità di ottenere
l’aggiudicazione o comunque di ridurre il
rischio di vedersi collocato in posizione
deteriore, a scapito dei concorrenti fedeli
che hanno presentato una sola e univoca
proposta corrispondente alla prestazione
oggetto dell’appalto, alla quale affidare la
loro unica ed esclusiva chance di
aggiudicazione.
La presentazione di un’unica offerta capace
di conseguire l'aggiudicazione, infatti, è
il frutto di un’attività di elaborazione
nella quale ogni impresa affronta il rischio
di una scelta di ordine tecnico, che la
stazione appaltante rimette alle imprese del
settore, ma che comporta una obiettiva
limitazione delle possibilità di vittoria (cfr.,
ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V,
14.09.2010, n. 6695; TAR Lombardia, Milano,
Sez. II, 25.05.2020, n. 928; TAR Piemonte,
Sez. I, 11.02.2019, n. 193).
Alla luce di quanto sopra, dunque, la
possibilità di presentare una pluralità di
offerte o offerte alternative, comportando
l’opportunità di sfruttare una pluralità di
opzioni, non potrebbe mai essere accordata o
riservata ad una sola impresa concorrente,
ma dovrebbe comunque essere garantita a
tutte le partecipanti in nome della par
condicio e, pertanto, prevista e
regolata nella lex specialis (cfr.
TAR Lombardia, Milano, n. 928/2020 cit.)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.03.2021 n. 836 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Correzioni
di errori materiali da parte della
commissione di gara.
Il TAR Brescia precisa
che la circostanza che siano note le offerte
economiche non costituisce un ostacolo per
la commissione per correggere i propri
errori, in quanto la stazione appaltante può
correggere i propri errori fino al momento
dell’aggiudicazione.
Occorre naturalmente evitare che nella
correzione si insinuino elementi
discrezionali sospettabili di avere finalità
ulteriori, come, ad esempio, l’alterazione
dei rapporti tra le offerte tecniche o il
ridimensionamento del peso delle offerte
economiche; la condizione che garantisce dal
rischio e dal sospetto di manipolazioni è
costituita dal fatto che la commissione
giudicatrice operi per addizione o
sottrazione di punteggio nel rispetto dello
schema decisorio stabilito in precedenza.
L’intervento correttivo deve, quindi,
svolgersi secondo parametri oggettivi che
abbiano un sicuro ancoraggio nella lex
specialis e nelle scelte di metodo adottate
ex ante dalla commissione giudicatrice,
oltre che nelle regole della materia note a
tutti gli operatori economici
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 29.03.2021 n. 302 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
Sul riesame delle offerte
27. Dopo l’inutile attesa dell’integrazione
documentale, appare corretta la decisione
del RUP e della Centrale Unica di
Committenza di riconvocare la commissione
giudicatrice per adeguare i punteggi alle
reali caratteristiche dell’offerta della
ricorrente.
28. La circostanza che fossero ormai note le
offerte economiche non costituisce un
ostacolo, in quanto la stazione appaltante
può correggere i propri errori fino al
momento dell’aggiudicazione (v. CS Sez. III
28.09.2020 n. 5711).
Occorre naturalmente evitare che nella
correzione si insinuino elementi
discrezionali sospettabili di avere finalità
ulteriori, come ad esempio l’alterazione dei
rapporti tra le offerte tecniche o il
ridimensionamento del peso delle offerte
economiche. La condizione che garantisce dal
rischio e dal sospetto di manipolazioni è
costituita dal fatto che la commissione
giudicatrice operi per addizione o
sottrazione di punteggio nel rispetto dello
schema decisorio stabilito in precedenza.
29. L’intervento correttivo deve quindi
svolgersi secondo parametri oggettivi, che
abbiano un sicuro ancoraggio nella lex
specialis e nelle scelte di metodo
adottate ex ante dalla commissione
giudicatrice, oltre che nelle regole della
materia note a tutti gli operatori
economici. |
APPALTI: Ammissibilità
dell’avvalimento premiale.
---------------
Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Avvalimento
premiale – Ammissibilità.
L’istituto dell’avvalimento rileva non solo ai fini
della qualificazione ma anche per la valutazione dell’offerta (1).
--------------
(1) Ha chiarito la Sezione che la problematica dell’avvalimento
c.d. premiale (che evoca, in buona sostanza, la praticabilità del suo
utilizzato anche ai fini del riconoscimento di un punteggio maggiore nella
valutazione dell'offerta tecnica, ove essa sia formulata tenendo in
considerazione le competenze, risorse e capacità effettivamente trasferite
all’operatore economico ausiliato) ha diviso la giurisprudenza del giudice
amministrativo.
Invero a fronte di un orientamento sostanzialmente favorevole e prima
facie generalizzante (che muove dalla considerazione che ciò che è
oggetto del contratto di avvalimento entri a fare organicamente parte della
complessiva offerta presentata dalla concorrente:
C.g.a. 15.04.2016, n. 109), si trova affermato un avviso
apparentemente preclusivo (da ultimo ribadito –peraltro, con riferimento ad
una fattispecie in cui l’ausiliata era già in possesso, in proprio, dei
requisiti di partecipazione– da
Cons. Stato, sez. V, 16.03.2020, n. 1881) ed uno in certo senso
intermedio, che lo esclude nei casi in cui l’elemento di valutazione
dell’offerta consista in un requisito soggettivo o curriculare, ammettendolo
per i requisiti speciali.
Ad avviso della Sezione, però, si tratti di un contrasto piuttosto apparente
che reale.
Come è noto, la funzione essenziale dell’istituto è quella di legittimare,
nella prospettiva proconcorrenziale del favor partecipationis, l’ampliamento
della platea dei potenziali concorrenti alle procedure evidenziali,
attraverso l’abilitazione all’accesso di operatori economici che, pur privi
dei necessari requisiti, dei mezzi e delle risorse richieste dalla legge di
gara, siano in grado di acquisirli grazie all’apporto collaborativo di
soggetti terzi, che ne garantiscano la messa a disposizione per la durata
del contratto.
La complessiva logica ‘economica’ sottesa al meccanismo partecipativo
si traduce, sul piano ‘giuridico’, nella valorizzazione –in un
contesto negoziale trilaterale, operante sia sul piano interno dei “legami”
(peraltro formalmente non tipizzati) tra la concorrente ausiliata e
l’impresa ausiliaria che sul piano esterno dei rapporti con la stazione
appaltante (cfr. art. 89, comma 1 d.lgs. n. 50/2016, che pretende la
formalizzazione di apposita dichiarazione promissoria impegnativa
indirizzata ad utramque)– di una effettiva ‘messa a disposizione’
di risorse di carattere economico, finanziario tecnico o professionale
(corrispondenti al c.d. requisiti speciali, di ordine oggettivo, concretanti
criteri di selezione delle offerte, ex art. 83 d.lgs. cit.) che, ferma
restando la formale imputazione della esecuzione (cfr. art. 89, comma 8),
giustifica (anche laddove l’ausiliaria non assuma, come pure è astrattamente
possibile, il ruolo di impresa associata o subappaltatrice: cfr.,
rispettivamente, art. 89, commi 1 e 8) la responsabilità solidale per
l’esatto adempimento (cfr. art. 89, comma 5).
Per tal via, la (concreta) funzione dell’avvalimento (che ne fonda e, ad un
tempo, ne limita la meritevolezza sul piano civilistico dei programmati
assetti negoziali e la legittimità sul piano pubblicistico della dinamica
procedimentale evidenziale) si specifica in relazione alla sua chiarita
attitudine a dotare un operatore economico (che ne fosse privo) dei
requisiti economico-finanziari, delle risorse professionali e dei mezzi
tecnici “necessari per partecipare ad una procedura di gara”.
Sta in ciò (di là dalla distinzione tra avvalimento operativo ed avvalimento
tutorio, rispettivamente operanti sul piano della prestazione divisata o
della mera funzione di garanzia della serietà e qualità dell’offerta) il
fondamento, diffusamente ribadito in giurisprudenza (cfr., da ultimo, la
ricordata
Cons. Stato n. 1881 del 2020), del divieto dell’avvalimento
(meramente) premiale, il cui scopo (che trasmoda in alterazione, piuttosto
che di implementazione, della logica concorrenziale) sia, cioè,
esclusivamente quello di conseguire (non sussistendo alcuna concreta
necessità dell’incremento delle risorse) una migliore valutazione
dell’offerta.
Appare, in altri termini, dirimente la circostanza che il ricorso
all’istituto operi a favore di un operatore che, in difetto, sarebbe
effettivamente privo dei requisiti di partecipazione (alla cui acquisizione
è, per tal via, concretamente funzionale l’apporto operativo dell’impresa
ausiliaria) ovvero di chi –potendo senz’altro concorrere, avendone mezzi e
requisiti– miri esclusivamente a alla (maggior) valorizzazione della
(propria) proposta negoziale: nel qual caso la preclusione deve essere,
propter tenorem rationis, correlata all’abuso di avvalimento, che lo
trasforma, di fatto, in un mero escamotage per incrementare il punteggio ad
una offerta cui nulla ha concretamente da aggiungere la partecipazione
ausiliaria.
Con più lungo discorso, appare del tutto fisiologica l’eventualità che
l’operatore economico concorrente ricorra all’avvalimento al fine di
conseguire requisiti di cui è carente e, nello strutturare e formulare la
propria offerta tecnica, contempli nell’ambito della stessa anche beni
prodotti o forniti dall’impresa ausiliaria ovvero mezzi, attrezzature,
risorse e personale messi a disposizione da quest’ultima: nel qual caso è
evidente che i termini dell’offerta negoziale devono poter essere valutati
ed apprezzati in quanto tali, con l’attribuzione dei relativi punteggi,
nella prospettiva di una effettiva messa a disposizione della stazione
appaltante all’esito dell’aggiudicazione e dell’affidamento del contratto.
Deve, per contro, ritenersi precluso che il concorrente si avvantaggi,
rispetto agli altri, delle esperienze pregresse dell’ausiliaria, ovvero di
titoli o di attributi spettanti a quest’ultima (che, in quanto tali, non
qualifichino operativamente ed integrativamente il tenore dell’offerta e non
siano, perciò, oggetto di una prospettica e specifica attività esecutiva):
ciò che, appunto, deve segnatamente dirsi nella ipotesi in cui il
concorrente possegga già, in proprio, le risorse necessarie per l’esecuzione
della commessa e ricorra all’ausilio all’esclusivo (ed evidentemente
immeritevole) fine di conseguire un mero punteggio incrementale, cui non
corrisponderebbe una reale ed effettiva qualificazione della proposta.
Del resto, a diversamente opinare, non solo si negherebbe la stessa ratio
proconcorrenziale dell’istituto, ma si finirebbe per contraddire il canone
di par condicio dei competitori, per i quali non sussistono, sul
piano generale, preclusioni di sorta alla possibilità di indicare,
nell’offerta, beni prodotti da altre imprese ovvero mezzi, personale e
risorse, la cui disponibilità fosse acquisita in forza di contratti di
subappalto o di subfornitura o di qualunque altro tipo di contratto idoneo.
In questo senso, anzi, trova piena giustificazione la generità tipologica
che connota, per espressa opzione positiva, l’avvalimento, il cui tratto
essenziale (fatto palese dalla evidente labilità connotativa della relativa
formula linguistica) è proprio quello della irrilevanza, per la stazione
appaltante, della natura dei rapporti sottostanti tra il concorrente
ausiliato e l’impresa ausiliaria, in quanto ciò che occorre accertare è solo
che il primo dimostri di poter disporre, a qualsiasi titolo, dei mezzi della
seconda.
Se così è, l’avvalimento rileva non solo soli ai fini della qualificazione
ma anche per la valutazione dell’offerta
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.03.2021 n. 2526 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Regolarità
fiscale e contributiva dei partecipanti alle
gare pubbliche.
Il TAR Milano aderisce
all’indirizzo giurisprudenziale
sull’interpretazione dell’art. 80, comma 4,
del Codice dei contratti pubblici in ordine
alla regolarità fiscale e contributiva dei
partecipanti alle gare pubbliche, secondo
cui l’impresa deve essere in regola con i
propri obblighi fiscali sin dal momento di
presentazione dell’offerta, non essendo
consentite regolarizzazioni postume della
propria posizione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 24.03.2021 n. 764 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
2. La tesi di parte esponente, per quanto
suggestiva e ben argomentata, non convince
il Collegio.
In via preliminare, pare utile richiamare il
pacifico indirizzo della giurisprudenza
amministrativa sull’interpretazione
dell’art. 80, comma 4, del Codice -in ordine
alla regolarità fiscale e contributiva dei
partecipanti alle gare pubbliche- secondo
cui l’impresa deve essere in regola con i
propri obblighi fiscali sin dal momento di
presentazione dell’offerta, non essendo
consentite regolarizzazioni postume della
propria posizione; sul punto sia consentito
il rinvio, fra le tante, alle sentenza del
Consiglio di Stato, sez. III, n. 6760/2020,
che recita: «La giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato è costante e pacifica nel
senso dell’inammissibilità di
regolarizzazioni postume di irregolarità
previdenziali ed assistenziali (ex multis,
III Sezione, sentenza n. 5034/2017).
Si è, in particolare, posto in evidenza che
"La citata sentenza Cons. Stato, Ad. plen.,
n. 6/2016 ha confermato l'indirizzo per cui
non sono consentite regolarizzazioni postume
della posizione previdenziale, perché
l'impresa dev'essere in regola con
l'assolvimento degli obblighi previdenziali
e assistenziali fin dalla presentazione
dell'offerta e conservare tale stato per
tutta la durata della procedura di
aggiudicazione e del rapporto con la
stazione appaltante, restando irrilevante un
eventuale adempimento tardivo
dell'obbligazione contributiva: principio
già espresso da Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2012, n. 8, non superato dall'art.
31, comma 8, d.l. 21.06.2013, n. 69,
Disposizioni urgenti per il rilancio
dell'economia, convertito dalla l. 09.08.2013, n. 98, relativa al c.d. "preavviso di DURC negativo".
Infine, "nelle gare di appalto per
l'aggiudicazione di contratti pubblici i
requisiti generali e speciali devono essere
posseduti dai candidati non solo alla data
di scadenza del termine per la presentazione
della richiesta di partecipazione alla
procedura di affidamento, ma anche per tutta
la durata della procedura stessa fino
all'aggiudicazione definitiva ed alla
stipula del contratto, nonché per tutto il
periodo dell'esecuzione dello stesso, senza
soluzione di continuità" (Cons. Stato,
Adunanza Plenaria 20.07.2015 n. 8)"
(Consiglio di Stato Sezione V 19.02.2019, n. 1141)» (sul punto, anche TAR
Veneto, Sez. I, n. 378/2021, con la
giurisprudenza ivi richiamata). |
APPALTI: Obblighi
dichiarativi del concorrente ad una gara pubblica in caso di “grave
illecito professionale” e titolarità della quota “sovrana” del
capitale sociale.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Per
omessa dichiarazione ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 –
Socio titolare di quota “sovrana” del capitale sociale – Obbligo.
Ai fini degli obblighi dichiarativi del concorrente
ad una gara pubblica in caso di “grave illecito professionale”, considerata
la centralità dell’assemblea e delle sue decisioni rispetto alle
vicissitudini societarie, la titolarità della quota “sovrana” del capitale
sociale risulta essere certamente influente, soprattutto nel caso in cui la
quota di partecipazione sia di oltre 2/3 del capitale sociale.
Pertanto, è facoltà della stazione appaltante desumere il compimento di
“gravi illeciti” da ogni vicenda pregressa dell’attività professionale
dell’operatore economico -da intendersi complessivamente inteso, dunque
anche in conseguenza degli illeciti del socio sovrano- di cui sia accertata
la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o
amministrativa (1).
---------------
(1) Ha chiarito la
Sezione che, quanto all’asserita “tassatività” dei reati elencati
nell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, vale il generale principio (ex
multis,
Cons. Stato, sez. V, 22.10.2018, n. 6016) per cui tra le condanne
rilevanti ai sensi del comma 3 del citato art. 80, ai fini dell’esclusione
dalla gara vanno incluse non solo quelle specificamente elencate ai commi 1
e 2, ma anche quelle comunque incidenti, ai sensi del comma 5,
sull’affidabilità dell’impresa.
Non è possibile distinguere concettualmente l’impresa quale “entità
giuridica” - “operatore economico” di cui all’art. 80, comma 5,
lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 dai soggetti (aventi cariche gestorie) di
cui all’art. 80, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016 per il cui tramite, in
ragione delle loro funzioni di amministrazione e controllo, essa
concretamente opera. Diversamente opinando si addiverrebbe all’effetto
aberrante di escludere la rilevanza di qualsiasi sentenza di condanna ai
fini della valutazione di affidabilità sottesa al precetto dell’art. 80,
comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, posto che la responsabilità penale
riguarda le sole persone fisiche e non le imprese. Pertanto, le figure
gestorie la cui attività rileva ai fini di cui all’art. 80, comma 5, lett.
c), d.lgs. n. 50 del 2016 non possono non essere le stesse individuate
dall’art. 80, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016.
La Sezione ha aggiunto che non è possibile distinguere tra la condotta
riprovevole del socio persona fisica e quella integerrima della società non
coglie nel segno. Invero, quando l’illecito professionale è consequenziale a
una condanna penale (pur non passata in giudicato) la valutazione di
inaffidabilità morale è effettuata a carico dell’ente in virtù di una
fictio iuris, essendo essa indirizzata in realtà verso coloro che ne
hanno la direzione o sono capaci di orientarne le scelte, come certamente
accade in ipotesi di socio “sovrano” di maggioranza (pur cessato,
come nel caso di specie, nell’anno antecedente la pubblicazione del bando
per cui è causa, e quindi comunque rientrante nella elencazione di soggetti
muniti di cariche gestorie ex art. 80, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016).
Le Linee Guida dell’ANAC del 2016 (revisionate nel 2017) da un lato hanno
rimarcato il carattere meramente esemplificativo e non tassativo
dell’elencazione contenuta nelle stesse Linee Guida in ordine alla
individuazione del concetto di grave illecito professionale ex art. 80,
comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 e la connotazione di clausola
aperta propria del “grave illecito professionale” di cui al citato
comma 5, lett. c) (cfr. par. II delle stesse Linee Guida) che può
comprendere sia le condanne non definitive per le fattispecie di reato di
cui al comma 1, sia le condanne (anche non definitive) per fattispecie di
reato diverse da quelle tassativamente indicate al comma 1, dall’altro lato,
al par. III, hanno rilevato che “I gravi illeciti professionali assumono
rilevanza ai fini dell’esclusione dalla gara quando sono riferiti
direttamente all’operatore economico o ai soggetti individuati dall’art. 80,
comma 3 e comma 5, del Codice), e quindi con una affermazione perfettamente
in linea con la giurisprudenza amministrativa prevalente. Come chiarito dal
giudice di appello (Cons.
Stato, sez. IV, 31.12.2020, n. 8563) “l’art. 80, comma 5,
lett. c) - ora lett. c-bis), d.lgs. n. 50 del 2016, allorché fa riferimento
alla nozione di “grave illecito professionale”, costituisce una norma
tendenzialmente “aperta”, che introduce una clausola generale, che dà
rilievo ad ogni possibile accadimento idoneo a incidere sull’affidabilità
del concorrente, purché esso abbia attinenza con la vita professionale
dell’impresa”.
Con riferimento poi alla titolarità di una quota maggioritaria del capitale
sociale da parte di un socio, ha affermato la Sezione che anche a voler
ammettere che la gestione “diretta” dell’impresa sia rimessa
all’organo amministrativo, l’ultima parola spetterebbe in ogni caso
all’assemblea, in quanto è proprio alla competenza generale dell’assemblea
-si noti, il solo organo chiamato a rappresentare la collettività dei soci-
che la legge a monte (artt. 2364 e ss. cod. civ.) e i singoli statuti
societari a valle rimettono tutta una serie di determinazioni nient’affatto
marginali rispetto alla vita della società e all’economia della sua
gestione. Si tratta, infatti, di uno degli organi sociali fondamentali.
Peraltro, è bene osservare che l’organo amministrativo “dipende”
proprio dall’assemblea dei soci, alla quale sola spetta deliberare su nomina
e revoca degli amministratori -così come, del resto, anche di tutte le altre
cariche sociali- nonché sulla loro responsabilità, ai sensi degli artt. 2364
e 2479 cod. civ..
L’assemblea dei soci rivestire dunque un ruolo determinante nella gestione
dell’impresa.
Dunque, considerata la centralità dell’assemblea e delle sue decisioni
rispetto alle vicissitudini societarie, va da sé che la titolarità della
quota “sovrana” del capitale sociale risulta tutt’altro che
ininfluente. Tale conclusione tanto più in caso di possesso di un rilevante
pacchetto azionario.
Stanti i quorum richiesti dagli artt. 2368, 2479 e 2479-bis cod. civ.
il 74% delle azioni equivale ad avere un potere decisionale in assemblea
(ordinaria e straordinaria) pressoché illimitato ed incondizionato.
È ritenuto “socio sovrano” il socio persona fisica o società che detiene la
larga maggioranza del capitale di una società; dunque il socio che in una
società in cui vige il principio maggioritario, avendo il dominio
dell’assemblea ordinaria e straordinaria, ha il potere di nomina esclusiva
degli amministratori e dei sindaci e può decidere le modifiche dell’atto
costitutivo e determinare le decisioni più rilevanti. Svolge, quindi, per
effetto della propria partecipazione di maggioranza, un ruolo dominante
all’interno della compagine societaria, determinando e condizionando, con
scelte personali, l’attività della società.
“Il socio di società di capitali che partecipi al capitale sociale in una
misura capace di assicurargli la maggioranza richiesta per la validità delle
deliberazioni assembleari (in sede ordinaria e straordinaria), sicché, in
concreto, dalla sua volontà finiscono per dipendere la nomina e la revoca
degli amministratori, l’irrogazione delle sanzioni disciplinari,
l’assunzione di lavoratori e il loro licenziamento, l’esercizio del potere
direttivo e di controllo sul personale, si presenta come l’effettivo e solo
titolare del potere gestionale, si da risultare vero e proprio “sovrano”
della società stessa” (Cass. civ., sez. lavoro, 05.05.1998, n. 4532).
Il socio sovrano non si limita ad esercitare i diritti amministrativi e
patrimoniali che derivano dalla sua partecipazione sociale, ma utilizza il
potere in godimento per impartire direttive agli amministratori della
società e, dunque, per esercitare il potere di governo della stessa.
Qualora dall’esercizio delle sue prerogative consegua una violazione dei
principi del diritto societario o derivino danni alla società, la
giurisprudenza ammette la possibilità di utilizzare l’art. 2497 cc.,
potendosi configurare la fattispecie di responsabilità da abuso della
personalità giuridica che deriva dalla direzione unitaria della società,
nonché l’art. 2476 c.c., fattispecie di responsabilità in cui incorre il
soggetto che, con la sua azione dolosa o colposa, provoca danni
nell’amministrazione della società.
Sono entrambe azioni di responsabilità risarcitoria per danni provocati alla
società, non potendo al socio sovrano di una società di capitali essere
imputata alcuna forma di responsabilità patrimoniale.
“La circostanza che un socio disponga, direttamente e/o indirettamente
-nella specie attraverso un’Anstalt dal medesimo fondata- dell’intero
capitale sociale di una società di capitale, non comporta la confusione del
patrimonio personale del primo con quello della seconda, e perciò i
creditori dell’uno, pur se socio sovrano o tiranno, non possono aggredire i
beni dell’altra, sottraendoli alla loro primaria funzione di garanzia
dell’adempimento delle obbligazioni sociali. Invece, proprio per rafforzare
questa funzione, a norma dell’art. 2497 secondo comma, cod. civ., nella
formulazione previgente a quella introdotta dall’art. 7 del DLG 03.03.1993
n. 88, nel caso di insolvenza di una società a responsabilità limitata, per
le obbligazioni sorte nel periodo in cui le quote sociali siano appartenute
ad un solo socio, questi ne rispondeva illimitatamente con il suo patrimonio”
(Cass. Civ., sez. II, 16.11.2000, n. 14870).
“È configurabile una holding di tipo personale allorquando una persona
fisica, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di
quote o partecipazioni azionarie, svolga professionalmente, con stabile
organizzazione, l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle società
medesime, non limitandosi, così, al mero esercizio dei poteri inerenti alla
qualità di socio … non sussiste incompatibilità tra la contemporanea
sussistenza di un holder persona fisica e una società capogruppo delle
società dirette dal primo: si tratta di una possibile coesistenza sia
fenomenica (attenendo a due assetti organizzativi che possono emergere in
fatto accanto alla regolazione formale dell’assetto giuridico-societario),
sia giuridico-valoriale (ciascuna entità essendo esposta a regole di
responsabilità proprie di comparti non di per sé sovrapponibili)” (Cass.
Civ., sez. I, 27.01.2017, n. 5520).
Il socio sovrano può, dunque, esercitare, di fatto, l’amministrazione delle
società del gruppo.
In conclusione, nel caso in cui -come nella fattispecie in esame- il
socio di maggioranza detenga oltre i 2/3 del capitale sociale, la “sovranità”
può pacificamente ritenersi in re ipsa.
Da tanto consegue che è sicuramente riconosciuta la facoltà della
stazione appaltante di desumere il compimento di “gravi illeciti” da
ogni vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico
(qui da intendersi complessivamente inteso, dunque anche in conseguenza
degli illeciti del socio sovrano) di cui sia accertata la contrarietà ad un
dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (Cons. Stato, sez.
V,
08.10.2020, n. 5967; id.
14.04.2020, n. 2389).
Spetta alla stazione appaltante, nell’esercizio di ampia discrezionalità,
apprezzare autonomamente le pregresse vicende professionali dell’operatore
economico, persino se non abbiano dato luogo ad un provvedimento di condanna
in sede penale o civile, perché essa sola può fissare il “punto di
rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente” (Cons.
Stato, sez. V,
26.06.2020, n. 4100; id.
06.04.2020, n. 2260; id.
17.09.2018, n. 5424; Cass. civ., Sez. Unite, 17.02.2012, n. 2312)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 24.03.2021 n. 495 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Concessione
servizio di distribuzione automatica di bevande e prodotti alimentari
preconfezionati e obbligo di indicazione separata di costi di manodopera e
di sicurezza.
---------------
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Concessione – Concessione servizi
- Servizio di distribuzione automatica di bevande e prodotti alimentari
preconfezionati – Presso istituti scolastici - È concessione servizi ex art.
3, comma 1, lett. vv), d.lgs. n. 50 del 2016.
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Indicazione separata
dei costi di manodopera e degli oneri di salute e di sicurezza - Art. 95,
comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 – Concessione servizio di distribuzione
automatica di bevande e prodotti alimentari preconfezionati –
Inapplicabilità.
●
La gara bandita da un Istituto scolastico per l’affidamento in concessione
del servizio di distribuzione automatica di bevande e prodotti alimentari
preconfezionati presso le proprie sedi ha ad oggetto una “concessione di
servizi” ex art. 3, comma 1, lett. vv), d.lgs. n. 50 del 2016, che
l’Istituto scolastico intende affidare a terzi accompagnata da una
concessione d’uso di spazio pubblico; infatti, anche a voler prescindere
dalla espressa qualificazione di concessione di servizi fornita dalla
stazione appaltante, l’oggetto della gara è costituito da un contratto a
titolo oneroso con cui la stazione appaltante affida ad un operatore
economico la gestione di un servizio riconoscendo a titolo di corrispettivo
il diritto di gestire il servizio, con assunzione in capo al concessionario
del rischio operativo legato alla gestione dello stesso, per cui l’oggetto
della gara rientra esattamente nella definizione di concessione di servizi
scolpita dal codice dei contratti pubblici (1).
●
L’obbligo di indicazione separata dei costi di manodopera e degli
oneri di salute e di sicurezza -prevista dall’art. 95, comma 10, d.lgs. n.
50 del 2016 e astrattamente applicabile anche ai contratti di concessione ai
sensi dell’art. 164, comma 2, dello stesso Codice, secondo cui alle
procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di servizi si
applicano “per quanto compatibili”, le disposizioni relative ai “criteri di
aggiudicazione”– non si estende alla concessione del servizio di
distribuzione automatica di bevande e prodotti alimentari preconfezionati,
nella quale la componente “umana” del servizio assume rilievo minimo (2).
---------------
(1) Ha chiarito la Sezione che per servizio di ristorazione
mediante distributori automatici (servizio coincidente con quello oggetto
della procedura di gara), si intende la gestione economico-funzionale del
servizio di ristoro a mezzo di distributori automatici di alimenti, bevande
e altri generi di conforto da collocarsi presso i locali dell’Istituzione;
tale servizio comprende anche lo svolgimento di attività accessorie quali, a
titolo esemplificativo, la consegna, l’installazione e la messa in esercizio
dei distributori nonché la manutenzione.
In tal caso, così come nel più ampio servizio di ristorazione mediante bar,
accanto all’affidamento del servizio, l’Istituzione concede al gestore
l’utilizzo degli spazi interni necessari all’esercizio dell’attività
(concessione di bene pubblico), con specifico riferimento alle aree nelle
quali è ubicato il bar o. come nel caso di specie, sulle quali vengono
installati i distributori. Il contratto di affidamento dei servizi in
oggetto, secondo una consolidata giurisprudenza, si qualifica in termini di
“concessione di servizi”, in quanto determina l’assunzione in capo all’affidatario
del rischio operativo legato alla sua gestione (Cons. Stato, sez. III,
03.08.2020, n. 4910; id.
18.06.2020, n. 3905; id., sez. V,
28.03.2019, n. 2065; id., sez. III,
11.01.2018, n. 127; id., sez. VI,
16.07.2015, n. 3571; id.
14.10.2014, n. 5065).
Il rischio operativo si sostanzia essenzialmente in: rischio di domanda, in
quanto il concessionario ottiene il proprio compenso non già
dall’Istituzione ma dagli utenti che fruiscono del Servizio stesso
(acquistando le bevande e gli alimenti offerti dal bar o dai distributori
automatici), con conseguente rischio connesso alle possibili oscillazioni
dei volumi di domanda; rischio di disponibilità, in quanto il concessionario
deve gestire il servizio, garantendo i livelli prestazionali stabiliti nel
contratto, trovando in caso contrario applicazione le penali pattuite nel
contratto medesimo.
L’affidamento deve garantire la qualità, la continuità, l’accessibilità, la
disponibilità e la completezza dei servizi, tenendo conto delle esigenze
specifiche delle diverse categorie di utenti. Il concessionario di servizi
può essere remunerato, a seconda delle specificità del singolo affidamento:
dall’utenza; mediante canone o pagamento da parte dell’Amministrazione;
mediante contributo pubblico; attraverso una remunerazioni in diritti.
Il concessionario è remunerato dall’utenza e tale forma di remunerazione si
sostanzia nel cash flow derivante allo stesso dalla erogazione di servizi
presso l’utenza (c.d. sfruttamento economico del servizio). Tale forma di
remunerazione, che, in definitiva, deriva dalla vendita dei servizi resi al
mercato, è infatti connaturata ai cc.dd. servizi caldi, nei quali si
configura un rischio operativo in capo al privato sul lato della domanda, ai
sensi di quanto previsto dall’art. 165, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016.
Il servizio in discorso ha indubbiamente una rilevanza pubblica, in quanto,
pur estraneo alle funzioni istituzionale dell’Amministrazione aggiudicatrice,
ne costituisce comunque un’utilità accessoria, in favore degli utenti del
servizio pubblico scolastico, vale a dire dei docenti, del personale
impiegatizio, degli studenti e dei visitatori, sicché può ritenersi
strumentale alle esigenze connesse alla continuità della presenza in sede
del personale, nonché degli utenti del vero e proprio servizio pubblico
scolastico. In altri termini, la natura pubblica del servizio trova
fondamento nella sua strumentalità allo svolgimento delle funzioni pubbliche
istituzionali dell’Amministrazione scolastica.
(2) Ad avviso del C.g.a. l’indicazione separata dei costi di
manodopera e degli oneri di salute e di sicurezza si rivelerebbe un inutile
e dannoso formalismo, in quanto lesivo del principio del favor
partecipationis cui sono ispirate le procedure ad evidenza pubblica. La
ratio dell’evidenza pubblica sia a livello nazionale che sovranazionale,
infatti, è volta al migliore utilizzo possibile del danaro e degli altri
beni della collettività e alla tutela della libertà di concorrenza tra le
imprese. Di talché, il principio cardine delle gare pubbliche è quello del
favor partecipationis, atteso che solo attraverso la più ampia possibile
presentazione di offerte da parte degli operatori economici “qualificati” è
possibile garantire, da un lato, che l’Amministrazione individui, tra i
tanti, il “miglior contraente”, dall’altro, l’esplicazione di una piena ed
effettiva concorrenza tra le imprese in un mercato libero (Cons. Stato, sez.
IV, 19.02.2021, n. 1483).
Sulla base delle esposte considerazioni, l’inciso “per quanto compatibili”
di cui all’art. 164, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 deve essere
interpretato nel senso che non è compatibile con il sistema della scelta del
contraente, disegnato in sede europea e nazionale, l’applicabilità dell’art.
95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 all’affidamento di una concessione di
servizi in cui, come nel caso in esame, l’elemento della prestazione
lavorativa risulti di scarsa incidenza.
Nella specie, la giurisprudenza è recentemente intervenuta per rilevare che,
qualora si tratti di una concessione di servizi e non di un contratto
passivo di appalto per lavori, servizi o forniture, la diversa struttura
giuridica del negozio non comporta la dovuta applicazione della norma di cui
al richiamato art. 95, comma 10, vista l’evidente differenza strutturale ed
il peso economico assunto nei secondi dal costo del lavoro (Cons. Stato, V,
24.06.2020, n. 4034).
Nel caso di specie, in particolare, la componente “umana” del servizio
assume rilievo minimo, riducendosi alle attività che richiedono la presenza
fisica di prestatori di lavoro nell’adempimento degli obblighi relativi al
rifornimento dei distributori automatici e sostituzione degli stessi in caso
di guasti irreparabili, pulizia, rimozione giornaliera dei rifiuti e
manutenzione ordinaria e straordinaria dei distributori e degli impianti,
nonché pulizia delle aree antistanti), le quali, da considerare in relazione
alla tipologia di servizio gestito, richiedono evidentemente una minima
applicazione di personale.
L’incidenza delle prestazioni di lavoro, invece, potrebbe assumere maggiore
consistenza nella diversa ipotesi di affidamento di “servizio di
ristorazione mediante bar”, in cui sarebbe necessario prevedere la
presenza di uno o più cuochi e di altro personale a carattere continuativo,
ma nel “servizio di ristorazione mediante distributori automatici” è
intuitivamente esiguo (CGARS,
sentenza 24.03.2021 n. 247 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
6. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto, per cui va
confermato, sia pure con diversa motivazione, l’esito del giudizio di primo
grado.
6.1 Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso avendo ritenuto non
applicabile alla fattispecie la previsione di cui all’art. 95, comma 10, del
d.lgs. n. 50/2016 in ragione del carattere attivo, e non passivo, del
contratto prefigurato dal bando impugnato.
Il Collegio, sulla base di un diverso itinerario argomentativo, condivide la
conclusione della non applicabilità al caso di specie del richiamato art.
95, comma 10.
6.2. Il contratto oggetto del bando non può essere qualificato sic et
simpliciter come contratto attivo, ma costituisce una concessione di
servizi, per cui, con riferimento alla qualificazione del rapporto, si
rivela fondata la prima doglianza, la quale, però, come si vedrà infra, non
è idonea a determinare di per sé l’accoglimento dell’appello.
La procedura di gara bandita dal Liceo Classico Em. di Agrigento ha ad
oggetto “l’affidamento in concessione del servizio” di distribuzione
automatica di bevande, calde e fredde, e prodotti alimentari
preconfezionati, presso le sedi del Liceo.
Il servizio comprende le seguenti attività:
- trasporto, installazione e messa in funzione dei distributori nelle sedi
cui sono destinati, all’inizio del servizio o, nel corso del contratto,
quando richiesto dall’Amministrazione;
- gestione, rifornimento e manutenzione dei distributori per tutta la durata
del contratto;
- disinstallazione, rimozione e ritiro dei distributori al termine del
servizio o, nel corso del contratto, quando richiesto dall’Amministrazione.
Le argomentazioni dell’appellante in merito sono persuasive, in quanto non
si è in presenza di una mera locazione di spazi, ma di una concessione di
servizi.
6.2.1. In linea generale, occorre considerare che, per servizio di
ristorazione mediante distributori automatici (servizio coincidente con
quello oggetto della procedura di gara), si intende la gestione
economico-funzionale del servizio di ristoro a mezzo di distributori
automatici di alimenti, bevande e altri generi di conforto da collocarsi
presso i locali dell’Istituzione; tale servizio comprende anche lo
svolgimento di attività accessorie quali, a titolo esemplificativo, la
consegna, l’installazione e la messa in esercizio dei distributori nonché la
manutenzione.
In tal caso, così come nel più ampio servizio di ristorazione mediante bar,
accanto all’affidamento del servizio, l’Istituzione concede al gestore
l’utilizzo degli spazi interni necessari all’esercizio dell’attività
(concessione di bene pubblico), con specifico riferimento alle aree nelle
quali è ubicato il bar o. come nel caso di specie, sulle quali vengono
installati i distributori.
Il contratto di affidamento dei servizi in oggetto, secondo una consolidata
giurisprudenza, si qualifica in termini di “concessione di servizi”, in
quanto determina l’assunzione in capo all’affidatario del rischio operativo
legato alla sua gestione (ex multis: Cons. Stato, III, 03.08.2020, n.
4910; Cons. Stato, III, 18.06.2020, n. 3905; Cons. Stato, VI, ordinanza
06.12.2019, n. 6073; Cons. Stato, V, 28.03.2019, n. 2065; Cons.
Stato, III, 11.01.2018, n. 127; Cons. Stato, VI, 16.07.2015, n.
3571; Cons. Stato, VI, 14.10.2014, n. 5065).
Il rischio operativo si sostanzia essenzialmente in:
- rischio di domanda, in quanto il concessionario ottiene il proprio
compenso non già dall’Istituzione ma dagli utenti che fruiscono del Servizio
stesso (acquistando le bevande e gli alimenti offerti dal bar o dai
distributori automatici), con conseguente rischio connesso alle possibili
oscillazioni dei volumi di domanda;
- rischio di disponibilità, in quanto il concessionario deve gestire il
servizio, garantendo i livelli prestazionali stabiliti nel contratto,
trovando in caso contrario applicazione le penali pattuite nel contratto
medesimo.
L’affidamento deve garantire la qualità, la continuità, l’accessibilità, la
disponibilità e la completezza dei servizi, tenendo conto delle esigenze
specifiche delle diverse categorie di utenti.
Il concessionario di servizi può essere remunerato, a seconda delle
specificità del singolo affidamento: dall’utenza; mediante canone o
pagamento da parte dell’Amministrazione; mediante contributo pubblico;
attraverso una remunerazioni in diritti.
Nella fattispecie in esame, il concessionario è remunerato dall’utenza e
tale forma di remunerazione si sostanzia nel cash flow derivante allo stesso
dalla erogazione di servizi presso l’utenza (c.d. sfruttamento economico del
servizio).
Tale forma di remunerazione, che, in definitiva, deriva dalla vendita dei
servizi resi al mercato, è infatti connaturata ai cc.dd. servizi caldi, nei
quali si configura un rischio operativo in capo al privato sul lato della
domanda, ai sensi di quanto previsto dall’art. 165, comma 1, del d.lgs. n.
50 del 2016.
6.2.2. Pertanto, il Collegio, sulla base delle descritte coordinate
ermeneutiche, ritiene che la fattispecie contrattuale in esame possa
qualificarsi come una concessione di servizi, che l’Istituto scolastico
intende affidare a terzi, tramite installazione di distributori automatici
di bevande e snack, accompagnata da una concessione d’uso di spazio pubblico
(nell’ambito delle sedi del Liceo).
Infatti, anche a voler prescindere dalla espressa qualificazione di
concessione di servizi fornita dalla stazione appaltante, l’oggetto della
gara è costituito da un contratto a titolo oneroso con cui la stazione
appaltante affida ad un operatore economico la gestione di un servizio
riconoscendo a titolo di corrispettivo il diritto di gestire il servizio,
con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla
gestione dello stesso, per cui l’oggetto della gara rientra esattamente
nella definizione di concessione di servizi scolpita dal codice dei
contratti pubblici all’art. 3, comma 1, lett. vv).
Il servizio in discorso ha indubbiamente una rilevanza pubblica, in quanto,
pur estraneo alle funzioni istituzionale dell’Amministrazione aggiudicatrice,
ne costituisce comunque un’utilità accessoria, in favore degli utenti del
servizio pubblico scolastico, vale a dire dei docenti, del personale
impiegatizio, degli studenti e dei visitatori, sicché può ritenersi
strumentale alle esigenze connesse alla continuità della presenza in sede
del personale, nonché degli utenti del vero e proprio servizio pubblico
scolastico.
In altri termini, la natura pubblica del servizio trova fondamento nella sua
strumentalità allo svolgimento delle funzioni pubbliche istituzionali
dell’Amministrazione scolastica.
Il rilievo pubblico della prestazione è altresì attestato dal fatto che il
bando prevede un prezzo massimo sui corrispettivi dei prodotti, premiando in
sede di attribuzione di punteggio chi ne abbassa l’importo, riservando
all’Amministrazione concedente compiti di vigilanza e controllo, stabilendo
che il servizio abbia determinate caratteristiche qualitative e ponendo una
consistente serie di obblighi a carico del contraente, tanto che il punto 2,
comma 2, del bando prevede come, in caso di ripetute e gravi mancanze da
parte dell’affidatario del servizio, espressamente contestate, il contratto
potrà essere unilateralmente risolto dal Dirigente Scolastico per
inadempienza.
La consolidata giurisprudenza, come già in precedenza evidenziato, qualifica
in tal senso tale tipologia di rapporti contrattuali (ex multis: Cons.
Stato, III, 14.10.2020; Cons. Stato, V, 28.03.2019, n. 2065; Cons.
Stato, III, 11.01.2018, n. 127; Cons. Stato, III, 16.07.2015, n.
3571).
Da ultimo, sia pure in sede cautelare, è stata ritenuta corretta la
qualificazione del contratto di gestione di un punto ristoro in termini di
concessione o appalto di servizi, a seconda della traslazione o meno del
rischio operativo (cfr. Cons. Stato, VI, ordinanza 06.12.2019, n. 6073)
Nel caso di specie, la traslazione del rischio operativo sul contraente
induce a qualificare il contratto come di concessione di servizi.
6.3. Ciò nonostante, il Collegio ritiene non applicabile alla fattispecie la
previsione di cui all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016, secondo cui,
nell’offerta economica, l’operatore deve indicare i propri costi della
manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle
disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ad
esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura
intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2,
lettera a).
L’art. 164, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 dispone che “alle procedure
di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di
servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute
nella parte I e nella parte II del presente codice, relativamente … ai
criteri di aggiudicazione …”.
La questione si pone, in quanto l’art. 95 disciplina i criteri di
aggiudicazione dell’appalto, per cui la disposizione potrebbe essere
teoricamente applicabile.
6.3.1. In limine, essendo stata la questione dibattuta tra le parti, occorre
rilevare che l’art. 36, comma 2, lett. a) non assume rilievo nel caso di
specie.
L’art. 36, comma 2, lett. a), infatti, si riferisce ad affidamenti di
importo inferiore ad € 40.000, “mediante affidamento diretto anche senza
previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in
amministrazione diretta”.
Diversamente, il Liceo Classico Em. ha indetto una procedura di gara
per l’affidamento in concessione del servizio, sicché l’ipotesi rientra
nella lett. b), dell’art. 36, che non è contemplata dall’art. 95, comma 10,
tra i casi di esclusione.
6.3.2. Tuttavia, il Collegio ritiene che, per differenti ragioni, la
fattispecie non rientri nel perimetro applicativo dell’art. 95, comma 10,
del d.lgs. n. 50 del 2016.
In primo luogo, l’art. 164, comma 2, del codice dei contratti pubblici
dispone che alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di
servizi si applicano “per quanto compatibili”, le disposizioni relative ai
“criteri di aggiudicazione”.
Ora, se è vero che l’art. 95 detta la disciplina dei criteri di
aggiudicazione, è altrettanto vero che il comma 10, nel disporre che,
nell’offerta economica, l’operatore deve indicare i propri costi della
manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle
disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, attiene
ad un profilo non specificamente riferibile ai criteri di aggiudicazione,
per cui l’inciso “per quanto compatibili” contenuto nell’art. 164, comma 2,
deve essere interpretato con particolare cautela, tenendo anche conto dei
principi alla base delle procedure ad evidenza pubblica.
In proposito, pur a fronte di pronunce che hanno sostenuto l’applicazione
dell’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici alla concessione
di servizi per la gestione di un punto ristoro (da ultimo, la richiamata
ordinanza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n. 6073 del 2019), la
giurisprudenza è recentemente intervenuta per rilevare che, qualora si
tratti di una concessione di servizi e non di un contratto passivo di
appalto per lavori, servizi o forniture, la diversa struttura giuridica del
negozio non comporta la dovuta applicazione della norma di cui al richiamato
art. 95, comma 10, vista l’evidente differenza strutturale ed il peso
economico assunto nei secondi dal costo del lavoro (Cons. Stato, V, 24.06.2020, n. 4034).
Nel caso di specie, in particolare, la componente “umana” del servizio
assume rilievo minimo, riducendosi alle attività che richiedono la presenza
fisica di prestatori di lavoro nell’adempimento degli obblighi del
contraente previsti dall’art. 11 del bando (rifornimento dei distributori
automatici e sostituzione degli stessi in caso di guasti irreparabili,
pulizia, rimozione giornaliera dei rifiuti e manutenzione ordinaria e
straordinaria dei distributori e degli impianti, nonché pulizia delle aree
antistanti), le quali, da considerare in relazione alla tipologia di
servizio gestito, richiedono evidentemente una minima applicazione di
personale.
L’incidenza delle prestazioni di lavoro, invece, potrebbe assumere maggiore
consistenza nella diversa ipotesi di affidamento di “servizio di
ristorazione mediante bar”, in cui sarebbe necessario prevedere la presenza
di uno o più cuochi e di altro personale a carattere continuativo, ma nel
“servizio di ristorazione mediante distributori automatici” è intuitivamente
esiguo.
Pertanto, richiedere per la gestione di un servizio con tali caratteristiche
l’indicazione separata dei costi di manodopera e degli oneri di salute e di
sicurezza, si rivelerebbe un inutile e dannoso formalismo, in quanto lesivo
del principio del favor partecipationis cui sono ispirate le procedure ad
evidenza pubblica.
La ratio dell’evidenza pubblica sia a livello nazionale che sovranazionale,
infatti, è volta al migliore utilizzo possibile del danaro e degli altri
beni della collettività e alla tutela della libertà di concorrenza tra le
imprese.
Di talché, il principio cardine delle gare pubbliche è quello del favor partecipationis, atteso che solo attraverso la più ampia possibile
presentazione di offerte da parte degli operatori economici “qualificati” è
possibile garantire, da un lato, che l’Amministrazione individui, tra i
tanti, il “miglior contraente”, dall’altro, l’esplicazione di una piena ed
effettiva concorrenza tra le imprese in un mercato libero (cfr. da ultimo,
Cons. Stato, IV; 19.02.2021, n. 1483).
Sulla base delle esposte considerazioni, l’inciso “per quanto compatibili”
di cui all’art. 164, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 deve essere
interpretato nel senso che non è compatibile con il sistema della scelta del
contraente, disegnato in sede europea e nazionale, l’applicabilità dell’art.
95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 all’affidamento di una concessione di
servizi in cui, come nel caso in esame, l’elemento della prestazione
lavorativa risulti di scarsa incidenza.
Ne consegue che l’appello proposto dalla Tr.Ve. s.r.l., pur
fondato nel primo motivo, non può trovare accoglimento e deve essere
respinto non sussistendo l’obbligo per i concorrenti della specifica
indicazione dei costi di manodopera e degli oneri relativi alla sicurezza e
alla sicurezza dei lavoratori, sicché l’aggiudicataria non avrebbe potuto
essere legittimamente esclusa dalla gara.
6.4. Ad ogni buon conto, anche applicando alla fattispecie l’art. 95, comma
10, del codice dei contratti pubblici, l’esito della controversia non
potrebbe essere differente, in quanto l’Amministrazione non avrebbe potuto
escludere la St. s.r.l. dalla gara senza previamente procedere al soccorso
istruttorio.
La V Sez. del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 6069 del 2018,
ha rimesso all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni, oggetto di contrasti
giurisprudenziali:
-
“se, per le gare bandite nella vigenza del d.lgs. n. 18.04.2016, n. 50,
la mancata indicazione separata degli oneri di sicurezza aziendale determini
immediatamente e incondizionatamente l’esclusione del concorrente, senza
possibilità di soccorso istruttorio, anche quando non è in discussione
l’adempimento da parte del concorrente degli obblighi di sicurezza, né il
computo dei relativi oneri nella formulazione dell’offerta, né vengono in
rilievo profili di anomalia dell’offerta, ma si contesta che l’offerta non
specifica la quota di prezzo corrispondente ai predetti oneri;
-
se, ai fini della eventuale operosità del soccorso istruttorio, assuma
rilievo la circostanza che la lex specialis richiami espressamente l’obbligo
di dichiarare gli oneri di sicurezza”.
L’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 8 del 2020, ha rappresentato che la
soluzione del quesito interpretativo è stata poi data, in altra vicenda,
dalla sentenza della Nona Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione
Europea, 02.05.2019, causa C-309/18, ritenuta esaustiva dal supremo
consesso, con cui si è affermato:
“I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di
trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che
abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che
essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del
procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata
dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito
di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta
l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso
istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti
costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara
d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano
chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di
appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia,
se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di
indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di
trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che
essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la
loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa
nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione
aggiudicatrice.”
La sentenza n. 8 del 2020 dell’Adunanza Plenaria ha ancora sottolineato che:
“La stessa decisione della Corte è stata peraltro già impiegata come canone
interpretativo per la soluzione di analoghe vicende, sia dalle Sezioni di
questo Consiglio di Stato (si veda Cons. Stato, V, 24.01.2020, n. 604; id., V, 10.02.2020 n. 1008) che dal giudice di prime cure (TAR
Lazio, 14.02.2020 n. 1994, data nel giudizio che aveva originato
quella rimessione alla CGUE).
In queste occasioni, affermata la dichiarata compatibilità con il diritto
europeo degli automatismi espulsivi conseguenti al mancato rispetto delle
previsioni di cui all’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici,
le questioni residue sono state rivolte unicamente a delineare la portata
dell’eccezione alla regola dell’esclusione automatica, collegata
all’accertamento in fatto della possibilità di indicare le voci stesse nei
modelli predisposti dall’amministrazione”.
L’Adunanza Plenaria, quindi, ha “ricordato che la citata sentenza della Nona
Sezione, 02.05.2019, causa C-309/18, ha demandato al giudice del rinvio
di verificare se nel caso di specie «fosse in effetti materialmente
impossibile indicare i costi della manodopera conformemente all’articolo 95,
comma 10, del codice dei contratti pubblici e valutare se, di conseguenza,
tale documentazione generasse confusione in capo agli offerenti, nonostante
il rinvio esplicito alle chiare disposizioni del succitato codice (punto
30), al fine di fare eventualmente applicazione del soccorso istruttorio”.
Nella fattispecie in esame, la documentazione di gara non prevedeva
l’indicazione separata dei costi di manodopera e degli oneri aziendali
relativi alla sicurezza e alla salute suoi luoghi di lavoro, per cui, anche
ove si fosse ritenuta applicabile la norma di cui all’art. 95, comma 10, del
d.lgs. n. 50 del 2016, l’Amministrazione concedente avrebbe dovuto applicare
l’istituto del soccorso istruttorio, mentre non avrebbe potuto procedere
alla diretta esclusione dell’operatore economico
(CGARS,
sentenza 24.03.2021 n. 247 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla distinzione tra concessione di pubblico servizio e appalto
di servizi.
Il rapporto di concessione di pubblico servizio si
distingue dall'appalto di servizi per l'assunzione, da parte del
concessionario, del rischio di domanda.
Invero, mentre l'appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed
appaltatore ed il compenso di quest'ultimo grava interamente
sull'appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione
triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l'utenza
finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione.
Essendo insito nel meccanismo causale della concessione che la fluttuazione
della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in capo al
concessionario, anzi costituisce il rischio principale assunto dal
concessionario, perché possa farsi luogo a una revisione dei profili
economici concordati con il concedente è necessaria la comprovata ricorrenza
di eventi eccezionali e straordinari, oggettivamente esterni ed estranei al
funzionamento del mercato di settore, non essendo invece sufficienti
all'uopo mere fluttuazioni della domanda, dato fisiologico di ogni mercato,
che l'operatore economico non può non considerare come aspetto
caratterizzante, intrinseco ed ineliminabile del contesto in cui opera
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.03.2021 n. 2426 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Distinzione
tra concessione di pubblico servizio e appalto di servizi.
---------------
Contratti della Pubblica amministrazione - Concessione – Differenza con
l’appalto servizi – Individuazione.
Il rapporto di concessione di pubblico servizio si
distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione, da parte del
concessionario, del rischio di domanda, nel senso che mentre l’appalto ha
struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo
grava interamente sull’appaltante, nella concessione, connotata da una
dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con
l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria
remunerazione (1).
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(1) Data la premessa, la Sezione ha tratto la conseguenza che,
essendo insito nel meccanismo causale della concessione che la fluttuazione
della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in capo al
concessionario (anzi costituisca il rischio principale assunto dal
concessionario), affinché possa farsi luogo a una revisione dei profili
economici concordati con il concedente è necessaria la comprovata ricorrenza
di eventi eccezionali e straordinari, oggettivamente esterni ed estranei al
funzionamento del mercato di settore, non essendo invece sufficienti
all’uopo mere fluttuazioni della domanda, dato fisiologico di ogni mercato,
che l’operatore economico non può non considerare come aspetto
caratterizzante, intrinseco ed ineliminabile del contesto in cui opera (Cons.
Stato, sez. IV, 19.08.2016, n. 3653)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.03.2021 n. 2426 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
6. In primo luogo, in termini generali il rapporto di concessione di
pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi proprio per
l’assunzione, da parte del concessionario, del rischio di domanda.
6.1. Invero, mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed
appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente
sull’appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il
concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui
richiesta di servizi trae la propria remunerazione.
6.2. E’, dunque, insito nel meccanismo causale della concessione che la
fluttuazione della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in
capo al concessionario, anzi costituisca il rischio principale assunto dal
concessionario.
6.3. Del resto, anche nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile
nella vicenda ratione temporis, costante giurisprudenza aveva evidenziato
che nelle concessioni di servizi vige il principio dell’ordinaria
invariabilità del canone, con conseguente inapplicabilità dell’istituto
della revisione dei prezzi, proprio invece degli appalti (cfr., ex
plurimis, Cons. Stato, sez. V, 27.03.2013, n. 1755). |
APPALTI: Inadeguatezza
della verifica di congruità dell’offerta e
domanda di subentro nel contratto.
In caso di inadeguatezza
della verifica di congruità per carenze
istruttorie non può, quindi, essere disposta
l’esclusione dell’offerta sospetta di
anomalia, ma solo la regressione della
procedura alla fase di verifica
dell’anomalia.
Il giudice amministrativo
non può sostituirsi all’amministrazione nel
ritenere l’offerta complessivamente
inattendibile, dovendo l'amministrazione
provvedere alla riedizione del vaglio di
sostenibilità.
Pertanto, non può essere accolta la domanda
di subentro nel contratto, atteso che ciò
presuppone il positivo superamento della
verifica di anomalia dell’offerta presentata
dalle stesse ricorrenti e che,
preliminarmente, l’accoglimento del presente
ricorso comporta l’obbligo per
l’amministrazione di rinnovare la procedura
con riferimento alla fase di valutazione
della proposta tecnica e delle
giustificazioni rese dalla controinteressata.
---------------
3) La fondatezza della domanda di
annullamento impone di esaminare le domande
dirette alla dichiarazione di inefficacia
del contratto e al subentro nella gestione
dell’appalto –quale risarcimento in forma
specifica- presentate dalla ricorrente.
Non solo, la ricorrente propone, in via
subordinata, una domanda di risarcimento del
danno da perdita di chance.
Le domande sono infondate.
Una volta accertato che, tanto l’effettiva
praticabilità del meccanismo delle
sostituzioni, come indicato in offerta
dall’aggiudicataria, quanto il rispetto
degli orari di lavoro indicati dalla lex
specialis, non sono stati correttamente
verificati nella sede propria dalla stazione
appaltante, va evidenziato che tale
omissione non può essere “surrogata” da una
verifica in sede giudiziale, tenuto conto
dei limiti al sindacato giurisdizionale
sulle valutazioni rimesse
all’amministrazione in subiecta materia.
In caso di inadeguatezza della verifica di
congruità per carenze istruttorie non può,
quindi, essere disposta l’esclusione
dell’offerta sospetta di anomalia, ma solo
la regressione della procedura alla fase di
verifica dell’anomalia (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 30.03.2017, n. 1465;
Consiglio di Stato, sez. IV, 13.04.2016,
n. 1448; Cons. St., V, n. 4323/2003).
Il giudice amministrativo (cfr. Consiglio di
Stato, sez. III, 21.07.2017, n. 3623)
non può sostituirsi all’amministrazione nel
ritenere l’offerta complessivamente
inattendibile, dovendo l'amministrazione
provvedere alla riedizione del vaglio di
sostenibilità.
Pertanto, non può essere accolta la domanda
di subentro nel contratto, atteso che ciò
presuppone il positivo superamento della
verifica di anomalia dell’offerta presentata
dalle stesse ricorrenti e che,
preliminarmente, l’accoglimento del presente
ricorso comporta l’obbligo per
l’amministrazione di rinnovare la procedura
con riferimento alla fase di valutazione
della proposta tecnica e delle
giustificazioni rese dalla controinteressata
(cfr. sul punto già Tar Lombardia–Brescia,
sez. I, 18.03.2019, n. 242).
Resta fermo che la riedizione dovrà avvenire
alla luce delle statuizioni racchiuse nella
presente sentenza, stante l’effetto
conformativo da essa derivante.
Ne consegue che, allo stato, neppure
sussistono i presupposti per pronunciare
sull’efficacia del contratto.
Invero, la fattispecie in esame si inserisce
nella previsione dell’art. 122 cpa, a mente
del quale il giudice il giudice che annulla
l’aggiudicazione definitiva stabilisce se
dichiarare inefficace il contratto,
fissandone la decorrenza, con la
precisazione che, a tale fine, deve tenere
conto, degli interessi delle parti,
dell’effettiva possibilità per il ricorrente
di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei
vizi riscontrati, dello stato di esecuzione
del contratto e della possibilità di
subentrare nel contratto, nei casi in cui il
vizio dell'aggiudicazione non comporti
l'obbligo di rinnovare la gara e la domanda
di subentrare sia stata proposta.
Ora, nel caso in esame, non rientra nella
sfera del potere giurisdizionale la
valutazione dell’effettiva possibilità per
la ricorrente di conseguire
l’aggiudicazione, proprio in ragione dei
vizi riscontrati e stante la necessità che
sia la stazione appaltante a riesaminare la
valutazione di congruità dell’offerta
aggiudicataria e, in caso di esito negativo,
a procedere ai controlli necessari in ordine
all’offerta della seconda classificata.
Ne deriva l’insussistenza dei presupposti
per dichiarare l’inefficacia del contratto
ai sensi dell’art. 122 cpa
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.03.2021 n.
739 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' manifestamente irragionevole l'operato di una stazione appaltante che con
un ragionamento formalistico e condotto in astratto ha reputato non
integrata la fattispecie espulsiva dei gravi illeciti professionali sulla
base della non definitività dei provvedimenti penali.
L'art. 80, co. 5, lett. c), D.Lgs.n.50/2016 costituisce
norma di chiusura del sistema degli appalti in merito ai requisiti generali
per l'ammissione alle gare, rientrando nella nozione di "grave illecito
professionale" qualsivoglia illecito (civile, penale o amministrativo) in
grado di influenzare il processo valutativo e decisionale della stazione
appaltante.
Si tratta di una fattispecie che deroga al principio di tassatività delle
cause di esclusione, in ragione della necessità di assicurare alla stazione
appaltante la possibilità di valutare autonomamente, senza le rigidità
proprie di tale principio (ad esempio, perché il precedente penale di regola
richiede la definitività dell'accertamento, ex art. 80, co. 1, D.Lgs. n.
50/2016), l'eventuale compromissione del rapporto fiduciario a fronte di
situazioni comunque implicanti la potenziale commissione di illeciti
influenti sulla capacità dell'operatore economico selezionato di eseguire
l'appalto in modo corretto, leale e trasparente.
Nel caso di specie, non v'è dubbio che, da un punto di vista oggettivo, le
pendenze segnalate alla stazione appaltante rientrino potenzialmente nello
spettro applicativo dei gravi illeciti professionali, concernendo, in
particolar modo la sentenza sopravvenuta del Tribunale, ipotesi delittuosa
afferente all'attività professionale degli interessati in un settore
merceologicamente identico (per di più in relazione ad un pregresso
procedimento selettivo ad evidenza pubblica).
Pertanto, è manifestamente irragionevole l'operato della stazione
appaltante, nella misura in cui essa ha ritenuto, senza addurre ulteriori
motivazioni o specifiche circostanze giuridico-fattuali (desunte
primariamente dagli atti dei procedimenti penali e, soprattutto, dalla
sentenza di condanna di recente emissione), che la mera assenza di
definitività delle pendenze non concretizzasse gli estremi per ritenere
compromesso il rapporto fiduciario, cui è sottesa la fattispecie espulsiva
recata dall'art. 80, co. 5, lett. c), del Codice.
La scelta compiuta dalla stazione appaltante non solo è irragionevole perché
rinuncia in pratica alla valutazione, in concreto, delle pendenze (di cui
pure è venuta a conoscenza), attestandosi sul mero dato formale della non
definitività, ma perché finisce per obliterare del tutto la differenza che
continua a residuare fra fattispecie espulsiva automatica ex art. 80, co. 1
(che richiede il requisito della definitività della condanna, e che dispensa
del tutto da qualsivoglia aleatorietà di valutazione) e quella dei gravi
illeciti professionali ex art. 80, co. 5, lett. c), la quale, proprio perché
ispirata alla ratio di tutelare la discrezionalità della stazione appaltante
nella considerazione del rapporto fiduciario, non esclude a priori che
pendenze non definitivamente accertate possano, in relazione al complesso
degli elementi fattuali e procedimentali che si riscontrino, determinare,
motivatamente, l'esclusione dalla gara
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 22.03.2021 n. 731 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Consorzi
stabili e consorziata non designata per l’esecuzione che perde i requisiti:
pronuncia della Plenaria sulla equiparazione all’ausiliaria e sostituzione.
L’Adunanza plenaria si è espressa sulla perdita dei requisiti, nel consorzio
stabile, da parte della consorziata non designata ai fini dell’esecuzione
dei lavori e dalla quale il consorzio ripeta la qualificazione: la
consorziata, in ragione della sua natura, è equiparabile all’impresa
ausiliaria nell’avvalimento e, dunque, è sostituibile. Una tale conclusione
non dequota, peraltro, il principio di continuità del possesso dei requisiti
il quale va confermato ma anche assoggettato ad una lettura in linea con la
nuova disciplina eurounitaria di riferimento.
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Contratti pubblici – Consorzi stabili – Impresa consorziata non designata
ai fini dell’esecuzione dei lavori – Equiparabilità all’impresa ausiliaria –
Sostituzione in caso di perdita dei requisiti.
La consorziata di un consorzio stabile, non
designata ai fini dell’esecuzione dei lavori, è equiparabile, ai fini
dell’applicazione dell’art. 63 della direttiva n. 24/2014/UE e dell’art. 89,
co. 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, all’impresa ausiliaria nell’avvalimento,
sicché la perdita da parte della stessa del requisito impone alla stazione
appaltante di ordinarne la sostituzione (1).
---------------
(1) I. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato, alla quale il
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con ordinanza
29.12.2020, n. 1211 (oggetto della
News US in data 12.01.2021, a cui si rinvia per ogni ulteriore
compiuto approfondimento) aveva deferito alcune questioni interpretative,
con articolata motivazione ha affermato il principio di diritto secondo cui
“La consorziata di un consorzio stabile, non designata ai fini
dell’esecuzione dei lavori, è equiparabile, ai fini dell’applicazione
dell’art. 63 della direttiva n. 24/2014/UE e dell’art. 89, co. 3, del d.lgs.
n. 50 del 2016, all’impresa ausiliaria nell’avvalimento, sicché la perdita
da parte della stessa del requisito impone alla stazione appaltante di
ordinarne la sostituzione”.
Ciò non senza specificare che la sostituibilità della consorziata non
dequota il principio di continuità nel possesso dei requisiti da leggersi,
oggi, alla luce della nuova disciplina eurounitaria.
II. – L’Adunanza plenaria giunge alla elaborazione della massima riportata
sulla base del seguente percorso argomentativo:
a) sulla configurazione del consorzio stabile
previsto dall’art. 45, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 e differenze
con il consorzio ordinario ex art. 2602 cod. civ.:
a1) il consorzio ordinario pur
essendo un autonomo centro di rapporti giuridici, non comporta
l’assorbimento delle aziende consorziate in un organismo unitario
costituente un’impresa collettiva, né esercita autonomamente e direttamente
attività imprenditoriale. Esso si limita a disciplinare e coordinare,
attraverso un’organizzazione comune, le azioni degli imprenditori riuniti (cfr.,
ex multis, Cass. civ., sez. trib., 09.03.2020, n. 6569; Cass. civ.,
sez. I, 27.01.2014, n. 1636, in Foro it., 2014, I, 3576);
a2) nel consorzio con attività
esterna la struttura organizzativa provvede all’espletamento in comune di
una o alcune funzioni (ad esempio, l’acquisto di beni strumentali o di
materie prime, la distribuzione, la pubblicità, etc.), ma nemmeno in tale
ipotesi il consorzio, nella sua disciplina civilistica, è dotato di una
propria realtà aziendale;
a3) ne discende che, ai fini
della disciplina in materia di contratti pubblici, il consorzio ordinario:
I) è considerato un soggetto con identità plurisoggettiva, che opera in
qualità di mandatario delle imprese della compagine;
II) partecipa alla gara per tutte le consorziate e si qualifica attraverso
di esse, in quanto le stesse, nell’ipotesi di aggiudicazione, eseguiranno il
servizio, rimanendo esclusa la possibilità di partecipare solo per conto di
alcune di esse (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 06.10.2015, n.
4652, in Gazzetta forense, 2015, 5, 128, il quale ha statuito
l’illegittimità della partecipazione di un consorzio ordinario che, pur
riunendo due società, aveva dichiarato di gareggiare per conto di una sola
di esse);
a4) diversamente, i consorzi
stabili a mente dell’art. 45, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016,
sono costituiti “tra imprenditori individuali, anche artigiani, società
commerciali, società cooperative di produzione e lavoro” che “abbiano
stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque
anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa”;
a5) il riferimento aggiuntivo e
qualificante alla “comune struttura di impresa” induce a ritenere che
i partecipanti in questo caso danno vita ad una stabile struttura di impresa
collettiva, la quale, oltre a presentare una propria soggettività giuridica
con autonomia anche patrimoniale, rimane distinta e autonoma rispetto alle
aziende dei singoli imprenditori ed è strutturata, quale azienda consortile,
per eseguire, anche in proprio (ossia senza l’ausilio necessario delle
strutture imprenditoriali delle consorziate), le prestazioni affidate a
mezzo del contratto (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 13.10.2020, n. 6165);
a6) proprio sulla base di
questa impostazione, la giurisprudenza europea (Corte di giustizia UE, sez.
IV, 23.12.2009, C-376/08, Serrantoni Srl, in Arch. giur. oo. pp., 2010, 217)
è giunta ad ammettere la contemporanea partecipazione alla medesima gara del
consorzio stabile e della consorziata, ove quest’ultima non sia stata
designata per l’esecuzione del contratto e non abbia pertanto concordato la
presentazione dell’offerta (Cons. Stato, sez. III, 04.02.2019, n. 865, in
Appalti & Contratti, 2019, 3, 75);
b) sul meccanismo di qualificazione c.d. alla “rinfusa”:
b1) l’art. 31, comma 1, del
d.lgs. n. 56 del 2017, vigente all’epoca dei fatti di causa, stabiliva che “I
consorzi di cui agli articoli 45, comma 2, lett. c) e 46, comma 1, lett. f),
al fine della qualificazione, possono utilizzare sia i requisiti di
qualificazione maturati in proprio, sia quelli posseduti dalle singole
imprese consorziate designate per l’esecuzione delle prestazioni, sia,
mediante avvalimento, quelli delle singole imprese consorziate non designate
per l’esecuzione del contratto. Con le linee guida dell’ANAC di cui
all’articolo 84, comma 2, sono stabiliti, ai fini della qualificazione, i
criteri per l’imputazione delle prestazioni eseguite al consorzio o ai
singoli consorziati che eseguono le prestazioni”;
b2) la disposizione ha avuto
vigore sino al 2019, allorché l'art. 1, comma 20, lett. l), n. 1), del d.l.
n. 32 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 55 del 2019, ha
eliminato tale regola, ripristinando l’originaria e limitata perimetrazione
del cd. cumulo alla rinfusa ai soli aspetti relativi alla “disponibilità
delle attrezzature e dei mezzi d'opera, nonché all'organico medio annuo”,
i quali sono “computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché
posseduti dalle singole imprese consorziate”;
b3) tale peculiare meccanismo
(come si è detto, esteso all’epoca dei fatti di causa anche ai requisiti di
qualificazione, ma oggi limitato ad attrezzature, mezzi d'opera e organico
medio annuo) ha radici nella natura del consorzio stabile e si giustifica in
ragione:
I) del patto consortile, comunque caratterizzato dalla causa mutualistica;
II) del rapporto duraturo ed improntato a stretta collaborazione tra le
consorziate avente come fine “una comune struttura di impresa”;
c) data tale impostazione su un piano generale,
occorre distinguere –sempre in relazione al cumulo dei requisiti necessari
per la partecipazione alla gara– i diversi legami che si instaurano
nell’ambito della gara, tra consorzio stabile e consorziate, a seconda se
queste ultime siano o meno designate per l’esecuzione dei lavori:
c1) all’esito di tale
distinzione va rilevato che solo le consorziate designate per l’esecuzione
dei lavori partecipano alla gara e concordano l’offerta, assumendo una
responsabilità in solido con il consorzio stabile nei confronti della
stazione appaltante (art. 47 comma 2 del codice dei contratti), mentre per
le altre il consorzio si limita a mutuare, ex lege, i requisiti
oggettivi, senza
che da ciò discenda un vincolo di responsabilità solidale per l’eventuale
mancata o erronea esecuzione dell’appalto;
c2) in quest’ultimo caso ci si
trova al cospetto di un rapporto molto simile a quello dell’avvalimento,
anche se, per certi versi, meno intenso:
I) da una parte, infatti, il consorziato presta i requisiti senza
partecipare all’offerta, similmente all’impresa avvalsa (senza bisogno di
dichiarazioni, soccorrendo la “comune struttura di impresa” e il
disposto di legge);
II) dall’altra, pur facendo ciò, rimane esente da responsabilità
(diversamente dall’impresa avvalsa: in altre parole si tratta di una forma
di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità);
d) conseguentemente, alla domanda se in presenza
della lacuna normativa possa farsi applicazione, alla fattispecie, dell’art.
89, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016, deve darsi risposta positiva:
d1) a mente della predetta
disposizione, infatti, la stazione appaltante (in luogo di disporre
l’esclusione in cui inesorabilmente incorrerebbe un concorrente nell’ambito
di un raggruppamento o di un consorzio ordinario o stabile) impone
all'operatore economico di “sostituire” i soggetti di cui si avvale “che
non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono
motivi obbligatori di esclusione”;
d2) conseguentemente, se è
possibile, in via eccezionale, sostituire il soggetto legato da un rapporto
di avvalimento, a fortiori dev’essere possibile sostituire il
consorziato nei confronti del quale sussiste un vincolo che rispetto all’avvalimento
è meno intenso;
e) su tale opzione esegetica va, peraltro, detto
che:
e1) essa è confermata, per il
caso del consorziato non designato per l’esecuzione, dall’ampia formulazione
dell’art. 63 della direttiva n. 2014/24/UE, il quale, nel disciplinare l’avvalimento,
vi ricomprende tutti i casi in cui un operatore economico, per un
determinato appalto, fa “affidamento sulle capacità di altri soggetti, a
prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi”,
senza dare rilevanza qualificante alla responsabilità solidale dei soggetti
avvalsi: circostanza, quest’ultima, rimessa dalla direttiva all’eventuale
decisione discrezionale dell’amministrazione aggiudicatrice (anche se poi
effettivamente tradottasi in un precetto di legge in sede di recepimento con
l’art. 89, comma 5, codice dei contratti);
e2) non v’è, quindi, ragione,
per riservare al consorzio che si avvale dei requisiti di un consorziato “non
designato”, un trattamento diverso da quello riservato ad un qualunque
partecipante, singolo o associato, che ricorre all’avvalimento: nell’uno,
come nell’altro caso, in virtù dell’art. 89, comma 3, del codice dei
contratti, ove il requisito “prestato” venga meno, l’impresa avvalsa
potrà (id est: dovrà) essere sostituita;
f) tali conclusioni non toccano la perdurante
validità del principio di necessaria continuità nel possesso dei requisiti,
affermato dall’Adunanza plenaria con sentenza 20.07.2015, n. 8 (in
Urbanistica e appalti, 2016, 88, con nota di GIACALONE), né il più generale
principio di immodificabilità soggettiva del concorrente (salvi i casi
previsti della legge nel caso di raggruppamento temporaneo di imprese):
f1) è vero che, nel caso deciso
con la sentenza n. 8 del 2015, cit., la Plenaria lasciò intendere che
l’affermato principio di continuità dovesse valere anche per l’impresa
avvalsa, ma quel quadro normativo è mutato: l’art. 63 della direttiva n.
2014/24/UE oggi impone che qualora il soggetto avvalso che nelle more del
procedimento di gara o durante l’esecuzione del contratto perda i requisiti,
esso venga sostituito;
f2) d’altronde, la sostituzione
è lo strumento nuovo e alternativo – è stato definito “istituto del tutto
innovativo” (Cons. Stato, sez. III, 25.11.2015, n. 5359, in Urbanistica
e appalti, 2016, 696, con nota di MANZI; Nuovo dir. amm., 2016, 3, 80, con
nota di URBANI;
Corte di giustizia UE, 14.09.2017, C-223/16 Casertana costruzioni s.r.l.,
in Giur. it., 2017, 2458 con nota di GIUSTI e Urbanistica e appalti, 2018,
183, con nota di MANZI, nonché oggetto della
News US in data 05.12.2017);
f3) detto istituto restituisce
al soggetto avvalso la sua vera natura di soggetto che presta i requisiti al
concorrente, senza partecipare alla compagine e all’offerta da questa
formulata e risponde alla superiore esigenza –strumentale a stimolare il
ricorso all'avvalimento– di evitare l'esclusione del concorrente, singolo o
associato, per ragioni a lui non direttamente riconducibili o imputabili;
f4) di tale mutato quadro ha
dato di recente atto l’ordinanza
20.03.2020, n. 2005 (oggetto della
News US in data 31.03.2020, alla quale si rinvia per ogni
ulteriore approfondimento), con la quale la terza sezione del Consiglio di
Stato ha dubitato della compatibilità con il diritto UE della normativa
interna in materia di avvalimento e cause di esclusione, nella parte in cui
prevede che, in caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa
ausiliaria riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in
giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave
illecito processionale, la stazione appaltante debba sempre escludere
l’operatore economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di
indicare un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima
(Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 18.03.2021 n. 5 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’Adunanza
plenaria pronuncia sulla partecipazione alla gara di un consorzio stabile
che ripeta la qualificazione da una consorziata non designata ai fini
dell’esecuzione dei lavori.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Consorzi stabili –
Qualificazione da una consorziata non designata ai fini dell’esecuzione dei
lavori – Natura della consorziata – Rimessione all’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato.
La consorziata di un consorzio stabile, non
designata ai fini dell’esecuzione dei lavori, è equiparabile, ai fini
dell’applicazione dell’art. 63 della direttiva 24/2014/UE e dell’art. 89,
comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016, all’impresa ausiliaria nell’avvalimento,
sicché la perdita da parte della stessa del requisito impone alla stazione
appaltante di ordinarne la sostituzione.
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(1) La questione era stata rimessa da
Cga, ord., 29.12.2020, n. 1211.
Ha chiarito l’Alto consesso che il consorzio ordinario di cui agli artt.
2602 e ss. c.c., pur essendo un autonomo centro di rapporti giuridici, non
comporta l’assorbimento delle aziende consorziate in un organismo unitario
costituente un’impresa collettiva, né esercita autonomamente e direttamente
attività imprenditoriale, ma si limita a disciplinare e coordinare,
attraverso un’organizzazione comune, le azioni degli imprenditori riuniti
(Cass. civ., sez. trib., 09.03.2020, n. 6569; id., sez. I, 27.01.2014, n.
1636).
Nel consorzio con attività esterna la struttura organizzativa provvede
all’espletamento in comune di una o alcune funzioni (ad esempio, l’acquisto
di beni strumentali o di materie prime, la distribuzione, la pubblicità, etc.),
ma nemmeno in tale ipotesi il consorzio, nella sua disciplina civilistica, è
dotato di una propria realtà aziendale. Ne discende che, ai fini della
disciplina in materia di contratti pubblici, il consorzio ordinario è
considerato un soggetto con identità plurisoggettiva, che opera in qualità
di mandatario delle imprese della compagine. Esso prende necessariamente
parte alla gara per tutte le consorziate e si qualifica attraverso di esse,
in quanto le stesse, nell’ipotesi di aggiudicazione, eseguiranno il
servizio, rimanendo esclusa la possibilità di partecipare solo per conto di
alcune associate (Cons.
St., sez. V, 06.10.2015, n. 4652, il quale ha statuito
l’illegittimità della partecipazione di un consorzio ordinario che, pur
riunendo due società, aveva dichiarato di gareggiare per conto di una sola
di esse).
Non è così per i consorzi stabili. Questi, a mente dell’art. 45, comma 2,
lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, sono costituiti “tra imprenditori
individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di
produzione e lavoro” che “abbiano stabilito di operare in modo
congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine
una comune struttura di impresa”.
È in particolare il riferimento aggiuntivo e qualificante alla “comune
struttura di impresa” che induce ad approdare verso lidi ermeneutici
diversi ed opposti rispetto a quanto visto per i consorzi ordinari. I
partecipanti in questo caso danno infatti vita ad una stabile struttura di
impresa collettiva, la quale, oltre a presentare una propria soggettività
giuridica con autonomia anche patrimoniale, rimane distinta e autonoma
rispetto alle aziende dei singoli imprenditori ed è strutturata, quale
azienda consortile, per eseguire, anche in proprio (ossia senza l’ausilio
necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate), le
prestazioni affidate a mezzo del contratto (Cons.
St., sez. VI, 13.10.2020, n. 6165).
Proprio sulla base di questa impostazione, la Corte di Giustizia UE
(C-376/08, 23.12.2009) è giunta ad ammettere la contemporanea partecipazione
alla medesima gara del consorzio stabile e della consorziata, ove quest’ultima
non sia stata designata per l’esecuzione del contratto e non abbia pertanto
concordato la presentazione dell’offerta (Cons.
St., sez. III, 04.02.2019, n. 865).
Tanto chiarito sul versante della natura giuridica del consorzio stabile,
giova fare un ulteriore cenno esplicativo al cd. meccanismo di
qualificazione alla “rinfusa” che ha segnatamente caratterizzato la
vicenda in causa.
Trattasi del portato dell’art. 31, comma 1, d.lgs. 19.04.2017, n. 56,
vigente all’epoca dei fatti di causa, per il quale: “I consorzi di cui
agli artt. 45, comma 2, lett. c) e 46, comma 1, lett. f), al fine della
qualificazione, possono utilizzare sia i requisiti di qualificazione
maturati in proprio, sia quelli posseduti dalle singole imprese consorziate
designate per l’esecuzione delle prestazioni, sia, mediante avvalimento,
quelli delle singole imprese consorziate non designate per l’esecuzione del
contratto. Con le linee guida dell’Anac di cui all’art. 84, comma 2, sono
stabiliti, ai fini della qualificazione, i criteri per l’imputazione delle
prestazioni eseguite al consorzio o ai singoli consorziati che eseguono le
prestazioni”.
La disposizione ha avuto vigore sino al 2019. L'art. 1, comma 20, lett. l),
n. 1), d.l. 18.04.2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l.
14.06.2019, n. 55, ha eliminato tale regola, ripristinando l’originaria e
limitata perimetrazione del cd. cumulo alla rinfusa ai soli aspetti relativi
alla “disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d'opera, nonché
all'organico medio annuo”, i quali sono “computati cumulativamente in
capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.
Siffatto peculiare meccanismo (si ribadisce, esteso all’epoca dei fatti di
causa anche ai requisiti di qualificazione, ma oggi limitato ad
attrezzature, mezzi d'opera e organico medio annuo) ha radici nella natura
del consorzio stabile e si giustifica in ragione: a) del patto consortile,
comunque caratterizzato dalla causa mutualistica; b) del rapporto duraturo
ed improntato a stretta collaborazione tra le consorziate avente come fine “una
comune struttura di impresa”.
Quanto sopra, se è vero in via generale in relazione al cumulo di alcuni
requisiti necessari alla partecipazione, necessita invece di un distinguo,
ai diversi fini dei legami che si instaurano nell’ambito della gara, tra
consorzio stabile e consorziate, a seconda se queste ultime siano o meno
designate per l’esecuzione dei lavori.
Solo le consorziate designate per l’esecuzione dei lavori partecipano alla
gara e concordano l’offerta, assumendo una responsabilità in solido con il
consorzio stabile nei confronti della stazione appaltante (art. 47 comma 2,
del codice dei contratti). Per le altre il consorzio si limita a mutuare,
ex lege, i requisiti oggettivi, senza che da ciò discenda alcuna vincolo
di responsabilità solidale per l’eventuale mancata o erronea esecuzione
dell’appalto.
Si è dinanzi, in quest’ultimo caso, ad un rapporto molto simile a quello
dell’avvalimento (non a caso espressamente denominato tale dalla vecchia
versione dell’art. 47 comma 2, ratione temporis applicabile), anche
se, per certi versi, meno intenso: da una parte, infatti, il consorziato
presta i requisiti senza partecipare all’offerta, similmente all’impresa
avvalsa (senza bisogno di dichiarazioni, soccorrendo la “comune struttura
di impresa” e il disposto di legge), dall’altra, pur facendo ciò, rimane
esente da responsabilità (diversamente dall’impresa avvalsa).
Una forma di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità dunque.
Questa constatazione, se intermediata attraverso l’elaborazione logica, è di
per sé sufficiente a giustificare l’applicazione alla fattispecie in esame
dell’art. 89, comma 3, del codice dei contratti.
A mente della disposizione citata, infatti la stazione appaltante (in luogo
di disporre l’esclusione in cui inesorabilmente incorrerebbe un concorrente
nell’ambito di un raggruppamento o di un consorzio ordinario o stabile)
impone all'operatore economico di “sostituire” i soggetti di cui si
avvale “che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i
quali sussistono motivi obbligatori di esclusione”. Ergo, se è
possibile, in via eccezionale, sostituire il soggetto legato da un rapporto
di avvalimento, a fortiori dev’essere possibile sostituire il
consorziato nei confronti del quale sussiste un vincolo che rispetto all’avvalimento
è meno intenso.
Del resto, che questa sia la soluzione per colmare la lacuna normativa
esistente, ed evidenziata dall’ordinanza di rimessione, per il caso del
consorziato non designato per l’esecuzione, trova piena conferma nell’ampia
formulazione dell’art. 63 della direttiva 2014/24/UE, il quale, nel
disciplinare l’avvalimento, vi ricomprende tutti i casi in cui un operatore
economico, per un determinato appalto, fa “affidamento sulle capacità di
altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con
questi ultimi”, senza dare rilevanza qualificante alla responsabilità
solidale dei soggetti avvalsi. Circostanza, quest’ultima, rimessa piuttosto
dalla direttiva all’eventuale decisione discrezionale dell’amministrazione
aggiudicatrice (l’amministrazione aggiudicatrice “può esigere” che
l’operatore economico e i soggetti di cui sopra siano solidalmente
responsabili dell’esecuzione del contratto, recita l’art. 63 cit.), anche se
poi tradottasi in un precetto di legge in sede di recepimento
nell’ordinamento italiano (art. 89, comma 5, codice dei contratti).
Non v’è ragione, dunque, per riservare al consorzio che si avvale dei
requisiti di un consorziato “non designato”, un trattamento diverso
da quello riservato ad un qualunque partecipante, singolo o associato, che
ricorre all’avvalimento. Nell’uno, come nell’altro caso, in virtù dell’art.
89, comma 3, del codice dei contratti, ove il requisito “prestato”
venga meno, l’impresa avvalsa potrà, rectius, dovrà essere
sostituita.
In risposta alle preoccupazioni manifestate dal Collegio rimettente, e al
fine di garantire chiarezza e certezza al quadro esegetico complessivo, può
aggiungersi che la chiave interpretativa innanzi delineata non tocca la
perdurante validità del principio di necessaria continuità nel possesso dei
requisiti, affermato dall’Adunanza Plenaria con sentenza 8/2015, né il più
generale principio di immodificabilità soggettiva del concorrente (salvi i
casi previsti della legge nel caso di raggruppamento temporaneo di imprese).
Con tale decisione l’Adunanza, ribadendo il portato della costante
giurisprudenza antecedente, ha affermato il principio generale, secondo cui
“il possesso dei requisiti di ammissione si impone a partire dall'atto di
presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la durata della
procedura di evidenza pubblica”; chiarendo che “per esigenze di
trasparenza e di certezza del diritto, che non collidono col pur rilevante
principio del favor partecipationis, la verifica del possesso, da parte del
soggetto concorrente (ancor prima che aggiudicatario), dei requisiti di
partecipazione alla gara deve ritenersi immanente all’intero procedimento di
evidenza pubblica, a prescindere dalla indicazione, da parte del
legislatore, di specifiche fasi espressamente dedicate alla verifica stessa,
quali quelle di cui all’art. 11, comma 8, ed all’art. 48, d.lgs. n. 163 del
2006”.
Trattasi di un principio del quale, a valle dell’Adunanza Plenaria citata,
nessuno più dubita, e che merita piena adesione anche oggi, in questa sede.
E’ pur vero che, nel caso allora deciso, l’Adunanza si spinse a precisare
che sussiste “sul piano dell’accertamento dei requisiti di ordine
generale e tecnico-professionali ed economici, una totale equiparazione tra
gli operatori economici offerenti in via diretta e gli operatori economici
in rapporto di avvalimento e dunque, in definitiva, fra i primi e
l’imprenditore, che preferisca seguire la via del possesso mediato ed
indiretto dei requisiti di partecipazione ad una gara”, con ciò
lasciando chiaramente intendere che l’affermato principio di continuità
dovesse valere anche per l’impresa avvalsa.
Tuttavia detta ultima affermazione dev’essere letta nel quadro normativo,
ratione temporis vigente, anche comunitario, che pacificamente escludeva
la possibilità di una sostituzione dell’impresa rimasta priva di requisiti,
a prescindere se essa fosse legata da un vincolo di associazione temporanea
con l’aggiudicatario o da un più tenue rapporto di avvalimento (art. 44
della Dir. 31.03.2004, n. 2004/18/CE).
Quel quadro normativo è mutato, e per il tramite del più volte citato art.
63 della direttiva 2014/24/UE, esso oggi pacificamente impone che il
soggetto avvalso che nelle more del procedimento di gara o durante
l’esecuzione del contratto perda i requisiti, venga sostituito.
Dunque non v’è più motivo per discorrere, in relazione a tale peculiare
fattispecie, di necessaria “continuità” nel possesso dei requisiti
del concorrente che si avvale dell’apporto claudicante di terzi, a pena di
esclusione.
La sostituzione è appunto lo strumento nuovo e alternativo che, alla luce
del principio di proporzionalità, consente quella continuità predicata
dall’Adunanza Plenaria nel 2015, in tutti i casi in cui il concorrente si
avvalga dell’ausilio di operatore terzi. Trattasi di un "istituto del
tutto innovativo", secondo la definizione datane dal Consiglio Stato (sez.
III, n. 5359 del 2015) e dalla Corte di Giustizia dell'Unione
europea (C-223/16 del 14.09.2017, Casertana costruzioni s.r.l.).
Esso restituisce al soggetto avvalso la sua vera natura di soggetto che
presta i requisiti al concorrente, senza partecipare alla compagine e
all’offerta da questa formulata e risponde all'esigenza, stimata superiore,
di evitare l'esclusione del concorrente, singolo o associato, per ragioni a
lui non direttamente riconducibili o imputabili. Esigenza quest’ultima
evidentemente strumentale a stimolare il ricorso all'avvalimento: il
concorrente, infatti, può contare sul fatto che, nel caso in cui
l'ausiliaria non presenti o perda i requisiti prescritti, potrà procedere
alla sua sostituzione senza il rischio di essere, solo per questa
circostanza, estromesso automaticamente dalla procedura selettiva (Cons.
Stato, sez. V,
n. 69 del 2019; id.
2527 del 2018;
1101 del 2018).
Di tale mutato quadro ha dato di recente atto l’ordinanza 20.03.2020, n.
2005, con la quale la terza sezione del Consiglio di Stato ha adito in via
pregiudiziale la Corte di Giustizia dell’Unione europea proprio in relazione
al meccanismo sostitutivo contemplato dall’art. 89, co. 3, del d.lgs. n.
50/2016, sostenendone la necessaria estensione, a termini del diritto
dell’unione, a tutte le fattispecie di esclusione, a prescindere dai motivi
(attualmente l’art. 89, comma 3, e la giurisprudenza escludono pacificamente
che la sostituzione possa avvenire nel caso di dichiarazioni mendaci
(Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 18.03.2021 n. 5 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
APPALTI – Accordo quadro – Art. 3, c. 1, lett. iii), del
d.lgs. n. 50/2016 – Accordo quadro – Nozione – Introduzione
di clausole normative per i contratti da attivare tra le
parti in un dato periodo.
L’art. 3, comma 1, lett. iii), del
decreto legislativo 18.04.2016 n. 50 definisce
l’accordo-quadro come l’accordo concluso tra una o più
stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, il cui
scopo è proprio quello di stabilire clausole normative, in
particolare per quanto riguarda i prezzi e, se del caso, le
quantità previste, per i contratti d’attivare tra le parti
in un dato periodo preso a riferimento.
Si tratta di un modulo procedurale (più tipico delle
centrali di committenza) ammesso dalla disciplina di
derivazione europea in materia di contratti pubblici, che
permette anche di stabilire uno o più servizi fissi di base
e di gestire, con flessibilità, l’attivazione di contratti o
servizi opzionali a scelta (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 10.03.2021 n. 442 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI FORNITURE:
APPALTI – Ordinamento penitenziario – Vitto e sopravvitto –
Differenza – Prestazione del vitto ai detenuti – Contratto
di appalto di servizi – Sopravvitto – Contratto di
somministrazione – Differenze tra appalto e
somministrazione.
Nell’ordinamento penitenziario, il
“vitto” consiste nell’approvvigionamento a monte, nella
fornitura delle derrate alimentari necessarie e nel
confezionamento dei pasti giornalieri completi (colazione,
pranzo e cena) ai detenuti.
Come in consimili fattispecie di appalti per la preparazione
dei pasti aziendali o per collettività di utenti, la
prestazione del vitto ai detenuti e internati (c.d.
ristretti) integra un contratto di “appalto di servizi”
(art. 1655 ss. del codice civile), in quanto, accanto alla
somministrazione dei prodotti alimentari, v’è l’attività di
lavorazione, mediante maestranze dedicate, consistente nella
preparazione dei pasti giornalieri d’uso.
Al contrario, il “sopravvitto” si risolve nel mero contratto
di “somministrazione” (artt. 1559 ss. del codice civile), in
quanto consiste nella “fornitura periodica” di un insieme
(prestabilito) di generi alimentari e vari beni di conforto
(dunque non solo alimenti), acquistabili mediante
contingentati fondi personali (c.d. peculio del
“ristretto”), diretta a soddisfare l’interesse del
somministrato, ossia dell’istituto di pena (e solo
indirettamente del “ristretto”), il quale, nell’osservanza
dell’ordinamento penitenziario, “può” autorizzare, nei
prefissati limiti di genere e di spesa, la fornitura di
alimenti di pronta consumazione o di beni di conforto in
favore dei detenuti e internati c.d. “meritevoli”.
Il contratto di somministrazione, pur similare, si distingue
dal contratto di appalto, perché ha per oggetto la
prestazione di cose (art. 1559 del codice civile), ossia i
soli generi di sopravvitto ammessi; mentre, oggetto
dell’appalto è il compimento di un servizio predefinito
(art. 1655 del codice civile), ossia l’attività di
preparazione dei pasti del vitto, che va oltre la mera
fornitura di alimenti.
La causa della somministrazione non è solo la prestazione di
cose da consegnare, ma la ripetizione di queste prestazioni
e, quindi, la periodicità della prestazione vale a
contraddistinguerla anche rispetto al tipo giuridico della
vendita. Nella somministrazione la cosa è negoziata come
tale e non come risultante dall’attività altrui, attività
che invece nell’appalto assume rilevanza, in quanto
l’imprenditore mette a disposizione i propri mezzi e il
proprio capitale per eseguire un servizio più ampio a favore
del committente.
...
APPALTI – Contratto di sopravvitto – Contenuto specifico.
Nel contratto di somministrazione, le
parti possono omettere di specificare l’entità delle
prestazioni. Infatti, l’art. 1560 del codice civile prevede
una disciplina suppletiva, che richiama la nozione in sé
indeterminata di “normale fabbisogno”, comunque derogabile
dalle parti, le quali possono prevedere espressamente che il
somministrato possa decidere di volta in volta la
specificazione e il quantitativo delle cose prestabilite nel
genere da ricevere, per cui viene ammessa (e pacificamente
utilizzata nella prassi negoziale) la somministrazione con
il patto o la clausola c.d. “a piacere” (o “a richiesta”, o
“a discrezione”) del somministrato
(Cass., sez. III civ., 20.10.1975 n. 3450; Tribunale di
Milano 28.06.2011).
Il sopravvitto si atteggia dunque a
contratto di somministrazione di cose, con il quale una
parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a
eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o
continuative di cose (art. 1559 c.c.). Il sopravvitto
costituisce mera attività di approvvigionamento di merci e
consegna (ossia di stoccaggio e immagazzinamento) e non di
vendita diretta alla libera utenza. E’ indi prevista la
fruizione di un locale di “spaccio” adiacente o in
prossimità al magazzino.
L’Amministrazione contraente, inoltre, come da capitolato
prestazionale, laddove disponibili, concede in uso i locali
per lo stoccaggio e il deposito delle merci e l’uso degli
impianti e delle attrezzature eventualmente esistenti
all’interno dei predetti locali (quali celle frigorifere e/o
frigocongelatori).
Nella sostanza il contratto di somministrazione (accessorio)
del c.d. sopravvitto è fatto oggetto di “concessione”
all’aggiudicatario, con la clausola di esclusiva (dato che i
detenuti non possono scegliere alternative al di fuori del
carcere), rispetto al quale l’introito normale da attendersi
è il prezzo del bene al minuto, che pur tiene in conto il
c.d. ricarico dei costi di vendita.
...
APPALTI – Vitto e sopravvitto – Remunerazione.
La remunerazione delle singole
prestazioni dell’accessorio contratto di somministrazione
del sopravvitto non comporta interferenza alcuna con la
remunerazione del principale appalto di servizi del vitto.
L’unico collegamento tra vitto e sopravvitto sta nella
circostanza che l’operatore economico offerente viene
informato circa la possibilità di conseguire tale ulteriore
vantaggio, rispetto a profitti ricavabili dal solo appalto
di vitto, considerando che non si tratta di allestire un
–giammai consentibile– “supermercato” interno all’istituto
di pena, bensì di utilizzare un locale adibito a “spaccio”
adiacente al magazzino.
Tant’è che, alla stregua della lex specialis di gara, la
normale remunerazione attesa per il sopravvitto consiste
proprio nella differenza tra il prezzo del bene alla vendita
“al minuto” e il costo del bene pagato invece
all’approvvigionamento “all’ingrosso”, intrinsecamente
variabile nel suo fatturato globale e nell’utile ritraibile
in rapporto alle disponibilità finanziarie e al numero dei
soggetti c.d. ristretti ammessi al sopravvitto (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 10.03.2021 n. 442 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Secondo
il consolidato orientamento
giurisprudenziale, le norme dell’evidenza
pubblica non sono poste formalisticamente a presidio di un pericolo
astratto, ma del concreto e regolare
svolgimento delle operazioni di gara, che
possono essere contestate e annullate solo
laddove il ricorrente offra almeno un
principio di prova dal quale si desuma in
via indiziaria che l’operato della
Commissione giudicatrice o abbia violato
direttamente la legge o sia affetto da
eccesso di potere in una delle sue figure
sintomatiche.
«(Nel caso di specie) tale
principio non è stato offerto dall’odierna
appellante perché la circostanza che i
singoli commissari abbiano espresso tutti lo
stesso punteggio o un unico punteggio, come
ormai afferma la consolidata giurisprudenza
di questo Consiglio di Stato, non è ex se
indice di illegittimità, per la stringente
ragione che essa prova troppo, «non essendo nemmeno
sufficientemente chiaro il punto di caduta
di tale rilievo censoreo ben potendo
spiegarsi la detta circostanza come una
fisiologica evoluzione del confronto
dialettico svoltosi in seno a tale organo».
Invero, «Non
si può pertanto desumere, dal solo fatto che
le valutazioni espresse da ciascuno dei
commissari risultano omogenee, alcuna
illegittimità delle stesse, né
l’omologazione dei punteggi costituisce, per
il legislatore, e per il bando della gara in
esame, un sintomo certo di illegittimità».
---------------
Nella
seconda parte del terzo motivo
(indicata come “III.II”), la società H.
evidenzia che ognuno dei cinque membri della
commissione di gara ha espresso il medesimo
giudizio per ciascuna delle voci oggetto di
valutazione discrezionale e per tutte le
proposte tecniche esaminate (cfr. ancora il
doc. 2 della ricorrente).
Secondo l’art. 13.4 del capitolato d’oneri
relativo al punteggio tecnico (cfr. ancora
il doc. 1 della controinteressata del
09.07.2019, pagina 50 di 67), ogni commissario
attribuisce un giudizio per ogni aspetto
qualitativo dell’offerta, da “Accettabile” a
“Ottimo”, al quale corrisponde un
coefficiente numerico da 0,25 a 1,00.
Orbene, a detta della ricorrente, la
coincidenza dei giudizi dei commissari
implicherebbe di per sé l’illegittimità
dell’attribuzione del punteggio tecnico, che
sarebbe il risultato di una decisione
collegiale e non dell’apporto valutativo di
ogni singolo membro della commissione.
La doglianza è priva di pregio, giacché, in
assenza di prova diversa, la mera
coincidenza dei giudizi individuali appare
irrilevante, ben potendo la stessa essere la
naturale conseguenza dell’orientamento di
ogni commissario.
Sul punto la giurisprudenza amministrativa è
pacifica; si vedano, in particolare,
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n.
574/2021: «…come ha ben rilevato anche la
sentenza impugnata, si deve tenere presente
infatti il consolidato orientamento
giurisprudenziale, di recente ribadito anche
da questa Sezione, secondo cui le norme
dell’evidenza pubblica non sono poste formalisticamente a presidio di un pericolo
astratto, ma del concreto e regolare
svolgimento delle operazioni di gara, che
possono essere contestate e annullate solo
laddove il ricorrente offra almeno un
principio di prova dal quale si desuma in
via indiziaria che l’operato della
Commissione giudicatrice o abbia violato
direttamente la legge o sia affetto da
eccesso di potere in una delle sue figure
sintomatiche.
5.6. Nel caso di specie tale
principio non è stato offerto dall’odierna
appellante perché la circostanza che i
singoli commissari abbiano espresso tutti lo
stesso punteggio o un unico punteggio, come
ormai afferma la consolidata giurisprudenza
di questo Consiglio di Stato, non è ex se
indice di illegittimità, per la stringente
ragione che essa prova troppo (cfr., ex
plurimis, Cons. St., sez. III, 06.11.2019, n. 7595; Cons. St., sez. V, 24.03.2014, n. 1428, Cons. St., sez. V, 17.12.2015, n. 517), «non essendo nemmeno
sufficientemente chiaro il punto di caduta
di tale rilievo censoreo ben potendo
spiegarsi la detta circostanza come una
fisiologica evoluzione del confronto
dialettico svoltosi in seno a tale organo» (Cons.
St., sez. III, 26.10.2020, n. 5130)»;
oltre a Consiglio di Stato, sez. V, sentenza
n. 1497/2021 e sez. III, sentenza n.
8295/2020, ed infine TAR Lombardia, Milano,
sez. IV, sentenza n. 529/2020, per cui: «Non
si può pertanto desumere, dal solo fatto che
le valutazioni espresse da ciascuno dei
commissari risultano omogenee, alcuna
illegittimità delle stesse, né
l’omologazione dei punteggi costituisce, per
il legislatore, e per il bando della gara in
esame, un sintomo certo di illegittimità
(TAR Lombardia–Milano, Sez. IV, n.
2437/2019; cfr., C.d.S., Sez. VI, n.
1887/2019; Id., Sez. III, n. 3994/2017 e n.
2682/2019)».
Nel caso di specie l’esponente si è limitata
ad evidenziare l’omogeneità dei giudizi,
senza altro addurre o provare.
In conclusione, devono respingersi anche il
terzo motivo e quindi l’intero
ricorso
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 01.03.2021 n. 541 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2021 |
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APPALTI: Esclusione
automatica «emergenziale», obbligatoria anche se non è prevista nella legge
di gara.
Secondo il giudice capitolino, l'esclusione automatica
semplificata «emergenziale» è obbligatoria anche se non è stata richiamata
nella legge speciale. La norma introdotta dal Dl 76/2020 e dalla successiva
legge di conversione 120/2020, al comma 3, dell'art. 1, applicabile alla
procedura negoziata in caso di appalto al minor prezzo con soli 5
partecipanti (in luogo dei 10 previsti dal comma 8 dell'articolo 97 del
Codice) è obbligatoria a differenza di quanto ha sostenuto il Tar Puglia
nella sentenza n. 113/2021 (si veda NT+ Enti Locali & Edilizia del 29
gennaio).
In questo senso il TAR Lazio-Roma, Sez. I, con la
sentenza
19.02.2021 n. 2104.
La vicenda
Una stazione appaltante avvedutasi del mancato adeguamento del sistema
telematico alla nuove norme della legge 120/2020 ha effettuato una nuova
seduta pubblica del seggio di gara «per il ricalcolo della soglia di
anomalia».
Questo ha comportato che l'impresa risultata aggiudicataria, a seguito
dell'annullamento dell'esito della competizione, è stata esclusa in quanto
aveva presentato un'offerta anomala.
L'impresa ha presentato ricorso evidenziando come nella lettera di invito si
disponesse per l'applicazione delle disposizioni contenute nell'articolo 97
senza alcun recepimento/menzione delle nuove norme e della "nuova"
fattispecie semplificata dell'esclusione automatica.
La sentenza
Il giudice non ha condiviso le ragioni del ricorso ritenendo, come detto,
l'esclusione automatica semplificata con soli 5 partecipanti alla
competizione, come obbligatoria ed eterointegrativa della legge speciale
che, con determina adottata entro il range temporale dell'emergenza (dal 17.07.2020 e fino al 31.12.2021), non ne menzionasse, eventualmente,
l'applicazione.
Secondo il giudice, in sostanza, la norma emergenziale deve essere applicata
a prescindere da ogni richiamo esplicito nella legge di gara vista la
stretta correlazione con gli obiettivi della legge 120/2020, ovvero
consentire l'avvio e l'incentivazione degli investimenti e la ripresa
economica del Paese nel post Covid-19.
In modo chiaro, in sentenza, è annotato che «a differenza di quanto
sostenuto dalla ricorrente, (…) il meccanismo di esclusione automatica ivi
configurato» nella norma, «opera obbligatoriamente, senza necessità di
inserimento negli atti di indizione delle procedure stesse; in altri
termini, esso non è oggetto di una facoltà liberamente esercitabile dalla
stazione appaltante».
Che non si tratti di una mera facoltà lo si deve desumere, ha sottolineato
il giudice capitolino, dal chiaro tenore letterale delle previsioni e, in
via sistematica, «al favor per la procedura negoziata ricavabile»
dall'articolo 1, comma 2, del Dl 76/2020 e successiva legge di conversione.
Dal micro apparato normativo delle disposizioni cosiddette di
«semplificazione» emergerebbe pertanto una netta scelta del legislatore, non
solo verso l'utilizzo di procedimenti di gara estremamente semplificati
(l'affidamento diretto e la procedura negoziata) ma anche la constatazione
che gli scopi/obiettivi di velocizzazione dei procedimenti di gara
verrebbero frustrati se l'esclusione automatica dovesse intendersi come
meramente discrezionale.
Da qui, quindi, l'affermazione per cui la previsione sulla esclusione
automatica (articolo 1, comma 3, della legge 120/2020) non lascerebbe alcun
«margine di scelta alla stazione appaltante, obbligata a procedere
all'esclusione automatica […] pure in mancanza di enunciazione negli atti
gara, trattandosi di una soluzione che oltre a non trovare riscontro nel
dato letterale di legge, […] non risulterebbe nuovamente funzionale
all'obiettivo di celerità delle procedure» (Tar Piemonte sentenza n.
736/2020, contra Tar Puglia, sentenza n. 113/2021).
La discrezionalità, inoltre, sull'applicazione o meno dell'esclusione
automatica si potrebbe prestare a valutazioni di opportunità e quindi a
inaccettabili condizionamenti del procedimento di assegnazione dell'appalto.
Stante la portata del contenzioso è bene, comunque, che i Rup delle stazioni
appaltanti esplicitino chiaramente nella legge di gara, in realtà fin dalla
determina a contrarre, l'applicazione della "nuova" fattispecie di
esclusione automatica a 5 partecipanti alla procedura negoziata da
aggiudicarsi al minor prezzo
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia dell'01.03.2021).
---------------
SENTENZA
I) sul primo motivo:
- che la ricorrente, estromessa dalla procedura a causa della
riscontrata anomalia dell’offerta, censura la scelta della stazione
appaltante di non aver tenuto conto dell’art. 24 della lettera di invito, a
tenore del quale “La procedura di esclusione automatica delle offerte
individuate come anomale, sempre che il numero delle stesse sia pari o
superiore a dieci, è quella fissata ai sensi dell’art. 97, comma 8, del
Codice”, per fare invece applicazione, nonostante il mancato recepimento
da parte della lex specialis, dell’art. 1, co. 3, d.l. 16.07.2020, n.
76 (conv. con modif. dalla l. 11.09.2020, n. 120), con cui è stata dimezzata
la soglia di operatività di detta procedura (da almeno dieci ad almeno “cinque
offerte ammesse”);
- che il motivo è infondato;
- che ai sensi dell’art. 1, co. 3, d.l. cit., recante introduzione
di una disciplina temporanea (efficace dal 17.07.2020, data di entrata in
vigore del d.l. n. 76/2020, fino al 31.12.2021) e derogatoria del d.lgs. n.
50/2016 per le finalità indicate in apertura del comma 1 (“incentivare
gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi
pubblici” e “far fronte alle ricadute economiche negative a seguito
delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19”),
“Gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a
contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti
nell’articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016. Per gli
affidamenti di cui al comma 2, lett. b), le stazioni appaltanti, fermo
restando quanto previsto dall’articolo 95, comma 3, del decreto legislativo
18.04.2016, n. 50, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non
discriminazione e di parità di trattamento, procedono, a loro scelta,
all’aggiudicazione dei relativi appalti, sulla base del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del prezzo più basso. Nel
caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le stazioni
appaltanti procedono all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che
presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di
anomalia individuata ai sensi dell’articolo 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del
decreto legislativo n. 50 del 2016, anche qualora il numero delle offerte
ammesse sia pari o superiore a cinque” (enf. agg.);
- che, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, nelle
procedure prese in considerazione da quest’ultima previsione il meccanismo
di esclusione automatica ivi configurato opera obbligatoriamente, senza
necessità di inserimento negli atti di indizione delle procedure stesse; in
altri termini, esso non è oggetto di una facoltà liberamente esercitabile
dalla stazione appaltante, come si desume dal chiaro tenore letterale della
norma e, in via sistematica, dal favor per la procedura negoziata ricavabile
dall’art. 1, co. 2, d.l. cit. (come rilevato dalla parte controinteressata,
ipotizzare l’introduzione di una mera facoltà vanificherebbe lo scopo di
semplificazione sotteso alla normativa in esame, posto che alla riduzione
del numero di operatori invitati non conseguirebbe la possibilità di
ricorrere a un automatismo per escludere le offerte anomale: la norma
sarebbe, infatti, posta a tutela del duplice interesse a garantire
l’affidabilità dei contraenti con la pubblica amministrazione e ad
assicurare che tale affidabilità sia accertata “in tempi compatibili con
un sollecito svolgimento della procedura di gara”; in questa ottica, non
giova alla ricorrente invocare la circolare Mit del 18.11.2020, n. 45113,
nella parte in cui afferma che per gli appalti sotto soglia “è stata
ampliata la possibilità di esclusione automatica”, trattandosi di una
precisazione che, se intesa nel senso voluto dalla ricorrente medesima,
sarebbe da disapplicare);
- che, pertanto, può convenirsi col rilievo della controinteressata
circa l’eterointegrazione della lex specialis a opera del ridetto
art. 1, co. 3, d.l. n. 76/2020 (per sua parte, l’amministrazione ha
ricondotto a “mero errore di applicazione del sistema telematico” la
mancata indicazione della clausola in questione nella lettera di invito, v.
nota 28.01.2021, dep. 01.02.2021, dichiarando al contempo di avere adottato
la medesima impostazione oggi in esame a “tutte le procedure espletate
[…] da novembre e dicembre 2020”; v. nota 21.01.2021, all. 2 amm.);
- che questo indirizzo trova supporto in una condivisibile recente
pronuncia, alla stregua della quale, in caso di procedura negoziata “in
deroga” (ex art. 1 d.l. n. 76/2020), il tenore dell’art. 1, co. 3, d.l.
cit. non lascia “margine di scelta alla stazione appaltante”,
obbligata a procedere all’esclusione automatica (anche perché “se
l’intero obiettivo della disciplina è quello di semplificare l’andamento
delle gare […], l’esclusione automatica sottosoglia risulta certamente
coerente con tale obiettivo”) pure in mancanza di enunciazione negli
atti gara, trattandosi di una soluzione che “oltre a non trovare
riscontro nel dato letterale di legge, che pare piuttosto idonea, ove
necessario, ad eterointegrare la disciplina di gara, non risulterebbe
nuovamente funzionale all’obiettivo di celerità delle procedure poiché
inserirebbe una, ennesima, previsione di carattere facoltativo con onere di
motivazione circa la scelta effettuata (esclusione automatica o meno) in un
contesto di atti generali quali le leggi di gara, che fisiologicamente si
presterebbe poi a contestazioni circa l’opportunità e/o la sufficiente
giustificazione della scelta, con effetti nuovamente potenzialmente opposti
al dichiarato fine di rendere celere ed automatico l’esito della procedura”
(così Tar Piemonte 17.11.2020, n. 736; con riferimento, poi, alla sentenza
Tar Puglia, Lecce, 22.01.2021, n. 113, richiamata dalla ricorrente, che
afferma l’inoperatività dell’esclusione automatica se non prevista negli
atti di indizione della gara, sulla base dei principi espressi da Corte
giust. UE 02.06.2016, C-27/15, e 10.11.2016, C-162, si può osservare che, al
netto dei dubbi circa la possibilità di riferire tali principi non solo a
previsioni di natura escludente, e dunque aventi rilievo sulla platea dei
partecipanti, ma a un meccanismo, peraltro automatico, di esclusione di
offerte anomale, ossia presuntivamente inadeguate a garantire la corretta
esecuzione dell’appalto, sta di fatto che nel caso in esame la lex specialis
comunque ne prevedeva l’operatività, come si è visto; cfr. art. 24 lett. inv.);
II) sul secondo mezzo:
- che la società ricorrente si duole, in via gradata, del fatto che
l’annullamento in autotutela, intervenuto a offerte già note e non preceduto
da alcuna valutazione sulla sussistenza di specifiche ragioni di interesse
pubblico ex art. 21-nonies l. n. 241/1990, avrebbe dovuto riguardare (non
già la sola aggiudicazione in suo favore, ma) tutti gli atti di gara, con
conseguente necessità del rinnovo della procedura; tanto più alla luce del
fatto che il vizio atterrebbe in primis alla lettera di invito (con sua
propagazione agli atti successivi, aggiudicazione inclusa; la ricorrente ha
precisato, sul punto, di voler censurare l’aggiudicazione disposta in favore
della seconda classificata in un momento in cui già era noto il contenuto
delle offerte economiche e dunque il nominativo del beneficiario finale,
avendo a suo dire l’amministrazione effettuato una scelta secundum
eventum, con asserita violazione dei canoni di imparzialità e par
condicio; mem. 08.02.2021 ric., in replica all’obiezione della
controinteressata sulla circostanza che il calcolo di anomalia non potrebbe
che avvenire a offerte conosciute);
- che va disatteso pure questo motivo, avuto riguardo al criterio
di aggiudicazione indicato dalla lex specialis (prezzo più basso);
- che l’automatismo con il quale opera tale criterio (e la “cristallizzazione”
delle offerte presentate dai concorrenti) impedisce di ravvisare le dedotte
violazioni della regola della par condicio, essendo quest’ultimo
canone di norma riferibile ad attività valutative delle pubbliche
amministrazioni, caratterizzate da esercizio di discrezionalità (pure
tecnica), e non anche a un’attività vincolata quale quella diretta
all’individuazione dell’offerta non anomala recante il maggior ribasso,
rispetto alla quale ordinariamente (e quantomeno agli odierni fini) non
rileva l’identità degli eventuali beneficiari;
- che, venendo oggi in rilievo questa seconda attività, non si
ravvisano i vizi prospettati dalla ricorrente (la quale, peraltro, nemmeno
adduce elementi tali da far percepire aspetti di arbitrarietà nella condotta
della stazione appaltante);
- che, sotto altro profilo, risultano chiaramente esposte le
ragioni della determinazione tutoria (l’interesse pubblico è evidentemente
collegato alla necessità di individuare il “giusto” contraente
dell’amministrazione); |
APPALTI: Forniture, in fase esecutiva verifica specifiche tecniche.
Prevalenza bando di gara su capitolato.
In una gara d'appalto pubblico per una fornitura standardizzata, a
differenza della verifica delle condizioni di capacità e di idoneità
soggettiva dei concorrenti da effettuarsi prima del contratto, la verifica
delle specifiche tecniche va svolta in sede esecutiva, con la produzione e/o
l'acquisizione dei beni dopo la stipula del contratto.
Lo ha precisato il TAR dell'Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, con la
sentenza
08.02.2021 n. 88 rispetto ad una controversia nella
quale era stato chiesto l'annullamento degli atti di gara nella parte in cui
dovesse esser interpretata come tale da imporre alla stazione appaltante di
procedere alla fase di verifica sui campioni nella fase di esecuzione e non
prima della stipulazione del contratto.
Per i giudici, ai sensi dell'art. 32, comma 7, del Codice appalti,
l'aggiudicazione diventa efficace dopo la verifica del possesso dei
requisiti, da intendersi come requisiti generali o morali (art. 80 del
codice) o speciali (art. 83 del codice) posseduti dal concorrente. È noto,
infatti, hanno ricordato i giudici che i requisiti di partecipazione fanno
esclusivo riferimento a condizioni di capacità e idoneità degli offerenti
mentre i criteri di valutazione a elementi specifici dell'offerta (e non
degli offerenti) in relazione al progetto da realizzare (a tale riguardo
nella sentenza si richiama il precedente del Consiglio di stato sez. III,
dell'11.03.2019, n. 1635).
Ciò premesso, ha affermato il Tar, nessuna norma del vigente codice appalti
prevede invece una fase di verifica sulle specifiche tecniche ovvero su
campioni rappresentativi del prodotto offerto, si che tale verifica può e
deve svolgersi di norma, salvo diversa previsione degli atti di gara, in
sede esecutiva.
Nel caso di specie, secondo il disciplinare, la verifica prevista prima
della stipulazione ha carattere orientativo e non sostitutiva di quella da
effettuarsi in sede esecutiva, conformemente all'esaminata necessità di
consentire al concorrente la produzione o l'acquisizione dei beni soltanto
dopo la stipulazione del contratto, specie ove l'appalto abbia poi ad
oggetto prodotti standardizzati
(articolo ItaliaOggi del 12.02.2021). |
gennaio 2021 |
|
APPALTI: - l’offerta economica dell’aggiudicataria
indica espressamente l’importo relativo al
costo della manodopera,
risultando quindi conforme alle prescrizioni
di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n.
50/2016, il quale impone ai concorrenti di
indicare nell’offerta economica i propri
costi per la manodopera e gli oneri
aziendali per la sicurezza;
- la mancata allegazione all’offerta della
tabella recante la scomposizione dei costi
del personale non si pone in contrasto con
la norma sopra richiamata, né risulta
sanzionata con l’esclusione dalla lex
specialis;
- contrariamente a quanto sostenuto da parte
ricorrente, integrano elementi essenziali
dell’offerta economica l’indicazione del
prezzo complessivo proposto per
l’adempimento delle obbligazioni nascenti
dallo stipulando contratto e la separata
indicazione dei costi della manodopera, ma
non la tabella in questione, contenente dati
che potevano risultare utili ai fini della
valutazione circa la congruità delle offerte
e il rispetto dei minimi salariali e che,
per tale ragione, poteva legittimamente
essere richiesta dalla stazione appaltante
anche ad integrazione della documentazione
già prodotta, come avvenuto nella
fattispecie.
---------------
2.1. Con riguardo al primo motivo del
ricorso introduttivo, come integrato dal
quarto motivo aggiunto, è sufficiente
rilevare che:
- l’offerta economica dell’aggiudicataria
indica espressamente l’importo relativo al
costo della manodopera (v. doc. 4 di GSA),
risultando quindi conforme alle prescrizioni
di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n.
50/2016, il quale impone ai concorrenti di
indicare nell’offerta economica i propri
costi per la manodopera e gli oneri
aziendali per la sicurezza;
- la mancata allegazione all’offerta della
tabella recante la scomposizione dei costi
del personale non si pone in contrasto con
la norma sopra richiamata, né risulta
sanzionata con l’esclusione dalla lex
specialis;
- contrariamente a quanto sostenuto da parte
ricorrente, integrano elementi essenziali
dell’offerta economica l’indicazione del
prezzo complessivo proposto per
l’adempimento delle obbligazioni nascenti
dallo stipulando contratto e la separata
indicazione dei costi della manodopera
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, n.
661/2019), ma non la tabella in questione,
contenente dati che potevano risultare utili
ai fini della valutazione circa la congruità
delle offerte e il rispetto dei minimi
salariali e che, per tale ragione, poteva
legittimamente essere richiesta dalla
stazione appaltante anche ad integrazione
della documentazione già prodotta, come
avvenuto nella fattispecie;
- peraltro, le censure dedotte con il quarto
motivo aggiunto sono tardive e come tali irricevibili, poiché i motivi aggiunti sono
stati notificati il 12.03.2020, mentre il
documento trasmesso da GSA alla stazione
appaltante in data 29.11.2019 -sul quale le
nuove doglianze si fondano- è stato
conosciuto dalla ricorrente fin dal
03.02.2020, in quanto depositato in giudizio
in quella data dalla controinteressata (v.
doc. n. 6), sicché le censure avrebbero
dovuto essere proposte entro il 04.03.2020;
- i motivi in esame, pertanto, sono
infondati e vanno respinti, potendosi
prescindere dalla disamina delle ulteriori
eccezioni processuali
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 04.01.2021 n. 9 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
- in presenza di due concorrenti, la stazione
appaltante non è tenuta ad attivare il
procedimento di anomalia dell’offerta, in
quanto, ai sensi dell’art. 97, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016, alla verifica di
congruità si procede, sempre che l’offerta
superi i quattro quinti dei punti massimi
assegnabili per la qualità e per il prezzo,
purché “il numero delle offerte ammesse sia
pari o superiore a tre”;
- ai sensi dell’art. 97, comma 6, del d.lgs.
n. 50 del 2016, la determinazione
dell’Amministrazione di procedere alla
verifica di anomalia dell’offerta, nei casi
in cui ciò non sia espressamente previsto
dalla norma, è del tutto facoltativa, ha
natura spiccatamente discrezionale e non è
soggetta alla sindacabilità del giudice
amministrativo se non per le ipotesi di
manifesta illogicità e irragionevolezza: si
tratta, in altri termini, di valutazione
ampiamente discrezionale, che non richiede
un’espressa motivazione e che risulta
sindacabile soltanto in caso di macroscopica
irragionevolezza o illogicità;
- gli “elementi specifici” posti a base
delle doglianze in esame sono frutto di una
ricostruzione quantomeno opinabile di parte
ricorrente, attraverso la quale vengono
aggiunti in maniera apodittica all’offerta
di G. maggiori costi della manodopera,
costi di reperibilità, costi per premi di
formazione, costi della sicurezza aziendale,
costi per migliorie delle attrezzature e
costi generali, senza che tali costi vengano
affatto calibrati in relazione alla concreta
organizzazione aziendale della
controinteressata;
- la ricorrente, nella sostanza, non offre
elementi concreti e documentalmente fondati
da cui poter desumere che l’offerta di G.
sia insostenibile e che la stazione
appaltante, di conseguenza, abbia
illegittimamente omesso di sottoporla a
verifica di anomalia;
---------------
2.2. Con riferimento al
secondo motivo del
ricorso introduttivo e al quinto motivo
aggiunto, è sufficiente rilevare che:
- in presenza di due concorrenti, come nella
fattispecie di cui è causa, la stazione
appaltante non è tenuta ad attivare il
procedimento di anomalia dell’offerta, in
quanto, ai sensi dell’art. 97, comma 3, del
d.lgs. n. 50/2016, alla verifica di
congruità si procede, sempre che l’offerta
superi i quattro quinti dei punti massimi
assegnabili per la qualità e per il prezzo,
purché “il numero delle offerte ammesse sia
pari o superiore a tre”;
- ai sensi dell’art. 97, comma 6, del d.lgs.
n. 50 del 2016, la determinazione
dell’Amministrazione di procedere alla
verifica di anomalia dell’offerta, nei casi
in cui ciò non sia espressamente previsto
dalla norma, è del tutto facoltativa, ha
natura spiccatamente discrezionale e non è
soggetta alla sindacabilità del giudice
amministrativo se non per le ipotesi di
manifesta illogicità e irragionevolezza (ex multis, C.d.S., Sez. V, n. 3833/2019): si
tratta, in altri termini, di valutazione
ampiamente discrezionale, che non richiede
un’espressa motivazione e che risulta
sindacabile soltanto in caso di macroscopica
irragionevolezza o illogicità (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV, n. 2048/2017);
- gli “elementi specifici” posti a base
delle doglianze in esame sono frutto di una
ricostruzione quantomeno opinabile di parte
ricorrente, attraverso la quale vengono
aggiunti in maniera apodittica all’offerta
di G. maggiori costi della manodopera,
costi di reperibilità, costi per premi di
formazione, costi della sicurezza aziendale,
costi per migliorie delle attrezzature e
costi generali, senza che tali costi vengano
affatto calibrati in relazione alla concreta
organizzazione aziendale della
controinteressata;
- la ricorrente, nella sostanza, non offre
elementi concreti e documentalmente fondati
da cui poter desumere che l’offerta di G.
sia insostenibile e che la stazione
appaltante, di conseguenza, abbia
illegittimamente omesso di sottoporla a
verifica di anomalia;
- peraltro, le censure dedotte con il quinto
motivo aggiunto sono tardive e come tali irricevibili, per le stesse ragioni già
esposte in relazione al quarto motivo
aggiunto, cui si rinvia;
- i motivi in questione,
pertanto, sono infondati e vanno respinti,
potendosi prescindere dall’esame delle
ulteriori eccezioni processuali
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 04.01.2021 n. 9 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Numero
massimo di pagine utilizzabile per elaborare
una offerta tecnica.
Il TAR Milano:
- dopo aver preso atto che il disciplinare di gara stabiliva che
“Il numero massimo di pagine utilizzabile
per l’elaborazione dell’offerta tecnica è di
complessive 10 pagine (pari a 20 facciate),
con interlinea almeno ‘1.5 righe’ e
dimensioni carattere almeno “12 Times New
Roman”. Le pagine eccedenti non verranno
prese in considerazione dalla Commissione
Giudicatrice…” e che il controinteressato,
nella redazione dell’offerta, ha utilizzato
il carattere “12 Times New Roman”, ma ha
comunque ridotto la spaziatura del carattere
in maniera tale da comprimere notevolmente
il testo in senso orizzontale, in guisa tale
da “raddoppiare” sostanzialmente il
contenuto della propria offerta tecnica;
- precisa che le su indicate prescrizioni della lex specialis, in
ossequio ai principi di certezza e di par
condicio, non possono che essere
interpretate nel senso di consentire
l’utilizzo del carattere “12 Times New Roman”
soltanto nelle dimensioni standard, senza
possibilità di alterazioni del carattere
stesso attraverso il ricorso a funzioni
riduttive della spaziatura, come quella
adoperata dalla controinteressata,
altrimenti dandosi la stura ad applicazioni
della legge di gara suscettibili di
vanificarne la ratio, ispirata ad evidenti
esigenze di sintesi, con inevitabile
violazione dei surricordati principi di
certezza e par condicio;
- aggiunge che, in altri termini, una parte consistente
dell’offerta tecnica in questione, di fatto,
eccede i limiti dimensionali stabiliti dalla
legge di gara, e in quest’ottica la stazione
appaltante, anziché valutare l’offerta de
qua nella sua interezza avrebbe dovuto
prendere in considerazione soltanto la parte
di essa che, nel rispetto dei requisiti
stabiliti dal disciplinare (ossia senza
operare alcuna riduzione della spaziatura
del carattere rispetto a quella standard),
poteva trovare spazio nel numero massimo di
10 pagine (pari a 20 facciate);
- conclude, pertanto, che il motivo di censura va accolto e da ciò
discende l’obbligo per la stazione
appaltante di operare una nuova valutazione
dell’offerta tecnica del controinteressato,
tenendo conto dei rilievi sopra svolti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 04.01.2021 n. 9 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
2.3. Venendo al
terzo motivo del ricorso
introduttivo, integrato dal sesto motivo
aggiunto, risulta dirimente, ai fini
dell’accoglimento del gravame, la censura,
dedotta con la prima parte del sesto motivo
aggiunto, con cui la ricorrente lamenta che GSA ha superato il limite dimensionale
dell’offerta stabilito dalla lex specialis.
2.3.1. Al riguardo, va preliminarmente
respinta l’eccezione di tardività sollevata
dalla controinteressata.
Sul punto, è sufficiente osservare che,
contrariamente a quanto asserito da G.,
El. S.r.l. ha potuto avere contezza
della dimensione complessiva dell’offerta
tecnica della prima –ed è stata quindi
posta in grado di formulare compiutamente la
censura in esame- soltanto a seguito
dell’ostensione integrale dell’offerta
tecnica stessa, avvenuta solo con la
produzione in giudizio del 14.02.2020 da
parte dell’Amministrazione.
L’eccezione di tardività, per ciò solo, va
respinta.
2.3.2. Venendo al merito, la censura è
fondata, atteso che:
- ai sensi dell’articolo 13, lett. b), del
Disciplinare di gara (rubricato
“documentazione tecnica”) “…Il numero
massimo di pagine utilizzabile per
l’elaborazione dell’offerta tecnica è di
complessive 10 pagine (pari a 20 facciate),
con interlinea almeno ‘1.5 righe’ e
dimensioni carattere almeno “12 Times New
Roman”. Le pagine eccedenti non verranno
prese in considerazione dalla Commissione
Giudicatrice…”;
- GSA, nella redazione dell’offerta, ha
utilizzato il carattere “12 Times New Roman”,
ma ha comunque ridotto la spaziatura del
carattere in maniera tale da comprimere
notevolmente il testo in senso orizzontale,
in guisa tale da “raddoppiare”
sostanzialmente il contenuto della propria
offerta tecnica, come dimostrato dalle
allegazioni di parte ricorrente, sotto
questo profilo incontestate dalla controinteressata;
- le su indicate prescrizioni della lex
specialis, in ossequio ai principi di
certezza e di par condicio, non possono che
essere interpretate nel senso di consentire
l’utilizzo del carattere “12 Times New Roman”
soltanto nelle dimensioni standard, senza
possibilità di alterazioni del carattere
stesso attraverso il ricorso a funzioni
riduttive della spaziatura, come quella
adoperata da G., altrimenti dandosi la
stura ad applicazioni della legge di gara
suscettibili di vanificarne la ratio,
ispirata ad evidenti esigenze di sintesi,
con inevitabile violazione dei su ricordati
principi di certezza e par condicio;
- in altri termini, una parte consistente
dell’offerta tecnica di G., di fatto,
eccede i limiti dimensionali stabiliti dalla
legge di gara, e in quest’ottica la stazione
appaltante, anziché valutare l’offerta de
qua nella sua interezza, come avvenuto nella
fattispecie, avrebbe dovuto prendere in
considerazione soltanto la parte di essa
che, nel rispetto dei requisiti stabiliti
dall’articolo 13, lett. b), del Disciplinare
–ossia senza operare alcuna riduzione della
spaziatura del carattere rispetto a quella
standard-, poteva trovare spazio nel numero
massimo di 10 pagine (pari a 20 facciate);
- il sesto motivo aggiunto, pertanto, va
accolto e da ciò discende l’obbligo per la
stazione appaltante di operare una nuova
valutazione dell’offerta tecnica di G.,
tenendo conto dei rilievi sopra svolti,
restando conseguentemente assorbito ogni
altro profilo di censura contenuto nel
motivo in esame e nel terzo motivo del
ricorso introduttivo. |
anno 2020 |
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dicembre 2020 |
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APPALTI: La giurisprudenza ammette la modifica delle giustificazioni delle singole
voci di costo, non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di
diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad originari e comprovati errori
di calcolo, sempre che resti ferma l’entità originaria dell’offerta
economica, nel rispetto del principio dell’immodificabilità, che presiede la
logica della par condicio tra i competitori.
Può talora non essere agevole enucleare il punctum individuationis
dell’offerta e dunque la configurabilità della sua modificazione, a fronte
di una valutazione di complessiva attendibilità dell’offerta, che ammette
anche delle compensazioni tra sovrastime e sottostime di talune voci
dell’offerta economica.
Tale ragionamento incontra però non solo il limite
del divieto di una radicale modificazione della composizione dell’offerta
che ne alteri l’equilibrio economico, allocando diversamente voci di costo
nella sola fase delle giustificazioni, ma anche il limite della revisione
della voce degli oneri di sicurezza aziendale, che, quale elemento
costitutivo dell’offerta, esige una separata identificabilità ed una rigida
inalterabilità, a presidio degli interessi pubblici sottesi alla relativa
disciplina legislativa.
---------------
2.2. - Nel merito, al fine di valutare la fondatezza dell’assunto della
modifica in sede di giustificativi dell’offerta, occorre valutare gli
specifici elementi oggetto di contestazione.
Può esaminarsi dapprima il tema degli oneri di sicurezza aziendali, in
relazione ai quali l’assunto dell’appellante è che sono stati computati tra
le spese generali e quantificati in euro 20.500,00, a fronte di
un’indicazione in sede di offerta di euro 27.827,48; l’importo di euro
17.608,31 riguarderebbe invece gli oneri indiretti di sicurezza.
Quale che sia la più corretta ricostruzione, è indubitabile una differenza
quanto meno di circa settemila euro, che risulta rilevante di per sé al fine
di dimostrare che è stata operata una non consentita modifica dell’offerta.
La giurisprudenza ammette la modifica delle giustificazioni delle singole
voci di costo, non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di
diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad originari e comprovati errori
di calcolo, sempre che resti ferma l’entità originaria dell’offerta
economica, nel rispetto del principio dell’immodificabilità, che presiede la
logica della par condicio tra i competitori (Cons. Stato, V, 16.03.2020,
n. 1873).
Può talora non essere agevole enucleare il punctum individuationis
dell’offerta e dunque la configurabilità della sua modificazione, a fronte
di una valutazione di complessiva attendibilità dell’offerta, che ammette
anche delle compensazioni tra sovrastime e sottostime di talune voci
dell’offerta economica. Tale ragionamento incontra però non solo il limite
del divieto di una radicale modificazione della composizione dell’offerta
che ne alteri l’equilibrio economico, allocando diversamente voci di costo
nella sola fase delle giustificazioni, ma anche il limite della revisione
della voce degli oneri di sicurezza aziendale, che, quale elemento
costitutivo dell’offerta, esige una separata identificabilità ed una rigida
inalterabilità, a presidio degli interessi pubblici sottesi alla relativa
disciplina legislativa (in termini Cons. Stato, V, 24.04.2017, n. 1896).
Avrebbe dunque dovuto essere rilevata, nella fattispecie controversa, da
parte della stazione appaltante, in sede di verifica di anomalia, la
modifica, da parte del consorzio Po., degli oneri di sicurezza
aziendali, come peraltro espressamente richiesto dall’art. 95, comma 10, del
d.lgs. n. 50 del 2016 (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.12.2020 n. 7943 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il c.d. principio di separazione tra offerta tecnica ed offerta
economica, denominato anche come divieto di commistione, risponde alla
finalità di garantire la segretezza dell’offerta economica ed è perciò
funzionale ad evitare che l’offerta tecnica contenga elementi che consentano
di ricostruire, nel caso concreto, l’entità dell’offerta economica.
In tale
prospettiva, il divieto di commistione è posto a garanzia dell’attuazione
dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa,
sub specie della trasparenza e della par condicio tra i concorrenti; ciò in
quanto la conoscenza di elementi economici dell’offerta da parte della
Commissione può essere di per sé potenzialmente idonea a determinare un
condizionamento anche in astratto, alterandone la serenità ed imparzialità
valutativa.
Occorre ancora
aggiungere come la clausola del disciplinare di gara che vieti espressamente
l’indicazione di elementi economici nell’offerta tecnica non viola il
principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 83, comma
8, del d.lgs. n. 50 del 2016, poiché essa non fa che corroborare il divieto
di commistione tra offerta tecnica ed offerta economica già insito nel
sistema, a presidio, tra l’altro, del principio dell’autonomia
dell’apprezzamento discrezionale della prima rispetto a quello della
seconda, il cui rispetto è garantito dall’anteriorità della prima
valutazione e dalla necessità che dall’offerta tecnica esulino elementi e
valori propri dell’offerta economica.
---------------
5.
- L’ultimo motivo riproposto dal Po. deduce che l’offerta tecnica di
Ca., nel “quadro di raffronto (senza prezzi)”, reca, al contrario,
l’indicazione dei prezzi, in violazione di quanto prescritto a pena di
esclusione dal disciplinare di gara con riferimento alla busta “B”, punto n.
4, e del principio di separazione tra offerta tecnica ed offerta economica,
nonché di garanzia della segretezza dell’offerta economica.
Il motivo è fondato.
Eccepisce Ca. che i valori contestati sono quelli riferiti ai sei
criteri costituenti le migliori offerte e sono riportati nel loro valore
complessivo, in quanto tali appartengono all’offerta tecnica e sono inidonei
a rilevare il contenuto del ribasso dell’offerta economica (contenuto nella
busta “C”), e dunque ad influenzare la decisione della Commissione.
Ora, il c.d. principio di separazione tra offerta tecnica ed offerta
economica, denominato anche come divieto di commistione, risponde alla
finalità di garantire la segretezza dell’offerta economica ed è perciò
funzionale ad evitare che l’offerta tecnica contenga elementi che consentano
di ricostruire, nel caso concreto, l’entità dell’offerta economica. In tale
prospettiva, il divieto di commistione è posto a garanzia dell’attuazione
dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa,
sub specie della trasparenza e della par condicio tra i concorrenti; ciò in
quanto la conoscenza di elementi economici dell’offerta da parte della
Commissione può essere di per sé potenzialmente idonea a determinare un
condizionamento anche in astratto, alterandone la serenità ed imparzialità
valutativa (Cons. Stato, V, 19.10.2020, n. 6308; V, 29.04.2020, n.
2732).
Anche a seguire la tesi di Ca. in ordine all’irrilevanza dei valori ai
fini della conoscenza dell’offerta economica, non può peraltro tacersi che
il disciplinare, alla pagina 12, punto 4, espressamente prevede, in tema di
requisiti della busta “B”-offerta tecnica, il «quadro di raffronto (senza
prezzi) per articoli e quantità tra il progetto posto a base di gara e il
progetto integrato con le proposte migliorative formulate in sede di
presentazione dell’offerta, senza fare alcun riferimento ai relativi prezzi,
né unitari, né totali, pena l’esclusione dalla procedura di gara».
Anche ad intendere il divieto di commistione in senso relativo, la
circostanza, sussistente nella fattispecie in esame, che nella lex specialis
sia presente una clausola specifica e perentoria, con esplicito divieto di
qualsiasi indicazione (diretta e/o indiretta) di carattere economico, porta
a ritenere che la stazione appaltante intendesse raggiungere una finalità
ulteriore, vietando l’indicazione, nelle offerte tecniche dei concorrenti,
di “qualsiasi” dato economico, anche non rilevante ai fini
dell’individuazione del contenuto dell’offerta economica.
Occorre ancora
aggiungere come la clausola del disciplinare di gara che vieti espressamente
l’indicazione di elementi economici nell’offerta tecnica non viola il
principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 83, comma
8, del d.lgs. n. 50 del 2016, poiché essa non fa che corroborare il divieto
di commistione tra offerta tecnica ed offerta economica già insito nel
sistema, a presidio, tra l’altro, del principio dell’autonomia
dell’apprezzamento discrezionale della prima rispetto a quello della
seconda, il cui rispetto è garantito dall’anteriorità della prima
valutazione e dalla necessità che dall’offerta tecnica esulino elementi e
valori propri dell’offerta economica (Cons. Stato, V, 14.12.2018, n. 7057) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.12.2020 n. 7943 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non è ravvisabile l’elemento soggettivo della fattispecie del
conflitto di interesse, che, a norma dell’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50
del 2016, riguarda il personale della stazione appaltante che interviene
nello svolgimento della procedura di aggiudicazione potendone influenzare il
risultato. Tanto che la norma prevede specifici obblighi per il personale
della stazione appaltante onde prevenire il conflitto di interessi; la
previsione dell’esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. d), dello
stesso corpus legislativo è dunque una norma di chiusura che va però collocata e presuppone il contesto
soggettivo ora ricordato.
Difetta altresì l’elemento oggettivo del conflitto di interessi, come
dimostra la circostanza che alcuna norma o clausola della lex specialis
preclude la partecipazione alla gara dell’operatore che ha eseguito il
precedente appalto di lavori interessante lo stesso immobile.
La giurisprudenza ha escluso l’applicabilità della norma sul conflitto di
interessi anche nell’ipotesi di partecipazione ad una procedura di evidenza
pubblica di una società partecipata dalla stazione appaltante, benché si
tratti di evenienza che può avere un impatto potenzialmente maggiore sul
piano dell’imparzialità e della trasparenza.
In ogni caso, pur essendo quella sul conflitto di interessi una norma di
pericolo, la sussistenza della fattispecie deve essere verificata in
concreto sulla base di prove specifiche.
---------------
9.
- Il secondo motivo riproposto dal R.T.I. Ca. è incentrato sulla
posizione di indebito vantaggio competitivo in cui si troverebbe l’impresa
esecutrice designata dal consorzio Po. (la società T.), in quanto
attuale affidataria dell’appalto dei lavori (primo stralcio funzionale)
presso il medesimo edificio, condizione che le avrebbe consentito di
acquisire informazioni strategiche sia per la formulazione dell’offerta
tecnica “a misura”, sia per conseguire un risparmio di spesa così modulando
un adeguato ribasso nell’offerta; tale condizione ne imponeva l’esclusione
dalla gara ai sensi degli artt. 67 e 80, comma 5, lett. d), del d.lgs. n. 50
del 2016, al fine di reintegrare la par condicio, o quanto meno occorreva
l’azzeramento del punteggio tecnico attribuitogli onde sanare il conflitto
di interessi.
Il motivo è infondato.
Non è infatti ravvisabile l’elemento soggettivo della fattispecie del
conflitto di interesse, che, a norma dell’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50
del 2016, riguarda il personale della stazione appaltante che interviene
nello svolgimento della procedura di aggiudicazione potendone influenzare il
risultato. Tanto che la norma prevede specifici obblighi per il personale
della stazione appaltante onde prevenire il conflitto di interessi; la
previsione dell’esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. d), dello
stesso corpus legislativo è dunque una norma di chiusura (Cons. Stato, III,
20.08.2020, n. 5151) che va però collocata e presuppone il contesto
soggettivo ora ricordato.
Difetta altresì l’elemento oggettivo del conflitto di interessi, come
dimostra la circostanza che alcuna norma o clausola della lex specialis
preclude la partecipazione alla gara dell’operatore che ha eseguito il
precedente appalto di lavori interessante lo stesso immobile.
La giurisprudenza ha escluso l’applicabilità della norma sul conflitto di
interessi anche nell’ipotesi di partecipazione ad una procedura di evidenza
pubblica di una società partecipata dalla stazione appaltante, benché si
tratti di evenienza che può avere un impatto potenzialmente maggiore sul
piano dell’imparzialità e della trasparenza (Cons. Stato, V, 07.09.2020, n. 5370).
In ogni caso, pur essendo quella sul conflitto di interessi una norma di
pericolo, la sussistenza della fattispecie deve essere verificata in
concreto sulla base di prove specifiche (Cons. Stato, V, 17.04.2019, n.
2511) che, nel caso di specie, mancano, potendo, in senso contrario,
assumere valore anche la considerazione che il consorzio Po., che si
assume avere fruito di un vantaggio competitivo e di un’asimmetria
informativa, ha conseguito un punteggio tecnico inferiore a Ca. (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.12.2020 n. 7943 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La sentenza ha correttamente evidenziato come sia la norma (l'art.
31 d.lgs. 50/2016), che le (vincolanti) Linee Guida A.N.A.C. n. 3 del 2016 (punto 5.3)
prevedono come mera eventualità il supporto della commissione al R.U.P..
Si
tratta, dunque, di una facoltà che può essere esercitata dalla stazione
appaltante, anche su richiesta del R.U.P., ma il cui mancato esercizio non è
profilo di illegittimità, e neppure richiede una specifica motivazione (al
contrario, verosimilmente, dovendo essere motivata la delega della verifica
dell’anomalia ad altro organo, come pure una maggiore strutturazione
dell’istruttoria finalizzata alla stessa verifica con la nomina di una
commissione tecnica o mediante avvalimento degli uffici tecnici
dell’amministrazione).
Al riguardo, giova ricordare che la giurisprudenza costante afferma che il
subprocedimento di anomalia dell’offerta è di competenza del R.U.P. e non
della commissione di gara, le cui incombenze si esauriscono con la
valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico.
---------------
14.
- Con il secondo motivo (mantenendo la scansione dell’appello, ovvio essendo
peraltro che l’istanza di decisione in via preliminare non costituisce
censura in senso proprio) il raggruppamento appellante critica la
statuizione che ha ritenuto competente il R.U.P. nella valutazione
dell’anomalia dell’offerta; deduce in particolare che è in contestazione la
competenza esclusiva del R.U.P. in materia, consentendo l’art. 31, commi 7 e
9, del d.lgs. n. 50 del 2016 l’affiancamento di una struttura tecnica e, se
del caso, della commissione al R.U.P. in caso di particolare complessità
tecnica dell’appalto.
Il motivo è infondato.
La sentenza ha correttamente evidenziato come sia la norma (il citato art.
31), che le (vincolanti) Linee Guida A.N.A.C. n. 3 del 2016 (punto 5.3)
prevedono come mera eventualità il supporto della commissione al R.U.P.; si
tratta dunque di una facoltà che può essere esercitata dalla stazione
appaltante, anche su richiesta del R.U.P., ma il cui mancato esercizio non è
profilo di illegittimità, e neppure richiede una specifica motivazione (al
contrario, verosimilmente, dovendo essere motivata la delega della verifica
dell’anomalia ad altro organo, come pure una maggiore strutturazione
dell’istruttoria finalizzata alla stessa verifica con la nomina di una
commissione tecnica o mediante avvalimento degli uffici tecnici
dell’amministrazione).
Al riguardo, giova ricordare che la giurisprudenza costante afferma che il
subprocedimento di anomalia dell’offerta è di competenza del R.U.P. e non
della commissione di gara, le cui incombenze si esauriscono con la
valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico (in
termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 09.03.2020, n. 1655; III, 05.02.2019, n. 869).
Nel caso di specie peraltro la commissione di gara ha approvato, nella
seduta del 20.05.2019, le conclusioni del R.U.P. (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.12.2020 n. 7943 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2020 |
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APPALTI: Consiglio
Stato su Asmel: non è centrale committenza, non può fare accordi-convenzioni
per Comuni e non può riversare sui concorrenti i costi delle piattaforme.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 03.11.2020 n. 6787, con cui ASMEL consortile si
costituiva in giudizio contro l’ANAC per la riforma della sentenza del TAR
Regione Lombardia, sez. II, 03.02.2020, n. 240 ha chiarito che per poter
acquisire la qualificazione di centrale di committenza occorre l’iscrizione
nell’elenco dei soggetti aggregatori (ad esclusione di Consip e centrali di
committenza regionali che lo sono di diritto) tenuto dall’ANAC la quale
verificherà i requisiti.
Il Collegio ha quindi sostenuto la tesi dell’ANAC con la quale è stato
affermato che “per poter acquisire la qualifica di centrale di
committenza o di soggetto aggregatore occorre che il soggetto sia non solo
iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art.
33-ter del dl n. 179/2012 convertito in legge n. 221/2012, ma anche
all’elenco dei soggetti aggregatori”. L’iscrizione al predetto elenco è
disciplinata dall’ art. 9 del dl n. 66/2014 convertito in legge n. 89/2014.
L’iscrizione, pertanto, è condizione necessaria per stipulare le convenzioni
quadro che sono oggetto del bando di gara indetto da ASMEL Consortile (quale
centrale di committenza) e impugnato dall’ANAC col ricorso in primo grado.
In conclusione, il Consiglio di Stato afferma che né la Asmel Consortile
s.c. a r.l. (che, come veduto, ha indetto la procedura di gara spendendo la
qualifica di centrale di committenza), né Asmel Associazione (indicata nel
bando come stazione appaltante), possono essere qualificate come centrali di
committenza o soggetti aggregatori, non risultando iscritte all’anzidetto
elenco ed essendo insufficiente, a tali fini, la loro iscrizione
all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (30.11.2020 - commento
tratto da e link a www.anci.it).
---------------
SENTENZA
9. - Con il secondo motivo, l’appello critica la sentenza per aver
affermato che Asmel non ha i requisiti per esplicare il ruolo di stazione
appaltante e di centrale di committenza, non essendo un’amministrazione
aggiudicatrice ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. i), del Codice dei
contratti pubblici.
9.1. - Sotto un primo profilo, riprendendo in parte i rilievi basati
sull’insussistenza dei presupposti legittimanti l’esercizio dell’azione ai
sensi dell’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici,
l’appello sottolinea che la sentenza avrebbe dovuto dichiarare inammissibile
il motivo, in quanto il potere di azione conferito all’Anac consentirebbe di
impugnare atti specifici emanati da una qualunque stazione appaltante, ma
non potrebbe «contestare in giudizio la qualificazione della stessa a
indire una procedura ad evidenza pubblica, come è avvenuto nel caso di
specie, altrimenti vi sarebbe un difetto di legittimazione processuale dell’ANAC,
che non può censurare atti che non promanino da stazioni appaltanti» (p.
12 dell’appello).
9.2. - Inoltre, posto che Asmel Associazione è iscritta all’anagrafe unica
delle stazioni appaltanti istituita presso l’Anac (condizione sufficiente,
ad avviso dell’appellante, per legittimarla ad operare come centrale di
committenza), se l’Autorità avesse voluto contestare tale qualifica, avrebbe
dovuto avviare un apposito procedimento di ritiro in autotutela della
predetta iscrizione, ma non servirsi della peculiare legittimazione attiva
attribuita dall’art. 211 per ottenere il medesimo risultato.
10. – Le questioni sono manifestamente infondate, ove si tenga conto (con
riferimento alla prima) che, come si è già veduto, il potere di azione in
giustizia attribuito all’Anac è per prevenire illegittimità nel settore dei
contratti pubblici, con particolare riferimento all’impugnazione dei bandi e
degli altri atti generali, in relazione a «gravi violazioni» del
Codice dei contratti pubblici, per cui sarebbe irragionevole
un’interpretazione limitante tale potere dell’Anac proprio quando il vizio
di legittimità investa lo stesso presupposto legittimante l’indizione della
gara; quanto al secondo rilievo, l’Anac non ha contestato l’iscrizione di
Asmel all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (come si vedrà meglio
nell’esame degli ulteriori profili del secondo motivo d’appello), per cui
non era necessario avviare un procedimento in autotutela.
11. – Proseguendo nell’esposizione del secondo motivo d’appello, l’appello
sottolinea come la qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel, e
la sua legittimazione alla indizione della procedura di gara per conto degli
enti locali associati, derivi dall’essere un’associazione tra
amministrazioni aggiudicatrici (rappresentate dai piccoli comuni associati)
e, a sua volta, amministrazione aggiudicatrice per l’art. 3, comma 1, lett.
a), del Codice dei contratti pubblici (che definisce «amministrazioni
aggiudicatrici», le «amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici
territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di
diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati,
costituiti da detti soggetti»).
La Asmel Associazione, inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal primo
giudice, avrebbe tutti i requisiti dell’organismo di diritto pubblico, per
cui, anche sotto questo profilo, dovrebbe essere qualificata come
amministrazione aggiudicatrice. Diversamente da quanto affermato dalla
sentenza, l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico in
capo ad Asmel Associazione non comporta il conferimento di funzioni
pubblicistiche, dagli enti pubblici soci alla stessa Asmel, ma è lo
strumento per consentire ai medesimi enti soci di raggiungere l’obiettivo
della centralizzazione delle commesse pubbliche degli enti locali di minor
dimensione.
12. - In via subordinata, l’appellante impugna il capo della sentenza che ha
implicitamente riconosciuto la giurisdizione amministrativa, posto che, una
volta escluso che Asmel Associazione potesse essere qualificata come
amministrazione aggiudicatrice, il Tribunale amministrativo avrebbe dovuto
dichiarare l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione,
essendo dirimente, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), del
Codice del processo amministrativo, la qualificazione soggettiva di “amministrazione
aggiudicatrice” per ritenere la giurisdizione esclusiva sulle
controversie relative a procedure di affidamento di contratti pubblici.
13. - Le censure così sintetizzate sono infondate.
13.1. - In punto di fatto, occorre precisare che la procedura di gara per
cui è controversia è stata indetta da Asmel Consortile S.C. a r.l. nella
asserita qualità di centrale di committenza.
13.2. - Secondo l’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, «se
la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia», come nel
caso di specie, tra le diverse modalità consentite per l’acquisizione di
beni, servizi o lavori, è previsto il ricorso a una centrale di committenza
o a soggetti aggregatori qualificati.
13.3. - Peraltro, come ben rilevato dall’Anac, per poter
acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore,
occorre che il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle
stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge
18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012,
n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori
(inizialmente istituito presso l’AVCP e attualmente compreso nelle
competenze dell’Anac, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei
contratti pubblici, secondo cui «E' istituito, presso l'Autorità,
nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l'elenco dei
soggetti aggregatori»).
L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 (Acquisizione di
beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento) del
decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge
23.06.2014, n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che
intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza,
diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole
regioni, devono richiedere all’Anac l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è
condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di
competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26, comma 1, della legge
23.12.1999, n. 488 […]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.);
vale a dire, per stipulare le convenzioni quadro che sono oggetto del bando
di gara indetto da Asmel Consortile (quale centrale di committenza) e
impugnato dall’Anac col ricorso in primo grado.
13.4. - Che le qualificazioni come stazione appaltante o
come centrale di committenza siano diverse, lo si ricava, anzitutto, dalla
lettera dell’art. 9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa
l’elenco dei soggetti aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni
appaltanti (il comma 1 dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito
dell’Anagrafe unica […]»).
In secondo luogo, la distinzione è sottesa alla disciplina
sostanziale prevista per i soggetti
(diversi da Consip e dalle centrali di committenza regionali, iscritti di
diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i quali
debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2 dell’art.
9 cit. («il carattere di
stabilità dell'attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa
ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con
riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini
dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda»),
come precisati nel d.P.C.M. 11.11.2014
(adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.);
requisiti, la cui verifica è riservata all’Anac.
13.5. - La soluzione trova conferma anche nell’art. 38 del Codice dei
contratti pubblici, che ha introdotto un nuovo sistema di qualificazione
delle stazioni appaltanti, non ancora entrato in vigore, basato
sull’istituzione di «un apposito elenco delle stazioni appaltanti
qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza», cui
possono accedere gli operatori economici in possesso dei requisiti descritti
ai commi 3 e 4 dell’art. 38. Anche secondo quest’ultima disposizione,
dell’elenco fanno distintamente parte le stazioni appaltanti, le centrali di
committenza e i soggetti aggregatori che conseguano la qualificazione
rilasciata dall’Autorità.
13.6. - Il trattamento normativo differenziato opera, infine, anche
nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 216, comma 10,
del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede che «[f]ino alla data
di entrata in vigore del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti
di cui all'articolo 38, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti
mediante l'iscrizione all'anagrafe di cui all'articolo 33-ter del
decreto-legge 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge
17.12.2012, n. 221». Gli effetti (provvisori) della qualificazione (e in
particolare la possibilità di pretendere dall’Anac il rilascio del «codice
identificativo della gara (CIG)» necessario per l’effettuazione delle
procedure di gara: art. 38, comma 8) si producono, infatti, solo per le
stazioni appaltanti, in quanto siano iscritte all’anagrafe unica; non per le
centrali di committenza e i soggetti aggregatori (per i quali, come si è
veduto, è necessario –sulla base dell’art. 9 del decreto-legge n. 66 del
2014 cit.– anche l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori).
13.7. - In conclusione, né la Asmel Consortile s.c. a r.l.
(che, come veduto, ha indetto la procedura di gara spendendo la qualifica di
centrale di committenza), né Asmel Associazione
(indicata nel bando come stazione appaltante), possono
essere qualificate come centrali di committenza o soggetti aggregatori, non
risultando iscritte all’anzidetto elenco ed essendo insufficiente, a tali
fini, la loro iscrizione all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti.
14. - Per completezza di analisi, occorre altresì rilevare che
l’Autorità, con deliberazione n. 32 del 30.04.2015, ha espressamente
negato che Asmel Consortile sia in possesso dei requisiti soggettivi e
organizzativi necessari per l’inserimento nell’elenco dei soggetti
aggregatori di cui all'art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014, e,
conseguentemente, ha escluso il presupposto di legittimazione per espletare
attività di intermediazione negli acquisti pubblici.
Avverso detta deliberazione, Asmel ha proposto ricorso al Tribunale
amministrativo per il Lazio, che lo ha respinto con sentenza 22.02.2016, n.
2339.
In sede di appello della sentenza, il Consiglio di Stato (con ordinanza di
questa V Sezione, 03.01.2019, n. 68), in via pregiudiziale, ha rimesso alla
Corte di Giustizia dell’U.E. alcuni quesiti (riferiti, per quanto concerne
il diritto nazionale, all’art. 33 [Appalti pubblici e accordi quadro
stipulati da centrali di committenza], comma 3-bis, del d.lgs. 12.04.2006,
n. 163, applicabile ratione temporis alla materia delle modalità con
le quali i comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di
lavori beni e servizi).
In particolare, la Sezione ha chiesto alla Corte di Giustizia di
pronunciarsi sulle seguenti questioni pregiudiziali:
- «se osta al diritto comunitario, una norma nazionale, come
l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che limita l’autonomia dei
comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza a due soli modelli
organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero il consorzio
tra comuni da costituire»;
- «se osta al diritto comunitario, e, in particolare, ai
principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della
concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma
nazionale come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che, letto
in combinato disposto con l’art. 3, comma 25, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in
relazione al modello organizzativo dei consorzi di comuni, esclude la
possibilità di costituire figure di diritto privato quali, ad es., il
consorzio di diritto comune con la partecipazione anche di soggetti privati»;
- infine, «se osta al diritto comunitario e, in particolare, ai
principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della
concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma
nazionale, come l’art. 33, comma 3bis, che, ove interpretato nel senso di
consentire ai consorzi di comuni che siano centrali di committenza di
operare in un territorio corrispondente a quello dei comuni aderenti
unitariamente considerato, e, dunque, al massimo, all’ambito provinciale,
limita l’ambito di operatività delle predette centrali di committenza».
La Corte di Giustizia dell’U.E., con sentenza Sez. II,
04.06.2020, in C-3/19, ha chiarito che il diritto euro-unitario, alla luce
dei principi di principi di libera prestazione dei servizi e di massima
apertura alla concorrenza delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di servizi, non osta «a una disposizione di diritto nazionale
che limita l’autonomia organizzativa dei piccoli enti locali di fare ricorso
a una centrale di committenza a soli due modelli di organizzazione
esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di soggetti o di imprese
private», né «a una disposizione di diritto nazionale che limita
l’ambito di operatività delle centrali di committenza istituite da enti
locali al territorio di tali enti locali».
Nella pendenza della vicenda contenziosa riferita, ai fini della
controversia in esame è rilevante rimarcare, nondimeno, che
Asmel Consortile mai ha acquisito l’iscrizione nell’elenco dei soggetti
aggregatori o delle centrali di committenza.
...
18. - Con il terzo motivo, l’appellante critica la sentenza per aver
accolto il secondo motivo di impugnazione proposto dall’Anac,
sull’illegittimità del punto 3.2.5 del disciplinare di gara che –in asserito
contrasto con l’art. 23 della Costituzione e l’art. 41, comma 2-bis, del
Codice dei contratti pubblici- imponeva di corredare l’offerta con un atto
unilaterale d’obbligo, con cui i concorrenti si obbligavano a versare ad
Asmel Associazione un corrispettivo di € 80.000,00, nell’ipotesi di
aggiudicazione della gara.
Ad avviso dell’appellante, il corrispettivo si giustificherebbe per le
attività svolte in veste di stazione appaltante e di centrale di
committenza; e troverebbe copertura legislativa nell’art. 16-bis del r.d.
18.11.1923, n. 2440, secondo cui, nei contratti con la pubblica
amministrazione, sono poste a carico del contraente privato le spese
contrattuali.
18.1. - Il motivo è infondato.
18.2. - Come ben rilevato dal giudice di prime cure, la clausola della
lex specialis comporta la violazione dell’art. 41, comma 2-bis, del
Codice dei contratti pubblici (ai cui sensi: «[è] fatto
divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell'aggiudicatario,
eventuali costi connessi alla gestione delle piattaforme di cui all'articolo
58», inserito dall'art. 28,
comma 1, del d.lgs. 19.04.2017, n. 56), norma che preclude
alle stazioni appaltanti di riversare i costi derivanti dall’utilizzo delle
piattaforme telematiche di negoziazione, non solo nei confronti dei
concorrenti ma anche dell’eventuale aggiudicatario.
L’invocazione dell’art. 16-bis del r.d. n. 2440 del 1923 non merita di
essere condivisa, posto che quest’ultima norma ha riguardo alle spese per la
stipula e la registrazione dei contratti, mentre l’art. 41, comma 2-bis, ha
un oggetto diverso e specificamente riferito ai costi di gestione delle
piattaforme telematiche.
18.3. - Nemmeno può essere utilmente richiamata, sul punto, la recente
pronuncia di questa V Sezione (19.05.2020, n. 3173), che ha rilevato
l’inammissibilità del motivo sollevato da un operatore economico che non ha
partecipato alla procedura di gara, dal momento che l’obbligo graverebbe
esclusivamente sull’aggiudicatario. Nella controversia qui in esame non si
pone una questione di difetto di interesse a ricorrere, posto che –come già
rilevato– l’interesse sotteso al ricorso in primo grado dell’Anac tende alla
tutela della legalità nelle procedure di gara e, quindi, può essere fatto
valere anche prima della conclusione e dell’aggiudicazione della gara.
19. - L’annullamento del bando e degli altri atti di gara impugnati con il
ricorso dell’Anac, per i vizi fin qui accertati, comporta anche
l’assorbimento del terzo motivo del ricorso introduttivo (essenzialmente
incentrato sulla violazione dell’art. 83 del Codice dei contratti pubblici,
per aver previsto, nel disciplinare di gara, requisiti economico-finanziari
e di esperienza professionale del tutto sproporzionati rispetto all’oggetto
del contratto) e del quarto motivo (illegittimità del bando di gara per aver
fissato un termine per il ricevimento delle offerte inferiore a quello
minimo stabilito dall’art. 60, comma 1, del Codice dei contratti pubblici),
riproposti dall’appellata Anac ai sensi dell’art. 101, comma 2, del Codice
del processo amministrativo, posto che dall’eventuale accoglimento non
conseguirebbe alcuna ulteriore utilità giuridica per la ricorrente.
20. – L’appello, in conclusione, va respinto (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 03.11.2020 n. 6787 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Pronuncia Cds anche su requisiti delle centrali di committenza.
L'Asmel non può chiedere rimborsi agli aggiudicatari.
Per essere qualificati come centrale di committenza occorre essere iscritti
sia all'anagrafe unica delle stazioni appaltanti, sia all'elenco dei
soggetti aggregatori dell'Anac; è vietato chiedere ai concorrenti o
all'aggiudicatario rimborsi per costi di gestione delle gare.
Lo ha affermato il Consiglio di
Stato, Sez. V con la
sentenza 03.11.2020 n. 6787
su una vicenda, oggetto di un contenzioso che dura da quale tempo, sulla
qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel per una gara per la
stipula di convenzioni quadro per l'acquisizione di forniture a favore di
pubbliche amministrazioni.
Nel ricorso presentato a Anac si eccepiva anche l'illegittimità del bando di
gara nella parte in cui imponeva ai concorrenti, per poter partecipare alla
procedura, il pagamento del costo del servizio svolto da Asmel Consortile
quale centrale di committenza per conto degli enti locali.
In merito al primo aspetto, il collegio giudicante ha abbracciato in toto
la tesi dell'Anac, ribaltando il giudizio di primo grado: «Come ben
rilevato dall'Anac, per poter acquisire la qualifica di centrale di
committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo
iscritto all'anagrafe unica delle stazioni appaltanti ( art. 33-Ter
istituita dall'art. 33-ter del decreto-legge 179/2012), ma anche all'elenco
dei soggetti aggregatori (art. 213, comma 16, del codice appalti). Infatti,
le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza
sono diverse, si legge nella sentenza, e ciò si ricava anzitutto dalla
lettera dell'art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l'elenco
dei soggetti aggregatori dall'anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il
comma 1 dell'art. 9 istituisce l'elenco «nell'ambito dell'anagrafe unica»).
Pertanto, né la Asmel Consortile s.c. a r.l. (che ha indetto la procedura di
gara spendendo la qualifica di centrale di committenza), né Asmel
associazione (indicata nel bando come stazione appaltante), possono essere
qualificate come centrali di committenza o soggetti aggregatori, non
risultando iscritte all'anzidetto elenco ed essendo insufficiente, a tali
fini, la loro iscrizione all'anagrafe unica delle stazioni appaltanti.
Rispetto al secondo punto (obbligo di versare ad Asmel associazione un
corrispettivo di 80mila euro nell'ipotesi di aggiudicazione della gara),
troverebbe copertura legislativa nell'art. 16-bis del r.d. 18.11.1923, n.
2440, secondo cui, nei contratti con la pubblica amministrazione, sono poste
a carico del contraente privato le spese contrattuali, il Consiglio di stato
si è espresso negativamente.
In particolare, i giudici hanno precisato che la previsione è in violazione
dell'art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici che fa divieto
di porre a carico dei concorrenti, nonché dell'aggiudicatario, eventuali
costi connessi alla gestione delle piattaforme di cui all'articolo 58»,
precludendo alle stazioni appaltanti di riversare i costi derivanti
dall'utilizzo delle piattaforme telematiche di negoziazione, non solo nei
confronti dei concorrenti ma anche dell'eventuale aggiudicatario.
Infine, ha rilevato il collegio che l'art. 16-bis del r.d. n. 2440 del 1923
ha un oggetto diverso e specificamente non riferito ai costi di gestione
delle piattaforme telematiche
(articolo ItaliaOggi del 13.11.2020). |
settembre 2020 |
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APPALTI: Offerta
pari a euro zero.
L’articolo 2, paragrafo
1, punto 5, della direttiva 2014/24/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del
26.02.2014, sugli appalti pubblici e che
abroga la direttiva 2004/18/CE, come
modificata dal regolamento delegato (UE)
2017/2365 della Commissione, del 18.12.2017,
deve essere interpretato nel senso che esso
non costituisce un fondamento giuridico per
il rigetto dell’offerta di un offerente
nell’ambito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico per il
solo motivo che il prezzo proposto
nell’offerta è di EUR 0.
---------------
Sulle questioni pregiudiziali
20 Si deve constatare, in via preliminare,
che l’importo dell’appalto di cui trattasi
nel procedimento principale è inferiore alla
soglia di EUR 144 000 di cui all’articolo 4,
lettera b), della direttiva 2014/24,
cosicché tale appalto non rientra
nell’ambito di applicazione di quest’ultima.
Tuttavia, come indica il giudice del rinvio,
nel recepire le disposizioni di detta
direttiva nell’ordinamento nazionale, il
legislatore sloveno ha ripreso, all’articolo
2, paragrafo 1, dello ZJN, la definizione
del termine «appalto pubblico» che
figura all’articolo 2, paragrafo 1, punto 5,
della medesima direttiva, cosicché tale
definizione è applicabile a qualsiasi
appalto pubblico disciplinato dallo ZJN,
indipendentemente dal suo importo.
21 Orbene, secondo una giurisprudenza
costante, un’interpretazione da parte della
Corte di disposizioni del diritto
dell’Unione in situazioni non rientranti
nell’ambito di applicazione di queste ultime
si giustifica quando tali disposizioni sono
state rese applicabili a siffatte situazioni
dal diritto nazionale in modo diretto e
incondizionato, al fine di assicurare un
trattamento identico a dette situazioni e a
quelle rientranti nell’ambito di
applicazione di dette disposizioni (v., in
tal senso, sentenze del 18.10.1990, Dzodzi,
C‑297/88 e C‑197/89, EU:C:1990:360, punti
36, 37 e 41, nonché del 24.10.2019,
Belgische Staat, C‑469/18 e C‑470/18,
EU:C:2019:895, punto 23).
22 Pertanto, occorre rispondere alle
questioni sollevate.
23 Si deve considerare che, con le sue
questioni, che occorre esaminare
congiuntamente, il giudice del rinvio
chiede, in sostanza, se l’articolo 2,
paragrafo 1, punto 5, della direttiva
2014/24 debba essere interpretato nel senso
che esso costituisce un fondamento giuridico
per il rigetto dell’offerta di un offerente
nell’ambito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico per il
solo motivo che, poiché il prezzo proposto è
pari a EUR 0, l’amministrazione
aggiudicatrice non fornirebbe alcun
corrispettivo finanziario, mentre tale
offerente, con l’esecuzione di detto
contratto, otterrebbe unicamente l’accesso
ad un nuovo mercato e a referenze che
potrebbe far valere nell’ambito di
successive gare d’appalto.
24 Va ricordato, in proposito, che
l’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della
direttiva 2014/24 definisce gli «appalti
pubblici» come «contratti a titolo
oneroso stipulati per iscritto tra uno o più
operatori economici e una o più
amministrazioni aggiudicatrici aventi per
oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura
di prodotti o la prestazione di servizi».
25 Secondo la giurisprudenza della Corte,
dal senso giuridico abituale dei termini «a
titolo oneroso» risulta che questi
ultimi designano un contratto mediante il
quale ciascuna delle parti si impegna ad
effettuare una prestazione quale
corrispettivo di un’altra prestazione (v.,
in tal senso, sentenza del 18.10.2018, IBA
Molecular Italy, C‑606/17, EU:C:2018:843,
punto 28). Il carattere sinallagmatico del
contratto rappresenta quindi una
caratteristica essenziale di un appalto
pubblico (v., in tal senso, sentenze del
21.12.2016, Remondis, C‑51/15,
EU:C:2016:985, punto 43; del 28.05.2020,
Informatikgesellschaft für
Software-Entwicklung, C‑796/18,
EU:C:2020:395, punto 40, e del 18.06.2020,
Porin kaupunki, C‑328/19, EU:C:2020:483,
punto 47).
26 Come rilevato dall’avvocato generale al
paragrafo 47 delle sue conclusioni, anche se
detto corrispettivo non deve necessariamente
consistere nel versamento di una somma di
denaro, cosicché la prestazione può essere
retribuita con altre forme di corrispettivi,
come il rimborso delle spese sostenute per
fornire il servizio pattuito (v., in
particolare, sentenze del 19.12.2012, Ordine
degli Ingegneri della Provincia di Lecce e
a., C‑159/11, EU:C:2012:817, punto 29; del
13.06.2013, Piepenbrock, C‑386/11,
EU:C:2013:385, punto 31, nonché del
18.10.2018, IBA Molecular Italy, C‑606/17,
EU:C:2018:843, punto 29), ciò non toglie che
il carattere sinallagmatico di un contratto
di appalto pubblico comporta necessariamente
la creazione di obblighi giuridicamente
vincolanti per ciascuna delle parti del
contratto, la cui esecuzione deve poter
essere esigibile in sede giurisdizionale
(v., in tal senso, sentenza del 25.03.2010,
Helmut Müller, C‑451/08, EU:C:2010:168,
punti da 60 a 62).
27 Ne consegue che un contratto con il quale
un’amministrazione aggiudicatrice non è
giuridicamente tenuta a fornire alcuna
prestazione quale corrispettivo di quella
che la sua controparte si è impegnata a
realizzare non rientra nella nozione di «contratto
a titolo oneroso» ai sensi dell’articolo
2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva
2014/24.
28 Il fatto, menzionato dal giudice del
rinvio e inerente a qualsiasi procedura di
appalto pubblico, che l’ottenimento di tale
contratto possa avere un valore economico
per l’offerente, nella misura in cui esso
gli conferirebbe l’accesso ad un nuovo
mercato o gli consentirebbe di ottenere
referenze, è troppo aleatorio e, di
conseguenza, non può essere sufficiente,
come rilevato, in sostanza, dall’avvocato
generale ai paragrafi da 63 a 66 delle sue
conclusioni, per qualificare tale contratto
come «contratto a titolo oneroso».
29 Tuttavia, si deve constatare che
l’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della
direttiva 2014/24 si limita a definire la
nozione di «appalti pubblici» al fine
di determinare l’applicabilità di tale
direttiva. Infatti, come risulta
dall’articolo 1, paragrafo 1, di detta
direttiva, quest’ultima si applica
unicamente agli «appalti pubblici»,
ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 1,
punto 5, il cui valore stimato raggiunga o
superi le soglie di cui all’articolo 4 della
direttiva medesima.
30 Ne consegue che l’articolo 2, paragrafo
1, punto 5, della direttiva 2014/24 non può
costituire un fondamento giuridico per il
rigetto di un’offerta che proponga un prezzo
di EUR 0. Pertanto, tale disposizione non
consente il rigetto automatico di un’offerta
presentata nell’ambito di un appalto
pubblico, quale un’offerta al prezzo di EUR
0, con cui un operatore proponga di fornire
all’amministrazione aggiudicatrice, senza
esigere alcun corrispettivo, i lavori, le
forniture o i servizi che quest’ultima
intende acquisire.
31 In tali circostanze, poiché un’offerta al
prezzo di EUR 0 può essere qualificata come
offerta anormalmente bassa, ai sensi
dell’articolo 69 della direttiva 2014/24,
qualora un’amministrazione aggiudicatrice si
trovi di fronte ad un’offerta del genere,
essa deve seguire la procedura prevista in
detta disposizione, chiedendo all’offerente
spiegazioni in merito all’importo
dell’offerta. Infatti, dalla logica sottesa
all’articolo 69 della direttiva 2014/24
risulta che un’offerta non può
automaticamente essere respinta per il solo
motivo che il prezzo proposto è di EUR 0.
32 Pertanto, dal paragrafo 1 di detto
articolo emerge che, qualora un’offerta
appaia anormalmente bassa, le
amministrazioni aggiudicatrici richiedono
all’offerente di fornire spiegazioni in
merito al prezzo o ai costi proposti in
quest’ultima, le quali possono riguardare,
in particolare, gli elementi di cui al
paragrafo 2 di detto articolo. Tali
spiegazioni contribuiscono quindi alla
valutazione dell’affidabilità dell’offerta e
consentirebbero di dimostrare che, sebbene
l’offerente proponga un prezzo di EUR 0,
l’offerta di cui trattasi non inciderà sulla
corretta esecuzione dell’appalto.
33 Infatti, conformemente al paragrafo 3
dello stesso articolo, l’amministrazione
aggiudicatrice deve valutare le informazioni
fornite consultando l’offerente e può
respingere tale offerta solo se gli elementi
di prova forniti non giustificano
sufficientemente il basso livello di prezzi
o di costi proposti.
34 Inoltre, la valutazione di tali
informazioni deve essere effettuata nel
rispetto dei principi di parità e di non
discriminazione tra gli offerenti, nonché di
trasparenza e di proporzionalità, che
l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta a
rispettare ai sensi dell’articolo 18,
paragrafo 1, della direttiva 2014/24.
35 Pertanto, l’argomento di un offerente che
abbia presentato un’offerta al prezzo di EUR
0, secondo cui il prezzo proposto nella sua
offerta si spiega con il fatto che tale
offerente intende ottenere l’accesso ad un
nuovo mercato o a referenze qualora detta
offerta venga accettata, deve essere
valutato nel contesto di un’eventuale
applicazione dell’articolo 69 della
direttiva 2014/24.
36 Tenuto conto dell’insieme delle
considerazioni che precedono, si deve
rispondere alle questioni sollevate
dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 1,
punto 5, della direttiva 2014/24 deve essere
interpretato nel senso che esso non
costituisce un fondamento giuridico per il
rigetto dell’offerta di un offerente
nell’ambito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico per il
solo motivo che il prezzo proposto
nell’offerta è di EUR 0.
Sulle spese
37 Nei confronti delle parti nel
procedimento principale la presente causa
costituisce un incidente sollevato dinanzi
al giudice del rinvio, cui spetta quindi
statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a
rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione)
dichiara:
L’articolo 2, paragrafo 1,
punto 5, della direttiva 2014/24/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del
26.02.2014, sugli appalti pubblici e che
abroga la direttiva 2004/18/CE, come
modificata dal regolamento delegato (UE)
2017/2365 della Commissione, del 18.12.2017,
deve essere interpretato nel senso che esso
non costituisce un fondamento giuridico per
il rigetto dell’offerta di un offerente
nell’ambito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico per il
solo motivo che il prezzo proposto
nell’offerta è di EUR 0
(Corte di Giustizia UE, Sez. IV,
sentenza 10.09.2020 - causa C-367/19). |
APPALTI: La
pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la Pubblica Amministrazione.
Domanda
Al fine di verificare la moralità di un operatore ai sensi dell’art. 80, co.
1, del codice dei contratti, è sufficiente accertare l’insussistenza di uno
dei delitti elencati al citato comma?
Risposta
L’art. 80, co. 1, del d.lgs. 50/2016, individua una serie di delitti in
presenza dei quali l’esclusione dell’operatore economico costituisce un atto
dovuto, salvo i casi elencati al comma 3 del citato articolo
(depenalizzazione del reato, riabilitazione, estinzione della pena
accessoria o della condanna, completa effettiva dissociazione della condotta
penalmente sanzionata nei confronti dei cessati dalla carica), o a seguito
di adozione di misure di self cleaning di cui al co. 7, dell’art. 80,
oppure per la decorrenza del termine della pena accessoria dell’incapacità a
contrarre con la pubblica amministrazione.
Per completezza si riportano di seguito i delitti di cui al comma 1:
a) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416
(Associazione per delinquere), 416-bis (Associazione di tipo mafioso) del
codice penale ovvero delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste
dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle
associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti, consumati
o tentati, previsti dall’art. 74 (Associazione finalizzata al traffico
illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del decreto del Presidente
della Repubblica 09.10.1990, n. 309, dall’articolo 291-quater (Associazione
per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) del
decreto del Presidente della Repubblica 23.01.1973, n. 43 e dall’articolo
260 (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152, in quanto riconducibili alla partecipazione
a un’organizzazione criminale, quale definita all’articolo 2 della decisione
quadro 2008/841/GAI del Consiglio;
b) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 317
(Concussione), 318 (Corruzione per l’esercizio della funzione), 319
(Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319-ter (Corruzione
in atti giudiziari), 319-quater (Induzione indebita a dare o promettere
utilità), 320 (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio),
321 (Pene per il corruttore), 322 (Istigazione alla corruzione), 322-bis
(Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità,
corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle
Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri),
346-bis (Traffico di influenze illecite), 353 (Turbata libertà degli
incanti), 353-bis (Turbata libertà del procedimento di scelta del
contraente), 354 (Astensione dagli incanti), 355 (Inadempimento di contratti
di pubbliche forniture) e 356 (Frode nelle pubbliche forniture) del codice
penale nonché all’art. 2635 (Corruzione tra privati) del codice civile;
c) frode ai sensi dell’articolo 1 della convenzione relativa alla
tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee;
d) delitti, consumati o tentati, commessi con finalità di
terrorismo, anche internazionale, e di eversione dell’ordine costituzionale
reati terroristici o reati connessi alle attività terroristiche;
e) delitti di cui agli articoli 648-bis (Riciclaggio), 648-ter
(Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e 648-ter.1
(Auto riciclaggio) del codice penale, riciclaggio di proventi di attività
criminose o finanziamento del terrorismo, quali definiti all’articolo 1 del
decreto legislativo 22.06.2007, n. 109 e successive modificazioni;
f) sfruttamento del lavoro minorile e altre forme di tratta di
esseri umani definite con il decreto legislativo 04.03.2014, n. 24;
g) ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria
l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Con riferimento al quesito in premessa, e sulla base della disposizione
sopra evidenziata, non è sufficiente verificare la presenza nel certificato
del casellario giudiziale di uno dei delitti di cui all’art. 80, co. 1,
lettere da a) a f), ma occorre accertare l’assenza di differenti fattispecie
delittuose rispetto a quelle tassativamente elencate, che hanno comportato
l’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione
Dal documento acquisito tramite AVCPass o altri canali tradizionali occorre
pertanto accertare la natura della fattispecie delittuosa, la pena
principale e la sua durata, nonché l’eventuale pena accessoria e la sua
durata (il tempo in cui l’operatore deve rimanere fuori dalle gare) (09.09.2020
- link a www.publika.it). |
APPALTI SERVIZI: La
distinzione tra concessione e appalto di servizi si fonda sull’ormai
consolidato criterio dell’assunzione del rischio operativo e delle modalità
di remunerazione degli investimenti del contraente privato.
La concessione di servizi instaura infatti un rapporto a titolo oneroso che
prevede, quale corrispettivo per le prestazioni rese dal privato, il diritto
di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un
prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo
legato alla gestione del servizio.
Nel caso dell’appalto di servizi, invece, non vi è trasferimento del rischio
operativo al contraente privato, che ottiene la remunerazione delle
prestazioni rese mediante il corrispettivo versato dalla stazione
appaltante.
---------------
7. – Le società ricorrenti deducono, con il primo motivo di ricorso,
che gli atti appena citati sarebbero illegittimi per violazione delle
disposizioni del Codice dei contratti pubblici in materia di concessioni.
7.1. – Secondo le ricorrenti, il Comune di Narni, con gli atti impugnati,
avrebbe violato le disposizioni contenute negli artt. 169 e 175 del d.lgs.
n. 50/2016, perché avrebbe irragionevolmente consentito un subentro soltanto
parziale (in relazione al solo canile sanitario) di Do.Ho. nella concessione
già rilasciata a Do.Pa. e, comunque, avrebbe violato la regola che vuole che
la durata delle concessioni debba consentire al concessionario, sulla base
di criteri di ragionevolezza, il recupero degli investimenti e la
remunerazione del capitale investito.
7.2. – Il motivo è infondato, per l’assorbente ragione che non risulta dagli
atti di causa che tra il Comune e Marchegiani o i suoi aventi causa si sia
mai instaurato, per lo svolgimento del servizio di ricovero, custodia e
mantenimento di cani randagi, un rapporto di concessione.
7.3. – Deve ricordarsi che la distinzione tra concessione e appalto di
servizi si fonda sull’ormai consolidato criterio dell’assunzione del rischio
operativo e delle modalità di remunerazione degli investimenti del
contraente privato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 04.05.2020, n.
2810).
La concessione di servizi instaura infatti un rapporto a titolo oneroso che
prevede, quale corrispettivo per le prestazioni rese dal privato, il diritto
di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un
prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo
legato alla gestione del servizio.
Nel caso dell’appalto di servizi, invece, non vi è trasferimento del rischio
operativo al contraente privato, che ottiene la remunerazione delle
prestazioni rese mediante il corrispettivo versato dalla stazione appaltante
(TAR
Umbria,
sentenza 08.09.2020 n. 405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’art. 36, c. 2, lett.
a), del Codice dei contratti pubblici stabilisce espressamente, per gli
affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, la possibilità per la
stazione appaltante di ricorrere all’«affidamento diretto anche senza previa
consultazione di due o più operatori economici».
Per consolidata giurisprudenza, il ricorso all’affidamento diretto ut supra,
fermo restando il rispetto dell’importo soglia ivi indicato, non necessita
di particolari formalità, né è richiesta specifica motivazione con riguardo
alla ricorrenza di condizioni di urgenza o necessità.
---------------
8.4. – Sotto altro profilo, le
società ricorrenti censurano le modalità seguite dal Comune di Terni per
l’affidamento del servizio presso il nuovo canile comunale di San Crispino.
In particolare, le ricorrenti deducono che detto affidamento sarebbe
illegittimo perché non preceduto da una pubblica gara e perché l’indagine di
mercato svolta dal Comune è stata limitata a due soli soggetti e non ha
visto il coinvolgimento di Do.Ho..
Il Comune di Narnia e la società cooperativa B+ sostengono la piena
legittimità dell’operato dell’Amministrazione sulla base dell’art. 36, c. 2,
lett. a), del d.lgs. n. 50/2016.
Ciò detto, le doglianze di Do.Pa. e Do.Ho. sono infondate.
L’art. 36, c. 2, lett. a), del Codice dei contratti pubblici stabilisce
espressamente, per gli affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, la
possibilità per la stazione appaltante di ricorrere all’«affidamento
diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici».
Nel caso di specie, è pacifico ed incontestato che, con determinazione
dirigenziale n. 176 del 30.04.2020, il servizio di pulizia, cura e
somministrazione pasti per il canile rifugio San Crispino, meglio
dettagliato nelle richieste di preventivo inviate dall’Area servizi
finanziari del Comune di Narni, è stato affidato a B+, peraltro dopo l’esame
di due preventivi, per un importo inferiore alla soglia dei 40.000,00 euro
al netto dell’IVA.
Tanto è stato disposto in conformità a quanto stabilito dal Consiglio
comunale con la delibera n. 31 del 2020, con la quale era stato deciso di
procedere all’espletamento di una procedura di affidamento diretto, per il
tempo stimato di 5 mesi, nel rispetto del codice degli appalti pubblici in
merito alle soglie comunitarie previa verifica della congruità del costo.
Peraltro, per consolidata giurisprudenza, il ricorso all’affidamento diretto
di cui all’art. 36, c. 2, lett. a), d.lgs. n. 50/2016, fermo restando il
rispetto dell’importo soglia ivi indicato, non necessita di particolari
formalità, né è richiesta specifica motivazione con riguardo alla ricorrenza
di condizioni di urgenza o necessità (cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. III,
13.03.2020, n. 326; TAR Molise, sez. I, 14.09.2018, n. 533).
Né le società ricorrenti hanno dedotto la violazione, da parte del Comune di
Narni, dei principi di cui agli artt. 30, c. 1, 34 e 42 del d.lgs. n.
50/2016, richiamati dal comma 1 dell’art. 36.
Anzi, come rilevato dalle parti resistenti, l’eventuale coinvolgimento delle
ricorrenti nelle consultazioni preordinate all’affidamento diretto del
servizio di cui si discute avrebbe dovuto essere valutato con particolare
cautela da parte dell’Amministrazione comunale, stante la necessità del
rispetto del principio di rotazione sia degli inviti che degli affidamenti,
con particolare riguardo proprio agli affidamenti diretti, in considerazione
nell’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo
al gestore uscente, la cui posizione di vantaggio deriva dalle informazioni
acquisite durante il pregresso affidamento.
Ciò vale anche per Do.Ho., società cooperativa costituita nel novembre 2019
proprio in vista dell’affitto del ramo di azienda relativo al canile di
Schifanoia da parte di Do.Pa., stipulato il 27.12.2019 (TAR
Umbria,
sentenza 08.09.2020 n. 405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1.- Appalti pubblici – bando – modifiche alla lex di gara – pubblicazione di
un nuovo bando – necessità – limiti.
Così come le variazioni apportate in relazione alle cause d’esclusione ex
art. 80, comma 5, lett. c, c-bis) e c-ter), d.lgs. n. 50 del 2016 e
corrispondenti dichiarazioni, anche quelle relative all’applicazione della
clausola sociale si risolvono in mere modifiche della lex specialis tali da
implicare -ai sensi dell’art. 73, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016- il differimento del termine per la presentazione delle offerte, non già la
pubblicazione di un nuovo bando di gara e la soggezione al termine di cui
all’art. 60 d.lgs. n. 50 del 2016 (massima free tratta da www.giustamm.it).
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3. Col secondo motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in
cui afferma che le modifiche apportate dalla stazione appaltante in
relazione alla clausola sociale non presentavano un contenuto tale da
imporre la pubblicazione ex novo del bando nel rispetto del termine
di cui all’art. 60 d.lgs. n. 50 del 2016.
3.1. Il motivo non è condivisibile.
3.1.1. Così come le variazioni apportate in relazione alle cause
d’esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c, c-bis) e c-ter), d.lgs. n. 50 del
2016 e corrispondenti dichiarazioni (cfr. retro, sub § 2.1.1), anche quelle
relative all’applicazione della clausola sociale si risolvono in mere
modifiche della lex specialis tali da implicare -ai sensi dell’art.
73, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016- il (già visto) differimento
del termine per la presentazione delle offerte, non già la pubblicazione di
un nuovo bando di gara e la soggezione al termine di cui all’art. 60 d.lgs.
n. 50 del 2016.
In particolare, le variazioni concernenti la clausola sociale riguardano la
presentazione di un progetto di assorbimento del personale (su cui v. infra,
sub § 5.1.1) che ben rientra fra le «modifiche significative ai documenti di
gara» (art. 79, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016) comportanti la
«proroga [… de]i termini per la ricezione delle offerte».
In senso inverso non vale il principio affermato dalla Corte di giustizia
con sentenza del 18.09.2019 (causa C-526/2017), secondo cui in caso
di significative modifiche apportate al contratto occorre provvedere alla
nuova pubblicazione del bando. Il principio riguarda infatti tutt’altra
ipotesi, coincidente con la modifica del contenuto di un affidamento già in
essere (si trattava, in specie, della proroga della durata di una
concessione autostradale) risolventesi in un revisione sostanziale del
contratto in assenza di gara.
Nel caso in esame, invece, la modifica riguarda i documenti di gara,
implicando il solo effetto di dover assicurare un’adeguata tempistica per la
presentazione delle offerte agli operatori economici ai sensi dell’art. 79,
comma 3 e 4, d.lgs. n. 50 del 2016.
Non rileva al riguardo neanche il richiamo al considerando n. 81 della
direttiva 2014/24/UE, che si limita a stabilire il principio -cui lo stesso
art. 79, comma 3 e 4, d.lgs. n. 50 del 2016 s’ispira- di prevedere una
proroga del termine per la presentazione delle offerte in caso di «modifiche
significative» apportate ai documenti di gara, a meno che siano talmente
consistenti da consentire l’ammissione di candidati diversi, risultando tali
da rendere «sostanzialmente diversa la natura dell’appalto o dell’accordo
quadro rispetto a quella inizialmente figurante nei documenti di gara».
Come già posto in risalto, nel caso di specie non ricorrono modifiche -in
relazione al richiamo delle cause escludenti ex art. 80, comma 5, lett. c),
c-bis) e c-ter), d.lgs. n. 50 del 2016 e relative dichiarazioni degli
operatori, nonché alla richiesta di un progetto di assorbimento del
personale- d’entità e oggetto tali da rendere necessaria la pubblicazione
d’un nuovo bando o il rispetto del termine ex art. 60 d.lgs. n. 50 del 2016
(v., al riguardo, anche infra, sub § 5.1.1).
Di qui l’infondatezza della doglianza
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 01.09.2020 n. 5338 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
agosto 2020 |
|
APPALTI: L’Adunanza
plenaria pronuncia sugli obblighi dichiarativi ex art. 80, comma 5, lett. c)
e b-bis), d.lgs. n. 50 del 2016 e sulle false dichiarazioni.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – False
informazione rese dal concorrente – Espulsione automatica - Esclusione.
La falsità di informazioni rese dall’operatore
economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e
finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione
appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e
l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lett. c) [ora
c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al d.lgs.
18.04.2016, n. 50.
In conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la
valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della
medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo.
Alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni
dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione,
nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi
dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo
quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore
economico.
La lett. f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha
carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti
in quelle previste dalla lett. c) [ora c-bis)] della medesima disposizione
(1).
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(1) La questione era
stata rimessa all’Adunanza
plenaria dalla sez. V con ord. 09.04.2020, n. 2332.
Ha chiarito l’Alto Consesso che all’ipotesi prevista dalla falsità
dichiarativa (o documentale) di cui alla lettera f-bis) quella relativa alle
«informazioni false o fuorvianti» ha un elemento specializzante, dato
dalla loro idoneità a «influenzare le decisioni sull’esclusione, la
selezione o l’aggiudicazione» della stazione appaltante. Ai fini
dell’esclusione non è dunque sufficiente che l’informazione sia falsa ma
anche che la stessa sia diretta ed in grado di sviare l’amministrazione
nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura di gara.
Coerentemente con tale elemento strutturale, la fattispecie equipara inoltre
all’informazione falsa quella fuorviante, ovvero rilevante nella sua «attitudine
decettiva, di “influenza indebita”», secondo la definizione datane
dall’ordinanza di rimessione, ovvero di informazione potenzialmente
incidente sulle decisioni della stazione appaltante, e che rispetto
all’ipotesi della falsità può essere distinta per il maggior grado di
aderenza al vero.
La ragione della descritta equiparazione si può desumere dalle
considerazioni svolte in precedenza e cioè dal fatto che le informazioni
sono strumentali rispetto ai provvedimenti di competenza
dell’amministrazione relativamente alla procedura di gara, i quali sono a
loro volta emessi non solo sulla base dell’accertamento di presupposti di
fatto ma anche di valutazioni di carattere giuridico, opinabili tanto per
quest’ultima quanto per l’operatore economico che le abbia fornite.
Ne segue che, in presenza di un margine di apprezzamento discrezionale, la
demarcazione tra informazione contraria al vero e informazione ad essa non
rispondente ma comunque in grado di sviare la valutazione della stazione
appaltante diviene da un lato difficile, con rischi di aggravio della
procedura di gara e di proliferazione del contenzioso ad essa relativo, e
dall’altro lato irrilevante rispetto al disvalore della fattispecie,
consistente nella comune attitudine di entrambe le informazioni a sviare
l’operato della medesima amministrazione.
Nella medesima direzione si spiega la circostanza che l’art. 80, comma 5,
lett. c) [ora c-bis)] d.lgs. n. 50 del 2016 preveda anche «l’omissione di
informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di
selezione», quale ulteriore fattispecie di grave illecito professionale,
a completamento e chiusura di quella precedente, ma rispetto a questa
tipizzata in termini più ampi, con il riferimento al «corretto
svolgimento della procedura di selezione», ed in cui il disvalore si
polarizza sull’«elemento normativo della fattispecie» (così
l’ordinanza di rimessione), ovvero sul carattere doveroso dell’informazione.
L’ipotesi presuppone un obbligo il cui assolvimento è necessario perché la
competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento
giustifica invece l’esclusione. Rispetto alle esigenze di trasparenza che si
pongono tra i preminenti valori giuridici che presiedono alle procedure di
affidamento di contratti pubblici (art. 30, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016),
l’obbligo dovrebbe essere previsto a livello normativo o
dall’amministrazione, attraverso le norme speciali regolatrici della gara.
Nondimeno, come ricordato dalla Sezione rimettente, deve darsi atto che è
consolidato presso la giurisprudenza il convincimento secondo cui l’art. 80,
comma 5, lett. c) [ora lett. c-bis)], è una norma di chiusura in grado di
comprendere tutti i fatti anche non predeterminabili ex ante, ma in
concreto comunque incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità
dell’operatore economico, donde il carattere esemplificativo delle ipotesi
previste nelle linee-guida emanate in materia dall’ANAC, ai sensi del comma
13 del medesimo art. 80 (linee-guida n. 6 del 2016; al riguardo si rinvia al
parere reso dalla commissione speciale di questo Consiglio di Stato
appositamente costituita sull’ultimo aggiornamento alle più volte richiamate
linee-guida:
parere del 13.11.2018, n. 2616; § 7.1; cfr. inoltre:
Cons. Stato, V, 05.05.2020, n. 2850,
12.03.2020, n. 1774,
12.04.2019, n. 2407,
12.02.2020, n. 1071;
VI, 04.06.2019, n. 3755).
Sennonché in tanto una ricostruzione a posteriori degli obblighi
dichiarativi può essere ammessa, in quanto si tratti di casi evidentemente
incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui
quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono
configurabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso.
L’elemento comune alle fattispecie dell’omissione dichiarativa ora esaminata
con quella relativa alle informazioni false o fuorvianti suscettibili di
incidere sulle decisioni dell’amministrazione concernenti l’ammissione, la
selezione o l’aggiudicazione, è dato dal fatto che in nessuna di queste
fattispecie si ha l’automatismo espulsivo proprio del falso dichiarativo di
cui alla lettera f-bis).
Infatti, tanto «il fornire, anche per negligenza, informazioni false o
fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la
selezione o l’aggiudicazione», quanto «l’omettere le informazioni
dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione»
sono considerati dalla lettera c) quali «gravi illeciti professionali»
in grado di incidere sull’«integrità o affidabilità» dell’operatore
economico.
E’ pertanto indispensabile una valutazione in concreto della stazione
appaltante, come per tutte le altre ipotesi previste dalla medesima lettera
c) [ed ora articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater), per effetto
delle modifiche da ultimo introdotte dalla legge decreto-legge 18.04.2019,
n. 32 - Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti
pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di
rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici;
convertito dalla l. 14.06.2019, n. 55].
Nel contesto di questa valutazione l’amministrazione dovrà pertanto
stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre
la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed infine se il
comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla
sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se
quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché
previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in
grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità.
Qualora sia mancata, una simile valutazione non può essere rimessa al
giudice amministrativo. Osta a ciò, nel caso in cui tale valutazione sia
mancata, il principio di separazione dei poteri, che in sede processuale
trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2, del codice del
processo amministrativo (secondo cui il giudice non può pronunciare «con
riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati»).
Laddove invece svolta, operano per essa i consolidati limiti del sindacato
di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale in cui
l’amministrazione sola è chiamata a fissare «il punto di rottura
dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente» [Cassazione,
sezioni unite civili, nella sentenza del 17.02.2012, n. 2312, che ha
annullato per eccesso di potere giurisdizionale una sentenza di questo
Consiglio di Stato che aveva a sua volta ritenuto illegittimo il giudizio di
affidabilità professionale espresso dall’amministrazione in relazione
all’allora vigente art. 38, comma 1, lett. f), dell’abrogato codice dei
contratti pubblici di cui al d.lgs. 12.04.2006, n. 163]; limiti che non
escludono in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità
amministrativa, ma che impongono al giudice una valutazione della
correttezza dell’esercizio del potere informato ai princìpi di
ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata
dall’amministrazione.
Il sistema così descritto ha carattere completo e coerente con la causa di
esclusione “facoltativa” prevista a livello sovranazionale,
consistente nella commissione di «gravi illeciti professionali» tali
da mettere in dubbio l’integrità dell’operatore economico e da dimostrare
con «mezzi adeguati», ai sensi dell’art. 57, par. 4, lett. c), della
direttiva 2014/24/UE del 26.02.2014, poi attuata con il codice dei contratti
pubblici attualmente vigente.
Nondimeno, su di esso è intervenuto il sopra menzionato “correttivo”,
di cui al d.lgs. 19.04.2017, n. 56, con l’aggiunta all’art. 80, comma 5, del
codice della lettera f-bis), e dunque della causa di esclusione relativa
all’operatore economico che presenti nella procedura di gara (o negli
affidamenti di subappalti; ipotesi che qui non rileva) «documentazione o
dichiarazioni non veritiere». Non «informazioni» dunque, come
invece previsto dalla lettera c), ma documenti o dichiarazioni.
Al riguardo, è innanzitutto da escludere che i diversi termini impiegati
rivestano una rilevanza pratica, poiché documenti e dichiarazioni sono
comunque veicolo di informazioni che l’operatore economico è tenuto a dare
alla stazione appaltante e che quest’ultima a sua volta deve
discrezionalmente valutare per assumere le proprie determinazioni nella
procedura di gara. Affermata dunque un’identità di oggetto tra le lettere c)
e f-bis) in esame, dall’esame dei rispettivi elementi strutturali si ricava
anche una parziale sovrapposizione di ambiti di applicazione, derivante dal
fatto che entrambe fanno riferimento a ipotesi di falso.
Per dirimere il conflitto di norme potenzialmente concorrenti sovviene
allora il criterio di specialità (art. 15 delle preleggi), in applicazione
del quale deve attribuirsi prevalenza alla lettera c), sulla base
dell’elemento specializzante consistente nel fatto che le informazioni
false, al pari di quelle fuorvianti, sono finalizzate all’adozione dei
provvedimenti di competenza della stazione appaltante «sull’esclusione,
la selezione o l’aggiudicazione» e concretamente idonee ad influenzarle.
Per effetto di quanto ora considerato, diversamente da quanto finora
affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, l’ambito di
applicazione della lettera f-bis) viene giocoforza a restringersi alle
ipotesi -di non agevole verificazione- in cui le dichiarazioni rese o la
documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza
alcun margine di opinabilità, e non siano finalizzate all’adozione dei
provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativi all’ammissione, la
valutazione delle offerte o l’aggiudicazione dei partecipanti alla gara o
comunque relativa al corretto svolgimento di quest’ultima, secondo quanto
previsto dalla lettera c)
(Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 28.08.2020 n. 16 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appalti, l'irrisolta ed eterna questione della partecipazione del Rup alle
commissioni giudicatrici (27.08.2020
- link a https://luigioliveri.blogspot.com). |
APPALTI: Appalti:
ad affidare in via diretta, con estesissime deroghe e saltando adempimenti,
anche di trasparenza, sono buoni tutti. Non serve a questo un Commissario
(26.08.2020 - link a https://luigioliveri.blogspot.com). |
APPALTI: Il
dominus del procedimento di gara: il RUP
(26.08.2020
- link a www.mauriziolucca.com).
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La Sez. II del TAR Sicilia, Palermo, con la sentenza 30.07.2020 n. 1673,
celebra le capacità e i poteri del responsabile unico del procedimento (RUP),
titolare di una competenza che si estende sino all’adozione dei
provvedimenti di esclusione dei concorrenti, nel procedimento di
individuazione del contraente: l’anima che regge l’intero apparato pubblico
delle gare in qualità di dominus (...continua). |
APPALTI: Sulla
ammissibilità, o meno, che un unico soggetto rivesta la qualifica di RUP, di
componente della commissione di gara, nonché di soggetto proponente
l'indizione della gara e della nomina dei componenti della commissione di
gara (e, quindi, anche di se stesso quale dirigente della stazione
appaltante).
L’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016, nella sua
versione ante correttivo del 2017, è stato interpretato dalla giurisprudenza
prevalente e condivisibile «in continuità con l’indirizzo formatosi sul
codice antevigente, giungendo così a concludere che, nelle procedure di
evidenza pubblica, il ruolo di RUP può coincidere con le funzioni di
commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice, a meno
che non sussista la concreta dimostrazione dell'incompatibilità tra i due
ruoli, desumibile da una qualche comprovata ragione di interferenza e di
condizionamento tra gli stessi», ritenendo quale decisivo elemento esegetico
in tal senso l'«indicazione successivamente fornita dal legislatore, il
quale, integrando il disposto dell’art. 77 comma 4, ha escluso ogni effetto
di automatica incompatibilità conseguente al cumulo delle funzioni,
rimettendo all'amministrazione la valutazione della sussistenza o meno dei
presupposti affinché il RUP possa legittimamente far parte della commissione
gara».
Sicché, alla stregua dell’interpretazione giurisprudenziale preferibile
dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016 già emersa con riferimento al
testo antecedente al correttivo del 2017 e, a fortiori, a seguito del
correttivo normativo del 2017 -che, quasi recependo la predetta esegesi
della disposizione della prima versione dell’art. 77, ha integrato il
disposto dell’art. 77, comma 4, escludendo ogni effetto di automatica
incompatibilità conseguente al cumulo delle funzioni e rimettendo
all’amministrazione la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti
affinché il R.U.P. possa legittimamente far parte della commissione gara-
deve ritenersi che il R.U.P. possa essere nominato membro della Commissione
di gara, salva la prova di concreti ed effettivi condizionamenti (sul piano
pratico); prova che non può desumersi ex se dalla mera commistione di
funzioni svolte dallo stesso soggetto nelle fasi della predisposizione della
legge di gara e della sua concreta applicazione che porterebbe ad una
interpretazione sostanzialmente abrogante della seconda parte dell’art. 77,
comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm..
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1. - Con il primo motivo di gravame, parte ricorrente contesta (sotto
i profili della violazione dell’art. 77 D.Lgs. n. 50/2016 e ss.mm.,
dell’eccesso di potere (sviamento), della violazione dei principi di
trasparenza, pubblicità, concorrenza e parità di trattamento) che “Gli
atti della procedura di gara sono ab imis invalidi” poiché “Nella
fattispecie è infatti avvenuto che uno stesso soggetto e, cioè, il dirigente
Ing. Gi.Ia., ha rivestito la qualifica di responsabile unico del
procedimento, di componente della commissione di gara, nonché di soggetto
proponente l'indizione della gara e della nomina dei componenti della
commissione di gara (e, quindi, anche di se stesso), nonché dirigente della
stazione appaltante”, evidenziando che, nella fattispecie, il predetto
dirigente «ha concretamente predisposto la documentazione di gara e,
cioè, il bando, il capitolato, il disciplinare, proponendo al dirigente
responsabile della Centrale Unica di Committenza e, cioè, a se stesso, di
approvare la lex spexialis».
Il motivo è infondato.
1.1. - La gara è soggetta alle disposizioni dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs.
n. 50/2016 e ss.mm. (come modificato dal D.Lgs. 19.04.2017, n. 56) che,
nella sua versione originaria, disponeva: «I commissari non devono aver
svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o
amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta».
Con successiva modifica introdotta in sede di correttivo dall’art. 46, comma
1, lett. d), D.Lgs n. 56/2017, il comma 4 del predetto art. 77 del D.Lgs.
50/2016 è stato arricchito di un’ulteriore disposizione, ai sensi della
quale: «La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata
con riferimento alla singola procedura».
L’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016, nella sua versione ante
correttivo del 2017, è stato interpretato dalla giurisprudenza prevalente e
condivisibile «in continuità con l’indirizzo formatosi sul codice
antevigente, giungendo così a concludere che, nelle procedure di evidenza
pubblica, il ruolo di RUP può coincidere con le funzioni di commissario di
gara e di presidente della commissione giudicatrice, a meno che non sussista
la concreta dimostrazione dell'incompatibilità tra i due ruoli, desumibile
da una qualche comprovata ragione di interferenza e di condizionamento tra
gli stessi (TAR Veneto, sez. I, 07.07.2017, n. 660; TAR Lecce, sez. I,
12.01.2018, n. 24; TAR Bologna, sez. II, 25.01.2018, n. 87; TAR Umbria, sez.
I, 30.03.2018, n. 192)» (Consiglio di Stato, Sezione III, 26.10.2018, n.
6082, richiamata anche da Consiglio di Stato, Sezione V, 27/02/2019, n.
1387), ritenendo quale decisivo elemento esegetico in tal senso l'«indicazione
successivamente fornita dal legislatore, il quale, integrando il disposto
dell’art. 77 comma 4, ha escluso ogni effetto di automatica incompatibilità
conseguente al cumulo delle funzioni, rimettendo all'amministrazione la
valutazione della sussistenza o meno dei presupposti affinché il RUP possa
legittimamente far parte della commissione gara» (Consiglio di Stato,
Sezione III, 26.10.2018, n. 6082, cit.).
Sicché, come già rilevato nell’ordinanza cautelare n. 727 del 19/12/2019 di
questa Sezione, alla stregua dell’interpretazione giurisprudenziale
preferibile dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016 già emersa con
riferimento al testo antecedente al correttivo del 2017 e, a fortiori,
a seguito del correttivo normativo del 2017 -che, quasi recependo la
predetta esegesi della disposizione della prima versione dell’art. 77, ha
integrato il disposto dell’art. 77, comma 4, escludendo ogni effetto di
automatica incompatibilità conseguente al cumulo delle funzioni e rimettendo
all’amministrazione la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti
affinché il R.U.P. possa legittimamente far parte della commissione gara-
deve ritenersi che il R.U.P. possa essere nominato membro della Commissione
di gara, salva la prova (inesistente nella fattispecie de qua) di
concreti ed effettivi condizionamenti (sul piano pratico); prova che non può
desumersi ex se dalla mera commistione di funzioni svolte dallo
stesso soggetto nelle fasi della predisposizione della legge di gara e della
sua concreta applicazione, come in tesi di parte ricorrente, che porterebbe
ad una interpretazione sostanzialmente abrogante della seconda parte
dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm..
1.2. - Né, per quanto sopra detto, può essere condivisa la tesi di parte
ricorrente, così come precisata nella memoria di replica del 28/02/2020,
secondo cui “La norma prevede due distinte ipotesi. La valutazione
concreta è riferita alle funzioni di RUP quale componente della commissione.
Ma la prima parte della norma sembra porre una incompatibilità correlata ad
una mera commistione di funzioni (I commissari non devono aver svolto né
possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo
relativamente al contratto del cui affidamento si tratta)”, in quanto le
due disposizioni normative non possono -evidentemente- essere interpretate
in maniera atomistica, ma debbono essere interpretate in maniera coordinata,
in favore di un lettura non seccamente preclusiva del cumulo di funzioni, ma
che richiede una valutazione dell’incompatibilità sul piano concreto e di
volta in volta, nonché la prova di concreti ed effettivi condizionamenti
(mancante nella fattispecie), anche perché, diversamente opinando, si
finirebbe con l’azzerare (come per una specie di interpretazione abrogante)
la portata normativa della seconda parte dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs.
n. 50 del 2016 e ss.mm., introdotta dal correttivo del 2017, attesa la
pluralità di funzioni e competenze, sia sotto il profilo tecnico che
amministrativo, che l’art. 31 del D.Lgs. 50/2016 attribuisce al R.U.P. in
quanto Responsabile Unico ope legis anche della procedura di gara
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 24.08.2020 n. 949 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’invocato
(e consolidato) principio giurisprudenziale in base al quale la valutazione
della congruità dell’offerta ha carattere globale e sintetico -non potendo
riguardare in maniera “parcellizzata” le singole voci di costo-,
correttamente inteso, sta (proprio) a significare che tale valutazione non
può (ovviamente) prescindere dall’analisi dei singoli elementi e delle
singole voci di prezzo (non già isolatamente considerate, ma) in quanto
tutte insieme (logicamente) concorrenti alla formazione del costo totale
offerto, (analisi) non fine a se stessa né tesa ad una mera “caccia
all’errore”, bensì funzionale proprio (specialmente allorquando si perviene
ad un giudizio “finale” di non congruità, che, appunto, “postula una
motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole
all’offerente” alla (derivante) valutazione della proposta complessivamente
considerata, onde apprezzarne l’affidabilità e l’attendibilità nel suo
insieme per la corretta esecuzione dell’appalto.
---------------
Il giudizio sull’anomalia delle offerte presentate in una gara è
ampiamente discrezionale ed espressione paradigmatica di discrezionalità
tecnica, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o
irragionevolezza.
In particolare, il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni
dell’amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed
adeguatezza dell’istruttoria, ma non può invece procedere ad un’autonoma
verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, che
costituirebbe un’inammissibile invasione della sfera propria della P.A. e
tale sindacato rimane limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali
errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o
inficiate da errori di fatto.
L’esame delle giustificazioni, il giudizio di anomalia o di incongruità
dell'offerta costituiscono sempre espressione di discrezionalità tecnica di
esclusiva pertinenza dell’Amministrazione ed esulano dalla competenza del
giudice amministrativo, che può sindacare le valutazioni della pubblica
amministrazione soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi
e plateali errori di valutazione abnormi o inficiati da errori di fatto;
giammai il giudice amministrativo può sostituire il proprio giudizio a
quello dell'amministrazione e procedere ad una autonoma verifica della
congruità dell'offerta e delle singole voci.
---------------
2. - Con gli altri cinque motivi di ricorso, parte ricorrente
-essenzialmente- contesta (sotto il profilo della violazione e falsa
applicazione dell’art. 97 D.Lgs. n. 50/2016, della violazione della lex
specialis di gara e dell’eccesso di potere per sviamento, evidenti
erroneità e travisamento dei presupposti ed illogicità manifesta) sia la
verifica della congruità dell’offerta della ricorrente svolta dalla Stazione
Appaltante ai sensi dell’art. 97, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016, perché (asseritamente)
«svolta attraverso una minuziosa e capziosa analisi di ciascun elemento
dell’offerta, in totale assenza di una valutazione globale e sintetica»
dell’offerta medesima «con il chiaro intento della “caccia all’errore”»,
sia, nel merito, il giudizio di anomalia dell’offerta della ricorrente
formulato dalla stazione appaltante resistente, all’esito del sub
procedimento di verifica di anomalia dell’offerta svoltosi ai sensi
dell’art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016 e ss.mm., perché (asseritamente) «inficiato
da macroscopica irrazionalità», analiticamente censurando ciascuna delle
argomentazioni poste a base del provvedimento di esclusione impugnato (1.
Costo del Personale, 2. Orario di lavoro del Coordinatore del servizio, 3.
Costo impiego automezzi, 4. Miglioria n. 2: fornitura di un mezzo a
propulsione totalmente elettrica, 5. Miglioria n. 5: Spalatura neve dai
viali di accesso alle strutture, 6. Miglioria n. 9: Implementazione e
gestione dell'anagrafica tecnica, 7. Miglioria n. 12: Servizio di sportello
al cittadino, 8. Costi manodopera per attività svolta nel giorno di domenica
e nei festivi, 9. Approvvigionamento materiali per manutenzione edili).
Tutte le predette censure sono infondate.
2.1. - Osserva, innanzitutto, la Sezione che «l’invocato (e consolidato)
principio giurisprudenziale in base al quale la valutazione della congruità
dell’offerta ha carattere globale e sintetico -non potendo riguardare in
maniera “parcellizzata” le singole voci di costo-, correttamente inteso, sta
(proprio) a significare che tale valutazione non può (ovviamente)
prescindere dall’analisi dei singoli elementi e delle singole voci di prezzo
(non già isolatamente considerate, ma) in quanto tutte insieme (logicamente)
concorrenti alla formazione del costo totale offerto, (analisi) non fine a
se stessa né tesa ad una mera “caccia all’errore”, bensì funzionale proprio
(specialmente allorquando si perviene ad un giudizio “finale” di non
congruità, che, appunto, “postula una motivazione rigorosa ed analitica ove
si concluda in senso sfavorevole all’offerente” - ex multis, Consiglio di
Stato, V, 17.01.2014, n. 162) alla (derivante) valutazione della proposta
complessivamente considerata, onde apprezzarne l’affidabilità e
l’attendibilità nel suo insieme per la corretta esecuzione dell’appalto»
(TAR Puglia, Lecce, Sezione III, 16/11/2017, n. 1819).
Orbene, nel caso di specie -premesso che, con nota prot. 2728/C.U.C. del
27/09/2019 (recante in oggetto “PROCEDURA APERTA PER L’AFFIDAMENTO DI
SERVIZI INTEGRATI PER LA GESTIONE IN GLOBAL SERVICE DEL PATRIMONIO
IMMOBILIARE DEL COMUNE DI MASSAFRA LOTTO 1 – Edifici e Cimitero (CIG:
7942487B9B). Art. 97, comma 1, del D.lgs. 50/2016. Richiesta spiegazioni sul
prezzo e sui costi proposti nell’offerta”), il R.U.P. richiedeva alla
odierna ricorrente gli opportuni elementi giustificativi della congruità
dell'offerta presentata, in relazione a tutte le componenti che concorrono
alla formazione del prezzo finale offerto ed, anche, in relazione alle
migliorie ed agli incrementi occupazionali indicati nell'offerta tecnica
presentata (evidenziando che, ai sensi e per gli effetti dell'art. art. 97,
comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016, “dall'esame dell'offerta presentata, sono
emersi i seguenti elementi anomali sotto il profilo economico: - il ribasso
offerto risulta notevolmente più elevato (più che doppio) rispetto al
ribasso medio offerto dai partecipanti alla gara; - il valore del costo del
personale indicato in sede di offerta economica risulta inferiore a quello
determinato dalla Stazione Appaltante in sede di gara, a fronte peraltro di
un incremento della consistenza del personale previsto dal piano di
assorbimento prodotto in sede di gara”) e che, con nota acquisita con
prot. 2925/C.U.C. del 12.10.2019 la Società ricorrente presentava le proprie
giustificazioni relative all'offerta presentata- la serietà della proposta
risulta valutata nel suo complesso (pervenendo al contestato giudizio finale
di incongruità), con riferimento “a tutte le componenti che concorrono
alla formazione del prezzo finale offerto ed, anche, in relazione alle
migliorie ed agli incrementi occupazionali indicati nell’offerta tecnica
presentata” in relazione all’incidenza delle stesse sull’offerta nel suo
insieme (e non già avulse da questa), ritenendo, la stessa “carente per
quanto attiene congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità e quindi,
nel suo complesso, non attendibile in vista della corretta esecuzione
dell'appalto” (come risulta dalla nota prot. n. 3083/C.U.C. del 25.10.2019
di “Comunicazione di avvio del procedimento di esclusione dell'offerta
dalla gara ai sensi del comma 5 dell'art. 97 del D.lgs 50/2016” e dalla
ivi allegata Relazione Congiunta R.U.P./Commissione di gara del 23/10/2019,
nonché dalla determina prot. n. 3306 del 15.11.2019 di “Comunicazione di
esclusione dell'offerta dalla gara ai sensi del comma 5 dell'art. 97 del
D.lgs 50/2016”, che, a seguito dell’esame delle controdeduzioni scritte
svolte dalla Società ricorrente, acquisite con prot. 3282/C.U.C. del
13/11/2019, ha disposto l'esclusione dell'offerta presentata dalla odierna
ricorrente, ai sensi del comma 5 dell'art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016, sulla
base delle motivazioni di cui alla Relazione Congiunta R.U.P./Commissione di
gara del 23.10.2019, nonché di quanto riportato nello stesso provvedimento
di esclusione).
2.2. - In ordine, poi, al limite del sindacato giurisdizionale nella materia
de qua, appare opportuno richiamare il condivisibile e “consolidato
orientamento (ex plurimis, Consiglio Stato, V, 24.08.2018, n. 5047) secondo
cui il giudizio sull’anomalia delle offerte presentate in una gara è
ampiamente discrezionale ed espressione paradigmatica di discrezionalità
tecnica, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o
irragionevolezza.
In particolare, il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni
dell’amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed
adeguatezza dell’istruttoria, ma non può invece procedere ad un’autonoma
verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, che
costituirebbe un’inammissibile invasione della sfera propria della P.A. e
tale sindacato rimane limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali
errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o
inficiate da errori di fatto.
L’esame delle giustificazioni, il giudizio di anomalia o di incongruità
dell'offerta costituiscono sempre espressione di discrezionalità tecnica di
esclusiva pertinenza dell’Amministrazione ed esulano dalla competenza del
giudice amministrativo, che può sindacare le valutazioni della pubblica
amministrazione soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi
e plateali errori di valutazione abnormi o inficiati da errori di fatto;
giammai il giudice amministrativo può sostituire il proprio giudizio a
quello dell'amministrazione e procedere ad una autonoma verifica della
congruità dell'offerta e delle singole voci” (Consiglio di Stato,
Sezione V, 05/02/2019, n. 881; nello stesso senso, Consiglio di Stato,
Sezione V, 21/11/2017, n. 5387)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 24.08.2020 n. 949 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Va
dimostrato nel concreto l’interesse difensivo all’accesso dell’offerta
tecnica
(22.08.2020
- link a www.mauriziolucca.com).
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La V Sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 21.08.2020 n. 5167
(estensore Fantini) declara la piena legittimità del diniego opposto ad una
actio ad exhibendum all’offerta tecnica in mancanza di un requisito, di
stretta necessità, manifestato dal concorrente alla procedura di scelta del
contraente. (...continua). |
APPALTI:
1.- Appalti pubblici –art. 177 Cod. Appalti Pubblici - Anac – Linee Guida -
ratio e portata.
L’art. 177 del codice degli Appalti Pubblici (in tema di
soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi
pubblici o di forniture) è stato oggetto di una pluralità di interventi di
modifica ed integrazione [artt. 1, comma 568, lett. a) e lett. b), della
legge 27.12.2017, n. 205; art. 1, comma 20, lett. bb), del decreto legge
18.04.2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla legge 14.06.2019, n.
55; art. 1, comma 9 bis del decreto legge 30.12.2019, n. 162, convertito con
modificazioni dalla legge 28.02.2020, n. 8].
L’A.N.A.C. ha dato applicazione alla previsione del terzo comma dell’art.
177, comma 3, del codice dei contratti pubblici, come successivamente
modificato ed integrato, approvando con deliberazione n. 614 del 04.07.2018
le Linee Guida n. 11.
Esse sono articolate in due parti:
- la parte I, di natura dichiaratamente interpretativa, resa ai
sensi dell’art. 213, comma 2, del codice dei contratti pubblici, al fine di
favorire la corretta e omogenea applicazione della normativa, e quindi di
carattere non vincolante, contiene indicazioni su «Ambito di applicazione
dell’articolo 177 del codice dei contratti pubblici» (par. 1); «I contratti
assoggettati alle previsioni dell’articolo 177 del codice dei contratti
pubblici» (par. 2); «Ambito temporale di applicazione dell’articolo 177 del
codice dei contratti pubblici» (par. 3);
- la parte II contiene indicazioni operative rese ai sensi
dell’art. 177, comma 3 del codice dei contratti pubblici, di carattere
dichiaratamente vincolante, concernenti la «Situazione di squilibrio e
quantificazione della penale» (par. 4); gli «Obblighi di pubblicazione»
(par. 5) e le «Attività di verifica» (par. 6).
Sebbene formalmente le Linee Guida predette siano articolate in due parti,
tuttavia esse nel complesso costituiscono dal punto di vista logico e
sistematico un corpus regolatorio unico, in cui la parte I (di natura
dichiaratamente interpretativa) è finalizzata ad individuare il corretto
ambito di applicazione dell’art. 177, su cui sono destinate ad incidere le
indicazioni contenute nella seconda parte.
La descritta unicità dell’atto regolatorio fa sì che la distinzione fra la
natura interpretativa e non vincolante della parte I e quella prescrittiva e
vincolante della parte II receda nell’apprezzamento della portata immediata
e direttamente lesiva –e quindi impugnabile in sede giurisdizionale
amministrativa– delle Linee Guida nel loro complesso.
A tal fine va ribadito, in linea generale, che l’atto programmatorio,
pianificatorio, a contenuto generale o regolamentare (categoria in cui
possono annoverarsi latu sensu anche le linee guida vincolanti), non è di
per sé impugnabile se non in una con l’atto applicativo che ne abbia in
concreto reso attuale la lesione nella sfera giuridica di un determinato
soggetto, ciò anche in ragione del fatto che solo a seguito di tale atto
applicativo può acquisirsi la pena conoscenza e percezione della
prescrizione generale pregiudizievole per l’interessato.
Tuttavia è stata riconosciuta l’impugnabilità degli atti anche generali o
regolamentari aventi portata immediatamente prescrittiva ovvero che
vincolino la successiva attività amministrativa di guisa che il successivo
atto si atteggi quale atto meramente dichiarativo o ricognitivo (massima free tratta da www.giustamm.it
- Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza non definitiva 19.08.2020 n. 5097 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Alla
Corte costituzionale l’affidamento di una quota pari all’ottanta per cento
dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di
importo pari o superiore a 150.000 euro.
---------------
Contratti della Pubblica amministrazione – Concessione - Soggetti
pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o
di forniture - In essere all’entrata in vigore del codice dei contratti
pubblici – Affidamento di una quota pari all’ottanta per cento dei contratti
di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o
superiore a 150.000 euro – Artt. 1, comma 1, lett. iii), l. n. 11 del 2016,
e dell’art. 177, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 – Violazione artt. 41, comma
1, 3, comma 2, e 97, comma 2, Cost. - Rilevanza e non manifestamente
infondatezza
É rilevante e non manifestamente infondata la
questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 41,
comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2, Cost., dell’art. 1, comma 1, lett. iii),
l. 28.01.2016, n. 11, e dell’art. 177, comma 1, d.lgs. 18.04.2016, n. 50,
nella parte in cui stabiliscono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati,
titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in
essere all’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, non affidate
con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure ad evidenza
pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea, di affidare una quota pari
all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi
alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle
concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole
sociali e per la stabilità del personale e per la salvaguardia delle
professionalità, prevedendo che la restante parte possa essere realizzata da
società in house di cui all’art. 5 per i soggetti pubblici, ovvero da
società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti
privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza
pubblica, anche di tipo semplificato (1).
---------------
1) Ha chiarito la Sezione che l’obbligo di dismissione totalitaria
previsto dalle disposizioni di legge censurate, ancorché finalizzato a
sanare l’originaria violazione dei principi comunitari di libera concorrenza
consumatasi in occasione dell’affidamento senza gara della concessione, si
traduce per un verso in un impedimento assoluto e definitivo di proseguire
l’attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad
un titolo amministrativo legittimo sul piano interno, secondo le
disposizioni di legge all’epoca vigenti; e per altro verso va a snaturare il
ruolo del privato concessionario, ridotto ad articolazione operativa degli
enti concedenti, rispetto alla sua funzione di soggetto proposto
dall’amministrazione all’esercizio di attività di interesse pubblico.
Nel perseguimento di legittimi obiettivi riconducibili ad imperativi di
matrice euro-unitaria il legislatore sembra così avere totalmente
pretermesso le contrapposte esigenze di tutela della libertà di impresa ai
sensi del sopra citato art. 41 della Costituzione e di mantenimento della
funzionalità complessiva della concessione, altre volte invece considerate
in funzione limitatrice degli obblighi di dismissione a carico del
concessionario senza gara (si rinvia ai sopra citati artt. 146 e 253, comma
25, del previgente codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs.
12.04.2006, n. 163).
Le considerazioni ora svolte inducono a ritenere non manifestamente
infondate le questioni di costituzionalità degli artt. 1, comma 1, lett. iii),
della legge delega e 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici anche
con riguardo all’art. 3, comma 2, Cost., sotto il profilo della
ragionevolezza.
L’obbligo di dismissione totalitaria dei lavori, servizi e forniture
relativi ad una concessione affidata senza gara sembra infatti eccedere i
pur ampi limiti con cui la discrezionalità legislativa può essere esercitata
in riferimento al sovraordinato parametro di costituzionalità ora
richiamato, a causa delle conseguenze sopra descritte. Al medesimo riguardo
va aggiunto che rispetto all’integrale esecuzione della concessione è
apprezzabile un affidamento del privato affidatario che non può essere
ritenuto irragionevole o colpevole, tenuto conto della validità del titolo
costitutivo all’epoca della sua formazione e dunque dell’inesistenza di
cause –anche occulte– di contrarietà delle stesse all’ordinamento interno
(cause che diversamente avrebbero potuto legittimare l’annullamento, la
risoluzione o la riduzione della durata della concessione).
La scelta legislativa, pur legittimamente orientata a rimuovere rendite di
posizione, non appare pertanto equilibrata rispetto alle contrapposte e
altrettanto legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività
economica in corso di svolgimento, con l’inerente realizzazione degli
equilibri economico–finanziari su cui erano stati pianificati i relativi
investimenti; e di mantenimento delle conoscenze strategiche, tecniche e
tecnologiche acquisite e la professionalità acquisite, rilevanti anche sotto
il profilo dell’interesse pubblico.
Ancora sotto il profilo della ragionevolezza può essere evidenziato il fatto
che l’obbligo di dismissione di cui si discute riguarda indistintamente i
concessionari titolari di affidamento senza gara, indipendentemente dalla
effettiva dimensione della struttura imprenditoriale che gestisce la
concessione, dall’oggetto e dall’importanza del settore strategico cui si
riferisce la concessione, oltre che dal suo valore economico e dal fatto che
il contratto di concessione fosse ancora in vigore al momento dell’entrata
in vigore dell’art. 177, d.lgs. n. 50 del 2016, ovvero se la concessione
fosse scaduta e che versasse in una situazione di proroga, di fatto o meno.
Per le medesime considerazioni le questioni di legittimità costituzionale
appaiono non manifestamente infondate in relazione all’art. 97, comma 2,
della Costituzione, dal momento che le concessioni cui si riferisce
l’obbligo di dismissione totalitaria concernono servizi pubblici essenziali,
evidentemente rispondenti a bisogni fondamentali della collettività ed
affidati a concessionari privati per l’incapacità strutturale delle
amministrazioni pubbliche di gestirli in modo efficiente ed efficace.
Ciò posto la norma delegante e delegata non risultano contenere alcuna
considerazione circa gli effetti di tale obbligo di dismissione
sull’efficiente svolgimento di tali servizi pubblici essenziali e sulle
possibili ricadute sull’utenza
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza non definitiva 19.08.2020 n. 5097 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Impianti di illuminazione pubblica, affidamento diretto e violazione della
concorrenza
(17.08.2020
- link a www.mauriziolucca.com).
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La Sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 23.07.2020 n. 4715
(est. Cons. Maggio), si sofferma sugli affidamenti mediante procedura
negoziata senza pubblicazione del bando, e sulla pretesa aspettativa di
acquisire i lavori senza gara in ragione di un diritto di esclusiva tecnica
inesistente, a fronte della realizzazione di “efficientemente energetico”
dell’illuminazione pubblica (in parte di proprietà privata dell’operatore
esecutore dei lavori). (...continua). |
APPALTI:
1.- Appalti pubblici – lex specialis – requisiti richiesti –
interpretazione.
Il sol fatto che la lex specialis di gara qualifichi
espressamente alcuni requisiti come “minimi” ed “obbligatori” comporta per
conseguenzialità logica che gli stessi siano da considerarsi
imprescindibili, ossia essenziali: diversamente argomentando, sulla base di
considerazioni prettamente formali si finirebbe per tacitamente abolire
proprio il carattere loro intrinseco della obbligatorietà, che verrebbe a
tal punto privato di sanzione e così ridotto a formula di mero stile (massima free tratta da www.giustamm.it).
---------------
10. Con il secondo motivo di gravame l’appellante censura il rigetto
della doglianza concernente la sua esclusione dalla gara per la asserita (ma
insussistente) violazione delle cause di esclusione previste dalla legge di
gara e del principio di tassatività delle cause di esclusione.
Il tribunale ha rilevato che “la stazione appaltante conserva in ogni
modo il potere di disporre l’esclusione delle offerte tecniche che di fatto
non rispettano i requisiti minimi previsti dalla legge di gara, in quanto
tali offerte configurano la presentazione di un prodotto che, ponendosi al
di sotto degli “standard” minimi chiesti dall’amministrazione, realizza un
vero e proprio “aliud pro alio”.
La giurisprudenza appare infatti concorde nel ritenere che la radicale
mancanza di livelli essenziali dell’offerta tecnica non permette la
valutazione della stessa ed impone l’esclusione del concorrente per la
sostanziale inidoneità dello stesso nei termini richiesti dalla stazione
appaltante. [...] Non è necessario neppure che la sanzione espulsiva sia
espressamente prevista dalla legge di gara [...] essendo sufficiente il
riscontro della difformità dell’offerta rispetto alle specifiche tecniche
richieste dalla lex specialis, che abbiano per l’Amministrazione un valore
essenziale”.
Secondo l’appellante, la mancata indicazione dei requisiti minimi non
rientrava tra le cause di esclusione, in quanto l’art. 6 della richiesta di
offerta disponeva infatti l’esclusione solo nel caso di offerte:
a) “non complete”, ossia carenti degli elementi oggetto di
valutazione previsti nel CTO;
b) “non conformi” ossia difformi rispetto alle previsioni
del CTO. In definitiva, ad avviso dell’appellante, l’esclusione poteva
conseguire solo per i requisiti minimi che fossero stati qualificati come
essenziali, laddove la lex specialis non indicava quali fossero detti
requisiti minimi.
Neppure questo motivo può trovare accoglimento.
10.1. Innanzitutto il sol fatto che la lex specialis di gara
qualifichi espressamente i requisiti in questione come “minimi” ed “obbligatori”
comporta per mera conseguenzialità logica che gli stessi siano da
considerarsi imprescindibili, ossia essenziali: diversamente argomentando,
sulla base di considerazioni prettamente formali si finirebbe per
tacitamente abolire proprio il carattere loro intrinseco della
obbligatorietà, che verrebbe a tal punto privato di sanzione e così ridotto
a formula di mero stile.
Come già correttamente rilevato dal primo giudice, trattandosi di requisiti
minimi ed indispensabili che connotano l’oggetto della prestazione (ossia le
sue caratteristiche strutturali), “le caratteristiche minime essenziali
devono essere possedute al momento della presentazione dell’offerta, non
essendo ammissibile che possa trovare accettazione da parte
dell’amministrazione un bene privo di tali caratteristiche, con l’impegno
dell’offerente ad apportare gli adeguamenti necessari dopo l’eventuale
aggiudicazione o prima dell’esecuzione del contratto”.
Deve al riguardo trovare applicazione l’indirizzo giurisprudenziale,
coerente con la regola di cui all’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del
2016, a mente del quale “le stazioni appaltanti indicano le condizioni di
partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di
capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o
nell'invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale e
sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e
professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all'impresa, nonché
delle attività effettivamente eseguite” (in termini Cons. Stato, III,
15.02.2019, n. 1071).
In ragione di ciò deve concludersi che la carenza nell’offerta dei cd. “requisiti
di minima” individuati dalla lex specialis si configura come
mancanza di una “condizione di partecipazione” oggettiva, riferita
alla necessaria qualità della prestazione e non ai requisiti dell’offerente
ed è quindi idonea a determinare l’esclusione dalla gara secondo le
indicazioni espresse dalla stazione appaltante.
Non sarebbe stata quindi neppure ammissibile una qualche “sanatoria
postuma” dell’offerta difforme quanto ad elementi essenziali, come tale
riconducibile ad un aliud pro alio
( Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 10.08.2020, n. 4996 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI:
Contratto di avvalimento e adeguatezza della
dichiarazione rilasciata dalla ausiliaria in
ordine al requisito prestato e alle risorse
messe a disposizione.
Il TAR Milano con riferimento alla
adeguatezza della dichiarazione ex art. 89,
comma 1, del d.lgs. 50/2016 rilasciata dalla
ausiliaria in ordine al requisito prestato e
alle risorse messe a disposizione, osserva
che:
«- l’istituto dell’avvalimento è finalizzato a garantire la massima
partecipazione alle gare pubbliche,
consentendo alle imprese non munite dei
requisiti partecipativi, di giovarsi delle
capacità tecniche ed economico-finanziarie
di altre imprese;
- il principio generale che permea l’istituto è quello secondo cui,
ai fini della partecipazione alle procedure
concorsuali, il concorrente, per dimostrare
le capacità tecniche, finanziarie ed
economiche, nonché il possesso dei mezzi
necessari all’esecuzione dell’appalto e
richiesti dal relativo bando, è abilitato a
fare riferimento alla capacità e ai mezzi di
uno o più soggetti diversi, ai quali può
ricorrere tramite la stipulazione di un
apposito contratto di avvalimento;
- di tale ratio occorre tenere conto, laddove si tratti di
interpretare il contenuto delle complessive
dichiarazioni negoziali che compongono l’avvalimento;
- l’art. 89 del d.l.vo 2016 n. 50, in sostanziale continuità con la
disciplina dettata dal d.l.vo 2006 n. 163,
prevede che l’operatore economico, singolo o
in raggruppamento, può soddisfare la
richiesta relativa al possesso dei requisiti
di carattere economico, finanziario, tecnico
e professionale di cui all’articolo 83,
comma 1, lettere b) e c), necessari per
partecipare ad una procedura di gara, e, in
ogni caso, con esclusione dei requisiti di
cui all’articolo 80, avvalendosi delle
capacità di altri soggetti, anche
partecipanti al raggruppamento, a
prescindere dalla natura giuridica dei suoi
legami con questi ultimi;
- la norma precisa, da un lato, che l’operatore economico che vuole
avvalersi delle capacità di altri soggetti
allega, oltre all’eventuale attestazione SOA
dell’impresa ausiliaria, una dichiarazione
sottoscritta dalla stessa attestante il
possesso da parte di quest’ultima dei
requisiti generali di cui all’articolo 80,
nonché il possesso dei requisiti tecnici e
delle risorse oggetto di avvalimento,
dall’altro, che l’operatore stesso dimostra
alla stazione appaltante che disporrà dei
mezzi necessari mediante presentazione di
una dichiarazione sottoscritta dall’impresa
ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga
verso il concorrente e verso la stazione
appaltante a mettere a disposizione per
tutta la durata dell’appalto le risorse
necessarie di cui è carente il concorrente;
- e ancora, il concorrente deve allegare alla domanda di
partecipazione il contratto in virtù del
quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei
confronti del concorrente a fornire i
requisiti e a mettere a disposizione le
risorse necessarie per tutta la durata
dell’appalto; “a tal fine, il contratto di
avvalimento contiene, a pena di nullità, la
specificazione dei requisiti forniti e delle
risorse messe a disposizione dall’impresa
ausiliaria”;
- in ordine al contenuto dei contratti di avvalimento, la
giurisprudenza è consolidata nel ritenere
indispensabile la specificazione delle
risorse e dei mezzi aziendali messi a
disposizione dell’impresa concorrente, al
precipuo fine di rendere concreto e
verificabile dalla stazione appaltante la
natura e la consistenza degli elementi messi
a disposizione, poiché l’avvalimento non
consiste nel “prestito” di un mero valore
astratto;
- l’avvalimento non deve risolversi nel prestito di un valore
teorico o astratto, ma è necessario che dal
contratto risulti chiaramente l’impegno
dell’impresa ausiliaria a prestare
specifiche risorse, sicché risulta
“insufficiente allo scopo la sola e
tautologica riproduzione, nel testo dei
contratti di avvalimento, della formula
legislativa della messa a disposizione delle
"risorse necessarie di cui è carente il
concorrente", o espressioni equivalenti”;
- è dunque necessario che il contratto descriva, a seconda dei
casi, i mezzi, il personale, le prassi e
tutti gli altri elementi aziendali che
concernono la qualità o la capacità messa a
disposizione, in dipendenza dell’oggetto
dell’appalto (giur cit.);
- l’esigenza di specificità non sottende un vuoto formalismo, ma è
funzionale a consentire all’amministrazione
di verificare che la sinergia aziendale,
realizzata con l’avvalimento, sia effettiva
ed idonea a consentire la regolare
esecuzione del contratto d’appalto, e non
già limitata ad un mero impegno cartolare,
che in alcuni casi potrebbe essere
preordinato ad eludere le norme generali o
di lex specialis sui requisiti di
partecipazione a procedure di affidamento di
appalti pubblici;
- del resto, il regime di responsabilità, che riguarda anche la
ditta avvalsa e non solo il concorrente, può
operare in concreto soltanto se viene
specificamente indicata la prestazione cui
tale responsabilità si riferisce. Non è
possibile postulare un inadempimento
contrattuale e la conseguente responsabilità
di un soggetto il cui obbligo è stato
genericamente dedotto in contratto. In altri
termini, la genericità dell’impegno assunto
impedisce, come affermato dalla
giurisprudenza ricordata, alla stazione
appaltante di far valere in via immediata la
responsabilità dell’ausiliaria, la quale,
per andare esente da responsabilità,
potrebbe limitarsi ad indicare proprio la
mancanza di una specifica violazione
contrattuale;
- in tale contesto, resta ferma l’indispensabilità della
dichiarazione resa dall’ausiliario alla
stazione appaltante, con la quale si obbliga
a mettere a disposizione del concorrente i
requisiti e le risorse di cui quest’ultimo è
carente;
- invero, il contratto di avvalimento è
fonte per l’ausiliario di obblighi nei
confronti del solo concorrente e non della
stazione appaltante (in questi termini, con
riguardo al previgente codice dei contratti
pubblici, di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante una disciplina
in continuità normativa con quella del
codice oggi in vigore: Cons. Stato, V,
01.08.2018, n. 4765);
- emerge così la rilevanza sul piano sostanziale della
dichiarazione di impegno previsto dall’art.
89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, atteso
che, anche a voler ragionare in termini di
contratto a favore di terzo, di cui agli
artt. 1411 – 1413 c.c., resta fermo che,
seppure l’effetto tipico della stipulazione
a favore del terzo è l’acquisto immediato da
parte di quest’ultimo del diritto nascente
dal contratto, nondimeno la medesima
stipulazione può “essere revocata o
modificata dallo stipulante, finché il terzo
non abbia dichiarato, anche in confronto del
promittente di volerne profittare”, ex art.
1411, comma 2, c.c.;
- inoltre, in base all’art. 1413 c.c. il promittente, rectius nel
caso di avvalimento il concorrente ausiliato
“può opporre al terzo le eccezioni fondate
sul contratto dal quale il terzo deriva il
suo diritto”;
- ne consegue che lo specifico impegno assunto dall’ausiliario
nell’ambito del contratto di avvalimento a
favore della stazione appaltante non è
equivalente ad una dichiarazione diretta a
quest’ultima, la quale ai sensi dell’art.
1334 c.c. produce effetto dal momento in cui
perviene a conoscenza della persona alla
quale è destinata e diviene così
irretrattabile, oltre che insuscettibile di
essere paralizzata da eccezioni legate a
rapporti con altri soggetti;
- del resto, la genericità dei contratti di avvalimento o la
radicale mancanza delle dichiarazioni
obbligatorie non è superabile invocando il
c.d. soccorso istruttorio, poiché non si
tratta di una mera irregolarità formale o
documentale, ma di una lacuna relativa ad un
elemento essenziale concernente la
dimostrazione di un requisito di capacità » (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 04.08.2020 n. 1527 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
6.2) Sono infondate anche le censure
sollevate avverso l’ammissione alla gara di
De.Im. srl, in ragione della ritenuta
genericità della dichiarazione ex art. 89,
comma 1, del d.lvo 50/2016 rilasciata dalla
ausiliaria Te. Srl in ordine al
requisito prestato e alle risorse messe a
disposizione.
Vale precisare che C. ha interesse a
contestare la posizione di De.Im. srl,
seconda classificata, nonostante le censure
rivolte avverso l’aggiudicazione ad A2a
siano infondate, come già evidenziato.
Ciò in quanto la possibilità per lo stesso
operatore di aggiudicarsi uno solo dei due
Lotti da assegnare, unitamente al fatto che
CPL, terza classificata in entrambi i lotti,
abbia impugnato entrambe le aggiudicazioni,
rendono attuale e concreto l’interesse di
CPL stessa a posizionarsi al secondo posto
della graduatoria, contestando l’ammissione
di De.Im. che la precede
immediatamente, giacché in caso di
fondatezza dell’impugnazione si troverebbe
collocata al secondo posto, con possibilità
di conseguire l’aggiudicazione, qualora il
vincolo di aggiudicazione provocasse in
concreto lo scorrimento della graduatoria.
Nel caso in esame, De.Im. ha fatto
ricorso all’istituto dell’avvalimento per
sopperire alla carenza del requisito di
capacità economica e finanziaria di cui al
par. 6.2 lett. b) del disciplinare: “b)
Fatturato globale medio annuo, riferito agli
ultimi n. 3 esercizi finanziari disponibili,
pari al doppio dell’importo a base di gara
per ciascun lotto oggetto di partecipazione
(per ciascuna tipologia di servizio ricompreso in appalto, in misura
proporzionale sull’importo totale), non
inferiore rispettivamente: 1 LOTTO 1: €
1.934.550,00 IVA esclusa; 2 LOTTO 2: €
1.303.681,66 IVA esclusa”.
C. censura l’inadeguatezza della
dichiarazione ex art. 89, comma 1, del d.lvo
50/2016 rilasciata dalla ausiliaria
Te. Srl in ordine al requisito
prestato e alle risorse messe a
disposizione.
In particolare, sarebbe del tutto generica
la dichiarazione di impegno a mettere a
disposizione, per tutta la durata
dell’appalto, le risorse necessarie di cui è
carente il concorrente.
La censura non può essere condivisa.
In particolare, il Tribunale osserva che:
- l’istituto dell’avvalimento è finalizzato
a garantire la massima partecipazione alle
gare pubbliche, consentendo alle imprese non
munite dei requisiti partecipativi, di
giovarsi delle capacità tecniche ed
economico-finanziarie di altre imprese;
- il principio generale che permea
l’istituto è quello secondo cui, ai fini
della partecipazione alle procedure
concorsuali, il concorrente, per dimostrare
le capacità tecniche, finanziarie ed
economiche, nonché il possesso dei mezzi
necessari all’esecuzione dell’appalto e
richiesti dal relativo bando, è abilitato a
fare riferimento alla capacità e ai mezzi di
uno o più soggetti diversi, ai quali può
ricorrere tramite la stipulazione di un
apposito contratto di avvalimento (tra le
tante Consiglio di Stato, sez. V, 19.05.2015, n. 2547; Consiglio di Stato, sez. V, 13.03.2014, n. 1251);
- di tale ratio occorre tenere conto,
laddove si tratti di interpretare il
contenuto delle complessive dichiarazioni
negoziali che compongono l’avvalimento;
- l’art. 89 del d.l.vo 2016 n. 50, in
sostanziale continuità con la disciplina
dettata dal d.l.vo 2006 n. 163, prevede che
l’operatore economico, singolo o in
raggruppamento, può soddisfare la richiesta
relativa al possesso dei requisiti di
carattere economico, finanziario, tecnico e
professionale di cui all’articolo 83, comma
1, lettere b) e c), necessari per
partecipare ad una procedura di gara, e, in
ogni caso, con esclusione dei requisiti di
cui all’articolo 80, avvalendosi delle
capacità di altri soggetti, anche
partecipanti al raggruppamento, a
prescindere dalla natura giuridica dei suoi
legami con questi ultimi;
- la norma precisa, da un lato, che
l’operatore economico che vuole avvalersi
delle capacità di altri soggetti allega,
oltre all’eventuale attestazione SOA
dell’impresa ausiliaria, una dichiarazione
sottoscritta dalla stessa attestante il
possesso da parte di quest’ultima dei
requisiti generali di cui all’articolo 80,
nonché il possesso dei requisiti tecnici e
delle risorse oggetto di avvalimento,
dall’altro, che l’operatore stesso dimostra
alla stazione appaltante che disporrà dei
mezzi necessari mediante presentazione di
una dichiarazione sottoscritta dall’impresa
ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga
verso il concorrente e verso la stazione
appaltante a mettere a disposizione per
tutta la durata dell’appalto le risorse
necessarie di cui è carente il concorrente;
- e ancora, il concorrente deve allegare
alla domanda di partecipazione il contratto
in virtù del quale l’impresa ausiliaria si
obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a
disposizione le risorse necessarie per tutta
la durata dell’appalto; “a tal fine, il
contratto di avvalimento contiene, a pena di
nullità, la specificazione dei requisiti
forniti e delle risorse messe a disposizione
dall’impresa ausiliaria”;
- in ordine al contenuto dei contratti di
avvalimento, la giurisprudenza è consolidata
nel ritenere indispensabile la
specificazione delle risorse e dei mezzi
aziendali messi a disposizione dell’impresa
concorrente, al precipuo fine di rendere
concreto e verificabile dalla stazione
appaltante la natura e la consistenza degli
elementi messi a disposizione, poiché l’avvalimento
non consiste nel “prestito” di un mero
valore astratto (cfr. Consiglio di Stato,
Sez. VI, 08.05.2014, n. 2365);
- l’avvalimento non deve risolversi nel
prestito di un valore teorico o astratto, ma
è necessario che dal contratto risulti
chiaramente l’impegno dell’impresa
ausiliaria a prestare specifiche risorse,
sicché risulta “insufficiente allo scopo la
sola e tautologica riproduzione, nel testo
dei contratti di avvalimento, della formula
legislativa della messa a disposizione delle
"risorse necessarie di cui è carente il
concorrente", o espressioni equivalenti” (cfr.
Consiglio di Stato, sez. III, 25.02.2014, n. 887; Consiglio di Stato, sez. III,
07.04.2014, n. 1636; Consiglio di Stato,
sez. IV, 16.01.2014, n. 135; Consiglio
di Stato, sez. V, 27.04.2015, n. 2063);
- è dunque necessario che il contratto
descriva, a seconda dei casi, i mezzi, il
personale, le prassi e tutti gli altri
elementi aziendali che concernono la qualità
o la capacità messa a disposizione, in
dipendenza dell’oggetto dell’appalto (giur
cit.);
- l’esigenza di specificità non sottende un
vuoto formalismo, ma è funzionale a
consentire all’amministrazione di verificare
che la sinergia aziendale, realizzata con l’avvalimento,
sia effettiva ed idonea a consentire la
regolare esecuzione del contratto d’appalto,
e non già limitata ad un mero impegno
cartolare, che in alcuni casi potrebbe
essere preordinato ad eludere le norme
generali o di lex specialis sui requisiti di
partecipazione a procedure di affidamento di
appalti pubblici (Consiglio di Stato, sez.
V, 23.10.2014, n. 5244);
- del resto, il regime di responsabilità,
che riguarda anche la ditta avvalsa e non
solo il concorrente, può operare in concreto
soltanto se viene specificamente indicata la
prestazione cui tale responsabilità si
riferisce. Non è possibile postulare un
inadempimento contrattuale e la conseguente
responsabilità di un soggetto il cui obbligo
è stato genericamente dedotto in contratto.
In altri termini, la genericità dell’impegno
assunto impedisce, come affermato dalla
giurisprudenza ricordata, alla stazione
appaltante di far valere in via immediata la
responsabilità dell’ausiliaria, la quale,
per andare esente da responsabilità,
potrebbe limitarsi ad indicare proprio la
mancanza di una specifica violazione
contrattuale (sul punto testualmente
Consiglio di Stato, sez. VI, 08.05.2014,
n. 2365);
- in tale contesto, resta ferma
l’indispensabilità della dichiarazione resa
dall’ausiliario alla stazione appaltante,
con la quale si obbliga a mettere a
disposizione del concorrente i requisiti e
le risorse di cui quest’ultimo è carente;
- invero, il contratto di avvalimento è
fonte per l’ausiliario di obblighi nei
confronti del solo concorrente e non della
stazione appaltante (in questi termini, con
riguardo al previgente codice dei contratti
pubblici, di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante una disciplina
in continuità normativa con quella del
codice oggi in vigore: Cons. Stato, V, 01.08.2018, n. 4765);
- emerge così la rilevanza sul piano
sostanziale della dichiarazione di impegno
previsto dall’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50
del 2016, atteso che, anche a voler
ragionare in termini di contratto a favore
di terzo, di cui agli artt. 1411–1413 c.c.,
resta fermo che, seppure l’effetto tipico
della stipulazione a favore del terzo è
l’acquisto immediato da parte di quest’ultimo
del diritto nascente dal contratto,
nondimeno la medesima stipulazione può
“essere revocata o modificata dallo
stipulante, finché il terzo non abbia
dichiarato, anche in confronto del promittente di volerne profittare”, ex art.
1411, comma 2, c.c.;
- inoltre, in base all’art. 1413 c.c. il
promittente, rectius nel caso di avvalimento
il concorrente ausiliato “può opporre al
terzo le eccezioni fondate sul contratto dal
quale il terzo deriva il suo diritto”;
- ne consegue che lo specifico impegno
assunto dall’ausiliario nell’ambito del
contratto di avvalimento a favore della
stazione appaltante non è equivalente ad una
dichiarazione diretta a quest’ultima, la
quale ai sensi dell’art. 1334 c.c. produce
effetto dal momento in cui perviene a
conoscenza della persona alla quale è
destinata e diviene così irretrattabile,
oltre che insuscettibile di essere
paralizzata da eccezioni legate a rapporti
con altri soggetti (cfr. in argomento di
recente, Consiglio di Stato, sez. V, 22.10.2019, n. 7188; Consiglio di Stato
sez. V, 04.06.2020, n. 3506);
- del resto, la genericità dei contratti di
avvalimento o la radicale mancanza delle
dichiarazioni obbligatorie non è superabile
invocando il c.d. soccorso istruttorio,
poiché non si tratta di una mera
irregolarità formale o documentale, ma di
una lacuna relativa ad un elemento
essenziale concernente la dimostrazione di
un requisito di capacità (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. III, 19.06.2017, n. 2985; Tar Lombardia Milano, sez. IV, 22.01.2018, n. 157);
- nondimeno, le considerazioni sinora svolte
non conducono a ritenere nullo l’avvalimento
attivato da De.Im. srl,
contrariamente a quanto sostenuto dalla
ricorrente principale;
- invero, la questione controversa non
attiene alla radicale mancanza della
dichiarazione di impegno da parte
dell’ausiliaria, incontestatamente
presentata nel caso in esame, ma alla
possibilità di determinarne il contenuto,
che secondo C. sarebbe del tutto generico;
- la tesi della ricorrente non può essere
condivisa, perché si basa su
un’interpretazione atomistica della
dichiarazione di impegno assunta dalla
ausiliaria, avulsa dal contesto
dell’operazione complessiva di avvalimento,
ossia senza tenere conto del contenuto del
contratto di avvalimento;
- la dichiarazione dell’ausiliaria
Te. srl reca, in intestazione, un
inequivoco riferimento alla gara e al lotto
cui si riferisce e nel contesto documentale
in cui si colloca, relativo alla complessiva
operazione di avvalimento attivata da De.Im. srl, si coordina con il contratto
di avvalimento;
- si tratta di documenti negoziali
oggettivamente collegati, perché tesi a
realizzare un unico e specifico programma
negoziale, che giustifica anche sul piano
causale l’intera operazione, compresa la
dichiarazione di impegno resa alla stazione
appaltante;
- il contratto di avvalimento reca la
minuziosa indicazione delle risorse umane e
materiali messe a disposizione da
Te. Srl e ciò consente di ritenere
adeguatamente dettagliato l’oggetto dell’avvalimento
stesso, anche per ciò che attiene al
contenuto della dichiarazione d’obbligo resa
dall’ausiliaria alla stazione appaltante;
- l’art. 3 del contratto di avvalimento
indica, da un lato, le risorse relative
all’organizzazione aziendale messe a
disposizione, ai fini della formazione e,
successivamente, dell’esecuzione del
contratto, precisando le modalità di
intervento di tali risorse di personale,
dall’altro, i mezzi, gli strumenti e le
risorse tecniche messe a disposizione;
- il contenuto del contratto di avvalimento
si riverbera sul contenuto effettivo della
dichiarazione di impegno resa
dall’ausiliaria alla stazione appaltante,
secondo i criteri che presiedono
all’interpretazione necessariamente
coordinata delle dichiarazioni negoziali
collegate, sicché la stessa dichiarazione
resa dall’ausiliaria presenta un contenuto
specifico e non generico, con conseguente
infondatezza della censura in esame;
- né, del resto, è condivisibile la tesi
secondo la quale il contratto di avvalimento
non sarebbe riconducibile al paradigma di
riferimento per carenza di onerosità;
- sul punto è sufficiente osservare che
l’art. 4 del contratto reca l’indicazione
puntuale dei parametri cui dovrà essere
commisurato il corrispettivo, in dipendenza
dell’effettiva necessità di provvedere alla
messa a disposizione di risorse umane e
materiali e dell’entità delle risorse
concretamente fornite, sicché per tale
profilo l’oggetto del contratto è coerente
con il paradigma normativo civilistico,
trattandosi di un compenso determinabile
sulla base di parametri inequivoci.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza dei
motivi aggiunti dedotti da C. |
APPALTI: Offerta
non conforme alle specifiche tecniche.
Nelle gare pubbliche l'offerta non
conforme alle specifiche tecniche fissate
nel bando di gara concretizza un'ipotesi di aliud pro alio, la quale non può che
determinare l'esclusione dalla gara
dell’offerente anche in assenza di
un'espressa previsione in tal senso nella
medesima legge di gara.
---------------
Il ricorso è fondato.
Va premesso che con la lettera di invito
all’art. 5 l’Azienda ha espressamente
richiesto che la strumentazione analitica
offerta dall’impresa partecipante alla gara
fosse “in grado di identificare in modo
specifico e distinto le [varianti emoglobiniche] HbS, HbC, HbD e HbE”.
E’ stato altresì espressamente indicato che
“l’aggiudicazione sarà, per lotto unico, a
favore della ditta che avrà presentato
l’offerta al minor prezzo rispetto alla base
d’asta” “previa verifica che quanto offerto
corrisponda alle caratteristiche chieste”.
La richiesta dell’Azienda non è suscettibile
di equivoci, essendo chiara nell’indicare
una strumentazione in grado di identificare
direttamente le singole varianti
emoglobiniche in modo distinto.
Ciò posto, non è contestato che la
strumentazione offerta dalla
controinteressata aggiudicataria non
risponda ai requisiti richiesti.
Vi è infatti la piena consapevolezza da
parte dell’Azienda che la strumentazione
offerta dalla controinteressata non consenta
una identificazione diretta e distinta anche
della variante emoglobinica E, così come
richiesto in sede di lettera di invito.
La stazione appaltante, nella relazione del
03.09.2019, redatta in sede di
procedimento apertosi a seguito dell’istanza
di autotutela della ricorrente, ha
dichiarato che “per quanto riguarda la
questione strettamente tecnica dalle nostre
statistiche emerge che, nell’ultimo anno,
abbiamo riscontrato un solo caso di
emoglobina E.
A questo proposito la Ditta TO. nel
referto segnala il “sospetto di emoglobina
E”, mentre la Ditta BI. presenta
un’indicazione indiretta facendo ricadere
l’eventuale presenza di Emoglobina E
all’interno di un’altra frazione da cui poi
si dovrà estrapolare il valore. Tuttavia
vista la scarsa incidenza nelle nostre
statistiche di questa frazione anche
l’utilizzo di una valutazione indiretta come
quella della BI. ci è sembrata
accettabile. Per questi motivi abbiamo
deciso di considerare equivalenti le
offerte”.
A fronte della pacifica ammissione che la
strumentazione offerta dalla
controinteressata non risponde alla
caratteristiche indicate nella lettera di
invito, l’ulteriore passaggio argomentativo
della stazione appaltante si presenta del
tutto incoerente.
Ne consegue un’evidente violazione del
divieto di modificare o integrare la lex
specialis di gara, che è stata di fatto
disapplicata.
Non è affatto condivisibile la deduzione
della difesa dell’Azienda secondo cui
entrambe le strumentazioni proposte dalle
concorrenti sarebbero idonee a soddisfare le
esigenze di carattere pubblico della Azienda
Sanitaria.
In realtà la stazione appaltante ha
formulato una proposta contenente una
precisa ed inequivoca indicazione circa la
strumentazione richiesta, poi totalmente
disattesa in corso di gara.
Nelle gare pubbliche l'offerta non conforme
alle specifiche tecniche fissate nel bando
di gara concretizza un'ipotesi di aliud
pro alio, la quale non può che
determinare l'esclusione dalla gara
dell’offerente anche in assenza di
un'espressa previsione in tal senso nella
medesima legge di gara (TAR Torino, sez. I,
19.03.2020, n. 201; TAR Latina, sez. I,
04.11.2019, n. 642)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.08.2020 n. 1512 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
verifica dell’anomalia dell’offerta è finalizzata ad accertare la serietà e
l’affidabilità della stessa sulla base di una valutazione, ad opera della
stazione appaltante, che ha natura globale e sintetica, nel senso che mira
non già a ricercare inesattezze delle singole voci di costo, bensì ad
accertare se l’offerta stessa, nel suo complesso, dia garanzia di una
corretta esecuzione dell’appalto.
Ciò in quanto la formulazione di un’offerta
economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e, dunque, su apprezzamenti e valutazioni implicanti un
ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo pertanto
impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle
grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un
contratto, ma risultando sufficiente che l’offerta medesima si presenti ex
ante ragionevole ed attendibile.
---------------
Poiché l’affidabilità dell’offerta va valutata
nell’insieme, è pacifica la possibilità di operare compensazioni tra voci
sottostimate, anche riguardanti il costo della manodopera, e poste
maggiormente capienti, nonché, segnatamente, di assorbire oneri aziendali
aventi un impatto limitato nella quota per imprevisti delle spese generali e
persino nell’utile d’impresa.
---------------
In linea generale, il ricorso all’istituto del lavoro
supplementare per abbattere i costi della manodopera è pienamente legittimo, sempre
che sia contenuto in una percentuale limitata. L’eventuale rifiuto del
lavoratore riguarda infatti un profilo attinente ai rapporti interni tra
datore e lavoratore, senza intaccare la significatività dell’impegno
giuridico assunto dall’impresa nei confronti del committente.
Nel caso di specie, nell’offerta del R.T.I. aggiudicatario le ore supplementari per le
sostituzioni rappresentano poco meno del 6,5% del monte ore effettivo totale
(per l’esattezza, 14.102,33 su 220.611,21 ore operative).
Si tratta, quindi, di una percentuale alquanto contenuta e, come tale,
sicuramente ammissibile.
---------------
Secondo il pacifico indirizzo pretorio, un’offerta non può ritenersi anomala
per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato calcolato secondo
importi inferiori a quelli stimati nelle tabelle predisposte dal Ministero
del Lavoro ai sensi dell’art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50/2016.
Nelle suddette tabelle, infatti, il costo orario della manodopera viene
elaborato su basi statistiche considerando, tra l’altro, le ore mediamente
lavorate, che scaturiscono detraendo dalle ore contrattuali annue le ore non
lavorate, le quali sono in parte predeterminabili in misura fissa (ferie,
riduzioni di orario contrattuale, festività) e in parte suscettibili di
variazioni (malattia e infortunio, maternità, assemblee e permessi
sindacali, diritto allo studio, formazione professionale).
Poiché le tabelle ministeriali non possono considerare l’incidenza reale di
questi ultimi fattori, come pure di eventuali agevolazioni di cui goda in
concreto il datore di lavoro (in ragione della natura giuridica dell’azienda
e delle tipologie contrattuali utilizzate), i valori tabellari del costo
medio del lavoro non hanno carattere cogente ed inderogabile, ma
costituiscono un semplice parametro di riferimento, con funzione indicativa,
da cui è possibile discostarsi in relazione a valutazioni statistiche ed
analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione
imprenditoriale in grado di giustificare la sostenibilità di oneri inferiori
(fermo restando il necessario rispetto dei minimi salariali retributivi).
Ne
discende che, perché possa dubitarsi della congruità dell’offerta, occorre
che lo scostamento dalle tabelle ministeriali sia considerevole e
palesemente ingiustificato.
---------------
Occorre premettere che, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale, la verifica dell’anomalia dell’offerta è finalizzata ad
accertare la serietà e l’affidabilità della stessa sulla base di una
valutazione, ad opera della stazione appaltante, che ha natura globale e
sintetica, nel senso che mira non già a ricercare inesattezze delle singole
voci di costo, bensì ad accertare se l’offerta stessa, nel suo complesso,
dia garanzia di una corretta esecuzione dell’appalto (in tal senso cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V,
02.07.2020, n. 4272; Cons. St., sez. IV, 04.06.2020, n. 3528; Cons. St., sez. III, 20.05.2020, n. 3207; Cons. St.,
sez. V, 30.12.2019, n. 8909; Cons. St., sez. V, 26.06.2019, n.
4400; Cons. St., sez. V, 28.01.2019, n. 690; Cons. St., sez. V, 26.11.2018, n. 6689).
Ciò in quanto la formulazione di un’offerta
economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e, dunque, su apprezzamenti e valutazioni implicanti un
ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo pertanto
impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle
grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un
contratto, ma risultando sufficiente che l’offerta medesima si presenti ex
ante ragionevole ed attendibile (Cons. St., sez. V, 08.06.2018, n. 3480).
...
Infatti, poiché l’affidabilità
dell’offerta va valutata nell’insieme, è pacifica la possibilità di operare
compensazioni tra voci sottostimate, anche riguardanti il costo della
manodopera, e poste maggiormente capienti (cfr., ex multis, Cons. St., sez.
V, 30.06.2020, n. 4140; Cons. St., sez. V, 16.01.2020, n. 389; Cons. St., sez. V,
08.06.2018, n. 3480, cit.), nonché, segnatamente, di
assorbire oneri aziendali aventi un impatto limitato nella quota per
imprevisti delle spese generali e persino nell’utile d’impresa (in tal
senso, ex aliis, Cons. St., sez. III, 20.11.2019, n. 7927; TAR
Sardegna, sez. I, 29.01.2020, n. 68).
...
5. Id. censura
l’ipotesi delle società vincitrici di utilizzare il lavoro supplementare per
sostituire il personale adibito stabilmente al servizio nelle ore di assenza
non programmabili, così ottenendo, grazie al costo orario sensibilmente
inferiore, un risparmio di € 93.335,89.
Sostiene in particolare che il
lavoratore part-time potrebbe rifiutarsi di svolgere le ore supplementari e
che il R.T.I. Fidente non avrebbe dimostrato il necessario presupposto della
preesistenza del rapporto lavorativo a tempo parziale degli addetti
titolari.
La doglianza è infondata.
5.1. In linea generale, come sancito da costante giurisprudenza, il ricorso
all’istituto del lavoro supplementare per abbattere i costi della manodopera
è pienamente legittimo, sempre che sia contenuto in una percentuale limitata.
L’eventuale rifiuto del lavoratore riguarda infatti un profilo attinente ai
rapporti interni tra datore e lavoratore, senza intaccare la significatività
dell’impegno giuridico assunto dall’impresa nei confronti del committente
(in tal senso cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 08.05.2020, n. 2900; Cons. St., sez. VI,
04.12.2019, n. 8303; Cons. St., sez. VI, 30.05.2018, n. 3244; TAR Lazio, Roma, sez. III-bis,
03.05.2018, n. 4966).
Nel caso dell’offerta del R.T.I. aggiudicatario le ore supplementari per le
sostituzioni rappresentano poco meno del 6,5% del monte ore effettivo totale
(per l’esattezza, 14.102,33 su 220.611,21 ore operative: cfr.
giustificazioni Fi. in data 13.02.2020).
Si tratta, quindi, di una percentuale alquanto contenuta e, come tale,
sicuramente ammissibile (si vedano, ad esempio, Cons. St., sez. V, 08.05.2020, n. 2900, cit., e Cons. St., sez. VI, 30.05.2018, n. 3244, cit.,
che hanno ritenuto compatibile il lavoro supplementare per il 19% e per il
14,4% delle ore complessive).
...
6. Infine, Id.
censura la congruità dell’offerta vincitrice per avere considerato costi
della manodopera più bassi di quelli risultanti dalla tabella ministeriale.
In particolare, la deducente contesta la validità dell’argomentazione del
raggruppamento vincitore di poter contare su di un tasso di assenteismo
minore rispetto alla media di settore sia per assemblee e permessi sindacali
(due ore annue anziché dieci), sia per il diritto allo studio (un’ora
all’anno anziché nove).
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Secondo il pacifico indirizzo pretorio, un’offerta non può ritenersi anomala
per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato calcolato secondo
importi inferiori a quelli stimati nelle tabelle predisposte dal Ministero
del Lavoro ai sensi dell’art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50/2016.
Nelle suddette tabelle, infatti, il costo orario della manodopera viene
elaborato su basi statistiche considerando, tra l’altro, le ore mediamente
lavorate, che scaturiscono detraendo dalle ore contrattuali annue le ore non
lavorate, le quali sono in parte predeterminabili in misura fissa (ferie,
riduzioni di orario contrattuale, festività) e in parte suscettibili di
variazioni (malattia e infortunio, maternità, assemblee e permessi
sindacali, diritto allo studio, formazione professionale).
Poiché le tabelle ministeriali non possono considerare l’incidenza reale di
questi ultimi fattori, come pure di eventuali agevolazioni di cui goda in
concreto il datore di lavoro (in ragione della natura giuridica dell’azienda
e delle tipologie contrattuali utilizzate), i valori tabellari del costo
medio del lavoro non hanno carattere cogente ed inderogabile, ma
costituiscono un semplice parametro di riferimento, con funzione indicativa,
da cui è possibile discostarsi in relazione a valutazioni statistiche ed
analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione
imprenditoriale in grado di giustificare la sostenibilità di oneri inferiori
(fermo restando il necessario rispetto dei minimi salariali retributivi).
Ne
discende che, perché possa dubitarsi della congruità dell’offerta, occorre
che lo scostamento dalle tabelle ministeriali sia considerevole e
palesemente ingiustificato (in tal senso cfr., ex plurimis, Cons. St., sez.
III, 09.06.2020, n. 3694, cit.; Cons. St., sez. VI, 30.01.2020, n.
788; Cons. St., sez. VI, 04.12.2019, n. 8303, cit.; Cons. St., sez. V,
29.07.2019, n. 5353; Cons. St., sez. V, 18.02.2019, n. 1097; Cons.
St., sez. III, 18.01.2018, n. 324; Cons. St., sez. III, 21.07.2017,
n. 3623; TAR Campania, Napoli, sez. I, 29.05.2020, n. 2074; TAR
Sardegna, sez. I, 29.01.2020, n. 68, cit.) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 03.08.2020 n. 550 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bando di gara – Impugnazione – Clausole immediatamente
escludenti – Diritto eurounitario – Conformità – Decisioni
amministrazioni – Oggetto ricorso efficace e rapido.
L’art. 120 c.p.a. nel prevedere l’onere
di immediata impugnazione del bando o avviso di gara solo se
autonomamente lesivi riconosce un interesse a ricorrere
contro la lex specialis solamente nell’ipotesi in cui la
stessa presenti clausole immediatamente escludenti.
Tra queste ultime non rientrano solo quelle che stabiliscono
i requisiti di ammissione alla gara ma anche quelle
impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del
tutto sproporzionati ai fini della partecipazione o che la
rendono difficoltosa o impossibile, che contengono
disposizioni abnormi o irragionevoli che rendono impossibile
il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della
partecipazione alla gara ovvero che prevedono abbreviazioni
irragionevoli di termini per la presentazione dell’offerta,
che pongano condizioni negoziali che rendono il rapporto
contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente
incongruente, che impongano obblighi contra ius, ovvero
presentino gravi carenze nell’indicazione dei dati
essenziali per la formulazione dell’offerta o formule
matematiche del tutto errate oppure non specifichino i costi
della sicurezza non soggetti a ribasso.
A contrario devono essere impugnate unitamente al
provvedimento lesivo le clausole che non rivestono portata
escludente, come ad esempio, il metodo di gara, il criterio
di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia
(Cons. St., Ad. Plen., sent. n. 4/2018).
La tesi appena esposta risulta essere
conforme anche al diritto eurounitario, precisamente
all’art. 1 della Direttiva n. n. 89/665/CE la quale obbliga
gli Stati membri ad assicurare che le decisioni assunte
dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto
di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido
possibile, comunque il diritto di azione deve essere
riconosciuto a chi sia stato o rischi di essere leso a causa
di una presunta violazione» del diritto dell’Unione in
materia di appalti (TAR
Valle d'Aosta,
sentenza 03.08.2020 n. 34 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Confronto a coppie – Scarto significativo tra i punteggi
attribuiti alle singole offerte – Valutazione soggettiva e
opinabile circa le soluzioni offerte.
In caso di confronto a coppie, un
punteggio alto testimonia l’elevato gradimento del seggio di
gara per le soluzioni proposte da un candidato rispetto a
quelle formulate dagli altri, laddove una valutazione bassa
è, specularmente, conseguenza della scarsa attrattività
tecnico-qualitativa della proposta del concorrente non in sé
e per sé, ma rispetto a quelle degli altri partecipanti.
E' pertanto chiara l’ampia discrezionalità sottesa a tali
manifestazioni di giudizio dei commissari, che non
scrutinano il possesso dei requisiti minimi di
partecipazione (presupposto per l’ammissione al confronto)
ma, al contrario, esprimono una valutazione, necessariamente
soggettiva e opinabile, circa le diverse soluzioni tecniche
offerte.
Uno scarto significativo tra i punteggi attribuiti alle
singole offerte dei concorrenti alla gara non implica quindi
ex se illogicità o erroneità delle valutazioni svolte dai
commissari (Tar
Veneto 14.02.2020 n. 158).
...
Commissione – Competenze dei membri – Aree tematiche
omogenee.
Il Codice degli appalti non richiede una
perfetta corrispondenza tra la competenza dei membri della
Commissione, anche cumulativamente considerata, e i diversi
ambiti materiali che concorrono all’integrazione del
complessivo oggetto del contratto.
La Commissione di gara deve essere composta da esperti nello
specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto,
nel senso che la competenza ed esperienza richieste ai
commissari deve essere riferita ad aree tematiche omogenee,
e non anche alle singole e specifiche attività oggetto
dell’appalto (Cons.
Stato III, 28.06.2019 n. 4458) (TAR
Marche,
sentenza 01.08.2020 n. 497 - link a www.ambientediritto.it). |
luglio 2020 |
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APPALTI: Rapporto
fra la disciplina delle limitate deroghe alle esclusioni per insolvenza e la
disciplina della riduzione della compagine di una ATI sovrabbondante.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Raggruppamento temporaneo di
impresa – Ati sovrabbondante – Uscita dal raggruppamento di una impresa per
eventi sopravvenuti alla presentazione dell’offerta - Ridistribuzione quote
– Possibilità - Limiti.
Una volta consentita la modifica riduttiva della
compagine del raggruppamento c.d. abbondante nei casi previsti dai commi 17
ss. dell’art. 48, d.lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm.ii., sorge l’esigenza
–logica prima ancora che giuridica– di attribuire la quota dell’impresa
uscita dal raggruppamento a quelle superstiti.
In altri termini, la facoltà di riduzione del raggruppamento nei casi
previsti dalla legge –connotati dal carattere oggettivo e imprevedibile
degli eventi sopravvenuti alla presentazione dell’offerta, legittimanti la
modifica– comporta la necessità di redistribuire le quote.
Ed infatti, i commi 17 e 19 dell’art. 48, nella versione applicabile ratione
temporis, non prevedono affatto che la quota della nuova mandataria debba
esattamente corrispondere a quella precedente, ma richiedono unicamente che
l’operatore economico subentrante abbia i requisiti di qualificazione
adeguati ai lavori oggetto dell’appalto.
Opinando diversamente, le quote di qualificazione e di esecuzione della
mandataria originaria e di quella subentrante (originaria mandante)
dovrebbero essere identiche sin dall’origine (ossia, sin dalla presentazione
dell’offerta), il che condurrebbe sostanzialmente ad un’inammissibile
interpretatio abrogans della disciplina che ammette le modifiche soggettive,
di fatto imponendo in via cautelativa la costituzione di raggruppamenti
sovrabbondanti e così immobilizzando inutilmente (e dunque
irragionevolmente) i fattori produttivi aziendali di molte imprese.
Resta, naturalmente, ferma la necessità del possesso, in capo alla
mandataria, dei requisiti di qualificazione richiesti nel bando per
l’impresa singola (1).
---------------
(1) Ricorda la Sezione che l’art. 48, commi 17, 19 e 19-ter, d.lgs.
n. 50 del 2016 dispone che, in deroga alla regola generale dell’immodificabilità
del raggruppamento temporaneo rispetto alla composizione risultante
dall’impegno presentato in sede di offerta (art. 48, comma 9), è consentita
al raggruppamento aggiudicatario la possibilità di modificare la propria
composizione in conseguenza di un evento che privi l’impresa mandataria
della capacità di contrarre con la pubblica amministrazione.
Precisa che il divieto di modifica per mancanza di requisiti in funzione
anti-elusiva si riferisce alle ipotesi nelle quali la carenza dei requisiti
risale al momento della presentazione dell’offerta, e quindi ai casi in cui
i requisiti manca(va)no ab origine, non invece anche alle ipotesi in
cui la carenza dei requisiti sia sopravvenuta alla domanda di
partecipazione, nelle quali ai sensi dei commi 17 (per il mandatario) e 18
(per il mandante) è consentita la modifica in riduzione della compagine del
raggruppamento (Cons.
Stato, sez. III, 02.04.2020, n. 2245).
A questo proposito deve distinguersi nettamente l’istituto –avente più
rigidi limiti– della deroga all’esclusione per sopravvenuta mancanza di
requisiti, dall’istituto della riduzione dell’ATI sovrabbondante.
Nel primo caso infatti il raggruppamento ottiene di continuare ad avere un
rapporto giuridico con l’amministrazione pur in presenza di situazioni
riportabili all’insolvenza, nel secondo caso invece l’impresa incorsa in
situazione riportabile all’insolvenza viene esclusa dall’ATI ed il rapporto
giuridico può continuare, come si vedrà, se i membri residui del
raggruppamento continuino ad avere i requisiti necessari per eseguire
l’opera.
L’elusione, quale limite della modifica in riduzione, va quindi apprezzata
in ragione del motivo posto alla base dell’operazione riduttiva e del tempo
di emersione del relativo motivo: infatti, l’esercizio della facoltà non
deve configurarsi come strumentale a sanare ex post una situazione di
preclusione all’ammissione alla procedura riguardante il soggetto
uscente/recedente sussistente al momento dell’offerta, a pena di violazione
della par condicio tra i concorrenti. Qualora invece l’uscita della
mandataria dal raggruppamento sia sopravvenuta all’aggiudicazione
definitiva, dunque successivamente alla valutazione delle offerte di tutte
le imprese concorrenti nel rispetto dei criteri fissati dal bando e della
par condicio, le sopravvenute esigenze organizzative –tra le quali
rientrano i casi in cui una delle imprese raggruppate sia colpita da un
evento non volontario, quali (tra l’altro) l’apertura di una procedura
concorsuale (ivi compreso il concordato preventivo) per effetto di una
sopravvenuta situazione di insolvenza o di crisi aziendale implicante la
perdita del requisito generale di cui all’art. 80, comma 5, lettera b),
d.lgs. n. 50 del 2016– consentono la modificazione soggettiva.
Infine, la disposizione contenuta nel comma 19-ter [aggiunto dall’art. 32,
comma 1, lett. h), d.lgs. 19.04.2017, n. 56] estende espressamente la
possibilità di modifica soggettiva per le ragioni indicate dai commi 17, 18
e 19 –ivi limitata alla fase dell’esecuzione del contratto– anche alla fase
di gara.
La ratio che sorregge la sopra riportata disciplina estensiva delle
deroghe al principio dell’immodificabilità della composizione dei
raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari sancito dall’art. 48,
comma 9, d.lgs. n. 50 del 2016 è costituita sia dall’incentivazione della
libera concorrenza e della massima partecipazione sia dall’esigenza di
garantire, per quanto possibile, la stabilizzazione dell’offerta risultata
migliore nell’interesse pubblico della qualità delle opere, nonché, nella
fase dell’esecuzione, la continuità e tempestività dei lavori
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 30.07.2020 n. 4858 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Un
operatore economico che aspiri all’aggiudicazione di un contratto con
l’Amministrazione ha legittimazione ed interesse ad impugnare l’avvenuta
proroga del contratto in essere, anche tenuto conto che una proroga
illegittima è equiparata all’affidamento senza una procedura competitiva,
pacificamente impugnabile dagli operatori del settore che lamentino un
pregiudizio derivante proprio dalla mancata messa a gara.
Sul punto si richiama quanto evidenziato dal TAR Campania: “Peraltro
all'affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il
caso in cui, ad un affidamento con gara, segua, dopo la sua scadenza, un
regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario;
le proroghe dei contratti affidati con gara, infatti, sono consentite se già
previste ab origine e comunque entro termini determinati, mentre, una volta
che il contratto scada e si proceda ad una proroga non prevista
originariamente, o oltre i limiti temporali consentiti, la stessa proroga
deve essere equiparata ad un affidamento senza gara”.
---------------
Sulla proroga del contratto di recente è stato che “In
linea generale, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, il
ricorso alla proroga tecnica costituisce un'ipotesi del tutto eccezionale,
utilizzabile solo qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi
concorrenziali".
Più nello specifico, è stato precisato che “Per ciò che concerne la cd
"proroga tecnica", preme evidenziare l'orientamento restrittivo
dell'Autorità (cfr. Delibere nn. 6/2013 e 1/2014) e della consolidata
giurisprudenza, che ammettono la proroga tecnica solo in via del tutto
eccezionale, poiché costituisce una violazione dei principi comunitari di
libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e
trasparenza, enunciati nel previgente codice dei contratti al comma 1
dell'art. 2 [oggi art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016].
La proroga, nell'unico caso oggi ammesso, ha carattere di temporaneità e
rappresenta uno strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da
un vincolo contrattuale ad un altro, come chiarito dall'Autorità con parere
AG 38/2013: la proroga "è teorizzabile ancorandola al principio di
continuità dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed
eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti
dall'Amministrazione) vi sia l'effettiva necessità di assicurare
precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente".
"Una volta scaduto il contratto, l'Amministrazione, qualora abbia ancora
necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve -tempestivamente- bandire una nuova gara, al fine di
portarla a termine prima della naturale scadenza del risalente contratto, in
quanto, in tema di proroga (o rinnovo) dei contratti pubblici non vi è
alcuno spazio per l'autonomia contrattuale delle parti”.
---------------
La ricorrente nel gravame precisa di essere un’impresa (una delle sole
quattro) che produce e commercializza adalimumab in Italia, di essere
stata ammessa al sistema dinamico di che trattasi e di far valere il proprio
interesse pretensivo a partecipare e ad eventualmente aggiudicarsi la
fornitura di adalimumab per il secondo semestre del 2019.
Sul punto, il Collegio si limita ad evidenziare che un operatore economico
che aspiri all’aggiudicazione di un contratto con l’Amministrazione ha
legittimazione ed interesse ad impugnare l’avvenuta proroga del contratto in
essere, anche tenuto conto che una proroga illegittima è equiparata
all’affidamento senza una procedura competitiva, pacificamente impugnabile
dagli operatori del settore che lamentino un pregiudizio derivante proprio
dalla mancata messa a gara.
Sul punto si richiama quanto evidenziato dal TAR Campania “Peraltro
all'affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il
caso in cui, ad un affidamento con gara, segua, dopo la sua scadenza, un
regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario;
le proroghe dei contratti affidati con gara, infatti, sono consentite se già
previste ab origine e comunque entro termini determinati, mentre, una volta
che il contratto scada e si proceda ad una proroga non prevista
originariamente, o oltre i limiti temporali consentiti, la stessa proroga
deve essere equiparata ad un affidamento senza gara” (TAR
Campania-Napoli, sez. V, 20.06.2018, n. 4109).
Anche tale eccezione pertanto non può essere accolta.
4. - Il contenuto della nota della S.C.R. prot. n. 12405 del 21.12.2018 indirizzata ad Am. S.r.l., dalla quale emerge chiaramente che, nel
caso in esame, la motivazione della proroga non è stata quella di garantire
la continuità della fornitura nelle more dell’espletamento di un appalto
specifico, ma che il contratto è stato prorogato a causa dell’“andamento
dei quantitativi ad oggi ordinati del farmaco in oggetto, prevedendo una
stima in diminuzione rispetto ai fabbisogni indicati nel 3° Appalto
Specifico (SDA 06-2018)” consente altresì di valutare la legittimità o meno
dell’operato della S.C.R. alla luce delle censure dedotte dalla ricorrente.
La ricorrente nel gravame, in estrema sintesi, sostiene che la trattativa
privata diretta senza pubblicazione del bando al di fuori dei casi previsti
dalla legge sia illegittimità perché vanifica l’esigenza di rispettare la
par condicio fra tutti i possibili offerenti e che nel caso in esame non
sussistevano le condizioni nelle quali la legge (art. 63 del decreto
legislativo n. 50 del 2016) consente di concludere un contratto pubblico
more privatorum.
Inoltre, la ricorrente sostiene che l’affidamento ad Am. non sia neppure
una proroga lecita del contratto aggiudicato attraverso il terzo appalto
specifico in quanto nel caso in esame mancherebbero anche le condizioni di
cui all’art. 106 del decreto legislativo n. 50 del 2016.
Infine, la ricorrente sostiene che la “proroga” è tecnicamente un rinnovo o
comunque una variazione del contratto avvenuta al di fuori delle condizioni
previste dall’art. 106 del decreto legislativo n. 50 del 2016 poiché essa
sarebbe scaturita da una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, dato
che mezz’ora dopo la comunicazione della proroga, con la nota prot. n. 12413
di pari data (21.12.2018) la Stazione appaltante aveva richiesto alla
società fornitrice di rinegoziare il prezzo di aggiudicazione.
Ebbene, come giàevidenziato, l’art. 106, comma 11 del decreto legislativo
n. 50 del 2016 consente la modifica della durata del contratto alle seguenti
condizioni: 1) esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione; 2) se
è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga; 3) solo
per il tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure
necessarie per l'individuazione di un nuovo contraente.
In conformità a quanto previsto dall’art. 106, nella lettera invito si legge
“Su comunicazione scritta di S.C.R. Piemonte, la Convenzione inoltre, ai
sensi dell'art. 106, comma 11, del D.Lgs 50/2016 e s.m.i., potrà essere
prorogata fino ad un massimo di ulteriori 6 (sei) mesi agli stessi patti -o
più favorevoli- prezzi e condizioni per garantire la continuità della
fornitura, nelle more dell’espletamento di un appalto specifico”.
Come emerge dalla parte in fatto di questo sentenza, analoga previsione è
contenuta nel capitolato e nel disciplinare del Sistema Dinamico di
acquisizione.
Alla luce di quanto sopra si deve ritenere infondata anche l’ulteriore
eccezione sollevata dalla S.C.R. secondo la quale il ricorso sarebbe
inammissibile poiché la ricorrente non aveva impugnato gli atti di gara che
prevedevano espressamente la possibilità di prorogare il contratto.
Invero, ciò che contesta la ricorrente non è la proroga in sé, ma il fatto
che la proroga non sia stata disposta per l’unica ragione prevista e ammessa
sia dall’art. 106 del decreto legislativo n. 50 del 2016, sia dagli stessi
atti di gara, e cioè “per garantire la continuità della fornitura, nelle
more dell’espletamento di un appalto specifico”.
Contrariamente a quanto disposto all’art. 106 e nella lettera invito, nel
caso in esame, dalla nota sopra citata, emerge chiaramente che la proroga di
che trattasi non è stata disposta “per il tempo strettamente necessario alla
conclusione delle procedure necessarie per l'individuazione di un nuovo
contraente”, ma è stata disposta a causa dell’“andamento dei quantitativi
ad oggi ordinati del farmaco in oggetto, prevedendo una stima in diminuzione
rispetto ai fabbisogni indicati nel 3° Appalto Specifico (SDA 06-2018)”.
Inoltre, la proroga ad Am. è stata decisa prima della scadenza naturale
del contratto (già a dicembre 2018) quando vi era tutto il tempo per
pubblicare ed aggiudicare un nuovo appalto specifico.
Sulla proroga del contratto di recente è stato osservato quanto segue “In
linea generale, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, il
ricorso alla proroga tecnica costituisce un'ipotesi del tutto eccezionale,
utilizzabile solo qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi
concorrenziali" (Cons. Stato, sez. V, 23.09.2019, n. 6326; sul punto
anche TAR Toscana-Firenze, sez. I, 04.02.2020, n. 158).
Più nello specifico, è stato precisato che “Per ciò che concerne la cd
"proroga tecnica", preme evidenziare l'orientamento restrittivo
dell'Autorità (cfr. Delibere nn. 6/2013 e 1/2014) e della consolidata
giurisprudenza, che ammettono la proroga tecnica solo in via del tutto
eccezionale, poiché costituisce una violazione dei principi comunitari di
libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e
trasparenza, enunciati nel previgente codice dei contratti al comma 1
dell'art. 2 [oggi art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016].
La proroga, nell'unico caso oggi ammesso, ha carattere di temporaneità e
rappresenta uno strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da
un vincolo contrattuale ad un altro, come chiarito dall'Autorità con parere
AG 38/2013: la proroga "è teorizzabile ancorandola al principio di
continuità dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed
eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti
dall'Amministrazione) vi sia l'effettiva necessità di assicurare
precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente"
(CdS, sez. V, sent. 11.05.2009, n. 2882).
"Una volta scaduto il contratto, l'Amministrazione, qualora abbia ancora
necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve -tempestivamente- bandire una nuova gara (cfr. CdS n. 3391/2008), al fine di
portarla a termine prima della naturale scadenza del risalente contratto, in
quanto, in tema di proroga (o rinnovo) dei contratti pubblici non vi è
alcuno spazio per l'autonomia contrattuale delle parti” (TAR Campania-Napoli, sez. V, 18.04.2020, n. 1392)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 30.07.2020 n. 496 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Limiti
al subappalto: il Consiglio di Stato recepisce la sentenza del 27.11.2019
della Corte UE.
È illegittimo limitare al 30% la parte dell’appalto che
l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi e al 20% la possibilità di
ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate rispetto ai
prezzi risultanti dall’aggiudicazione.
Con la sentenza 27.11.2019, causa C-402/18, la sezione V
della Corte di giustizia europea ha precisato che la direttiva 2004/18/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31.03.2004, relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretata nel senso che:
essa osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita al 30%
la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a
terzi; essa osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita
la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni
subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti
dall’aggiudicazione.
Lo ha ricordato la VI Sez. del Consiglio di Stato nella
sentenza 29.07.2020 n. 4832 che, di fatto,
chiude la diatriba all'origine del noto pronunciamento della Corte UE.
La sentenza di Palazzo Spada fa riferimento all’art. 118 del vecchio Codice
Appalti del 2006, articolo le cui disposizioni sono state riprese
nell'ambito dei commi 2 e 14 dell'articolo 105 del nuovo Codice dei
contratti pubblici (decreto legislativo n. 50/2016).
La sentenza del Consiglio di Stato pubblicata ieri ribadisce che la sentenza
27.11.2019 della Corte UE “ha affermato che la direttiva n. 2004/18/CE,
in materia di appalti pubblici, deve essere interpretata nel senso che essa
osta a una normativa nazionale –quale l’art. 118 del codice del 2006- che
limita al trenta per cento la parte dell’appalto che l’offerente è
autorizzato a subappaltare a terzi e al venti per cento la possibilità di
ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate rispetto ai
prezzi risultanti dall’aggiudicazione.
Di conseguenza, non risulta applicabile, in quanto contraria al diritto
europeo, la disciplina di cui all’art. 118 cit., posto a base di entrambe le
prime censure accolte dal TAR sotto i predetti profili. Una volta ammesso il
ricorso al subappalto oltre il predetto limite legislativo, da disapplicare,
non residua alcuna concreta censura in ordine alla presunta anomalia
dell’offerta, attesa la ammissibilità dell’affidamento in subappalto alle
previste cooperative” (commento tratto da www.casaeclima.com).
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SENTENZA
1. La presente controversia ha ad oggetto l’aggiudicazione adottata a
conclusione della procedura aperta per “l’affidamento del servizio di
pulizia da espletarsi nei locali in uso dell’Università degli Studi di Roma
La Sapienza presso la città Universitaria e le sedi esterne”, da
aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
per la durata di 5 anni.
2. Con la sentenza impugnata il Tar Lazio ha accolto il ricorso della parte
seconda classificata, condividendo due delle censure dedotte avverso
l’offerta della odierna parte appellante.
In particolare venivano accolti i motivi n. 1 e n. 2 del ricorso (quest’ultimo
da leggere anche in relazione al motivo n. 5 di cui all’atto per motivi
aggiunti): in primo luogo per l’assenza di una attendibile disamina in
concreto relativa alle caratteristiche che avrebbe avuto il massiccio
ricorso, mediante subappalto, alle cooperative sociali di tipo B, il quale
costituisce elemento imprescindibile dell’offerta aggiudicataria che le ha
permesso di giustificare l’elevato ribasso che è riuscita ad offrire; in
secondo luogo per la riconosciuta violazione dell’art. 118, comma 4°, d.lgs.
163/2006 in quanto la le prestazioni lavorative affidate in subappalto
vengono retribuite con corrispettivi ribassati di oltre il venti per cento
(29,9 %) rispetto a quelli praticati dal medesimo RTI nei confronti dei
propri dipendenti diretti
3. Al riguardo assume rilievo dirimente, in termini di fondatezza del primo
motivo di appello principale, l’esito del rinvio pregiudiziale, disposto da
questa sezione quale giudice di ultime cure.
3.1 Infatti, la sentenza 27.11.2019 ha affermato che la direttiva n.
2004/18/CE, in materia di appalti pubblici, deve essere interpretata nel
senso che essa osta a una normativa nazionale –quale l’art. 118 del codice
del 2006- che limita al trenta per cento la parte dell’appalto che
l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi e al venti per cento la
possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate
rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione
3.2 Di conseguenza, non risulta applicabile, in quanto contraria al diritto
europeo, la disciplina di cui all’art. 118 cit., posto a base di entrambe le
prime censure accolte dal Tar sotto i predetti profili. Una volta ammesso il
ricorso al subappalto oltre il predetto limite legislativo, da disapplicare,
non residua alcuna concreta censura in ordine alla presunta anomalia
dell’offerta, attesa la ammissibilità dell’affidamento in subappalto alle
previste cooperative. |
APPALTI: Avvalimento
in caso di istanza di concordato.
Soltanto l’impresa già
ammessa al concordato non ha bisogno di
avvalimento (così il comma 5 dell’art. 110
dlgs 50/2016), che invece appare necessario
non solo in caso di deposito dell’istanza di
concordato prima della partecipazione, ma
anche qualora l’istanza sia presentata nel
corso della procedura di gara e financo dopo
l’aggiudicazione.
Non si ravvisano, infatti, differenze fra le
citate situazioni tali da giustificare la
possibilità di non utilizzare nel caso di
specie l’avvalimento, che risponde invece ad
esigenze di tutela della serietà
dell’offerta e quindi di garanzia
dell’affidabilità del contraente della
pubblica amministrazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 29.07.2020 n. 1462 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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Resta ferma, in ogni modo, la parte di
motivazione autonoma del provvedimento di
revoca concernente la disciplina della
partecipazione alle gare pubbliche delle
imprese richiedenti l’ammissione al
concordato preventivo ed è
sull’interpretazione di tale disciplina che
si indirizzano le doglianze del ricorso.
Appare quindi necessario riassumere, seppure
per sommi capi, la normativa applicabile
alla presente fattispecie, nella quale il
bando di gara è stato pubblicato il
13.11.2019 (cfr. il doc. 6 della
ricorrente).
L’art. 80, comma 5, lett. b), del codice
impone l’esclusione dalle gare pubbliche
delle imprese sottoposte a fallimento,
liquidazione coatta o concordato preventivo,
anche se è in corso il relativo
procedimento, fermo restando quanto previsto
dall’art. 110 del medesimo codice e
dall’art. 186-bis della legge fallimentare.
L’art. 110 del codice ivi applicabile è
quello risultante dalle modifiche introdotte
dal decreto legge (DL) n. 32/2019 convertito
con legge n. 55/2019 (c.d. sblocca
cantieri), posto che il bando è stato
pubblicato successivamente all’entrata in
vigore della suddetta riforma.
L’eventuale omessa indicazione di tale norma
nel testo vigente, da parte dei documenti di
gara (bando e disciplinare), appare
irrilevante, posto che l’articolo di legge
citato trova in ogni modo applicazione in
virtù del principio di eterointegrazione
della lex specialis da parte delle
norme di legge ordinaria, secondo il
meccanismo dell’art. 1374 del codice civile.
L’art. 110 comma 4 prevede l’applicazione
dell’art. 186-bis alle imprese che hanno
presentato la domanda di cui all’art. 161
della LF, anche se ai sensi del sesto comma
dell’articolo stesso; inoltre per la
partecipazione alle pubbliche gare, nel
periodo intercorrente fra il deposito della
citata domanda ed il deposito del decreto di
ammissione al concordato di cui all’art. 163
della LF, «è sempre necessario l’avvalimento
dei requisiti di un altro soggetto»
(così testualmente l’art. 110, comma 4).
L’avvalimento non è necessario per le
imprese ammesse al concordato preventivo
(così il comma 5 dell’art. 110).
L’art. 186-bis citato, riguardante il
concordato con continuità aziendale (vale a
dire quello che prevede la prosecuzione
dell’attività di impresa oppure la cessione
o il conferimento dell’azienda in
esercizio), dispone che i contratti pubblici
in corso di esecuzione non si risolvono per
effetto dell’apertura della procedura di
concordato e che, dopo il deposito della
domanda ex art. 161, la partecipazione alle
gare pubbliche deve essere autorizzata dal
tribunale.
Il concordato con continuità aziendale è
contrapposto al c.d. concordato in bianco,
vale a dire quello di cui al sesto comma
dell’art. 161, in cui l’impresa deposita
l’istanza di ammissione riservandosi in
seguito la produzione dei documenti
contabili e aziendali previsti dai commi
secondo e terzo dell’art. 161 medesimo.
Dalla lettura coordinata delle succitate
norme risulta con sufficiente chiarezza che
un’impresa che ha depositato domanda di
concordato preventivo, anche “in bianco”,
può prendere parte ad una pubblica gara,
purché autorizzata dal tribunale e munita
dell’avvalimento di altro soggetto, non
essendo più necessario l’avvalimento solo
dopo l’adozione del decreto di ammissione al
concordato.
Si tratta, evidentemente, di una disciplina
in qualche modo di compromesso, dovendosi
contemperare due differenti esigenze; da una
parte l’interesse prioritario
dell’amministrazione ad ottenere prontamente
ed efficacemente la prestazione oggetto
dell’appalto o della concessione e
dall’altra l’interesse dell’impresa
richiedente il concordato a continuare la
propria attività, a garanzia dei propri
creditori e per la salvaguardia del
patrimonio aziendale e dei lavoratori
occupati.
Su tale questione la Corte Costituzionale,
nella recente sentenza n. 85 del 07.05.2020,
nel rigettare la questione di legittimità
costituzionale del sesto comma dell’art.
186-bis sopra citato, ha dapprima ribadito
(punto 5.1 della narrativa in “Diritto”),
la necessità di «tutelare l'interesse
pubblico al corretto e puntuale adempimento
delle prestazioni oggetto del contratto»,
confermando altresì che la regola generale è
quella per cui «chi è soggetto a
procedure concorsuali non può partecipare
alle procedure per l'affidamento di
contratti pubblici», sicché, nelle
conclusioni della Corte, la partecipazione
alle gare consentita all’impresa in
concordato ai sensi dell’art. 186-bis
rappresenta comunque una deroga alla regola
generale, deroga introdotta allo scopo di «consentire
eccezionalmente alle imprese che si trovino
in questa condizione di acquisire commesse
pubbliche e garantire così una migliore
soddisfazione dei creditori» (si veda
sempre il citato punto 5.1).
Dalla suddetta pronuncia della Corte
Costituzionale si desume con certezza che la
regola generale è quella dell’esclusione
dalla partecipazione alle gare pubbliche per
gli operatori coinvolti in procedure
concorsuali, mentre le differenti ipotesi
legislative (come l’art. 186-bis, ad
esempio), costituiscono in ogni modo
eccezioni, seppure giustificate dalla
necessità di tutela dell’impresa in
difficoltà economiche e finanziarie.
Lo scrivente collegio non può evidentemente
prescindere, per la soluzione delle
questioni giuridiche di cui è causa, dalle
conclusioni cui è pervenuto il Giudice delle
leggi.
La ricorrente ha presentato domanda di
concordato dopo l’aggiudicazione -seppure
dopo solo quattordici giorni, come ammesso a
pag. 7 del ricorso– sicché, secondo la tesi
sostenuta nel gravame, -OMISSIS- potrebbe
mantenere l’aggiudicazione e stipulare il
relativo contratto senza necessità di
munirsi di avvalimento, posto che tale
obbligo è espressamente previsto dal citato
art. 110 solo in caso di partecipazione alla
gara dopo il deposito dell’istanza di
concordato.
Quanto all’autorizzazione da parte del
giudice civile, continua poi l’esponente, la
stessa potrebbe anche sopravvenire dopo
l’aggiudicazione, trattandosi di un elemento
integrativo dell’efficacia di quest’ultima.
L’argomentazione di parte ricorrente, per
quanto suggestiva, non sfugge però ad una
declaratoria di infondatezza.
Infatti, se è pur vero che il nuovo testo
dell’art. 110, quale risultante dalle
modifiche introdotte dalla legge n. 55/2019,
vuole favorire la partecipazione alle gare
delle imprese richiedenti l’ammissione al
concordato, anche in bianco, parimenti tale
possibilità viene per così dire assistita da
una serie di rigorosi requisiti, volti a
garantire che l’amministrazione, in caso di
aggiudicazione, possa ottenere l’esatto
adempimento della prestazione contrattuale
(esigenza questa di primario interesse
pubblico, secondo la citata sentenza n.
85/2020 della Corte Costituzionale).
Soltanto l’impresa già ammessa al concordato
non ha bisogno di avvalimento (così il comma
5 dell’art. 110), che invece appare
necessario non solo in caso di deposito
dell’istanza di concordato prima della
partecipazione, ma anche qualora l’istanza
sia presentata nel corso della procedura di
gara e financo dopo l’aggiudicazione.
Non si ravvisano, infatti, differenze fra le
citate situazioni tali da giustificare la
possibilità di non utilizzare nel caso di
specie l’avvalimento, che risponde invece ad
esigenze di tutela della serietà
dell’offerta e quindi di garanzia
dell’affidabilità del contraente della
pubblica amministrazione.
A ciò si aggiunga che, a volere seguire fino
in fondo la prospettazione di parte
ricorrente, sarebbero favoriti facili
fenomeni di elusione dell’art. 110, comma 4,
potendo un’impresa in oggettive difficoltà
economiche partecipare alla gara con
un’offerta apparentemente vantaggiosa per
l’appaltante, salvo poi presentare
immediatamente dopo l’aggiudicazione domanda
di concordato, non assistita però né
dall’autorizzazione del giudice civile né
–soprattutto- dall’avvalimento dei
requisiti.
Nel caso di specie non solo l’avvalimento
non è mai stato ottenuto, ma neppure risulta
rilasciata formale autorizzazione da parte
del competente tribunale che, anzi, risulta
avere respinto una domanda in tal senso (cfr.
il doc. 26 della ricorrente).
La pur abile difesa di -OMISSIS- sostiene
che il provvedimento di revoca, così come
adottato, finirebbe di fatto per introdurre
una causa di esclusione dalle gare non
prevista dalla legge, in violazione del
principio di tassatività delle cause di
esclusione di cui all’art. 83, comma 8, del
codice dei contratti pubblici.
In realtà, la stazione appaltante si è
limita ad accertare la mancanza di un
requisito di partecipazione di cui all’art.
80, comma 5, del codice, sicché si è
determinata nel senso dell’esclusione in
applicazione del comma 5, lett. b),
dell’articolo da ultimo citato.
Neppure potrebbe configurarsi una sorta di
soccorso istruttorio di cui all’art. 83,
comma 9, del codice, trattandosi della
mancanza di un requisito essenziale ex art.
80 menzionato e non della carenza di un
elemento formale della domanda oppure della
semplice assenza di una dichiarazione da
rendersi in sede di gara.
In conclusione, l’intero ricorso principale
deve respingersi. |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Il
DURC dopo il decreto semplificazioni.
Domanda
È possibile richiamare la normativa che prevede la conservazione della
validità dei documenti scaduti nel periodo compreso tra il 31.01.2020 e il
31.07.2020, per i successivi novanta giorni alla dichiarazione di cessazione
dello stato di emergenza, anche con riferimento al DURC, ai fini
dell’aggiudicazione di un appalto?
Risposta
Con la pubblicazione del d.l. 19.05.2020 n. 34, ed in particolare con l’art.
81, co. 1, viene modificato l’art. 103, co. 2, primo periodo, del d.l.
17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27, in materia di
sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi, con l’inserimento
di una disposizione specifica relativa ai DURC, che si riporta in grassetto:
“Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e
atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di inizio e di
ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, in scadenza tra
il 31.01.2020 e il 31.07.2020, conservano la loro validità per i novanta
giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza,
ad eccezione dei documenti unici di regolarità̀
contributiva in scadenza tra il 31.01.2020 ed il 15.04.2020, che conservano
validità̀ sino al 15.06.2020”.
In sede di conversione del decreto, con la legge 17.07.2020 n. 77, il sopra
citato comma 1 dell’art. 81, viene soppresso, e per l’effetto, come indicato
anche sui siti dell’Inail e dell’Inps, i durc con scadenza compresa tra il
31.01.2020 e il 31.07.2020 conservano la loro validità fino al 29.10.2020.
Disposizione che tuttavia non si applica, ai sensi dell’art. 8, co. 10, del
d.l. 16.07.2020 n. 76 c.d. “decreto semplificazioni” nel caso di verifiche
dell’operatore aggiudicatario di un appalto o per la stipula del contratto
[1].
Al momento sia l’Inail che l’Inps hanno riportato sui loro siti
esclusivamente un comunicato sulle diverse e vigenti disposizioni normative
con riferimento ai DURC, ma non hanno ancora emanato circolari operative
sulle differenti modalità di consultazione e/o richiesta degli stessi, in
base alle specifiche funzioni della certificazione.
È opportuno tuttavia segnalare che in questo periodo con riferimento alla
visualizzazione e rilascio dei DURC, i due siti, quello
dell’Inail e
quello dell’Inps, non sono allineati, tanto che alcuni
certificati sono visualizzabili in un sito ma non nell’altro. In attesa che
venga risolto il problema, per evitare ritardi nell’efficacia
dell’aggiudicazione e/o stipula dei contratti, si consiglia una doppia
consultazione.
----------------
[1] L’art. 8, co. 10. d.l. 76/2020 In ogni caso in cui per la selezione
del contraente o per la stipulazione del contratto relativamente a lavori,
servizi o forniture previsti o in qualunque modo disciplinati dal presente
decreto, è richiesto di produrre documenti unici di regolarità contributiva
di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
30.01.2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 01.06.2015,
ovvero di indicare, dichiarare o autocertificare la regolarità contributiva
ovvero il possesso dei predetti documenti unici, non si applicano le
disposizioni dell’articolo 103, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 2020,
relative alla proroga oltre la data del 31.07.2020 della validità dei
documenti unici di regolarità contributiva in scadenza tra il 31.01.2020 e
il 31.07.2020 (29.07.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI: Conseguenza
delle omesse dichiarazioni di risultanze penali da parte del concorrente
alla gara pubblica.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Omessa
dichiarazione risultanze penali – É causa di esclusione
La nuova formulazione dell’art. 80, comma 1, lett.
c), d.lgs. n. 50 del 2016 ha reso l’omessa dichiarazione causa di esclusione
autonoma rispetto alla valutazione della gravità dell’illecito professionale
da parte della stazione appaltante; ne consegue che, in difetto di residua
discrezionalità amministrativa, l’effetto esclusivo deve essere rilevato e
dichiarato dal giudice amministrativo, senza rinvio all’amministrazione (1).
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(1) Ha chiarito la Sezione che una volta accertato che il
concorrente alla gara pubblica ha mancato al dovere di comunicare le
risultanze penali sorti la esclusione automatica dalla procedura, ovvero se
residuino poteri di apprezzamento in capo alla stazione appaltante.
Come è noto, nella vigenza del precedente testo dell’art. 80, d.lgs. n. 50
del 2016, la giurisprudenza ha chiarito che l’esclusione automatica si ha
per la sola ipotesi di dichiarazione falsa, ovvero che rappresenti una
circostanza diversa dal vero, mentre si ha omissione quando l’operatore
economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale
qualificabile come grave illecito professionale (Cons.
Stato, n. 8906 del 2019).
Ad oggi, l’omissione costituisce in sé causa di esclusione, ai sensi della
lett. c-bis del comma 5, ed è perciò distinta dall’apprezzamento
discrezionale della p.a. in tema di grave illecito professionale, ora
oggetto della lett. c (per quanto, naturalmente, ad essere dichiarati
debbono essere fatti anche attinenti a tale profilo).
Al pari della dichiarazione falsa, perciò, (dalla quale continua a restare
separata nel testo dell’art. 80, perché solo quest’ultima comporta la
segnalazione all’ANAC di cui al comma 12) anche l’omessa dichiarazione, nei
casi in cui cada su fatti che senza dubbio alcuno avrebbero dovuto essere
portati a conoscenza della stazione appaltante (come nell’ipotesi dei
procedimenti penali), determina l’obbligo di escludere la concorrente dalla
gara. La stazione appaltante non è più chiamata a dimostrare con mezzi
adeguati che l’operatore economico ha commesso un grave illecito
professionale omettendo la dichiarazione, ma, piuttosto, a prendere atto
della omissione in sé.
Tale affermazione è conforme al nuovo tenore letterale dell’art. 80, che
pone sul medesimo piano dichiarazioni false e omesse, quali motivi di
esclusione, in accordo con l’art. 57, paragrafo 4, lett. h), della direttiva
2014/24/UE.
Va aggiunto che, nella sostanza, può essere assai più grave, sul piano
dell’affidabilità del concorrente, l’omissione di una dichiarazione avente
ad oggetto un fatto di grande significato (ad esempio, una recente condanna
penale), che non la falsità di un’attestazione vertente su un fatto minore:
il più recente orientamento giurisprudenziale, che esclude la rilevanza del
cd. falso innocuo, può rendere tale divario particolarmente ampio.
Non può poi sfuggire che, continuando ad affermare la necessità che
l’amministrazione rivaluti in concreto la pertinenza dei fatti omessi, si
incentiva la scorrettezza professionale dei partecipanti alla gara, che
possono essere indotti a tacere circostanze di grande importanza. Difatti,
il solo effetto di ciò, ai fini della gara, sarebbe che, nel caso in cui
esse emergessero per altra via, la stazione appaltante sarebbe chiamata a
esprimere il medesimo giudizio che avrebbe dovuto compiere, ove la
dichiarazione vi fosse stata.
Ciò detto, posto che in base al nuovo testo dell’art. 80 l’esclusione per
dichiarazione omissiva va disposta quando non siano stati segnalati fatti
che in linea astratta sarebbero stati pertinenti, il giudice amministrativo
che conosca di una controversia legata a tale profilo, nel risolverla nel
senso che sussistesse l’obbligo dichiarativo, con ciò accerta la astratta
pertinenza del fatto, rispetto alla quale non residua alcun potere
discrezionale in capo alla stazione appaltante.
In altri termini: venuto meno il collegamento con il profilo connesso alla
valutazione discrezionale della p.a. in ordine al grave illecito
professionale, l’omissione rileva in sé quale causa escludente. Se
necessaria alla luce della astratta pertinenza dei fatti (profilo su cui può
pronunciarsi il giudice a seguito di ricorso), la stazione appaltante non
avrebbe che da replicare tale conclusione
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 28.07.2020 n. 8821 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Principio
di rotazione in caso di sondaggio di
mercato.
Il TAR Milano ritiene
che vada rispettato il principio di
rotazione degli inviti e degli affidamenti,
imposto dall’articolo 36, comma 1, lett.
a), del decreto legislativo 18.04.2016,
n. 50, nei servizi di importo inferiore alle
soglie di cui all’articolo 35, anche nel
caso di un sondaggio di mercato avviato da
un comune, attraverso la piattaforma
telematica Sintel della Regione Lombardia,
indirizzato a tutti gli operatori economici
e prodormico all’affidamento diretto del
servizio di gestione della biblioteca
comunale, ai sensi dell’articolo 36, comma
2, lett. a), del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50
(TAR Lombardia- Milano, Sez. I,
sentenza 27.07.2020 n. 1446 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
2. Il Collegio ritiene di dover trattare
congiuntamente il primo e il terzo motivo di
ricorso, in quanto attengono entrambi
all’applicabilità del principio di rotazione
degli affidamenti nella presente
fattispecie.
Essi sono fondati.
2.1. L’articolo 36, comma 1, lettera a), del
decreto legislativo 18.04.2016, n. 50,
dispone che <<L’affidamento e l’esecuzione
di lavori, servizi e forniture di importo
inferiore alle soglie di cui all’articolo 35
avvengono nel rispetto dei principi di cui
agli articoli 30, comma 1, 34 e 42, nonché
del rispetto del principio di rotazione
degli inviti e degli affidamenti e in modo
da assicurare l’effettiva possibilità di
partecipazione delle microimprese, piccole e
medie imprese>>.
La disposizione disciplina le modalità di
affidamento dei contratti, come quello in
oggetto, di valore inferiore alle soglie di
rilevanza comunitaria, senza tuttavia
delimitarne con esattezza il perimetro
applicativo, alla cui individuazione
soccorrono le linee guida dell’Anac
indicate al successivo comma 7.
Le linee guida dell’A.n.a.c. n. 4 del 26.10.2016, aggiornate in data 10.07.2019, prevedono eccezioni tassative alla
regola del principio di rotazione, il quale
non si applica ove il nuovo affidamento
avvenga tramite procedure ordinarie o
comunque aperte al mercato e in presenza di
una particolare struttura del mercato ovvero
in assenza di alternative.
Per gli affidamenti di importo inferiore ai
40.000 euro, l’articolo 36, comma 2, lett.
a), ha previsto la possibilità di procedere
all’affidamento diretto, rimettendo alla
stazione appaltante la scelta di ricorrere
eventualmente alla <<previa consultazione di
due o più operatori economici>> mediante
l’esperimento di un’indagine preliminare di
natura meramente esplorativa e funzionale ad
assicurare il rispetto dei principi di cui
all’articolo 30 e delle regole di
concorrenza.
Il sondaggio di mercato avviato dal Comune
di Vittuone in data 18.12.2019, non
impugnato in questa sede, manifesta appunto
la scelta dello stesso, confermata nelle
memorie depositate nel presente giudizio, di
procedere ad una consultazione di mercato,
indirizzata a tutti gli operatori economici, prodromica all’affidamento diretto.
Per tale ragione non può trovare
accoglimento la tesi prospettata dalla
cooperativa controinteressata, per cui nel
caso di specie non si applicherebbe il
principio di rotazione degli inviti e degli
affidamenti in quanto il Comune si sarebbe
rivolto al mercato mediante l’indizione di
una procedura aperta.
La natura del sondaggio di mera indagine
esplorativa, prodromica all’affidamento
diretto, si evince dal contenuto dello
stesso ed in particolare:
a) dalla espressa previsione che l’avviso
esplorativo non è in alcun modo vincolante
per il Comune e non può essere interpretato
come avviso o bando;
b) dalla mancata previsione di un criterio
oggettivo per la selezione delle offerte che
funga da limite alla amplissima
discrezionalità della stazione appaltante
nell’affidamento dei contratti sottosoglia.
2.2. Affermata la doverosa applicazione del
principio di rotazione alla fattispecie in
oggetto, il Collegio ritiene che la
motivazione contenuta nel provvedimento di
aggiudicazione impugnato, in ordine alla
mancata applicazione del principio di
rotazione, non sia sufficiente a comprovare
l’eccezionalità della situazione di mercato
o la mancanza di alternative
nell’affidamento del servizio.
La giurisprudenza esige un onere
motivazionale assai stringente per
giustificare l’eccezionale affidamento del
servizio al gestore uscente di un servizio
rientrante nello stesso settore
merceologico, allo scopo di evitare il
consolidamento di rapporti contrattuali con
determinate imprese.
Il Collegio ritiene che il Comune di
Vittuone non abbia evaso detto onere
motivazionale.
Risulta infatti, dal sondaggio conclusosi
con la presentazione dei preventivi e dei
moduli allegati, che nel mercato di
riferimento vi fosse almeno un altro
operatore economico in grado di offrire la
medesima qualità professionale nello
svolgimento di servizi analoghi e a
condizioni economiche, sia pur di poco,
migliori di quelle prospettate dal gestore
uscente.
Pertanto l’affidamento del servizio alla
C.a. e b., effettuato in ragione del grado
di soddisfazione maturato a conclusione del
precedente rapporto contrattuale e della
competitività del prezzo offerto rispetto
alla media dei prezzi praticati nel settore
di mercato di riferimento, ove non sia
accompagnata ad un’effettiva assenza di
alternative o ad una particolare
conformazione del mercato, si pone in
contrasto con la stessa ratio del principio
di rotazione, che è quella di garantire la
distribuzione delle opportunità di
affidamento dei contratti pubblici anche ad
altri operatori economici, in particolare
alle microimprese.
Il Collegio ritiene che la motivazione
dell’affidamento alla C.a. e b., in ragione
della sua maggiore esperienza nel settore,
non sia neppure proporzionata al tipo di
servizio da affidare: entrambi gli operatori
economici interessati hanno infatti
dimostrato, mediante l’allegazione del
modulo dei servizi analoghi prestati negli
ultimi tre anni, di avere i requisisti di
capacità tecnico-professionale necessari per
l’espletamento dello specifico servizio, il
quale, pur essendo caratterizzato da un’alta
intensità della manodopera, non richiede
specifiche competenze ulteriori, desumibili
dai curricula dei dipendenti allegati
dall’aggiudicataria.
La stazione appaltante ha esternato
l’esigenza di avvalersi di operatori
economici dotati di una specifica capacità
tecnico professionale per cui l’introduzione
di un elemento ultroneo e non proporzionato
all’oggetto del servizio da affidare non è
sufficiente ad integrare lo stringente onere
motivazionale sull’esclusione
dell’applicazione del principio di rotazione
negli affidamenti in favore del precedente
affidatario diretto del servizio.
Il principio di rotazione è stato infatti
introdotto per mitigare gli effetti
anticoncorrenziali collegati al
riconoscimento del principio di economicità
dell’azione della stazione appaltante e non
può essere esautorato se non a fronte di
eccezionali situazioni tassative, quali il
ricorso al mercato, la diversità del
servizio da affidare o la presenza di
indicatori oggettivi che siano comunque in
grado di contenere la amplissima
discrezionalità rimessa alla stazione
appaltante.
In applicazione del principio di rotazione
la stazione appaltante, una volta accertato
che nel mercato di riferimento era presente
un altro operatore, parimenti qualificato
allo svolgimento del medesimo servizio, non
avrebbe dovuto tenere in considerazione il
preventivo presentato dal precedente
affidatario e avrebbe dovuto procedere
oltre.
L’aggiudicazione del servizio di biblioteca
alla C.a. e b. è dunque illegittima per
violazione del principio di rotazione negli
affidamenti e deve essere perciò annullata.
3. L’accoglimento del primo motivo nonché
l’accoglimento del terzo motivo del ricorso
rendono superflua la trattazione del secondo
motivo di ricorso, il quale attiene alla
fase di valutazione delle offerte e deve
pertanto ritenersi assorbito.
Il Collegio deve tuttavia evidenziare che,
come pure affermato dallo stesso Comune di
Vittuone, il sondaggio di mercato del 18.12.2019 non è un bando di gara ma un
atto endoprocedimentale, che esprime
un’esigenza meramente conoscitiva della
stazione appaltante ed equivale ad una
determinazione a contrarre.
Esso pertanto non è in grado di prevedere
clausole automaticamente escludenti per gli
operatori economici e non comporta dunque
alcun onere di immediata impugnativa.
Il motivo di ricorso deve tuttavia ritenersi
infondato in quanto il sondaggio di mercato
contiene i criteri per l’individuazione
degli operatori economici ma non quelli per
la selezione delle offerte, per cui non è
dato ravvisare la violazione del divieto di
commistione tra requisiti di partecipazione
e requisiti di qualificazione invocato dalla
società ricorrente.
4. In conclusione il primo e il terzo motivo
di ricorso devono essere accolti e, per
l’effetto, deve essere annullata
l’aggiudicazione del servizio di biblioteca
alla C.a. e b..
5. Il Collegio, in considerazione della
circostanza che l’aggiudicazione annullata è
avvenuta all’esito di un affidamento diretto
e non di una procedura di gara non può
tuttavia disporre l’affidamento del servizio
alla società ricorrente mediante subentro
nel contratto, in quanto il Comune di
Vittuone non si è obbligato a stipulare il
contratto con gli operatori economici che
abbiano presentato un valido preventivo.
Dall’accoglimento del ricorso discende
dunque solo il divieto di affidare il
contratto alla C.a. e b., in virtù della
doverosa applicazione del principio di
rotazione negli affidamenti dei contratti
c.d. sottosoglia ma non anche quello di
affidarlo alla società ricorrente, restando
pur sempre salvo il potere della stazione
appaltante di procedere all’affidamento
diretto del servizio o di ricorrere al
mercato, nell’uno e nell’altro caso
esplicitandone le motivazioni. |
APPALTI - LAVORI PUBBLICI: Controllo
della commissione nella fase di ammissione
degli operatori nella finanza di progetto di
iniziativa pubblica.
La giurisprudenza ha
chiarito che “Nell’affrontare la questione dei margini di
derogabilità o modificabilità delle
previsioni tecniche contenute nella lex
specialis la giurisprudenza ha posto in
risalto che “è stato precisato
che ‘…in sede di gara d’appalto e
allorquando il sistema di selezione delle
offerte sia basato sul criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, le soluzioni
migliorative si differenziano dalle varianti
perché le prime possono liberamente
esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici
lasciati aperti a diverse soluzioni sulla
base del progetto posto a base di gara ed
oggetto di valutazione delle offerte dal
punto di vista tecnico, rimanendo comunque
preclusa la modificabilità delle
caratteristiche progettuali già stabilite
dall’Amministrazione, mentre le seconde si
sostanziano in modifiche del progetto dal
punto di vista tipologico, strutturale e
funzionale, per la cui ammissibilità è
necessaria una previa manifestazione di
volontà della stazione appaltante (…)’”.
In tale prospettiva “le proposte
migliorative consistono pertanto in
soluzioni tecniche che, senza incidere sulla
struttura, sulla funzione e sulla tipologia
del progetto a base di gara, investono
singole lavorazioni o singoli aspetti
tecnici dell’opera, lasciati aperti a
diverse soluzioni, configurandosi come
integrazioni, precisazioni e migliorie che
rendono il progetto meglio corrispondente
alle esigenze della stazione appaltante,
senza tuttavia alterare i caratteri
essenziali delle prestazioni richieste”.
In definitiva, solo allorché la modifica
progettuale sia ricompresa entro i margini
di discrezionalità riconosciuti
all’operatore, ovvero sia espressamente
prevista dalla lex specialis, può essere
legittimamente apportata dal concorrente;
diversamente, si sarà in presenza d’una
inammissibile difformità dalle previsioni di
gara, con conseguente esclusione
dell’offerta per integrato aliud pro alio.
---------------
Dal quadro normativo
relativo ai vari livelli della progettazione
nella finanza di progetto ad iniziativa
pubblica, si desume che nella fase di
ammissione dei progetti alla gara … il
controllo della commissione di gara dev’essere
limitato ai profili di macroscopica
differenza tra il progetto definitivo
presentato ed il progetto di fattibilità,
non potendo essa sostituirsi agli organi
competenti all’approvazione del progetto ai
sensi dell’art. 27 del d.lgs. 50/2016.
Questi ultimi intervengono solo dopo la
nomina del promotore, ai sensi dell’art. 183,
c. 10, del d.lgs. 50/2016, mentre il compito
della commissione di gara è quello di
individuare l’offerta più vantaggiosa,
secondo i criteri previsti dal bando di gara
e gli aspetti relativi alla qualità del
progetto definitivo presentato (in tal senso
art. 183, c. 5, del d.lgs. 50/2016).
---------------
3.1 Con riferimento al primo motivo occorre
premettere che l’art. 2 del Progetto di
fattibilità, recante i criteri progettuali
generali, prevede che “ogni impresa
concorrente alla gara d’appalto può
progettare, costruire e organizzare il
centro cottura nella modalità più confacente
alla propria metodologia di lavoro”, ma
“attenendosi … alle specifiche tecniche
dimensionali dei locali ad uso cucina
centralizzata” e alla “condizione necessaria
nella formulazione del progetto” del
“rispetto di tutte le normative vigenti e
delle indicazioni dettate dal progetto di
fattibilità approvato dall’Amministrazione
Comunale, da considerarsi, unitamente ai
suoi allegati, parte integrante del presente
Capitolato”.
A sua volta l’art. 8 prevede che “il
Concessionario potrà, in sede di
progetto-offerta, proporre soluzioni
costruttive e funzionali conseguenti a
scelte organizzative migliorative dei
contenuti base del presente capitolato”.
In merito la giurisprudenza (Con. Stato, V,
12/05/2020 n. 2969) ha chiarito che
“Nell’affrontare la questione dei margini di
derogabilità o modificabilità delle
previsioni tecniche contenute nella lex
specialis la giurisprudenza ha posto in
risalto che “è stato precisato (da ultimo
Cons. Stato, sez. V, 03.05.2019, n. 2873)
che ‘…in sede di gara d’appalto e
allorquando il sistema di selezione delle
offerte sia basato sul criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, le soluzioni
migliorative si differenziano dalle varianti
perché le prime possono liberamente
esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici
lasciati aperti a diverse soluzioni sulla
base del progetto posto a base di gara ed
oggetto di valutazione delle offerte dal
punto di vista tecnico, rimanendo comunque
preclusa la modificabilità delle
caratteristiche progettuali già stabilite
dall’Amministrazione, mentre le seconde si
sostanziano in modifiche del progetto dal
punto di vista tipologico, strutturale e
funzionale, per la cui ammissibilità è
necessaria una previa manifestazione di
volontà della stazione appaltante (…)’” (Cons.
Stato, V, 08.10.2019, n. 6793; 17.01.2018, n. 269 e 270; VI, 19.06.2017, n. 2969; CGA, 30.04.2018, n. 251).
In tale prospettiva “le proposte
migliorative consistono pertanto in
soluzioni tecniche che, senza incidere sulla
struttura, sulla funzione e sulla tipologia
del progetto a base di gara, investono
singole lavorazioni o singoli aspetti
tecnici dell’opera, lasciati aperti a
diverse soluzioni, configurandosi come
integrazioni, precisazioni e migliorie che
rendono il progetto meglio corrispondente
alle esigenze della stazione appaltante,
senza tuttavia alterare i caratteri
essenziali delle prestazioni richieste” (Cons.
Stato, n. 6793 del 2019, cit.; Id., V, 14.09.2018, n. 5388).
In definitiva, solo allorché la modifica
progettuale sia ricompresa entro i margini
di discrezionalità riconosciuti
all’operatore, ovvero sia espressamente
prevista dalla lex specialis, può essere
legittimamente apportata dal concorrente;
diversamente, si sarà in presenza d’una
inammissibile difformità dalle previsioni di
gara, con conseguente esclusione
dell’offerta per integrato aliud pro alio.
A ciò si aggiunge che nella finanza di
progetto su iniziativa pubblica a gara unica
disciplinata dall’art. 183, commi da 1 a 14,
del d.lgs. 50/2016 è previsto dal comma 3
che l'amministrazione aggiudicatrice ha la
possibilità di richiedere al promotore
prescelto, di cui al comma 10, lettera b),
di apportare al progetto definitivo, da
questi presentato, le modifiche
eventualmente intervenute in fase di
approvazione del progetto….., e che, in tal
caso, la concessione è aggiudicata al
promotore solo successivamente
all'accettazione, da parte di quest'ultimo,
delle modifiche progettuali nonché del
conseguente eventuale adeguamento del piano
economico-finanziario. Inoltre l’art. 183,
comma 10, lettera c), del d.lgs. 50/2016
prevede che, in fase di approvazione del
progetto definitivo presentato dal
promotore, «è onere del promotore procedere
alle modifiche progettuali necessarie ai
fini dell’approvazione del progetto, nonché
a tutti gli adempimenti di legge anche ai
fini della valutazione di impatto
ambientale, senza che ciò comporti alcun
compenso aggiuntivo, né incremento delle
spese sostenute per la predisposizione delle
offerte nel piano finanziario».
Dal quadro normativo relativo ai vari
livelli della progettazione nella finanza di
progetto ad iniziativa pubblica, si desume
che nella fase di ammissione dei progetti
alla gara, che è l’oggetto precipuo del
presente ricorso, il controllo della
commissione di gara dev’essere limitato ai
profili di macroscopica differenza tra il
progetto definitivo presentato ed il
progetto di fattibilità, non potendo essa
sostituirsi agli organi competenti
all’approvazione del progetto ai sensi
dell’art. 27 del d.lgs. 50/2016.
Questi
ultimi intervengono solo dopo la nomina del
promotore, ai sensi dell’art. 183, c. 10, del d.lgs. 50/2016, mentre il compito della
commissione di gara è quello di individuare
l’offerta più vantaggiosa, secondo i criteri
previsti dal bando di gara e gli aspetti
relativi alla qualità del progetto
definitivo presentato (in tal senso art. 183,
c. 5, del d.lgs. 50/2016)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 24.07.2020 n. 1441 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Esclusione del concorrente per essersi
avvalso dei requisiti di soggetto dichiarato
fallito prima del termine di scadenza della
presentazione delle offerte.
Il TAR Milano, a fronte
di una contestazione volta a censurare
l’ammissione della aggiudicataria per
essersi avvalsa dei requisiti di altro
soggetto dichiarato fallito prima del
termine di scadenza della presentazione
delle offerte, osserva che:
● «che, secondo un orientamento giurisprudenziale, poiché
l’affittuario subentra nei rapporti attivi e
passivi dell’impresa concedente, la
responsabilità per fatto di soggetto
giuridico terzo a cui soggiace il
concorrente, trova risposta nel principio
ubi commoda, ibi incommoda.
Conseguentemente, chi si avvale dei
requisiti di terzi sul piano della
partecipazione a gare pubbliche, risente
delle conseguenze, sullo stesso piano, delle
eventuali responsabilità. Altro orientamento
tende invece a valorizzare la disciplina del
Codice dei Contratti pubblici (artt. 110 c
.3 e 4 161) e della legge fallimentare
(186-bis R.D. 16.03.1942, n. 267), nella
parte in cui prevedono, a determinate
condizioni, la possibilità che anche
l’impresa soggetta a fallimento partecipi
alle gare, ritenendo che, in mancanza di
un’espressa disposizione, non sia possibile
adottare un’interpretazione che estenda
l’operatività dell’esclusione ad ipotesi non
espressamente previste, in aderenza al
principio di tassatività di cui all’art. 83,
c. 8, del Codice dei Contratti. Anche quest’ultimo
orientamento, richiede tuttavia che il
concorrente fornisca la prova di una cesura
tra le due gestioni, tale da dimostrare la
sua completa disponibilità del compendio
aziendale».
Il TAR ha quindi annullato l’ammissione
della controinteressata alla procedura,
atteso che nel caso di specie, la stazione
appaltante non aveva proceduto ad effettuare
alcuna verifica in merito, ciò che sarebbe
stato invece necessario, considerato tra
l’altro che le due società esercitavano
attività identiche, i relativi
amministratori avevano il medesimo cognome,
e che la sentenza di fallimento ha
evidenziato “reiterati inadempimenti al
pagamento dei tributi”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.07.2020 n. 1416 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
II.2) Osserva il Collegio che, secondo un
orientamento giurisprudenziale, poiché
l’affittuario subentra nei rapporti attivi e
passivi dell’impresa concedente, la
responsabilità per fatto di soggetto
giuridico terzo a cui soggiace il
concorrente, trova risposta nel principio
ubi commoda, ibi incommoda.
Conseguentemente, chi si avvale dei
requisiti di terzi sul piano della
partecipazione a gare pubbliche, risente
delle conseguenze, sullo stesso piano, delle
eventuali responsabilità (C.S., Sez. V,
05.11.2014, n. 5470, Sez. III, 12.12.2018,
n. 7022).
Altro orientamento tende invece a
valorizzare la disciplina del Codice dei
Contratti pubblici (artt. 110, c .3 e 4,
161) e della legge fallimentare (186-bis
R.D. 16.03.1942, n. 267), nella parte in cui
prevedono, a determinate condizioni, la
possibilità che anche l’impresa soggetta a
fallimento partecipi alle gare, ritenendo
che, in mancanza di un’espressa
disposizione, non sia possibile adottare
un’interpretazione che estenda l’operatività
dell’esclusione ad ipotesi non espressamente
previste, in aderenza al principio di
tassatività di cui all’art. 83, c. 8, del
Codice dei Contratti (TAR Campania, Sez. IV,
26.11.2019 n. 5585).
II.3) Anche quest’ultimo orientamento,
richiede tuttavia che il concorrente
fornisca la prova di una cesura tra le due
gestioni, tale da dimostrare la sua completa
disponibilità del compendio aziendale.
Nel caso di specie, la stazione appaltante
non ha tuttavia proceduto ad effettuare
alcuna verifica in merito, ciò che sarebbe
stato invece necessario, considerato tra
l’altro che le due società esercitano
attività identiche, i relativi
amministratori hanno il medesimo cognome, e
che la sentenza di fallimento ha evidenziato
“reiterati inadempimenti al pagamento dei
tributi”, pari a circa 280.000 euro, di
cui 41.000 già iscritti a ruolo.
La stessa controinteressata dà atto di come
la giurisprudenza amministrativa abbia
escluso i concorrenti in considerazione
della continuità imprenditoriale tra
affittante ed affittuario, “allorquando
tra le due entità non risultassero
intercorrere né una reale ed effettiva
cesura, né chiari fenomeni di dissociazione”,
affermando che “nel caso di specie non
esiste nessuna contiguità tra affittante ed
affittuario”, ciò che tuttavia non è
stato minimamente accertato da parte della
stazione appaltante.
Secondo quest’ultima, “manca nel ricorso
il benché minimo principio di prova in
ordine alla sussistenza di un’effettiva
continuità imprenditoriale dal punto di
vista soggettivo tra l’affittante e
l’affittuaria partecipante alla gara, che
possa giustificare una sanzione espulsiva
per condotte ascrivibili all’affittante”,
ciò che tuttavia avrebbe dovuto essere
accertato dalla stazione appaltante, in sede
procedimentale (v. C.S., Sez. V, n.
5470/2014 cit.), secondo cui la continuità
imprenditoriale tra l'affittuario e
l'affittante risulta insita in re ipsa
nello stesso trasferimento della
disponibilità economica di una parte
dell'azienda ad altra impresa,
giuridicamente qualificabile come affitto,
ad eccezione della sola ipotesi in cui il
cessionario abbia fornito la prova di una
completa cesura tra le gestioni.
In conclusione, il ricorso principale va
pertanto accolto, dovendosi conseguentemente
annullare l’ammissione della
controinteressata alla procedura, da cui
consegue che il ricorso proposto con i
motivi aggiunti, con cui l’istante ha
censurato il giudizio di anomalia
dell’offerta, conseguente
all’aggiudicazione, diviene improcedibile,
per sopravvenuta carenza di interesse. |
APPALTI: Commissione
giudicatrice – Adempimenti per la nomina.
Domanda
In una procedura di gara con offerta economicamente più vantaggiosa, per una
corretta nomina della commissione giudicatrice è sufficiente che il
Responsabile adotti il provvedimento di nomina, previa acquisizione dei soli
curriculum, e successiva pubblicazione dei citati atti su Amministrazione
trasparente, nella sezione Bandi – composizione della commissione
giudicatrice e curricula, oppure occorre acquisire ulteriore documentazione?
Risposta
La nomina della commissione giudicatrice in una procedura di gara è
possibile definirla come una fase dell’affidamento che richiede diversi
adempimenti e verifiche. Piuttosto corpose [1]
sono le disposizioni che disciplinano la costituzione della commissione,
così come numerose le pronunce giurisprudenziali sulla legittimità della
nomina e sull’operato di questo collegio.
In attesa di un definitivo superamento, almeno si auspica, dell’art. 77, co.
3, del codice, che riguarda la scelta dei commissari fra gli esperti
iscritti all’albo istituito presso ANAC (norma sospesa fino al 31.12.2020),
al momento, ai sensi dell’art. 216, co. 12, del d.lgs. 50/2016, la
commissione giudicatrice deve essere nominata dall’organo della stazione
appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del
contratto, secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente
individuate da ciascuna stazione appaltante.
Questa fase di individuazione dei commissari, non si esaurisce tuttavia nel
solo provvedimento di costituzione e pubblicazione dei curricula, ma
presuppone ulteriori diversi adempimenti che si differenziano a seconda che
i commissari siano scelti all’interno della Stazione Appaltante, ovvero
all’esterno della stessa, e in quest’ultimo caso distinguendo le ipotesi di
soggetti dipendenti pubblici piuttosto che liberi professionisti/altro:
Si riportano di seguito i principali adempimenti che riguardano la nomina
della Commissione giudicatrice:
• richiesta di autorizzazione alla pubblica amministrazione di
appartenenza nel caso di commissario esterno all’ente dipendente di una
pubblica amministrazione;
• acquisizione dichiarazione ex art. 53, co. 7 e 10, del d.lgs.
165/2001 della pubblica amministrazione di appartenenza nel caso di
commissario esterno all’ente;
• acquisizione dichiarazione ex art. 15, co. 1, del d.lgs. 33/2013
nel caso di commissario esterno NON dipendente di una pubblica
amministrazione (tale dichiarazione deve essere trasmessa all’ufficio
interno competente alla pubblicazione dei dati in Amministrazione
trasparente, sotto-sezione collaboratori e consulenti, anche tramite il link
ipertestuale del sistema PerlaPa)
• acquisizione dei Curriculum da pubblicarsi in Amministrazione
trasparente, sotto sezione Bandi di gara e contratti – composizione della
commissione giudicatrice e curricula, nonché sul Sistema Contratti Pubblici
del Ministero/Osservatorio regionale;
• attestazione da parte del Responsabile che procede alla nomina
dell’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni anche potenziali di
conflitto di interesse ai sensi dell’art. 53, co. 14, del d.lgs. 165/2001
(da trasmettere all’ufficio interno competente alla pubblicazione dei dati
in Amministrazione trasparente, sotto-sezione collaboratori e consulenti,
anche tramite il link ipertestuale del sistema PerlaPa);
• acquisizione dichiarazione inesistenza cause di esclusione di cui
ai punti 3.1 e ss. delle linee guida n. 5, e cause di incompatibilità di cui
ai cc. 4, 5 e 6 dell’art. 77, del d.lgs. 50/2016 e contestuale accettazione
incarico, previa determinazione del compenso nel caso di commissario
esterno;
• acquisizione dichiarazione inesistenza cause di incompatibilità
di cui al co. 6 dell’art. 77, del d.lgs. 50/2016 del segretario
verbalizzante;
• adozione del provvedimento di nomina della Commissione
giudicatrice da pubblicarsi in Amministrazione trasparente, sotto sezione
Bandi di gara e contratti – composizione della commissione giudicatrice e
curricula, nonché sul Sistema Contratti Pubblici del Ministero/Osservatorio
regionale;
• verifica a campione delle dichiarazioni.
---------------
[1] Regolamento interno della stazione appaltante; Linee guida ANAC n. 5
“Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti
nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni
giudicatrici” (cfr. art. 1, co. 1. lett.. c) del d.l. n. 32/2019 convertito
in L. 14.06.2019 n. 55 che sospende l’applicazione dell’art. 77, co. 3,
relativo all’obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti iscritti
all’Albo fino al 31.12.2020); D.M. 12.02.2018 “Determinazione della tariffa
di iscrizione componenti delle commissioni giudicatrici e relativi compensi”
(Annullato dal TAR Lazio, sez. I, sent. 31.05.2019 n. 6926); Linee guida
ANAC n. 15 “Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle
procedure di affidamento di contratti pubblici”; Delibera ANAC n. 25 del
15.01.2020 “Indicazioni per la gestione di situazioni di conflitto di
interesse a carico dei componenti delle commissioni di gara per
l’affidamento di contratti pubblici”; art. 15, co. 1, del d.lgs. 33/2013;
art. 29 del d.lgs. 50/2016 (22.07.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI: In
tema di false dichiarazioni rese dall'operatore economico nell'ambito delle
gare di appalto, va precisato che il concetto di "falso", nell'ordinamento
vigente, si desume dal codice penale, nel senso di attività o dichiarazione
consapevolmente rivolta a fornire una rappresentazione non veritiera.
Dunque, il falso non può essere meramente colposo, ma deve essere doloso.
---------------
7. L’appello è infondato e non merita di essere accolto.
7.1. Quanto al valore dell’inadempimento dell’appellata in relazione al
precedente contratto deve evidenziarsi come il giudice di prime cure abbia
ritenuto correttamente trattarsi non di una grave inadempienza che avrebbe
potuto portare alla risoluzione del contratto, ma al più ad una mancanza che
avrebbe comportato l’applicazione di una penale.
Questa valutazione appare corretta alla luce dell’art. 15 del capitolato
speciale d’appalto, secondo il quale per manchevolezze e deficienze nella
qualità del servizio è facoltà dell’Amministrazione applicare una penale,
che verrà quantificata dal Direttore dell’esecuzione del contratto,
discrezionalmente ed insindacabilmente, in base alla gravità e alla durata
dell’inadempienza, nonché ai disagi arrecati e/o all’entità delle
conseguenze derivanti.
Lo stesso art. 15 nel determinare l’ammontare delle penali prevede
espressamente alla lett. b): “una penale di € 2.000,00 cadauna per le
prime due contestazioni formali, nel caso di mancata sostituzione di un
operatore risultato non idoneo e adeguato al servizio…”.
La questione, peraltro, non risulta approfonditamente trattata
dall’appellante, che pone l’accento sulla necessità di esclusione per la
presunta falsità delle dichiarazioni rilasciate dall’appellata.
Ora, in disparte la questione relativa alla corretta indicazione della norma
di riferimento sollevata dall’appellata, deve rilevarsi che la risposta
fornita dall’appellata nella nota del 23.01.2019 non ha capacità di indurre
in inganno la stazione appaltante, considerato che quanto dichiarato
risponde al vero, ossia lo svolgimento del pregresso servizio avveniva con
personale non formato in prevenzione incendi e primo soccorso e che una
simile circostanza non risulta smentito fosse stato, sia pure erroneamente,
condiviso con la stessa amministrazione. Quello che difetta in definitiva è
quell’immutatio veri potenzialmente in grado di incidere sul processo
decisionale della stazione appaltante, che aveva al contrario tutti gli
elementi per valutare se l’adempimento da parte dell’appellata fosse
corretto o meno. Da qui si desume come non si sia in presenza di una “falsa
dichiarazione”.
Del resto questo Consiglio (Cons. St., 12.05.2020, n. 2976) ha già avuto
modo di precisare che: “In tema di false dichiarazioni rese
dall'operatore economico nell'ambito delle gare di appalto, va precisato che
il concetto di "falso", nell'ordinamento vigente, si desume dal codice
penale, nel senso di attività o dichiarazione consapevolmente rivolta a
fornire una rappresentazione non veritiera. Dunque, il falso non può essere
meramente colposo, ma deve essere doloso.”.
Nella fattispecie non può a tal riguardo ritenersi irrilevante il
comportamento serbato dalla stessa amministrazione, che ha avvalorato nel
corso dell’esecuzione del contratto quanto rappresentato dall’appellata.
La pronuncia di prime cure, nella misura in cui la stessa risulta contestata
in secondo grado, merita, pertanto, merita conferma per ciò che concerne la
reiezione del ricorso incidentale
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.07.2020 n. 4660 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Divieto
di offerte in aumento nelle gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
---------------
Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Offerte in aumento -
Aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa -
Art. 59, comma 4, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 – Divieto.
Nelle gare da aggiudicare con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa principio del divieto delle
offerte in aumento trova espressa previsione nella disposizione dell’art.
59, comma 4, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, con la quale il legislatore ha
recepito l’orientamento della giurisprudenza che aveva affermato, sotto il
vigore del precedente testo del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, la sussistenza,
in via implicita, del predetto divieto (1).
---------------
(1)
Cons. Stato, sez. III, 29.05.2017, n. 2542.
La Sezione ha chiarito che l’art. 59, d.lgs. n. 50 del 2016 in parola non va
tuttavia interpretato in modo formale ed isolato, ma in modo sostanziale e
sistematico, tenendo conto della peculiarità del caso concreto (ossia delle
caratteristiche della gara e del criterio di aggiudicazione prescelto).
Nell’art. 59 l’espressione “offerte” è declinata al plurale, anziché
al singolare (come in altre previsioni del codice), il che lascia intendere
come essa si riferisca non solo al “prezzo” della complessiva offerta della
prestazione oggetto di gara, ma altresì ai “prezzi” posti “a base
di gara” delle singole prestazioni di cui si compone l’appalto secondo
le valutazioni espresse dall’amministrazione nell’esercizio della propria
autonomia negoziale.
La portata dell’art. 59 va inoltre definita alla luce dei principi di
imparzialità dell’azione amministrativa e di tutela della par condicio
dei concorrenti che, in virtù dell’influenza del diritto europeo, devono
essere garantiti in via prioritaria nelle procedure ad evidenza pubblica.
Le gare che prevedono il criterio di aggiudicazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa si risolvono nella scelta dell’offerta che si
presenta come la migliore sotto il profilo tecnico e che, al contempo, si
contraddistingue per offrire il prezzo più basso. Tale criterio di scelta
realizza una doppia competizione tra gli operatori sia sotto profilo tecnico
che economico, con una preponderante prevalenza per la componente tecnica
poiché il punteggio complessivo da attribuire all’offerta deve prevedere “un
tetto massimo per il punteggio economico entro il limite del 30 per cento”.
Come ricordato, i criteri di aggiudicazione “garantiscono la possibilità
di una concorrenza effettiva” e la stazione appaltante, “al fine di
assicurare l'effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo
[…] individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale
effettivo sui profili tecnici” (art. 95, commi 1 e 10-bis, d.lgs. n. 50
del 2016).
La stazione appaltante è, pertanto, chiamata ad individuare prima e
applicare dopo i criteri di aggiudicazione in modo coerente con il fine di
garantire un “confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici”
dell’offerta. In questo contesto, l’importo a base d’asta gioca un ruolo
fondamentale per il regolare svolgimento del “confronto concorrenziale
sui profili tecnici” poiché esso fissa il limite estremo al di sopra del
quale non è possibile offrire e quindi, specularmente, fissa il limite
all’interno del quale dovrà svolgersi la competizione in relazione alla
componente tecnica.
Una volta stabilita la soglia massima di offerta per una data prestazione o
servizio (ossia il prezzo che l’amministrazione è disposta a corrispondere),
i concorrenti sono consapevoli che non saranno presi in considerazione in
relazione a quella specifica prestazione o servizio (che in senso generico
possono essere definiti “prodotti”) offerte che presentano un costo
superiore a quello di soglia massima. La previa fissazione di una soglia
massima di offerta impone allora agli operatori di calibrare le proprie
offerte tecniche in relazione al costo economico che dovranno sostenere per
i “prodotti” da offrire e che sarà poi remunerato dalla stazione
appaltante a seguito dell’aggiudicazione.
Proprio nelle gare da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, dove la componente tecnica assume un peso
relativo maggiore rispetto a quella economica, il valore tecnico del “prodotto”
è strettamente parametrato al prezzo offerto. Il rigoroso rispetto della
soglia massima di offerta, che l’amministrazione può decidere di porre “a
base di gara”, consente che il confronto concorrenziale si svolga in
modo effettivo ed imparziale; diversamente, il superamento della soglia si
risolve nella inesorabile violazione del principio di imparzialità e di
tutela della par condicio, alterando di fatto il confronto
concorrenziale “sui profili tecnici” dell’offerta oppure favorendo
comportamenti opportunistici dei concorrenti che potrebbero fare affidamento
su condotte amministrative non rispettose degli auto-vincoli posti in gara
oppure ancora agevolando comportamenti ondivaghi della commissione
esaminatrice destinati a refluire in esiti difformi tra loro.
In questo caso, il concorrente che -eludendo le disposizioni di gara- riesce
ad offrire un “prodotto” superiore dal punto di vista tecnico, verrà
di fatto avvantaggiato dalla commissione in sede di valutazione della
componente tecnica, ricevendo così, per questa componente, un punteggio
superiore a scapito degli operatori rispettosi della legge di gara.
Il mancato rispetto della soglia massima di offerta consentirà, infatti, al
concorrente di mettere a disposizione della stazione appaltante un “prodotto”
ad un prezzo superiore alla soglia e quindi verosimilmente un “prodotto”
superiore (anche) dal punto di vista tecnico rispetto ad un omologo “prodotto”
che, avendo un costo inferiore, è obiettivamente posizionato in un segmento
di mercato meno performante
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 20.07.2020 n. 8462 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE: Il
principio di equivalenza delle specifiche
tecniche applicabile indipendentemente dalle
previsioni della lex specialis.
Allorché
le offerte devono recare per la loro
idoneità elementi corrispondenti a
specifiche tecniche, il legislatore ha
inteso introdurre il criterio
dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi
deve essere una conformità formale ma
sostanziale con le specifiche tecniche, in
modo che le stesse vengano comunque
soddisfatte, con la conseguenza che, in
attuazione del principio comunitario della
massima concorrenza –finalizzata a che la
ponderata e fruttuosa scelta del miglior
contraente non debba comportare ostacoli non
giustificati da reali esigenze tecniche–, i
concorrenti possono sempre dimostrare che la
loro proposta ottemperi in maniera
equivalente allo standard prestazionale
richiesto e che il riferimento negli atti di
gara a specifiche certificazioni o
caratteristiche tecniche non consente alla
stazione appaltante di escludere un
concorrente respingendo l’offerta che
possieda una certificazione equivalente o
rechi caratteristiche tecniche perfettamente
corrispondenti allo specifico standard
voluto.
---------------
Il principio di
equivalenza trova applicazione
indipendentemente da espressi richiami nella lex specialis di gara, vertendosi in tal
caso in una delle ipotesi di
eterointegrazione di quest’ultima da parte
della normativa primaria, considerato che
l’art. 68 del Codice dei contratti pubblici
rappresenta una norma a generale attitudine
imperativa.
Corollario del procedimento di
eterointegrazione è l’assenza di un onere di
immediata impugnazione del bando in capo
all’operatore che intende beneficiarne,
visto che, nel caso in cui la Stazione
appaltante ometta di inserire nella
disciplina di gara un contenuto previsto
come obbligatorio dall’ordinamento
giuridico, soccorre al riguardo il suddetto
meccanismo di integrazione automatica
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.07.2020 n. 1386 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
3. Quanto
alla parte del ricorso riferita
all’impugnazione delle risultanze della gara
riguardanti il lotto 10 (relativo alla
fornitura di “artroprotesi primaria non
cementata – conservazione di collo”), la
stessa è fondata.
3.1. La ricorrente sostiene che la mancata
attribuzione al prodotto dalla stessa
offerto del punteggio legato al possesso di
una certificazione equivalente al rating
ODEP le avrebbe illegittimamente impedito il
superamento –nel lotto 10– della soglia di
sbarramento di 40 punti (si ipotizza, in
caso contrario, l’attribuzione di almeno
60,50 punti da riparametrarsi).
L’ODEP è un database nel quale, su espressa
richiesta dei produttori, vengono registrati
e quindi certificati i dispositivi protesici
che garantiscono un elevato livello
qualitativo; la Stazione appaltante ha
ritenuto che il possesso del rating ODEP
fosse assolutamente rilevante, al punto da
riconoscere per questo l’assegnazione della
metà dei punti qualità (40 su 80 totali), da
correlare altresì alla previsione di una
soglia di sbarramento fissata a 40 punti, al
di sotto della quale sarebbe stata impedita
l’ammissione alla fase di apertura
dell’offerta economica.
Peraltro,
nell’ambito dei chiarimenti resi, la
Stazione appaltante ha precisato che, con
riguardo al rating ODEP, «L’OE può sempre
far riferimento al principio di equivalenza
come indicato all’art. 68 del DLgs 50/2016.
Secondo quanto già precisato dal Capitolato
tecnico, in tal caso, occorre addurre debite
evidenze che supportino l’equivalenza
tecnica proposta. In ogni caso è sempre in
capo alla commissione accettare o rigettare
detta equivalenza» (risposta al chiarimento
35: all. 13 al ricorso).
Tuttavia, in sede di valutazione delle
offerte, la Commissione non ha affatto
proceduto a verificare l’equivalenza del
prodotto offerto dalla ricorrente rispetto a
quelli muniti di rating ODEP, evidenziando
che risulta «pacifico che la classificazione
[ODEP] abbia un valore oggettivo. Laddove si
considerasse la possibilità di equipollenza
fra letteratura ed ODEP, la Commissione
dovrebbe procedere con un esame soggettivo
della letteratura per attribuire un
punteggio tecnico, secondo un metodo
“discrezionale” strettamente cucito sulla
protesi del concorrente. Si tratterebbe così
di un esame parziale dei dati scientifici
rispetto alla più complessa analisi che ODEP
conduce. La valutazione peraltro non
passerebbe attraverso un preciso standard o
una precisa tabulazione di fattori operata
al pari per tutte le protesi, ma sarebbe
operata solo in relazione alla protesi
offerta. In conclusione, la Commissione per
confermare l’equivalenza della letteratura
ad ODEP dovrebbe operare una valutazione
analoga a quella che ODEP fa dei dati
scientifici per inserire una protesi nei
propri registri. La Commissione ritiene
improbabile ed impossibile procedere con una
siffatta valutazione in quanto –come detto- potrebbe operare solo una analisi
strettamente soggettivata, non disponendo
della tabulazione predefinita rispetto alla
quale pesare i dati messi a disposizione dal
concorrente. Si tratterebbe dunque di una
valutazione non solidamente strutturata per
validare la vita e la durata di un impianto.
Dunque, si ritiene impossibile che ODEP sia
surrogabile dalla letteratura» (verbale n.
9: all. 7 al ricorso).
Il rifiuto della Commissione di procedere
alla verifica di equivalenza, prescindendo
dalla letteratura e dagli elementi offerti
dalla ricorrente al fine di supportare il
predetto giudizio di equivalenza (per il
lotto 10, all. 14 al ricorso), si pone in
diretta violazione dell’art. 68 del D.Lgs.
n. 50 del 2016, che garantisce agli
operatori economici la possibilità di
dimostrare, nel corso della procedura,
l’equivalenza del prodotto offerto rispetto
ad un altro munito di specifiche
caratteristiche tecniche o di
certificazioni.
In tal senso, la
giurisprudenza ha evidenziato che, «allorché
le offerte devono recare per la loro
idoneità elementi corrispondenti a
specifiche tecniche, il legislatore ha
inteso introdurre il criterio
dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi
deve essere una conformità formale ma
sostanziale con le specifiche tecniche, in
modo che le stesse vengano comunque
soddisfatte, con la conseguenza che, in
attuazione del principio comunitario della
massima concorrenza –finalizzata a che la
ponderata e fruttuosa scelta del miglior
contraente non debba comportare ostacoli non
giustificati da reali esigenze tecniche–, i
concorrenti possono sempre dimostrare che la
loro proposta ottemperi in maniera
equivalente allo standard prestazionale
richiesto e che il riferimento negli atti di
gara a specifiche certificazioni o
caratteristiche tecniche non consente alla
stazione appaltante di escludere un
concorrente respingendo l’offerta che
possieda una certificazione equivalente o
rechi caratteristiche tecniche perfettamente
corrispondenti allo specifico standard
voluto (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez.
III, 28.06.2019 n. 4459)» (TAR
Lombardia, Milano, II, 16.09.2019, n.
1991; con riguardo al rating ODEP, anche 30.09.2019, n. 2058).
Va, da ultimo, sottolineato come il
principio di equivalenza trovi applicazione
indipendentemente da espressi richiami nella
lex specialis di gara, vertendosi in tal
caso in una delle ipotesi di
eterointegrazione di quest’ultima da parte
della normativa primaria, considerato che
l’art. 68 del Codice dei contratti pubblici
rappresenta una norma a generale attitudine
imperativa (in tal senso, Consiglio di
Stato, III, 18.09.2019, n. 6212; 27.11.2018, n. 6721; TAR Lombardia,
Milano, II, 23.10.2019, n. 2215);
corollario del procedimento di eterointegrazione è l’assenza di un onere di
immediata impugnazione del bando in capo
all’operatore che intende beneficiarne,
visto che, nel caso in cui la Stazione
appaltante ometta di inserire nella
disciplina di gara un contenuto previsto
come obbligatorio dall’ordinamento
giuridico, soccorre al riguardo il suddetto
meccanismo di integrazione automatica
(Consiglio di Stato, III, 18.07.2017, n.
3541).
3.2. A ciò consegue l’illegittimità
dell’esclusione della ricorrente Ad.Or.
dalla procedura relativa al lotto 10 (“artroprotesi
primaria non cementata – conservazione di
collo”), in quanto la Commissione non ha
proceduto alla valutazione dell’equivalenza
del prodotto offerto dalla stessa rispetto
ai prodotti muniti del rating ODEP.
3.3. In conseguenza di ciò, la Stazione
appaltante, per il tramite di una
Commissione in diversa composizione –al
fine di garantire il rispetto del principio
di imparzialità e la par condicio tra i
concorrenti (cfr. C.G.A.R.S., 18.09.2019, n. 823; Consiglio di Stato, III, 15.11.2018, n. 6439; TAR
Lombardia, Milano, II, 28.02.2020, n.
399)–, dovrà provvedere a vagliare
l’asserita equivalenza del prodotto offerto
dalla ricorrente nel lotto 10, sulla base
della documentazione che quest’ultima ha
prodotto in sede di gara, e ad assumere le
conseguenti determinazioni.
La parziale
rinnovazione della procedura selettiva
soddisfa pienamente la pretesa della
ricorrente ed esonera il Collegio dal
provvedere sulla domanda di “dichiarazione
di inefficacia della Convenzione di Accordo
quadro e degli appalti specifici medio tempore stipulati”, giacché –al di fuori
delle ipotesi di violazioni più gravi in
materia di aggiudicazione degli appalti
contemplate dall’art. 121 cod. proc. amm.–
è consentito al giudice disporre
l’inefficacia del contratto stipulato
all’esito di un procedimento illegittimo
“nei casi in cui il vizio
dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo
di rinnovare la gara” (art. 122 cod. proc.
amm.), nell’assunto per cui, se
l’accertamento dell’oggettiva illegittimità
determina il travolgimento (totale o
parziale) della procedura di gara e il
conseguente obbligo di rinnovarne le fasi,
non si porrà neppure in via di principio la
questione se consentire il subentro da parte
del ricorrente vittorioso, la cui posizione
in gara potrebbe essere comunque compromessa
dal travolgimento della gara (o di una sua
fase), non consentendo il subentro
(Consiglio di Stato, V, 21.08.2017, n.
4050). |
APPALTI: Pubblicità
legale e amministrazione trasparente.
Domanda
Per il raggiungimento delle finalità previste dalla pubblicità legale di
bandi o avvisi è sufficiente pubblicare nella sezione “Amministrazione
trasparente” ed in particolare nelle varie sotto-sezioni individuate in
base alla tipologia di prestazione?
Risposta
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 14.03.2013 n. 33 “Riordino della
disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di
pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle
pubbliche amministrazione”, ed in particolare dell’art. 37 si sono
delineati due sistemi diversi di pubblicità in materia di contratti pubblici
di appalti e concessioni. Uno che attiene agli obblighi di pubblicità
legale, ed un altro legato al concetto di trasparenza quale strumento di
controllo da parte dei cittadini sull’attività amministrativa e
sull’utilizzo corretto delle risorse pubbliche, anche quale misura di
prevenzione della corruzione.
Tale articolo va collegato con le disposizioni codicistiche e con il decreto
del MIT del 02.12.2016 “Definizione degli indirizzi generali di
pubblicazione degli avvisi e dei bandi di cui gara di cui agli artt. 70, 71
e 98 del d.lgs. 50/2016”, operazione non particolarmente semplice per il
difetto di coordinamento di alcune disposizioni.
Nello specifico gli artt. 72, 73 e 98 del d.lgs. 50/2016 riguardano quella
forma di pubblicità che possiamo definire indispensabile per la validità
stessa delle procedure, essendo finalizzata a rendere le gare conoscibili e
accessibili per l’attuazione di quell’imprescindibile principio comunitario
in materia di appalti e concessioni, ossia la libera concorrenza.
Affinché tale forma di pubblicità produca gli ulteriori effetti giuridici
che gli sono propri, e quindi in base al valore delle procedure, la
decorrenza ad esempio dei termini per la partecipazione, nonché quelli
relativi all’impugnazione dei bandi di gara e/o avvisi, si ritiene che gli
stessi debbano essere pubblicati sul profilo committente, nella sezione
dedicata, denominata Bandi di gara, direttamente raggiungibile dalla home
page, con funzione appunto di albo on-line (cfr. art. 4 del d.P.C.M. del
26.04.2011 “Pubblicazione nei siti web di atti e provvedimenti su
procedure ad evidenza pubblica o di bilanci”).
Il richiamo al profilo committente, come sezione diversa rispetto
all’Amministrazione trasparente, di cui ovviamente si consiglia un link di
collegamento per evidenti ragioni di semplificazione, sembra ricavarsi anche
da una lettura combinata degli artt. 73, co. 4, 36, co. 9, del d.lgs.
50/2016, art. 2, co. 1 del D.M. 02.12.2016.
In “Amministrazione trasparente” vengono poi pubblicate sia le
informazioni in formato tabellare di cui all’art. 1, co. 32, della l.
190/2012, nonché tutte quelle previste dallo stesso codice dei contratti ed
in particolare dall’art. 29, come specificate nella delibera ANAC n. 1310
del 28.12.2016 “Prime linee guida recanti indicazione sull’attuazione
degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni
contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato da d.lgs. 97/2016”. Elenco
che richiama anche la pubblicazione di bandi, avvisi ed esiti, seppur per
finalità diverse.
Probabilmente la volontà del legislatore era quella di attribuire all’“Amministrazione
trasparente” la doppia funzione di pubblicità legale e di informazione
generale, tanto che molte amministrazioni hanno eliminato la sezione
dedicata di cui al sopra citato d.P.C.M. 26.04.2011.
Tuttavia, in assenza di un chiarimento a livello prudenziale si consiglia di
mantenere separate le due sezioni prevedendo nell’home page sia
quella denominata “Bandi di gara” ove pubblicare tutti i bandi, gli
avvisi e gli esiti, con un link diretto all’“Amministrazione trasparente”
e alle varie sotto-sezioni di riferimento (15.07.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI: Principio
di invarianza della soglia di anomalia delle offerte e delle medie delle
procedure.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerte anomale – Principio di
invarianza della soglia di anomalia e delle medie delle procedure –
Concorrente soggetto a riserva di verifica dei requisiti – Inapplicabilità.
Il principio d’invarianza della soglia di anomalia
delle offerte e delle medie delle procedure, sancito dall’art. 95, comma 15,
d.lgs. n. 50 del 2016 non trova applicazione con riferimento ad assetti non
definitivi, soggetti a riserva di verifica dei requisiti da parte delle
stazioni appaltanti (1).
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(1) Ha chiarito il
Tar che il principio d’invarianza della soglia di anomalia delle offerte e
delle medie delle procedure, sancito dall’art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50
del 2016 (secondo cui ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza
di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione,
regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo
di medie nella procedura, né per l'individuazione della soglia di anomalia
delle offerte) è inteso a salvaguardare e rendere prioritario l’interesse
delle amministrazioni alla continuità degli assetti giuridico/economici da
esse stesse costituiti, quale espressione del principio di efficienza
dell’azione pubblica, con l’escludere che mutamenti nella compagine
concorrenziale delle procedure di appalto possano rimettere in discussione
paradigmi definiti e consolidati dalla chiusura di alcuna delle fasi di
gara, con riguardo alla determinazione della soglia di anomalia o al calcolo
delle medie per i punteggi attribuiti alle offerte.
Ma per le stesse logiche deve essere escluso che detto principio trovi
applicazione con riferimento ad assetti non definitivi, soggetti a riserva
di verifica dei requisiti da parte delle stazioni appaltanti.
Come nelle fattispecie di aggiudicazione provvisoria, laddove la gara non è
definitivamente conclusa e la definitiva aggiudicazione è subordinata
all’accertamento dei requisiti dichiarati dalle imprese concorrenti sia per
l’ammissione in gara che per le offerte. In queste circostanze non sono
apprezzabili interessi delle stazioni appaltanti alla continuità delle
scelte operate, le quali sono per volontà delle stesse amministrazioni
soggette alla riserva delle verifiche.
Consegue che sia la soglia di anomalia che le medie possono, e debbono,
essere rimodulate all’esito degli accertamenti compiuti qualora conclusi
dall’esclusione della compagine imprenditoriale aggiudicataria in via
provvisoria, per accertata assenza di requisiti soggettivi o dell’offerta
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 13.07.2020 n. 269 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE: Imputazione
a bilancio delle fatture per conguaglio di utenze: il recente parere della
corte dei conti valdostana.
Domanda
A fine maggio ho ricevuto alcune fatture per conguagli delle utenze di luce
e acqua relative al 2019. Non avendo conservato alcun residuo passivo a
consuntivo, è possibile impegnarle sul 2020?
Risposta
Il tema posto dal lettore si presenta con una certa frequenza agli uffici
finanziari e agli uffici tecnici dei comuni e meriterebbe un più ampio
approfondimento. Molto spesso le fatture a conguaglio delle utenze
pervengono nell’anno successivo a quello di riferimento. Come comportarsi
allora?
Su di esso le sezioni regionali della Corte dei conti sono intervenute più
volte in passato. Di recente lo ha fatto la sezione Valle d’Aosta con il
parere 24.04.2020 n. 4 in risposta ad un quesito posto dal comune
di Saint-Vincent.
Il quesito posto atteneva a fatture relative a consumi dell’anno 2019 per le
quali non è stato possibile assumere il relativo impegno di spesa nel corso
dell’anno passato. Va evidenziato che in esso non si precisava se le fatture
fossero state emesse nel 2020 o nel 2019. La sezione regionale afferma che
quelle per utenze sono il tipico esempio di spese a carattere continuativo,
per le quali la somma da pagare non è determinata, bensì solo genericamente
determinabile a priori.
Il relativo impegno di spesa è pertanto inevitabilmente presunto. Qualora
poi, nel corso dell’esercizio emergano maggiori somme dovute rispetto a
quelle impegnate, l’ordinamento contabile prevede appositi strumenti di
copertura, quali la variazione di bilancio (art. 175 TUEL) o il prelevamento
dal fondo di riserva (artt. 166 e 176 TUEL), di competenza, rispettivamente,
dell’organo consiliare e dell’organo esecutivo dell’ente locale.
Per la sezione valdostana siamo in presenza di un debito fuori bilancio
riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL.
Diversamente, sostiene la Corte, verrebbe disatteso il principio per il
quale gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste il previo
impegno contabile, registrato sul competente programma del bilancio di
previsione e la relativa attestazione di copertura finanziaria.
Il bilancio di previsione è triennale ed autorizzatorio e, come tale
costituisce “(…) limite, partitamente per ciascuno degli esercizi
considerati, ai relativi impegni e pagamenti (…)”. Non è possibile,
conclude la Corte, “(…) allocare le maggiori somme maturate nel corso
dell’esercizio finanziario di competenza su impegni di spesa relativi a
programmi di bilancio di anni successivi (…)”.
Il parere sopra illustrato è tranchant e non lascia dubbi, né
alternative. Esso si pone però in netto contrasto con un parere reso nel
2015 dalla sezione Lombardia a fronte di analogo quesito. Con
proprio parere 23.02.2015 n. 82 essa era giunta a conclusioni
diametralmente opposte e ben più condivisibili.
Dopo un’interessante disamina degli strumenti del ‘debito fuori bilancio’
e delle ‘passività pregresse’, nonché delle distinte nozioni di ‘competenza
finanziaria’ e di ‘competenza economica’ che, afferma la Corte, “(…)
tendono a disallinearsi, vale a dire [che] l’imputazione temporale di un
costo è di norma diversa da quella che caratterizza l’esigibilità del
credito da parte del creditore (…)”, giunge alle seguenti conclusioni: “(…)
appare evidente che il debito in questione, relativo a conguagli per il
consumo di energia elettrica in esercizi finanziari differenti, è per
competenza finanziaria riferibile solo all’anno delle liquidazione degli
importi; pertanto, l’imputazione al bilancio non può che avvenire nell’anno
della comunicazione della fattura con la procedura ordinaria di spesa (art.
191 TUEL) mediante integrazione dell’impegno di spesa sino alla concorrenza
del dovuto e, in caso di incapienza dei capitoli, mediante le necessarie
variazioni di bilancio, sotto il controllo e il giudizio dell’organo
deputato ad autorizzare e controllare la spesa, vale a dire il Consiglio
comunale. Nel caso in cui, invece, al reperimento della fattura non sia
seguito nello stesso anno regolare impegno e correlativa formazione di
residui per gli anni successivi, esso costituirà debito fuori bilancio,
riconoscibile nei termini e alle condizioni di cui all’art. 194 TUEL (…)”.
Concludendo, il recente parere della sezione valdostana appare essere assai
più rigido di quello un po’ più datato, ma sicuramente più condivisile,
della sezione lombarda. Ancora una volta, sarebbe auspicabile un
orientamento univoco, che senz’altro darebbe maggiori certezze agli
amministratori e ai funzionari degli enti locali (13.07.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI: La
possibilità di formulare offerte integrative del progetto
organizzativo a base d'asta è espressamente riconosciuta dall'art. 95, comma
14, lett. a), del d.lgs. 50/2016, il vigente Codice dei contratti pubblici,
sicché, anche nel caso in cui le varianti non siano ammesse dalla lex
specialis, è tuttavia da considerarsi comunque possibile per i partecipanti
presentare proposte, soluzioni ovvero variazioni migliorative.
Al riguardo,
il punctum dolens della questione richiede di delimitare esattamente la
differenza tra le varianti ammissibili solo negli stretti limiti della
disposizione richiamata e di quelle ad essa correlate, e i miglioramenti
dell'offerta, sempre proponibili dai concorrenti.
In questo senso, in una
gara d'appalto, costituiscono proposte migliorative le precisazioni, le
integrazioni e gli adattamenti che siano elaborati allo scopo di rendere il
progetto prescelto meglio rispondente alle esigenze proprie della Stazione
appaltante, sempre che non vengano modificati ed alterati i caratteri
essenziali delle prestazioni richieste, in quanto ciò implicherebbe una
totale divergenza con radicale discostamento dall'oggetto della gara stessa.
Per distinguersi tra varianti (non consentite) e migliorie
(consentite), il Consiglio di Stato ha chiarito che “…in sede di gara
d'appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul
criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni
migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono
liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a
diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di
valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque
preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite
dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del
progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui
ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della
stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando
di gara e l'individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i
limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud
rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia
consentito”.
Ne consegue che “le proposte migliorative consistono pertanto in
soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e
sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o
singoli aspetti tecnici dell'opera, lasciati aperti a diverse soluzioni,
configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il
progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante,
senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
E’ stato anche precisato che “…la valutazione delle offerte tecniche come
pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta
quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione
appaltante costituisce espressione di un'ampia discrezionalità tecnica, con conseguente insindacabilità nel
merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove
non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da
irragionevolezza manifesta”.
---------------
2.1.- Giova premettere che, secondo affermata e condivisa
giurisprudenza, la possibilità di formulare offerte integrative del progetto
organizzativo a base d'asta è espressamente riconosciuta dall'art. 95, comma
14, lett. a), del d.lgs. 50/2016, il vigente Codice dei contratti pubblici,
sicché, anche nel caso in cui le varianti non siano ammesse dalla lex
specialis, è tuttavia da considerarsi comunque possibile per i partecipanti
presentare proposte, soluzioni ovvero variazioni migliorative.
Al riguardo,
il punctum dolens della questione richiede di delimitare esattamente la
differenza tra le varianti ammissibili solo negli stretti limiti della
disposizione richiamata e di quelle ad essa correlate, e i miglioramenti
dell'offerta, sempre proponibili dai concorrenti.
In questo senso, in una
gara d'appalto, costituiscono proposte migliorative le precisazioni, le
integrazioni e gli adattamenti che siano elaborati allo scopo di rendere il
progetto prescelto meglio rispondente alle esigenze proprie della Stazione
appaltante, sempre che non vengano modificati ed alterati i caratteri
essenziali delle prestazioni richieste, in quanto ciò implicherebbe una
totale divergenza con radicale discostamento dall'oggetto della gara stessa
(cfr. questa Sezione, 14.11.2019, n. 5366; TAR Emilia Romagna,
Parma, sez. I, 22.05.2019, n. 146).
2.2.- Per distinguersi tra varianti (non consentite) e migliorie
(consentite), il Consiglio di Stato ha chiarito che “…in sede di gara
d'appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul
criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni
migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono
liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a
diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di
valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque
preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite
dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del
progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui
ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della
stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando
di gara e l'individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i
limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud
rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia
consentito” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 24.10.2013, n. 5160;
Idem, 20.02.2014, n. 819; Idem, sez. VI, 19.06.2017, n. 2969;
Idem, sez. III, 19.12.2017, n. 5967; Idem, sez. V, 18.02.2019,
n. 1097; Idem, 15.01.2019, n. 374; per una disamina tra varianti
migliorative e varianti non conformi al progetto posto a base di gara cfr:
Cons. di Stato, V, 26.10.2018, n. 6121; sulla non fattibilità tecnica
della soluzione progettuale dell'offerente a causa della previsioni di
varianti non consentite: Cons. di Stato, V, 18.03.2019, n. 1749).
2.3.- Ne consegue che “le proposte migliorative consistono pertanto in
soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e
sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o
singoli aspetti tecnici dell'opera, lasciati aperti a diverse soluzioni,
configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il
progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante,
senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
E’ stato anche precisato che “…la valutazione delle offerte tecniche come
pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta
quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione
appaltante costituisce espressione di un'ampia discrezionalità tecnica (Cons.
Stato, sez. V, 14.05.2018, n. 2853), con conseguente insindacabilità nel
merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove
non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da
irragionevolezza manifesta (Cons. Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072; 14.11.2017, n. 5258)” (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 10.07.2020 n. 3006 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
possibilità di formulare offerte integrative del progetto organizzativo a
base d'asta è espressamente riconosciuta dall'art. 95, comma 14, lett. a),
del d.lgs. 50/2016, il vigente Codice dei contratti pubblici, sicché, anche
nel caso in cui le varianti non siano ammesse dalla lex specialis, è
tuttavia da considerarsi comunque possibile per i partecipanti presentare
proposte, soluzioni ovvero variazioni migliorative.
Al riguardo, il punctum dolens della questione richiede di delimitare
esattamente la differenza tra le varianti ammissibili solo negli
stretti limiti della disposizione richiamata e di quelle ad essa correlate,
e i miglioramenti dell'offerta, sempre proponibili dai concorrenti.
In questo senso, in una gara d'appalto, costituiscono proposte migliorative
le precisazioni, le integrazioni e gli adattamenti che siano elaborati allo
scopo di rendere il progetto prescelto meglio rispondente alle esigenze
proprie della Stazione appaltante, sempre che non vengano modificati ed
alterati i caratteri essenziali delle prestazioni richieste, in quanto ciò
implicherebbe una totale divergenza con radicale discostamento dall'oggetto
della gara stessa.
---------------
Per distinguersi tra varianti (non consentite) e migliorie
(consentite), il Consiglio di Stato ha chiarito che “…in sede di gara
d'appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul
criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni
migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono
liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a
diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di
valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque
preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite
dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del
progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui
ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della
stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando
di gara e l'individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i
limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud
rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia
consentito”.
Ne consegue che “le proposte migliorative consistono pertanto in soluzioni
tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla
tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o
singoli aspetti tecnici dell'opera, lasciati aperti a diverse soluzioni,
configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il
progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante,
senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
E’ stato anche precisato che “…la valutazione delle offerte tecniche come
pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta
quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione
appaltante costituisce espressione di un'ampia discrezionalità tecnica, con
conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi
attribuiti dalla commissione, ove non inficiate da macroscopici errori di
fatto, da illogicità o da irragionevolezza manifesta”.
---------------
2.1.- Giova premettere che, secondo affermata e condivisa giurisprudenza, la
possibilità di formulare offerte integrative del progetto organizzativo a
base d'asta è espressamente riconosciuta dall'art. 95, comma 14, lett. a),
del d.lgs. 50/2016, il vigente Codice dei contratti pubblici, sicché, anche
nel caso in cui le varianti non siano ammesse dalla lex specialis, è
tuttavia da considerarsi comunque possibile per i partecipanti presentare
proposte, soluzioni ovvero variazioni migliorative.
Al riguardo, il punctum dolens della questione richiede di delimitare
esattamente la differenza tra le varianti ammissibili solo negli stretti
limiti della disposizione richiamata e di quelle ad essa correlate, e i
miglioramenti dell'offerta, sempre proponibili dai concorrenti.
In questo senso, in una gara d'appalto, costituiscono proposte migliorative
le precisazioni, le integrazioni e gli adattamenti che siano elaborati allo
scopo di rendere il progetto prescelto meglio rispondente alle esigenze
proprie della Stazione appaltante, sempre che non vengano modificati ed
alterati i caratteri essenziali delle prestazioni richieste, in quanto ciò
implicherebbe una totale divergenza con radicale discostamento dall'oggetto
della gara stessa (cfr. questa Sezione, 14.11.2019, n. 5366; TAR Emilia
Romagna, Parma, sez. I, 22.05.2019, n. 146).
2.2.- Per distinguersi tra varianti (non consentite) e migliorie
(consentite), il Consiglio di Stato ha chiarito che “…in sede di gara
d'appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul
criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni
migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono
liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a
diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di
valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque
preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite
dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del
progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui
ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della
stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando
di gara e l'individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i
limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud
rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia
consentito” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 24.10.2013, n.
5160; Idem, 20.02.2014, n. 819; Idem, sez. VI, 19.06.2017, n. 2969; Idem,
sez. III, 19.12.2017, n. 5967; Idem, sez. V, 18.02.2019, n. 1097; Idem,
15.01.2019, n. 374; per una disamina tra varianti migliorative e varianti
non conformi al progetto posto a base di gara cfr: Cons. di Stato, V,
26.10.2018, n. 6121; sulla non fattibilità tecnica della soluzione
progettuale dell'offerente a causa della previsioni di varianti non
consentite: Cons. di Stato, V, 18.03.2019, n. 1749).
2.3.- Ne consegue che “le proposte migliorative consistono pertanto in
soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e
sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o
singoli aspetti tecnici dell'opera, lasciati aperti a diverse soluzioni,
configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il
progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante,
senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
E’ stato anche precisato che “…la valutazione delle offerte tecniche come
pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta
quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione
appaltante costituisce espressione di un'ampia discrezionalità tecnica (Cons.
Stato, sez. V, 14.05.2018, n. 2853), con conseguente insindacabilità nel
merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove
non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da
irragionevolezza manifesta (Cons. Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072;
14.11.2017, n. 5258)”
(TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 10.07.2020 n. 3006 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In linea di principio, la
valutazione delle offerte nonché l'attribuzione dei punteggi da parte della
commissione giudicatrice rientrano nell'ampia discrezionalità tecnica
riconosciutale, tale per cui, fatto salvo il limite dell’abnormità della
scelta tecnica, di norma sono inammissibili le censure che toccano il merito
di valutazioni per loro natura opinabili, perché sollecitano il giudice
amministrativo ad esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei casi
tassativi sanciti dall'art. 134 c.p.a..
---------------
5.- Infondato è il terzo motivo.
It.Ap. in sostanza riformula la censura relativa al criterio C1 in
considerazione del fatto che l’aggiudicataria Tr.To. avrebbe presentato
un’offerta tecnica redatta da un architetto, a suo avviso, soggetto privo
delle specifiche competenze, così non potendo conseguire il punteggio
attribuito dalla Commissione.
Contrariamente agli assunti della ricorrente principale, dalla relazione
tecnica, depositata ali atti della causa, si evince la correttezza
dell’offerta proposta da Tr.To. e si individuano le ragioni che hanno
indotto la Commissione giudicatrice ad attribuire alla stessa quel
punteggio, stante l’apprezzamento delle migliorie.
D’altronde, la ricorrente It.Ap. non sostiene in definitiva che la proposta
di Tr.To. costituirebbe una variante non consentita ovvero che il progetto
proposto sarebbe irrealizzabile, quanto piuttosto si sofferma su soluzioni
nella stessa presenti le quali, a suo avviso, avrebbero peggiorato il
progetto quanto meno per il profilo della sicurezza pubblica, non essendo
supportato da adeguati approfondimenti da parte di tecnico abilitato.
In realtà, per le ragioni sopra ampiamente illustrate, le modifiche proposte
da Tr.To. intervengono su inconvenienti, non insormontabili, presenti nel
progetto esecutivo della Stazione appaltante ed ai quali l’aggiudicataria ha
ovviato col ricorso a soluzioni migliorative e di adattamento. Tali
soluzioni sono state valutate positivamente dalla Commissione di gara
secondo parametri di discrezionalità tecnica non sindacabili in questa sede,
in quanto supportati da logicità e ragionevolezza.
Sul punto è utile richiamare il consolidato orientamento della
giurisprudenza, secondo cui, in linea di principio, la valutazione delle
offerte nonché l'attribuzione dei punteggi da parte della commissione
giudicatrice rientrano nell'ampia discrezionalità tecnica riconosciutale,
tale per cui, fatto salvo il limite dell’abnormità della scelta tecnica, di
norma sono inammissibili le censure che toccano il merito di valutazioni per
loro natura opinabili, perché sollecitano il giudice amministrativo ad
esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei casi tassativi sanciti
dall'art. 134 c.p.a. (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 10.07.2019,
n. 4865) (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 10.07.2020 n. 3006 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Competenza
ad escludere dalla gara qualora la stazione appaltante sia un organismo di
diritto pubblico avente la forma della società per azioni.
---------------
Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara -
Stazione appaltante - Organismo di diritto pubblico avente la forma della
società per azioni – Competenza – Individuazione.
Ai sensi dell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016,
sussiste in capo alla “stazione appaltante” la competenza ad adottare il
provvedimento di esclusione dell’operatore economico” (1).
---------------
(1) Ha precisato la Sezione che qualora la “stazione appaltante”
sia un organismo di diritto pubblico avente la forma della società per
azioni, la competenza all’adozione del provvedimento di esclusione dalla
gara sussiste, oltre che in capo al Rup, anche in capo all’organo della
stazione appaltante che, istituzionalmente, assume la posizione apicale.
Sia in base ai principi del diritto societario (qualora la stazione
appaltante sia una società per azioni) sia in base ai principi del diritto
amministrativo (in caso di organismo di diritto pubblico, altrimenti non
sarebbe tenuta al rispetto delle norme sull’evidenza pubblica) competente ad
esternare la volontà dell’ente è l’organo di vertice, ossia l’amministratore
delegato-organo apicale dell’ente
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 09.07.2020 n. 4401 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
11.2. Il terzo motivo dell’originario ricorso di primo grado è
infondato.
11.2.1. Alla luce della documentazione versata in atti, si evince, infatti,
che il R.U.P. ha proceduto ad istruire e disporre l’esclusione della
ricorrente in prime cure e che l’amministratore delegato della So. s.p.a. ha
solo esternato la volontà dell’ente in conformità alla disciplina di
settore.
11.2.2. Invero, ai sensi dell’art. 31, co. 3, del d.lgs. n. 50 del 2016: “Il
RUP, ai sensi della legge 07.08.1990, n. 241, svolge tutti i compiti
relativi alle procedure di programmazione, progettazione, affidamento ed
esecuzione previste dal presente codice, che non siano specificatamente
attribuiti ad altri organi o soggetti”.
Il dato normativo, che pure potrebbe indurre, ad una prima lettura,
all’accoglimento della censura, dispone, in realtà, in senso contrario
all’accoglimento della tesi difensiva ad essa sottesa.
La norma invero attribuisce al R.U.P. lo svolgimento dei “compiti”,
rimarcando dunque il ruolo centrale - di ausilio istruttorio e non solo -
che l’organo in questione riveste nell’ambito delle procedure di gara.
11.2.3. Com’è stato recentemente chiarito da un precedente di questo
Consiglio “l’art. 31, comma 5, d.lgs. n. 50 cit. riconosce, infatti, la
competenza generale del R.u.p. a svolgere tutti i compiti (id est, ad
adottare tutti gli atti della procedura)…”, evidenziando, dunque, la
possibilità che questi non compia soltanto operazioni di carattere
materiale, ma svolga anche attività giuridica esternata in veri e propri
atti (Cons. Stato, Sez. V, 12.02.2020 n. 1104).
Tuttavia, proprio il precedente richiamato, dopo aver ricordato che “è
stata ritenuta la competenza del R.u.p. all’adozione del provvedimento di
esclusione dalla procedura di gara degli operatori economici (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 13.09.2018, n. 5371; III, 19.06.2017, n. 2983; V, 06.05.2015,
n. 2274; V, 21.11.2014, n. 5760)”, da parte del giudice amministrativo,
ha altresì evidenziato che, sul piano del diritto positivo, con riferimento
al provvedimento di esclusione dalla procedura, l’art. 80 applicabile al
caso da decidere “individua nella “stazione appaltante” il soggetto
tenuto ad adottare il provvedimento di esclusione dell’operatore economico”.
Ebbene, il riferimento alla “stazione appaltante”, contemplata dalla
norma nella sua “unitarietà” (non venendo indicato puntualmente
questo o quell’organo) consente di affermare che non contrasti con
l’orientamento sopra richiamato ravvisare la competenza all’esternazione
dell’atto scrutinato anche in capo all’organo della stazione appaltante che,
istituzionalmente, assume la posizione apicale.
Sia in base ai principi del diritto societario (So. è, per l’appunto, una
società per azioni) sia in base ai principi del diritto amministrativo (So.
è qualificabile come organismo di diritto pubblico, altrimenti non sarebbe
tenuta al rispetto delle norme sull’evidenza pubblica) competente ad
esprimere ed esternare la volontà dell’ente è l’organo di vertice, ossia
l’amministratore delegato-organo apicale dell’ente, cosicché il precetto
dell’art. 80, che imputa la decisione sull’esclusione dei partecipanti alla
gara “alla stazione appaltante” può dirsi pienamente rispettato.
11.2.4. La soluzione proposta, peraltro, non contrasta con il su richiamato
orientamento, poiché esso si riferisce, specificamente, alla diversa
questione della competenza all’adozione del provvedimento di esclusione fra
R.U.P., quale organo ordinario della stazione appaltante con competenza
estesa e residuale su tutti gli aspetti della gara, e commissione
giudicatrice, quale organo straordinario e deputata ad un’attività di
giudizio “consistente nella” e “limitata alla” “valutazione
delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico in qualità di organo
straordinario e temporaneo della stazione appaltante con funzioni
istruttorie” e, quindi, a specifici compiti, non certo di rappresentanza
dell’ente.
11.2.5. In definitiva, il suesposto motivo di ricorso deve essere respinto. |
APPALTI: In
tema di margine di utile e fissazione di soglie nella legge speciale di gara.
Domanda
Nella predisposizione di alcuni appalti di servizi, come RUP, mi sto ponendo
la questione sul margine di utile spesso oggetto di contestazione che in
passato ha determinato frequenti richieste di accesso dei vari concorrenti.
A questo punto, volevo capire se nella legge speciale di gara (nelle lettere
di invito, per essere più chiaro), potevo inserire un margine minimo di
utile e se ciò sia corretto.
Risposta
La questione del margine dell’utile, evidentemente, rappresenta uno degli
aspetti più delicati nella analisi/scomposizione dell’offerta soprattutto,
poi, in fase di verifica della potenziale anomalia considerato che i vari
concorrenti (ed in particolare quelli ben posizionati nella gradutatoria
finale) possono presentare richieste di accesso agli atti per verificare la
“credibilità/congruità/sostenibilità” della proposta
tecnico/economica dell’aggiudicatario.
Venendo poi alla possibilità (o meno) del RUP di prevedere già in fase di
gara una percentuale di utile minimo indispensabile (che le varie proposte
economiche già debbano assicurare), pare di poter esprimere immediatamente
un parere negativo: non è possibile procedere con la fissazione formale
dell’utile minimo.
Però, a corredo, occorre fare un ulteriore ragionamento. E’ chiaro che nel
momento in cui il RUP procede con la “costruzione” della base d’asta,
un margine di utile deve pur prevederlo o meglio deve prevedere, al netto
dei vari costi, un minimo di margine di utilità per chi partecipa alla gara
visto che non sono nè serie né ammissibili partecipazione in perdita. Anzi,
queste sono sicuramente da respingere visto l’insidia costituita
dall’ottenimento di prestazioni assolutamente inaccettabili da parte della
stazione appaltante (prestazioni scadenti sotto vari profili).
Quindi, se nella costruzione della base d’asta il RUP deve tener conto di un
vantaggio economico (che costituisce anche incentivo a partecipare alla
competizione), è altrettanto vero che non può porre dei limiti visto che la
partecipazione può essere utile ed opportuna all’appaltatore anche per il
curriculum derivante dalla partecipazione alla competizione.
Tale considerazione è stata di recente ribadita dal Consiglio di Stato, sez.
III, con la sentenza del 25.06.2020 n. 4090 in relazione alla dinamiche che
il RUP deve presidiare nella verifica della congruità dell’offerta.
Il giudice di Palazzo Spada, ossequiando l’orientamento consolidato, ha
evidenziato che secondo le stabili indicazioni giurisprudenziali (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, n. 269 del 17.01.2018), “al di fuori dei casi
in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire
una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere
considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può
comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé
dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il
curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato
a termine un appalto pubblico”.
Paradossalmente un limite generico può essere individuato nell’utile pari a
zero: circostanza questa che solleciterà l’adeguata verifica di congruità
fermo restando che solo l’aggiudicazione di offerta in perdita deve essere
considerata assolutamente patologica ed in quanto tale inaccettabile
(08.07.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI: Contenuto
del contratto di avvalimento.
Secondo l’art. 89 del d.lgs. 50/2016
“il concorrente allega, altresì, alla
domanda di partecipazione in originale o
copia autentica il contratto in virtù del
quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei
confronti del concorrente a fornire i
requisiti e a mettere a disposizione le
risorse necessarie per tutta la durata
dell'appalto. A tal fine, il contratto di
avvalimento contiene, a pena di nullità, la
specificazione dei requisiti forniti e delle
risorse messe a disposizione dall'impresa
ausiliaria”.
Con tale norma il Codice dei Contratti ha
introdotto una forma di nullità di
protezione dei requisiti di
‘forma-contenuto’ del contratto di
avvalimento, che invece mancava nella
disciplina precedente, la quale si limitava
a presidiare il principio di determinabilità
del contenuto del contratto di avvalimento,
affermando che il contratto di avvalimento
debba riportare “in modo compiuto, esplicito
ed esauriente (…) le risorse e i mezzi
prestati in modo determinato e specifico”
(v. art. 88 del d.P.R. 207 del 2010).
Tale norma viene quindi a definire in modo
specifico l’oggetto del contratto di
avvalimento che consiste nei requisiti
forniti e nelle risorse messe a disposizione
dall'impresa ausiliaria
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 06.07.2020 n. 1288 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
Al fine di addivenire alla corretta
interpretazione del contratto, occorre
precisare che secondo l’art. 89 del d.lgs.
50/2016 “il concorrente allega, altresì,
alla domanda di partecipazione in originale
o copia autentica il contratto in virtù del
quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei
confronti del concorrente a fornire i
requisiti e a mettere a disposizione le
risorse necessarie per tutta la durata
dell'appalto. A tal fine, il contratto di avvalimento contiene, a pena di nullità, la
specificazione dei requisiti forniti e delle
risorse messe a disposizione dall'impresa
ausiliaria”.
Con tale norma il Codice dei Contratti ha
introdotto una forma di nullità di
protezione dei requisiti di
‘forma-contenuto’ del contratto di avvalimento, che invece mancava nella
disciplina precedente, la quale si limitava
a presidiare il principio di determinabilità
del contenuto del contratto di avvalimento,
affermando che il contratto di avvalimento
debba riportare “in modo compiuto, esplicito
ed esauriente (…) le risorse e i mezzi
prestati in modo determinato e specifico”
(v. art. 88 del d.P.R. 207 del 2010).
Tale norma viene quindi a definire in modo
specifico l’oggetto del contratto di
avvalimento che consiste nei requisiti
forniti e nelle risorse messe a disposizione
dall'impresa ausiliaria.
Venendo al contratto di avvalimento oggetto
del giudizio, ad una prima indicazione
generica dell’oggetto, contenuta nel punto
1), il contratto di avvalimento fa seguire
una indicazione specifica dei requisiti
prestati dall’ausiliaria che limita
l’oggetto dell’avvalimento ad un Direttore
Tecnico e relativo Know How aziendale che,
alla luce della nuova norma, costituisce
l’oggetto specifico del contratto.
Né, d’altro canto, potrebbe ritenersi che la
specificazione dei requisiti forniti e delle
risorse messe a disposizione abbia un valore
meramente esemplificativo, prevalendo, come
nell’interpretazione dell’amministrazione,
la clausola generale che prevede il prestito
di “tutte le risorse relative, nessuna
esclusa, tali da consentire la regolare e
completa esecuzione dell’appalto”.
Se infatti la clausola generale prevalesse
sull’indicazione delle risorse messe a
disposizione dall'impresa ausiliaria si
finirebbe per rendere indeterminato il
contenuto del contratto e privare di
qualsiasi significato l’obbligo di
specificazione previsto dalla norma. Così
facendo in sostanza la specificazione
produrrebbe l’unico effetto di limitare il
controllo della stazione appaltante
sull’effettività del prestito di attività
e/o di mezzi di un’impresa in favore
dell’altra e lascerebbe nell’incertezza
l’individuazione dei reali confini dell’avvalimento.
Passando ora alla valutazione in merito
all’adeguatezza dei requisiti prestati,
occorre rammentare che, con riguardo alla
possibilità per l’operatore economico di
ricorrere all’istituto dell’avvalimento per
sopperire alla mancanza della certificazione
di qualità richiesta ai fini della
partecipazione alle gare, la giurisprudenza
ne ha confermato l’ammissibilità,
inquadrandolo nell’ambito dell’avvalimento
operativo e valorizzandolo in presenza di
una serie di condizioni.
Infatti, sebbene formalmente il prestito
della certificazione di qualità costituisca
un requisito generale di partecipazione alla
gara, tale certificazione attesta un
requisito tecnico–professionale attinente
all’organizzazione che connota l’avvalimento
in senso operativo e non invece di garanzia.
Così, con riferimento all’avvalimento della
certificazione di qualità, la giurisprudenza
della V Sezione del Consiglio di Stato ha
evidenziato (cfr. 27/07/2017, n. 3710) che,
quando oggetto dell'avvalimento è la
certificazione di qualità di cui la
concorrente è priva, occorre, ai fini
dell'idoneità del contratto, che
l'ausiliaria metta a disposizione dell'ausiliata
l'intera organizzazione aziendale,
comprensiva di tutti i fattori della
produzione e di tutte le risorse, che,
complessivamente considerata, le ha
consentito di acquisire la certificazione di
qualità da mettere a disposizione (così 23.02.2017, n. 852; nonché 12.05.2017, n. 2225, con considerazioni riferite
al prestito dell'attestazione S.O.A., che
valgono a maggior ragione per il prestito
della certificazione di qualità) (così da
ultimo Cons. Stato, V, 08/10/2018 n. 5765;
idem 17/05/2018 n. 2953).
Venendo al caso di specie, sebbene il
sindacato del giudice amministrativo in
merito all’adeguatezza delle risorse
prestate con il contratto di avvalimento sia
sicuramente limitato ad un controllo
estrinseco, trattandosi di un giudizio che
ha per oggetto la discrezionalità tecnica
dell’amministrazione, occorre riconoscere
che il prestito di un Direttore Tecnico,
qualunque sia la sua competenza, e relativo
Know How aziendale, non soddisfa
all’evidenza il requisito dell’adeguatezza
del prestito dei requisiti, in quanto del
tutto scisso dai fattori della produzione e
da tutte le risorse, che, complessivamente
considerate, hanno consentito all’ausiliaria
di acquisire la certificazione di qualità da
mettere a disposizione dell’ausiliata.
Ne deriva l’invalidità del contratto di
avvalimento e l’accoglimento del ricorso con
conseguente annullamento degli atti
impugnati. |
APPALTI: La
Plenaria interviene sul tema del dies a quo per la impugnazione degli
atti di gara.
La Adunanza plenaria del Consiglio di Stato risolve diversi quesiti
interpretativi, a loro tempo formulati dalla quinta sezione, diretti a
chiarire la disciplina della decorrenza dei termini per l’impugnazione
dell’aggiudicazione e degli atti di gara nel c.d. rito appalti.
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Giustizia amministrativa – Appalti – Impugnazione degli atti di gara –
Dies a quo –Pubblicazione sul profilo del committente – Comunicazione
d’ufficio – Comunicazione su richiesta – Accesso agli atti.
L’Adunanza Plenaria afferma i seguenti principi di
diritto:
“a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla
pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi
anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni
operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con
la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76
del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori
elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri,
consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un
ricorso principale;
c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara
comporta la ‘dilazione temporale’ quando i motivi di ricorso conseguano alla
conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero
delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica
dell’anomalia dell’offerta;
d) la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali
allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far
decorrere il termine di impugnazione;
e) sono idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione
dell’atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità
individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara,
purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi
allegati” (1).
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(1) I. – L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato interviene sul
delicato tema del dies a quo per la impugnazione di atti di procedure
di gara sottoposte al c.d. “rito appalti“, in particolare si sofferma
sul termine per impugnare l’atto finale della procedura di gara
(aggiudicazione).
Due sono i principi che spesso entrano in conflitto per la risoluzione di
una siffatta problematica: da un lato la speditezza e la celerità delle
procedure di evidenza pubblica; dall’altro lato l’effettività e la pienezza
della tutela giurisdizionale.
Il Consiglio di Stato, nel privilegiare la tesi sostanzialista in base alla
quale per impugnare un atto bisogna prima conoscerne il contenuto minimo: da
un lato prende atto che i meccanismi informativi e di conoscibilità del
decreto legislativo n. 50 del 2016 sono in realtà mutati rispetto a quelli
del decreto legislativo n. 163 del 2006; dall’altro lato cerca di dare un
nuovo assetto alla configurazione del momento –o meglio dei diversi “momenti”–
in cui scatta un siffatto onere impugnatorio.
II. – I fatti posti alla base della decisione possono essere così riassunti:
a) il G.S.E. (Gestore dei servizi energetici)
avviava una procedura di gara per l’aggiudicazione del servizio di pulizia
presso gli uffici del proprio gruppo societario.
In esito alla procedura stessa, la seconda classificata proponeva ricorso in
quanto la aggiudicataria del servizio non avrebbe avuto diritto alla
attribuzione di due ulteriori punti, con riguardo al punteggio dell’offerta
tecnica, per il criterio di valutazione concernente la “rumorosità degli
aspirapolveri” (il suddetto punteggio aggiuntivo era previsto per
attrezzature con potenza sonora inferiore a 60 decibel, laddove il prodotto
offerto dalla controinteressata avrebbe avuto al contrario una potenza di 70
decibel).
Il ricorso veniva dichiarato irricevibile in primo grado in quanto l’atto di
aggiudicazione sarebbe stato pubblicato sul profilo del committente in data
29.10.2018, per essere poi comunicato via PEC alla ricorrente in data
06.11.2018 e da quest’ultima impugnato il 06.12.2018.
Il Tar per il Lazio reputava in altre parole che il termine di 30 giorni per
l’impugnazione decorresse, nel caso di specie, dal momento della
pubblicazione dell’atto di aggiudicazione sul profilo del committente
(29.10.2018) e non dalla comunicazione individuale del medesimo
provvedimento (06.11.2018);
b) investito dell’appello, il Consiglio di Stato
(sez.
V, ordinanza 02.04.2020, n. 2215, oggetto della
News US n. 48 del 15.04.2020 ed alla quale si rinvia per ogni
approfondimento in dottrina e in giurisprudenza) ha deferito i seguenti
quesiti alla Adunanza plenaria:
b1) se il termine per
l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere di norma dalla
pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi
anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni
operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con
la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
b2) se le informazioni
previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016,
nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i
vizi già individuati ovvero per accertarne altri consentano la sola
proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da considerare
patologica –con le ovvie conseguenze anche ai soli fini di eventuali
responsabilità erariale– della omessa o incompleta pubblicazione prevista
dal già citato articolo 29;
b3) se la proposizione
dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia giammai idonea a far
slittare il termine per la impugnazione del provvedimento di aggiudicazione,
che decorre dalla pubblicazione ex art. 29 ovvero negli altri casi
patologici dalla comunicazione ex art. 76, e legittima soltanto la eventuale
proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se essa comporti la dilazione
temporale almeno con particolare riferimento al caso in cui le ragioni di
doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano
l’offerta dell’aggiudicatario ovvero dalle giustificazioni da questi rese
nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
b4) se dal punto di vista
sistematico la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa decorrere il
termine per l’impugnazione degli atti di gara, in particolare
dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex art. 78 del d.lgs.
n. 50 del 2016) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita del
provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi (di
conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed
equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa
ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde
modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
b5) se in ogni caso, con
riferimento a quanto considerato in precedenza sub d), la pubblicazione
degli atti di gara ex art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016 debba considerarsi
rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde;
b6) se idonee a far decorrere
il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione debbano
considerare quelle forme di comunicazione e pubblicità individuate nella
lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini
della stessa partecipazione alla procedura di gara.
III. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria, dopo aver
ricostruito la vicenda processuale, ha osservato quanto segue:
c) sulla corretta individuazione del dies a
quo per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione si confrontano due
tesi: un primo tradizionale orientamento (formalista) che si basa sulla
conoscenza degli elementi essenziali del provvedimento (avvenuta
aggiudicazione e nominativo aggiudicatario); un secondo più recente
orientamento (sostanzialista) che si incentra invece sulla nozione di
comunicazione completa ed esaustiva dell’aggiudicazione, contenente ossia
–quanto meno– le ragioni di preferenza e le caratteristiche fondamentali
dell’offerta del soggetto aggiudicatario. Ciò allo scopo di poter esercitare
consapevolmente un’azione giurisdizionale;
d) la sentenza in rassegna sembra propendere per
questa seconda tesi (sostanzialista) basata sulla conoscenza o meglio sulla
conoscibilità dei potenziali vizi. Non basta infatti il mero “sacrificio”
(mancata aggiudicazione dell’appalto, che può ben avvenire iure) ma serve
anche una prospettiva di “lesione” della sfera soggettiva
dell’interessato. Ciò anche allo scopo di controbilanciare il breve termine
di 30 giorni per impugnare gli atti di gara.
Di qui l’esigenza di acquisire un quid minimum informativo, ossia una “relazione
sintetica dei motivi pertinenti” posti alla base del provvedimento
lesivo, prima di poter decidere se avviare o meno una iniziativa
giurisdizionale si questo tipo.
Occorre in altre parole una certa conoscenza circa le possibili violazioni
della normativa sugli appalti prima di intraprendere un ricorso
giurisdizionale;
e) una simile impostazione è andata via via
affermandosi anche per il deciso indirizzo che la giurisprudenza
eurounitaria ha progressivamente impresso, in questa stessa direzione, sulla
base dei principi qui sinteticamente riportati:
e1) la fissazione di brevi e
perentori termini di ricorso consentono di realizzare l’obiettivo di
celerità perseguito dalla direttiva 89/665;
e2) la direttiva 89/665/CEE
(c.d. Direttiva Ricorsi) esige che il termine per proporre un ricorso in
materia di aggiudicazione di appalti pubblici “decorra dalla data in cui
il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza
della violazione stessa” (principio di effettività della tutela
giurisdizionale);
e3) ed infatti: “Solamente
dopo essere venuto a conoscenza dei motivi per i quali è stato escluso dalla
procedura di aggiudicazione di un appalto, il candidato o l'offerente
interessato potrà formarsi un'idea precisa in ordine all'eventuale esistenza
di una violazione delle disposizioni in materia di appalti pubblici e
sull'opportunità di proporre ricorso";
e4) i provvedimenti impugnati
debbono dunque essere “accompagnati da una relazione dei motivi
pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero
venire a conoscenza della violazione del diritto dell'Unione dagli stessi
lamentata”;
e5) qualora le disposizioni
nazionali non si attengano a tale principio, “il giudice nazionale
sarebbe tenuto a disapplicarle, al fine di applicare integralmente il
diritto comunitario e di proteggere i diritti che questo attribuisce ai
singoli”;
e6) in questa direzione, il
giudice stesso dovrebbe provvedere a prorogare il termine di impugnazione
(proroga iussu iudicis del termine di impugnazione);
e7) la possibilità di proporre
motivi aggiunti “non costituisce sempre un’alternativa valida di tutela
valida effettiva”. Ciò in quanto gli offerenti sarebbero in tal caso “costretti
a impugnare in abstracto la decisione di aggiudicazione dell'appalto, senza
conoscere, in quel momento, i motivi che giustificano tale ricorso”.
Aggiunge l’Adunanza plenaria, a tale specifico riguardo, che il ricorso
originario “al buio” conterrebbe tra l’altro, proprio in questa
direzione, motivi generici costantemente suscettibili di inammissibilità ai
sensi dell’art. 40, comma 1, lettera c), c.p.a.;
e8) va al riguardo precisato
che: i principi sub lettere e1) ed e4) sono contenuti nell’ordinanza
14.02.2019, sez. IV, in causa C–54/18, Cooperativa Animazione Valdocco
(in Foro it., 2019, IV, 431, con nota di CONDORELLI; Urbanistica e appalti,
2019, 175, con nota di GROSSI; Giur. it., 2019, 1168, con nota di GALLO;
Rass. avv. Stato, 2018, fasc. 4, 27; Riv. giur. edilizia, 2019, I, 276: Riv.
giur. edilizia, 2019, I, 485, con nota di TAGLIANETTI; Foro amm., 2019, 187;
nonché oggetto della
News US, n. 26 del 25.02.2019), adottata in materia di rito super
accelerato, poi frutto di abrogazione per mano del decreto-legge n. 32 del
2019.
Si vedano al riguardo le considerazioni C.E. GALLO, Rito superspeciale nei
contratti pubblici - La compatibilità europea del rito superspeciale in
materia di contratti pubblici, in Giur. It., 2019, 5, 1168, cit. Secondo
l’autore tale decisione potrà in ogni caso avere “effetti dirompenti”,
per quanto attiene all’orientamento sostanzialista, anche sul resto
dell’ordinamento.
I principi sub lettere e2), e3), e5) ed e6) sono in particolare contenuti
nella sentenza 28.01.2010, sez. III, in causa C-406/08, Uniplex, cit. La “relazione
sintetica dei motivi pertinenti”, dopotutto, è prevista proprio
dall’art. 2-quater della direttiva 89/665/CE. Il principio di cui alla
lettera e7) è specificamente contenuto nella sentenza 08.05.2014, sez. V, in
causa C-161/13, Idrodinamica Spurgo (in www.curia.europa.eu, 2014; Giurisdiz.
amm., 2013, ant., 961; Urbanistica e appalti, 2014, 1021, con nota di DE
NICTOLIS; Nuovo notiziario giur., 2015, 205, con nota di BARBIERI);
e9) la Corte di giustizia UE ha
dunque nel tempo sposato la tesi per cui è essenziale conoscere i motivi
della decisione onde poterne valutare, in concreto, il relativo contenuto.
Tali motivi debbono essere conosciuti prima della proposizione del ricorso
proprio al fine di decidere, in radice, se proporre o meno lo stesso;
f) su questa falsa riga si è così affermato
l’orientamento della c.d. “dilazione temporale”. Decisivo, in questo
senso, si è rivelato il ruolo dell’istituto dell’accesso semplificato ed
accelerato di cui all’art. 79, comma 5-quater, ratione temporis
vigente ed in base al quale l’interessato, una volta ricevuta la
comunicazione di aggiudicazione in favore di altro offerente poteva avere
accesso, nel termine massimo di dieci giorni dalla ricezione della
comunicazione stessa, a tutti gli atti della procedura di gara senza
richiesta espressa e senza formalità.
A quel dato momento (dieci giorni dalla comunicazione) per effetto della
predetta procedura di accesso semplificato ed accelerato si sarebbe dovuta
infatti consolidare una certa “presunzione di conoscenza integrale” degli
atti di gara, sì da poter far utilmente scattare il termine decadenziale di
30 giorni a tal fine prescritto. Pertanto, qualora la presunta violazione di
disposizioni comunitarie e nazionali non sia direttamente percepibile dal
contenuto della comunicazione d’ufficio ex art. 79, commi 2 e 5, del vecchio
Codice dei contratti (disposizione, questa, ora trasfusa entro certi limiti
nell’art. 76 nuovo Codice), il termine di 30 giorni dovrebbe essere
incrementato di un numero di giorni pari a quelli necessari per avere
accesso, su richiesta di parte, agli ulteriori atti della procedura secondo
quanto previsto dal predetto art. 79, comma 5-quater. Di qui la nuova
configurazione di un termine di decorrenza pari a complessivi 40 giorni (10
giorni per la “conoscenza integrale”, quanto meno presunta, degli atti di
gara + 30 per la predisposizione del ricorso) a decorrere dalla
comunicazione individuale d’ufficio ex art. 79, commi 2 e 5, del vecchio
Codice dei contratti. Si trattava –evidenzia la plenaria– di un “articolato,
ma consolidato, quadro normativo e giurisprudenziale”;
g) quanto poi alle novità introdotte con il
decreto legislativo n. 50 del 2016, la stessa Adunanza plenaria:
g1) rileva un difetto di
coordinamento tra il decreto legislativo n. 50 del 2016 e l’art. 120 c.p.a.,
il quale contiene ancora i riferimenti alle comunicazioni –ai fini del
decorso del termine di impugnativa– di cui all’art. 79 del decreto
legislativo n. 163 del 2006 (vecchio codice dei contratti);
g2) afferma che la “dilazione
temporale”, come già del resto anticipato da parte della giurisprudenza,
viene incrementata da 10 a 15 giorni (ossia il tempo necessario per
acquisire ulteriore eventuale documentazione mediante accesso informale “su
richiesta” ai sensi dell’art. 76, comma 2, del decreto legislativo n. 50
del 2016);
g3) evidenzia in ogni caso come
l’attuale art. 76, pur condividendo stessa materia, ratio e finalità
(informazioni ai concorrenti) dell’art. 79 vecchio codice, denoti rispetto a
quest’ultimo una portata precettiva di minore impatto.
Più in particolare:
− con riguardo alle comunicazioni “su istanza di parte”, l’art. 76
nuovo Codice non replica la disposizione contenuta nel comma 5-quater
dell’art. 79 vecchio Codice (accesso semplificato ed accelerato);
− con riguardo alle comunicazioni “d’ufficio”, poi, mentre l’art. 79
(commi 2 e 5) prevedeva in automatico la disponibilità di caratteristiche e
vantaggi dell’offerta selezionata (ossia ciò che ad oggi si può ottenere
solo con la richiesta di parte ai sensi dell’art, 76, comma 2) ed in ogni
caso, ossia in sostituzione di una relazione sui predetti vantaggi e
caratteristiche dell’offerta, la disponibilità dei verbali della commissione
di gara, con l’art. 76 le stesse comunicazioni d’ufficio (comma 5) prevedono
soltanto la avvenuta aggiudicazione della commessa;
g4) l’articolato ma consolidato
quadro normativo e giurisprudenziale rischia dunque di essere indebolito dal
nuovo sistema delineato dal codice del 2016;
g5) dal minore bagaglio
informativo di cui al vigente art. 76 scaturisce l’esigenza di dare maggiore
importanza al momento della pubblicazione on-line (ossia sul “profilo del
committente”) quale nuovo ed ulteriore dies a quo;
g6) il venir meno del comma
5-quater dell’art. 79 (accesso semplificato ed accelerato) potrebbe ora
essere comunque compensato attraverso il ricorso all’accesso informale di
cui all’art. 5 del d.P.R. n. 184 del 2006;
g7) resta fermo che, dinanzi a
persistenti comportamenti dilatori della PA circa la esibizione di tutta la
documentazione di gara, il termine di decorrenza sarà soggetto ad
inevitabili slittamenti (dilazione temporale);
h) nel dare di fatto risposta positiva pressoché
a tutti i quesiti formulati dalla sezione rimettente, la Adunanza plenaria
propone nella sostanza un sistema “a gradini” in base al quale:
h1) il primo dies a quo
è costituito dalla generale pubblicazione on-line di tutti gli atti di gara
(ivi ricompresi verbali della commissione di gara e valutazioni delle
offerte da parte della commissione stessa). Importante risulterà la
diligenza delle imprese nel controllare periodicamente tale pubblicazione,
la quale dovrà in ogni caso costantemente riportare la data di
pubblicazione;
h2) un secondo dies a quo è poi
rappresentato dalla comunicazione “d’ufficio” nonché “su richiesta”
ai sensi dell’art. 76 del codice dei contratti. Qualora tali comunicazioni
contengano informazioni ulteriori rispetto alla pubblicazione generale, ciò
potrà dare luogo non solo a motivi aggiunti (non si specifica se in 15 o in
30 giorni) ma anche ad un ricorso principale, qualora dagli atti sino a quel
momento pubblicati non emergano già possibili violazioni della normativa
sugli appalti;
h3) l’istituto dell’accesso
agli atti (da esercitare anche in forma semplificata ai sensi dell’art. 5
del d.P.R. n. 184 del 2006) innesca un possibile terzo dies a quo,
qualora in seguito alla relativa ostensione di ulteriori informazioni
l’impresa non aggiudicataria venga a conoscenza di altri possibili vizi, in
particolare di quelli derivanti dalla valutazione dell’offerta tecnica
nonché dalle giustificazioni poste alla base del giudizio di anomalia
dell’offerta stessa;
h4) sono infine ammesse
peculiari forme di comunicazione e di informazione individuate dal bando di
gara (ed accettate dai concorrenti) quali mezzi idonei ad individuare
ulteriori termini di decorrenza.
IV. – Si segnala per completezza quanto segue:
i) per comodità espositiva va riportata la
normativa vigente la quale prevede, in particolare:
i1) all’art. 29 del d.lgs. n.
50 del 2016, nel fissare i principi di trasparenza cui devono essere
improntate le procedure di affidamento degli appalti pubblici, che: “Tutti
gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori
relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché
alle procedure per l’affidamento di appalti di servizi, forniture, lavori e
opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di
concessione, compresi quelli tra enti nell’ambito del settore pubblico di
cui all’articolo 5, alla composizione della commissione giudicatrice e ai
curricula dei suoi componenti ove non considerati riservati ai sensi
dell’articolo 53 ovvero secretati ai sensi dell’articolo 162, devono essere
pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione
“Amministrazione trasparente”, con l’applicazione delle disposizioni di cui
decreto legislativo 14.03.2013, n. 33”, aggiungendo che “Fatti salvi
gli atti a cui si applica l’articolo 73, comma 5, i termini cui sono
collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di
pubblicazione sul profilo del committente”;
i2) all’art. 76 del d.lgs. n.
50 del 2016 che: “Le stazioni appaltanti, nel rispetto delle specifiche
modalità di pubblicazione stabilite dal presente codice, informano
tempestivamente ciascun candidato e ciascun offerente delle decisioni
adottate riguardo alla conclusione di un accordo quadro, all’aggiudicazione
di un appalto o all’ammissione di un sistema dinamico di acquisizione, ivi
compresi i motivi dell’eventuale decisione di non concludere un accordo
quadro o di non aggiudicare un appalto per il quale è stata indetta una gara
o di riavviare la procedura o di non attuare un sistema dinamico di
acquisizione”’, e al secondo comma: “Su richiesta scritta
dell’offerente e del candidato interessato, l’amministrazione aggiudicatrice
comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione
della richiesta: a) ad ogni offerente, i motivi del rigetto della sua
offerta, inclusi, per i casi di cui all’articolo 68, commi 7 e 8, i motivi
della decisione di non equivalenza o della decisione secondo cui i lavori,
le forniture o i servizi non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti
funzionali; a-bis) ad ogni candidato escluso, i motivi del rigetto ella sua
domanda di partecipazione; b) ad ogni offerente che abbia presentato
un’offerta ammessa in gara e valutata, le caratteristiche e i vantaggi
dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato
l’appalto o delle parti dell’accordo quadro; c) ad ogni offerente che abbia
presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, lo svolgimento e
l’andamento delle negoziazioni e del dialogo con gli con gli offerenti”.
Il successivo comma 5 dispone che: “le stazioni appaltanti comunicano
d’ufficio immediatamente e comunque entro un termine non superiore a cinque
giorni: a) l’aggiudicazione, all’aggiudicatario, al concorrente che segue
nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta
ammessa in gara, a coloro la cui candidatura offerta siano state escluse se
hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione o sono in termini per
presentare impugnazione, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la
lettera d’invito, se tali impugnazioni non siano state respinte con
pronuncia giurisdizionale definitiva; b) l’esclusione ai candidati e agli
offerenti esclusi; c) la decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di
non concludere un accordo quadro, a tutti i candidati; d) la data di stipula
del contratto con l’aggiudicazione, ai soggetti di cui alla lettera a) del
presente comma”.
Infine, il sesto comma 6 dell’articolo in esame precisa che: “Le
comunicazioni di cui al comma 5 sono fatte mediante posta elettronica
certificata o strumento analoga negli Stati membri. Le comunicazioni di cui
al comma 5, lettera a) e b), indicano la data di scadenza del termine
dilatorio per la stipulazione del contratto”;
i3) all’art. 120, comma 5,
c.p.a., che: “Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo
il ricorso, principale e incidentale e i motivi aggiunti, anche avverso atti
diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di
trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale, e per i motivi
aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 o, per i bandi e gli avvisi con cui
si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui
all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso,
dalla conoscenza dell’atto”;
i4) il codice del 2016, a
differenza di quello del 2006, prevede non solo l’obbligo generalizzato di
pubblicazione sul profilo del committente di tutti gli atti delle
amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatari delle procedure di
affidamento degli appalti pubblici, ma anche che, fatti salvi gli atti a cui
si applica l’art. 73, comma 5, “i termini cui sono collegati gli effetti
giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul
profilo del committente”;
j) inopinatamente il legislatore non ha ancora
coordinato e aggiornato la disciplina contenuta nell’art. 120 c.p.a. al
nuovo codice dei contratti pubblici del 2016, ingenerando una situazione di
grave confusione. Né l’art. 4, comma 4, dello schema di decreto-legge
recante “Semplificazione del Sistema Italia” (Consiglio dei ministri
del 07.07.2020), appositamente dedicato alle modifiche del citato art. 120
c.p.a., sembra recare alcunché a tale specifico riguardo;
k) sulla decorrenza del termine per impugnare i
provvedimenti delle procedure di affidamento di appalti pubblici si vedano:
k1) da ultimo Cons. Stato, sez.
IV, 01.07.2020, n. 4225, secondo cui, qualora l’impresa terza classificata
intenda sollevare vizi che, se accolti, finirebbero per travolgere l’intera
procedura di gara con conseguente rinnovazione della medesima, il dies a
quo scatta comunque dalla comunicazione di aggiudicazione.
Ed infatti, evidenzia il Consiglio di Stato: “In tal modo, ed è questo
che maggiormente rileva nella fattispecie in esame, è stata riaffermata la
giuridica rilevanza di interessi legittimi “eterogenei” nello svolgimento
delle gare pubbliche di appalto, essendo stato ritenuto meritevole di tutela
sia l’interesse legittimo “finale” ad ottenere l’aggiudicazione
dell’appalto, sia l’interesse legittimo “strumentale” alla partecipazione ad
un eventuale procedimento di gara rinnovato e ciò in quanto
l’amministrazione aggiudicatrice potrebbe prendere la decisione di annullare
gli atti del procedimento e di avviare un nuovo procedimento di affidamento
dell’appalto”.
Ed ancora che: “Ne consegue … che la Te. s.r.l. avrebbe avuto in
ogni caso interesse sin da subito a contestare l’aggiudicazione in favore
della Un.Se. s.r.l. a tutela del suo interesse legittimo
“strumentale” alla possibile rinnovazione della gara”;
k2) in generale, sul rapporto
con la regola della piena conoscenza dell’atto prevista dall’art. 41 c.p.a.,
si veda Cons. Stato, sez. III, 14.06.2017, n. 2925 (in Foro amm., 2017,
1227), secondo cui:
- “Nel processo amministrativo il termine per impugnare i provvedimenti
adottati nelle procedure di affidamento di contratti pubblici decorre, in
base alla regola generale fissata dall'art. 41 2° comma, c.p.a., dalla
notificazione, comunicazione, o piena conoscenza dell'atto, e ciò anche in
mancanza delle particolari forme di comunicazione di detti provvedimenti ai
sensi dell'art. 79, d.leg. 12.04.2006, n. 163, perché tale circostanza
non impedisce che la conoscenza degli stessi, cui comunque l'art. 120, c.p.a. fa riferimento testuale, sia acquisita con altre forme; in sostanza
il cit. art. 120, 5° comma, cpa, non prevedendo forme di comunicazione
esclusive e «tassative», non incide sulle regole processuali generali del
processo amministrativo, con riferimento alla possibilità che la piena
conoscenza dell'atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia
acquisita conforme diverse da quelle del cit. art. 79”;
k3) nel senso che ai fini della
decorrenza del termine sia necessario che l’interessato conosca gli elementi
tecnici dell’offerta e gli atti di gara si vedano: Cons. giust. amm. reg.
sic., 08.06.2017, n. 274 (in Foro amm., 2017, 1339), secondo cui “La
decorrenza del termine di impugnazione dalla ricezione della comunicazione
dell'aggiudicazione è una norma processuale, stabilita dall'art. 120, 5°
comma, c.p.a., che nessuna legge di gara può disattendere, non essendo la
materia nella disponibilità delle stazioni appaltanti, pertanto, una
clausola del bando che prevedesse un diverso termine dovrebbe dichiararsi
radicalmente nulla, per difetto assoluto di attribuzione, ai sensi dell’art.
21-septies della l. n. 241 del 1990”;
- Cons. Stato, sez. V, 27.04.2017, n. 1953 (in Foro amm., 2017, 845),
secondo cui “Nelle gare pubbliche, ai sensi dell'art. 79, comma 5 e
5-bis, d.leg. 12.04.2006, n. 163, il termine per l'impugnativa avverso
l'aggiudicazione non decorre prima che la comunicazione di questa sia fatta
secondo le inderogabili forme del 5° comma bis, e cioè con il corredo della
relativa motivazione, a sua volta espressa attraverso gli elementi di cui al
2° comma lett. c)”;
- Cons. Stato, sez. V, 13.02.2017, n. 592 (in Foro amm., 2017, 306; Appalti
& Contratti, 2017, fasc. 3, 88), secondo cui “In base al combinato
disposto dell'art. 79, 5º e 5º comma bis, d.leg. 12.04.2006 n. 163, nelle
gare pubbliche il termine per l'impugnativa avverso l'aggiudicazione non
decorre dalla comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione di cui al succitato
5º comma, lett. a), bensì dal momento in cui, ai sensi del successivo 5º
comma bis, la stazione appaltante comunica in modo pieno la motivazione
dell'aggiudicazione e, in particolare, gli elementi di cui al 2º comma,
lett. c); ciò comporta che per un verso le concorrenti lese
dall'aggiudicazione vengono onerate del compito di proporre impugnativa
entro un termine particolarmente breve (pari ad appena trenta giorni) mentre
per altro verso il termine a quo per l'impugnativa viene fatto decorrere dal
momento in cui le stesse dispongono di informazioni adeguatamente
dettagliate in ordine alle caratteristiche dell'offerta dell'aggiudicataria,
e ciò all'evidente fine di evitare che le imprese, lese dall'aggiudicazione,
si trovino in condizione di dover impugnare un provvedimento di
aggiudicazione del quale non conoscano le caratteristiche effettive e in
relazione al quale non siano in grado di articolare difese compiute”;
- Cons. Stato, sez. V, 23.11.2016, n. 4916 (in Appalti & Contratti, 2016,
fasc. 12, 97); Cons. Stato, sez. V, 03.02.2016, n. 408 (in Foro amm., 2016,
309), secondo cui “In materia di appalti pubblici, ai sensi dell'art.
120, 5º comma, c.p.a., il ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione
definitiva di regola deve essere proposto nel termine di trenta giorni,
decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 79 d.leg.
12.04.2006 n. 163, accompagnata dal provvedimento e dalla relativa
motivazione contenente almeno gli elementi di cui al 2º comma, lett. c),
dello stesso art. 79; di conseguenza, nel caso di comunicazione incompleta,
la conoscenza utile ai fini della decorrenza del termine, coincide con la
cognizione, acquisita in sede di accesso, degli elementi oggetto della
comunicazione dell'art. 79, senza che sia necessaria l'estrazione delle
relative copie”;
k4) sempre nel c.d. “rito
appalti”, nel senso della decorrenza del termine per impugnare dalla
comunicazione si veda Cons. Stato, sez. IV, 20.01.2015, n. 143 (in Foro it.,
2015, III, 65, con nota di TRAVI, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti; Riv. neldiritto, 2015, 837, con nota di PINCINI; Riv. trim.
appalti, 2015, 299, con nota di BARBIERI; Guida al dir., 2015, fasc. 7, 82,
con nota di MASARACCHIA; Foro amm., 2015, 1935, con nota di PEIRONE;
Giornale dir. amm., 2016, 78 (m), con nota di BARMANN), secondo cui, tra
l’altro: “È tardivo il ricorso proposto contro l'aggiudicazione di un
appalto, che si assume essere stata viziata da condotte penalmente
rilevanti, se sia intervenuto dopo la decorrenza del termine di trenta
giorni dall'aggiudicazione, e cioè solo nel momento in cui è stata data
notizia delle indagini penali”.
La quarta sezione applica pedissequamente l’indirizzo secondo cui il termine
per il ricorso decorre dalla c.d. piena conoscenza dell’atto impugnato e la
conoscenza successiva del vizio dell’atto può solo giustificare la
presentazione dei c.d. motivi aggiunti. Per un’analisi critica di questo
indirizzo, cfr. RAIMONDI, La «piena conoscenza» ai fini della
decorrenza del termine per ricorrere, relazione al convegno «Il cittadino
e la pubblica amministrazione» (Giornate di studi in onore di Guido
Corso, Palermo 12-13.12.2014), che ha rilevato come le conclusioni della
giurisprudenza siano incoerenti con la garanzia costituzionale del diritto
d’azione e, nella misura in cui imporrebbero di proporre un ricorso «al
buio», non fondato sulla possibilità di dedurre censure effettive,
risultino in contrasto con altri principî basilari del processo
amministrativo;
k5) sulla decorrenza del
termine in caso di accesso agli atti in relazione all’art. 79 del d.lgs. n.
163 del 2006 si vedano, tra le altre: Cons. Stato, 27.04.2017, n. 1953, cit.;
Cons. Stato, sez. V, 13.02.2017, n. 592, cit.; Cons. Stato, sez. V,
23.02.2015, n. 864 (in Appalti & Contratti, 2015, fasc. 3, 76); Cons. Stato,
sez. III, 28.08.2014, n. 4432 (in Appalti & Contratti, 2014, fasc. 9, 70),
secondo cui “Va condiviso il principio interpretativo, sostenuto dal
consiglio di stato, sez. VI, nell'ord. n. 790 dell'11.02.2013, secondo cui
il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di
aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione, di cui al
2º e 5º comma dell'art. 79, d.leg. n. 163/2006, ma può essere «incrementato
di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si
ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto
dell'atto e dei relativi profili di illegittimità (laddove questi non
fossero oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione e
-comunque- entro il limite dei dieci giorni che il richiamato 5º comma
quater fissa per esperire la particolare forma di accesso -semplificato ed
accelerato- ivi disciplinata»”;
k6) sulla decorrenza del
termine in caso di rifiuto della p.a. di consentire l’accesso, si vedano,
tra le altre: Cons. Stato, sez. III, 21.03.2016, n. 1143 (in Foro amm.,
2016, 560), secondo cui:
- “Nelle pubbliche gare d'appalto il c.d. termine breve per
l'impugnazione degli atti e/o provvedimenti che non siano stati trasmessi
unitamente alla comunicazione della decisione di aggiudicazione e che
costituiscono oggetto dell'accesso (id est: degli atti non immediatamente
conosciuti in occasione della comunicazione dell'intervenuta aggiudicazione)
può essere incrementato, al massimo, di dieci giorni fermo restando che se
la p.a. rifiuta illegittimamente di consentire l'accesso, il termine non
inizia a decorrere, gli atti non visionati non si consolidano ed il potere
di impugnare, dell'interessato pregiudicato da tale condotta amministrativa,
non si consuma”;
- Cons. Stato, sez. V, 07.09.2015, n. 4144 (in Appalti & Contratti, 2015,
fasc. 9, 72); Cons. Stato, sez. V, 06.05.2015, n. 2274 (in Guida al dir.,
2015, fasc. 24, 86, con nota di MASARACCHIA), secondo cui: “Nella materia
degli appalti pubblici, nel caso in cui il concorrente escluso proponga
ricorso avverso il provvedimento di esclusione, egli è poi onerato di
proporre il ricorso per motivi aggiunti (per denunciare vizi già maturati al
tempo in cui l'atto in questione è stato adottato) entro l'ulteriore termine
di trenta giorni che decorre dal momento in cui ha avuto piena conoscenza
degli altri atti endoprocedimentali dai quali si possono desumere le
ulteriori doglianze e comunque non oltre il termine di quaranta giorni dalla
comunicazione del provvedimento di esclusione; quest'ultimo termine si
ottiene sommando quello di dieci giorni dalla comunicazione del
provvedimento di esclusione nel quale è consentito l'accesso semplificato e
accelerato agli atti ai sensi dell'art. 79, 5º comma quater, d.leg.
163/2006, sempre che l'amministrazione ovviamente ottemperi tempestivamente
all'istanza di accesso; analoga disciplina si applica, a fortiori, per
l'ipotesi di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione”;
- Cons. Stato, sez. III, 07.01.2015, n. 25 (in Urbanistica e appalti, 2015,
1059, con nota di TIMO; Giur. it., 2015, 698, con nota di SCOCA; Ragiusan,
2015, fasc. 374, 95); Cons. Stato, sez. V, 13.03.2014, n. 1250 (in Foro amm.,
2014, 818).
Sulla conferma di tale orientamento anche a seguito dell’entrata in vigore
del d.lgs. n. 50 del 2016, ritenendosi che il rinvio, tuttora contenuto
nell’art. 120, comma 5, c.p.a., all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006 sia
da intendersi, a seguito dell’abrogazione di quest’ultimo, al primo, si
vedano: Cons. Stato, sez. V, 10.06.2019, n. 3879 (in Appalti & Contratti,
2019, fasc. 7, 66); Cons. Stato, sez. V, 27.11.2018, n. 6725 (in Foro amm.,
2018, 1938);
k7) sempre con riferimento al
rapporto tra diritto di accesso e termine per impugnare gli atti della
procedura di gara, con riferimento al codice del 2016 e, precisamente, nel
senso che il diverso tenore letterale delle due disposizioni (art. 79 d.lgs.
n. 163 del 2006 e art. 76 d.lgs. n. 50 del 2016) comporti che la dilazione
temporale debba essere ragionevolmente intesa in quindici giorni, termine
previsto dall’art. 76, comma 2, per la comunicazione delle ragioni
dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato si vedano: Cons. Stato, sez.
V, 20.09.2019, n. 6251 (in Guida al dir., 2019, fasc. 42, 98, con nota di
PONTE; Comuni d'Italia, 2019, fasc. 9, 77; Gazzetta forense, 2019, 805),
secondo cui:
- “Ai sensi dell'art. 120 c.p.a., ai fini della decorrenza del termine
per impugnare gli atti di gara la stazione appaltante non è più obbligata,
nella comunicazione d'ufficio dell'avvenuta aggiudicazione, a esporre le
ragioni di preferenza dell'offerta aggiudicata, ovvero, in alternativa, ad
allegare i verbali della procedura; tuttavia, il termine di trenta giorni
per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal
momento della comunicazione ma può essere incrementato di un numero di
giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso
dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e
dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente
evincibili dalla richiamata comunicazione”;
- Cons. Stato, sez. V, 13.08.2019, n. 5717 (in Appalti & Contratti, 2019,
fasc. 9, 82), secondo cui “Secondo i principi di effettività della tutela
giurisdizionale, così come enucleati anche dalla giurisprudenza della corte
di giustizia dell'Unione europea, qualora la stazione appaltante rifiuti
illegittimamente di consentire l'accesso (ovvero, in qualunque modo tenga
una condotta di carattere dilatorio), il potere d'impugnare non si consuma
con il decorso del termine di legge, ma è incrementato del numero di giorni
necessari per poter acquisire i documenti stessi, così che il termine di
trenta giorni per l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione non
decorre sempre dal momento della comunicazione, ma può essere incrementato
di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si
ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto
dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano
oggettivamente evincibili dalla comunicazione”;
k8) sulla ampiezza del termine
per impugnare ulteriori atti mediante motivi aggiunti si veda:
Tar Puglia, Lecce, ordinanza, 02.03.2020, n. 297 (oggetto della
News US, n. 30 del 16.03.2020 ed alla quale si rinvia per
ulteriori approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali), che ha sollevato
q.l.c. dell’art. 120, comma 5, c.p.a., nella parte in cui fa decorrere, per
il rito appalti, il termine di trenta giorni per la proposizione dei motivi
aggiunti dalla ricezione della comunicazione dell’aggiudicazione di cui
all’art. 79 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, per contrasto con il diritto di
difesa e con il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui
all’art. 24 Cost. Alla citata News US si rinvia, in particolare: per
l’analisi della dottrina al § d); per la giurisprudenza sulla decorrenza del
termine per impugnare gli atti di gara della stazione appaltante anche in
caso di proposizione di istanza di accesso al § e); per la giurisprudenza
sulla decorrenza del termine per impugnare gli atti nel c.d. rito appalti e
nel processo amministrativo in generale ai §§ f), g), h); per l’analisi
della dottrina e della giurisprudenza sulla disciplina dei motivi aggiunti
nel c.p.a. al § i).
Per una impostazione difforme da quella seguita nella rimessione in oggetto
si veda, infine: R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni, Bologna,
2020, 2105 ss.;
k9) sulla decorrenza del
termine: in caso di invio della comunicazione al domicilio o all’indirizzo
di posta elettronica indicato negli atti di gara (da intendersi come
ragionevole presunzione non solo dell’avvenuta conoscenza da parte del
destinatario di quegli atti e del loro contenuto, ma anche del fatto che
tale conoscenza si sia verificata direttamente in capo alla parte e non al
suo difensore) Cons. Stato, sez. V, 22.05.2015, n. 2570 (in Foro amm., 2015,
1418); sulla inidoneità, ai fini della decorrenza del termine, della
pubblicazione della delibera di aggiudicazione all’albo pretorio, Cons.
Stato, sez. V, 23.11.2016, n. 4916 (in Appalti & Contratti, 2016, fasc. 12,
97);
l) nella giurisprudenza europea, sulla decorrenza
del termine in relazione alla conoscenza o alla conoscibilità della
violazione di disposizioni si veda, più in particolare:
l1)
Corte di giustizia UE, 14.02.2019, C-54/18, Soc. coop. animaz. Valdocco,
cit. nonché oggetto della citata
News US, n. 26 del 25.02.2019 (si veda spec. § o), secondo cui,
tra l’altro:
- “La direttiva 89/665/Cee del consiglio, 21.12.1989, che coordina le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative
all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla
direttiva 2014/23/Ue del parlamento europeo e del consiglio, 26.02.2014, e
in particolare i suoi art. 1 e 2-quater, letti alla luce dell'art. 47 della
carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere interpretata
nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, che prevede che i ricorsi avverso i
provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o
esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un
termine di trenta giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli
interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano
accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che
detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della
violazione del diritto dell'Unione dagli stessi lamentata”;
- “La direttiva 89/665/Cee, come modificata dalla direttiva 2014/23/Ue, e
in particolare i suoi art. 1 e 2-quater, letti alla luce dell'art. 47 della
carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere interpretata
nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, che prevede che, in mancanza di
ricorso contro i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti
ammissione degli offerenti alla partecipazione alle procedure di appalto
pubblico entro un termine di decadenza di trenta giorni dalla loro
comunicazione, agli interessati sia preclusa la facoltà di eccepire
l'illegittimità di tali provvedimenti nell'ambito di ricorsi diretti contro
gli atti successivi, in particolare avverso le decisioni di aggiudicazione,
purché tale decadenza sia opponibile ai suddetti interessati solo a
condizione che essi siano venuti o potessero venire a conoscenza, tramite
detta comunicazione, dell'illegittimità dagli stessi lamentata”;
l2) Corte di giustizia UE, sez.
V, 12.03.2015, C-538/13, eVigilio Ltd (in Urbanistica e appalti, 2015, 893,
con nota di VIVANI; Guida al dir., 2015, fasc. 16, 92 (m), con nota di
PONTE; Nuovo notiziario giur., 2016, 615, con nota di BARBIERI) secondo cui
solo nel caso in cui il concorrente si sia trovato nella impossibilità di
presentare un ricorso avverso le condizioni di gara perché queste ultime
erano incomprensibili, gli è consentito di proporre ricorso nei termini
perentori fissati per la impugnazione della aggiudicazione;
l3) Corte di giustizia UE, 08.05.2014, C-161/13 (in Giurisdiz. amm., 2013, ant., 961; Urbanistica e
appalti, 2014, 1021, con nota di DE NICTOLIS; Nuovo notiziario giur., 2015,
205, con nota di BARBIERI), secondo cui “Gli art. 1, par. 1 e 3, nonché
2-bis, par. 2, ultimo comma, direttiva 92/13/Cee del Consiglio, del
25.02.1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative relative all'applicazione delle norme comunitarie in materia
di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli
enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel
settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66/Ce
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11.12.2007, devono essere
interpretati nel senso che il termine per la proposizione di un ricorso di
annullamento contro la decisione di aggiudicazione di un appalto deve
iniziare nuovamente a decorrere qualora sia intervenuta una nuova decisione
dell'amministrazione aggiudicatrice, adottata dopo tale decisione di
aggiudicazione ma prima della firma del contratto e che possa incidere sulla
legittimità di detta decisione di attribuzione; tale termine inizia a
decorrere dalla comunicazione agli offerenti della decisione successiva o,
in assenza di detta comunicazione, dal momento in cui questi ultimi ne hanno
avuto conoscenza; nel caso in cui un offerente abbia conoscenza, dopo la
scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, di
un'irregolarità asseritamente commessa prima della decisione di
aggiudicazione di un appalto, il diritto di ricorso contro tale decisione
gli è garantito soltanto entro tale termine, salvo espressa disposizione del
diritto nazionale a garanzia di tale diritto, conformemente al diritto
dell'Unione”
(Consiglio di Stato, Adunanza
plenaria,
sentenza 02.07.2020 n. 12 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE: Partecipazione
alla gara di concorrente non produttore del
bene oggetto della fornitura.
A fronte di una
richiesta di esclusione da una gara per la
violazione del disposto di cui all’art. 105,
comma 1, del D.Lgs. n. 50 del 2016 (“I
soggetti affidatari dei contratti di cui al
presente codice di norma eseguono in proprio
le opere o i lavori, i servizi, le forniture
compresi nel contratto”), il TAR Milano
ritiene la pretesa infondata, atteso che
l’oggetto della procedura di gara è la
fornitura di macchinari, risultando
viceversa del tutto irrilevante, a tal fine,
l’individuazione del soggetto che li
fabbrica o li produce.
Precisa il TAR al riguardo che «secondo una
condivisibile giurisprudenza, in assenza di
una specifica clausola contenuta nel bando
di gara, non può ritenersi illegittima
l’ammissione alla gara di un concorrente non
produttore di un bene oggetto della
fornitura pubblica, né può ipotizzarsi la
realizzazione di un sostanziale subappalto
in favore del medesimo produttore da parte
dell’aggiudicatario, considerato che è
sufficiente che il partecipante abbia la
materiale e giuridica disponibilità del
prodotto, restando estraneo alle relative
obbligazioni contrattuali il produttore dei
beni»
(TAR Lombardia- Milano, Sez. II,
sentenza 01.07.2020 n. 1266 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
Secondo la ricorrente, la circostanza che
l’aggiudicataria non produca i beni oggetto
della fornitura –ovvero le apparecchiature
monomarca “EDS – CB Standard C3” per il
controllo dei bagagli a mano dei passeggeri– avrebbe dovuto determinare l’esclusione
della stessa dalla gara per la violazione
del disposto di cui all’art. 105, comma 1,
del D.Lgs. n. 50 del 2016 (“I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente
codice di norma eseguono in proprio le opere
o i lavori, i servizi, le forniture compresi
nel contratto”).
La pretesa appare del tutto infondata,
atteso che l’oggetto della procedura di gara
è la fornitura dei macchinari richiesti,
risultando viceversa del tutto irrilevante,
a tal fine, l’individuazione del soggetto
che li fabbrica o li produce.
Difatti, secondo una condivisibile
giurisprudenza, in assenza di una specifica
clausola contenuta nel bando di gara, non
può ritenersi illegittima l’ammissione alla
gara di un concorrente non produttore di un
bene oggetto della fornitura pubblica, né
può ipotizzarsi la realizzazione di un
sostanziale subappalto in favore del
medesimo produttore da parte
dell’aggiudicatario, considerato che è
sufficiente che il partecipante abbia la
materiale e giuridica disponibilità del
prodotto, restando estraneo alle relative
obbligazioni contrattuali il produttore dei
beni (TAR Lombardia, Milano, IV, 27.10.2016, n. 1977; altresì TAR Lazio,
Roma, I-bis, 20.02.2018, n. 1956; per
un caso in cui anche il prodotto realizzato
e brevettato da un operatore può far parte
della fornitura offerta da altro soggetto
concorrente nella medesima gara, Consiglio
di Stato, III, 07.03.2019, n. 1577). |
APPALTI: Secondo
la consolidata giurisprudenza, il giudizio
circa l’anomalia o l’incongruità
dell’offerta costituisce espressione di
discrezionalità tecnica, sindacabile dal
giudice amministrativo solo in caso di
macroscopica illogicità o di erroneità fattuale e, quindi, non può essere
esteso ad una autonoma verifica della
congruità dell’offerta e delle singole voci.
Inoltre il richiamato procedimento di
verifica dell’anomalia non è finalizzato ad
individuare specifiche e singole inesattezze
nella formulazione dell’offerta ma,
piuttosto, ad accertare in concreto che la
proposta contrattuale risulti nel suo
complesso attendibile in relazione alla
corretta esecuzione dell’appalto.
---------------
4.1. Il
motivo è infondato.
Occorre premettere che, secondo la
consolidata giurisprudenza, condivisa dal
Collegio, il giudizio circa l’anomalia o
l’incongruità dell’offerta costituisce
espressione di discrezionalità tecnica,
sindacabile dal giudice amministrativo solo
in caso di macroscopica illogicità o di
erroneità fattuale e, quindi, non può essere
esteso ad una autonoma verifica della
congruità dell’offerta e delle singole voci.
Inoltre il richiamato procedimento di
verifica dell’anomalia non è finalizzato ad
individuare specifiche e singole inesattezze
nella formulazione dell’offerta ma,
piuttosto, ad accertare in concreto che la
proposta contrattuale risulti nel suo
complesso attendibile in relazione alla
corretta esecuzione dell’appalto (cfr.
Consiglio di Stato, III, 25.06.2020, n.
4090; V, 27.01.2020, n. 680; 08.03.2018, n. 1494; 13.02.2017, n. 607; 17.11.2016, n. 4755; 17.03.2015,
n. 1369) (TAR Lombardia- Milano, Sez. II,
sentenza 01.07.2020 n. 1266 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il gravame proposto avverso
l’aggiudicazione di un appalto pubblico,
qualora sia in contestazione la correttezza
dei punteggi assegnati ai concorrenti, deve
essere sorretto, per essere ritenuto
ammissibile, dall’interesse alla riedizione
dell’attività valutativa da parte del seggio
di gara;
L’interesse idoneo a sorreggere
l’impugnazione ex art. 35, comma 1, lett.
b), Cod. proc. amm, va dimostrato dal
ricorrente fornendo la c.d. prova di
resistenza, cioè la prova che, in difetto
dell’illegittimità lamentata, il ricorrente
avrebbe sicuramente vinto la gara.
---------------
6.1. La
censura è inammissibile per carenza di
interesse.
In esito allo svolgimento della gara, la
ricorrente ha ottenuto un punteggio
complessivo (offerta tecnica e offerta
economica) pari a 82,63 punti, mentre
l’aggiudicataria Sm.De. ha
conseguito un totale 91,22 punti, con una
differenza di oltre 8 punti.
Per mezzo della presente censura la
ricorrente contesta l’attribuzione, in
relazione alla voce “Relazione tecnica
complessiva – varie ed eventuali”, di un
punteggio massimo di 2 punti, che le
concorrenti hanno ottenuto e che essa invece
non ha conseguito (ottenendo 0,5 punti).
Appare del tutto evidente che anche laddove
alla ricorrente fosse attribuito il massimo
punteggio richiesto (2) e all’aggiudicataria
fosse, in ipotesi, attribuito un punteggio
pari a zero, comunque rimarrebbe un divario
tale che non consentirebbe di colmare la
differenza –si ripete, superiore ad 8 punti– registratasi tra le offerte delle due
concorrenti (pure ricomprendendovi, gli
ulteriori 2,5 punti indicati al precedente
punto 4.5).
Ciò appare coerente con un condivisibile
orientamento giurisprudenziale, secondo il
quale “il gravame proposto avverso
l’aggiudicazione di un appalto pubblico,
qualora sia in contestazione la correttezza
dei punteggi assegnati ai concorrenti, deve
essere sorretto, per essere ritenuto
ammissibile, dall’interesse alla riedizione
dell’attività valutativa da parte del seggio
di gara; l’interesse idoneo a sorreggere
l’impugnazione ex art. 35, comma 1, lett.
b), Cod. proc. amm, va dimostrato dal
ricorrente fornendo la c.d. prova di
resistenza, cioè la prova che, in difetto
dell’illegittimità lamentata, il ricorrente
avrebbe sicuramente vinto la gara” (cfr.
Consiglio di Stato, V, 17.03.2020, n.
1916; 26.04.2018, n. 2534; III, 17.12.2015, n. 5717) (TAR Lombardia- Milano, Sez. II,
sentenza 01.07.2020 n. 1266 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Costo
della manodopera e piattaforma Mepa.
Domanda
E’ possibile richiedere in una RDO su Mepa l’indicazione obbligatoria da
parte dell’operatore economico dei costi sulla manodopera di cui all’art.
95, co. 10, del d.lgs. 50/2016 direttamente in piattaforma, senza prevedere
un allegato all’offerta economica?
Risposta
Sulla mancata indicazione dei costi della manodopera in sede di offerta
economica ai sensi dell’art. 95, co. 10, del d.lgs. 50/2016, la recente
giurisprudenza si è pronunciata in modo differente, sulla base delle diverse
modalità di costruzione della gara nelle piattaforme telematiche, nonché del
contenuto stesso della lex specialis.
Indipendentemente dall’esito delle decisioni, quello che rileva è il
richiamo nelle varie pronunce alla decisione del giudice comunitario del
02.05.2019 C-309/18, che con riferimento allo specifico obbligo di
indicazione dei costi della manodopera ha ritenuto “che i principi di
certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali
contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale secondo
la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera in
un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima
offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui
l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato
nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale
possibilità di esclusione siano chiaramente previsti dalla normativa
nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente
richiamata in detta documentazione (sul punto tale obbligo discende
chiaramente dal combinato disposto degli artt. 95, co. 10 e 89, co. 9, del
d.lgs. 50/2016). Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non
consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro
offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono
essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di
consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli
obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine
stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Fatta questa opportuna premessa, si riportano i passaggi da seguire in sede
di costruzione di una RDO su Mepa per consentire agli operatori
l’inserimento del proprio costo della manodoepra direttamente in
piattaforma, in alternativa all’allegato all’offerta economica, ovviamente
per quelle procedure di appalto diverse dalle forniture senza posa in opera,
dai servizi di natura intellettuale e dagli affidamenti ai sensi dell’art.
36, co. 2, lett. a).
(... continua)
(01.07.2020 - link a www.publika.it). |
giugno 2020 |
|
APPALTI: Per
consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, nelle gare pubbliche
la funzione della sottoscrizione della documentazione e dell’offerta è
quella di renderla riferibile al presentatore dell’offerta, vincolandolo
all’impegno assunto.
In altri termini, la sottoscrizione delle offerte di gara -normativamente
imposta, a pena di esclusione- è preordinata a garantire l’effettiva
riferibilità al proponente, la serietà del formalizzato impegno e
l’assunzione della relativa responsabilità.
Invero, la garanzia di una sicura provenienza dell'offerta riposa in
modo imprescindibile sulla sottoscrizione del documento contenente tale
manifestazione di volontà, poiché con essa l'impresa partecipante fa propria
la dichiarazione contenuta nel documento, vincolandosi alla stessa ed
assumendo le conseguenti responsabilità.
---------------
Fermo quanto detto sopra, ben conosce il Collegio l’orientamento
giurisprudenziale in base al quale qualora il progetto rappresenti elemento
costitutivo dell'offerta tecnica, il difetto di sottoscrizione da parte del
tecnico abilitato priva di giuridica rilevanza il medesimo e si traduce
anche nella mancanza di un elemento essenziale dell'offerta, con conseguente
legittimità dell'esclusione del concorrente che abbia prodotto l'offerta
tecnica carente e della corrispondente clausola espulsiva della lex
specialis di gara, meramente esplicativa di una delle ipotesi di
esclusione tassativamente delineate dalla disciplina legale.
Ritiene il Collegio che, tuttavia, detto orientamento non possa trovare
applicazione al caso in esame.
In primo luogo, giova evidenziare che nel sistema codicistico la
sottoscrizione delle offerte è adempimento che viene richiesto all’operatore
economico (e che, dunque, viene materialmente posto in essere dal soggetto
munito del potere di rappresentanza).
Tanto si ricava, in particolare, dall’art. 48, comma 8, del decreto
legislativo 18.04.2016, n. 50 secondo cui l'offerta deve essere sottoscritta
da tutti gli operatori economici che costituiranno i raggruppamenti
temporanei o i consorzi ordinari di concorrenti.
Del resto, l’art. 3, comma 1, lett. cc), del decreto legislativo 18.04.2016,
n. 50 definisce «offerente» l'operatore economico che ha presentato
un'offerta.
La giurisprudenza ha inoltre evidenziato che ove la finalità della
sottoscrizione della documentazione e dell'offerta (che, si ribadisce, è
quella di renderla riferibile al presentatore, vincolandolo all'impegno
assunto) risulti in concreto conseguita, con salvaguardia del sotteso
interesse dell'Amministrazione, non vi è spazio per interpretazioni
puramente formali delle prescrizioni di gara.
In particolare, è stata esclusa l’irrilevanza giuridica, e quindi
l’inammissibilità, di offerte prive di sottoscrizione (o con la
sottoscrizione solo di alcuni dei soggetti dell’atto) quando, in base alle
circostanze concrete, l’offerta risultava con assoluta certezza
riconducibile e imputabile a un determinato soggetto o operatore economico;
il difetto strutturale dell’atto è stato, in tali casi, superato alla luce
della funzione dell’atto nell’ambito della procedura di gara, da
individuarsi nell’interesse dell’Amministrazione a non escludere un
concorrente che è identificabile con assoluta certezza sulla base di altri
elementi comunque acquisiti alla procedura.
Deve poi evidenziarsi che, con riferimento alla disciplina antevigente, la
giurisprudenza –in relazione ad una fattispecie caratterizzata dalla
mancanza di firma dei progettisti- ebbe a mettere in risalto il fatto che
uno “specifico onere di sottoscrizione degli elaborati compresi nell’offerta
tecnica non è previsto da alcuna specifica disposizione normativa vigente in
materia di appalti pubblici”.
---------------
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’avversata previsione della lex specialis –recante una espressa e diretta comminatoria di
esclusione per il mero difetto di sottoscrizione di un documento costitutivo
dell’offerta tecnica da parte di un tecnico (geologo iscritto al relativo
albo)– risulta irragionevole e sproporzionata rispetto al fine perseguito.
Ed invero, l’esigenza sottesa alla
previsione che impone la sottoscrizione del documento in questione, id
est che l’offerta tecnica sia redatta e fatta propria, oltre che dal
concorrente, da un professionista abilitato, a garanzia della bontà e
correttezza tecnica delle soluzioni individuate, che si riverbereranno, in
caso di aggiudicazione, sulla esecuzione del servizio, ben può essere soddisfatta
comminando l’esclusione dell’operatore economico non per il mero estrinseco
-e per molti versi accidentale- difetto di sottoscrizione del documento
medesimo ma all’esito dell’accertamento che il documento in questione non
sia effettivamente stato elaborato da un tecnico abilitato.
Segnatamente, ben potrebbe la stazione appaltante -in caso di difetto
originario di sottoscrizione- prevedere l’assegnazione di un breve termine
perentorio al concorrente per comprovare (anche attraverso una dichiarazione
resa dal tecnico interessato) la “paternità” del progetto tecnico o
documento equivalente presentato in gara, adottando la statuizione espulsiva
-in via eventuale- solo all’esito di tale interpello, potendo tale
meccanismo trovare fondamento nella previsione racchiusa nell’art. 30, comma
1, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 secondo cui l’affidamento e
l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni
ai sensi del presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si
svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e
correttezza.
Quanto sopra a maggior ragione in quelle fattispecie caratterizzate dal
fatto che:
- l’offerta tecnica risulta univocamente riconducibile
all’operatore economico (in forza della sottoscrizione da parte del legale
rappresentante), che ne ha assunto la responsabilità (come nel caso in
esame);
- la documentazione prodotta in gara dall’operatore economico
consente di ricavare il nominativo del tecnico abilitato (come nella
fattispecie in esame, ove nel documento di gara unico europeo -pag. 13-
nonché nella relazione tecnica illustrativa -pag. 7- della società
ricorrente è chiaramente indicato il nominativo del geologo e la relativa
iscrizione all’albo professionale).
Orbene, in base al principio di proporzionalità, gli atti amministrativi non
debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo
prefissato e, qualora si presenta una scelta tra più opzioni,
l’Amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi
imporre obblighi e restrizioni in misura superiore a quella strettamente
necessaria a raggiungere gli scopi da realizzare, sicché la proporzionalità
comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto
all'obiettivo da perseguire e una valutazione della portata restrittiva e
della necessità delle misure che si possono prendere.
Il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, compreso tra i
principi dell'ordinamento comunitario, ma già insito nella Costituzione,
quale corollario del principio di buona amministrazione, ex art. 97 Cost.,
ed espressamente richiamato, in particolare, dagli artt. 4 e 30, comma 1,
del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 – impone di verificare:
a) l'idoneità della misura, cioè il rapporto tra il mezzo adoperato
e l'obiettivo avuto di mira, sicché l'esercizio del potere è legittimo se la
soluzione adottata consente di raggiungere l'obiettivo;
b) la sua necessarietà, ossia l'assenza di qualsiasi altro mezzo
idoneo, tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo, sicché la
scelta tra tutti i mezzi in astratto idonei deve cadere su quello che
comporti il minor sacrificio del soggetto;
c) l'adeguatezza della misura, ossia la tollerabilità della
restrizione che comporta per il privato, sicché l'esercizio del potere, pur
se idoneo e necessario, è legittimo soltanto se riflette una ragionevole
ponderazione degli interessi in gioco.
Nel caso che occupa l’impugnata prescrizione della lex specialis in
uno all’avversato provvedimento di esclusione finiscono per dar vita ad una
non proporzionata ed irragionevole restrizione della concorrenza in
applicazione di un rigido formalismo non necessario e non adeguato al
perseguimento di interessi meritevoli di tutela.
---------------
5. Il ricorso è fondato ai sensi e nei termini in appresso specificati.
5.1. In primo luogo merita di essere evidenziato che –per consolidato e
condiviso orientamento giurisprudenziale- nelle gare pubbliche la funzione
della sottoscrizione della documentazione e dell’offerta è quella di
renderla riferibile al presentatore dell’offerta, vincolandolo all’impegno
assunto (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24.05.2017, n. 2452: TAR Puglia, Bari,
sez. un., 07.09.2018, n. 1212).
In altri termini, la sottoscrizione delle offerte di gara -normativamente
imposta, a pena di esclusione- è preordinata a garantire l’effettiva
riferibilità al proponente, la serietà del formalizzato impegno e
l’assunzione della relativa responsabilità (cfr. TAR Marche, sez. I,
26.02.2020, n. 142; cfr. anche TAR Toscana, sez. III, 05.03.2020, n. 279
secondo cui la garanzia di una sicura provenienza dell'offerta riposa in
modo imprescindibile sulla sottoscrizione del documento contenente tale
manifestazione di volontà, poiché con essa l'impresa partecipante fa propria
la dichiarazione contenuta nel documento, vincolandosi alla stessa ed
assumendo le conseguenti responsabilità).
5.2. Nel caso in esame, la lex specialis (art. 16 del bando di gara),
nel definire il contenuto della busta “B” -Offerta tecnica- che a pena di
esclusione doveva contenere (in sintesi) la documentazione sintetica di un
numero massimo di tre servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria
relativi ad interventi ritenuti dal concorrente significativi della capacità
a realizzare la prestazione sotto il profilo tecnico, la relazione tecnica
illustrativa sulle caratteristiche metodologiche dell’offerta e modalità di
svolgimento delle prestazioni oggetto dell’incarico ed il programma di
indagine e relazione di accompagnamento di cui al criterio B3 del capitolo
18 - stabilisce che i sopra richiamati documenti costituenti l’offerta
tecnica dovevano essere sottoscritti, a pena di esclusione, dall’operatore
economico e da tecnico abilitato all’esercizio della professione di
Ingegnere e iscritto al relativo Albo professionale sezione A e,
limitatamente al programma di indagine e relazione di accompagnamento, anche
da geologo iscritto al relativo albo professionale, sempre a pena di
esclusione.
Ciò premesso, non è seriamente dubitabile (e, soprattutto, non è contestato
dall’Amministrazione resistente) che l’offerta tecnica presentata dalla
società ricorrente è univocamente riconducibile alla stessa concorrente, in
quanto recante la sottoscrizione del legale rappresentante.
5.3. Fermo quanto detto sopra, ben conosce il Collegio l’orientamento
giurisprudenziale in base al quale qualora il progetto rappresenti elemento
costitutivo dell'offerta tecnica, il difetto di sottoscrizione da parte del
tecnico abilitato priva di giuridica rilevanza il medesimo e si traduce
anche nella mancanza di un elemento essenziale dell'offerta, con conseguente
legittimità dell'esclusione del concorrente che abbia prodotto l'offerta
tecnica carente e della corrispondente clausola espulsiva della lex
specialis di gara, meramente esplicativa di una delle ipotesi di
esclusione tassativamente delineate dalla disciplina legale.
Ritiene il Collegio che, tuttavia, detto orientamento non possa trovare
applicazione al caso in esame.
In primo luogo, giova evidenziare che nel sistema codicistico la
sottoscrizione delle offerte è adempimento che viene richiesto all’operatore
economico (e che, dunque, viene materialmente posto in essere dal soggetto
munito del potere di rappresentanza).
Tanto si ricava, in particolare, dall’art. 48, comma 8, del decreto
legislativo 18.04.2016, n. 50 secondo cui l'offerta deve essere sottoscritta
da tutti gli operatori economici che costituiranno i raggruppamenti
temporanei o i consorzi ordinari di concorrenti.
Del resto, l’art. 3, comma 1, lett. cc), del decreto legislativo 18.04.2016,
n. 50 definisce «offerente» l'operatore economico che ha presentato
un'offerta.
La giurisprudenza ha inoltre evidenziato che ove la finalità della
sottoscrizione della documentazione e dell'offerta (che, si ribadisce, è
quella di renderla riferibile al presentatore, vincolandolo all'impegno
assunto) risulti in concreto conseguita, con salvaguardia del sotteso
interesse dell'Amministrazione, non vi è spazio per interpretazioni
puramente formali delle prescrizioni di gara (cfr. TAR Calabria,
Catanzaro, sez. I, 13.11.2019, n. 1903).
In particolare, è stata esclusa l’irrilevanza giuridica, e quindi
l’inammissibilità, di offerte prive di sottoscrizione (o con la
sottoscrizione solo di alcuni dei soggetti dell’atto) quando, in base alle
circostanze concrete, l’offerta risultava con assoluta certezza
riconducibile e imputabile a un determinato soggetto o operatore economico;
il difetto strutturale dell’atto è stato, in tali casi, superato alla luce
della funzione dell’atto nell’ambito della procedura di gara, da
individuarsi nell’interesse dell’Amministrazione a non escludere un
concorrente che è identificabile con assoluta certezza sulla base di altri
elementi comunque acquisiti alla procedura (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.
III-bis, 03.12.2019, n. 13812).
Deve poi evidenziarsi che, con riferimento alla disciplina antevigente, la
giurisprudenza –in relazione ad una fattispecie caratterizzata dalla
mancanza di firma dei progettisti- ebbe a mettere in risalto il fatto che
uno “specifico onere di sottoscrizione degli elaborati compresi nell’offerta
tecnica non è previsto da alcuna specifica disposizione normativa vigente in
materia di appalti pubblici” (TAR Marche, sez. I, 24.07.2015, n. 602).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’avversata previsione della
lex specialis –recante una espressa e diretta comminatoria di
esclusione per il mero difetto di sottoscrizione di un documento costitutivo
dell’offerta tecnica da parte di un tecnico (geologo iscritto al relativo
albo)– risulta irragionevole e sproporzionata, come contestato dalla società
ricorrente, rispetto al fine perseguito.
Ed invero, l’esigenza -ben rappresentata dalla difesa erariale- sottesa alla
previsione che impone la sottoscrizione del documento in questione, id
est che l’offerta tecnica sia redatta e fatta propria, oltre che dal
concorrente, da un professionista abilitato, a garanzia della bontà e
correttezza tecnica delle soluzioni individuate, che si riverbereranno, in
caso di aggiudicazione, sulla esecuzione del servizio (cfr. pag. 3 della
memoria depositata in data 5 giugno 2020), ben può essere soddisfatta
comminando l’esclusione dell’operatore economico non per il mero estrinseco
-e per molti versi accidentale- difetto di sottoscrizione del documento
medesimo ma all’esito dell’accertamento che il documento in questione non
sia effettivamente stato elaborato da un tecnico abilitato.
Segnatamente, ben potrebbe la stazione appaltante -in caso di difetto
originario di sottoscrizione- prevedere l’assegnazione di un breve termine
perentorio al concorrente per comprovare (anche attraverso una dichiarazione
resa dal tecnico interessato) la “paternità” del progetto tecnico o
documento equivalente presentato in gara, adottando la statuizione espulsiva
-in via eventuale- solo all’esito di tale interpello, potendo tale
meccanismo trovare fondamento nella previsione racchiusa nell’art. 30, comma
1, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 secondo cui l’affidamento e
l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni
ai sensi del presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si
svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e
correttezza.
Quanto sopra a maggior ragione in quelle fattispecie caratterizzate dal
fatto che:
- l’offerta tecnica risulta univocamente riconducibile
all’operatore economico (in forza della sottoscrizione da parte del legale
rappresentante), che ne ha assunto la responsabilità (come nel caso in
esame);
- la documentazione prodotta in gara dall’operatore economico
consente di ricavare il nominativo del tecnico abilitato (come nella
fattispecie in esame, ove nel documento di gara unico europeo -pag. 13-
nonché nella relazione tecnica illustrativa -pag. 7- della società
ricorrente è chiaramente indicato il nominativo del geologo e la relativa
iscrizione all’albo professionale).
Orbene, in base al principio di proporzionalità, gli atti amministrativi non
debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo
prefissato e, qualora si presenta una scelta tra più opzioni,
l’Amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi
imporre obblighi e restrizioni in misura superiore a quella strettamente
necessaria a raggiungere gli scopi da realizzare, sicché la proporzionalità
comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto
all'obiettivo da perseguire e una valutazione della portata restrittiva e
della necessità delle misure che si possono prendere.
Il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, compreso tra i
principi dell'ordinamento comunitario, ma già insito nella Costituzione,
quale corollario del principio di buona amministrazione, ex art. 97 Cost.,
ed espressamente richiamato, in particolare, dagli artt. 4 e 30, comma 1,
del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 – impone di verificare:
a) l'idoneità della misura, cioè il rapporto tra il mezzo adoperato
e l'obiettivo avuto di mira, sicché l'esercizio del potere è legittimo se la
soluzione adottata consente di raggiungere l'obiettivo;
b) la sua necessarietà, ossia l'assenza di qualsiasi altro mezzo
idoneo, tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo, sicché la
scelta tra tutti i mezzi in astratto idonei deve cadere su quello che
comporti il minor sacrificio del soggetto;
c) l'adeguatezza della misura, ossia la tollerabilità della
restrizione che comporta per il privato, sicché l'esercizio del potere, pur
se idoneo e necessario, è legittimo soltanto se riflette una ragionevole
ponderazione degli interessi in gioco (cfr. Cons. Stato, sez. III,
26.06.2019, n. 4403).
Nel caso che occupa l’impugnata prescrizione della lex specialis in
uno all’avversato provvedimento di esclusione finiscono per dar vita ad una
non proporzionata ed irragionevole restrizione della concorrenza in
applicazione di un rigido formalismo non necessario e non adeguato al
perseguimento di interessi meritevoli di tutela.
6. In conclusione, il ricorso merita di essere accolto, quanto alla domanda
caducatoria avanzata -per le ragioni sopra specificate- con conseguente
annullamento del verbale n. 4 del 19.05.2020 nella parte in cui la
commissione ha proposto l’esclusione della Li.Pr. S.r.l., della nota prot.
n. 695 del 22.05.2020 di esclusione della stessa dalla procedura e del bando
di gara nella parte in cui all’art. 16 prevede a pena di esclusione la
sottoscrizione dell’elaborato “programma di indagine e relazione di
accompagnamento” da parte del geologo
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 29.06.2020 n. 1566 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Dal 1° luglio scatta l’obbligo di inserire nei mandati di pagamento (OPI) la
scadenza delle fatture.
Domanda
Se non ricordo male, sul finire del 2019 si parlava di nuovi adempimenti nel
corso del 2020 a carico dei comuni per i mandati di pagamento di fatture
elettroniche.
Di cosa si tratta? Mi potete aiutare?
Risposta
La novità oggetto del quesito è quella prevista dall’art. 50, comma 3, del
d.l. n. 124/2019, come modificato dall’art. 1, comma 855, della legge n.
160/2019. Vediamo di cosa si tratta.
Tale norma prevede che: “Entro il 01.07.2020 le amministrazioni pubbliche
di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31.12.2009, n. 196, che si
avvalgono dell’Ordinativo Informatico di Pagamento (OPI) (…), sono tenute ad
inserire nello stesso Ordinativo la data di scadenza della fattura.
Conseguentemente, a decorrere dalla suddetta data, per le medesime
amministrazioni viene meno l’obbligo di comunicazione mensile di cui
all’articolo 7-bis, comma 4, del decreto-legge 08.04.2013, n. 35,
convertito, con modificazioni, dalla legge 06.06.2013, n. 64”.
Quindi il nuovo obbligo, che decorre dal prossimo primo luglio (termine così
anticipato dalla Legge di bilancio 2020 in luogo del precedente termine
inizialmente fissato dal decreto legge n. 124/2019 al 01/01/2021), è proprio
quello di inserire nei mandati di pagamento la data di scadenza delle
fatture pagate. Essa dovrà essere inserita nel campo «data_scadenza_pagam_siope»
del file XML dell’ordinativo di pagamento informatico.
Le software house che forniscono i gestionali della contabilità ai
comuni dovrebbero essersi già adeguate da tempo, visto che la norma risale
allo scorso anno, prevedendone l’automatismo. L’unica attività da svolgere
in questi giorni è verificare se tale adeguamento sia già stato effettuato
oppure no. In quest’ultimo caso si dovrà sollecitare la propria ditta
fornitrice del software affinché vi provveda con la massima celerità. La
data di scadenza viene ricavata dalla fattura elettronica che l’ente riceve
dal fornitore attraverso lo SDI.
D’ora in poi, e ancora più che in passato, diviene fondamentale verificarne
la correttezza da parte degli uffici ragioneria. Sono infatti frequenti i
casi in cui la data di scadenza indicata in fattura dalla ditta creditrice
non rispetti il dettato normativo di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 231/2002
(ovvero, di norma: trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del
debitore della fattura).
Spesso infatti essa coincide con la data di emissione della stessa fattura
che, talora, è addirittura antecedente alla stessa data di ricezione da
parte dell’ente destinatario. In tali casi è necessario modificarla
manualmente all’interno del proprio gestionale in modo che essa venga
correttamente riportata sull’OPI all’atto del suo pagamento. Viceversa,
all’interno della PCC rimarrebbe la data di scadenza errata, a cui
erroneamente potrà corrispondere un pagamento tardivo da parte dell’ente.
Ciò produrrebbe riflessi negativi sull’indicatore di tempestività dei
pagamenti dei propri debiti commerciali, con importanti conseguenze in vista
dell’avvio –dal 2021– della disciplina del nuovo Fondo garanzia pagamento
debiti commerciali (FGDC) di cui ai commi 859 e seguenti della L. 145/2018.
Ricordiamo infatti che quest’ultima obbliga gli enti che sono in ritardo nel
pagamento dei propri debiti commerciali ad accantonare somme in tale Fondo.
L’importo dell’accantonamento è crescente al crescere del ritardo con cui
vengono pagate le fatture rispetto ai termini di legge stabiliti dall’art. 4
del d.lgs. 231/2002.
La stessa norma contenuta nel d.l. 124/2019 prevede inoltre che sempre a
partire dal 01.07.2020 venga meno l’obbligo di comunicazione mensile di cui
all’art. 7-bis, comma 4 del d.l. 35/2013. Di cosa si trattava?
Tale norma si riferiva all’obbligo per le amministrazioni pubbliche di
comunicare entro il 15 di ciascun mese alla stessa PCC i dati relativi ai
debiti non estinti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazioni,
forniture e appalti e obbligazioni relative a prestazioni professionali, per
i quali, nel mese precedente, fosse stato superato il termine di decorrenza
degli interessi moratori di cui all’articolo 4 del suddetto d.lgs. 231/2002.
La ragione di tale abrogazione è evidente: visto che d’ora in poi la PCC ‘vede’
in autonomia la scadenza delle fatture, non avrà più bisogno che sia l’ente
a comunicarle i pagamenti tardivi. Questi ultimi emergeranno automaticamente
dal semplice confronto fra la data di scadenza della fattura e la data di
emissione del mandato di pagamento
(29.06.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI: Consorzio
e consorziate – onere di dichiarazione requisiti generali.
Domanda
Nel caso di consorzio di produzione e lavoro costituito a norma della legge
25.06.1909 n. 422 di cui all’art. 45, co. 2, lett. b), del d.lgs. 50/2016,
in sede di gara è necessario richiedere e verificare i requisiti generali di
tutte le consorziate, ancorché non indicate quali esecutrici della
prestazione?
Risposta
I consorzi di cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della
legge 25.06.1909 n. 422 si presentano come organismi con scopo mutualistico
che acquisiscono appalti per conto delle consorziate, a cui forniscono un
supporto tecnico oltre che economico. In particolare ai citati consorzi è
consentita la partecipazione alle procedure di affidamento ai sensi
dell’art. 45, co. 2, lett. b), del d.lgs. 50/2016, con indicazione in sede
di offerta delle consorziate per le quali concorrono (art. 48, co. 7, del
d.lgs. 50/2016).
La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi più volte sulla
qualificazione del consorzio, come autonomo soggetto distinto dalle
consorziate che lo compongono, orientamento sintetizzato da ultimo nella
sentenza del C.d.S. 14.04.2020 n. 2387, che nel richiamare la propria
decisione n. 6632 del 23.11.2018 ha rilevato:
• che detti consorzi partecipano alla procedura di gara utilizzando
requisiti loro propri, e nell’ambito di questi, facendo valere i mezzi nella
disponibilità delle cooperative che costituiscono articolazioni organiche
del soggetto collettivo, e cioè i suoi interna corporis;
• ciò significa che il rapporto organico che lega le cooperative
consorziate, ivi compresa quella incaricata dell’esecuzione dei lavori, è
tale che l’attività compiuta dalle consorziate è imputata unicamente al
consorzio;
• il concorrente è quindi solo il consorzio, mentre non assumono
tale veste le sue consorziate, nemmeno quella designata per l’esecuzione
della commessa.
Il Consiglio di Stato ha dato una definizione del rapporto organico
esistente tra il consorzio e le singole consorziate, quale situazione che
non comporta un assorbimento della soggettività delle stesse, ma mero
modello organizzativo che regola, per il caso di specie, la loro
partecipazione alle procedure di gara.
In particolare il soggetto che presenta offerta è solo il consorzio di
cooperative di produzione e lavoro, e non le consorziate, neppure quelle
indicate per l’esecuzione delle prestazioni. Consorzio che ai sensi
dell’art. 47, co. 1, del d.lgs. 50/2016 deve comprovare il possesso dei
requisiti di idoneità tecnica e finanziaria secondo le modalità previste dal
codice, nonché i requisiti generali di cui all’art. 80. Tale dichiarazione
deve essere resa anche dalla/e consorziata/e esecutrice/i quale diretta
conseguenza dell’esecuzione, proprio per evitare che l’ente collettivo
diventi uno strumento di copertura per la partecipazione di soggetti privi
dei requisiti generali di cui all’art. 80 del codice.
Pertanto, sulla base di questa condividibile sentenza non è necessario in
sede di gara, richiedere e verificare il possesso dei requisiti generali in
capo alle consorziate non esecutrici (24.06.2020
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APPALTI:
Verifiche dei requisiti speciali tramite AVCPass.
Domanda
Al fine di verificare l’operatore economico aggiudicatario, in particolare
per i requisiti generali, ricorro all’AVCPass.
È possibile utilizzare tale sistema anche per l’acquisizione d’ufficio
dell’attestazione di regolare esecuzione di un servizio prestato presso
altra pubblica amministrazione e dichiarato in sede di gara?
Risposta
L’AVCPass è uno strumento che attraverso un sistema di cooperazione
applicativa con gli enti certificanti, consente alle pubbliche
amministrazioni di acquisire i certificati a comprova del possesso dei
requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario dichiarati in sede di gara, ai fini della successiva
stipula di un contratto pubblico.
Il presupposto affinché il RUP possa procedere alle verifiche attraverso
questa modalità è la richiesta del CIG mediante SIMOG, nonché la
specificazione in sede di definizione dello stesso, che trattasi appunto di
una procedura non esclusa dall’acquisizione obbligatoria dei requisiti ai
fini dell’AVCpass.
Si precisa che la richiesta del CIG nella forma del SIMOG è possibile anche
per importi inferiori ad euro 40.000,00; modalità tra l’altro suggerita per
ogni affidamento di valore superiore ad € 5.000,00, in ragione della
tempestività del rilascio di alcuni dei certificati da richiedersi a
comprova dei requisiti dichiarati in sede di gara.
È consigliato, inoltre, l’utilizzo dell’AVCPass anche per l’acquisizione
d’ufficio dell’attestazione e/o certificazione o mera dichiarazione di
regolare esecuzione di un servizio prestato presso una pubblica
amministrazione, proprio per la pronta collaborazione degli enti coinvolti a
fronte di una richiesta presentata per il tramite dell’Autorità Nazionale
Anticorruzione.
Da un punto di vista operativo sul portale dell’ANAC, anche in assenza della
specifica riga relativa al requisito di ordine
speciale-tecnico-professionale, è sempre possibile inviare una pec verso
ente non in cooperazione (nello specifico un’altra pubblica
amministrazione), selezionando una riga qualsiasi dei requisiti di ordine
generale (cfr. immagine).
Quindi:
• AVANTI
• ALTRI DOCUMENTI
• Ricercare nelle pagine a video la riga NON CLASSIFICATO – PEC
VERSO ENTE NON IN COOPERAZIONE e selezionarla (cfr.
immagine)
• AVANTI
• Completare gli spazi indicando l’indirizzo pec del destinatario,
l’indirizzo pec del richiedente , l’indirizzo pec a cui inviare la risposta,
l’oggetto della richiesta e il testo della richiesta
• Invia Richiesta (cfr.
immagine) (17.06.2020
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APPALTI: Questo
Comune, in data 10.05.2020, ha verificato ai sensi dell'art. 48-bis, D.P.R.
29.09.1973, n. 602 l'inadempienza di una ditta creditrice dell'Ente al
momento dell'emissione di un mandato di pagamento dell'importo imponibile di
euro 7.900.
Non avendo a tutt'oggi ricevuto alcuna notifica di pignoramento dall'agente
della riscossione, a seguito dell'inadempienza, ci chiediamo come sia
necessario procedere in tale situazione?
Come giustamente segnalato nel quesito proposto, l'art. 153, D.L.
19.05.2020, n. 34 (pubblicato in pari data sul supplemento ordinario n. 21
della Gazzetta Ufficiale n. 128) c.d. "Decreto rilancio" ha
testualmente previsto che "nel periodo di sospensione di cui all'articolo
68, commi 1 e 2-bis, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27 non si applicano le
disposizioni dell'articolo 48-bis del decreto del Presidente della
Repubblica 29.09.1973, n. 602".
Tale disposizione implica pertanto due diverse disposizioni:
• per tutte le Pubbliche Amministrazioni, la sospensione
dall'08.03. al 31.08.2020, delle verifiche di inadempienza da effettuarsi,
ai sensi dell'art. 48-bis, D.P.R. 29.09.1973, n. 602, prima di disporre
pagamenti -a qualunque titolo- di importo superiore a cinquemila euro;
• la sospensione decorre dal 21.02.2020 per i soli
contribuenti che, alla medesima data, avevano la residenza, la sede legale o
la sede operativa nei comuni della c.d. "zona rossa" (allegato 1 DPCM
01.03.2020).
Lo stesso art. 153, nel secondo periodo, disciplina che "Le verifiche
eventualmente già effettuate, anche in data antecedente a tale periodo, ai
sensi del comma 1 dello stesso articolo 48-bis del decreto del Presidente
della Repubblica n. 602 del 1973, per le quali l'agente della riscossione
non ha notificato l'ordine di versamento previsto dall'articolo 72-bis, del
medesimo decreto restano prive di qualunque effetto e le amministrazioni
pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165, nonché le società a prevalente partecipazione pubblica,
procedono al pagamento a favore del beneficiario".
L'espressione letterale che prevede che "l'inadempimento resti privo di
qualunque effetto se l'Agente di riscossione non ha notificato l'ordine di
pagamento" comporta pertanto che tale sospensione si applichi anche a
tutte le verifiche già effettuate nelle settimane passate e per cui,
nonostante sul sistema di verifica risulti "un blocco" derivante
dall'inadempimento, questo non debba essere considerato se, alla data di
entrata in vigore del citato D.L. 19.05.2020, n. 34 (19.05.2020) l'Agente
della riscossione non abbia notificato all'amministrazione procedente
l'ordine di versamento della somma dovuta in luogo del pagamento in favore
della ditta creditrice.
Per tutto quanto sopra esposto, si può affermare che nel caso di cui
trattasi, l'Amministrazione potrà procedere all'emissione del mandato di
pagamento in favore della ditta creditrice in quanto quest'ultima, seppur
risultata inadempiente alla verifica di cui all'art. 48-bis, D.P.R.
29.09.1973, n. 602, l'Agente della riscossione non ha notificato l'ordine di
pagamento entro la data di entrata in vigore della disposizione richiamata
introdotta dal D.L. "Rilancio" (19 maggio u.s.).
----------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 29.09.1973, n. 602, art. 48-bis - D.L. 17.03.2020, n. 18, art. 68 -
L. 24.04.2020, n. 27 - D.L. 19.05.2020 n. 34, art. 153 (17.06.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
APPALTI: Dies
a quo per la proposizione del ricorso in
materia di procedure di affidamento.
Pur nella consapevolezza
di un quadro giurisprudenziale non univoco,
il Collegio ritiene di dare continuità
all’orientamento fatto proprio anche dalla
Sezione
che muove dai seguenti principi:
a) “in caso di comunicazione
dell'aggiudicazione che non specifichi le
ragioni di preferenza dell'offerta
dell'aggiudicataria (o non sia accompagnata
dall'allegazione dei verbali di gara), e
comunque, in ogni caso in cui si renda
indispensabile conoscere gli elementi
tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario per
aver chiare le ragioni di preferenza,
l'impresa concorrente può richiedere di
accedere agli atti della procedura”;
b) alla luce dell'insegnamento della Corte
di Giustizia dell'Unione europea
(specialmente con la sentenza 08.05.2014
nella causa C-161/13 Idrodinamica Spurgo
secondo cui “ricorsi efficaci contro le
violazioni delle disposizioni applicabili in
materia di aggiudicazione di appalti
pubblici possono essere garantiti soltanto
se i termini imposti per proporre tali
ricorsi comincino a decorrere solo dalla
data in cui il ricorrente è venuto a
conoscenza o avrebbe dovuto essere a
conoscenza della pretesa violazione di dette
disposizioni” e “una possibilità, come
quella prevista dall' articolo 43 del D.Lgs.
n. 104 del 2010, di sollevare “motivi
aggiunti” nell'ambito di un ricorso iniziale
proposto nei termini contro la decisione di
aggiudicazione dell'appalto non costituisce
sempre un'alternativa valida di tutela
giurisdizionale effettiva.
Infatti, in una
situazione come quella di cui al
procedimento principale, gli offerenti
sarebbero costretti a impugnare in abstracto
la decisione di aggiudicazione dell'appalto,
senza conoscere, in quel momento, i motivi
che giustificano tale ricorso”) “il termine
di trenta giorni per l'impugnativa del
provvedimento di aggiudicazione non decorre
sempre dal momento della comunicazione ma
può essere incrementato di un numero di
giorni pari a quello necessario affinché il
soggetto (che si ritenga) leso
dall'aggiudicazione possa avere piena
conoscenza del contenuto dell'atto e dei
relativi profili di illegittimità ove questi
non siano oggettivamente evincibili dalla
richiamata comunicazione;
c) “la dilazione temporale, che prima era
fissata nei dieci giorni previsti per
l'accesso informale ai documenti di gara
dall'art. 79, comma 5-quater, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, decorrenti dalla
comunicazione del provvedimento, può ora
ragionevolmente essere fissata nei quindici
giorni previsti dal richiamato comma 2
dell'art. 76 D.Lgs. n. 50 del 2016 per la
comunicazione delle ragioni
dell'aggiudicazione su istanza
dell'interessato”;
d) “qualora la stazione appaltante rifiuti
illegittimamente l'accesso, o tenga
comportamenti dilatori che non consentano
l'immediata conoscenza degli atti di gara,
il termine non inizia a decorrere e il
potere di impugnare dall'interessato
pregiudicato da tale condotta amministrativa
non si “consuma”; in questo caso il termine
di impugnazione comincia a decorrere solo a
partire dal momento in cui l'interessato
abbia avuto cognizione degli atti della
procedura";
e) “la comunicazione dell'avvenuta
aggiudicazione imposta dall'art. 76, comma
5, D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, non è
surrogabile da altre forme di pubblicità
legali, quali, in particolare, la
pubblicazione del provvedimento all'albo
pretorio della stazione appaltante per
l'espresso riferimento dell'art. 120, comma
5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della
comunicazione”, ovvero ad una precisa
modalità informativa del concorrente”;
f) “anche indipendentemente dal formale
inoltro della comunicazione dell'art. 76,
comma 5, D.Lgs. n. 50 del 2016 cit., per la
regola generale di cui all'art. 41, comma 2,
Cod. proc. amm., il termine decorre dal
momento in cui il concorrente abbia
acquisito "piena conoscenza"
dell'aggiudicazione, del suo concreto
contenuto dispositivo e della sua effettiva
lesività, pur se non si accompagnata
dall'acquisizione di tutti gli atti del
procedimento”.
---------------
Dai principi elaborati dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato e, in
particolare, dall’insegnamento proveniente
dalla Corte di Giustizia, deve ritenersi che
il termine decorra dal momento della
conoscenza del provvedimento che si realizza
con l’accesso agli atti da parte
dell’operatore interessato.
Laddove siano
posti in essere comportamenti dilatori o sia
negata indebitamente l’ostensione degli atti
si determina, quindi, una sospensione nel
decorso del termine di impugnazione di
durata non necessariamente pari ai 15 giorni
di cui all’articolo 76 del D.lgs. n. 50/2016
dovendosi, in tal caso, verificare,
piuttosto, la vicenda concreta relativa
all’accesso e la celere messa a disposizione
degli atti. Diversamente opinando, si
costringerebbe, in ogni caso (e, quindi,
anche dopo il decorso dei 15 giorni di cui
all’articolo 76 del D.Lgs. n. 50/2016)
l’operatore economico a ricorrere “al buio”
e, quindi, “a guisa di un mero azzardo”.
Una
situazione alla quale non può ovviare, come
ritenuto dalla Corte di Giustizia, la sola
possibilità di articolare motivi aggiunti
che non sempre garantisce una tutela
effettiva. Inoltre, non può omettersi di
considerare come le condotte dilatorie
dell’Amministrazione non possano
ripercuotersi su un bene come la
giurisdizione che, anche in considerazione
della crescente domanda di giustizia e della
nuova panoplia di rimedi garantiti dal
codice del processo amministrativo,
costituisce una risorsa limitata, come tale da
destinare ai bisogni effettivi di tutela e
non da inflazionarsi attraverso
interpretazioni del dato normativo che
impongano al privato di proporre un ricorso
giurisdizionale senza avere l’esatta
cognizione dell’illegittimità della lesione
alla propria sfera giuridica.
---------------
16.2. La questione relativa al dies a quo
dal quale far decorrere il termine per la
proposizione del ricorso in materia di
procedure di affidamento risulta oggetto di
una travagliata elaborazione
giurisprudenziale che non sembra giunta ad
un definitivo punto di approdo.
Lo
testimonia la recente ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato di alcuni dei profili di
maggior rilevanza del tema in esame
(Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 02.04.2020, n. 2215).
16.3. Pur nella consapevolezza di un quadro
giurisprudenziale non univoco, il Collegio
ritiene di dare continuità all’orientamento
fatto proprio anche dalla Sezione (cfr., ex multis, TAR per la Lombardia – sede di
Milano, Sez. II, 07.02.2020, n. 272)
che muove dai seguenti principi:
a) “in caso di comunicazione
dell'aggiudicazione che non specifichi le
ragioni di preferenza dell'offerta
dell'aggiudicataria (o non sia accompagnata
dall'allegazione dei verbali di gara), e
comunque, in ogni caso in cui si renda
indispensabile conoscere gli elementi
tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario per
aver chiare le ragioni di preferenza,
l'impresa concorrente può richiedere di
accedere agli atti della procedura”;
b) alla luce dell'insegnamento della Corte
di Giustizia dell'Unione europea
(specialmente con la sentenza 08.05.2014
nella causa C-161/13 Idrodinamica Spurgo
secondo cui “ricorsi efficaci contro le
violazioni delle disposizioni applicabili in
materia di aggiudicazione di appalti
pubblici possono essere garantiti soltanto
se i termini imposti per proporre tali
ricorsi comincino a decorrere solo dalla
data in cui il ricorrente è venuto a
conoscenza o avrebbe dovuto essere a
conoscenza della pretesa violazione di dette
disposizioni” e “una possibilità, come
quella prevista dall' articolo 43 del D.Lgs.
n. 104 del 2010, di sollevare “motivi
aggiunti” nell'ambito di un ricorso iniziale
proposto nei termini contro la decisione di
aggiudicazione dell'appalto non costituisce
sempre un'alternativa valida di tutela
giurisdizionale effettiva.
Infatti, in una
situazione come quella di cui al
procedimento principale, gli offerenti
sarebbero costretti a impugnare in abstracto
la decisione di aggiudicazione dell'appalto,
senza conoscere, in quel momento, i motivi
che giustificano tale ricorso”) “il termine
di trenta giorni per l'impugnativa del
provvedimento di aggiudicazione non decorre
sempre dal momento della comunicazione ma
può essere incrementato di un numero di
giorni pari a quello necessario affinché il
soggetto (che si ritenga) leso
dall'aggiudicazione possa avere piena
conoscenza del contenuto dell'atto e dei
relativi profili di illegittimità ove questi
non siano oggettivamente evincibili dalla
richiamata comunicazione (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 02.09.2019, n. 6064; V, 13.02.2017, n. 592; V, 10.02.2015,
n. 864)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 28.10.2019, n. 7387);
c) “la dilazione temporale, che prima era
fissata nei dieci giorni previsti per
l'accesso informale ai documenti di gara
dall'art. 79, comma 5-quater, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, decorrenti dalla
comunicazione del provvedimento, può ora
ragionevolmente essere fissata nei quindici
giorni previsti dal richiamato comma 2
dell'art. 76 D.Lgs. n. 50 del 2016 per la
comunicazione delle ragioni
dell'aggiudicazione su istanza
dell'interessato” (v. ancora, Consiglio di
Stato, Sez. V, 28.10.2019, n. 7387);
d) “qualora la stazione appaltante rifiuti
illegittimamente l'accesso, o tenga
comportamenti dilatori che non consentano
l'immediata conoscenza degli atti di gara,
il termine non inizia a decorrere e il
potere di impugnare dall'interessato
pregiudicato da tale condotta amministrativa
non si “consuma”; in questo caso il termine
di impugnazione comincia a decorrere solo a
partire dal momento in cui l'interessato
abbia avuto cognizione degli atti della
procedura (cfr. Cons. Stato, sez. III, 06.03.2019, n. 1540; III, 22.07.2016, n.
3308; V, 07.09.2015, n. 4144; III, 10.11.2011, n. 5121)”;
e) “la comunicazione dell'avvenuta
aggiudicazione imposta dall'art. 76, comma
5, D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, non è
surrogabile da altre forme di pubblicità
legali, quali, in particolare, la
pubblicazione del provvedimento all'albo
pretorio della stazione appaltante per
l'espresso riferimento dell'art. 120, comma
5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della
comunicazione”, ovvero ad una precisa
modalità informativa del concorrente (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 25.07.2019, n.
5257; V, 23.07.2018, n. 4442; V, 23.11.2016, n. 4916)”;
f) “anche indipendentemente dal formale
inoltro della comunicazione dell'art. 76,
comma 5, D.Lgs. n. 50 del 2016 cit., per la
regola generale di cui all'art. 41, comma 2,
Cod. proc. amm., il termine decorre dal
momento in cui il concorrente abbia
acquisito "piena conoscenza"
dell'aggiudicazione, del suo concreto
contenuto dispositivo e della sua effettiva
lesività, pur se non si accompagnata
dall'acquisizione di tutti gli atti del
procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23.08.2019, n. 5813; V, 23.07.2018, n.
4442; V, 2017, n. 1953)” (cfr., ex aliis,
Consiglio di Stato, Sez. V, 28.10.2019,
n. 7387)
16.4. Dai principi elaborati dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato e, in
particolare, dall’insegnamento proveniente
dalla Corte di Giustizia, deve ritenersi che
il termine decorra dal momento della
conoscenza del provvedimento che si realizza
con l’accesso agli atti da parte
dell’operatore interessato.
Laddove siano
posti in essere comportamenti dilatori o sia
negata indebitamente l’ostensione degli atti
si determina, quindi, una sospensione nel
decorso del termine di impugnazione di
durata non necessariamente pari ai 15 giorni
di cui all’articolo 76 del D.lgs. n. 50/2016
dovendosi, in tal caso, verificare,
piuttosto, la vicenda concreta relativa
all’accesso e la celere messa a disposizione
degli atti. Diversamente opinando, si
costringerebbe, in ogni caso (e, quindi,
anche dopo il decorso dei 15 giorni di cui
all’articolo 76 del D.Lgs. n. 50/2016)
l’operatore economico a ricorrere “al buio”
e, quindi, “a guisa di un mero azzardo”
(TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. I, 15.01.2019, n. 71).
Una
situazione alla quale non può ovviare, come
ritenuto dalla Corte di Giustizia, la sola
possibilità di articolare motivi aggiunti
che non sempre garantisce una tutela
effettiva. Inoltre, non può omettersi di
considerare come le condotte dilatorie
dell’Amministrazione non possano
ripercuotersi su un bene come la
giurisdizione che, anche in considerazione
della crescente domanda di giustizia e della
nuova panoplia di rimedi garantiti dal
codice del processo amministrativo,
costituisce una risorsa limitata (cfr., ex multis,
Cassazione civile Sezione lavoro,
19.02.2020, n. 4181), come tale da destinare
ai bisogni effettivi di tutela e non da
inflazionarsi attraverso interpretazioni del
dato normativo che impongano al privato di
proporre un ricorso giurisdizionale senza
avere l’esatta cognizione dell’illegittimità
della lesione alla propria sfera giuridica (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.06.2020 n. 1046 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
Come
osservato dalla giurisprudenza, “nel processo amministrativo impugnatorio la
regola generale è che il ricorso abbia ad
oggetto un solo provvedimento e che i vizi-motivi si correlino strettamente a quest'ultimo,
salvo che tra gli atti impugnati esista una
connessione procedimentale o funzionale (da
accertarsi in modo rigoroso onde evitare la
confusione di controversie con conseguente
aggravio dei tempi del processo, ovvero
l'abuso dello strumento processuale per
eludere le disposizioni fiscali in materia
di contributo unificato), tale da
giustificare la proposizione di un ricorso
cumulativo”.
Nel processo amministrativo, quindi, il
ricorso cumulativo, pur non essendo precluso
in astratto ha, comunque, carattere
eccezionale, che si giustifica se ricorre
una connessione oggettiva tra gli atti
impugnati, in quanto riferibili ad una
stessa ed unica sequenza procedimentale o
iscrivibili all'interno della medesima
azione amministrativa.
Si ritiene, quindi, che la cumulabilità
delle impugnative imponga che tra gli atti
gravati debba potersi rintracciare una
ragione comune per cui, anche se
appartengono a procedimenti diversi, sono
fra loro comunque collegati in un rapporto
di presupposizione o di consequenzialità o
comunque di connessione.
In sostanza, il cumulo delle
cause, richiede un collegamento tra gli atti
di tipo procedimentale tanto da determinare
un quadro unitariamente lesivo degli
interessi del ricorrente (come nel caso
dell’impugnazione congiunta dell’atto
presupposto e di quello conseguenziale),
ovvero è possibile quando gli atti si
fondano su identici presupposti e le censure
proposte implicano la soluzione di identiche
questioni (come, ad esempio, nel caso di
impugnazione di diversi dinieghi in materia
urbanistica fondati sull’interpretazione
delle stesse norme del piano regolatore
generale). Devono ritenersi invece preclusi
i ricorsi cumulativi quando danno origine a
controversie del tutto differenti, prive di
qualunque collegamento tra loro.
---------------
Con specifico riferimento alle gare
pubbliche la giurisprudenza amministrativa
ritiene che, nel caso di presentazione di
offerte per più lotti, l'impugnazione possa
essere proposta con ricorso cumulativo solo
se vengono dedotti identici motivi di
ricorso avverso lo stesso atto.
Si tratta di un orientamento che
viene, in sostanza, “codificato” nella
previsione di cui all’articolo 120, comma
11-bis, c.p.a, introdotto dall'articolo 204,
comma 1, lettera i), del D.Lgs. 18.04.2016,
n. 50.
Secondo
tale orientamento “l'ammissibilità del
ricorso cumulativo degli atti di gara
pubblica resta subordinata
all'articolazione, nel gravame, di censure
idonee ad inficiare segmenti procedurali
comuni (ad esempio il bando, il disciplinare
di gara, la composizione della Commissione
giudicatrice, la determinazione di criteri
di valutazione delle offerte tecniche ecc.)
alle differenti e successive fasi di scelta
delle imprese affidatarie dei diversi lotti
e, quindi, a caducare le pertinenti
aggiudicazioni; in questa situazione,
infatti, si verifica una identità di causa
petendi e una articolazione del petitum che
risulta giustificata dalla riferibilità
delle diverse domande di annullamento alle
medesime ragioni fondanti la pretesa
demolitoria che, a sua volta, ne legittima
la trattazione congiunta”.
Il cumulo di azioni è, quindi,
ammissibile solo a condizione che le domande
si basino sugli stessi presupposti di fatto
o di diritto e/o siano riconducibili
nell'ambito del medesimo rapporto o di
un'unica sequenza procedimentale.
In quest’ultimo caso, infatti, si
ricade nell’ipotesi generale nella quale gli
atti –sebbene formalmente distinti– si
fondano sui medesimi presupposti e le
censure dedotte nei loro confronti sono le
stesse: in tale situazione, infatti, la
diversità degli atti è meramente
nominalistica in quanto hanno tutti il
medesimo contenuto dispositivo, fondandosi
sui medesimi presupposti.
La ricostruzione operata dalla
giurisprudenza sin qui richiamata non pone,
inoltre, problemi di compatibilità del
diritto interno con il diritto dell’Unione
europea.
Infatti, la Corte di Giustizia
dell’Unione europea
afferma: “l’articolo 1 della direttiva
89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative
relative all’applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture e lavori, come
modificata dalla direttiva 2007/66/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, nonché i principi di
equivalenza ed effettività devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a
una normativa nazionale che impone il
versamento di tributi giudiziari, come il
contributo unificato oggetto del
procedimento principale, all’atto di
proposizione di un ricorso in materia di
appalti pubblici dinanzi ai giudici
amministrativi”.
Inoltre, secondo la Corte,
“l’articolo 1 della direttiva 89/665, come
modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i
principi di equivalenza ed effettività non
ostano né alla riscossione di tributi
giudiziari multipli nei confronti di un
amministrato che introduca diversi ricorsi
giurisdizionali relativi alla medesima
aggiudicazione di appalti pubblici”. Tale
insegnamento della Corte risulta valevole
anche nel caso all’attenzione del Collegio
in quanto la decisione risulta fondata sui
medesimi principi su cui il legislatore
europeo codifica le direttive in materia di
appalti attualmente vigenti.
---------------
19. Prima
di procedere alla disamina nel merito di
tale motivo si deve verificare, tuttavia, la
fondatezza dell’eccezione in ordine al
ricorso per motivi aggiunti ove sono
articolate una serie di censure relative
alle offerte tecniche della controinteressata presentate in relazione ai
lotti 1, 2 e 3.
19.1. Sul punto il Collegio ritiene
opportuno, prima di procedere
all’interpretazione della previsione di cui
all’articolo 120, comma 11-bis, c.p.a.,
richiamare i principi costantemente
affermati dalla giurisprudenza
amministrativa in tema di ricorso
cumulativo.
19.2. Come osservato dalla giurisprudenza,
“nel processo amministrativo impugnatorio la
regola generale è che il ricorso abbia ad
oggetto un solo provvedimento e che i vizi-motivi si correlino strettamente a quest'ultimo,
salvo che tra gli atti impugnati esista una
connessione procedimentale o funzionale (da
accertarsi in modo rigoroso onde evitare la
confusione di controversie con conseguente
aggravio dei tempi del processo, ovvero
l'abuso dello strumento processuale per
eludere le disposizioni fiscali in materia
di contributo unificato), tale da
giustificare la proposizione di un ricorso
cumulativo (Consiglio di Stato, Ad. plen.,
27.04.2015, n. 5; altresì, IV, 26.08.2014, n. 4277; V, 27.01.2014, n. 398;
V, 14.12.2011, n. 6537)” (Consiglio di
Stato, Sez. III, 03.07.2019, n. 4569).
Nel processo amministrativo, quindi, il
ricorso cumulativo, pur non essendo precluso
in astratto ha, comunque, carattere
eccezionale, che si giustifica se ricorre
una connessione oggettiva tra gli atti
impugnati, in quanto riferibili ad una
stessa ed unica sequenza procedimentale o
iscrivibili all'interno della medesima
azione amministrativa (Consiglio di Stato,
Sez. VI, 16.04.2019, n. 2481; Consiglio
di Stato, Sez. III, 07.12.2015 n. 5547;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 18.03.2010
n. 1617).
Si ritiene, quindi, che la cumulabilità delle impugnative imponga che
tra gli atti gravati debba potersi
rintracciare una ragione comune per cui,
anche se appartengono a procedimenti
diversi, sono fra loro comunque collegati in
un rapporto di presupposizione o di
consequenzialità o comunque di connessione
(Consiglio di Stato, Sez. V, 14.03.2019,
n. 1687).
In sostanza, il cumulo delle
cause, richiede un collegamento tra gli atti
di tipo procedimentale tanto da determinare
un quadro unitariamente lesivo degli
interessi del ricorrente (come nel caso
dell’impugnazione congiunta dell’atto
presupposto e di quello conseguenziale),
ovvero è possibile quando gli atti si
fondano su identici presupposti e le censure
proposte implicano la soluzione di identiche
questioni (come, ad esempio, nel caso di
impugnazione di diversi dinieghi in materia
urbanistica fondati sull’interpretazione
delle stesse norme del piano regolatore
generale). Devono ritenersi invece preclusi
i ricorsi cumulativi quando danno origine a
controversie del tutto differenti, prive di
qualunque collegamento tra loro.
19.3. Con specifico riferimento alle gare
pubbliche la giurisprudenza amministrativa
ritiene che, nel caso di presentazione di
offerte per più lotti, l'impugnazione possa
essere proposta con ricorso cumulativo solo
se vengono dedotti identici motivi di
ricorso avverso lo stesso atto (Consiglio di
Stato, Sez. V, 08.02.2019, n. 948;
Consiglio di Stato, Sez. III, 17.09.2018, n. 5434).
19.4. Si tratta di un orientamento che
viene, in sostanza, “codificato” nella
previsione di cui all’articolo 120, comma
11-bis, c.p.a, introdotto dall'articolo 204,
comma 1, lettera i), del D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, (Consiglio di Stato, Sez. III,
04.02.2016, n. 449; Consiglio di Stato, Sez. V, 26.06.2015, n. 3241).
Secondo
tale orientamento “l'ammissibilità del
ricorso cumulativo degli atti di gara
pubblica resta subordinata
all'articolazione, nel gravame, di censure
idonee ad inficiare segmenti procedurali
comuni (ad esempio il bando, il disciplinare
di gara, la composizione della Commissione
giudicatrice, la determinazione di criteri
di valutazione delle offerte tecniche ecc.)
alle differenti e successive fasi di scelta
delle imprese affidatarie dei diversi lotti
e, quindi, a caducare le pertinenti
aggiudicazioni; in questa situazione,
infatti, si verifica una identità di causa
petendi e una articolazione del petitum che
risulta giustificata dalla riferibilità
delle diverse domande di annullamento alle
medesime ragioni fondanti la pretesa
demolitoria che, a sua volta, ne legittima
la trattazione congiunta” (Consiglio di
Stato, Sez. III, 03.07.2019, n. 4569).
19.5. Il cumulo di azioni è, quindi,
ammissibile solo a condizione che le domande
si basino sugli stessi presupposti di fatto
o di diritto e/o siano riconducibili
nell'ambito del medesimo rapporto o di
un'unica sequenza procedimentale (Consiglio
di Stato, Sez. III, 15.05.2018, n.
2892).
In quest’ultimo caso, infatti, si
ricade nell’ipotesi generale nella quale gli
atti –sebbene formalmente distinti– si
fondano sui medesimi presupposti e le
censure dedotte nei loro confronti sono le
stesse: in tale situazione, infatti, la
diversità degli atti è meramente
nominalistica in quanto hanno tutti il
medesimo contenuto dispositivo, fondandosi
sui medesimi presupposti.
19.6. La ricostruzione operata dalla
giurisprudenza sin qui richiamata non pone,
inoltre, problemi di compatibilità del
diritto interno con il diritto dell’Unione
europea. Infatti, la Corte di Giustizia
dell’Unione europea, con la sentenza 06.10.2015 resa nella causa C-61/14,
afferma: “l’articolo 1 della direttiva
89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative
relative all’applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture e lavori, come
modificata dalla direttiva 2007/66/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, nonché i principi di
equivalenza ed effettività devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a
una normativa nazionale che impone il
versamento di tributi giudiziari, come il
contributo unificato oggetto del
procedimento principale, all’atto di
proposizione di un ricorso in materia di
appalti pubblici dinanzi ai giudici
amministrativi”.
Inoltre, secondo la Corte,
“l’articolo 1 della direttiva 89/665, come
modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i
principi di equivalenza ed effettività non
ostano né alla riscossione di tributi
giudiziari multipli nei confronti di un
amministrato che introduca diversi ricorsi
giurisdizionali relativi alla medesima
aggiudicazione di appalti pubblici”. Tale
insegnamento della Corte risulta valevole
anche nel caso all’attenzione del Collegio
in quanto la decisione risulta fondata sui
medesimi principi su cui il legislatore
europeo codifica le direttive in materia di
appalti attualmente vigenti (cfr., Consiglio
di Stato, Sez. III, 03.07.2019, n. 4569) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.06.2020 n. 1046 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Secondo la
costante giurisprudenza del giudice
amministrativo le offerte migliorative
consistono in soluzioni tecniche che, senza
incidere sulla struttura, sulla funzione e
sulla tipologia del progetto a base di gara,
investono singole lavorazioni o singoli
aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti
a diverse soluzioni.
Ne deriva che possono
essere considerate proposte migliorative
tutte quelle precisazioni, integrazioni e
migliorie che sono finalizzate a rendere il
progetto prescelto meglio corrispondente
alle esigenze della stazione appaltante,
senza, tuttavia, alterare i caratteri
essenziali delle prestazioni richieste e che, invece, non sono ammesse
tutte quelle varianti progettuali che,
traducendosi in una diversa ideazione
dell’oggetto del contratto, alternativa
rispetto al disegno progettuale originario,
diano luogo ad uno stravolgimento di quest’ultimo.
Inoltre, nell’ambito della gara da
aggiudicarsi col criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa è lasciato
ampio margine di discrezionalità alla
commissione giudicatrice,
anche quanto alla valutazione delle ragioni
che giustificano la soluzione migliorativa
proposta e la sua efficienza nonché quanto
alla rispondenza alle esigenze della
stazione appaltante.
---------------
25.2. La
censura è infondata.
25.3. Secondo la costante giurisprudenza del
giudice amministrativo le offerte
migliorative consistono in soluzioni
tecniche che, senza incidere sulla
struttura, sulla funzione e sulla tipologia
del progetto a base di gara, investono
singole lavorazioni o singoli aspetti
tecnici dell’opera, lasciati aperti a
diverse soluzioni (cfr., ex aliis, Consiglio
di Stato, Sez., V, 20.02.2014, n. 819; Id.,
07.07.2014, n. 3435; Id., Sez. VI,
19.06.2017, n. 2969; Id., Sez. V, 14.05.2018, n. 2853; Id., Sez. V, 18.02.2019, n. 1097; Id., Sez. V, 15.01.2019, n. 374).
Ne deriva che possono
essere considerate proposte migliorative
tutte quelle precisazioni, integrazioni e
migliorie che sono finalizzate a rendere il
progetto prescelto meglio corrispondente
alle esigenze della stazione appaltante,
senza, tuttavia, alterare i caratteri
essenziali delle prestazioni richieste (cfr.,
Consiglio di Stato, Sez. V, 16.04.2014,
n. 1923) e che, invece, non sono ammesse
tutte quelle varianti progettuali che,
traducendosi in una diversa ideazione
dell’oggetto del contratto, alternativa
rispetto al disegno progettuale originario,
diano luogo ad uno stravolgimento di quest’ultimo
(cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 07.11.2014, n. 5497).
25.4. Inoltre, nell’ambito della gara da
aggiudicarsi col criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa è lasciato
ampio margine di discrezionalità alla
commissione giudicatrice (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. V, 11.12.2015, n. 5655),
anche quanto alla valutazione delle ragioni
che giustificano la soluzione migliorativa
proposta e la sua efficienza nonché quanto
alla rispondenza alle esigenze della
stazione appaltante (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.06.2020 n. 1046 -
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APPALTI: Alla
Corte di Giustizia Ue la questione del frazionamento dei requisiti di
partecipazione nel subappalto necessario.
Il Consiglio di Stato rimette alla Corte di giustizia UE la questione se sia
possibile frazionare i requisiti di partecipazione tra più imprese in
presenza di qualificazione obbligatoria per opere scorporabili e
specialistiche, allorché il soggetto partecipante sia in possesso della sola
qualificazione per la categoria “prevalente” (ma non anche per quella
“scorporabile”) e debba dunque ricorrere al subappalto “necessario”
(o “qualificante”).
---------------
Contratti pubblici – Subappalto
– Qualificazione obbligatoria in categorie scorporabili – Frazionamento del
requisito di partecipazione tra più imprese subappaltatrici – Rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia UE
É rimessa alla Corte di giustizia Ue la questione se gli
artt. 63 e 71 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio
del 26.02.2014, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di
libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), ostino ad una interpretazione
della normativa nazionale italiana in materia di subappalto necessario
secondo la quale il concorrente sprovvisto della qualificazione obbligatoria
in una o più categorie scorporabili non può integrare il requisito mancante
facendo ricorso a più imprese subappaltatrici, ovvero cumulando gli importi
per i quali queste ultime risultano qualificate (1).
---------------
(1) I. – Il Consiglio di Stato rimette alla Corte di giustizia UE
la questione se, in tema di subappalto “necessario” o “qualificante”
(laddove ossia si tratti di opere scorporabili, rispetto alla prestazione
principale, ma di alta specializzazione e dunque non altrimenti eseguibili,
sic et simpliciter, dalla impresa aggiudicatrice che non sia in
possesso della necessaria specifica qualificazione), i requisiti possano
essere frazionati tra l’impresa aggiudicatrice stessa ed altri
subappaltatori eventualmente indicati in sede di gara.
II. – La vicenda può essere così sintetizzata: veniva indetto appalto per la
realizzazione dell’ospedale “San Cataldo” di Taranto. Si contestava
ai fini che qui interessano il possesso del requisito di qualificazione in
capo alla aggiudicataria. Detto requisito riguardava in particolare opere di
alta specializzazione scorporabili dalla prestazione principale ma comunque
soggette a “qualificazione obbligatoria”. Esse non potevano infatti
essere direttamente eseguite dalla aggiudicataria poiché quest’ultima
risultava, sì, in possesso del requisito di qualificazione per la
prestazione “prevalente” ma non anche per quella “scorporabile”:
di qui l’inevitabile ricorso al subappalto c.d. “qualificante” o “necessario”.
Si trattava in particolare di lavori riconducibili alla categoria OS 18-B
(componenti per facciate continue), classe V (importo pari ad oltre 3
milioni 799 mila euro). La ricorrente stessa era in possesso della categoria
OS 18-B ma di classe III (importo pari ad 1 milione 33 mila euro). Onde
raggiungere utilmente la necessaria quota prevista per la classe V si faceva
dunque applicazione del c.d. “frazionamento del requisito”, indicando
a tal fine altre tre imprese subappaltatrici, tutte appartenenti alla stessa
categoria OS 18-B e rispettivamente munite, le prime due, di classe III-bis
(1,5 milioni di euro) e la terza di classe I (258 mila euro).
Attraverso la sommatoria degli importi riconducibili a ciascuna delle classi
possedute, l’aggiudicataria riusciva dunque a raggiungere la quota prevista
per la classe V della suddetta categoria. Il meccanismo descritto (“frazionamento
del requisito tra più imprese”) non veniva tuttavia ritenuto legittimo
dal Tar per la Puglia, sezione di Lecce, sez. II, con sentenza n. 1915 del
2019.
La sentenza veniva appellata davanti al Consiglio di Stato il quale, con
l’ordinanza in rassegna, decideva allora di rimettere la questione all’esame
della Corte di giustizia UE.
III. – Questo il ragionamento seguito dal Consiglio di Stato:
a) i requisiti di partecipazione nel settore dei
lavori pubblici seguono un doppio binario:
a1) quello del sistema di qualificazione generale secondo cui a ciascuna
impresa viene rilasciata una attestazione (SOA) sulla base di categorie di
lavori generali (OG) e specialistiche (OS) a loro volta suddivise in
crescenti classi di importo economico;
a2) quello più specifico delle singole stazioni appaltanti le quali sono
tenute ad indicare, nei relativi bandi, la categoria di lavori “prevalente”
(quella ossia che caratterizza l’intervento da realizzare) e la categoria di
lavori “scorporabili” (quelli ossia che non caratterizzano
l’intervento da realizzare ma che raggiungono un importo superiore al 10%
dell’appalto o comunque oltrepassano i 150 mila euro);
b) ebbene:
b1) per principio generale l’impresa concorrente in possesso della
qualificazione per la categoria “prevalente” può direttamente
eseguire anche i lavori riconducibili alla categoria “scorporabile”,
qualora questi ultimi non abbiano carattere specialistico. In questa ipotesi
il ricorso al subappalto è sì possibile ma comunque eventuale o facoltativo;
b2) qualora invece le lavorazioni “scorporabili” abbiano carattere
specialistico (come nel caso di specie) la qualificazione assume carattere “obbligatorio”.
Le ipotesi sono a questo punto due:
− l’impresa concorrente è in possesso di entrambe le qualificazioni
(categoria prevalente e scorporabile) ed allora può autonomamente procedere
(ferma la facoltà di ricorrere comunque al subappalto);
− l’impresa concorrente non è in possesso della qualificazione per le opere
scorporabili specialistiche (o comunque lo è ma fino ad un certo punto,
ossia per un certo importo) ed allora il subappalto diviene “necessario”
(o “qualificante”);
c) il caso di specie riguarda un’opera scorporabile a qualificazione
obbligatoria (in quanto trattasi di lavori specialistici riconducibili a “componenti
per facciate continue”). La concorrente era in possesso sì della
categoria (OS 18-B) ma non anche della classe V (pari ad oltre 3 milioni 799
mila euro), essendo munita della sola classe III (1 milione 33 mila euro).
Di qui la applicazione del c.d. “subappalto necessario” (ciò che non
ha l’impresa concorrente debbono averlo altri soggetti appositamente
indicati). A tale istituto si è fatto tuttavia ricorso non attraverso la
indicazione di un solo subappaltatore in possesso dell’intero requisito (OS
18-B di classe V) ma attraverso l’indicazione di altri tre soggetti
(subappaltatori) in possesso della stessa categoria e muniti di classe anche
qui inferiore (III-bis, di importo pari ad 1,5 milioni di euro, nonché I, di
importo pari a 258 mila euro).
Il passo successivo è dunque stato quello di procedere alla sommatoria dei 4
requisiti (ossia la classe III della impresa concorrente e quelle possedute
dalle imprese subappaltatrici) onde raggiungere la quota richiesta per la
classe V: è il fenomeno del c.d. “frazionamento del requisito”
(oppure, correlativamente, della “sommatoria degli importi” per i
quali risultano qualificati i vari soggetti rispettivamente partecipanti e
indicati quali subappaltatori);
d) il Consiglio di Stato ritiene tutto sommato percorribile una simile
opzione sulla base delle seguenti considerazioni:
d1) il “subappalto necessario” non trova una sua specifica
regolamentazione nel contesto del decreto legislativo n. 50 del 2016 (codice
dei contratti);
d2) un divieto espresso di frazionamento del subappalto (e dunque del
mancante o incompleto requisito di partecipazione) sussiste a livello
normativo (art. 105, comma 5, del decreto legislativo n. 50 del 2016)
soltanto per opere super specialistiche che superino il 10% dell’importo
dell’appalto, non anche per quelle meramente specialistiche o comunque
inferiori, come nel caso di specie, alla suddetta quota del 10%;
d3) al di fuori dell’ipotesi sub d2) non sussiste dunque un divieto espresso
per il “cumulo dei requisiti di più operatori”;
d4) l’orientamento del legislatore e della giurisprudenza comunitaria è anzi
quello di favorire il più possibile la “facoltà di un’impresa di fare
affidamento sulle capacità altrui attraverso un rapporto di subappalto”.
Ciò proprio nell’obiettivo della massima apertura del mercato degli appalti
pubblici alla concorrenza, a vantaggio non solo delle piccole e medie
imprese ma anche delle stesse amministrazioni aggiudicatrici;
d5) ora, è ben vero che la normativa italiana è stata via via
particolarmente restrittiva nei confronti del subappalto (per il pericolo da
infiltrazioni mafiose o comunque per le cattive prestazioni sul piano della
qualità esecutiva) ma è anche vero che le ultime direttive europee in
materia di appalti hanno intensificato sia il sistema di verifica preventiva
sui subappaltatori indicati sia il meccanismo di responsabilità di questi
ultimi nei confronti della medesima stazione appaltante;
d6) a ciò si aggiunga che, se si accetta l’idea che tra “avvalimento”
e “subappalto necessario” le ontologiche differenze tra i due
istituti tendono di molto ad attenuarsi (si veda soprattutto le verifica
preventiva dei soggetti indicati nel subappalto necessario, tanto che si
parla in questi casi anche di “avvalimento sostanziale”), nessun
particolare ostacolo dovrebbe allora porsi per riconoscere il descritto
meccanismo del “frazionamento del requisito” anche per il subappalto
necessario, atteso che una simile facoltà è espressamente ammessa per l’avvalimento
dall’art. 89, comma 6, del decreto legislativo n. 50 del 2016, nella parte
in cui si disciplina “l’avvalimento di più imprese ausiliarie”;
d7) per tutte le ragioni sopra partitamente descritte [d1) – d6)], si
ritiene dunque che anche per il “subappalto necessario” possa valere
“un principio generale di frazionabilità del requisito qualificante”;
d8) unica condizione sarebbe quella di dimostrare alla stazione appaltante
la “capacità” e la “idoneità” dei soggetti indicati nonché la
“disponibilità” effettiva dei mezzi necessari alla corretta ed
integrale esecuzione della commessa;
d9) sarebbe inoltre fatta salva la sussistenza di eccezionali circostanze
tali da indurre la stazione appaltante a limitare l’esecuzione di talune
prestazioni ad un solo operatore oppure ad un ristretto numero di soggetti;
d10) nei termini anzidetti il Consiglio di Stato ha dunque ritenuto di porre
il quesito di cui in massima alla Corte di giustizia UE.
IV. – Si segnala per completezza quanto segue:
e) in dottrina sul subappalto si veda:
e1) con riferimento alla disciplina di cui all’art. 118 d.lgs. n. 163 del
2006: N. CENTOFANTI, M. FAVAGROSSA e P. CENTOFANTI, Il subappalto, Padova,
2012; A. GUARNIERI, D. TESSERA, commento all’art. 118, in Commentario al
codice dei contratti pubblici, a cura di G. F. FERRARI, G. MORBIDELLI,
Milano, 2013; A. DI RUZZA, C. LINDA, commento all’art. 118, in Codice
dell'appalto pubblico, a cura di S. BACCARINI, G. CHINÈ, R. PROIETTI,
Milano, 2015, 1366 ss.; C. SADILE, Il subappalto dei lavori pubblici,
Milano, 2014; D. GALLI e C. GUCCIONE, Contratti pubblici: «avvalimento»
e subappalto in Giornale dir. amm., 2015, 127;
e2) con riferimento alla disciplina di cui all’art. 105 d.lgs. n. 50 del
2016: G. MANCINI, Brevi note sui limiti di ammissibilità del subappalto ai
sensi dell'art. 105 del nuovo codice degli appalti in Riv. trim. appalti,
2016, 711; M. GENTILE, Il subappalto nel «nuovo» codice: aumentano
limiti, vincoli e dubbi applicativi in Appalti & Contratti, 2016, 6, 43; R.
DE NICTOLIS, I nuovi appalti pubblici, Bologna, 2017, 1488 ss.;
e3) con riferimento alla disciplina successiva al correttivo al Codice dei
contratti pubblici: M. GENTILE, Il correttivo allarga <con moderazione>
le maglie del subappalto in Appalti & Contratti, 2017, 7, 15; G. BALOCCO, La
riforma del subappalto e principio di concorrenza in Urbanistica e appalti,
2017, 621; G.A. GIUFFRE’, Le novità in tema di subappalto in Il correttivo
al Codice dei contratti pubblici, a cura di M.A. SANDULLI, M. LIPARI, F.
CARDARELLI, Milano, 2017, p. 331; M. CERUTI, Alcune brevi riflessioni in
tema di subappalto fra tutela della concorrenza e prevenzione
dell'illegalità, in Contratti Stato e enti pubbl., 2018, 3, pp. 39-52; D.
PONTE, Subappalto: al 50% il limite dell'importo e abolita la terna (D.L.
18.04.2019 n. 32), in Guida al dir., 2019, 85-87;
e4) sulla nuova disciplina del
d.l. 18.04.2019, n. 32, “Disposizioni
urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per
l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e
di ricostruzione a seguito di eventi sismici” (cd. “Sblocca cantieri”),
convertito con modificazioni in l. 14.06.2019, n. 55 (oggetto della
News
normativa, n. 74 del 10.07.2019, alla quale si rinvia per
approfondimenti) si veda, in particolare, il contributo di DE NICTOLIS, Le
novità sui contratti pubblici recate dal d.l. n. 32/2019, ivi richiamato:
I) il d.l. n. 32 del 2019 recava nella versione originaria un parziale
adeguamento dell’art. 105 d.lgs. n. 50 del 2016 ai rilievi della Commissione
europea in quanto modificava il limite generale del subappalto, innalzandolo
dal trenta al cinquanta per cento dell’importo contrattuale;
II) non veniva accolto, invece, il rilievo della Commissione europea
relativo al limite del subappalto per le opere di cui all’art. 89, comma 11
(art. 105, comma 5), ritenendosi tale limite giustificato dalla particolare
natura delle prestazioni (secondo la Commissione europea sono
consentiti limiti quantitativi del subappalto giustificati dalla particolare
natura della prestazione);
III) tali previsioni non sono state convertite in legge ma in sede di
conversione, la l. n. 55 del 2019 ha operato sul subappalto un intervento
transitorio, senza novellare il codice e limitandosi a sospendere
l’efficacia di alcune norme e a derogarne altre, con conseguente
individuazione del limite quantitativo del subappalto fissato nel quaranta
per cento dell’importo complessivo del contratto fino al 31.12.2020;
e5) sui limiti quantitativi e i requisiti soggettivi in materia di sub
appalto: R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni, Bologna, 2020, 1342
ss.;
e6) sulla compatibilità con il diritto europeo dei limiti al subappalto
posti dalla legislazione italiana, spunti specifici sono infine offerti da
M. MARTINELLI, La capacità economica e finanziaria, in Il nuovo diritto
degli appalti pubblici a cura di R. GAROFOLI, M.A. SANDULLI, Milano,
2005, 633 (ove si evidenzia che “la giurisprudenza comunitaria appare
orientata a riconoscere la possibilità di ricorrere al subappalto oltre i
limiti eventualmente stabiliti dalla normativa interna, allorché i requisiti
di capacità del terzo subappaltatore siano stati valutati in corso di gara
dall’amministrazione aggiudicatrice…in tal caso, infatti, vi sono tutte le
garanzie che l’appalto venga effettivamente eseguito da soggetti dotati di
adeguata qualificazione”), M. E. COMBA, L'esecuzione delle opere
pubbliche - Con cenni di diritto comparato, Torino, 2011, 61 ss., R. CARANTA,
I contratti pubblici, Torino, 2012, 364, che, evidenziati i limiti al
subappalto della legislazione italiana, stigmatizza che “si tratta di
limiti tout court in contrasto con il diritto europeo”;
f) quanto alla giurisprudenza europea in tema di subappalto si veda, più in
generale:
f1) Corte di giustizia UE, sez. V, 05.04.2017, C-298/2015, Borta UAB [in
www.curia.europa.eu, 2017; Foro amm., 2017, 811 (m); Appalti & Contratti,
2017, fasc. 9, 76 (m)] secondo cui: “per gli appalti pubblici di rilievo
transfrontaliero, anche se sotto la soglia di applicazione delle direttive
europee, è interesse dell'Unione che l'apertura della procedura alla
concorrenza sia la più ampia possibile, e il ricorso al subappalto, che può
favorire l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici,
contribuisce al perseguimento di tale obiettivo. Pertanto, una disposizione
nazionale, che preveda che in caso di ricorso a subappaltatori per eseguire
un appalto pubblico di lavori, l'aggiudicatario sia tenuto a realizzare
l'opera principale, come descritta dall'amministrazione aggiudicatrice,
costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera
prestazione dei servizi”;
f2) Corte di giustizia UE, sez. III, 14.07.2016, C-406/14 (in Foro it.,
2016, IV, 389), secondo cui: “la direttiva 2004/18/Ce del parlamento
europeo e del consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e
di servizi, come modificata dal regolamento (Ce) 2083/2005 della
commissione, del 19.12.2005, deve essere interpretata nel senso che
un’amministrazione aggiudicatrice non è autorizzata ad imporre, mediante una
clausola del capitolato d’oneri di un appalto pubblico di lavori, che il
futuro aggiudicatario esegua una determinata percentuale dei lavori oggetto
di detto appalto avvalendosi di risorse proprie”;
f3) Corte di giustizia UE, 14.01.2016, C-234/14 (in www.curia.europa.eu,
2016; Repertorio Foro it., 2016, voce Unione europea e Consiglio d'Europa,
n. 1768), secondo cui: “Gli art. 47, par. 2, e 48, par. 3, direttiva
2004/18/Ce del parlamento europeo e del consiglio, del 31.03.2004, relativa
al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi, devono essere interpretati nel senso che
ostano a che un'amministrazione aggiudicatrice, nel capitolato d'oneri
relativo ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, possa
obbligare un offerente che faccia affidamento sulle capacità di altri
soggetti, prima dell'aggiudicazione di detto appalto, a stipulare con questi
ultimi un accordo di partenariato o a costituire con essi una snc.”;
f4) Corte di giustizia UE, 10.10.2013, C-94/12 [in www.curia.europa.eu,
2013; Guida al dir., 2013, fasc. 43, 94, con nota di MASARACCHIA; Foro amm.-Cons.
Stato, 2013, 2630; Appalti & Contratti, 2013, fasc. 11, 84 (m), con nota di
TRAMONTANA; Nuovo notiziario giur., 2014, 275; Urbanistica e appalti, 2014,
147, con nota di CARANTA; Giurisdiz. amm., 2013, III, 746], secondo cui: “Gli
art. 47, par. 2, e 48, par. 3, direttiva 2004/18/Ce del parlamento europeo e
del consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi,
letti in combinato disposto con l'art. 44, par. 2, della medesima direttiva,
devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione
nazionale come quella in discussione nel procedimento principale, la quale
vieta, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una
procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi,
per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese”;
g) sul progressivo allentamento delle rigorose maglie previste dalla
disciplina nazionale per il sub appalto ad opera della Corte UE:
g1) la prima pronunzia che si
registra è quella della
Corte di giustizia UE, sez. V, 26.09.2019, C-63/18,
Vitali s.p.a. [in www.curia.europa.eu, 2019; Guida al dir., 2019, fasc. 43,
100 (m), con nota di PONTE; Gazzetta forense, 2019, 794, con nota di SPIZUOCO; Giur. it., 2020, 157 (m), con nota di GIUSTI, nonché oggetto della
News US n. 105 del 14.10.2019 ed alla quale si rinvia per ogni
approfondimento in dottrina e in giurisprudenza), con cui la Corte ha
dichiarato che la normativa europea in materia di appalti pubblici deve
essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che
limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a
subappaltare a terzi. Più in particolare, il ricorso al subappalto può
favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
Per converso, una clausola che imponga limitazioni al ricorso a
subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta, sulla
base ossia di una determinata percentuale dello stesso, si rivela
incompatibile con tale direttiva. È ben vero, infatti, che i singoli Stati
membri debbano verificare se i subappaltatori possano essere messi in
relazione a fenomeni di organizzazione criminale, di corruzione o di frode,
ma è anche vero, d’altro canto, che occorrono in tutti questi casi spazi per
una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore.
E tanto
anche in considerazione dei già numerosi istituti interdittivi, previsti
dall’ordinamento italiano, espressamente finalizzati ad impedire l’accesso
alle gare pubbliche per le imprese sospettate di condizionamento mafioso o
comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni
criminali operanti nel paese;
g2) la successiva pronunzia è quella di cui alla
Corte di giustizia UE, sez.
V, 27.11.2019, C-402/18 – Tedeschi Srl e Consorzio Stabile Istant Service
contro C.M. Service Srl e Università degli Studi di Roma La Sapienza (in
Foro it., 2020, IV, 141, nonché oggetto della
News US n. 131 del 10.12.2019
ed alla quale si rinvia per ogni approfondimento in dottrina e in
giurisprudenza), con cui la Corte ha riaffermato la non conformità alla
direttiva n. 2004/18/CE di una disciplina nazionale (nel caso di specie
contenuta nell’art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006) nella parte in cui
prevede il limite quantitativo del trenta per cento alle prestazioni
subappaltabili, poiché quest’ultimo è ex se inidoneo al
raggiungimento dello scopo di contrastare le infiltrazioni criminali nel
sistema degli appalti pubblici. Riprese, in particolare, le stesse
argomentazioni di cui alla richiamata sentenza della Corte di Giustizia UE
26.09.2019;
g3) la validità del limite del 30%, per la parte di opera oggetto di
subappalto, è stata tra l’altro oggetto di rilievo della Commissione
europea, mediante la lettera di costituzione in mora 2018/2273 del
24.01.2019, con la quale è stato contestato, in relazione ad alcune
disposizioni del codice, il non corretto recepimento delle direttive
europee.
In particolare, ad avviso della Commissione: nelle direttive 2014/23/UE,
2014/24/UE e 2014/25/UE non vi sono disposizioni che consentano un siffatto
limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere
subappaltato; al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui
occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese
agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo
può essere raggiunto, e pertanto un limite quantitativo al subappalto non
può essere imposto in astratto, ma solo caso per caso in relazione alla
particolare natura della prestazione da svolgere;
g4) sul tema dei prezzi praticabili nei confronti del subappaltatore si veda
ancora, con la quale è stata altresì dichiarata l’illegittimità della
disciplina del Codice dei contratti (decreto legislativo n. 50 del 2016)
nella parte in cui vieta che i prezzi applicabili alle prestazioni affidate
in subappalto siano ridotti di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti
dall’aggiudicazione in quanto si tratta di strumento che eccede rispetto
alla necessità di assicurare la tutela salariale dei lavoratori impiegati
nel subappalto.
Per la Corte, tale limite rende infatti meno allettante la possibilità di
ricorrere al subappalto dal momento che limita l’eventuale vantaggio
concorrenziale in termini di costi per il personale delle imprese
subappaltatrici. Ciò si pone in contrasto con i principi di concorrenza e
massima partecipazione e con lo scopo di agevolare l’accesso delle piccole e
medie imprese agli appalti pubblici.
Un tale limite, prosegue ancora la Corte, eccede quanto necessario per
assicurare ai lavoratori impiegati nell’ambito del subappalto la tutela
salariale dal momento che non “lascia spazio ad una valutazione caso per
caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dal momento che si
applica indipendentemente da qualsiasi presa in considerazione della tutela
sociale garantita dalle leggi, dai regolamenti e dai contratti collettivi
applicabili ai lavoratori interessati” (punto 65);
g5) sulla nuova disciplina di cui al decreto-legge n. 32 del 2019 si vedano
ancora le considerazioni di cui alla lettera e4);
h) sul “subappalto necessario” si veda, in particolare:
h1) Cons. Stato, sez. V, 20.08.2019, n. 5745 [in Appalti & Contratti, 2019,
fasc. 10, 104 (m)], secondo cui: “La giurisprudenza ha confermato che in
sede di presentazione dell'offerta non è necessaria l'indicazione nominativa
dell'impresa subappaltatrice anche in caso di subappalto necessario, e cioè
allorché il concorrente non possieda la qualificazione nelle categorie
scorporabili”;
h2) Tar per il Lazio, sez. II, 06.03.2019, n. 3023 (in Foro amm., 2019,
560), secondo cui: “Dal 2° comma dell'art. 12 d.l. n. 47/2014 e dall'art.
92, 1° comma, d.p.r. n. 207/2010 (che, a norma degli art. 83, 2° comma,
ultimo periodo e 214, 16° comma, d.leg. n. 50/2016, continua ad applicarsi
fino all'adozione delle linee guida previste dal 2° comma, prima parte),
scaturisce la regola generale per cui l'impresa singola che sia qualificata
nella categoria prevalente per l'importo totale dei lavori può eseguire
tutte le lavorazioni oggetto di affidamento ove copra con la qualifica
prevalente i requisiti non posseduti nelle scorporabili, con l'eccezione
secondo la quale, le categorie a qualificazione obbligatoria –tra cui è
compresa la OS 28– non potendo essere eseguite direttamente dall'affidatario,
qualificato solo per la categoria prevalente, devono essere subappaltate ad
imprese munite di specifiche attestazioni”.
Ed ancora che: “Laddove l'art. 118, 2° comma, d.leg. n. 163/2006 ha
catalogato i requisiti di validità del subappalto, ha evidentemente inteso
circoscrivere, in maniera tassativa ed esaustiva, a quei presupposti (e solo
a quelli) le condizioni di efficacia del subappalto, sicché ogni opzione
ermeneutica che si risolvesse nell'aggiunta di un diverso ed ulteriore
adempimento (rispetto a quelli ivi classificati come la richiesta
indicazione del nome del subappaltatore) deve essere rifiutata in quanto
finirebbe per far dire alla legge una cosa che la legge non dice (e che si
presume non voleva dire); dall'esame della vigente normativa di riferimento
può, in definitiva, identificarsi il paradigma (riferito all'azione
amministrativa, ma anche al giudizio della sua legittimità) secondo cui
l'indicazione del nome del subappaltatore non è obbligatoria all'atto
dell'offerta, neanche nei casi in cui, ai fini dell'esecuzione delle
lavorazioni relative a categorie scorporabili a qualificazione necessaria,
risulti indispensabile il loro subappalto ad una impresa sprovvista delle
relative qualificazioni (c.d. subappalto necessario)”.
Infine che: “Il subappalto necessario è contemplato da precise norme
legislative e regolamentari, così da costituire un istituto di sicura
applicabilità nelle gare a prescindere da qualsiasi espresso richiamo da
parte dei bandi e in relazione al significato da attribuire alle
dichiarazioni rese dalla ricorrente nella compilazione del modulo di
partecipazione fornito dalla s.a. nella sua volontà di non fare affidamento
sulle capacità di altri soggetti per soddisfare criteri di selezione
agevolmente riconducibile alla semplice consapevolezza della società di
poter concorrere autonomamente alla gara grazie alla sua qualificazione
«sovrabbondante» nella categoria prevalente, salvo, poi, affidare
concretamente in subappalto i lavori della scorporabile a soggetto
specificamente qualificato, come dichiarato”;
h3) Cons. Stato, Ad. plen.,
02.11.2015, n. 9 (in Foro it., 2016, III, 65, con nota di CONDORELLI;
Contratti Stato e enti pubbl., 2015, fasc. 4, 87, con nota di VESPIGNANI;
Urbanistica e appalti, 2016, 167, con nota di GASTALDO LONGO, CANZONIERI;
Giornale dir. amm., 2016, 365, con nota di GALLI, CAVINA; Nuovo dir. amm.,
2016, 3, 53, con nota di NARDOCCI; Urbanistica e appalti, 2017, 456, con
nota di SENATORE), il quale ha inteso risolvere il contrasto
giurisprudenziale in tema di subappalto necessario, escludendo dunque
l'obbligatorietà dell'indicazione del nominativo del subappaltatore già in
sede di presentazione dell'offerta, anche “nell'ipotesi in cui il
concorrente non possieda la qualificazione nelle categorie scorporabili”
previste dall'art. 107, comma 2, d.P.R. n. 207 del 2010, che disciplina i
requisiti di partecipazione alla gara;
h4) Cons. Stato, sez. IV, 26.05.2014, n. 2675 (in Foro amm., 2014, 1419),
secondo cui: “Nelle gare pubbliche, la mancata preventiva indicazione del
nominativo del subappaltatore costituisce causa di legittima esclusione
quando il concorrente è sfornito della qualificazione per le lavorazioni che
ha dichiarato di voler subappaltare”;
h5) Cons. Stato, sez. IV, 13.03.2014, n. 1224 (in Giurisdiz. amm., 2013, ant.,
673; Urbanistica e appalti, 2014, 805, con nota di ACCARDI; Dir. e pratica
amm., 2014, fasc. 6, 68 (m), con note di PORCU, ANGIONI), secondo cui: “L'affidamento
in subappalto di cui all'art. 118, 2º comma, d.leg. 12.04.2006 n. 163 è
inter alia subordinato alla condizione che, all'atto dell'offerta, i
concorrenti abbiano indicato i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e
le forniture o parti di servizi e forniture che intendono subappaltare o
concedere in cottimo; la dichiarazione deve contenere anche l'indicazione
del subappaltatore, unitamente alla dimostrazione del possesso, in capo a
costui, dei requisiti di qualificazione, ogniqualvolta il ricorso al
subappalto si renda necessario a cagione del mancato autonomo possesso, da
parte del concorrente, dei necessari requisiti di qualificazione”;
i) sul c.d. “requisito di punta” si veda, in particolare: Cons.
Stato, sez. V, 02.02.2018, n. 678 (in Foro amm., 2018, 180), secondo cui: “L’avvalimento
plurimo o frazionato non può essere consentito con riferimento al cd.
requisito di punta, che deve essere necessariamente soddisfatto da una
singola impresa, in quanto è espressione di una qualifica funzionale non
frazionabile, perché attesta una esperienza qualificata nell'ambito dello
specifico servizio oggetto della gara; il requisito di punta, in altri
termini, proprio perché caratterizzante la qualità dell'impresa stessa, non
può essere oggetto di frazionamento tra più soggetti, ma deve
necessariamente essere posseduto in capo ad una singola impresa”;
j) si veda infine la richiamata
News US n. 105
del 14.10.2019 per gli approfondimenti ivi contenuti sul subappalto in
generale, in tema di compatibilità con il diritto europeo dei limiti al
subappalto posti dalla legislazione italiana [si vedano al riguardo i pareri
resi dal Consiglio di Stato sul nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs.
n. 50 del 2016) e sul correttivo allo stesso (d.lgs. n. 56 del 2017): nel
parere n. 855/2016 il Consiglio di Stato aveva in particolare osservato, in
relazione all’art. 105, che il legislatore nazionale potrebbe porre, in tema
di subappalto, limiti di maggior rigore rispetto alle direttive europee, che
non costituirebbero un ingiustificato goldplating, ma sarebbero
giustificati da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della
trasparenza e del mercato del lavoro].
Si veda ancora, nella stessa News, il tema del riparto della competenza
legislativa fra Stato e regioni, sempre avuto riguardo al subappalto
(Consiglio di Stato, Sez. III,
ordinanza 10.06.2020 n. 3702 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Alla
Corte di Giustizia Ue la possibilità per il subappaltatore di integrare il
requisito mancante della qualificazione obbligatoria in una o più categorie
scorporabili.
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Contratti della Pubblica amministrazione - Subappalto – Qualificazione -
Qualificazione obbligatoria in una o più categorie scorporabili – Requisito
mancante – Integrazione - Ricorso a più imprese subappaltatrici – Rimessione
alla Corte di Giustizia Ue.
É rimessa alla Corte di giustizia Ue la questione se
gli artt. 63 e 71 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 26.02.2014, unitamente ai principi di libertà di stabilimento
e di libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato
sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), ostino ad una interpretazione
della normativa nazionale italiana in materia di subappalto necessario
secondo la quale il concorrente sprovvisto della qualificazione obbligatoria
in una o più categorie scorporabili non può integrare il requisito mancante
facendo ricorso a più imprese subappaltatrici, ovvero cumulando gli importi
per i quali queste ultime risultano qualificate (1).
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(1) Ha ricordato la
Sezione che la Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi sugli artt. 47 e
48 della previgente direttiva 2004/18/CE (per gli aspetti e le disposizioni
che qui rilevano non contraddetta dalla successiva direttiva 2014/24/UE,) ha
ripetutamente affermato:
(i) il diritto di ciascun operatore di fare affidamento, per un
determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti, “a prescindere
dalla natura dei suoi legami con questi ultimi”, purché si dimostri
all’amministrazione aggiudicatrice l’effettiva disponibilità dei mezzi
necessari per eseguire l’appalto (cfr. CGUE, 10.10.2013, C 94/12, punti 29 -
35; CGUE, 14.01.2016, C-234/14, punti 23 e 28; CGUE, 14.07.2016, C 406/14,
punto 33);
(ii) la libertà dell’offerente di “..scegliere, da una parte, la
natura giuridica dei legami che intende allacciare con gli altri soggetti
sulle cui capacità egli fa affidamento ai fini dell'esecuzione di un
determinato appalto e, dall'altra, le modalità di prova dell'esistenza di
tali legami” (CGUE, 14.01.2016, C-234/14, punto 28);
(iii) il generale principio di frazionabilità dei requisiti di
partecipazione tra più imprese, suscettibile di deroga soltanto in presenza
di comprovate circostanze eccezionali, ossia: “lavori che presentino
peculiarità tali da richiedere una determinata capacità che non si può
ottenere associando capacità inferiori di più operatori” e per i quali
il livello minimo di capacità deve essere raggiunto da un operatore
economico unico o, eventualmente, da un numero limitato di operatori
economici (cfr. CGUE, 10.10.2013, C 94/12; CGUE, 14.07.2016, C 406/14).
Ancora più in dettaglio, la Corte di Giustizia:
- nella sentenza C 94/12 (punto 31), per suffragare la portata
generale del diritto dei concorrenti di fare affidamento sulle capacità di
più operatori, ha rinviato alle norme sul subappalto, statuendo: “nel
medesimo senso, l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva in parola
autorizza i raggruppamenti di operatori economici a partecipare a procedure
di aggiudicazione di appalti pubblici senza prevedere limitazioni relative
al cumulo di capacità, così come l’articolo 25 della stessa direttiva
considera il ricorso a subappaltatori senza indicare limitazioni in
proposito”;
- nella sentenza C 406/14 (punto 33), resa in materia di
subappalto, in maniera ancor più incisiva la Corte ha affermato che “l’articolo
48, paragrafo 3, di tale direttiva (n. 2004/18, n.d.r.) –prevedendo la
facoltà per gli offerenti di provare che, facendo affidamento sulle capacità
di soggetti terzi, essi soddisfano i livelli minimi di capacità tecniche e
professionali stabiliti dall’amministrazione aggiudicatrice, a condizione di
dimostrare che, qualora l’appalto venga loro aggiudicato, disporranno
effettivamente delle risorse necessarie per la sua esecuzione, risorse che
non appartengono loro personalmente– sancisce la possibilità per gli
offerenti di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di un appalto, e ciò,
in linea di principio, in modo illimitato”;
- nella sentenza C 234/14 (punto 28), anche questa resa in materia
di subappalto, la Corte ha ulteriormente precisato che “l'offerente
rimane libero di scegliere, da una parte, la natura giuridica dei legami che
intende allacciare con gli altri soggetti sulle cui capacità egli fa
affidamento ai fini dell'esecuzione di un determinato appalto e, dall'altra,
le modalità di prova dell'esistenza di tali legami”.
L’interpretazione di cui si è dato conto, per espressa affermazione della
Corte di Giustizia, risponde all’obiettivo dell’apertura del mercato degli
appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, a
vantaggio non soltanto degli operatori economici stabiliti negli Stati
membri, ed in particolare delle piccole e medie imprese, ma anche delle
stesse amministrazioni aggiudicatrici.
Si tratta di obiettivi propri della direttiva 2004/18/CE e rafforzati dalla
direttiva 2014/24/UE (v. considerando 1, 41, 78, 100 e 105 della direttiva
2014/24).
Il fatto che essi siano stati ribaditi dalla Corte di Giustizia con
riferimento a fattispecie riguardanti sia l’istituto dell’avvalimento che
quello del subappalto, comprova che le pur obiettive differenze strutturali
che intercorrono tra i due istituti (l’avvalimento rileva nella fase di
implementazione dei requisiti di partecipazione ad una gara; il subappalto,
posto "a valle" del contratto di appalto, attiene alla sua
esecuzione) non elidono la loro comune connotazione quali moduli
organizzativi alternativamente idonei a garantire l'ampliamento della
possibilità di partecipazione alle gare anche a soggetti in apice sforniti
dei requisiti di partecipazione (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV,
n. 2675/2014 e n. 1224/2014; CGUE, 05.04.2017, C-298/15, punti 47 e ss.;
CGUE, 14.01.2016, C-234/14, punto 28; CGUE, 10.10.2013, C 94/12, punto 31).
La Corte di Giustizia riconosce che il ricorso al subappalto, favorendo
l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce,
al pari dell’avvalimento, a realizzare l’obiettivo di rendere la concorrenza
la più ampia possibile (CGUE, 26.09.2019, C-63/18, punto 27 e CGUE,
27.11.2019, C-402/18, punto 39).
Il confronto con l’istituto dell’avvalimento offre l’occasione, da un lato,
per illustrare le possibili obiezioni all’estensione anche al subappalto del
principio del frazionamento dei requisiti; e, dall’altro, per accennare alle
ragioni che hanno alimentato la linea prudenziale storicamente adottata dal
legislatore italiano nel dare ingresso al subappalto nel sistema degli
appalti pubblici.
Sotto questo secondo aspetto rileva il fatto che il subappalto, confinato
alla fase esecutiva dell’appalto e sottratto ai controlli amministrativi
aventi sede nella procedura di gara:
(i) si presta ad una possibile sostanziale elusione dei principi di
aggiudicazione mediante gara e di incedibilità del contratto;
(ii) costituisce un mezzo di possibile infiltrazione negli pubblici
appalti della criminalità organizzata, la quale può sfruttare a suo
vantaggio l’assenza di verifiche preliminari sull’identità dei
subappaltatori proposti e sui requisiti di qualificazione generale e
speciale di cui agli artt. 80 e 83, d.lgs. n. 50 del 2016;
(iii) conosce una prassi applicativa talora problematica, poiché la
tendenza dell’appaltatore a ricavare il suo maggior lucro sulla parte del
contratto affidata al subappaltatore (tendenzialmente estranea ad ingerenze
della stazione appaltante) produce riflessi negativi sulla corretta
esecuzione dell’appalto, sulla qualità delle prestazioni rese e sul rispetto
della normativa imperativa in materia di diritto ambientale, sociale e del
lavoro.
Da questa serie di limiti disfunzionali (segnalati nei pareri n. 855/2016 e
n. 782/2017 resi da questo Consiglio, rispettivamente, sul progetto di nuovo
Codice dei contratti pubblici e sul decreto legislativo di correttivo al
Codice) hanno tratto spunto le opzioni restrittive inserite nel vigente
codice degli appalti, di recente e sotto diversi profili censurate dalla
Corte di Giustizia (CGUE 26.09.2019, C-63/18; CGUE, 27.11.2019, C-402/18).
Il rischio al quale il subappalto sembra esporre l’integrità dei contratti
pubblici e la loro immunità da infiltrazioni della criminalità è peraltro
accresciuto da una reiterata impostazione normativa che, pur onerando il
concorrente in gara della indicazione generalizzata, sin nell'atto
dell'offerta, dei lavori o delle parti di opere che egli intende
subappaltare (art. 105, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016), per il resto
circoscrive a più limitate ipotesi l’obbligo di indicazione, già in sede di
formulazione dell’offerta, del nominativo delle imprese subappaltatrici
(art. 105, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016)
Le riportate ragioni di cautela (tutte presenti all’attenzione del
legislatore comunitario, come chiaramente evincibile dalla lettura del
considerando n. 105 della Dir. 2014/24/UE) rilevano in modo particolare nel
caso del subappalto “necessario” proprio perché, mentre nell’ipotesi
ordinaria del subappalto “facoltativo” l'appaltatore già possiede in
proprio tutti i requisiti necessari per l'esecuzione dell'appalto, pur
scegliendo, sulla base di una valutazione discrezionale e di mera
opportunità economica, di subappaltare talune prestazioni ad un'altra
impresa; viceversa, nel caso del subappalto “necessario”
l'appaltatore difetta dei requisiti necessari per realizzare una o più
prestazioni dell'appalto, motivo per cui è egli obbligato a subappaltarle ad
un'impresa in possesso di quegli stessi requisiti.
In virtù di tale elemento caratterizzante, l’istituto in esame presenta
evidenti similitudini con l'avvalimento. Un significativo tratto
differenziale permane, tuttavia, in relazione al fatto che il subappaltatore
esegue in proprio le opere affidategli, rispondendone esclusivamente nei
confronti dell’impresa subappaltante, unica responsabile nei confronti della
stazione appaltante; al contrario, nell’avvalimento l’ausiliario non è
esecutore dell’opera (se non nei limiti fissati dall’art. 89, comma 8,
d.lgs. n. 50 del 2016) e, tuttavia, consentendo al concorrente di integrare
i requisiti mancanti necessari per la partecipazione alla gara, egli diviene
parte sostanziale del contratto di appalto, assumendone insieme al
concorrente principale la responsabilità solidale nei confronti della
stazione appaltante (art. 89, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016).
Dunque, divergenze significative tra i due istituti (avvalimento e
subappalto) si riscontrano in ordine al regime di responsabilità
dell’impresa ausiliaria ed al suo ruolo nella esecuzione dell’appalto. Le
stesse si attenuano, come si è visto, nel caso del subappalto “necessario”
soggetto all’obbligo della contestuale indicazione in sede di gara sia delle
attività per le quali si intende ricorrere al subappalto, sia del nominativo
dei subappaltatori e dei relativi requisiti (ai sensi art. 105, comma 6, del
d.lgs. n. 50 del 2016), tanto da giustificarne la denominazione di "avvalimento
sostanziale".
Si è già visto, infatti, che nel caso degli appalti sopra-soglia
l’indicazione della terna dei subappaltatori è obbligatoria sin dalla
formulazione dell’offerta (art. 105, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016),
sicché la stazione appaltante ha modo di poter esperire in fase di gara i
necessari controlli circa il possesso delle capacità tecnico - professionali
e l’insussistenza delle cause di esclusione (artt. 80 e 83 e ss., d.lgs. n.
50 del 2016).
E’ lecito chiedersi, a questo punto, se le residuali differenze che pure in
questa specifica ipotesi permangono tra i due istituti giustifichino
un’impostazione divergente anche con riguardo alla possibilità di
frazionamento dei requisiti tra più imprese ausiliarie.
Detta facoltà -non espressamente contemplata in materia di subappalto- è
invece prevista dal vigente codice degli appalti in materia di avvalimento,
in quanto l’attuale art. 89, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016, in linea con
gli indirizzi espressi in tema dalla Corte di Giustizia, ammette “l’avvalimento
di più imprese ausiliarie”.
Come già ricordato, tanto le più risalenti direttive, quanto quelle più
attuali, non prevedono l’imposizione di limitazioni aprioristiche ed
astratte al subappalto e ne sottolineano la funzione “positiva”,
ricollegandolo ai già richiamati principi di parità di trattamento e non
discriminazione nei confronti degli operatori economici, oltre che ai
principi di libertà di stabilimento, libera circolazione delle merci e dei
capitali, concorrenza e proporzionalità. A questa impostazione, la Dir.
2014/24/UE ha aggiunto indicazioni di maggior dettaglio, riconoscendo agli
Stati membri la possibilità di ampliare i poteri di verifica e di controllo
della stazione appaltante sui requisiti dei subappaltatori; e di rendere il
subappaltatore direttamente responsabile verso la stazione appaltante,
riconoscendogli al contempo il diritto ad essere retribuito direttamente da
quest’ultima per le prestazioni rese (si vedano i paragrafi III, VI lett. a)
e VII dell’art. 71 della Dir. 2014/24/UE).
Tali innovative disposizioni (solo in parte recepite dai commi 6 e 13
dell’art. 105, d.lgs. n. 50 del 2016) paiono corrispondere alle finalità di
maggiore trasparenza e tutela giuslavoristica che in epoca precedente erano
rimaste appannaggio specifico della normativa italiana.
In definitiva, la normativa comunitaria ammette la tendenziale completa e
incondizionata subappaltabilità delle prestazioni dedotte nel contratto di
appalto ed al contempo riconosce il pieno diritto del prestatore privo di
determinati requisiti di poter fare ricorso alle capacità di terzi soggetti,
ferma restando la speculare esigenza da parte della stazione appaltante di
poter valutare la competenza, l’efficienza e l’affidabilità dei
subappaltatori.
La decisione della Corte di Giustizia 14.07.2016, Wroclawl (causa C-406/14),
resa in relazione alla Dir. 2004/18, ha giustappunto ritenuto che la
possibilità per gli offerenti di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di
un appalto è in linea di principio illimitata, ma ha anche specificato che,
in via di eccezione, “conformemente all’articolo 25, primo comma, della
direttiva 2004/18, l’amministrazione aggiudicatrice ha il diritto, per
quanto riguarda l’esecuzione di parti essenziali dell’appalto, di vietare il
ricorso a subappaltatori quando non sia stata in grado di verificare le loro
capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione
dell’aggiudicatario” (punto 33).
Al contempo, la decisione del 05.04.2017, C-298/15 (punto 55) -nel ribadire
la necessità di ancorare proporzionalmente i divieti in materia di
subappalto a considerazioni specifiche riferite, di volta in volta, al
settore economico interessato dall'appalto di cui trattasi, alla natura dei
lavori nonché alle qualifiche dei subappaltatori- ha avversato impostazioni
di segno alternativo che dovessero fare ricorso a previsioni limitative di
carattere generale e indifferenziato.
La Sezione coglie, dunque, nel contenuto delle direttive, come interpretate
dalle richiamate pronunce Corte di Giustizia, una latitudine precettiva
apparentemente estensibile ad ogni tipologia di rapporto ausiliario che
consenta all’operatore in gara di fare affidamento sulle capacità di altri
soggetti, “a prescindere dalla natura dei suoi legami con questi ultimi”
ed anche nella forma del frazionamento o del “cumulo di capacità”.
Osserva anche che, nell’ipotesi del subappalto “necessario” viene a
realizzarsi la possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di accertare
la disponibilità (in capo al concorrente ed ai suoi subappaltatori) dei
mezzi e dei requisiti necessari alla esecuzione dell’opera; e che, secondo
quanto di recente precisato dalla stessa Corte, limitazioni al subappalto,
ulteriori rispetto a quelle contemplate nella fonte comunitaria, non possono
essere reputate coerenti o proporzionate agli obiettivi delle direttive
comunitarie se l’ente aggiudicatore è in grado di verificare le identità e
l’idoneità dei subappaltatori interessati e, quindi, è posto nella
condizione di scongiurare il rischio di un ingresso opaco e non vigilato di
terze imprese nella esecuzione dell’appalto (CGUE, 26.09.2019, C-63/18,
punti 29 e 41-44; CGUE, 27.11.2019, C-402/18, punti 48 e 49).
Ancora più in generale, la Sezione rinviene negli orientamenti del giudice
comunitario l’indicazione sintetica secondo la quale istituti espansivi
della concorrenza (quali sono intesi l’avvalimento e il subappalto) possono
tollerare limitazioni proporzionate e occasionali, non quindi generali e
astratte, ma di volta in volta calibrate dall’amministrazione aggiudicatrice
sulle peculiarità della singola gara ed in ragione degli eventuali fattori
(il settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, la natura
dei lavori, la tipologie di qualifiche richieste) che in essa concorrono a
suggerire l’introduzione di specifiche condizioni restrittive.
Appare quindi plausibile concludere che, in applicazione di queste stesse
indicazioni ermeneutiche, anche nel caso sin qui delineato (subappalto
necessario, implicante l’obbligo di indicazione delle prestazioni da
subappaltare e del nominativo dei subappaltatori) debba valere un principio
generale di frazionabilità del requisito qualificante, suscettibile di
motivata deroga nei casi in cui la stazione appaltante ritenga di
individuare casi e limiti ostativi oltre i quali la sicurezza e la qualità
dell’opera potrebbero essere messe a rischio dal meccanismo del
frazionamento del requisito. In ipotesi siffatte la stessa stazione
appaltante potrebbe dunque imporre, nella legge di gara, che il livello
minimo della capacità in questione venga raggiunto da un unico operatore
economico o, eventualmente, facendo riferimento ad un numero limitato di
operatori economici.
È quanto avviene nella parallela materia dell’avvalimento, in presenza di
determinati requisiti (cd. “di punta”) che si ritiene debbano essere
soddisfatti da una singola impresa ausiliaria, in quanto espressione di
qualifiche funzionali non frazionabili (v. Cons. Stato, sez. V, n. 678 del
2018).
La questione interpretativa pregiudiziale di seguito proposta risulta
dirimente ai fini della decisione del ricorso.
Invero, qualora dovesse ritenersi che il diritto eurounitario non ammette
preclusioni al frazionamento del requisito tra più subappaltatori ovvero tra
questi e l’impresa concorrente, il giudizio a quo dovrebbe
concludersi con una sentenza favorevole alla parte Rti Research e con la
conseguente conferma della sua ammissione in gara.
Per contro, nel caso in cui si dovesse accogliere l’opzione contraria, il
giudizio dovrebbe concludersi con una sentenza di conferma dell’annullamento
dell’atto di ammissione.
Al contempo, la
pronuncia parziale di questa sezione n. 3573 del 05.06.2020
lascia intatte, al momento, le chances di aggiudicazione del
contratto in capo alla parte Rti Re., poiché non prefigura un esito
vincolato della procedura di gara in favore della controparte De.
(Consiglio di Stato, Sez. III,
ordinanza 10.06.2020 n. 3702 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Omissione
sottoscrizione digitale da parte della mandante.
Domanda
In sede di apertura di una gara telematica il documento d’offerta generato
dal sistema Sintel Regione Lombardia non risulta firmato digitalmente dalla
mandante di un operatore economico che partecipa in raggruppamento.
È corretto procedere all’esclusione del raggruppamento?
Risposta
La questione evidenziata nel quesito, in assenza di indicazioni precise
sulla modalità di costruzione della procedura di gara, non è di facile
soluzione, stante, tra l’altro, le differenti posizioni assunte dalla
giurisprudenza.
Occorre in primo luogo fare una distinzione tra “offerta economica”
in senso stretto e “documento d’offerta generato” da un sistema
telematico.
Nel primo caso, ovvero offerta economica in senso stretto, si ritiene di
aderire all’orientamento del C.d.S. sez. III, sent. n. 2542 del 25.05.2017
che, relativamente alla partecipazione da parte di un RTI da costituirsi,
rileva come l’offerta debba essere sottoscritta digitalmente dai legali
rappresentanti dei singoli operatori associati, pena la mancanza di un
elemento essenziale dell’offerta stessa, non sanabile ex post a mezzo
del c.d. soccorso istruttorio.
È opportuno evidenziare come sul punto la giurisprudenza non sia
assolutamente unanime, consentendo talvolta la “soccorribilità” nel
caso di carenza di sottoscrizione da parte della mandante. Trattasi,
tuttavia, di procedure che richiamando situazioni caratterizzate da
specificità particolari, non credo possano ritenersi tali da rappresentare
massime giurisprudenziali di applicazione generale (cfr. TAR Toscana,
Firenze sent. n. 288 del 06.03.2020, TAR Calabria, Catanzaro, sent. 836 del
07.05.2020).
Diverso è il caso dell’eventuale carenza di sottoscrizione del documento
d’offerta generato in automatico dal sistema telematico. Per quanto riguarda
il Mepa ad esempio, tralasciando la questione dell’eventuale raggruppamento,
il TAR Calabria, Catanzaro sent. n. 08.11.2019 n. 458, ha ritenuto che la
presentazione di un’offerta, firmata digitalmente, redatta senza utilizzare
il file generato direttamente dal sistema telematico, ma mediante la
compilazione di un proprio modello, non sia causa di esclusione, a nulla
rilevando la mancata sottoscrizione e allegazione della bozza di offerta
generata in automatico dallo strumento informatico.
Con riferimento al quesito in premessa, ed in particolare alla gestione
della piattaforma Sintel, il RTI dovrà essere escluso qualora il documento
offerta (generato dal sistema) costituisca l’unico atto in cui l’operatore
economico fa proprie le dichiarazioni riportate a video, quali ad esempio
offerta economica, costi della sicurezza interna e della manodopera ex art.
95, co. 10, del d.lgs. 50/2016. In questo caso, solo con la firma del
documento d’offerta l’operatore assume la paternità delle dichiarazioni
rese, come effettiva espressione di una manifestazione di volontà, e come
tale da sottoscriversi digitalmente, a pena di esclusione, dalla capogruppo
e delle mandanti.
Qualora invece il Documento d’offerta generato dal sistema sia meramente
riepilogativo di dichiarazioni regolarmente presentate in altri step, ovvero
nella Busta Amministrava, Busta Tecnica e Busta Economica, secondo il Tar
Lombardia Milano sez. I 24.03.2020 n. 555, trattasi di una mera “formula
di sintesi”, connessa alla peculiarità della procedura e che non integra
e/o modifica o sostituisce la volontà negoziale dell’operatore economico, la
cui irregolarità è meritevole di essere sanata tramite il soccorso
istruttorio (10.06.2020
- link a www.publika.it). |
APPALTI SERVIZI: Affitto
di ramo d’azienda di durata inferiore rispetto alla durata dell’appalto
aggiudicato.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di partecipazione -
Fatturato specifico - Affitto di ramo d’azienda - Durata inferiore rispetto
alla durata dell’appalto aggiudicato – Irrilevanza – Ratio.
Il requisito del fatturato specifico ottenuto nel
triennio precedente alla pubblicazione del bando rileva ai fini
dell’ammissione dei concorrenti alla procedura; sicché, dopo
l’aggiudicazione, esso può anche venir meno (perché, per esempio, nell’anno
successivo il fatturato è calato), senza che l’impresa patisca alcuna
conseguenza rispetto all’esecuzione del contratto; ne consegue che non
rileva, ai fini dell’aggiudicazione, che l’affitto di ramo d’azienda sia di
durata inferiore rispetto alla durata dell’appalto aggiudicato (1).
---------------
(1) Ha affermato la Sezione che qualsiasi ulteriore valutazione in
merito al contratto di affitto di ramo di azienda -attinente alla sua
eventuale e futura fase esecutiva- non assume valenza ai fini della
legittima partecipazione alla procedura di gara (Cons.
St., sez. III, 06.11.2019, n. 7581).
Invero l'unica disposizione dedicata a disciplinare gli effetti del
contratto d'affitto d'azienda sulla qualificazione dell'impresa affittuaria
stabilisce, chiaramente ed espressamente, che quest'ultima "può avvalersi
dei requisiti posseduti dall'impresa locatrice se il contratto di affitto
abbia durata non inferiore a tre anni" (art. 76, comma 9, d.P.R.
05.10.2010, n. 207): “la formulazione testuale di tale disposizione
impone una sua esegesi coerente con il dato testuale” (Cons.
St., sez. III, 30.06.2016, n. 2952).
Essa fissa il punto di equilibrio individuato dal legislatore, nell’intento
di coniugare il favor partecipationis, cui le direttive sono
ispirate, e la tendenziale stabilità del requisito, così consentendo
all’offerente di avvalersi dei requisiti posseduti dall'impresa locatrice
solo se il contratto di affitto ha durata non inferiore a tre anni. Una
volta soddisfatto tale requisito, non è consentito indagare oltre circa
l’esatta corrispondenza tra durata dei due rapporti contratti (contratto di
affitto e contratto di appalto).
Del resto, diversamente ragionando, se si desse un rilievo ultratriennale al
requisito sol perché trattasi di un requisito mutuato dall’affittuario,
allora dovrebbe darsi rilievo anche all’astratta possibilità della
risoluzione del contratto d’affitto o altre eventuali e imprevedibili cause
di estinzione, ossia a circostanze che, in realtà, il legislatore ha
assorbito nella valutazione di sintesi cristallizzata nell’art. 76 cit.
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.06.2020 n. 3585 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: I costi
del lavoro di cui qui si discute afferiscono ad interventi di miglioria (non
inclusi, quindi, nel progetto posto a base di gara) e che gli stessi costi sono stati autonomamente considerati e
contabilizzati ab initio, sia pure in una distinta parte
dell’offerta (le spese generali).
Ebbene, la mancata inclusione nel costo complessivo della manodopera dei
costi del lavoro relativi alle sole opere di miglioria ed il loro
inserimento nelle spese attinenti alla realizzazione delle medesime, non
appaiono violativi né delle indicazioni della lex specialis, né delle
finalità dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016.
Nel caso di specie, la legge di gara non imponeva di indicare
separatamente gli oneri della manodopera delle varianti migliorative
nell’offerta economica, né di ricomprendere detti oneri nel valore indicato
per l’esecuzione delle opere a base di gara.
La Corte europea di giustizia ha chiarito che la mancata indicazione separata dei
costi della manodopera, all’interno di un’offerta presentata nell’ambito di
una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta
l’esclusione automatica dell’impresa dalla gara, a meno che la stessa non
sia stata indotta in errore dalla documentazione preparata
dall’amministrazione.
Questo Consiglio di Stato (esaminando una analoga fattispecie di appalto da
retribuire a corpo, nel quale era stata omessa la distinta indicazione dei
costi di manodopera riferiti alle opere migliorative) si è a sua volta
espresso nel senso di ritenere giustificata da legittimo affidamento
l’omessa indicazione nell’offerta economica dei costi del lavoro relativi
alla variante migliorativa, in assenza di specifiche prescrizioni nella
legge di gara o nella relativa modulistica che potessero indurre a ravvisare
un obbligo in senso contrario.
---------------
Quanto all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016 -se la sua ratio è
quella di consentire alla stazione appaltante, in un’ottica acceleratoria e
di massima tutela e protezione dei lavoratori, di procedere alla verifica
della congruità del costo della manodopera proposto dai concorrenti in base
alle previsioni contenute nelle tabelle ministeriali e nei contratti
collettivi applicabili- appare ragionevole ritenere che detta valutazione
debba essere ragguagliata ai costi dalla stessa stazione appaltante
preventivamente valutati e posti a base di gara per l’esecuzione del
progetto, ovvero attraverso un confronto rapportato ad ordini di grandezza
(i costi della manodopera dei diversi concorrenti e quelli stimati
dall’amministrazione) tra di loro paragonabili, in quanto calibrati sulle
medesime voci di costo. Le migliorie non rientrano fra le prestazioni
necessarie che completano la commessa e che, pertanto, la stazione
appaltante considera al fine di compiere la sua stima preventiva dei costi
della manodopera.
Il fatto poi che l’art. 95, comma 10, imponga all’operatore di
indicare nell'offerta economica “i propri costi della manodopera”, non
risolve i dubbi concernenti la portata di tale indicazione, poiché non
chiarisce se tale formulazione debba intendersi riferita anche alla
componente dei costi relativi agli interventi “migliorativi”, da includersi
necessariamente nella voce unitaria dei costi del lavoro dell’offerta
economica.
Dunque, tanto la lex specialis, quanto la ratio dell’art. 95, comma
10, potevano legittimamente indurre a ritenere che gli oneri della manodopera
per l’esecuzione degli interventi migliorativi, esclusi dal progetto a base
di gara, non dovessero essere indicati specificatamente nel modulo
dell’offerta economica.
---------------
La stessa rigorosa giurisprudenza che individua il costo
della manodopera quale elemento essenziale dell’offerta riconosce
l’ammissibilità di “limitati aggiustamenti”, allorché gli stessi siano
frutto di mero errore materiale, non rivelino carattere sostanziale o
comunque costituiscano una mera “rimodulazione” degli oneri in precedenza
stimati.
Vertendosi, peraltro, in materia di appalto da retribuire a corpo, la
mancata specificazione del singolo elemento di prezzo non ha comunque potuto
comportare alcuna alterazione della par condicio dei concorrenti, poiché
detta tipologia di remunerazione viene determinata in una somma fissa ed
invariabile, risultante dal ribasso offerto sull’importo a base d’asta,
sicché elemento essenziale è solo tale importo finale, risultando
irrilevanti le voci di costo che concorrono a formarlo.
---------------
6. - Restano da esaminare gli ulteriori motivi del ricorso principale di
primo grado respinti dal Tar e riproposti nell’appello del Rti Re. (n.
10349/2019).
6.1. - Con il secondo motivo di ricorso (il primo riguardava il
diniego di accesso agli atti), il Rti Re. aveva contestato la violazione
dell’art. 95, comma 10, del d.lgs n. 50/2016, in ragione del fatto che i
costi della manodopera relativi alle migliorie proposte nell’ambito
dell’offerta tecnica di De. sarebbero stati esplicitati dall’aggiudicataria
solo in sede di verifica dell’anomalia, e non invece indicati nel modulo
dell’offerta economica (alla voce “costi della manodopera”).
6.2. - Il Tar ha ritenuto la censura infondata sulla considerazione che: “L’esplicitazione
dei costi della manodopera delle migliorie, posta in essere dalla
concorrente in sede di Relazione integrativa di chiarimenti (mediante la
produzione di singole schede per ogni lavorazione ricompresa nelle migliorie
stesse, dalle quali la centrale di committenza riusciva a quantificare il
costo imputabile alla manodopera), non configura una variazione
dell’offerta.
Invero, detti costi risultavano già esposti ab origine dal RTI De., e in
sede di chiarimenti venivano semplicemente evidenziati, ciò che non
configura modifica dell’offerta stessa. Solo laddove gli stessi fossero
stati inizialmente omessi, e poi (con i chiarimenti) inseriti, o variati
nell’importo indicato, si sarebbe potuto parlare di modificazione, alla
quale avrebbe potuto conseguire una variazione dell’equilibrio economico
dell’offerta”.
6.3. - Re. (al punto 3.1 del terzo motivo di appello) osserva che il
Rti aggiudicatario ha indicato in sede di offerta economica un costo della
manodopera di € 39.492.877,80 (ridotto rispetto al costo della manodopera
indicato negli atti di gara in € 52.218.531,01), ed ha inserito nelle spese
generali il costo delle migliorie (€ 2.056.627,92), comprensivo del relativo
costo del lavoro (€ 446.123,16). Dunque, la mancata indicazione
nell’offerta, sotto la voce costo della manodopera, del costo del lavoro
relativo alle opere di miglioria, configurerebbe una violazione dell’art.
95, comma 10, poiché gli oneri complessivi della manodopera non sarebbero
quelli esposti nell’offerta, pari ad € 39.492.877,80, bensì consisterebbero
nel diverso importo, emerso solo in sede di giustificazioni, pari ad €
39.939.000,96 (€ 39.492.877,80 + € 446.123,16).
Ne risulterebbe, pertanto, un’inammissibile modifica di un elemento
costitutivo dell’offerta economica.
6.4. - Il motivo non può essere condiviso.
La parte ricorrente intende attrarre la fattispecie all’esame nel genus
casistico (certamente patologico) dell’omessa indicazione o della non
consentita variazione del costo della manodopera. Manca, tuttavia, di
considerare, il tratto peculiare che connota in senso distintivo il caso in
oggetto dalle fattispecie chiamate a raffronto, ovvero il fatto che i costi
del lavoro di cui qui si discute afferiscono ad interventi di miglioria (non
inclusi, quindi, nel progetto posto a base di gara – v. art. 7 del
disciplinare); e che gli stessi costi sono stati autonomamente considerati e
contabilizzati da De. ab initio, sia pure in una distinta parte
dell’offerta (le spese generali).
Ebbene, la mancata inclusione nel costo complessivo della manodopera dei
costi del lavoro relativi alle sole opere di miglioria ed il loro
inserimento nelle spese attinenti alla realizzazione delle medesime, non
appaiono violativi né delle indicazioni della lex specialis, né delle
finalità dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016.
6.4.I) Sotto il primo profilo, la legge di gara non imponeva di indicare
separatamente gli oneri della manodopera delle varianti migliorative
nell’offerta economica, né di ricomprendere detti oneri nel valore indicato
per l’esecuzione delle opere a base di gara.
La Corte europea di giustizia con la sentenza emessa, il 02.05.2019,
nella causa C-309/18, ha chiarito che la mancata indicazione separata dei
costi della manodopera, all’interno di un’offerta presentata nell’ambito di
una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta
l’esclusione automatica dell’impresa dalla gara, a meno che la stessa non
sia stata indotta in errore dalla documentazione preparata
dall’amministrazione.
Questo Consiglio di Stato (esaminando una analoga fattispecie di appalto da
retribuire a corpo, nel quale era stata omessa la distinta indicazione dei
costi di manodopera riferiti alle opere migliorative) si è a sua volta
espresso nel senso di ritenere giustificata da legittimo affidamento
l’omessa indicazione nell’offerta economica dei costi del lavoro relativi
alla variante migliorativa, in assenza di specifiche prescrizioni nella
legge di gara o nella relativa modulistica che potessero indurre a ravvisare
un obbligo in senso contrario (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 2875/2019).
6.4.II) Quanto all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016 -se la sua ratio è
quella di consentire alla stazione appaltante, in un’ottica acceleratoria e
di massima tutela e protezione dei lavoratori, di procedere alla verifica
della congruità del costo della manodopera proposto dai concorrenti in base
alle previsioni contenute nelle tabelle ministeriali e nei contratti
collettivi applicabili- appare ragionevole ritenere che detta valutazione
debba essere ragguagliata ai costi dalla stessa stazione appaltante
preventivamente valutati e posti a base di gara per l’esecuzione del
progetto, ovvero attraverso un confronto rapportato ad ordini di grandezza
(i costi della manodopera dei diversi concorrenti e quelli stimati
dall’amministrazione) tra di loro paragonabili, in quanto calibrati sulle
medesime voci di costo. Le migliorie non rientrano fra le prestazioni
necessarie che completano la commessa e che, pertanto, la stazione
appaltante considera al fine di compiere la sua stima preventiva dei costi
della manodopera.
6.4.III) Il fatto poi che l’art. 95, comma 10, imponga all’operatore di
indicare nell'offerta economica “i propri costi della manodopera”, non
risolve i dubbi concernenti la portata di tale indicazione, poiché non
chiarisce se tale formulazione debba intendersi riferita anche alla
componente dei costi relativi agli interventi “migliorativi”, da includersi
necessariamente nella voce unitaria dei costi del lavoro dell’offerta
economica.
6.4.IV) Dunque, tanto la lex specialis, quanto la ratio dell’art. 95, comma
10, potevano legittimamente indurre a ritenere che gli oneri della manodopera
per l’esecuzione degli interventi migliorativi, esclusi dal progetto a base
di gara, non dovessero essere indicati specificatamente nel modulo
dell’offerta economica.
6.4.V) Non induce a diverse conclusioni la giurisprudenza invocata dalla
parte appellante, in quanto elaborata in relazione alle distinte fattispecie
del concorrente “...che formuli un’offerta economica omettendo del tutto di
specificare quali siano gli oneri connessi alle prestazioni lavorative”
(così Cons. Stato, Ad. Plen. n. 3/2019 - § 3.4.5), o che ometta
immotivatamente l’indicazione esplicita di una parte rilevante dei costi
della manodopera (così nel caso esaminato da Tar Milano, sez. IV, n.
1955/2019); ovvero, ancora, che in sede di procedimento di verifica
dell’anomalia dell’offerta attui una “evidente manipolazione dell’offerta
economica” attraverso “una diversa ridistribuzione (composizione e
ricomposizione) dei costi .. anche della mano d’opera che coinvolga importi,
in valore assoluto ed in percentuale, rispetto al costo complessivo
dell’offerta, di non poco rilievo” (Tar Napoli, sez. III, n. 4360/2019).
6.4.VI) Viceversa, la stessa rigorosa giurisprudenza che individua il costo
della manodopera quale elemento essenziale dell’offerta riconosce
l’ammissibilità di “limitati aggiustamenti”, allorché gli stessi siano
frutto di mero errore materiale, non rivelino carattere sostanziale o
comunque costituiscano una mera “rimodulazione” degli oneri in precedenza
stimati (Cons. Stato, sez. V, nn. 8823/2019 e 2350/2020).
Fermo quanto già chiarito circa il legittimo affidamento che
l’aggiudicataria può avere tratto dalle indicazioni della legge di gara, è
ancora il caso di segnalare che, nella vicenda in esame, l’incongruenza
contestata riguarda un importo (€ 446.123,16) pari ad appena l'1,13% del
costo complessivo della manodopera, sicché, a tutto voler concedere, anche
ove intesa come variazione dell’indicazione del costo del lavoro, si
tratterebbe di un aggiustamento “limitato”, se ragguagliato ai valori della
componente dell’offerta in questione.
Vertendosi, peraltro, in materia di appalto da retribuire a corpo, la
mancata specificazione del singolo elemento di prezzo non ha comunque potuto
comportare alcuna alterazione della par condicio dei concorrenti, poiché
detta tipologia di remunerazione viene determinata in una somma fissa ed
invariabile, risultante dal ribasso offerto sull’importo a base d’asta,
sicché elemento essenziale è solo tale importo finale, risultando
irrilevanti le voci di costo che concorrono a formarlo (cfr., tra le altre,
Cons. Stato, V, n. 2057/2018 e 2875/2019).
Per le diverse ragioni sin qui illustrate, il motivo di appello va respinto
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.06.2020 n. 3573 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Esclusione
dalla gara per omessa dichiarazione rinvio a giudizio per bancarotta
fraudolenta.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Omessa
dichiarazione rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta – Va esclusa.
L’omessa dichiarazione, da parte di una società
concorrente ad una gara pubblica, del rinvio a giudizio del proprio legale
rappresentante per bancarotta fraudolenta comporta l’esclusione della stessa
dalla procedura, non avendo con tale condotta consentito alla stazione
appaltante di valutare la rilevanza dei fatti sottesi al rinvio a giudizio
sotto il profilo della sussistenza dell’illecito professionale nonché
dell’integrità ed affidabilità dell’operatore (1).
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(1) Ha ricordato la
Sezione che secondo un orientamento giurisprudenziale l'eventuale rinvio a
giudizio dell'amministratore di un operatore economico nonché l'applicazione
di una misura cautelare per i medesimi reati, non costituirebbero adeguati
mezzi di prova della commissione di un grave illecito professionale, che
comporterebbe l'esclusione dalla gara ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett.
c), d.lgs. n. 50 del 2016, con la conseguenza che la loro omessa
dichiarazione non configurerebbe la causa di esclusione dell'operatore ai
sensi della successiva lett. c-bis (Tar
Catanzaro, sez. I, 07.02.2019, n. 258).
La Sezione ritiene tuttavia preferibile l’opposto orientamento, in base al
quale, anche oltre le ipotesi tipizzate dall'art. 80, comma 5, lett. c),
d.lgs. n. 50 del 2016, sussiste in capo all’operatore un obbligo di
dichiarare fatti ragionevolmente idonei a compromettere la professionalità e
l’affidabilità.
In base a quest’ultimo preferibile indirizzo, il rinvio a giudizio per fatti
di grave rilevanza penale, al pari dell'adozione di un'ordinanza di custodia
cautelare a carico dell'amministratore della società interessata, ancorché
non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che
regolano l'aggiudicazione degli appalti pubblici, può astrattamente incidere
sulla moralità professionale dell'impresa (Cons.
St., sez. V, 27.02.2019. n. 1367;
Tar Veneto, sez. I, 13.01.2020, n. 39); sussistendo l'obbligo di
dichiarare tutti i fatti rilevanti ai fini della moralità professionale
delle imprese partecipanti, il partecipante non può non essere tenuto a
dichiarare anche i rinvii a giudizio o misure restrittive, anche se non
espressamente contemplati quali cause di esclusione dalle norme che regolano
la aggiudicazione degli appalti pubblici, e anche a prescindere dalla
sottoscrizione dei cd. “patti di integrità” (Tar
Toscana, sez. I, 07.02.2020, n. 180;
Tar Piemonte, sez. I, 23.08.2019, n. 959).
Insomma, «sussiste l'obbligo di dichiarare sempre e senza eccezioni le
condanne (o anche solo le contestazioni) relative alle violazioni di norme
riconducibili alla categoria in parola» (Cons.
St., sez. V, 23.12.2019, n. 8711)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 03.06.2020 n. 632 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
3.1.1. Ciò premesso, la prima parte dell’art. 80, c. 4, D.Lgs. 2016
n. 50 prevede che «un operatore economico è escluso dalla partecipazione
a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente
accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e
tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o
quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni
quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore
all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del decreto del
Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602. Costituiscono violazioni
definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi
non più soggetti ad impugnazione».
Nel caso in esame sussiste il requisito della gravità della violazione nei
confronti degli obblighi tributari, in quanto è ampiamente superata la
soglia di euro 10.000 individuata dall'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, DPR
602/1973. D’altra parte, con l’accordo conciliativo è stata pattuita solo la
riduzione al 40% delle sanzioni, mentre è stato confermato l’importo della
sorta capitale e degli interessi, e ciò a conferma della fondatezza della
pretesa tributaria e dell’effettiva sussistenza del debito verso il fisco.
Sussiste anche il requisito del definitivo accertamento della violazione.
In punto di definitività della sanzione agli effetti dell’art. 80, c. 4,
citato, la giurisprudenza ha affermato che «la regolarità fiscale delle
imprese partecipanti ad appalti pubblici sussiste quando, alternativamente,
a carico dell'impresa non risultino contestate violazioni tributarie
mediante atti ormai definitivi per decorso del termine di impugnazione
ovvero, in caso d'impugnazione, la relativa pronuncia giurisdizionale sia
passata in giudicato. Pertanto, nel caso in cui l’atto di accertamento sia
divenuto definitivo per l’infruttuoso decorso del termine di impugnazione
oppure per passaggio in giudicato della sentenza, l’impresa che partecipi ad
una procedura ad evidenza pubblica deve essere esclusa per il mancato
rispetto del requisito della regolarità fiscale ex art. 80 d.lgs. n. 50 del
2016. Il giudizio avverso la cartella di pagamento introduce una lite
attinente alla fase della riscossione, ma non pregiudica la sussistenza del
debito tributario sottostante. Infatti i tributi per quali è stata accertata
l’inadempienza derivavano da atti non più soggetti a impugnazione e la
cartella esattoriale può essere impugnata solo per vizi formali ad essa
attinenti, ma non può più mettersi in discussione la debenza dei tributi ivi
indicati perché sono iscritti a ruolo solo dopo la definitività degli stessi»
(Cons. Stato, sez. V, 03/04/2018, n. 2049).
Infatti, «in sede di gara pubblica, ai fini del possesso dei requisiti
previsti dall'art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, la definitività
dell'accertamento tributario decorre non dalla notifica della cartella
esattoriale -in sé, semplice atto con cui l'agente della riscossione chiede
il pagamento di una somma di denaro per conto di un ente creditore, dopo
aver informato il debitore che il detto ente ha provveduto all'iscrizione a
ruolo di quanto indicato in un precedente avviso di accertamento- bensì
dalla comunicazione di quest'ultimo; la cartella di pagamento (che infatti
non è atto del titolare della pretesa tributaria, ma del soggetto incaricato
della riscossione) costituisce solo uno strumento in cui viene enunciata una
pregressa richiesta di natura sostanziale, cioè non possiede alcuna
autonomia che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui
l'obbligazione è stata enunciata, laddove è l'avviso di accertamento l'atto
mediante il quale l'ente impositore notifica formalmente la pretesa
tributaria al contribuente, a seguito di un'attività di controllo
sostanziale» (Cons. Stato, sez. V, 14/12/2018, n. 7058).
...
4.2. Ciò premesso, occorre tuttavia valutare se sussista un obbligo
dichiarativo a carico dei partecipanti alla gara in ordine all'ipotesi di
rinvio a giudizio a carico di amministratori e legali rappresentanti.
In linea generale, è dibattuto in giurisprudenza se i fatti idonei a
pregiudicare la professionalità dell’operatore, anche se non tipizzati
nell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016, debbano essere sempre dichiarati, a pena di
automatica esclusione, oppure se viceversa, tale omissione dichiarativa non
comporti l’automatico effetto escludente dalla gara, dovendo sempre e
comunque rimettersi all’apprezzamento di rilevanza della stazione
appaltante, ai fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole
sull’affidabilità del concorrente.
In ragione del contrasto registrato nel Consiglio di Stato tra tali due
tesi, con l’ordinanza n. 2332 del 2020 della Sez. V la questione è stata
rimessa all’Adunanza Plenaria, che dovrà pronunciarsi.
Tali due opposte tesi, di conseguenza, forniscono soluzioni diverse con
riferimento al rilievo dell’omessa dichiarazione in merito a rinvii a
giudizio.
Il Collegio non oblitera l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale
secondo cui l'eventuale rinvio a giudizio dell'amministratore di un
operatore economico nonché l'applicazione di una misura cautelare per i
medesimi reati, non costituirebbero adeguati mezzi di prova della
commissione di un grave illecito professionale, che comporterebbe
l'esclusione dalla gara ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), del D.lgs.
n. 50 del 2016, con la conseguenza che la loro omessa dichiarazione non
configurerebbe la causa di esclusione dell'operatore ai sensi della
successiva lett. c-bis (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 07.02.2019, n.
258).
Il Collegio ritiene tuttavia preferibile l’opposto orientamento, in base al
quale, anche oltre le ipotesi tipizzate dall'art. 80, comma 5, lett. c),
D.Lgs. n. 50/2016, sussiste in capo all’operatore un obbligo di dichiarare
fatti ragionevolmente idonei a compromettere la professionalità e
l’affidabilità.
In base a quest’ultimo preferibile indirizzo, il rinvio a giudizio per fatti
di grave rilevanza penale, al pari dell'adozione di un'ordinanza di custodia
cautelare a carico dell'amministratore della società interessata, ancorché
non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che
regolano l'aggiudicazione degli appalti pubblici, può astrattamente incidere
sulla moralità professionale dell'impresa (C.d.S., Sez. V, decisione n. 1367
del 27.02.2019; TAR Veneto, sez. I, 13/01/2020, n. 39); sussistendo
l'obbligo di dichiarare tutti i fatti rilevanti ai fini della moralità
professionale delle imprese partecipanti, il partecipante non può non essere
tenuto a dichiarare anche i rinvii a giudizio o misure restrittive, anche se
non espressamente contemplati quali cause di esclusione dalle norme che
regolano la aggiudicazione degli appalti pubblici, e anche a prescindere
dalla sottoscrizione dei cd. “patti di integrità” (TAR Toscana,
Firenze, sez. I, 07/02/2020, n. 180; TAR Piemonte, sez. I, 23.08.2019, n.
959).
Insomma, «sussiste l'obbligo di dichiarare sempre e senza eccezioni le
condanne (o anche solo le contestazioni) relative alle violazioni di norme
riconducibili alla categoria in parola» (Cons. Stato sez. V, 23.12.2019,
n. 8711).
Nello specifico, va affermata la sussistenza di un obbligo dell’impresa di
dichiarare la sottoposizione a giudizio penale per un reato che può avere
incidenza sulla affidabilità imprenditoriale e sulla professionalità. E’
evidente quindi che l'atipicità (sia pur nei limiti sopra descritti) dei
fatti suscettibili di determinare l'inaffidabilità morale della
partecipante, non essendo tipizzabile a priori, ne impedisce la traduzione
in moduli prestampati e richiede, invece, uno sforzo informativo ulteriore
da parte della partecipante che va apprezzato alla luce dei principi di
correttezza e buona fede (cfr. TAR Toscana, sez. I, 09.01.2019, n. 53).
In particolare, nel caso in esame il reato per il quale è stato disposto il
rinvio a giudizio è, tra i reati in materia economica e afferenti alla
gestione di impresa, particolarmente grave, sia per la pena edittale, sia
per le pene accessorie, consistenti nell’inabilitazione all’esercizio
dell’impresa commerciale, nell’incapacità di esercitare uffici direttivi
presso qualsiasi impresa, e nell’incapacità di contrattare con la P.A.
(l’art. 216 L. Fall., che prevede il reato di bancarotta fraudolenta, rinvia
alle pene accessorie previste nel capo III, titolo II libro I del c.p., tra
cui rientra l’art. 32-ter c.p. che disciplina la pena accessoria
dell’incapacità di contrattare con la P.A.); ne discende che il reato di
bancarotta fraudolenta rientra in astratto nell’autonoma previsione
residuale escludente di cui all’art. 80, comma 1, lett. g), D.Lgs. n.
50/2016 («ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria,
l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione»).
4.3. Ciò chiarito, e accertato che -OMISSIS-S.r.L. aveva l’obbligo di
dichiarare che il proprio legale rappresentante avesse un giudizio penale
pendente per bancarotta fraudolenta a seguito di rinvio a giudizio, occorre
esaminare le conseguenze discendenti dall’omissione di tale informazione, e
dalla dichiarazione racchiusa nella domanda di partecipazione alla gara
(Modello A) in cui -OMISSIS-S.r.L. ha escluso di essersi resa colpevole di
gravi illeciti professionali tali da renderne dubbia l’integrità ed
affidabilità.
Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che la dichiarazione resa
dall'operatore economico circa le pregresse vicende professionali
suscettibili di integrare "gravi illeciti professionali" può essere "omessa"
(quando l'operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta
professionale qualificabile come "grave illecito professionale"), "reticente"
(quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata
descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente
apprezzarne il disvalore nell'ottica dell'affidabilità del concorrente) o "completamente
falsa" (che consiste in una immutatio veri; ricorre, cioè, se
l'operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero).
Il Collegio ritiene che la mancata indicazione nella domanda di
partecipazione alla gara del rinvio a giudizio in questione e dei fatti allo
stesso sottesi integra l’ipotesi di omessa dichiarazione.
In ordine alle conseguenze di tale omissione, occorre evidenziare che il
reato di bancarotta fraudolenta è tra i più gravi reati che possano essere
commessi nell’attività di impresa, tale da compromettere in modo radicale
l’affidabilità dell’imprenditore, la tutela dei creditori, la garanzia di
esecuzione del contratto, e in ultima analisi anche la professionalità.
Non dichiarando il citato rinvio a giudizio, -OMISSIS-S.r.L. ha omesso
informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di
selezione [art. 80, c. 5, lett. c-bis), D.Lgs. n. 50/2016], non consentendo
alla stazione appaltante di valutare la rilevanza dei fatti sottesi al
rinvio a giudizio sotto il profilo della sussistenza dell’illecito
professionale nonché dell’integrità ed affidabilità dell’operatore [art. 80,
c. 5, lett. c), D.Lgs. n. 50/2016], soprattutto considerando che, per i
motivi già illustrati, il reato per il quale è stato disposto il rinvio a
giudizio è particolarmente pregnante ai fini della partecipazione alle
pubbliche gare rientrando nell’ipotesi escludente dell’art. 80, c. 1, lett.
g), D.Lgs. n. 50/2016, e potendo comportare, in caso di condanna definitiva,
l’esclusione in qualsiasi momento della procedura ai sensi del comma 6
dell’art. 80 con conseguente pregiudizio per l’esecuzione dell’appalto.
La gravità del fatto contestato in sede penale, la sua immanenza
all’attività di impresa, il rischio che tale condotta di reato possa
compromettere l’affidabilità e l’esecuzione del contratto, sono tutti
elementi che convincono dell’effetto automaticamente escludente
dell’accertata omissione dichiarativa.
Per la gravità del fatto oggetto della dichiarazione omissiva, è violata la
regola di correttezza professionale (cfr. art. 30, comma 1, D.Lgs. n.
50/2016), intorno alla quale si addensa e coagula la stessa dimensione di
lealtà, affidabilità e credibilità dell’operatore professionale, essendo
stato impedito alla stazione appaltante di elaborare –nella prospettiva del
corretto svolgimento della procedura di selezione– le proprie decisioni
sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione.
Il Collegio non ignora le critiche che alla tesi qui sposata sono rivolte da
altro indirizzo del Consiglio di Stato (richiamato anche dalla citata
ordinanza n. 2332/2020 di rimessione all’Adunanza Plenaria), secondo cui
sostenere un generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di
un generale limite di operatività, «potrebbe rilevarsi eccessivamente
oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a
beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate
o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale
di una impresa» (Cons. Stato, Sez. V, 22.07.2019, n. 5171; Id., V,
03.09.2018, n. 5142).
Nel caso in esame però la soluzione adottata non è scalfita da tale critica.
In primo luogo, il fatto omesso non è certamente riconducibile a «vicende
professionali (…) del tutto insignificanti nel contesto della vita
professionale di una impresa». Infatti, come già evidenziato sopra, il
reato di bancarotta fraudolenta, per il quale vi è stato il rinvio a
giudizio e per l’accertamento del quale il processo è ancora pendente, è un
reato gravissimo nell’ambito dell’esercizio dell’attività di impresa, tale
da comportare pene accessorie che limitano l’esercizio dell’attività
professionale e portano all’esclusione della capacità di contrattare con la
P.A., ricadendo quindi nella previsione dell’art. 80, c. 1, lett. g), D.Lgs.
n. 50/2016.
Ed è proprio in base a quest’ultima norma, e non già in base a una
valutazione personale ed opinabile dell’interprete, che la fattispecie
concreta in esame acquista rilievo fondamentale al fine di valutare la
professionalità: se la legge stessa, nella citata lett. g), qualifica come
tipicamente escludente la condanna definitiva per reati che comportano
l’incapacità a contrattare con la P.A. (inclusa quindi la bancarotta
fraudolenta), non può non assumere rilievo, ai fini del dovere dichiarativo,
la circostanza del rinvio a giudizio per tale reato con processo ancora
pendente, dato che il successivo sopraggiungere di un’eventuale condanna
definitiva, anche in corso di esecuzione dell’appalto, comporterebbe il
venir meno dei requisiti essenziali in capo all’operatore, con ricadute
gravi anche sull’esecuzione del contratto (art. 80, c. 6, D.Lgs. n.
50/2016).
Né potrebbe sostenersi che tale rinvio a giudizio rientri tra «vicende
professionali ampiamente datate»: anche se il rinvio a giudizio è stato
disposto nel 2014, i suoi effetti sono perduranti e continuativi, in quanto
il giudizio penale è ancora pendente, e potenzialmente idoneo a sfociare in
una condanna definitiva per bancarotta fraudolenta, con i già descritti
effetti sull’esecuzione del contratto.
Per tutti questi motivi il ricorso incidentale è accolto, con conseguente
annullamento degli atti impugnati, e con conseguente esclusione di
-OMISSIS-S.r.L. dalla gara.
4.3.1. Peraltro, anche qualora si accogliesse la soluzione secondo cui la
dichiarazione di assenza di gravi illeciti professionali integri, a fronte
di un rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta, una dichiarazione falsa,
ugualmente e a maggior ragione il ricorso incidentale andrebbe accolto per
violazione dell’art. 80, c. 5, lett. f-bis), D.Lgs. n. 50/2016; secondo tale
indirizzo, infatti, nella fattispecie del citato art. 80, comma 5, lett.
f-bis, l'esclusione dalla gara sarebbe atto automatico e vincolato,
discendente direttamente dalla legge, giustificato dalla «mera omissione
da parte dell'operatore economico» (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV,
25.02.2019, n. 1074).
4.4. In ultimo, non può essere accolto il rilievo di -OMISSIS-S.r.L.,
secondo cui la pendenza del giudizio penale in capo al proprio legale
rappresentante non potrebbe fondare un giudizio di esclusione ai sensi
dell'art. 80, comma 5, in quanto le cause di esclusione previste da tale
norma dovrebbero riferirsi necessariamente solo all'operatore economico e
non anche agli organi dello stesso; in particolare, -OMISSIS-S.r.L. ha
rilevato che tale rinvio a giudizio scaturisce dalla pregressa attività
professionale del proprio legale rappresentante (cioè l’attività di
institore per una società sportiva), così che tale vicenda penale non
sarebbe riferibile a -OMISSIS-S.r.L. e non potrebbe fondare un giudizio
negativo sulla sua affidabilità imprenditoriale.
Tuttavia tale argomento di -OMISSIS-S.r.L. è destituito di fondamento.
Va infatti condiviso il principio espresso dalla giurisprudenza secondo cui
le vicende penali del legale rappresentante (condanne, ma per analoghe
ragioni anche per eventuali rinvii a giudizio o misure cautelari) rilevanti
ai seni dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 per l’esclusione del concorrente, non
possono che formalmente fare capo agli esponenti dell'impresa per mezzo dei
quali la stessa agisce sul mercato o comunque tenuti, in ragione dei propri
poteri di controllo, ad assicurare che la relativa attività si svolga nel
rispetto delle norme di diritto vigenti (Cons. Stato, V, 12.03.2019, n.
1649).
In questi termini, non rileva la circostanza che le condanne siano state
irrogate ad un soggetto per fatti ed in epoche in cui lo stesso era soggetto
apicale di altra società, atteso che non è corretta la pretesa di
-OMISSIS-S.r.L. di distinguere concettualmente l'impresa (in quanto tale,
un'entità puramente giuridica) dai soggetti per il tramite dei quali, in
ragione delle loro funzioni di amministrazione e controllo, la medesima
impresa concretamente opera sul mercato. Ragionando diversamente, si
arriverebbe al paradosso di escludere la rilevanza di qualsiasi sentenza di
condanna e di qualsiasi vicenda penale (anche in termini di rinvio a
giudizio o misura cautelare) ai fini della valutazione di affidabilità
sottesa al precetto dell'art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del
2016, dal momento che nel vigente sistema normativo la responsabilità penale
riguarda direttamente le sole persone fisiche e non anche le imprese (Cons.
Stato, sez. V, 07/01/2020, n. 70).
Dunque deve considerarsi l'intera esperienza professionale dei soggetti
apicali mediante i quali la società opera, atteso che sono necessariamente
questi a determinare il concreto comportamento dell'impresa sul mercato,
pena l'elusione delle finalità di tutela pubblicistica perseguite dalla
norma di legge. Conferma di tale generale principio si evince nel più
generale sistema tracciato dall'art. 80 D.Lgs. n. 50/2016, nel quale
assumono rilievo anche le pregresse condanne riportate dai soggetti cessati
dalla carica, tra i quali devono annoverarsi i vertici delle società dalle
quali il concorrente ha acquisito complessi aziendali o rami d'azienda,
sebbene gli stessi siano del tutto estranei alla governance
societaria del concorrente medesimo (Cons. Stato, sez. V, 07/01/2020, n.
70).
4.5. Ne consegue che il ricorso incidentale è fondato e va pertanto accolto,
assorbiti gli altri motivi del ricorso incidentale successivamente graduati,
con annullamento degli atti impugnati, per quanto di ragione (nella parte in
cui la ricorrente principale è stata illegittimamente ammessa alla procedura
de qua). |
APPALTI: Appalti
e diritto di accesso.
Domanda
Sono sempre numerosi i quesiti in tema di accesso agli atti della procedura
di appalto, sia della fase pubblicistica sia della fase esecutiva (in quest’ultima
l’istanza di accesso, normalmente, poggia sulla esigenza di consentire
all’appaltatore, non aggiudicatario, di verificare se l’esecuzione del
contratto avvenga o meno secondo quanto proposto in sede di offerta).
Appare opportuno, quindi, elaborare un “riscontro cumulativo” che
riassume le varie istanze presentate soprattutto alla luce delle recenti
indicazioni giurisprudenziali in tema di accesso.
Risposta
Al netto delle indicazioni contenute nella disciplina specifica in tema di
accesso agli atti dell’appalto, come declinate nell’articolo 53 del Codice
in cui si prevede la possibiltà di un differimento –nella fase di
espletamento della gara fatti salvi gli atti già adottati, si pensi alla
fase formale di verifica dei documenti-, l’accesso è generalmente consentito
al netto degli aspetti afferenti i segreti commerciali/aziendali che,
innanzi al ricorso devono comunque essere consentiti.
Il tema dell’accesso trova però una sua compiuta definizione con l’affermata
ammissibiltà dell’applicazione dell’accesso civico generalizzato o
universale agli atti dell’appalto (sia della fase pubblicistica sia della
fase esecutiva) come chiarito dalla sentenza del Consiglio di Stato in
Adunanza Plenaria n. 10/2020.
L’Adunanza Plenaria ha affermato il diritto ad ottenere gli atti della fase
esecutiva del contratto ai fini (potenziali) della risoluzione del contratto
e successivo scorrimento della graduatoria o riedizione della gara “purché
tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo
istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale”.
In sostanza, che richiede gli atti deve avere già gli elementi per
dimostrare che l’esecuzione non sta avvenendo secondo quanto stabilito con
la proposta contrattuale aggiudicata.
Non solo, quindi, il RUP è tenuto a produrre gli atti richiesti –al netto di
elementi afferenti ai segreti commerciali/aziendali ex art. 5-bis comma 2,
lett. c) (che possono essere oscurati se il RUP ha effettivamente constatato
che si tratta di dati che non possono essere “ostesi”)-, ma è tenuto
ad interpretare l’eventuale nota generica, quanto a riferimento normativo
richiamato, che si limitasse a richiedere atti e dati relativi agli appalti
già espletati in senso “collaborativo” e non escludente. Nel senso
che non può respingere l’istanza per i solo fatto che questa non contenga un
preciso richiamo normativo. In questo caso il RUP andrà ad interpretare la
richiesta alla luce delle varie disposizioni in tema e, soprattutto, alla
luce dell’art. 5, comma 2, del decreto legislativo 33/2013 (e quindi sotto
il profilo dell’accesso civico generalizzato/universale).
È questo il caso recentemente affrontato dal Tar Abruzzo, Pescara, sez. I,
con la recentissima sentenza del 23.05.2020 n. 162.
Nella sentenza –a fronte di una istanza tesa ad ottenere dati e
provvedimenti relativi all’invito degli appaltatori in procedure sotto i
40mila euro e nel sotto soglia con conseguente rigetto (errato) della
stazione appaltante– si puntualizza che il diritto di accesso ai documenti
amministrativi costituisce un “autonomo diritto all’informazione”
rappresentando quindi esso stesso un “bene alla vita accordato per la
tutela nel senso più ampio e onnicomprensivo del termine e, dunque, non
necessariamente ed esclusivamente in correlazione alla tutela
giurisdizionale di diritti ed interessi giuridicamente rilevanti”.
Per effetto di quanto, l’istanza può trovare legittimazione anche nel fine “di
assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa; tale
diritto all’informazione, oltre ad essere funzionale alla tutela
giurisdizionale, consente agli amministrati di orientare i propri
comportamenti sul piano sostanziale per curare o difendere i loro interessi
giuridici, con l’ulteriore conseguenza che il diritto stesso può essere
esercitato in connessione ad un interesse giuridicamente rilevante, anche se
non sia ancora attuale un giudizio nel cui corso debbano essere utilizzati
gli atti così acquisiti”.
È bene ricordare che il ricorso in giudizio può essere finalizzato non solo
ad ottenere una “giustizia”, per così dire, immediata con l’annullamento
della procedura e l’eventuale subentro ma anche ad ottenere confermata una
pretesa risarcitoria qualora emergesse che la stazione appaltante abbia
agito contra ius (03.06.2020
- link a www.publika.it). |
APPALTI SERVIZI: Giurisdizione
del giudice amministrativo nella controversia sulla risoluzione del
contratto per gravi inadempimenti.
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Giurisdizione – Contratti della Pubblica amministrazione – Concessione -
Risoluzione del contratto per gravi inadempimenti – Impugnazione -
Giurisdizione del giudice amministrativo.
Rientra nella giurisdizione del giudice
amministrativo la controversia avente ad oggetto la risoluzione del
contratto per gravi inadempimenti del Concessionario comportante decisioni
sulla durata o efficacia del rapporto concessorio (1).
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(1) La Sezione ha
ricordato che sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le
controversie, nell’ambito di quelle relative a concessioni di pubblici
servizi, concernenti "indennità, canoni o altri corrispettivi" nelle
quali venga in rilievo non l’esistenza od il contenuto della concessione o
l’esercizio di poteri autoritativi della p.a. sul rapporto concessionario o
sulla determinazione delle suddette controprestazioni (nel qual caso la
giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo), ma solo l’effettiva
debenza dei corrispettivi stessi in favore del concessionario, secondo un
rapporto paritario di contenuto meramente patrimoniale, nella
contrapposizione delle situazioni giuridiche soggettive obbligo/pretesa (Cons.
St., sez. III, 20.03.2019, n. 1839); quindi ai sensi dell'art.
133, comma 1, lett. c), c.p.a., devono intendersi devolute espressamente
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le
controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di
pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi ovvero relative a provvedimenti adottati dalla Pubblica
amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento
amministrativo ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico
servizio; da ciò consegue che le controversie relative alle vicende del
rapporto concessorio, nelle ipotesi di concessione di servizio pubblico,
rimangono nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche
nella fase successiva alla stipula del contratto (Cons.
St., sez. V, 18.12.2017, n. 5938).
La controversia in esame, relativa alla valutazione dell’inadempimento degli
obblighi del concessionario, e comportante decisioni sulla durata o
efficacia del rapporto concessorio, rientra nella giurisdizione del Giudice
Amministrativo
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 01.06.2020 n. 621 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2020 |
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APPALTI:
Appalti pubblici – sistema del confronto a coppie – ratio e sindacabilità.
Il sistema del confronto a coppie è metodo di selezione,
volto ad individuare l'offerta migliore in termini strettamente relativi,
che si basa sull'attribuzione di punteggi espressione delle preferenze
soggettive dei commissari: un punteggio alto testimonia l'elevato gradimento
del seggio di gara per le soluzioni proposte da un candidato rispetto a
quelle formulate dagli altri, laddove una valutazione bassa è, specularmente,
conseguenza della scarsa attrattività tecnico-qualitativa della proposta del
concorrente non in sé e per sé, ma rispetto a quelle degli altri
partecipanti: è pertanto chiara l'ampia discrezionalità sottesa a tali
manifestazioni di giudizio dei commissari, che non scrutinano il possesso
dei requisiti minimi di partecipazione (presupposto per l'ammissione al
confronto) ma, al contrario, esprimono una valutazione, necessariamente
soggettiva e opinabile, circa le diverse soluzioni tecniche offerte.
In altre parole, la metodologia in questione non mira ad una ponderazione
atomistica di ogni singola offerta rispetto a standard ideali, ma tende ad
una graduazione comparativa delle varie proposte dei concorrenti mediante
l'attribuzione di coefficienti numerici nell'ambito di ripetuti "confronti a
due", di conseguenza il sindacato giurisdizionale incontra forti
limitazioni, non potendo il giudice impingere in valutazioni di merito "ex
lege" spettanti all'Amministrazione, salva la ricorrenza di un uso
palesemente distorto, logicamente incongruo, macroscopicamente irrazionale
del metodo in parola, che è, però, preciso onere dell'interessato allegare e
dimostrare, evidenziando non già la mera (e fisiologica) non condivisibilità
del giudizio comparativo, bensì la sua radicale ed intrinseca
inattendibilità tecnica o la sua palese insostenibilità logica (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 29.05.2020 n. 3401 - massima free
tratta da www.giustamm.it - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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7.2. Il costrutto giuridico dell’appellante non può essere condiviso dal
Collegio.
7.3. Com’è noto, il sistema del confronto a coppie, utilizzato nel caso di
specie dai commissari nella preliminare valutazione tecnico-qualitativa
dell’offerta ed ottenuta dalla somma dei coefficienti di valore attribuiti
da ciascuno di essi, è metodo di selezione, volto ad individuare l'offerta
migliore in termini strettamente relativi, che si basa sull'attribuzione di
punteggi espressione delle preferenze soggettive dei commissari: un
punteggio alto testimonia l'elevato gradimento del seggio di gara per le
soluzioni proposte da un candidato rispetto a quelle formulate dagli altri,
laddove una valutazione bassa è, specularmente, conseguenza della scarsa
attrattività tecnico-qualitativa della proposta del concorrente non in sé e
per sé, ma rispetto a quelle degli altri partecipanti; è pertanto chiara
l'ampia discrezionalità sottesa a tali manifestazioni di giudizio dei
commissari, che non scrutinano il possesso dei requisiti minimi di
partecipazione (presupposto per l'ammissione al confronto) ma, al contrario,
esprimono una valutazione, necessariamente soggettiva e opinabile, circa le
diverse soluzioni tecniche offerte; in altre parole la metodologia in
questione non mira ad una ponderazione atomistica di ogni singola offerta
rispetto a standard ideali, ma tende ad una graduazione comparativa delle
varie proposte dei concorrenti mediante l'attribuzione di coefficienti
numerici nell'ambito di ripetuti "confronti a due", di conseguenza il
sindacato giurisdizionale incontra forti limitazioni, non potendo il giudice impingere in valutazioni di merito "ex lege" spettanti
all'Amministrazione, salva la ricorrenza di un uso palesemente distorto,
logicamente incongruo, macroscopicamente irrazionale del metodo in parola,
che è, però, preciso onere dell'interessato allegare e dimostrare,
evidenziando non già la mera (e fisiologica) non condivisibilità del
giudizio comparativo, bensì la sua radicale ed intrinseca inattendibilità
tecnica o la sua palese insostenibilità logica (cfr. Cons. Stato, Sez. III,
03.02.2017, n. 476).
E’, poi, ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui se i
criteri di valutazione sono adeguatamente dettagliati, il giudice
amministrativo non può entrare nel merito dei singoli apprezzamenti
effettuati dai commissari (ex multis Consiglio di Stato, Sez III del
25/06/2019 n. 4364; Consiglio di Stato, III, 01.06.2018, n. 3301; Consiglio
di Stato sez. V, 27/12/2018, n. 7250).
Il sindacato del giudice, infatti, si arresta dinanzi alla rilevata
correttezza dell’applicazione del metodo del confronto a coppie considerato
che la motivazione delle valutazioni sugli elementi qualitativi risiede
nelle stesse preferenze attribuite ai singoli elementi di valutazione
considerati nei raffronti con gli stessi elementi delle altre offerte (sez.
VI, 19/06/2017, n. 2969). |
APPALTI: Sulla
natura del recesso ex art. 163, comma 7, del Codice dei Contratti.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Recesso – Recesso ex art. 163,
comma 7, del Codice dei contratti pubblici - Natura – Individuazione.
Le procedure di affidamento d’urgenza ex art. 163
del Codice dei contratti pubblici non derogano rispetto al necessario
possesso, da parte degli operatori, dei requisiti di ordine morale; in
presenza di una verifica postuma negativa sui requisiti generali,
l’amministrazione aziona il recesso previsto dal comma 7 dell’art. 163 che è
rimedio ontologicamente differente rispetto al recesso ordinario civilistico
ovvero a quello previsto dall’articolo 109 del Codice, posto che non
inerisce ad un diritto potestativo privato di ripensamento, ma rinviene la
sua giustificazione nell’accertamento autoritativo postumo di una causa di
esclusione ex art. 80 del Codice (1)
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(1) Da tale presupposto la Sezione ha fatto derivare da una
parte, la sussistenza dell’adito Giudice Amministrativo sulle
controversie in cui si contesta l'esercizio del rimedio, atteso che si
tratta di un recesso fondato logicamente e causalmente su di un previo
accertamento dell’illegittimità dell’aggiudicazione in favore dell’operatore
(in coerenza con gli stessi principi della Adunanza Plenaria n. 14 del 2014,
laddove eccettua dall’intervento ablativo sul rapporto conformato come
diritto potestativo privatistico, le peculiari ipotesi in cui il recesso si
fonda in modo vincolato su di un pregresso potere pubblicistico; v. recesso
a seguito di interdittiva antimafia), dall’altra parte, la
sostanziale vincolatezza dell’atto di autotutela de quo, solo
apparentemente “interno” al contratto, ma invece incentrato sul rilevato
vizio genetico dell’aggiudicazione, siccome disposta in favore di un
soggetto privo dei requisiti morali.
L’annullamento dell’aggiudicazione non sostanzia, nel caso de quo, un
provvedimento di secondo grado “puro”, bensì sottende la verifica
negativa dei requisiti di moralità, che nella procedura d’urgenza viene
semplicemente posticipata rispetto alla stipula dell’accordo quadro; con la
conseguenza che non vi è luogo né per la valutazione dell’affidamento
(giacché non vi è un precedente atto ampliativo sub specie di già avvenuto
controllo dei requisiti, il quale abbia potuto ingenerare alcun affidamento
nel privato), né per la tipica ponderazione comparativa degli interessi
insita, di norma, nell’atto di secondo grado, né, ancora, per il rispetto
del termine ragionevole; valendo piuttosto, nel caso de quo, il principio di
“autoresponsabilità”, atteso che chi rende dichiarazioni non
veritiere all’amministrazione attestando requisiti insussistenti, non può
dolersi poi delle conseguenze che derivano dalle stesse, una volta scoperte
in sede di controllo successivo.
Premesso che sulle questioni attinenti ai rapporti di dare/avere tra le
parti, una volta esercitato il recesso de quo, vi è giurisdizione del G.O.,
il profilo economico dell’atto ablativo di cui si verte è regolato dall'art.
163, comma 7, in una logica “indennitaria”, riconoscendosi il
pagamento all'operatore del solo valore delle opere già eseguite e il
rimborso delle spese eventualmente già sostenute per l'esecuzione della
parte rimanente, nei limiti delle utilità conseguite
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 28.05.2020 n. 5700 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
decreto rilancio e le disposizioni rilevanti in materia di appalti.
Domanda
Con riferimento al decreto rilancio, quali sono le principali disposizioni
che presentano una certa rilevanza sui contratti pubblici?
Risposta
La c.d. fase di “rilancio” vede pubblicato nella G.U. n. 128/2020 il
decreto legge n. 34 del 19.05.2020 “Misure urgenti in materia di salute,
sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse
all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, composto da 266 articoli
oltre che allegati (a cui seguiranno i conseguenti decreti attuativi).
Provvedimento che nell’attuale stesura è entrato in vigore immediatamente,
ma che potrà subire modifiche a seguito della successiva conversione in
legge, entro i 60 giorni dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale.
L’impatto per i destinatari è sempre devastante, dato il profluvio di norme,
spesso di difficile interpretazione oltre che applicazione. Per quanto
attiene alle stazioni appaltanti di seguito si riportano alcune disposizioni
che si ritiene possano avere una certa rilevanza sugli appalti pubblici:
Art. 65 Esonero temporaneo contribuiti ANAC
Si riporta il testo dell’articolo.
“Le stazioni appaltanti e gli operatori economici sono
esonerati dal versamento dei contributi di cui all’articolo 1, comma 65,
della legge 23.12.2005, n. 266 all’Autorità nazionale anticorruzione, per
tutte le procedure di gara avviate dalla data di entrata in vigore della
presente norma e fino al 31.12.2020”.
Cfr.
Comunicato del Presidente dell’ANAC del 20.05.2020:
Art. 81 Modifiche all’articolo 103 in materia di
sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli
atti amministrativi in scadenza (Validità del DURC)
Si riporta il testo dell’art. 103, co. 2, primo periodo, d.l. 17.03.2020 n.
18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27, come modificato.
“Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni,
autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, in
scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020, conservano la loro validità per
i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di
emergenza, ad eccezione dei documenti unici di regolarità̀ contributiva in
scadenza tra il 31.01.2020 ed il 15.04.2020, che conservano validità̀ sino
al 15.06.2020”.
Art. 109 Servizi delle pubbliche amministrazioni
• L’art. 48 del d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge
24.04.2020 n. 27 (Prestazioni individuali domiciliari) viene sostituto.
• All’articolo 92, comma 4-bis, primo periodo, del d.l. 17.03.2020
n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27 (Disposizioni in materia di
trasporto) le parole: “e di trasporto scolastico” sono soppresse.
Art. 153 Sospensione delle verifiche ex art. 48-bis DPR
n. 602 del 1973 (Verifiche sui pagamenti)
Si riporta il testo dell’articolo.
1. Nel periodo di sospensione di cui all’articolo 68, commi
1 e 2-bis, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27 non si applicano le
disposizioni dell’articolo 48-bis del decreto del Presidente della
Repubblica 29.09.1973, n. 602. Le verifiche eventualmente già effettuate,
anche in data antecedente a tale periodo, ai sensi del comma 1 dello stesso
articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973,
per le quali l’agente della riscossione non ha notificato l’ordine di
versamento previsto dall’articolo n-bis, del medesimo decreto restano prive
di qualunque effetto e le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, nonché le società a
prevalente partecipazione pubblica, procedono al pagamento a favore del
beneficiario.
2. Agli oneri derivanti dal presente articolo valutati in 29, l
milioni di euro per l’anno 2020 che aumentano, ai fini della compensazione
degli effetti in termini di indebitamento netto e di fabbisogno in 88,4
milioni di euro, si provvede ai sensi dell’articolo 265.
Art. 207 – Disposizioni urgenti per la liquidità delle
imprese appaltatrici (Anticipazione)
Si riporta il testo dell’articolo.
1. In relazione alle procedure disciplinate dal decreto
legislativo 18.04.2016, n. 50, i cui bandi o avvisi, con i quali si indice
una gara, sono già stati pubblicati alla data di entrata in vigore del
presente decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi
o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, siano già stati inviati
gli inviti a presentare le offerte o i preventivi, ma non siano scaduti i
relativi termini, e in ogni caso per le procedure disciplinate dal medesimo
decreto legislativo avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del
presente decreto e fino alla data del 30.06.2021, l’importo
dell’anticipazione prevista dall’articolo 35, comma 18, del decreto
legislativo 18.04.2016, n. 50, può essere incrementato fino al 30 per
cento, nei limiti e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per
ogni singolo intervento a disposizione della stazione appaltante.
2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, l’anticipazione di cui al
medesimo comma può essere riconosciuta, per un importo non superiore
complessivamente al 30 per cento del prezzo e comunque nei limiti e
compatibilmente con le risorse annuali stanziate per ogni singolo intervento
a disposizione della stazione appaltante, anche in favore degli appaltatori
che hanno già usufruito di un’ anticipazione contrattualmente prevista
ovvero che abbiano già dato inizio alla prestazione senza aver usufruito di
anticipazione. Ai fini del riconoscimento dell’eventuale anticipazione, si
applicano le previsioni di cui al secondo, al terzo, al quarto e al quinto
periodo dell’articolo 35, comma 18, del decreto legislativo 18.04.2016,
n. 50 e la determinazione dell’importo massimo attribuibile viene effettuata
dalla stazione appaltante tenendo conto delle eventuali somme già versate a
tale titolo all’appaltatore (27.05.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI: Il
computo metrico non estimativo costituisce elemento
essenziale indefettibile dell’offerta tecnica.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Offerta tecnica -
Computo metrico non estimativo – Natura – Elemento
essenziale dell’offerta tecnica.
Il computo metrico non estimativo costituisce
elemento “essenziale” dell’offerta tecnica in ipotesi di
qualsivoglia tipologia di variante migliorativa apportata,
la cui omessa produzione deve comportare l’esclusione
dell’impresa partecipante (1).
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(1) Il computo metrico non estimativo funge da capitolato tecnico,
in cui vengono descritte puntualmente tutte le lavorazioni e
le forniture offerte, soprattutto se il bando non richiede
la consegna dell’elenco prezzi, per cui non si potrebbero
evincere le lavorazioni da altri documenti tecnici né
sarebbe possibile ricorrere al soccorso istruttorio, in
quanto si andrebbe ad integrare un elemento essenziale
dell’offerta tecnica incompleta (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 25.05.2020 n. 741 - commento tratto da e
link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
In ordine al carattere essenziale della produzione del computo metrico
non estimativo, ha evidenziato TAR Puglia, Lecce n.
760/2018: «… La censura proposta nel ricorso principale
deve essere accolta.
Infatti, la tesi sostenuta dalla controinteressata non è
suffragata dal tenore letterale della lex specialis e, in
particolare dall’art. 16 del disciplinare di gara secondo il
quale “...La busta “B - Offerta tecnica” contiene, a pena di
esclusione, e per ogni singola miglioria proposta, i
seguenti documenti: ... c) computo metrico non estimativo
(senza prezzi)...».
Dalla lettura del suddetto alinea è evidente che la lex
concorsualis ha previsto che i computi metrici non
estimativi debbano assurgere ad elemento essenziale
dell’offerta tecnica, contenente le quantità e dimensioni di
tutte le migliorie proposte, nonché le modalità di
svolgimento delle lavorazioni e delle forniture, con un
grado di dettaglio pari a quello previsto dal Legislatore
per la progettazione esecutiva, a mente dell’art. 23, comma
8, del D.Lgs. 50/2016.
Infatti, il computo metrico non estimativo, completo in ogni
sua parte, è deputato ad integrare il Capitolato Speciale
d’Appalto e costituisce parte integrante del Contratto
d’appalto, vincolando l’impresa aggiudicatrice
nell’esecuzione dei lavori e delle opere ivi puntualmente
indicate, così come previsto dallo stesso Disciplinare di
gara, ove viene precisato che “... le “proposte
migliorative” costituiranno parte integrante del Contratto e
del Capitolato Speciale di Appalto...”.
In sostanza, il computo metrico non estimativo funge da
capitolato tecnico, in cui vengono descritte puntualmente
tutte le lavorazioni e le forniture offerte, soprattutto in
considerazione della circostanza che, nella specie, il bando
non richiede la consegna dell’elenco prezzi, per cui non si
potrebbero evincere le lavorazioni da altri documenti
tecnici, né sarebbe possibile ricorrere al soccorso
istruttorio, in quanto si andrebbe ad integrare un elemento
essenziale dell’offerta tecnica incompleta».
In tal senso (i.e. carattere essenziale della
produzione del computo metrico non estimativo) depone
altresì TAR Puglia, Lecce n. 55/2020 sempre con riferimento
all’ipotesi di un’offerta tecnica carente del suddetto
computo, essendo stato ciò espressamente previsto a pena di
esclusione dalla lex specialis di gara nella
fattispecie oggetto di quel giudizio.
TAR Abruzzo, L’Aquila n. 175/2012 ha escluso -a fronte di
una clausola della legge di gara che richiedeva la
produzione a pena di esclusione del computo metrico-
l’ammissibilità del soccorso istruttorio in caso di omessa
produzione del computo metrico.
Analogamente si è pronunciato il TAR Campania, Salerno,
nella sentenza n. 376/2020, secondo la quale “La
essenzialità del computo metrico estimativo, comprensivo
delle voci corrispondenti alle migliorie proposte, emerge,
tra l’altro, da altre previsioni della lex specialis”.
Anche nella fattispecie in esame dalla lettura delle pagine
36 e 37 della
lex specialis di gara è possibile desumere in modo chiaro che i
computi metrici non estimativi costituiscano elemento
essenziale dell’offerta tecnica contenente le quantità e
dimensioni di tutte le migliorie proposte e che quindi la
dizione “ove necessario” (a pag. 37 del disciplinare)
si riferisca alla imprescindibilità (pena l’esclusione della
gara ai sensi del penultimo periodo sempre a pag. 37 del
disciplinare: “Il verificarsi di una delle condizioni di
cui sopra comporta la non ammissibilità dell’offerta tecnica
e l’esclusione del relativo offerente.”)
dell’allegazione del menzionato computo metrico non
estimativo all’offerta tecnica proprio in presenza di
varianti (ovviamente quelle ammissibili) e di un concreto
impatto delle stesse sui dati qualitativi e quantitativi
dell’offerta, a prescindere dalla tipologia delle stesse,
fattispecie appunto ricorrente nell’ipotesi in esame,
peraltro neanche contestata dalla Stazione appaltante e dal
RTI controinteressato.
Peraltro, nel senso della valenza escludente del difetto di
un elemento essenziale dell’offerta (anche tecnica) deponeva
il previgente art. 46, comma 1-bis, del decreto legislativa
n. 163/2006 (“la stazione appaltante esclude i candidati
concorrenti ... per difetto di altri elementi essenziali
dell’offerta”).
Nel caso di specie si rileva che comunque la previsione del
disciplinare a pag. 37 (“L’offerta tecnica, inoltre: …
a2) ove necessario, deve essere corredata da un computo
metrico (non estimativo) senza l’indicazione di prezzi
unitari o di importi economici tali da rendere palese
l’offerta economica, …”) si colloca tra due clausole di
esclusione nell’ambito della medesima lettera I del
disciplinare (“CONTENUTI DELL’OFFERTA TECNICA ED
ECONOMICA”), una immediatamente precedente contemplata a
pag. 36 (“A pena di esclusione, l’offerta tecnica dovrà
inoltre rispettare le seguenti prescrizioni: …") e una
immediatamente successiva alla fine di pag. 37 (“Il
verificarsi di una delle condizioni di cui sopra comporta la
non ammissibilità dell’offerta tecnica e l’esclusione del
relativo offerente”), quest’ultima che può certamente
riferirsi al precedente punto a2) rilevante nella
fattispecie per cui è causa e determinare l’esclusione del
RTI Conpat per omessa produzione del menzionato computo
metrico non estimativo in uno alla sua offerta tecnica,
contemplando la stessa -come visto- ben quattro proposte
migliorative.
Va, altresì, evidenziato che secondo il citato punto a2)
(pag. 37 del disciplinare) il computo metrico non estimativo
dovrebbe riportare “solo le descrizioni dettagliate degli
elementi che si discostano da quanto previsto dal progetto
definitivo, con indicazione della collocazione fisica o in
modo che si possa agevolmente comprendere la collocazione
fisica di tali elementi rispetto allo stesso progetto
definitivo”; inoltre, “il computo metrico deve essere
redatto in coerenza con il progetto posto a base di gara e
deve dare atto, con la pertinente descrizione: - delle voci
ridotte nelle quantità o soppresse integralmente; - delle
voci aumentate nelle quantità o delle nuove voci introdotte
in aggiunta o in sostituzione di voci soppresse …”.
La conclusione che se ne trae è che la dizione “ove
necessario” di cui al suddetto punto a2) fa esattamente
riferimento alla necessità di produrre, in uno all’offerta
tecnica, il computo metrico non estimativo (evidentemente a
pena di esclusione) proprio nel caso in cui vi siano
elementi che in qualche modo “si discostano da quanto
previsto dal progetto definitivo”, la qual cosa si è
appunto verificata nell’offerta tecnica di Co. per stessa
ammissione della controinteressata, oltre che della Stazione
appaltante.
Infine, va rammentato il principio di diritto di cui alla
sentenza del Consiglio di Stato n. 6793/2019 secondo cui: «…
deve rilevarsi che sia il computo metrico non estimativo che
quello estimativo non costituivano, di per sé, secondo le
specifiche disposizioni della legge di gara, elementi
essenziali per l’ammissibilità e validità dell’offerta,
essendo qualificati nell’un caso, quanto al computo metrico
non estimativo, elementi illustrativi delle lavorazioni da
eseguire e nell’altro, quanto al computo metrico estimativo,
un semplice allegato all’offerta economica.
In virtù del principio della tassatività delle cause di
esclusione (ed in mancanza di un’apposita clausola della
legge di gara che ne prevedesse espressamente l’esclusione)
l’eventuale imprecisa, irregolare, incompleta o lacunosa
redazione degli atti in questione non avrebbe mai potuto
determinare l’esclusione dalla gara, ma incidere
eventualmente sulla valutazione dell’offerta tecnica o dare
luogo ad una richiesta di chiarimenti da parte della
stazione appaltante (in relazione alla eventuale valutazione
di congruità dell’offerta economica). …».
Ebbene nel caso di specie non solo il disciplinare di gara
non contempla il computo metrico non estimativo quale mero
elemento illustrativo delle lavorazioni da eseguire,
diversamente dalla fattispecie oggetto del giudizio
conclusosi con la sentenza del Consiglio di Stato n.
6793/2019, ma anzi dal chiaro tenore letterale delle pagine
36 e 37 del disciplinare emerge come il computo metrico non
estimativo costituisse elemento certamente “essenziale”
dell’offerta tecnica in ipotesi di qualsivoglia tipologia di
variante migliorativa apportata, la cui omessa produzione
avrebbe comportato l’esclusione dell’impresa partecipante,
come appunto sarebbe dovuto accadere nel caso del RTI Co..
Infine, si rammenta che, come nella fattispecie oggetto
della pronunzia del TAR Puglia, Lecce, n. 760/2018 (ove nel
disciplinare di gara era precisato «... le “proposte
migliorative” costituiranno parte integrante del Contratto e
del Capitolato Speciale di Appalto ...» e che,
conseguentemente, consente al Tribunale salentino di
concludere nel senso del carattere -proprio del computo
metrico non estimativo- di elemento essenziale dell’offerta
tecnica), analogamente nel caso di specie il disciplinare a
pag. 38 specifica che “In caso di aggiudicazione
l’offerta tecnica sarà fisicamente allegata al contratto di
appalto in maniera tale da costituirne parte integrante e
sostanziale”, tenuto altresì conto che il computo
metrico non estimativo -a sua volta- costituisce parte
integrante del contratto, come risulta evidente dallo schema
di contratto allegato agli atti di gara.
Pertanto, anche nel caso di specie si deve indubbiamente
opinare nel senso che il computo metrico non estimativo, il
quale ai sensi del punto a2) di pag. 37 del disciplinare
deve indefettibilmente completare (a pena di esclusione)
l’offerta tecnica in caso di miglioria ammissibile
apportata, costituisca elemento essenziale indefettibile
dell’offerta tecnica medesima.
In ordine alle argomentazioni spese sul punto dal RTI Co.,
si evidenzia quanto segue.
Nella memoria del 27.03.2020 (cfr. pag. 3) il RTI Co.
sostiene che le migliorie indicate dalla stessa (quindi
ammettendone l’esistenza) attengano unicamente alle spese
generali e agli oneri indiretti dell’impresa, il che
avrebbero escluso la necessità della produzione del computo
metrico non estimativo.
E tuttavia -come sottolineato in precedenza- il tenore della
lex specialis, oltre che la ratio della stessa
disciplina, depongono nel senso che il computo metrico non
estimativo -la cui struttura è desumibile da una sedimentata
normativa (art. 119, comma 1, del d.p.r. 05.10.2010, n. 207;
art. 90 del d.p.r. 21.12.1999, n. 554)- vada prodotto, in
uno all’offerta tecnica, a pena di esclusione, in presenza
di qualsivoglia modifica al progetto definitivo, a nulla
rilevando la tipologia della modifica proposta.
Nella memoria del 17.04.2020 il RTI Co. muta percorso
argomentativo e nella prospettazione fornita a pag. 6 della
stessa memoria sostiene che l’allocuzione “ove necessario”
contenuta nel disciplinare deve intendersi nel senso che il
computo metrico è finalizzato ad “individuare
quantitativamente la consistenza delle migliorie” senza
avere rilevanza per la determinazione del prezzo e che,
pertanto, la propria offerta, in base alla sua stessa
interpretazione, sarebbe “priva di consistenza”. La
difesa del raggruppamento controinteressato conferma che il
computo ha “valore di mera traccia indicativa della
modalità di formazione del prezzo globale”.
Dette argomentazione non sono condivisibili: se (come è) il
computo ha valore e rilevanza (anche solo di traccia
indicativa, come assume il RTI Co.) della modalità di
formazione del prezzo, lo stesso computo è assolutamente
necessario (si pensi all’ipotesi di documentare la congruità
del prezzo globale durante la verifica di anomalia).
Neppure può convenirsi sull’affermazione del RTI (pag. 6
della memoria in esame) secondo cui “non può revocarsi in
dubbio che la finalità di detto computo, così come
inequivocamente prescritto in seno al disciplinare doveva
essere, “ove necessario” solo quella di individuare
quantitativamente la consistenza delle migliorie (e quindi
il contenuto dell’offerta tecnica), senza che esso assumesse
alcuna rilevanza in relazione alla determinazione del prezzo”.
È sufficiente qui rimarcare che tutte le modifiche al
progetto a base di gara dovevano essere “quantificate”
nel computo metrico da inserire nell’offerta tecnica e
dovevano trovare riscontro economico anche nella lista delle
categorie che costituiva l’offerta economica.
Infatti, come evidenziato dalla parte ricorrente a pag. 9 e
ss. dell’atto introduttivo, la dedotta illegittimità è ancor
più evidente ove si consideri che l’impianto
logico-sistematico della disciplina di gara pone in
continuità (nel segno della simmetria e identità di
contenuti) l’offerta tecnica con quella economica.
In particolare, tutte le proposte migliorative che
determinano modifiche al progetto posto a base di gara
devono trovare riscontro, oltre che nei computi metrici
allegati all’offerta tecnica, anche nell’offerta economica.
In questa logica il computo metrico integra l’oggetto
dell’impegno dell’aggiudicataria, concorrendo a parametrare
l’esattezza della prestazione nel corso dell’appalto, come
peraltro ricavabile dall’art. 32, comma 14-bis, del decreto
legislativo n. 50/2016.
Infatti, il disciplinare di gara (sub II, pag. 38) prevede,
a tal proposito, che “qualora il Concorrente proponga in
Busta “B” (offerta tecnica), nei limiti e alle condizioni
stabiliti dal presente Disciplinare, una o più soluzioni
tecniche migliorative al Progetto Definitivo a base di gara,
che comportino l’eliminazione, l’aggiunta o la sostituzione
di lavorazioni previste nel Progetto Definitivo, l’elenco
dei prezzi unitari (ovverosia la lista delle categorie di
lavorazioni e forniture) deve essere da lui coerentemente
adeguato …”.
In altri termini, la lex specialis ha posto in capo
al concorrente l’obbligo di modificare la lista delle
categorie e delle forniture (ovverosia l’offerta economica)
nelle relative quantità, adeguando la stessa alla propria
offerta tecnica.
Il RTI aggiudicatario si è sottratto anche a tale obbligo,
omettendo di adeguare la propria lista delle categorie
all’offerta tecnica modificata a seguito della
modifica/integrazione delle quantità relative alle proprie
proposte migliorative.
Alla luce di quanto innanzi, non essendovi corrispondenza
tra l’offerta tecnica proposta (così come descritta nella
relazione) e l’offerta economica, risulta evidente la
sussistenza di una causa espulsiva.
Di qui un ulteriore profilo d’illegittimità della gravata
aggiudicazione.
Ne discende l’accoglimento della domanda impugnatoria di cui
al ricorso introduttivo, con consequenziale assorbimento di
ogni altra doglianza e del ricorso per motivi aggiunti. |
APPALTI:
Le previsioni della lex
specialis della gara costituiscano un vincolo per l’Amministrazione che le
ha predisposte, in capo alla quale non sussiste alcun margine di
discrezionalità circa la loro concreta attuazione, sicché “l’amministrazione
che indice una procedura selettiva è vincolata al rispetto delle previsioni
della lex specialis della procedura medesima, le cui prescrizioni risultano
intangibili e non possono essere modificate o disapplicate, salvo
naturalmente l’eventuale esercizio del potere di autotutela. La stazione
appaltante non conserva perciò alcun margine di discrezionalità nella
concreta attuazione delle prescrizioni di gara, né può disapplicarle,
neppure nel caso in cui alcune di tali regole eventualmente risultino
inopportunamente o incongruamente formulate, salva la possibilità di
procedere all’annullamento ex officio delle stesse”.
---------------
Preliminarmente, va rimarcato in
linea generale che le previsioni della lex specialis della gara
costituiscano un vincolo per l’Amministrazione che le ha predisposte, in
capo alla quale non sussiste alcun margine di discrezionalità circa la loro
concreta attuazione, sicché “l’amministrazione che indice una procedura
selettiva è vincolata al rispetto delle previsioni della lex specialis della
procedura medesima, le cui prescrizioni risultano intangibili e non possono
essere modificate o disapplicate, salvo naturalmente l’eventuale esercizio
del potere di autotutela. La stazione appaltante non conserva perciò alcun
margine di discrezionalità nella concreta attuazione delle prescrizioni di
gara, né può disapplicarle, neppure nel caso in cui alcune di tali regole
eventualmente risultino inopportunamente o incongruamente formulate, salva
la possibilità di procedere all’annullamento ex officio delle stesse (ex
multis, Cons. Stato, VI, 21.01.2015, n. 215; V, 22.03.2016, n. 1173; sez.
III, 13.01.2016, n. 74)” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 08.05.2019, n. 2991)
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 25.05.2020 n. 741 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Trasporto scolastico e pagamento prestazioni non rese.
Domanda
In qualità di RUP e direttore dell’esecuzione dell’appalto relativo al
servizio di trasporto scolastico a seguito dei vari provvedimenti
ministeriali di contenimento dell’epidemia da Covid-19, ai sensi dell’art.
107 del d.lgs. 50/2016, ho disposto la sospensione del servizio da
riattivarsi al termine dell’emergenza e secondo le modalità e condizioni che
saranno disposte a livello statale. L’operatore ci chiede comunque il
pagamento del corrispettivo nonostante il servizio non sia stato prestato.
È legittima la richiesta avanzata?
Risposta
La questione riportata nel quesito riguarda i commi da 4-bis a 4-quater del
d.l. 17.03.2020 n. 18 c.d. “Cura Italia”, aggiunti nel corso
dell’esame al Senato al fine di tutelare le società che svolgono i servizi
di trasporto pubblico locale e regionale e di trasporto scolastico, per
contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, e
approvati in via definitiva dalla Camera nella seduta del 24.04.2020.
In particolare il comma 4-bis dell’art. 92 del d.l. 17.03.2020 n. 18,
convertito in legge 24.04.2020 n. 27 stabilisce: “Al fine di contenere
gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e delle
misure di contrasto alla diffusione del virus sui gestori di servizi di
trasporto pubblico locale e regionale e di trasporto scolastico, non possono
essere applicate dai committenti dei predetti servizi, anche laddove
negozialmente previste, decurtazioni di corrispettivo, né sanzioni o penali
in ragione delle minori corse effettuate o delle minori percorrenze
realizzate a decorrere dal 23.02.2020 e fino al 31.12.2020”.
La disposizione si riferisce genericamente ai “gestori di servizi”
prevedendo quindi un ambito di applicazione che prescinde dal sistema di
esecuzione (appalto, concessione, in house).
Pertanto, sulla base della citata norma, non solo non possono essere
applicate dai committenti, neppure se negozialmente previste, sanzioni o
penali in ragione delle minori corse o minori percorrenze effettuate, ma i
Comuni sono tenuti a corrispondere all’appaltatore quanto contrattualmente
previsto per i servizi di trasporto scolastico, ancorché non realizzato per
l’inevitabile sospensione della prestazione scolastica.
Tale obbligo di pagamento del corrispettivo non è immediatamente disponibile
in quanto il comma 4-quater del citato articolo, subordina l’efficacia della
disposizione normativa all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi
dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione
Europea, che prevede appunto che siano comunicati alla Commissione europea
progetti diretti a istituire o modificare aiuti.
Tuttavia l’articolo 116, comma 1, lettera b), del nuovo decreto c.d.
Rilancio, in procinto di essere pubblicato in gazzetta ufficiale, modifica
il comma 4-bis sopra citato permettendo di fatto tali riduzioni con
riferimento ai gestori del servizio di trasporto scolastico:
”all’articolo 92, comma 4-bis, primo periodo, le parole: “e di trasporto
scolastico” sono soppresse” (20.05.2020
- link a www.publika.it). |
APPALTI: Presidente
di commissione di gara e RUP.
Domanda
Nell’attuale situazione è configurabile la convivenza dei ruoli di RUP e
presidente di commissione di gara? Si potrebbe avere una definitiva
delucidazione del problema?
Risposta
La giurisprudenza è intervenuta –in particolare quella di primo grado– in
numerose occasioni sul tema della compatibilità dei ruoli RUP/presidente di
commissione di gara e della stessa possibilità, più in generale, del
responsabile unico del procedimento di far parte della commissione di gara.
Occorre evidenziare che per effetto della recente legge 55/2019 (Sblocca
Cantieri) l’operatività dell’Albo dei commissari (in realtà mai venuta in
essere) è stata sospesa fino alla fine dell’anno (31/12/2020) e, soprattutto
con l’ANCI, diverse sono le proposte di ulteriore proroga.
Tale sospensione abilita sicuramente la stazione appaltante alla nomina di
commissari interni da inserire nel collegio. Anzi, si deve ritenere che
prioritariamente il RUP (quale soggetto che predispone la proposta di nomina
della commissione di gara) debba procedere con l’individuazione rivolgendo
prioritaria attenzione ai funzionari della propria stazione appaltante per
poi ampliare l’orizzonte delle verifiche a dipendenti degli enti limitrofi
(con i quali si condivide l’adesione, ad esempio, ad una unione dei comuni),
per proseguire con le verifiche nell’ambito di soggetti operanti nella
pubblica amministrazione.
In sostanza, solo in via residuale (per appalti complessi) l’attenzione del
RUP potrebbe essere rivolta a professionisti esterni sempre da nominare in
modo trasparente ed oggettivo (magari con avviso pubblico e/o richiesta di
almeno una terna di nominativi agli ordini su cui poi innestare il
sorteggio).
In relazione alla partecipazione del RUP come componente e/o addirittura
come presidente del collegio, si devono esprimere alcune perplessità.
Pur vero che dalla giurisprudenza emergono anche legittimazioni di tali
modalità operative è altrettanto vero che l’ultimo orientamento, anche
quello del Consiglio di Stato, si è espresso in senso contrario. Per
semplificare, si può evidenziare che dalla complessiva giurisprudenza
emergono orientamenti che ammettono tale prerogativa/possibilità ed
orientamenti che la negano in modo assoluto.
Pertanto, si è indotti a ritenere che sia meglio evitare che il RUP venga
individuato presidente del collegio (anche se dovesse coincidere con il
dirigente/responsabile del servizio, rammentando che la funzione della
presidenza è una funzione dirigenziale) per evitare a monte possibili
contenziosi che, anche a prescindere dalla posizione espressa dal giudice,
hanno l’effetto deleterio di ostacolare lo svolgimento fisiologico della
procedura.
Pur vero che, con le censure il ricorrente deve dimostrare la concreta “incompatibilità”
è altrettanto vero, però, che l’aver predisposto le regole della gara (o
averle approvate come nel caso del dirigente/responsabile del servizio)
viene considerata una incompatibilità (da ultimo si veda Consiglio di Stato,
sez. V, sentenza del 17.04.2020 n. 2471 che afferma l’esistenza di un
principio di terzietà nel procedimento amministrativo contrattuale).
Analoga considerazione deve essere espressa sulla partecipazione del
responsabile unico (nonostante il comma 4 dell’articolo 77) è preferibile
–almeno fino al consolidamento di un orientamento giurisprudenziale
definitivo– che il RUP non faccia parte del collegio se non nel ruolo di
segretario verbalizzante (13.05.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI: La
nuova procedura aperta al mercato su MEPA.
Domanda
Sulla piattaforma Mepa di Consip nel caso di utilizzo della Richiesta di
Offerta “RDO” con invito rivolto a tutti gli operatori iscritti alla
categoria merceologica può ritenersi superato il principio di rotazione con
l’eventuale aggiudicazione del contraente uscente?
Risposta
Il d.lgs. 50/2016 all’art. 36, rubricato “Contratti sotto soglia”,
prevede che l’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di
importo inferiore alle soglie di cui all’art. 35 avvengano, tra gli altri,
nel rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti.
Normativa che stante la difficile applicazione ha visto numerose e
contrastanti pronunce giurisprudenziale, nonché differenti posizioni
dottrinarie.
Personalmente ritengo di pregio la definizione del principio di rotazione
dei Giudici Siciliani del 2017 (sentenza n. 188), che osservano “come la
principale ragione invocata a sostegno delle declinazioni più morbide del
principio di rotazione è quella che riguarda proprio la tutela della
concorrenza. Si afferma infatti che far derivare dal criterio della
rotazione una regola di non candidabilità per il gestore uscente entrerebbe
in rotta di collisione con i principi del Trattato”.
L’ANAC poi, con le Linee guida n. 4, al paragrafo 3.6 precisa come la
rotazione non si applichi laddove il nuovo affidamento avvenga tramite
procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione
appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti
pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione
di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori
economici tra i quali effettuare la selezione.
Si tratta di capire quando la Richiesta di Offerta su Mepa possa
considerarsi aperta al mercato.
Sicuramente nel caso di RDO “Aperta”, ovvero quel tipo di procedura a
cui possono partecipare tutti i fornitori abilitati allo specifico bando
collegato alla categoria merceologica, nonché coloro che entro i termini di
scadenza previsti per la presentazione dell’offerta ne ottengono
l’abilitazione.
Ma anche la RDO c.d. ad invito, qualora la Stazione appaltante in sede di
costruzione della gara estenda l’invito a tutti gli operatori abilitati alla
categoria merceologica di riferimento. Almeno secondo una recente pronuncia
del Consiglio di Stato n. 875 del 04.02.2020 n. 875, che confermando la
posizione del TAR Lazio (sentenza n. 527/2019), ha ritenuto che l’estensione
dell’invito a tutte le ditte operanti nel settore (nel caso di specie invito
a tutti gli operatori iscritti sul Mepa nella specifica categoria),
determini l’inapplicabilità delle limitazioni previste dall’art. 36 in
ordine alla rotazione delle imprese aggiudicatarie (il principio di
rotazione non trova applicazione laddove il nuovo affidamento avvenga
tramite procedure nelle quali la stazione appaltante non operi alcuna
limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali
effettuare la selezione. Il principio è stato di recente confermato da
questo Consiglio (sez. V, 05.11.2019 n. 7539) sul rilievo che anche “alla
stregua delle Linee guida n. 4 A.N.A.C., nella versione adottata con
delibera 01.03.2018 n. 206 (v. in part. il punto 3.6), deve ritenersi che il
principio di rotazione sia inapplicabile nel caso in cui la stazione
appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una
procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione dei
partecipanti attraverso inviti").
Può inoltre considerarsi procedura aperta al mercato su Mepa, la RDO ad
invito preceduta dalla pubblicazione di un avviso di indagine di mercato
senza limitazione del numero degli operatori da invitare.
Ovviamente in un’ottica di semplificazione lo strumento da preferire è
quello definito dal sistema Mepa “RDO Aperta” (06.05.2020 -
link a www.publika.it). |
APPALTI: La
modifica del contratto di appalto.
DOMANDA:
Il comune ha un contratto di pulizia degli uffici e delle palestre comunali
triennale che scade il 30.05.2022. Con l'intervento dell'emergenza è stata
interrotta la pulizia delle palestre fino alla ripresa dell'attività nelle
stesse (si immagina a settembre). Viene mantenuta regolarmente la pulizia
degli uffici comunali.
Preso atto che risulta difficile prorogare la pulizia delle palestre
indipendentemente dalla pulizia degli uffici si è pensato, per non recare
danno alla ditta e per utilizzare le risorse in modo congruo, di convertire
le somme destinate al canone di pulizia palestre dei mesi di marzo, aprile
eccetera alla sanificazione degli uffici e delle stesse palestre prima
dell'apertura, utilizzando come riferimento normativo l'art. 48 D.L.
18/2020.
Si chiede se l'operazione sia fattibile con questo o altri riferimenti
normativi(si tratta di una somma di circa 25mila euro) o se si debba
procedere alla proroga e con quali modalità.
RISPOSTA:
I contratti di appalto e di concessione affidati in base al D.Lgs. n.
50/2016 (Codice dei contratti pubblici) possono essere sospesi ai sensi
dell’art. 107 del Codice. Tale disposizione, prevista per i lavori si
applica anche ai contratti di servizi e forniture, in quanto compatibili
(comma 7).
Ai fini dell’applicabilità della norma, devono ricorrere le ipotesi ivi
previste:
- circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i
lavori/servizi/forniture procedano utilmente a regola d’arte e che non siano
prevedibili al momento della stipulazione del contratto (comma 1) oppure
- ragioni di necessità o di pubblico interesse (comma 2) oppure
- cause imprevedibili o di forza maggiore che impediscono
parzialmente il regolare svolgimento dei lavori/servizi/forniture (comma 4).
Nel caso dell’emergenza sanitaria da Covid-19, sono configurabili sia le
circostanze speciali che impediscono in via temporanea l’esecuzione del
contratto che le ragioni di pubblico interesse.
E’ tuttavia necessario un atto che disponga la sospensione del contratto,
come previsto espressamente dallo stesso art. 107 e dall’art. 23 del Decreto
del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 49/2018.
Serve quindi un verbale del Rup o del Direttore dell’esecuzione del
contratto, qualora individuato in un soggetto diverso, nel quale siano
specificati:
- le ragioni che hanno determinato l’interruzione dei lavori,
servizi o forniture (identificabili appunto nell’emergenza epidemiologica da
COVID-19 e nei provvedimenti inerenti e conseguenti);
- lo stato di avanzamento del contratto e quindi le prestazioni già
effettuate,
- le prestazioni che possono proseguire e quelle che invece sono
sospese (in caso di sospensione parziale),
- le eventuali cautele adottate affinché alla ripresa le opere/i
servizi/le forniture possano essere continuate ed ultimate senza eccessivi
oneri,
- la consistenza della forza lavoro e dei mezzi d’opera esistenti
in cantiere al momento della sospensione (con particolare riferimento ai
lavori).
Il comma 3 dell’art. 107 prevede poi che, cessate le cause della
sospensione, il Rup disponga la ripresa dell’esecuzione e indichi “il
nuovo termine contrattuale”.
Analogamente ai sensi del art. 23, comma 3, del D.M. 49/2018 “non appena
siano venute a cessare le cause della sospensione, il direttore dei
lavori/il direttore dell’esecuzione lo comunica al RUP affinché quest’ultimo
disponga la ripresa dell’esecuzione e indichi il nuovo termine contrattuale”.
Dal combinato disposto delle norme indicate sembra emergere la possibilità,
in ogni caso, di prevedere un nuovo termine contrattuale rispetto a quello
originariamente previsto, correlato al periodo di sospensione del contratto.
Con riferimento ai contratti di appalto ad esecuzione periodica e
continuativa occorre tuttavia verificare, caso per caso, le effettive
modalità di svolgimento del servizio e l’utilità della proroga in questione.
Nel caso in esame, l’Ente ritiene di non procedere con la sospensione
parziale del servizio (relativamente alla pulizia delle palestre), ma di
convertire le prestazioni in altre al momento più utili per
l’Amministrazione.
L’art. 48 del D.L. n. 18/2020 convertito con Legge n. 27/2020 (cd. “Cura
Italia”) è una norma specificatamente dettata per servizi educativi e
scolastici e per le attività sociosanitarie e socioassistenziali svolte nei
centri diurni per anziani e per persone con disabilità, e pertanto non può
essere applicata al di fuori dei casi espressamente previsti.
Nella fattispecie in esame l’Ente può invece valutare l’applicabilità
dell’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016 ai sensi del quale “Le modifiche,
nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono
essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della
stazione appaltante cui il RUP dipende”.
In particolare, in base al comma 1, lett. c), di tale articolo i contratti
di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere
modificati senza una nuova procedura di affidamento “ove siano
soddisfatte tutte le seguenti condizioni, fatto salvo quanto previsto per
gli appalti nei settori ordinari dal comma 7: 1) la necessità di modifica è
determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l'amministrazione
aggiudicatrice o per l'ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche
all'oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso
d'opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza
di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di
autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti; 2) la modifica
non altera la natura generale del contratto”.
Ed ancora ai sensi della lettera e) dello stesso comma 1 il contratto può
essere modificato “se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del
comma 4”. Una modifica è considerata sostanziale quando altera “considerevolmente
gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti” o quando
ricorrono le condizioni di cui al comma 4 del citato art. 106.
Il comma 2 del medesimo articolo disciplina poi ulteriori ipotesi che
consentono la modifica del contratto senza necessità di una ulteriore
procedura.
L’Ente dovrà quindi valutare quali condizioni ricorrano nel caso di specie e
procedere, previa autorizzazione del Rup, a convertire le prestazioni
oggetto del contratto (con gli obblighi inerenti e conseguenti previsti
dall’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016).
Per quanto riguarda la fase di esecuzione del contratto, si ricorda infine
che l’Anac, con delibera n. 312 del 09.04.2020, ha precisato che il rispetto
delle misure di contenimento del contagio da “Covid-19” è sempre
valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli
1218 e 1223 Cc., della responsabilità del debitore, anche relativamente
all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o
omessi adempimenti. Questo sia con riferimento ai lavori che con riferimento
ai servizi ed alle forniture
(tratto da e link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
aprile 2020 |
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APPALTI: Regola
del tempus regit actum applicabile al bando di gara - Sostituzione
dell’impresa ausiliaria e c.d. interpretazione giuridica conforme.
---------------
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Bando - Regola del tempus regit
actum – Applicabilità.
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Per
mancanza di requisiti in capo alla impresa ausiliaria - Sostituzione
dell’impresa ausiliaria - C.d. interpretazione giuridica conforme –
Applicazione - Termine.
●
Il bando di gara, avente natura di atto amministrativo generale, non si
sottrae alla regola del tempus regit actum per cui è soggetto alla
disciplina ratione temporis vigente al momento della sua pubblicazione. Tale
soluzione consente di rispettare i superiori principi della par condicio, di
trasparenza e di certezza del diritto, che connotano le procedure ad
evidenza pubblica e che verrebbero irragionevolmente sacrificati ove si
consentisse di modificare le regole della procedura in corso di gara (1).
●
La c.d. interpretazione giuridica conforme alla luce della nuova
disciplina recata dalla Direttiva 2014/24, finalizzata ad evitare
l’esclusione del concorrente mediante la sostituzione dell’ausiliaria priva
dei requisiti di partecipazione, non può trovare applicazione in relazione
ad una gara disciplinata sotto la previgente Direttiva 2004/18, in quanto
non ne sussistono gli stessi presupposti applicativi poiché, da un lato, si
è in presenza di un istituto espressione del nuovo principio europeo di
tutela dell’affidamento del concorrente sulle capacità di altri soggetti e,
dall’altro lato, la Direttiva 2014/14 è stata già attuata nel nostro
ordinamento per cui, a rigore, non si pone una questione di interpretazione
conforme, ma semmai di applicazione ratione temporis della disciplina
europea (2).
---------------
(1)
Cons. St., A.P., 25.02.2014, n. 9.
Ha chiarito la Sezione che nella specie il bando è stato pubblicato il
24.12.2014, sotto il vigore del d.lgs. n. 163 del 2006, sicché la procedura
di gara è disciplinata da questo provvedimento normativo e non già dal
successivo d.lgs. n. 50 del 2016 entrato in vigore (19.04.2016) dopo la
pubblicazione del bando. Non è dunque invocabile l’applicazione retroattiva
della disciplina recata dal d.lgs. n. 50 del 2016.
La stessa sarebbe semmai applicabile ove fosse stato espressamente previsto
in tal senso dal legislatore. Al contrario, con la disposizione transitoria
dell’art. 216, d.lgs. n. 50 del 2016 il legislatore ha espressamente escluso
l’applicazione retroattiva della disciplina recata del provvedimento
legislatore del 2016, prevedendo, in modo chiaro, che il nuovo codice “si
applica alle procedure e ai contratti per le quali i bandi o avvisi con cui
si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati
successivamente alla data della sua entrata in vigore”.
È dunque alla disciplina applicabile ratione temporis che occorre
fare riferimento per accertare la legittimità degli atti e delle attività
compiute dalla stazione appaltante nel corso della gara, ivi compresa quella
riguardante l’atto di esclusione impugnato.
(2) Ha ricordato la Sezione che secondo un principio generale, sono
“inapplicabili le disposizioni di una direttiva il cui termine di
recepimento sia scaduto dopo” la data di pubblicazione del bando (nel
caso esaminato dalla Corte la Direttiva 2014/24 doveva ancora essere
recepita al momento di pubblicazione del bando). La Corte di giustizia,
14.09.2017, causa C-223/16 ha stabilito la conformità al diritto
euro-unitario della disciplina contenuta nell’art. 49 che l’ordinamento
interno interpreta nel senso di escludere la possibilità per l’operatore
economico di sostituire un’impresa ausiliaria che ha perduto i requisiti di
partecipazione, circostanza che comporta l’esclusione automatica
dell’operatore.
Del resto, ha evidenziato ancora la Corte, la Direttiva 2014/24 non potrebbe
neppure invocarsi quale criterio di interpretazione ponendo a raffronto la
disciplina recata dagli 47 e 48 della Direttiva 2004/18 con quella recata
dall’art. 63 della Direttiva 2014/24 dal momento che la Direttiva del 2014
ha introdotto un istituto nuovo nell’ordinamento comunitario (la
sostituzione dell’ausiliaria), non previsto in precedenza. Più in
particolare, gli artt. 47, paragrafo 2 e 48, paragrafo 3, Direttiva 2004/18,
prevedono che “Un operatore economico può, se del caso e per un
determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti”
(c.d. avvalimento della capacità economica-finanziaria e
tecnica-professionale).
Si tratta di una disposizione “formulata in termini generali, e non
indica espressamente le modalità con cui un operatore economico possa fare
affidamento sulle capacità di altri soggetti nell’ambito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico”. Al contrario, con l’art. 63
della Direttiva 2014/24 è stato introdotto l’opposto principio di tutela
dell’affidamento del concorrente sulle capacità degli altri soggetti. In
attuazione di questo principio si è quindi prevista la sostituzione in corso
di gara dell’impresa ausiliaria priva dei requisiti di partecipazione,
introducendo così “nuove condizioni che non erano previste nel precedente
regime giuridico”, che il legislatore nazionale ha in seguito definito e
attuato (come evidenziato dalla giurisprudenza nazionale).
Il principio di tutela dell’affidamento del concorrente sulle capacità di
altri soggetti è quindi un principio nuovo, in precedenza sconosciuto nel
sistema. Ciò esclude, per ovvie ragioni di certezza del diritto, che si
possano valutare e interpretare alla luce del suo lume atti ed attività
posti in essere prima della sua introduzione.
Ha aggiunto la Sezione che l’approdo interpretativo (c.d. interpretazione
giuridica conforme) invocato nel ricorso (che in proposito richiama i
precedenti di
Cons. St., sez. V, 20.10.2015, n. 4793 e sez. III, 15.11.2015, n.
5359) poggia sui generali principi di non contraddizione, di interpretazione
conforme e di leale collaborazione o dell’effetto utile del diritto europeo
(art. 4, paragrafo 3, TUE). La giurisprudenza ha precisato che il meccanismo
dell’interpretazione conforme non opera tuttavia “nei riguardi di
previsioni della direttiva finalizzate ad introdurre negli ordinamenti
nazionali istituti del tutto innovativi, che, come tali, esigono la coerente
declinazione dei loro elementi costituivi e dei pertinenti presupposti di
applicabilità” come nel caso, appunto, della sostituzione
dell’ausiliaria (Cons. St., sez. III, 15.11.2015, n. 5359, che ha giudicato
il caso dell’ausiliaria priva dei requisiti speciali di partecipazione).
Tanto premesso, i presupposti della c.d. interpretazione giuridica conforme
sono la presenza di una normativa europea vigente al momento in cui il
giudice deve applicare il diritto nazionale e la mancata scadenza del suo
termine di recepimento. In presenza di questi presupposti e alla luce dei
ricordati principi di origine europea, il giudice (e prima ancora il
legislatore nell’ambito delle sue funzioni), quando è chiamato ad applicare
una disposizione nazionale è tenuto a preferire, tra le varie opzioni
possibili, l’interpretazione ermeneutica del diritto interno maggiormente
conforme alle disposizioni europee da recepire al fine di non pregiudicare
il conseguimento del risultato (utile) voluto dalla disciplina
sovranazionale.
Si è chiarito inoltre che non si tratta comunque di un vero e proprio
obbligo di interpretazione conforme (similare al c.d. effetto diretto del
diritto europeo), ma di un “obbligo negativo” o “attenuato”
che si sostanzia nell’”obbligo di astensione da un’interpretazione
difforme” se “potenzialmente pregiudizievole per i risultati che la
direttiva intende conseguire”, c.d. stand still (Cons.
St., sez. VI, 26.05.2015, n. 2660)
(TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 30.04.2020 n. 4529 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI SERVIZI:
Rinegoziazione contratti a seguito della stipula di nuovo CCNL.
Secondo il consolidato orientamento del Consiglio di
Stato, ai fini della quantificazione della somma dovuta dalla pubblica
amministrazione a titolo di revisione prezzi deve essere applicato l’indice
ISTAT dei prezzi al consumo di famiglie di operai e impiegati (FOI).
L’utilizzo del predetto parametro non esonera la stazione appaltante
dall’obbligo di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le
circostanze del caso concreto, ma segna il limite massimo oltre il quale
l’amministrazione non può spingersi nella determinazione del compenso
revisionale, «salvo circostanze eccezionali, che devono essere provate
dall’impresa».
Pertanto, qualora l’appaltatore dimostri l’esistenza di circostanze
eccezionali, quali eventi straordinari e imprevedibili, che esulano dalla
normale dinamica di un rapporto contrattuale di durata, la quantificazione
del compenso revisionale potrà essere effettuata ricorrendo a differenti
parametri statistici.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che tra tali circostanze eccezionali non
rientri l’aumento del costo del lavoro né, in particolare, la stipulazione
di un nuovo CCNL.
Il Comune riferisce di avere in essere alcuni contratti con cooperative
sociali, i quali prevedono la revisione dei prezzi ai sensi dell’art. 106
del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, tenendo conto delle variazioni
rilevate dall’ISTAT.
Poiché le cooperative sociali richiedono altresì l’aggiornamento del prezzo
in base alle variazioni intervenute sul costo del lavoro, a seguito di
stipula del nuovo CCNL di categoria, il Comune chiede di conoscere se –anche
alla luce del parere legale allegato– tale ulteriore richiesta debba essere
accolta e, in caso affermativo, come debbano essere considerati gli
adeguamenti già applicati in base ai parametri stabiliti dalla legge di
gara.
Sentito il Servizio centrale unica di committenza della Direzione centrale
patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi, si formulano le
seguenti considerazioni.
Occorre, anzitutto, rilevare che, qualora i contratti ai quali il Comune fa
riferimento attengano a servizi socio-sanitari ed educativi, viene
senz’altro in rilievo l’aspetto dell’elevata incidenza del costo del lavoro,
trattandosi di attività ad alta intensità di manodopera.
In un siffatto contesto, quindi, la stipulazione di un nuovo CCNL
costituisce evento che si ripercuote inevitabilmente sul margine di utile
spettante all’appaltatore.
Tuttavia, pur se nel merito parrebbe auspicabile rinvenire uno strumento
giuridico capace di ristabilire il sinallagma contrattuale, si deve indagare
sulla fattibilità di una tale operazione in termini di legittimità.
A differenza della previgente disciplina (recata dall’art. 115, comma 1
[1], del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163), che imponeva alle stazioni appaltanti di
prevedere una clausola di revisione periodica del prezzo in tutti i
contratti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa,
dalla formulazione dell’attuale art. 106, comma 1, lett. a), del D.Lgs.
50/2016 si evince che una tale previsione è meramente facoltativa.
La norma predetta stabilisce, infatti, che «Le modifiche, nonché le
varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere
autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione
appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e
nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di
affidamento nei casi seguenti:
a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono
state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e
inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi.
Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché
le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento
alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. […]».
Pertanto, nell’odierno assetto normativo, la revisione dei prezzi
contrattuali è ammessa esclusivamente se è stata prevista dalla lex
specialis di gara e disciplinata con clausole chiare, precise e
inequivocabili (“in maniera tale da essere conoscibili da parte di tutti
i concorrenti nel rispetto dei princìpi di trasparenza e parità di
trattamento” [2]),
che individuino la portata, la natura e le condizioni per la loro
applicazione, considerando le fluttuazioni dei prezzi e dei costi standard.
Definendo i poteri spettanti all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC),
l’art. 213 del D.Lgs. 50/2016 stabilisce che essa, «al fine di favorire
l’economicità dei contratti pubblici e la trasparenza delle condizioni di
acquisto, provvede con apposite linee guida, fatte salve le normative di
settore, all’elaborazione dei costi standard dei lavori e dei prezzi di
riferimento di beni e servizi, avvalendosi a tal fine, sulla base di
apposite convenzioni, del supporto dell’ISTAT e degli altri enti del Sistema
statistico nazionale, alle condizioni di maggiore efficienza, tra quelli di
maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica
amministrazione, avvalendosi eventualmente anche delle informazioni
contenute nelle banche dati esistenti presso altre Amministrazioni pubbliche
e altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici.»
[3].
Poiché i suddetti prezzi di riferimento di beni e servizi non sono mai stati
definiti [4], il
Consiglio di Stato, con orientamento costante e consolidato, afferma che ai
fini della quantificazione della somma dovuta dalla pubblica amministrazione
a titolo di revisione prezzi deve essere applicato, in via suppletiva,
l’indice ISTAT dei prezzi al consumo di famiglie di operai e impiegati
(FOI) [5],
affinché le operazioni siano conformi a criteri oggettivi anche quanto alla
soglia massima, onde scongiurare squilibri finanziari nel bilancio, alla
stregua della riconosciuta ratio dell’istituto volta a tutelare la
prosecuzione e la qualità della prestazione ma, prima ancora, l’esigenza
della pubblica amministrazione di non sconvolgere il proprio quadro
finanziario
[6].
Il Giudice amministrativo sostiene, infatti, che l’istituto della revisione
è preordinato alla tutela dell’esigenza, propria della P.A., di evitare che
il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, nel
corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è
avvenuta la stipulazione del contratto, mentre solo in via mediata esso
tutela l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio
contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino durante
l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione
degli standards qualitativi delle prestazioni.
Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, l’utilizzo del predetto parametro
non esonera la stazione appaltante dall’obbligo di istruire il procedimento,
tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, al fine di
esprimere la propria determinazione discrezionale [7],
ma segna il limite massimo oltre il quale l’amministrazione non può
spingersi nella determinazione del compenso revisionale, «salvo
circostanze eccezionali, che devono essere provate dall’impresa».
Pertanto, qualora l’appaltatore dimostri, durante l’istruttoria, l’esistenza
di circostanze eccezionali, che giustifichino la deroga all’indice FOI, la
quantificazione del compenso revisionale potrà essere effettuata ricorrendo
a differenti parametri statistici [8].
Il Consiglio di Stato afferma, inoltre, che la periodicità della revisione «non
implica affatto che si debba azzerare o neutralizzare l’alea sottesa a tutti
i contratti di durata», rilevando che «risulterebbe ben singolare una
interpretazione che esentasse del tutto, in via eccezionale, l’appaltatore
dall’alea contrattuale, sottomettendo in via automatica ad ogni variazione
di prezzo solo le stazioni appaltanti pubbliche, pur destinate a far fronte
ai propri impegni contrattuali con le risorse finanziarie provenienti dalla
collettività» [9].
Effettuata questa necessaria premessa in termini generali, occorre ora
soffermarsi sulla specifica questione posta, ossia se risulti plausibile
ritenere che, pur essendosi visto riconoscere la revisione generale dei
prezzi in base al parametro stabilito in sede di indizione della procedura
di affidamento (indice FOI), l’appaltatore possa aspirare ad un diverso (ma
in ogni caso non ulteriore [10])
aggiornamento, corrispondente all’incremento del costo del lavoro, a seguito
dell’avvenuta stipulazione del nuovo CCNL di categoria.
Occorre, anzitutto, ribadire che, su richiesta dell’appaltatore, spetta alla
stazione appaltante effettuare, caso per caso, l’istruttoria preordinata a
verificare, alla luce delle clausole previste dalla lex specialis e
della specifica situazione di fatto, la sussistenza dei presupposti
necessari per il riconoscimento del compenso revisionale.
Ciò posto si segnala che il Consiglio di Stato, trattando della
dimostrazione, da parte di un’impresa, dell’esistenza di circostanze
eccezionali che giustificherebbero la deroga all’indice FOI
[11], afferma che non
basta richiamare l’aumento del costo dei mezzi o del costo del lavoro, nello
specifico settore, per sostenere che dovrebbe applicarsi un indice diverso,
in grado di “riequilibrare” il sinallagma funzionale del contratto, «poiché
il compenso revisionale può essere riconosciuto, in misura superiore a
quello del FOI, solo in presenza di circostanze eccezionali, quali eventi
straordinari e imprevedibili, che esulano dalla normale dinamica di un
rapporto contrattuale di durata» [12].
Infatti –precisa il Collegio– l’aumento del costo dei mezzi e del costo del
lavoro «sono eventi ordinari e ordinariamente prevedibili da un’impresa
qualificata del settore specifico […] e certo non può supplire agli effetti
economici sfavorevoli all’appaltatore, cagionati dalla loro sopravvenienza
in corso di rapporto, l’istituto della revisione che, come detto, risponde a
ben altra e principale e, comunque, precipua finalità, dovendo altrimenti
ammettersi che ogni aumento dei costi di una certa rilevanza imponga
all’Amministrazione ipso facto la revisione del compenso»
[13].
Con una più recente pronuncia, il Consiglio di Stato affronta proprio la
tematica della richiesta di riconoscimento della revisione prezzi relativa
al costo del lavoro in misura superiore all’indice ISTAT, applicato dalla
stazione appaltante, motivata dal maggior onere scaturente dall’intervenuta
stipulazione del nuovo CCNL cooperative sociali [14].
Il Giudice respinge il ricorso dell’appaltatore, avuto riguardo tanto al
pacifico orientamento circa la necessaria applicazione dell’indice ISTAT,
quanto in base alla considerazione che «il nuovo CCNL non costituisce una
circostanza eccezionale ed inoltre tale contratto collettivo è stato
stipulato nel 2008 [15],
quindi era conoscibile al momento della stipula del contratto di appalto
[16] e, come tale,
costituiva una circostanza prevedibile, essendo quindi inidoneo al fine di
giustificare una deroga dal limite dell’indice ISTAT»
[17].
Occorre, poi, segnalare al Comune che il riconoscimento della revisione
prezzi sulla base di un parametro diverso da quello originariamente
previsto, sempre che non ricorrano le “circostanze eccezionali e
specifiche” che lo consentano, oltre a confliggere con i princìpi di
trasparenza e di par condicio, configurerebbe una modifica sostanziale del
contratto, in aperta violazione delle disposizioni recate dall’art. 106,
comma 1, lett. e) [18]
e comma 4 [19],
del D.Lgs. 50/2016.
Per quanto sin qui rilevato non appare condivisibile la diversa tesi
prospettata nel parere legale trasmesso dall’Ente, posto che i richiami
normativi, giurisprudenziali [20]
ed interpretativi ivi contenuti non sembrano pertinenti.
Va, anzitutto, ribadito che la norma di riferimento in materia di revisione
dei prezzi è contenuta nel comma 1, lett. a) [21]
e non già nel comma 2 [22]
dell’art. 106 del D.Lgs. 50/2016.
Infatti, poiché il comma 2 esordisce disponendo che «I contratti possono
parimenti essere modificati, oltre a quanto previsto al comma 1, […]»
deve ritenersi che si tratti di evenienze diverse da quelle disciplinate in
precedenza.
D’altronde non appare verosimile che il legislatore, dopo aver espressamente
menzionato la revisione dei prezzi nell’ambito delle ipotesi regolamentate
al comma 1, appronti, al comma 2, una disciplina generale che possa
risultare applicabile [23]
al medesimo istituto.
La conferma del differente ambito oggettivo che i commi in argomento sono
destinati a disciplinare si rinviene nell’atto di segnalazione n. 4 del
13.02.2019 [24],
con il quale l’ANAC, dopo aver analizzato il comma 1 del predetto art. 106,
afferma che il successivo comma 2 «contempla una ulteriore modifica del
contratto».
Ciò posto si rileva che gli ulteriori richiami e le considerazioni contenuti
nel parere legale di cui trattasi riguardano la fase della scelta del
contraente, che va tenuta distinta dalla fase relativa alla conclusione ed
esecuzione del contratto, nell’ambito della quale si colloca l’istituto
della revisione dei prezzi.
Le disposizioni legislative ivi citate stabiliscono, infatti, parametri e
limiti da considerare ai fini della corretta individuazione dell’importo da
porre a base di gara (cosicché sarebbe precluso all’Ente tener conto di
futuri incrementi di costo, peraltro non quantificabili a priori) e della
valutazione di anomalia dell’offerta, la quale rileva, evidentemente, ai
soli fini dell’aggiudicazione della gara.
Ci si può dolere del fatto che il legislatore abbia approntato una serie di
tutele relative al costo del lavoro nell’ambito della fase di scelta del
contraente [25],
ma non anche in quella di esecuzione del contratto; ciò non consente,
tuttavia, all’interprete di porvi alcun rimedio.
Occorre, poi, considerare –qualora si dovesse invocare un intervento
normativo sul tema in discussione– che la disciplina di entrambe le fasi
risulta riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato,
rientrando la prima nella materia trasversale “tutela della concorrenza”
[26] e la seconda nella
materia “ordinamento civile” [27].
Quanto all’affermazione del legale secondo la quale “La stessa sentenza
del Consiglio di Stato, Sezione III, 05.11.2018, n. 6237, non pare vietare
una revisione prezzi fondata sulla modifica del contratto collettivo.”
si ritiene di dover dissentire, considerato che il Giudice sancisce che «il
nuovo CCNL non costituisce una circostanza eccezionale ed inoltre
[28] tale
contratto collettivo è stato stipulato […]». Appare, perciò, che il
Collegio abbia voluto statuire in via generale che l’approvazione di un
nuovo CCNL non rappresenta una circostanza eccezionale.
Non si ritiene condivisibile nemmeno l’opinione del legale in base alla
quale “un rinnovo contrattuale che interviene a distanza di molti anni da
quello precedente assume una certa connotazione di straordinarietà e
imprevedibilità” ritenendosi, al contrario, che il decorso del tempo,
rispetto ad un evento obbligatorio e necessario, renda sempre più probabile
il suo verificarsi a breve termine.
In conclusione, come già segnalato, spetterà comunque al Comune valutare di
volta in volta, mediante apposito procedimento, tutte le circostanze del
caso concreto, al fine di stabilire l’eventuale ricorrenza di evenienze
eccezionali (ossia impreviste ed imprevedibili), che possano essere ritenute
idonee a consentire il riconoscimento della revisione dei prezzi in misura
superiore all’indice FOI.
La presente nota viene trasmessa, per conoscenza, al Servizio politiche per
il terzo settore della Direzione centrale salute, politiche sociali e
disabilità, affinché esso possa esprimere eventuali ulteriori considerazioni
in ordine alla tematica trattata.
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[1] Il quale stabiliva che «Tutti i contratti ad esecuzione periodica o
continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di
revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una
istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e
servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e
comma 5.».
I dati ai quali faceva riferimento la disposizione erano costituiti dai
“costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura in relazione a
specifiche aree territoriali”, che avrebbero dovuto essere determinati
annualmente dall’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture, avvalendosi dei dati forniti dall’ISTAT e tenendo conto
dei parametri qualità-prezzo di cui alle convenzioni stipulate dalla CONSIP,
ai sensi dell’art. 26 della legge 23.12.1999, n. 488. A tal fine l’ISTAT
avrebbe dovuto curare la rilevazione e l’elaborazione dei prezzi di mercato
dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni aggiudicatrici,
provvedendo alla comparazione, su base statistica, tra questi ultimi e i
prezzi di mercato.
[2] Così P. Cartolano, Ius variandi nel d.lgs. n. 50/2016, reperibile in
www.mediappalti.it.
[3] Così il comma 3, lett. h-bis).
[4] Nemmeno nella vigenza delle precedenti disposizioni.
[5] Cfr., più recentemente, Consiglio di Stato, Sez. III, 09.01.2017, n. 25
e 25.03.2019, n. 1980.
[6] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III n. 25/2017, cit. e
05.11.2018, n. 6237.
[7] Il Consiglio di Stato precisa che la determinazione della revisione
prezzi viene effettuata, dalla stazione appaltante, all’esito di
un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni
e servizi secondo un modello procedimentale volto al compimento di
un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il
riconoscimento del compenso revisionale, che sottende l’esercizio di un
potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’amministrazione nei confronti
del privato contraente (cfr. Sez. III, 02.05.2019, n. 2841).
[8] Cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. III, 01.04.2016, n. 1309, n.
25/2017, cit., n. 1980/2019, cit.
[9] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1980/2019, cit. e n. 2841/2019,
cit.
[10] Si ritiene, infatti, condivisibile la posizione dell’Ente (desumibile
dal testo del quesito posto) circa l’inammissibilità di accogliere
integralmente la richiesta avanzata dalle cooperative sociali, stante la
parziale duplicazione di beneficio che essa comporterebbe.
[11] Nella fattispecie, l’aggiudicataria di un servizio di elisoccorso, a
conclusione del procedimento revisionale avviato ai sensi dell’art. 115 del
D.Lgs. 163/2006, si vedeva applicato l’indice FOI, altro e diverso parametro
statistico rispetto all’indice NIC – Trasporto Aereo Passeggeri (sottovoce
0733), inizialmente previsto per l’adeguamento dei prezzi.
La stazione appaltante, che aveva già accordato, per alcune annualità, il
compenso revisionale in base al predetto indice NIC, aveva poi provveduto a
riformare, in autotutela, le relative deliberazioni, rideterminando il
quantum della revisione in base all’indice FOI, in considerazione del
consolidato orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto. Il
Consiglio di Stato, richiamando la ratio dell’istituto e il predetto
orientamento, ha ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione.
[12] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1309/2016, cit.
[13] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1309/2016, cit.
[14] Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, cit.
[15] Precisamente il 30.07.2008.
[16] Avvenuta il 10.03.2008.
[17] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, cit.
[18] «Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di
validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste
dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti
di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere
modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:
[…]
e) se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del comma 4. […]».
[19] «Una modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo
della sua efficacia è considerata sostanziale ai sensi del comma 1, lettera
e), quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto
originariamente pattuiti. In ogni caso, fatti salvi i commi 1 e 2, una
modifica è considerata sostanziale se una o più delle seguenti condizioni
sono soddisfatte:
a) la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute
nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di
candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di
un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero
attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione;
b) la modifica cambia l’equilibrio economico del contratto o
dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel
contratto iniziale;
[…]».
[20] Fatta eccezione per la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. III, n.
6237/2018, da ultimo esaminata.
[21] In base alla quale è consentito modificare i contratti d’appalto
durante il periodo di efficacia se, a prescindere dal loro valore, le
modifiche sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole
chiare, precise e inequivocabili, «che possono comprendere clausole di
revisione dei prezzi».
[22] «I contratti possono parimenti essere modificati, oltre a quanto
previsto al comma 1, senza necessità di una nuova procedura a norma del
presente codice, se il valore della modifica è al di sotto di entrambi i
seguenti valori:
a) le soglie fissate all’articolo 35;
b) il 10 per cento del valore iniziale del contratto per i
contratti di servizi e forniture sia nei settori ordinari che speciali
ovvero il 15 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di
lavori sia nei settori ordinari che speciali. Tuttavia la modifica non può
alterare la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro. In caso
di più modifiche successive, il valore è accertato sulla base del valore
complessivo netto delle successive modifiche. Qualora la necessità di
modificare il contratto derivi da errori o da omissioni nel progetto
esecutivo, che pregiudicano in tutto o in parte la realizzazione dell’opera
o la sua utilizzazione, essa è consentita solo nei limiti quantitativi di
cui al presente comma, ferma restando la responsabilità dei progettisti
esterni.».
[23] Sempre che non venga alterata la natura complessiva del contratto.
[24] Concernente gli obblighi di comunicazione, pubblicità e controllo delle
modificazioni del contratto ai sensi dell’art. 106 del D.Lgs. 50/2016 e
approvato con delibera n. 112 del 13.02.2019.
[25] Non senza rilevare, peraltro, che l’art. 97, commi 5 e 6, del D.Lgs.
50/2016, disciplinando l’anomalia dell’offerta, stabilisce l’inderogabilità
unicamente dei “minimi salariali retributivi” o dei “trattamenti salariali
minimi”.
[26] V. l’art. 117, comma 2, lett. e), della Costituzione.
[27] V. l’art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione.
[28] Avverbio corrispondente a locuzioni quali: “per di più”, “oltre a ciò”,
“ulteriormente”, “come se non bastasse”, “in aggiunta” (30.04.2020
- link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
APPALTI: Il
CIG e la proroga tecnica.
Domanda
In sede di richiesta del CIG, ai fini del valore dell’appalto, è necessario
considerare la proroga tecnica di cui all’art. 106, co. 11, del codice,
oppure, data l’eccezionalità della fattispecie e la difficoltà nel
determinare il valore, può prescindersi dal computo?
Risposta
Secondo l’art. 106, co. 11, del d.lgs. 50/2016, “La durata del contratto
può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione
se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La
proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle
procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente. In tal
caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel
contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la
stazione appaltante”.
L’articolo disciplina la cd. proroga tecnica, ovvero uno spostamento in
avanti della scadenza contrattuale, esercitabile qualora prevista nei
documenti di gara al solo fine di garantire la continuità della prestazione
nelle more della selezione di un nuovo contraente. Dal che discende che
l’adozione della determinazione di proroga, da adottarsi prima della
scadenza del termine contrattuale, presupponga l’avvio di una procedura di
gara per la scelta di un nuovo aggiudicatario.
Con riferimento all’obbligatorietà di considerare l’importo della proroga
tecnica nel valore dell’appalto, occorre rifarsi alla posizione espressa da
ANAC.
In particolare nella Relazione AIR al bando tipo n. 1, alla proposta di
inserire il valore della proroga tecnica nella quantificazione dell’appalto,
è seguita una riposta negativa, motivata dalla circostanza che in base al
dato normativo la durata e l’importo, non sono né prevedibili, né
quantificabili alla data di pubblicazione del bando. Lasciando comunque la
possibilità alle stazioni appaltanti, ove lo ritengano possibile, di
procedere ad una stima di massima, che se determinata dovrà essere computata
ai fini delle soglie di cui all’art. 35 del codice.
Anche dalla lettura delle FAQ A46 e A31 di ANAC, sotto riportate, dove si
stabilisce di utilizzare lo stesso CIG per comunicare la parte maggiorata,
si ammette la possibilità di un aumento del valore contrattuale rispetto al
dato economico originariamente indicato in sede di acquisizione del CIG.
Ritornando al quesito si ritiene pertanto che non sia obbligatorio computare
la proroga tecnica ex art. 106, co. 11, del codice, quanto piuttosto una
scelta della stazione appaltante, qualora ritenga possibile (opportuno)
quantificare il valore della stessa (nella prassi di molte amministrazioni
stimato in un semestre).
---------------
FAQ ANAC A.46. Quali sono le corrette modalità di
adempimento degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari e
contributivi e informativi verso l’Autorità in caso di proroga c.d.
“tecnica”?
In caso di proroga c.d. “tecnica” del contratto, esercitabile nei
casi previsti dallo stesso (molto ristretti) la comunicazione dei dati deve
avvenire proseguendo con lo stesso CIG. Le schede così comunicate metteranno
in luce tramite il conto finale della scheda di “collaudo/regolare
esecuzione” la parte maggiorata rispetto all’importo di aggiudicazione.
Ai fini della tracciabilità, quindi, resta valido il CIG originario.
Proseguendo le comunicazioni con lo stesso CIG non scattano ulteriori oneri
contributivi rispetto a quelli già sostenuti in fase di bando e offerta.
FAQ ANAC A31. Nel caso di proroga (cosiddetta tecnica)
del contratto deve essere richiesto un nuovo codice CIG?
Non è prevista la richiesta di un nuovo codice CIG nei casi di proroga del
contratto ai sensi dell’art. 106, comma 11, del Codice dei contratti
pubblici, concessa per garantire la prosecuzione delle prestazioni nelle
more dell’espletamento delle procedure necessarie per l’individuazione di un
nuovo soggetto affidatario (29.04.2020
- link a www.publika.it). |
APPALTI: Nozione
di grave illecito professionale ai fini
della esclusione da una gara di appalto e
rapporto con il procedimento penale.
L’art. 80, comma 5, lett. c), del d.l.vo
2016 n. 50, nella versione risultante dalla
novella –applicabile al caso di specie ratione temporis– introdotta dall’art. 5,
comma 1, del D.L. 14.12.2018, n. 135,
convertito, con modificazioni, dalla L. 11.02.2019, n. 12, dispone che “Le
stazioni appaltanti escludono dalla
partecipazione alla procedura d’appalto un
operatore economico in una delle seguenti
situazioni, anche riferita a un suo
subappaltatore nei casi di cui all'articolo
105, comma 6, qualora: … c) la stazione
appaltante dimostri con mezzi adeguati che
l’operatore economico si è reso colpevole di
gravi illeciti professionali, tali da
rendere dubbia la sua integrità o
affidabilità”.
In ordine alle condizioni necessarie per
configurare un grave errore professionale e
all’interpretazione, quindi, della norma
citata, il Tribunale osserva quanto segue.
La ratio dell’art. 80,
comma 5, lett. c), dlgs 50/2016 risiede
“nell'esigenza di assicurare l'affidabilità
di chi si propone quale contraente,
requisito che si ritiene effettivamente
garantito solo se si allarga il panorama
delle informazioni, comprendendo anche le
evenienze patologiche contestate da altri
committenti...”.
La norma tende a consentire alla stazione
appaltante un’adeguata e ponderata
valutazione sull’affidabilità e
sull’integrità dell’operatore economico,
tanto che sono posti a carico di quest’ultimo
i c.d. obblighi informativi: l’operatore è
tenuto a fornire una rappresentazione quanto
più dettagliata possibile delle proprie
pregresse vicende professionali in cui, per
varie ragioni, “gli è stata contestata una
condotta contraria a norma” o, comunque, si
è verificata la rottura del rapporto di
fiducia con altre stazioni appaltanti.
L’ampiezza della formulazione, sia della
norma nazionale, sia dell’art. 57, comma 4,
lett. c), della direttiva 2014/24, conduce a ricomprendere nella nozione di “grave
illecito professionale” -ferma restando la
necessaria valutazione discrezionale della
stazione appaltante- ogni condotta,
collegata all’esercizio dell’attività
professionale, contraria ad un dovere posto
da una norma giuridica sia essa di natura
civile, penale o amministrativa.
La norma non reca una tassativa elencazione
di ipotesi di grave errore professionale,
sicché la stazione appaltante può addivenire
all’esclusione dell’operatore economico, al
di fuori di ogni tipizzazione normativa,
ogni qual volta evidenzi, in esercizio della
discrezionalità di cui dispone nella materia
in esame, la riferibilità all’operatore di
situazioni contrarie ad un obbligo giuridico
di carattere civile, penale ed
amministrativo, ritenute tali da rendere
dubbia l’integrità o l’affidabilità del
concorrente.
Insomma, le citate disposizioni non
contemplano un numero chiuso di “gravi
illeciti professionali”, ma una serie
aperta, cui deve essere data concretezza, di
volta in volta, dalla stazione appaltante in
esercizio della discrezionalità di cui
dispone.
---------------
La giurisprudenza ha già precisato che
l’art. 80, comma 5, lett. c), del d.l.vo
2016 n. 50 ha dilatato il potere valutativo
discrezionale delle amministrazioni
aggiudicatrici in tema di esclusione dei
concorrenti, correlandone l’esercizio ad un
“concetto giuridico indeterminato”, sicché
spetta alle stazioni appaltanti declinare,
caso per caso, la condotta dell’operatore
economico “colpevole di gravi illeciti
professionali” , fermo restando che, quando
la stazione appaltante esclude un operatore
economico, perché considerato colpevole di
un grave illecito professionale, deve
adeguatamente motivare l’esercizio di
siffatta discrezionalità.
Quanto ai fatti oggetto di un procedimento
penale, deve riconoscersi alla stazione
appaltante la facoltà di escludere un
concorrente per ritenuti “gravi illeciti
professionali”, a prescindere dalla
definitività degli accertamenti compiuti in
sede penale, ferma restando la necessità che
l’esclusione sottenda un’adeguata
istruttoria e una congrua motivazione.
Va ribadito che qualsiasi condotta, di cui
venga contestata dall’Autorità la
contrarietà alla legge e collegata
all’esercizio dell’attività professionale, è
di per sé potenzialmente idonea ad incidere
sul processo decisionale rimesso alle
stazioni appaltanti sull’accreditamento dei
concorrenti come operatori complessivamente
affidabili, a prescindere dall’esito
dell’eventuale procedimento penale
instaurato.
Corrispondentemente, la pendenza di un
procedimento penale o la rilevanza penale
dei fatti contestati dalla stazione
appaltante non conducono ad un’espulsione
automatica, ma ad una doverosa valutazione
della loro incidenza sulla professionalità
dell’operatore economico, valutazione che,
con adeguata motivazione, deve dare conto
delle ragioni dell’eventuale esclusione
disposta.
----------------
Analoga considerazione deve essere svolta in
relazione alla mancanza di un rinvio a
giudizio.
La questione rilevante non è tanto
l’avvenuta applicazione di una misura penale
a carico della società o del suo legale
rappresentante, quanto la configurabilità di
una condotta espressiva di un grave errore
professionale.
Certo, la giurisprudenza, volta a volta, ha
riconosciuto la legittimità del
provvedimento di esclusione per grave
illecito professionale ex art. 80, comma 5,
lett. c), del D.Lgs. n. 50/2016 e la
conseguente revoca dell’aggiudicazione,
assunti in conseguenza dell’emissione di
un’ordinanza cautelare applicativa di misura
coercitiva degli arresti domiciliari, ovvero
la legittimità dell’esclusione
dell’operatore per grave illecito
professionale, disposta in ragione delle
circostanze emerse dall'avviso di
conclusione delle indagini.
Nondimeno, ciò non significa che ai fini
della valutazione dell’esistenza di un grave
errore professionale, correlato a fatti di
rilevanza penale, sia necessaria la previa
adozione di una misura penale a carico del
rappresentante legale della società
interessata, ovvero la disposizione nei suoi
confronti del rinvio a giudizio.
Rileva, piuttosto, che i fatti presi in
considerazione dalla stazione appaltante,
quand’anche di rilevanza penale, siano
espressivi di un grave errore professionale.
La fonte di innesco del potere valutativo
della stazione appaltante può sicuramente
essere un provvedimento del giudice penale,
per i fatti che in esso sono riferiti, ma
ciò non postula che sia stata applicata una
misura penale, di qualunque tipo, nei
confronti del rappresentante legale della
società interessata..
---------------
Come è noto, l’impresa che partecipa ad una
gara deve osservare una diligenza
qualificata, ex art. 1176, comma 2, c.c.,
poiché la partecipazione ad una procedura ad
evidenza pubblica è espressione
dell’attività economica svolta in modo
professionale.
Il professionista deve commisurare la
propria condotta non al criterio generale
della diligenza del buon padre di famiglia,
ma a quello della diligenza professionale
media esigibile, ai sensi dell’art. 1176,
secondo comma, c.c., quale modello astratto di
condotta che si estrinseca, tanto se
l’interessato è un professionista, quanto se
è un imprenditore, nell’adeguato sforzo
tecnico, con impiego delle energie e dei
mezzi normalmente ed obiettivamente
necessari od utili, in relazione alla natura
dell’attività esercitata, volto
all’adempimento della prestazione dovuta ed
al soddisfacimento dell’interesse della
controparte, nonché ad evitare possibili
eventi dannosi.
Va ribadito che, per costante
giurisprudenza, la diligenza “si specifica
nei profili della cura, della cautela, della
perizia e della legalità” e deve valutarsi
in concreto avuto riguardo alla natura
dell’attività esercitata e alle circostanze
concrete del caso, in coerenza con il
richiamato art. 1176, comma 2, c.c..
Il grave errore, rilevante ex art. 80, comma
5, lett. c), attiene a vicende professionali
in cui, per varie ragioni, è stata
contestata all’operatore “una condotta
contraria a norma” o, comunque, si è
verificata “la rottura del rapporto di
fiducia con altre stazioni appaltanti”.
Si è già evidenziato che l’ampiezza della
formulazione, sia della norma nazionale, sia
dell’art. 57, comma 4, lett. c), della
direttiva 2014/24, conduce a ricomprendere
nella nozione di “grave illecito
professionale” ogni condotta, collegata
all’esercizio dell’attività professionale,
contraria ad un dovere posto da una norma
giuridica sia essa di natura civile, penale
o amministrativa.
E in tale concetto è sicuramente sussumibile
la condotta del rappresentante legale, che
in sede di partecipazione ad una gara, si
accorda con altri operatori per la
spartizione dei lotti da assegnare, così da
vanificare la funzione della procedura ad
evidenza pubblica.
Si tratta di una condotta non solo
diametralmente opposta al dovere di buona
fede, che informa l’azione degli operatori
che partecipano ad una gara, ma, prima
ancora, palesemente contraria ai parametri
della diligenza qualificata che connotano
l’attività di un operatore professionale.
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SENTENZA
Le censure non possono essere condivise.
3.1) L’art. 80, comma 5, lett. c), del d.l.vo
2016 n. 50, nella versione risultante dalla
novella –applicabile al caso di specie ratione temporis– introdotta dall’art. 5,
comma 1, del D.L. 14.12.2018, n. 135,
convertito, con modificazioni, dalla L. 11.02.2019, n. 12, dispone che “Le
stazioni appaltanti escludono dalla
partecipazione alla procedura d’appalto un
operatore economico in una delle seguenti
situazioni, anche riferita a un suo
subappaltatore nei casi di cui all'articolo
105, comma 6, qualora: … c) la stazione
appaltante dimostri con mezzi adeguati che
l’operatore economico si è reso colpevole di
gravi illeciti professionali, tali da
rendere dubbia la sua integrità o
affidabilità”.
In ordine alle condizioni necessarie per
configurare un grave errore professionale e
all’interpretazione, quindi, della norma
citata, il Tribunale osserva quanto segue.
L’art. 80, comma 5, lett. c), trova diretta
corrispondenza nell’art. 57, comma 4, lett.
c), della direttiva 2014/24, che consente
alle stazioni appaltanti di escludere i
partecipanti che abbiano commesso “gravi
illeciti professionali”, riconoscendo così
un ampio potere valutativo alle
amministrazioni aggiudicatrici.
A ben vedere, la norma si pone in continuità
con l’art. 38, comma 1, lett. f), del d.l.vo
n. 163 del 2006, il quale prevedeva la non
ammissione alle procedure di affidamento
delle concessione e degli appalti di lavori,
forniture e servizi, ovvero inibiva
l’affidamento di subappalti o ancora la
stipulazione dei relativi contratti per
coloro che “secondo motivata valutazione
della stazione appaltante … hanno commesso
un errore grave nell’esercizio della loro
attività professionale, accertato con
qualsiasi mezzo da parte della stazione
appaltante”, con la precisazione che, anche
in tal caso, la norma costituiva attuazione
della disciplina eurounitaria, atteso che
l’art. 45, comma 2, lettera d), della
direttiva 2004/18/CE, del 31.03.2004, pur
rimettendo agli Stati membri la definizione
delle condizioni di applicazione, consentiva
l’esclusione dalla partecipazione
all’appalto di “...ogni operatore
economico...che, nell’esercizio della
propria attività professionale, abbia
commesso un errore grave, accertato con
qualsiasi mezzo di prova
dall'amministrazione aggiudicatrice”.
Vale evidenziare che la Corte di Giustizia
dell’Unione Europea (sentenza n. 470, del 18.12.2014) ha puntualizzato che la
nozione di “errore nell’esercizio
dell’attività professionale” attiene a “...
qualsiasi comportamento scorretto che incida
sulla credibilità professionale
dell’operatore e non soltanto le violazioni
delle norme di deontologia in senso stretto
della professione cui appartiene tale
operato”.
Ecco, allora, che la ratio dell’art. 80,
comma 5, lett. c), cit. risiede
“nell'esigenza di assicurare l'affidabilità
di chi si propone quale contraente,
requisito che si ritiene effettivamente
garantito solo se si allarga il panorama
delle informazioni, comprendendo anche le
evenienze patologiche contestate da altri
committenti...” (così già: Consiglio di
Stato, Sez. V, 11.04.2016, n. 1412).
La norma tende a consentire alla stazione
appaltante un’adeguata e ponderata
valutazione sull’affidabilità e
sull’integrità dell’operatore economico,
tanto che sono posti a carico di quest’ultimo
i c.d. obblighi informativi: l’operatore è
tenuto a fornire una rappresentazione quanto
più dettagliata possibile delle proprie
pregresse vicende professionali in cui, per
varie ragioni, “gli è stata contestata una
condotta contraria a norma” o, comunque, si
è verificata la rottura del rapporto di
fiducia con altre stazioni appaltanti (cfr.
Consiglio di Stato sez. V, 12.04.2019,
n. 2407; Consiglio di Stato, sez. V, 04.02.2019, n. 827; Id., 16.11.2018, n. 6461; Id., 24.09.2018, n.
5500; Id., 03.09.2018, n. 5142; Id.,
17.07.2017, n. 3493; Id., 05.07.2017,
n. 3288; Id., 22.10.2015, n. 4870).
L’ampiezza della formulazione, sia della
norma nazionale, sia dell’art. 57, comma 4,
lett. c), della direttiva 2014/24, conduce a ricomprendere nella nozione di “grave
illecito professionale” -ferma restando la
necessaria valutazione discrezionale della
stazione appaltante- ogni condotta,
collegata all’esercizio dell’attività
professionale, contraria ad un dovere posto
da una norma giuridica sia essa di natura
civile, penale o amministrativa (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V, 24.01.2019,
n. 591; Consiglio di Stato, sez. III, n.
4192/17 e Id. n. 7231/2018).
La norma non reca una tassativa elencazione
di ipotesi di grave errore professionale,
sicché la stazione appaltante può addivenire
all’esclusione dell’operatore economico, al
di fuori di ogni tipizzazione normativa,
ogni qual volta evidenzi, in esercizio della
discrezionalità di cui dispone nella materia
in esame, la riferibilità all’operatore di
situazioni contrarie ad un obbligo giuridico
di carattere civile, penale ed
amministrativo, ritenute tali da rendere
dubbia l’integrità o l’affidabilità del
concorrente (cfr. in argomento Consiglio di
Stato, sez. V, 24.01.2019, n. 591;
Consiglio di Stato, sez. III, 27.12.2018, n. 7231 e Id., sez. V,
03.09.2018, n. 5136).
Insomma, le citate disposizioni non
contemplano un numero chiuso di “gravi
illeciti professionali”, ma una serie
aperta, cui deve essere data concretezza, di
volta in volta, dalla stazione appaltante in
esercizio della discrezionalità di cui
dispone.
La giurisprudenza, cui aderisce il Tribunale
(cfr. Tar Lombardia Milano, sez. I, 24.07.2019, n. 1729), ha già precisato che
l’art. 80, comma 5, lett. c), del d.l.vo 2016
n. 50 ha dilatato il potere valutativo
discrezionale delle amministrazioni
aggiudicatrici in tema di esclusione dei
concorrenti, correlandone l’esercizio ad un
“concetto giuridico indeterminato”, sicché
spetta alle stazioni appaltanti declinare,
caso per caso, la condotta dell’operatore
economico “colpevole di gravi illeciti
professionali” (cfr. sul punto, Consiglio di
Stato, sez. III, 23.11.2017, n. 5467),
fermo restando che, quando la stazione
appaltante esclude un operatore economico,
perché considerato colpevole di un grave
illecito professionale, deve adeguatamente
motivare l’esercizio di siffatta
discrezionalità (cfr. Consiglio di Stato,
Sez. V, 02.03.2018, n. 1299).
Quanto ai fatti oggetto di un procedimento
penale, deve riconoscersi alla stazione
appaltante la facoltà di escludere un
concorrente per ritenuti “gravi illeciti
professionali”, a prescindere dalla definitività degli accertamenti compiuti in
sede penale, ferma restando la necessità che
l’esclusione sottenda un’adeguata
istruttoria e una congrua motivazione.
Va ribadito che qualsiasi condotta, di cui
venga contestata dall’Autorità la
contrarietà alla legge e collegata
all’esercizio dell’attività professionale, è
di per sé potenzialmente idonea ad incidere
sul processo decisionale rimesso alle
stazioni appaltanti sull’accreditamento dei
concorrenti come operatori complessivamente
affidabili (cfr. così Consiglio di Stato,
Sez. III, 29.11.2018, n. 6787), a
prescindere dall’esito dell’eventuale
procedimento penale instaurato.
Corrispondentemente, la pendenza di un
procedimento penale o la rilevanza penale
dei fatti contestati dalla stazione
appaltante non conducono ad un’espulsione
automatica, ma ad una doverosa valutazione
della loro incidenza sulla professionalità
dell’operatore economico, valutazione che,
con adeguata motivazione, deve dare conto
delle ragioni dell’eventuale esclusione
disposta (cfr. in argomento, Consiglio di
Stato, sez. V, 03.09.2018, n. 5142).
Ecco, allora, con riferimento al caso di
specie, che la circostanza che l’ordinanza
applicativa di misure cautelari personali
emessa, in data -OMISSIS-, dal Gip presso il
Tribunale di Milano, n. -OMISSIS- r.g.n.r. e
n. -OMISSIS- r.g.g.i.p, non abbia disposto
misure a carico del rappresentante legale di
-OMISSIS- srl, pur a fronte della richiesta
avanzata dal pubblico ministero, integra un
dato neutro ai fini della valutazione della
legittimità del provvedimento impugnato.
Analoga considerazione deve essere svolta in
relazione alla mancanza di un rinvio a
giudizio a carico di -OMISSIS-, almeno con
riferimento al tempo di adozione del
provvedimento gravato.
La questione rilevante non è tanto
l’avvenuta applicazione di una misura penale
a carico della società o del suo legale
rappresentante, quanto la configurabilità di
una condotta espressiva di un grave errore
professionale.
Certo, la giurisprudenza, volta a volta, ha
riconosciuto la legittimità del
provvedimento di esclusione per grave
illecito professionale ex art. 80, comma 5,
lett. c), del D.Lgs. n. 50/2016 e la
conseguente revoca dell’aggiudicazione,
assunti in conseguenza dell’emissione di
un’ordinanza cautelare applicativa di misura
coercitiva degli arresti domiciliari (cfr.
Consiglio di Stato n. 1367 del 27.02.2019),
ovvero la legittimità dell’esclusione
dell’operatore per grave illecito
professionale, disposta in ragione delle
circostanze emerse dall'avviso di
conclusione delle indagini (cfr. Consiglio
di Stato, n. 1846 del 20.03.2019).
Nondimeno, ciò non significa che ai fini
della valutazione dell’esistenza di un grave
errore professionale, correlato a fatti di
rilevanza penale, sia necessaria la previa
adozione di una misura penale a carico del
rappresentante legale della società
interessata, ovvero la disposizione nei suoi
confronti del rinvio a giudizio.
Rileva, piuttosto, che i fatti presi in
considerazione dalla stazione appaltante,
quand’anche di rilevanza penale, siano
espressivi di un grave errore professionale.
La fonte di innesco del potere valutativo
della stazione appaltante può sicuramente
essere un provvedimento del giudice penale,
per i fatti che in esso sono riferiti, ma
ciò non postula che sia stata applicata una
misura penale, di qualunque tipo, nei
confronti del rappresentante legale della
società interessata.
...
Né è dubitabile che l’attività contestata a
-OMISSIS-, in qualità di amministratore,
rappresentante e socio di -OMISSIS- integri
un grave errore professionale.
Come è noto, l’impresa che partecipa ad una
gara deve osservare una diligenza
qualificata, ex art. 1176, comma 2, c.c.,
poiché la partecipazione ad una procedura ad
evidenza pubblica è espressione
dell’attività economica svolta in modo
professionale.
Il professionista deve commisurare la
propria condotta non al criterio generale
della diligenza del buon padre di famiglia,
ma a quello della diligenza professionale
media esigibile, ai sensi dell’art. 1176,
secondo comma, c.c., (cfr. tra le tante,
Cassazione civile, sez. III, 10.06.2016,
n. 11906), quale modello astratto di
condotta che si estrinseca, tanto se
l’interessato è un professionista, quanto se
è un imprenditore, nell’adeguato sforzo
tecnico, con impiego delle energie e dei
mezzi normalmente ed obiettivamente
necessari od utili, in relazione alla natura
dell’attività esercitata, volto
all’adempimento della prestazione dovuta ed
al soddisfacimento dell’interesse della
controparte, nonché ad evitare possibili
eventi dannosi.
Va ribadito che, per costante
giurisprudenza, la diligenza “si specifica
nei profili della cura, della cautela, della
perizia e della legalità” (cfr. Cassazione
civile, 31.05.2006, n. 12995) e deve
valutarsi in concreto avuto riguardo alla
natura dell’attività esercitata e alle
circostanze concrete del caso, in coerenza
con il richiamato art. 1176, comma 2, c.c. (cfr.
per tutte, Cassazione civile, sez. III, 15.06.2018, n. 15732).
Il grave errore, rilevante ex art. 80, comma
5, lett. c), attiene a vicende professionali
in cui, per varie ragioni, è stata
contestata all’operatore “una condotta
contraria a norma” o, comunque, si è
verificata “la rottura del rapporto di
fiducia con altre stazioni appaltanti” (cfr.
tra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, 12.04.2019, n. 2407).
Si è già evidenziato che l’ampiezza della
formulazione, sia della norma nazionale, sia
dell’art. 57, comma 4, lett. c), della
direttiva 2014/24, conduce a ricomprendere
nella nozione di “grave illecito
professionale” ogni condotta, collegata
all’esercizio dell’attività professionale,
contraria ad un dovere posto da una norma
giuridica sia essa di natura civile, penale
o amministrativa (cfr. Consiglio di Stato
sez. V, 24.01.2019, n. 591; Consiglio
di Stato, III, n. 4192/2017 e Id. n.
7231/2018).
E in tale concetto è sicuramente sussumibile
la condotta del rappresentante legale, che
in sede di partecipazione ad una gara, si
accorda con altri operatori per la
spartizione dei lotti da assegnare, così da
vanificare la funzione della procedura ad
evidenza pubblica.
Si tratta di una condotta non solo
diametralmente opposta al dovere di buona
fede, che informa l’azione degli operatori
che partecipano ad una gara, ma, prima
ancora, palesemente contraria ai parametri
della diligenza qualificata che connotano
l’attività di un operatore professionale.
Insomma, al di là dei profili penali della
vicenda, i fatti contestati integrano la
reiterata violazione di puntuali doveri
stabiliti dall’ordinamento, violazione
commessa nell’esercizio dell’attività
professionale.
L’amministrazione ha fondato l’esclusione su
fatti precisi, supportati sul piano
istruttorio, di oggettiva gravità, tali da
incidere sulla moralità professionale e
sull’affidabilità dell’operatore economico
quale controparte contrattuale.
Ecco, allora, che il provvedimento di
esclusione, oltre a recare una puntuale
motivazione e una dettagliata indicazione
delle risultanze istruttorie, sviluppa un
giudizio del tutto aderente al quadro
normativo e giurisprudenziale di riferimento
quanto alla riconducibilità delle condotte
contestate ad un grave errore professionale.
Va, pertanto, ribadito che anche le censure
in esame sono destituite di fondamento
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 27.04.2020 n. 701 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Applicazione
del principio di rotazione agli appalti sotto soglia con procedura aperta
svolta sulla piattaforma SINTEL.
---------------
Contratti della Pubblica amministrazione – Rotazione – Appalti sotto
soglia – Procedura aperta - Svolta sulla piattaforma SINTEL –
Inapplicabilità.
Il principio di rotazione, previsto dall’art. 36,
comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, non si applica agli appalti sottosoglia con
procedura aperta svolta sulla piattaforma SINTEL (1).
---------------
1) La sentenza ha
ricordato quanto previsto anche dalle Linee guida ANAC n. 4 [nella versione
adottata con Delib. 01.03.2018, n. 206 (punto 3.6)], in ragione della natura
aperta della procedura per cui è causa: “Il fondamento del principio di
rotazione è individuato tradizionalmente nell’esigenza di evitare il
consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui
posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle informazioni acquisite
durante il pregresso affidamento), in particolare nei mercati in cui il
numero di agenti economici attivi non è elevato.
Peraltro, così come delineato dal richiamato art. 36, detto principio
costituisce per gli appalti di lavori, servizi e forniture sotto soglia il
necessario contrappeso alla significativa discrezionalità riconosciuta
all’amministrazione nell’individuare gli operatori economici in favore dei
quali disporre l’affidamento (nell’ipotesi di affidamento diretto) o ai
quali rivolgere l’invito a presentare le proprie offerte (nel caso di
procedura negoziata), in considerazione dell’eccentricità di tali modalità
di selezione dei contraenti rispetto ai generali principi del favor
partecipationis e della concorrenza. (…) detto principio non trova
applicazione ove la stazione appaltante non effettui né un affidamento
(diretto) né un invito (selettivo) degli operatori economici che possono
presentare le loro offerte, ma la possibilità di contrarre con
l’amministrazione sia aperta a tutti gli operatori economici appartenenti ad
una determinata categoria merceologica”.
Nella specie la stazione appaltante ha invitato tutti i soggetti che avevano
manifestato il loro interesse, senza esclusioni o vincoli in ordine al
numero massimo di operatori ammessi alla procedura. Gli operatori economici
erano unicamente tenuti ad effettuare l’accesso e l’iscrizione alla
piattaforma telematica Sintel, che non prevedono alcuna istruttoria o a
selezione da parte dell’amministrazione.
Ha ancora ricordato la sentenza che un eventuale precedente affidamento non
ha carattere assolutamente preclusivo rispetto alla partecipazione dei
precedenti affidatari alla procedura, se la procedura è aperta, ovvero se,
in caso di diversa procedura, la stazione appaltante motiva le ragioni
dell’invio anche a costoro.
In questa seconda ipotesi l’obbligo di motivazione che incombe sulla
stazione appaltante concerne il fatto oggettivo del precedente affidamento
impedisce alla stazione appaltante di invitare il gestore uscente, salvo che
essa dia adeguata motivazione delle ragioni che hanno indotto, in deroga al
principio generale di rotazione, a rivolgere l'invito anche all'operatore
uscente e non già la partecipazione del precedente gestore ad una procedura
aperta, bensì l’invito del medesimo ad una procedura ristretta (Cons.
St., sez. V, 30.03.2020, n. 2182)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 25.04.2020 n. 2654 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Interdittiva
antimafia basata soltanto rapporti di parentela.
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Informativa antimafia – Presupposti – Vicinanza di soggetto immune a
pregiudizi penali con ambienti mafiosi – Sufficienza.
Possono fondare i rapporti di interdittiva antimafia
anche i soli rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da
far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa,
nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica” (1).
----------------
(1) La Sezione ha chiarito che la giurisprudenza consolidata della
Sezione (07.02.2018,
n. 820) in materia di interdittiva antimafia basata sui soli
rapporti di parentela è stata da ultimo avvalorata dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 57 del 26.03.2020 che, sebbene abbia pronunciato con
specifico riferimento alla comunicazione antimafia interdittiva che impinge
sull’esercizio di una attività imprenditoriale puramente privatistica, ha
ribadito le linee fondanti di tale misura preventiva.
In particolare, in detta occasione il giudice delle leggi è stato chiamato
ad esaminare la conformità dell’art. 89-bis (e in via conseguenziale
dell’art. 92, commi 3 e 4), d.lgs. 06.09.2011, n. 159 per violazione degli
artt. 3 e 41 Cost. perché priverebbe un soggetto del diritto, sancito
dall’art. 41 Cost., di esercitare l’iniziativa economica, ponendolo nella
stessa situazione di colui che risulti destinatario di una misura di
prevenzione personale applicata con provvedimento definitivo.
Nel respingere la questione di legittimità costituzionale la Corte
–prendendo le mosse da una analisi della giurisprudenza di questa Sezione-
ha affermato che il fenomeno mafioso rappresenta un quadro preoccupante non
solo per le dimensioni ma anche per le caratteristiche del fenomeno, e in
particolare –e in primo luogo− per la sua pericolosità (rilevata anche da
questa Corte: sentenza n. 4 del 2018). Difatti la forza intimidatoria del
vincolo associativo e la mole ingente di capitali provenienti da attività
illecite sono inevitabilmente destinate a tradursi in atti e comportamenti
che inquinano e falsano il libero e naturale sviluppo dell’attività
economica nei settori infiltrati, con grave vulnus, non solo per la
concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana.
Le modalità, poi, di tale azione criminale non sono meno specifiche, perché
esse manifestano una grande “adattabilità alle circostanze”: variano,
cioè, in relazione alle situazioni e alle problematiche locali, nonché alle
modalità di penetrazione, e mutano in funzione delle stesse.
Ha aggiunto la Corte costituzionale che quello che si chiede alle autorità
amministrative non è di colpire pratiche e comportamenti direttamente lesivi
degli interessi e dei valori prima ricordati, compito naturale dell’autorità
giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio
del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la
individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di
intervento.
È in questa prospettiva anticipatoria della difesa della legalità che si
colloca il provvedimento di informativa antimafia al quale, infatti, è
riconosciuta dalla giurisprudenza natura “cautelare e preventiva” (Cons.
Stato, A.P., 06.04.2018, n. 3), comportando un giudizio prognostico circa
probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa.
La Corte costituzionale ha quindi fatto riferimento alle situazioni
indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative,
costruendo un sistema di tassatività sostanziale, individuate da questa
Sezione. Tra queste:
- i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;
- le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure
emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando
la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della
contaminazione mafiosa;
- la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle
misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011;
- i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da
far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva”
dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”;
- i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza,
colleganza, amicizia;
- le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella
sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di
strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura,
antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo
a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione
mafiosa;
- la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i
relativi “benefici”;
- l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in
assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.
Proprio con riferimento ai rapporti di parentela tra titolari, soci,
amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano
soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose la Sezione
(07.02.2018,
n. 820) aveva chiarito
che l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la
sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere,
per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una
conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla
quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla
sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia
attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto
con il proprio congiunto.
Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno
della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di
comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di
copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza
può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in
contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia
anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la
complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si
articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’,
sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia
attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del
‘capofamiglia’ e dell’associazione.
Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente
esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi
economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato
luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben
potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza
–su un’area più o meno estesa– del controllo di una ‘famiglia’ e del
sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 24.04.2020 n. 2651 -
commento tratto da e ink a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Interesse
alla rinnovazione della gara di appalto.
Il TAR Milano, con
riferimento all’interesse alla rinnovazione
della gara di appalto, richiama:
«il pacifico insegnamento per cui la
verifica positiva della sussistenza
dell’interesse all’impugnativa comporta che
l’effettiva utilitas per il ricorrente,
riveniente dall’invocato annullamento degli
atti gravati, possa essere identificata non
solo nel conseguimento dell’aggiudicazione
dell’appalto pubblico, ma anche nella mera
rinnovazione della gara; di talché non
sussiste in capo al ricorrente deducente
l’onere di fornire alcuna prova di
resistenza quando le censure proposte sono
dirette ad ottenere l’annullamento
dell’intera procedura; “ciò è tanto più vero
nell’ipotesi in cui oggetto di censura sono
le stesse regole fondamentali poste a
fondamento della valutazione delle offerte,
sulla cui base si è svolta la selezione, e
le dette regole siano state il frutto di
procedure errate e scarsamente intelligibili
che abbiano minato l’intero esito del
confronto competitivo. L’utilitas –che in
ipotesi siffatte la parte ricorrente in
giudizio può ritrarre– è quella della
rinnovazione della gara, interesse
strumentale che la Corte di Giustizia UE
riconosce, nelle controversie relative
all’aggiudicazione di appalti pubblici, come
meritevole di tutela per esigenze di
effettività”.
Del resto si è riconosciuto sussistente
l’interesse a ricorrere del soggetto che:
- originariamente escluso dall’Amministrazione, con provvedimento
ritenuto legittimo dal Giudice escluso,
faccia valere con motivi aggiunti la mancata
esclusione della ditta aggiudicataria, al
fine di ottenere la riedizione della gara;
- esperendo ricorso principale avverso l’aggiudicazione al terzo,
sia stato destinatario di un ricorso
incidentale “escludente” positivamente
scrutinato dal Giudice; in tal caso, e a
prescindere dai concorrenti rimasti in gara
e utilmente collocati in graduatoria,
l’offerente “deve vedersi riconoscere un
legittimo interesse all’esclusione
dell’offerta dell’aggiudicatario” in quanto
“non si può escludere che, anche se la sua
offerta fosse giudicata irregolare,
l’amministrazione aggiudicatrice sia indotta
a constatare l’impossibilità di scegliere
un’altra offerta regolare e proceda di
conseguenza all’organizzazione di una nuova
procedura di gara”.
Di talché:
- se è stato reputato meritevole di tutela con la possibilità di
accesso al Giudice (art. 47 Carta di Nizza)
-all’uopo recedendo il pur fondamentale
principio di autonomia processuale degli
Stati membri- l’interesse alla riedizione
della procedura, ancorché soltanto
potenziale ed eventuale; di qui l’obbligo di
procedere alla disamina:
i) dei motivi aggiunti esperiti dal
partecipante escluso avverso
l’aggiudicazione al terzo, anche in caso di
reiezione del ricorso principale avverso
l’esclusione;
ii) dei ricorsi intesi alla reciproca
esclusione “quali che siano i numeri dei
partecipanti alla procedura di
aggiudicazione dell’appalto e il numero di
quelli che hanno presentato ricorso”;
- a fortiori la idoneità di un tale interesse strumentale non mai
può essere disconosciuta nella ipotesi
–quale quella che ci occupa- ove la
riedizione della procedura della gara, lungi
dall’essere aleatoria e potenziale, si
atteggia di contro quale conseguenza
necessitata dell’invocato dictum giudiziale
di annullamento»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 24.04.2020 n. 685 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
2.11. Evanescente, di poi, si appalesa la
ulteriore eccezione di inammissibilità, pel
tramite della quale le resistenti –che pure,
con la prima obiezione di rito, insistono
per la immediata attitudine lesiva delle
previsioni di gara de quibus-
allegano, di contro ed in una prospettiva
tutt’affatto antitetica (e fors’anche
inconciliabile con la immediatamente
pregressa linea defensionale) la
inammissibilità del ricorso per carenza di
interesse, stante la inesistenza di un
effettivo vulnus per la sfera della
ricorrente causalmente riconducibile alle
contestate previsioni concorsuali.
2.11.1. E, invero:
- la lesione alla sfera giuridica della ricorrente riviene dal
provvedimento di aggiudicazione dell’appalto
al RTI controinteressato;
- è tale incontestabile nocumento, che depriva la ricorrente del
bene della vita agognato, ad inverare e
rendere attuale l’interesse alla rimozione
dei vizi di legittimità quodammodo
inficianti la procedura;
- se i vizi lamentati afferiscono “atomisticamente” al
segmento finale della procedura e alla
posizione di altri concorrenti –“vincitore”
della gara ovvero altri partecipanti posti
in posizione migliore nella graduatoria- è
evidente che l’interesse che sorreggere la
domanda giudiziale è quello volto al
conseguimento della commessa (interesse
finale); di qui l’onere di allegare e
dimostrare che dalla rimozione del vizio
discende la potiore collocazione in
graduatoria del ricorrente rispetto
all’aggiudicatario, nonché agli altri
concorrenti che eventualmente dovessero
ancora precedere esso ricorrente (cd. “prova
di resistenza”);
- di contro, allorquando le censure attengano alle modalità di
indizione e di svolgimento della procedura e
alle regole di gara –volte alla emersione di
vizi idonei a travolgere in toto la
procedura- sarà l’interesse alla riedizione
della gara a costituire l’indefettibile
sostrato, attuale e concreto, della domanda
caducatoria (interesse strumentale); in tal
caso, indi, è giustappunto la necessità di
procedere alla rinnovazione della procedura
a costituire ex se un vantaggio per
la sfera giuridica del concorrente
pretermesso, sostanziandosi in una chance di
conseguimento della successiva commessa,
causalmente riconducibile al richiesto
intervento giudiziale.
2.11.2. Valga, all’uopo, il richiamare il
pacifico insegnamento per cui la verifica
positiva della sussistenza dell’interesse
all’impugnativa comporta che l’effettiva
utilitas per il ricorrente, riveniente
dall’invocato annullamento degli atti
gravati, possa essere identificata non solo
nel conseguimento dell’aggiudicazione
dell’appalto pubblico, ma anche nella mera
rinnovazione della gara; di talché non
sussiste in capo al ricorrente deducente
l’onere di fornire alcuna prova di
resistenza quando le censure proposte sono
dirette ad ottenere l’annullamento
dell’intera procedura; “ciò è tanto più
vero nell’ipotesi in cui oggetto di censura
sono le stesse regole fondamentali poste a
fondamento della valutazione delle offerte,
sulla cui base si è svolta la selezione, e
le dette regole siano state il frutto di
procedure errate e scarsamente intelligibili
che abbiano minato l’intero esito del
confronto competitivo. L’utilitas –che in
ipotesi siffatte la parte ricorrente in
giudizio può ritrarre– è quella della
rinnovazione della gara, interesse
strumentale che la Corte di Giustizia UE
riconosce, nelle controversie relative
all’aggiudicazione di appalti pubblici, come
meritevole di tutela per esigenze di
effettività (cfr. Cons. Stato, sez. III,
16.04.2018, n. 2258)” (CdS, III,
22.10.2018, n. 6035).
2.11.3. Del resto si è riconosciuto
sussistente l’interesse a ricorrere del
soggetto che:
- originariamente escluso dall’Amministrazione, con provvedimento
ritenuto legittimo dal Giudice escluso,
faccia valere con motivi aggiunti la mancata
esclusione della ditta aggiudicataria, al
fine di ottenere la riedizione della gara (CGUE,
10.05.2017, in causa C-131/16, Archus; Cass.,
SS.UU., 29.12.2017, n. 31226);
- esperendo ricorso principale avverso l’aggiudicazione al terzo,
sia stato destinatario di un ricorso
incidentale “escludente”
positivamente scrutinato dal Giudice; in tal
caso, e a prescindere dai concorrenti
rimasti in gara e utilmente collocati in
graduatoria, l’offerente “deve vedersi
riconoscere un legittimo interesse
all’esclusione dell’offerta
dell’aggiudicatario” in quanto “non si
può escludere che, anche se la sua offerta
fosse giudicata irregolare,
l’amministrazione aggiudicatrice sia indotta
a constatare l’impossibilità di scegliere
un’altra offerta regolare e proceda di
conseguenza all’organizzazione di una nuova
procedura di gara” (CGUE, 05.09.2019, in
causa C-333/18, § 27).
2.11.4. Di talché:
- se è stato reputato meritevole di tutela con la possibilità di
accesso al Giudice (art. 47 Carta di Nizza)
-all’uopo recedendo il pur fondamentale
principio di autonomia processuale degli
Stati membri- l’interesse alla riedizione
della procedura, ancorché soltanto
potenziale ed eventuale; di qui l’obbligo di
procedere alla disamina:
i) dei motivi aggiunti esperiti dal
partecipante escluso avverso
l’aggiudicazione al terzo, anche in caso di
reiezione del ricorso principale avverso
l’esclusione;
ii) dei ricorsi intesi alla reciproca
esclusione “quali che siano i numeri dei
partecipanti alla procedura di
aggiudicazione dell’appalto e il numero di
quelli che hanno presentato ricorso”;
- a fortiori la idoneità di un tale interesse strumentale
non mai può essere disconosciuta nella
ipotesi –quale quella che ci occupa- ove la
riedizione della procedura della gara, lungi
dall’essere aleatoria e potenziale, si
atteggia di contro quale conseguenza
necessitata dell’invocato dictum
giudiziale di annullamento. |
APPALTI:
La sospensione del termine del soccorso istruttorio integrativo ai sensi
dell’articolo 103 del DL 18/2020.
Domanda
Vorremmo sapere in che modo si rapporta la sospensione dei termini del
procedimento amministrativo prevista dall’articolo 103 del DL “cura
Italia” con le procedure di affidamento, in particolare in relazione al
soccorso istruttorio.
Risposta
Il momento attuale che sta vivendo il Paese (e non solo) ha portato il
legislatore, come noto, a disporre una “generale” sospensione dei
procedimenti amministrativi. In particolare, come si rammenta nel quesito,
con le disposizioni declinate nell’articolo 103 del DL 18/2020 attualmente
in fase di conversione (e si anticipa che in questa norma, non solo viene
confermata ma addirittura ampliata con previsioni ulteriori, almeno negli
schemi resi noti).
Il procedimento amministrativo contrattuale –e non solo la vera e propria
fase pubblicistica- viene, ovviamente, inciso dalla disposizione in
commento. Il procedimento di affidamento ben potrebbe essere configurato
come procedura avviata d’ufficio.
Sulle questioni specifiche poste dal quesito, ed in particolare –ma non
solo– sui tempi del soccorso istruttorio (tanto nella fattispecie
specificativa quanto in quella integrativa) ex art. 83, comma 9, ha in tempi
recentissimi fornito dei chiarimenti anche l’autorità anticorruzione con la
deliberazione n. 312/2020.
Si assiste, in generale e semplificando, ad una generale sospensione di ogni
termine. Ed in questo senso nella delibera si legge che la “sospensione
si applica a tutti i termini stabiliti dalle singole disposizioni della lex
specialis e, in particolare sia a quelli “iniziali” relativi alla
presentazione delle domande di partecipazione e/o delle offerte, nonché a
quelli previsti per l’effettuazione di sopralluoghi, sia a quelli
“endoprocedimentali” tra i quali, a titolo esemplificativo, quelli relativi
al procedimento di soccorso istruttorio e al sub-procedimento di verifica
dell’anomalia e/o congruità dell’offerta”.
Nelle nuove scadenze dei termini già assegnati vengono sostanzialmente
posposti e “riprenderanno a decorrere per il periodo residuo” dal
16.05.2020 (il congelamento riguarda il periodo intercorrente tra il 23
febbraio e il 15 maggio).
Sono possibili delle deroghe alla sospensione da parte del RUP nel caso in
cui il tipo di procedura e la fase della stessa lo consentano” ovviamente
con il consenso degli interessati nel senso che il responsabile del
procedimento non potrà “vessare” l’operatore imponendo l’adempimento.
Infatti, nella stessa deliberazione si precisa che “nel caso in cui le
amministrazioni intendano avvalersi” dell’interruzione della sospensione
dovranno “acquisire preventivamente la dichiarazione dei concorrenti in
merito alla volontà di avvalersi o meno della sospensione dei termini
disposta dal decreto-legge n. 18/2020, così come modificato dall’articolo 37
del decreto-legge n. 23 dell’08/04/2020”.
È in facoltà del RUP, poi, concedere “proroghe e/o differimenti ulteriori
rispetto a quelli previsti dal decreto-legge in esame, anche su richiesta
degli operatori economici, laddove l’impossibilità di rispettare i termini
sia dovuta all’emergenza sanitaria” (22.04.2020 - link a
www.publika.it). |
APPALTI FORNITURE:
Emergenza sanitaria: erogazione contributi per Buoni Spesa Alimentari –
obblighi di pubblicazione.
Domanda
Con determinazione dirigenziale del Responsabile dell’Ufficio servizi
sociali sono stati erogati i contributi per i Buoni Spesa Alimentari, di cui
all’Ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile n. 658 del
29/03/2020.
Quali obblighi di trasparenza è necessario assolvere?
Risposta
Per far fronte alla grave situazione economica determinatasi per effetto
delle conseguenza dell’emergenza COVID-19, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, attraverso il Capo del dipartimento della Protezione civile, ha
erogato la somma complessiva di euro 400 milioni, suddivisa tra tutti i
comuni italiani.
Sulla base del finanziamento ricevuto, ogni comune ha pubblicato un avviso,
raccolto le domande degli interessati ed erogato le somme ai beneficiari,
previste nello specifico provvedimento comunale, qualora si sia scelta la
modalità prevista nell’articolo 2, comma 4, lettera a), della citata
ordinanza n. 658/2020 (buoni spesa utilizzabili per l’acquisto di generi
alimentari).
Se l’erogazione è stata effettuata con determinazione dirigenziale, il primo
obbligo sarà quello di pubblicare l’atto su albo pretorio on-line, come
previsto da alcune sentenze del Consiglio di Stato, tra le quali si
ricordano la n. 1370 del 15.05.2006 e quella della Sezione V, del
11.05.2017.
Per quanto riguarda gli obblighi di pubblicità e trasparenza conseguenti
all’esecuzione di tale procedimento amministrativo, le disposizioni da
applicare sono quelle previste negli articoli 26 e 27 del decreto
legislativo 14.03.2013, n. 33, che possiamo riassumere secondo i seguenti
passaggi:
a) Pubblicare nella sezione Amministrazione trasparente >
Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici > Criteri e modalità,
la disciplina comunale prevista per l’erogazione dei Buoni Spesa. Si
immagina che tali disposizioni propedeutiche siano state approvate con
determina dirigenziale del responsabile dei servizi sociali;
b) Pubblicare nella sezione Amministrazione trasparente >
Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici > Atti di concessione,
l’elenco dei vari beneficiari, sostituendo i dati personali delle persone
fisiche (cognome e nome, residenza o altri dati personali) con un codice
identificativo sostitutivo, così come dettagliatamente specificato
nell’articolo 26, comma 4, del citato d.lgs. 33/2013. In questo caso l’anonimizzazione
si rende necessaria ed indispensabile perché i beneficiari rientrato tutti
nella categoria connessa alla situazione di disagio economico-sociale,
conseguente all’epidemia sanitaria da COVID-19. Si tenga conto che l’obbligo
(art. 26, comma 2), si riferisce a contributi di importo annuo superiore a
mille euro nell’anno solare. Al riguardo, però, è bene specificare che
numerose amministrazioni hanno stabilito, nella sezione trasparenza del loro
PTPCT, di pubblicare i contributi di qualsiasi importo, interpretando –a
parere di chi scrive correttamente– il principio di accessibilità totale ai
documenti e informazioni detenuti dalle P.A.
Tali informazioni vanno pubblicate in formato tabellare aperto, con
aggiornamento tempestivo e per la durata di cinque anni, contati dal 1°
gennaio dell’anno successivo a quello di pubblicazione, per effetto
dell’art. 26, comma 3, del d.lgs. 33/2013.
A titolo di esempio la pubblicazione dei dati potrebbe essere effettuata
utilizzando la tabella che segue:
N. ORD. CODICE UTENTE
IMPORTO EROGATO
BENEFICIARIO Euro
01 Cod.
056/2020 300,00
02 Cod.
061/2020 250,00
03 Cod.
014/2020 300,00
04 Cod.
089/2020 150,00
05 Cod.
112/2020 200,00
06 Cod.
018/2020 300,00
Come ultimo adempimento, occorre ricordarsi che tutte le informazioni devono
essere organizzate, annualmente, in un unico elenco per singola
amministrazione, secondo modalità di facile consultazione, in formato
tabellare che ne consenta l’esportazione il trattamento e il riutilizzo,
così come previsto dall’articolo 27, comma 2, del d.lgs. 33/2013 (21.04.2020
- link a www.publika.it). |
APPALTI FORNITURE: Acquisti
P.A.: come può un Ente acquistare su un sito on-line e richiedere una
fatturazione in regime di “split payment”?
L’Ente scrivente chiede come può il proprio Comando dei
Vigili Urbani, in vista dell’urgenza di acquistare dei termometri a distanza
non presenti in Mepa, procedere all’acquisto on line tramite il sito Amazon.
Essendo richiesto come metodo di pagamento elettronico una carta di credito
(in questo caso una pre-pagata), come possiamo richiedere che il documento
fiscale (intestato al Comune) in regime di ‘split payment’ anche se
l’importo andrà pagato per intero?
La vendita operata da Amazon rientra nell’art. 22, comma 1, del Dpr. n.
633/1972 (esonero da fatturazione) e nell’art. 2, comma 1, lett. oo), del
Dpr. n. 696/1996 (esonero da certificazione), come confermato dalla
Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 274/E del 2009.
Il Comune opera evidentemente detto acquisto in ambito istituzionale, alla
stregua di un privato senza Partita Iva, non potendosi quindi detrarre l’Iva
ai sensi dell’art. 19 del Dpr. n. 633/7192.
Atteso quanto sopra, laddove il Comune non necessitasse di fattura (da
richiedere al momento dell’acquisto, ai sensi del citato art. 22, comma 1),
il caso di specie, non essendo emessa fattura, rientra tra gli esoneri da “split
payment”, come disciplinati dalle Circolari Entrate n. 15/E del 2015 e
n. 27/E del 2017.
Pertanto, suggeriamo di verificare l’effettiva necessità che venga
rilasciata fattura perché, laddove tale necessità non vi sia (essendo
sufficiente una ricevuta di avvenuto pagamento, rilasciata al momento
dell’acquisto operato con la carta prepagata), è possibile evitare di
richiederla, per i motivi suesposti
(20.04.2020 - link a www.entilocali-online.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: E’
noto che in materia di rinnovo o proroga dei contratti
pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l'autonomia
contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato
dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve
espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa
comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve,
qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara pubblica.
Va peraltro ricordato che la differenza tra rinnovo e proroga di contratto
pubblico sta nel fatto che il primo comporta una nuova negoziazione con il
medesimo soggetto, che può concludersi con l'integrale conferma delle
precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più
attuali; la seconda ha invece come solo effetto il differimento del termine
finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall'atto
originario.
Peraltro all'affidamento senza una procedura competitiva deve essere
equiparato il caso in cui, ad un affidamento con gara, segua, dopo la sua
scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto
comunitario; le proroghe dei contratti affidati con gara, infatti, sono
consentite se già previste ab origine e comunque entro termini determinati,
mentre, una volta che il contratto scada e si proceda ad una proroga non
prevista originariamente, o oltre i limiti temporali consentiti, la stessa
proroga deve essere equiparata ad un affidamento senza gara.
In definitiva, anche nella materia del rinnovo o della proroga dei contratti
pubblici di appalto non vi è spazio per l'autonomia contrattuale delle
parti, in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal legislatore
per ragioni di interesse pubblico; al contrario, vige il principio in forza
del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della
normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto,
deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara.
Invero, “La proroga costituisce strumento del tutto eccezionale, utilizzabile solo
qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi concorrenziali”.
Anche l’Anac ha precisato <<Con
riguardo alla problematica relativa all’utilizzo degli istituti della
proroga e dei rinnovi taciti nei contratti di appalto di servizi e
forniture, gli ispettori si riportano ad alcune considerazioni giuridiche e
giurisprudenziali chiarendo in primo luogo che “l’art. 23 della L. n.
62/2005, nel sancire l’espresso divieto del rinnovo tacito dei contratti
delle P.A. per le forniture di beni e servizi,” tendente a scongiurare
ripetuti affidamenti allo stesso operatore “ha anche previsto la facoltà, da
esercitarsi entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, di procedere al
rinnovo espresso dopo aver accertato la sussistenza di ragioni di
convenienza e di pubblico interesse”.
Per ciò che concerne la cd “proroga tecnica”, preme evidenziare
l’orientamento restrittivo dell’Autorità (cfr. Delibere nn. 6/2013 e 1/2014)
e della consolidata giurisprudenza, che ammettono la proroga tecnica solo in
via del tutto eccezionale, poiché costituisce una violazione dei principi
comunitari di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione
e trasparenza, enunciati nel previgente codice dei contratti al comma 1
dell’art. 2 [oggi art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016].
La proroga, nell’unico caso oggi ammesso, ha carattere di temporaneità e
rappresenta uno strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da
un vincolo contrattuale ad un altro, come chiarito dall’Autorità con parere
AG 38/2013: la proroga “è teorizzabile ancorandola al principio di
continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed
eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti
dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare
precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo
contraente”.
Una volta scaduto il contratto, l’Amministrazione, qualora abbia ancora
necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve -tempestivamente- bandire una nuova gara, al fine di
portarla a termine prima della naturale scadenza del risalente contratto, in
quanto, in tema di proroga (o rinnovo) dei contratti pubblici non vi è
alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti>>.
---------------
La proroga “è teorizzabile ancorandola al principio di continuità
dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali
casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione)
vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle
more del reperimento di un nuovo contraente”.
---------------
La giurisprudenza ha stigmatizzato anche il ricorso alla seconda proroga sul
presupposto che: “appare, infatti, difficilmente compatibile con la
normativa comunitaria in materia di contratti pubblici una seconda proroga
degli affidamenti vigenti e se le suddette norme fossero interpretate nel
senso di obbligare le Amministrazioni in tal senso, potrebbe emergere un'elusione
da parte dello Stato italiano dei vincoli derivanti dall'appartenenza
all'Unione Europea. Sotto il profilo della compatibilità costituzionale
apparirebbe poi difficilmente armonizzabile con il principio di libera
iniziativa economica, ex art. 41 Cost., l'imposizione alle imprese
affidatarie di un servizio di gestione obbligatoria derivante dalla proroga
contrattuale, alle condizioni in essere”.
Infatti, come già evidenziato alla luce della giurisprudenza in materia, una
legittima proroga può intervenire antecedentemente alla scadenza del
contratto, per una sola volta, e limitatamente al periodo necessario per
l’indizione e la conclusione della necessaria procedura ad evidenza pubblica
ovvero delle attività alternative di reclutamento del personale (internalizzazione mediante ricorso alla mobilità o ad autonome
procedure concorsuali), da programmarsi, comunque, con congruo anticipo in
previsione della già stabilita cessazione del periodo di efficacia del
contratto non costituente circostanza imprevedibile ed eccezionale.
---------------
17.
Le censure, in quanto relative al difetto dei presupposti per il ricorso
alla proroga, da qualificarsi come proroga tecnica, possono essere trattate
congiuntamente.
17.1 Le stesse sono fondate, nel senso di seguito precisato, secondo quanto
del resto già ritenuto da questa Sezione con la sentenza n. 4109/2018, senza
che al riguardo abbia rilevanza, che nell’ipotesi di cui è causa, al
contrario di quanto ravvisabile in relazione alla terza proroga, la A.S.L.
resistente abbia proceduto (peraltro con gravissimo ritardo rispetto alla
naturale scadenza del contratto), a bandire la procedura di gara per
l’affidamento di parte dei servizi, decidendo di internalizzare (sempre con
gravissimo ritardo), altra parte dei servizi.
17.2. E’ noto infatti che in materia di rinnovo o proroga dei contratti
pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l'autonomia
contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato
dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve
espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa
comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve,
qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara pubblica (Consiglio di Stato, sez. V,
20.08.2013 n. 4192).
Va peraltro ricordato che la differenza tra rinnovo e proroga di contratto
pubblico sta nel fatto che il primo comporta una nuova negoziazione con il
medesimo soggetto, che può concludersi con l'integrale conferma delle
precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più
attuali; la seconda ha invece come solo effetto il differimento del termine
finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall'atto
originario.
Peraltro all'affidamento senza una procedura competitiva deve essere
equiparato il caso in cui, ad un affidamento con gara, segua, dopo la sua
scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto
comunitario; le proroghe dei contratti affidati con gara, infatti, sono
consentite se già previste ab origine e comunque entro termini determinati,
mentre, una volta che il contratto scada e si proceda ad una proroga non
prevista originariamente, o oltre i limiti temporali consentiti, la stessa
proroga deve essere equiparata ad un affidamento senza gara (giurisprudenza
costante, ex multis TAR Sardegna, sez. I, 06.03.2012 n. 242).
In definitiva, anche nella materia del rinnovo o della proroga dei contratti
pubblici di appalto non vi è spazio per l'autonomia contrattuale delle
parti, in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal legislatore
per ragioni di interesse pubblico; al contrario, vige il principio in forza
del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della
normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto,
deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara (TAR Sardegna Cagliari n.
755/2014 confermata da Consiglio di Stato sez. III n. 1521/2017 con cui
si è affermato che “La proroga, anzi, come giustamente evidenziato dal primo
giudice, costituisce strumento del tutto eccezionale, utilizzabile solo
qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi concorrenziali”).
Anche l’Anac, riportandosi a quanto affermato in materia dalla
giurisprudenza, con delibera numero 557 del 31.05.2017, riferita proprio
ai contratti originariamente aggiudicati, come nella specie, ai sensi del Dlgs. 163/2006 e ad un’ispezione eseguita in una ASL ha precisato <<Con
riguardo alla problematica relativa all’utilizzo degli istituti della
proroga e dei rinnovi taciti nei contratti di appalto di servizi e
forniture, gli ispettori si riportano ad alcune considerazioni giuridiche e
giurisprudenziali chiarendo in primo luogo che “l’art. 23 della L. n.
62/2005, nel sancire l’espresso divieto del rinnovo tacito dei contratti
delle P.A. per le forniture di beni e servizi,” tendente a scongiurare
ripetuti affidamenti allo stesso operatore “ha anche previsto la facoltà, da
esercitarsi entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, di procedere al
rinnovo espresso dopo aver accertato la sussistenza di ragioni di
convenienza e di pubblico interesse”.
Per ciò che concerne la cd “proroga tecnica”, preme evidenziare
l’orientamento restrittivo dell’Autorità (cfr. Delibere nn. 6/2013 e 1/2014)
e della consolidata giurisprudenza, che ammettono la proroga tecnica solo in
via del tutto eccezionale, poiché costituisce una violazione dei principi
comunitari di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione
e trasparenza, enunciati nel previgente codice dei contratti al comma 1
dell’art. 2 [oggi art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016].
La proroga, nell’unico caso oggi ammesso, ha carattere di temporaneità e
rappresenta uno strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da
un vincolo contrattuale ad un altro, come chiarito dall’Autorità con parere
AG 38/2013: la proroga “è teorizzabile ancorandola al principio di
continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed
eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti
dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare
precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente”
(CdS, sez. V, sent. 11.05.2009, n. 2882).
Una volta scaduto il contratto, l’Amministrazione, qualora abbia ancora
necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve -tempestivamente- bandire una nuova gara (cfr. CdS n. 3391/2008), al fine di
portarla a termine prima della naturale scadenza del risalente contratto, in
quanto, in tema di proroga (o rinnovo) dei contratti pubblici non vi è
alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti>>.
17.3. Ciò posto, le censure si palesano fondate atteso che con l’atto
oggetto di impugnativa si è proceduto ad una quarta proroga per la durata di
sei mesi, dopo che erano state disposte tre precedenti proroghe, della
durata del pari di sei mesi ciascuna -di cui la terza, già oggetto di
annullamento ad opera di questa Sezione con l’indicata sentenza n. 4109/2018- finalizzate all’indizione di una nuova gara, prospettando, per la seconda
proroga, finanche la risoluzione anticipata in caso di nuova aggiudicazione,
laddove per contro dalla lettura della delibera impugnata con la terza
proroga si evinceva che la gara non era stata neppure indetta e che era
intenzione della Direzione Strategica effettuare un’approfondita analisi
delle attività incluse nel contratto in essere con la ATI GE., al fine di
identificare quali fossero i servizi da continuare ad affidare a terzi,
mediante successivo espletamento di specifica procedura di gara o da
acquisire mediante reclutamento di personale a cura della UOC Gestione
Risorse Umane, con ciò palesandosi il deficit di istruttoria e di
motivazione che nel complesso hanno portato alle reiterate proroghe, nonché
il difetto dei presupposti per il ricorso ad una quarta proroga tecnica.
Ed invero, come innanzi accennato la proroga “è teorizzabile ancorandola al
principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli
limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non
dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare
precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente”
(CdS, sez. V, sent. 11.05.2009, n. 2882).
Detti presupposti non possono pertanto essere ravvisati nell’ipotesi di
specie, avendo la A.S.L., soltanto in occasione della proroga de qua
provveduto ad indire la nuova gara, con notevole ritardo rispetto alla
naturale scadenza del contratto e dopo ben tre precedenti proroghe, dopo
avere, sempre con ritardo, provveduto ad una ricognizione dei fabbisogni.
17.4. Ed invero, come evidenziato con la sentenza n. 4109/2018, non possono
rilevare, avuto riguardo alla durata complessiva delle disposte proroghe, le
problematiche organizzative della stazione appaltante o le difficoltà
connesse alla stesura del capitolato di gara e alla sua concreta indizione,
trattandosi di evenienze fronteggiabili per tempo e sicuramente non in grado
di giustificare il ricorso ad una quarta proroga tecnica -essendo la
proroga ammissibile solo per ragioni obiettivamente non dipendenti
dall’Amministrazione e dovendo la stessa intervenire prima della scadenza
naturale del contratto- in palese violazione della disciplina comunitaria,
in considerazione del rilievo che, come innanzi accennato, il ricorso alla
proroga o al rinnovo del contratto, in assenza dei relativi presupposti, è
equiparabile ad un affidamento diretto senza gara.
Al riguardo non può mancarsi di rilevare che la giurisprudenza ha
stigmatizzato anche il ricorso alla seconda proroga, sul presupposto che:
“appare, infatti, difficilmente compatibile con la normativa comunitaria in
materia di contratti pubblici una seconda proroga degli affidamenti vigenti
e se le suddette norme fossero interpretate nel senso di obbligare le
Amministrazioni in tal senso, potrebbe emergere un'elusione da parte dello
Stato italiano dei vincoli derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea.
Sotto il profilo della compatibilità costituzionale apparirebbe poi
difficilmente armonizzabile con il principio di libera iniziativa economica,
ex art. 41 Cost., l'imposizione alle imprese affidatarie di un servizio di
gestione obbligatoria derivante dalla proroga contrattuale, alle condizioni
in essere” (TAR Toscana, Firenze, sez. II, 04.06.2015 n. 859).
17.5. Pertanto vieppiù deve ritenersi illegittima la quarta proroga di cui è
causa.
17.6. Ciò posto, il ricorso si appalesa fondato, atteso che con l’atto
oggetto di impugnativa si è proceduto ad una quarta proroga, avendo la
A.S.L. indetto la procedura di gara tardivamente, molto tempo dopo la
scadenza naturale del contratto, e, peraltro, relativamente ad una parte sola
dei servizi oggetto di proroga e, tanto, non solo in violazione della legge
ma anche con palese sviamento di potere insito nell’abuso del ricorso allo
strumento della proroga tecnica oltre ogni ragionevolezza, essendo il
contratto venuto a scadenza il 31/12/2016; ciò senza mancare di evidenziare
che la A.S.L. resistente ha finanche perseverato nel comportamento
illegittimo dopo la proposizione dell’odierno ricorso e dopo la sentenza di
annullamento di questa Sezione, relativa alla terza proroga, disponendo una
quinta proroga, oggetto del connesso ricorso R.G. n. 476/2019.
17.7. Infatti, come già evidenziato alla luce della giurisprudenza in
materia, una legittima proroga sarebbe potuta intervenire antecedentemente
alla scadenza del contratto, per una sola volta, e limitatamente al periodo
necessario per l’indizione e la conclusione della necessaria procedura ad
evidenza pubblica ovvero delle attività alternative di reclutamento del
personale (internalizzazione mediante ricorso alla mobilità o ad autonome
procedure concorsuali), da programmarsi, comunque, con congruo anticipo in
previsione della già stabilita cessazione del periodo di efficacia del
contratto non costituente circostanza imprevedibile ed eccezionale.
Ed invero, come innanzi accennato la proroga “è teorizzabile ancorandola al
principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli
limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non
dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare
precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente”
(CdS, sez. V, sent. 11.05.2009, n. 2882; TAR Campania, Napoli, sez. V,
20.06.2018, n. 4109, citata).
Peraltro se è vero che la mancata attivazione della gara in termini più
celeri ed adeguati, intervenuta con la delibera n. 1372 del 29.06.2018, è
stata anche la conseguenza della circostanza che la stazione appaltante ha
ottenuto l’autorizzazione da parte di SO. solo il 24.05.2018, i ritardi
nell’espletamento dell’attività istruttoria preliminare volta ad addivenire
all’indizione di una nuova gara, sono comunque imputabili, a vario titolo,
all’Azienda resistente e, nella specie, ai contraddittori indirizzi anche
dei Direttori Generali insediatisi nel tempo al vertice, il cui operato, per
il principio di immedesimazione organica, è ad essa ordinariamente
imputabile.
Si fa in particolare riferimento alle richiamate difficoltà gestionali,
addotte nelle difese della A.S.L. resistente (modificazione del patrimonio
immobiliare, adozione e revoca dell’atto aziendale di ridefinizione delle
articolazioni aziendali e delle relative competenze) nonché alla complessa
operazione di riorganizzazione gestionale dei servizi non prorogati e non
inseriti nel nuovo procedimento di gara da gestirsi secondo percorsi
alternativi -per i quali l’allora direzione strategica della ASL,
insediatasi nel giugno 2017, aveva ritenuto opportuno attivare una procedura
volta alla progressiva “internalizzazione” mediante procedure di
reclutamento, allo stato, in corso di svolgimento o concluse- nonché
all’ultima esternalizzazione del servizio residuale.
Il deficit istruttorio e programmatorio che ha portato alla reiterate
proroghe, del tutto imputabile alla resistente Amministrazione, emerge del
resto vieppiù dalla contraddittorietà dalle stesse ragioni giustificatrici
che avrebbero dovuto suffragare le proroghe adottate (nelle more
dell’indizione della gara, in assenza dell’indizione della gara già prevista
in vista della parziale internalizzazione del servizio e, infine, per
l’indizione e il completamento della gara bandita per l’affidamento di
servizi parziali rispetto a quelli prorogati e per l’impossibilità di
portare a termine le diverse attività per l’acquisizione di personale,
servizi e locali inclusi nel contratto, scaduto, con l’ATI Gesco)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 18.04.2020 n. 1392 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI:
Emerganza COVID-19 e norme in materia di appalti.
Domanda
Quali sono le principali disposizioni che riguardano l’aggiudicazione di
appalti pubblici di interesse per gli enti locali in questo periodo di
contenimento del COVID-19?
Risposta
Sono moltissime le misure adottate nell’interesse degli enti locali, e non
solo, connesse all’emergenza epidemiologica, incidenti sui differenti
ambiti, tra i quali, per citarne alcuni, la tutela della salute, il sostegno
alle famiglie, la finanza e i tributi locali, la gestione del personale e
degli organi collegiali, la giustizia, e ovviamente anche gli appalti.
Rispetto a quest’ultimo settore è possibile ritenere che la disciplina
prevista sia a doppio binario, uno c.d. ordinario, soggetto alla disciplina
del d.l. 17.03.2020 c.d. “Decreto cura Italia”, ed in particolare
dell’art. 103, di sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi,
nonché uno emergenziale e derogatorio di cui all’ordinanza della Presidenza
del Consiglio dei Ministri dipartimento protezione civile del 25.03.2020.
Si elencano di seguito le principali disposizioni che impattano sugli
appalti pubblici:
• Comunicato del Presidente dell’ANAC del 04.03.2020 “Qualificazione
per l’esecuzione di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro”,
che ammette per tutti i contratti di attestazione interessati aventi
scadenza entro il 31.03.2020 la sospensione dell’istruttoria fino ad un
massimo di 150 giorni in luogo dei 90 (novanta) previsti dall’art. 76, co.
3, del d.p.r. 207/2010;
• l’art. 103 del d.l. 17.03.2020, co. 1: “Ai fini del computo
dei termini ordinatori e perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali
ed esecutivi, relativo allo svolgimento di procedimenti amministrativi su
istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23.02.2020 o iniziati
successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la
medesima data e quella del 15.04.2020”.
Il MIT con la circolare del 23.03.2020, precisa che la citata previsione è
applicabile con riferimento ai termini per la presentazione delle domande
e/o offerte, ai termini per l’effettuazione di sopralluoghi e per il
soccorso istruttorio. Pertanto di fronte a gare già bandite è possibile
disporre la sospensione, oppure prorogare i termini di scadenza. Il termine
del 15.04, peraltro, è stato prorogato al 15.05.2020, con l’entrata in
vigore dell’art. 37 del d.l. 23/2020;
• l’art. 35, co. 18, del codice dei contratti, come modificato
dall’art. 91, co. 2, del decreto cura Italia, che prevede l’erogazione
dell’anticipazione, anche nel caso di consegna in via d’urgenza, ai sensi
dell’art. 32, co. 8, del d.lgs. 50/2016;
• L’acquisto di beni e servizi informatici per la diffusione del
lavoro agile e di servizi di rete ai sensi dell’art. 75 del decreto cura
Italia, mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando
di cui all’art. 63, co. 2, lett. c), previa selezione tra almeno 4 operatori
(scelti discrezionalmente), di cui almeno una start-up innovativa o una
piccola o media impresa innovativa;
• Delibera ANAC n. 268 del 19.03.2020 di sospensione dei termini
dei procedimenti di competenza dell’Autorità, tra cui in particolare quelli
di perfezionamento del CIG, che passa dai 90 giorni ai 150 giorni;
• l’art. 4, co. 1, dell’ordinanza n. 25.03.2020 che a fronte di
appalti di forniture e servizi finalizzati all’attuazione dei provvedimenti
emergenziali e comunque volti ad assicurare la gestione di ogni situazione
connessa all’emergenza epidemiologica, consente la deroga ai tempi e alle
modalità di pubblicazione dei bandi di cui agli artt. 60, 61, 72, 73 e 74
del codice dei contratti pubblici;
• Comunicato INPS n. 1374 del 25.03.2020 che precisa che i
documenti attestanti la regolarità contributiva denominati Durc On Line che
riportano nel campo “Scadenza Validità” una data compresa tra il
31.01.2020 e il 15.04.2020 conservano la loro validità fino al 15.06.2020
come previsto dall’articolo 103, comma 2, del decreto- legge 17.03.2020, n.
18;
• Delibera ANAC n. 289 del 01.04.2020 di richiesta al Governo di
adozione di un intervento normativo che disponga l’esonero dal versamento
della contribuzione prevista per tutte le procedure di gara avviate
dall’entrata in vigore e fino al 31.12.2020 (15.04.2020 - link a
www.publika.it). |
APPALTI: All’Adunanza
plenaria gli obblighi dichiarativi ex art. 80, comma 5, lett. c) e b-bis),
d.lgs. n. 50 del 2016 e le false dichiarazioni.
----------------
Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara -
Obblighi dichiarativi – Art. 80, comma 5, lett. c) e b-bis), d.lgs. n. 50
del 2016 – False dichiarazioni - Rimessione all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato.
È rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato la questione relativa alla consistenza, alla perimetrazione e agli
effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in
sede di partecipazione alla procedura evidenziale, con particolare riguardo
ai presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa, ai sensi
dell’art. 80, comma 5, lett. c) e b-bis), d.lgs. n. 50 del 2016 (1).
----------------
(1) Ha premesso la
Sezione che l’art. 80 applicabile ratione temporis è quello risultante dal
testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 5, comma 1, d. l. 14.12.2018, n. 135, convertito dalla l. 11.02.2019, n. 12. La
disposizione transitoria dello stesso art. 5, comma 2 prevede infatti, che
“le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle procedure i cui bandi o
avvisi, con i quali si indicono le gare, sono pubblicati successivamente
alla data di entrata in vigore del presente decreto [...]”, cioè
successivamente al 15.12.2018.
Ciò detto, le irregolarità di carattere dichiarativo sono normativamente
definite nel quadro delle “situazioni” concretanti “gravi illeciti
professionali”, idonei, come tali, a “rendere dubbia” l’”integrità” e
l’”affidabilità” del concorrente.
Sotto un profilo generale, fondano sull’obbligo –di ordine e di matrice
propriamente precontrattuale– che grava su ogni operatore economico di
fornire alla stazione appaltante ogni dato o informazione comunque
rilevante, al fine di metterla in condizione anzitutto di acquisire, e
quindi di valutare tutte le circostanze e gli elementi idonei ai fini della
ammissione al confronto competitivo.
In quanto tale –operando nella logica relazionale del “contatto sociale
qualificato” strutturato dalla procedura evidenziale– esso è anzitutto “di
diritto comune”, facendo capo alla regola di condotta di cui agli artt. 1337
e 1338 del codice civile, che impone un generale (e, peraltro, reciproco)
dovere di chiarezza e di completezza informativa.
Nel contesto evidenziale, di matrice pubblicistica, tale obbligo
(manifestazione del “principio di correttezza”: cfr. art. 30, comma 1, del
Codice) è vieppiù qualificato dalla professionalità che si impone agli
operatori economici che intendano accedere, in guisa concorrenziale, al
mercato delle commesse pubbliche: la quale vale a conferire speciale ed
autonomo rilievo, presidiato dalla sanzione espulsiva, alla omissione delle
“informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di
selezione”, di cui fa espressa parola la lettera c-bis del comma 5, ad finem,
sintetizzandone la complessiva ratio.
Si tratta, così acquisito, di obbligo essenzialmente strumentale,
finalizzato (solo) a mettere in condizione la stazione appaltante di
conoscere tutte le circostanze rilevanti per l’apprezzamento dei requisiti
di moralità e meritevolezza soggettiva: non obbligo fine a se stesso, ma
servente.
Nondimeno, la sua (distinta) previsione come (specifico, legittimo ed
autonomo) motivo di esclusione testimonia (ad onta della, non decisiva,
scissione della lettera c) e della successiva lettera c-bis) da ultimo
operata dal d.l. n. 135 del 2018, convertito dalla l. n. 12 del 2019) della
sua attitudine a concretare, in sé, una forma di grave illecito
professionale: nel qual caso, il necessario nesso di strumentalità rispetto
alle valutazioni rimesse alla stazione appaltante finisce per dislocarsi dal
piano del concreto apprezzamento delle circostanze di fatto, rimesso alla
mediazione valutativa della stazione appaltante, al piano astratto di una
illiceità meramente formale e presunta, operante de jure.
Si intende, perciò, la necessità di una puntuale perimetrazione della
portata (e dei limiti) degli obblighi informativi. Sui quali si scaricano,
con evidente tensione, opposti e rilevanti interessi: da un lato quello di
estromettere senz’altro dalla gara i soggetti non affidabili sotto il
profilo della integrità morale, della correttezza professionale, della
credibilità imprenditoriale e della lealtà operativa; dall’altro, quello di
non indebolire la garanzia della massima partecipazione e di non
compromettere la necessaria certezza sulle regole di condotta imposte agli
operatori economici, presidiate dalla severa sanzione espulsiva.
L’equilibrio tra questi due interessi va garantito da una acquisizione del
principio di tipicità dei motivi di esclusione (espressamente scolpito
all’art. 83, comma 8, del Codice) non limitato al profilo (di ordine formale)
della mera preclusione alla introduzione di fattispecie escludenti non normativamente prefigurate (c.d.
numerus clausus), ma esteso al profilo ( di
ordine sostanziale) della sufficiente tipizzazione, in termini di
tassatività, determinatezza e ragionevole prevedibilità delle regole
operative e dei doveri informativi.
È un problema che si pone, in modo particolare, per le omissioni
dichiarative (ovvero per le dichiarazioni reticenti): per le quali occorre
distinguere il mero (e non rilevante) nihil dicere (che, al più, legittima
la stazione appaltante a dimostrare, con mezzi adeguati, “che l’operatore
economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali”, diversi
dalla carenza dichiarativa, idonei “a rendere dubbia la sua integrità o
affidabilità”) dal non dicere quod debetur (che, postulando la violazione di
un dovere giuridico di parlare, giustifica di per sé –cioè in quanto
illecito professionale in sé considerato– l’operatività, in chiave sanzionatoria, della misura espulsiva).
Chiaro, in tal senso, il riferimento al comportamento dell’operatore che
abbia “omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della
procedura" (cfr. lettera c), oggi c-bis): che pone, peraltro, il problema di
conferire determinatezza e concretezza all’elemento normativo della
fattispecie, per individuare con precisione le condizioni per considerare
giuridicamente dovuta l’informazione.
La giurisprudenza ha, ancora di recente e da ultimo, ritenuto che
l’individuazione tipologica dei gravi illeciti professionali avesse
carattere meramente esemplificativo, potendo, per tal via, la stazione
appaltante desumere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni
vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale
dell’operatore economico di cui fosse accertata la contrarietà a un dovere
posto in una norma civile, penale o amministrativa (cfr. ex permultis,
Cons. Stato, sez. V, 24.01.2019, n. 586; id. 25.01.2019, n. 591; id.
03.01.2019, n. 72; id.,
sez. III, 27.12.2018, n. 7231), se stimata idonea a
metterne in dubbio l’integrità e l’affidabilità.
Tale conclusione (verisimilmente agevolata dal tenore testuale aperto della
lettera c) del comma 5 dell’art. 80: “tra questi rientrano”), è rimasta anche
dopo la modifica dell’art. 80, comma 5, realizzata con il già citato art. 5
d.-l. n. 135 del 2018, che ha sdoppiato nelle successive lettere c-bis) e c-ter) la preesistente elencazione, mantenendo peraltro nella lett. c), ma
espungendo il richiamato inciso, la richiamata previsione di portata
generale (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 22.07.2019, n. 5171).
Siffatta opzione esegetica è mossa, esplicitamente o implicitamente, dalla
sopra evidenziata generalizzazione degli obblighi informativi
precontrattuali, ancorati ad una clausola generale di correttezza
professionale (cfr. art. 30, comma 1), intorno alla quale si addensa e
coagula la stessa dimensione di lealtà, affidabilità e credibilità
dell’operatore professionale: cui si assume plausibilmente imposto, a pena
di esclusione automatica, un dovere generale di clare loqui, al fine di
mettere la stazione appaltante in condizione di elaborare –nella
prospettiva del “corretto svolgimento della procedura di selezione”– le
proprie “decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione” (cfr.
ancora la lettera c).
È evidente che, in siffatta prospettiva, gli obblighi informativi decampano
dalla logica della mera strumentalità, diventando obblighi finali, dotati di
autonoma rilevanza: di dal che l’omissione, la reticenza, l’incompletezza
divengono –insieme alle più gravi decettività e falsità– forme in certo
senso sintomatiche di grave illecito professionale in sé e per sé.
In questo quadro, ancorché non univocamente (in senso parzialmente
contrario, e.g. Cons. Stato, sez. III, 23.08.2018, n. 5040; id., sez. V,
03.04.2018, n. 2063; id., sez. III, 12.07.2018, n. 4266), link si è
interpretato l’ultimo inciso l’art. 80, comma 5, lett. c), attribuendogli il
rigoroso significato di una norma di chiusura, che impone agli operatori
economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le
informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non
costituenti cause tipizzate di esclusione (Cons.
Stato, sez. V, 11.06.2018, n. 3592; id.
25.07.2018, n. 4532; id.
19.11.2018, n. 6530; id.,
sez. III, 29.11.2018, n. 6787).
In senso parzialmente diverso, si è, tuttavia, osservato che siffatto
generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un generale
limite di operatività, “potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli
operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della
stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del
tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa” (Cons.
Stato, sez. V, 22.07.2019, n. 5171; id.
03.09.2018, n. 5142).
La necessità di un siffatto limite generale di operatività deriva, del
resto, dall’art. 57, § 7 della Direttiva 2014/24/UE, che ha, per giunta,
fissato in tre anni dalla data del fatto la rilevanza del grave illecito
professionale, in ciò seguita dalle Linee guida ANAC n. 6/2016, precedute
dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 2286/2016
del 26.10.2016, che ha affermato, tra altro, la diretta applicazione
nell’ordinamento nazionale della previsione di cui al predetto paragrafo.
Per tal via, la più recente giurisprudenza si è orientata alla
individuazione anzitutto di un limite temporale all’obbligo dichiarativo,
ancorato alla postulata irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio
anteriore alla adozione degli atti indittivi (cfr., tra le varie,
Cons. Stato, sez. V, 05.03.2020, n. 1605).
In termini più significativi, è, nondimeno, maturata una prospettiva
diversa, che muove dalla distinzione tipologica, risultante dalla previsione
normativa, di due fattispecie distinte:
a) l’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto
svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza,
cioè l’incompletezza, con conseguente facoltà della stazione appaltante di
valutare la stessa ai fini dell’attendibilità e dell’integrità
dell’operatore economico (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 03.09.2018, n. 5142);
b) la falsità delle dichiarazioni, ovvero la presentazione nella
procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative
di una circostanza in fatto diversa dal vero, cui conseguirebbe, per contro,
l’automatica esclusione dalla procedura di gara, deponendo in maniera
inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità
dell’operatore economico (laddove, per l’appunto, ogni altra condotta,
omissiva o reticente che sia, comporterebbe l’esclusione dalla procedura
solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia
prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso) (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 12.04.2019, n. 2407).
La distinzione può essere approfondita e precisata, osservando che l’ordito
normativo –peraltro frutto di vari interventi correttivi, integrativi e,
nel caso della lettera c), anche diairetici stratificati nel tempo– fa
variamente riferimento: a) alla falsità di “informazioni” fornite (lettera
c-bis), di “dichiarazioni” rese e di “documentazione” presentata (lettere
f-bis, f-ter e g, nonché il comma 12), talora, peraltro, dando rilevanza
alla mera (ed obiettiva) “non veridicità”, talaltra ai profili di concreta
“rilevanza o gravità” ovvero ai profili soggettivi di imputabilità (evocati
dal riferimento alla negligenza, alla colpa, anche grave, o addirittura al
dolo); b) alla attitudine “fuorviante” delle informazioni (intesa quale
suscettibilità di influenzare il processo decisionale in ordine all’esito
della fase di ammissione); c) alla mera “omissione” (di informazioni
dovute).
Inoltre, si distingue, con esclusivo riguardo alle falsità dichiarative e
documentali, secondo che le stesse rimontino a condotte (attive od
omissive), a loro volta poste in essere (cfr. comma 6), prima ovvero nel
corso della procedura.
In altri termini, è un dato positivo la distinzione tra dichiarazioni omesse
(rilevanti in quanto abbiano inciso, in concreto, sulla correttezza del
procedimento decisionale), fuorvianti (rilevanti nella loro attitudine
decettiva, di “influenza indebita”) e propriamente false (rilevanti, per
contro, in quanto tali).
E se si considera che la reticenza corrisponde, in definitiva, alla c.d.
mezza verità (la cui attitudine decettiva opera, quindi, in negativo, in
relazione a ciò che viene taciuto, costituendo, quindi, una forma di
omissione parziale), le informazioni fuorvianti sono quelle che manifestano
attitudine decettiva in positivo, per il contenuto manipolatorio di dati
reali: una sorta di mezza falsità).
La distinzione è, già sul ridetto piano normativo, legata a diverse
conseguenze: mentre le prime tre ipotesi (dichiarazioni omesse, reticenti e
fuorvianti) hanno rilievo solo in quanto si manifestino nel corso della
procedura, la falsità è più gravemente sanzionata dall’obbligo di
segnalazione all’ANAC gravante sulla stazione appaltante in forza del comma
12 e della possibile iscrizione (in presenza di comportamento doloso o
gravemente colposo e subordinatamente ad un apprezzamento di rilevanza)
destinata ad operare anche nelle successive procedure evidenziali, nei
limiti del biennio (lettere f-ter e g, quest’ultima riferita, peraltro, alla
falsità commessa ai fini del rilascio dell’attestazione di qualificazione).
Con il che la falsità (informativa, dichiarativa ovvero documentale) ha
attitudine espulsiva automatica oltre che (potenzialmente e temporaneamente)
ultrattiva; laddove le informazioni semplicemente fuorvianti giustificano
solo –trattandosi di modalità atta ad influenzare indebitamente il concreto
processo decisionale in atto– l’estromissione dalla procedura nella quale
si collocano.
Appare evidente che, in siffatta prospettiva ermeneutica, l’omissione (e la
reticenza) dichiarativa si appalesano per definizione insuscettibili (a
differenza della falsità e della manipolazione fuorviante, di per sé
dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità) di legittimare l’automatica
esclusione dalla gara: dovendo sempre e comunque rimettersi
all’apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della
formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del
concorrente.
Per giunta, la distinzione può essere articolata –anche in specifica
considerazione delle ragioni di doglianza, affidate all’appello in esame
–sotto un distinto e concorrente profilo.
In effetti, la distinzione tra dichiarazioni false (che importano sempre
l’esclusione) e dichiarazioni semplicemente omesse (per le quali si pone
l’illustrata alternativa tra la tesi, formalistica, dell’automatica
esclusione e quella, sostanzialistica, della rimessione al previo e
necessario filtro valutativo della stazione appaltante) trae fondamento dal
rilievo che la falsità, come predicato contrapposto alla verità, costituisce
frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione
fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica
vero/falso, accertabile automaticamente (anche in sede giudiziale, in virtù
della pienezza dell’accesso al fatto garantita dalle regole del processo
amministrativo: cfr. art. 64 cod. proc. amm.).
Per contro, la dichiarazione mancante non potrebbe essere apprezzata in
quanto tale, dovendo essere, volta a volta, valutate le circostanze taciute,
nella prospettiva della loro idoneità a dimostrare l’inaffidabilità del
concorrente.
Tale valutazione, in quanto frutto di apprezzamenti ampiamente
discrezionali, non potrebbe essere rimessa all’organo giurisdizionale, ma
andrebbe necessariamente effettuata (eventualmente a posteriori) dalla
stazione appaltante; a differenza della falsità, che è di immediata verifica
e riscontro, anche in sede contenziosa
(Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza 09.04.2020 n. 2332 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - LAVORI PUBBLICI:
Accesso a cantieri da parte di consiglieri comunali.
Non è configurabile un diritto in senso stretto dei
consiglieri comunali a visitare un cantiere dove si svolgono lavori affidati
dal Comune o ad effettuarvi un sopralluogo, atteso che la legge nulla
prevede per quanto riguarda tale evenienza, non potendo quindi individuarsi
un corrispondente obbligo dell'Amministrazione di accogliere una richiesta
in tal senso.
L’esercizio delle funzioni di controllo è, infatti, riconosciuto
dall’ordinamento come funzione generale al consiglio quale organo nel suo
complesso, che può avvalersi di commissioni consiliari appositamente
istituite.
Non sono invece contemplate dalla normativa vigente per i consiglieri
comunali competenze di tipo ispettivo da esercitarsi singolarmente su
attività materiali, tanto più che, trattandosi di cantieri, spetta alle
figure responsabili anche sotto il profilo delle norme in materia di
sicurezza, in relazione alle proprie competenze, valutare la richiesta di
accesso di persone comunque estranee ai lavori.
I Consiglieri comunali chiedono un parere in merito al diritto, agli stessi
negato dal Comune, di accedere a cantieri nei quali si stanno realizzando
alcune opere comunali, al fine di poter prendere visione personalmente dello
stato di attuazione delle stesse, nell’esercizio delle funzioni loro
proprie. Chiedono, altresì, che la Regione intervenga “affinché siano
rimossi gli ostacoli frapposti dal Comune […] nei confronti degli scriventi
Consiglieri Comunali”.
Preliminarmente, si osserva che non compete all’Amministrazione regionale
intervenire su questioni siffatte: lo scrivente Servizio in questa sede si
limita a fornire in via collaborativa delle considerazioni relative
all’inquadramento giuridico della problematica in oggetto.
Il diritto di accesso degli amministratori locali trova la sua fonte
normativa di riferimento nell’articolo 43, comma 2, del decreto legislativo
18.08.2000, n. 267, il quale attribuisce ai consiglieri il diritto di
ottenere dagli uffici del comune, nonché dalle sue aziende ed enti
dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili
all’espletamento del proprio mandato.
Il fondamento di tale diritto risiede nel fatto che le informazioni
acquisibili dagli amministratori dell’ente devono considerare l’esercizio,
in tutte le sue potenziali esplicazioni, della funzione di cui ciascun
amministratore è individualmente investito quale membro del consiglio. Di
qui la possibilità per ognuno di essi di compiere, attraverso la visione dei
provvedimenti adottati e l’acquisizione di informazioni, una compiuta
valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato
dell’amministrazione comunale, utile non solo per poter esprimere un voto
maggiormente consapevole sugli affari di competenza del consiglio, ma anche
per promuovere, nell’ambito del consiglio stesso, le varie iniziative
consentite dall’ordinamento ai membri di quel collegio
[1].
I consiglieri hanno infatti, a norma dell’articolo 43, commi 1 e 3, del
decreto legislativo n. 267/2000, diritto di iniziativa su ogni questione
sottoposta alla deliberazione del consiglio, hanno diritto di chiedere la
convocazione del consiglio e di presentare interrogazioni, mozioni e ogni
altra istanza di sindacato ispettivo, secondo la disciplina dettata dallo
statuto e dal regolamento consiliare.
L’esercizio delle funzioni di controllo è riconosciuto dall’ordinamento come
funzione generale al consiglio quale organo nel suo complesso, che può
avvalersi di commissioni consiliari appositamente istituite ai sensi
dell’articolo 44, comma 1, del decreto legislativo n. 267/2000, con funzioni
di controllo e di garanzia. Il comma 2 consente l’istituzione all’interno
dell’organo consiliare di commissioni di indagine sull’attività
dell’amministrazione, demandando allo statuto e al regolamento consiliare la
disciplina relativa a poteri, composizione e funzionamento.
Emerge di tutta evidenza che la normativa citata non contempla per i
consiglieri comunali competenze di tipo ispettivo da esercitarsi
singolarmente su attività materiali, tanto più che, trattandosi di cantieri,
spetta alle figure responsabili anche sotto il profilo delle norme in
materia di sicurezza, in relazione alle proprie competenze, valutare la
richiesta di accesso di persone comunque estranee ai lavori
[2].
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, non è configurabile un diritto
in senso stretto dei consiglieri comunali a visitare un cantiere dove si
svolgono lavori affidati dal Comune o ad effettuarvi un sopralluogo, atteso
che la legge nulla prevede per quanto riguarda tale evenienza, non potendo
quindi individuarsi un corrispondente obbligo dell'Amministrazione di
accogliere una richiesta in tal senso.
Ferma la mancanza di tale obbligo in capo al Comune, si ribadisce che
consentire o meno l‘accesso dei consiglieri comunali ai cantieri rientra
nella responsabilità dell’Amministrazione, la quale deve operare al riguardo
un’attenta ponderazione della normativa in materia di sicurezza, tenendo
anche in debita considerazione i provvedimenti dalla stessa adottati in
attuazione del D.Lgs. 09.04.2008, n. 81.
---------------
[1] Si veda, tra le altre, TAR Campania Salerno, sez. II, sentenza del 04.04.2019, n. 545 la quale recita: “Le istanze di accesso avanzate dai
componenti dei consigli comunali presentano una loro specificità rispetto a
quella della generalità dei cittadini, essendo ai primi riconosciuti ampi
poteri ai sensi dell'art. 43 D.Lgs. n. 267/2000. In particolare, il diritto
di accesso dei consiglieri comunali, nella sua tendenziale
onnicomprensività, è strettamente funzionale all'esercizio delle funzioni di
indirizzo e controllo degli atti degli organi decisionali dell'ente locali,
consentendo loro di valutare, con piena cognizione, la correttezza e
l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione e di promuovere le iniziative
che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale, e quindi si
configura come significativa espressione del principio democratico
dell'autonomia locale e della rappresentanza responsabile della
collettività.
[2] In questo senso si è espressa anche l’ANCI in un parere del 26.10.2005 nel quale, in coerenza con quanto sopra già espresso, ha osservato che:
“Si ritiene comunque che competa ai consiglieri comunali la più ampia
facoltà ai sensi dell’art. 43 tuel di prendere visione ed estrarre copia di
atti e documentazione amministrativa che si trovi presso gli uffici
comunali. Sulla base di tali principi si può pertanto ritenere che competa
ai consiglieri comunali di visionare, chiedendone se del caso copia, gli
elaborati tecnici afferenti a lavori pubblici sussistendo, per converso, un
correlativo obbligo degli uffici di rilasciarli; - Non appare invece
ammissibile che tali stessi soggetti possano accedere, in forza della
qualifica posseduta, nei cantieri per effettuare attività di vigilanza; - Ai
consiglieri comunali l'ordinamento non assegna infatti poteri di "vigilanza"
o "controllo" di questo tipo (che semmai competono agli organi di polizia
municipale dell'ente)” (09.04.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
APPALTI: Gare, con l’esclusione
si perde la cauzione. L’incameramento è un atto
dovuto.
L'incameramento della cauzione provvisoria è un atto dovuto e automatico
conseguente all'esclusione dell'offerente e non è suscettibile di
apprezzamento in relazione a singoli casi concreti.
Lo ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 06.04.2020 n. 2264 con riguardo alla
disciplina dell'allora vigente decreto 163/2006.
Nel ricorso si sosteneva
che l'articolo 75 del decreto 163/2006 prevederebbe l'automatismo
dell'incameramento della garanzia provvisoria soltanto per impossibilità di
stipula del contratto per fatto ascrivibile all'aggiudicatario, mentre nel
caso in questione l'impresa aveva sempre tenuto un atteggiamento diligente e
«costantemente collaborativo» nei confronti della stazione appaltante.
I giudici hanno respinto il ricorso premettendo che l'articolo 75 prevede la
prestazione di una garanzia «a corredo dell'offerta», destinata a coprire
«la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario» (comma
6) e destinata ad essere «svincolata automaticamente al momento della
sottoscrizione del contratto medesimo».
Per il Consiglio di stato, la
funzione della garanzia è, infatti, quella, per un verso, di
responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese in sede
di gara e di garantire la serietà e l'affidabilità dell'offerta e, per altro
verso, di precostituire una forma di tutela, a favore della stazione
appaltante, per la mancata stipula del contratto.
L'incameramento della cauzione non si configura come una sanzione in senso
tecnico che colpisce il concorrente per il comportamento tenuto, ma come una
«obiettiva garanzia per il corretto adempimento degli obblighi assunti
dagli operatori economici in relazione a una partecipazione a una gara di
appalto, ivi compresa la dimostrazione del possesso, originario e
continuato, dei requisiti dichiarati in sede di offerta e per i quali è
avvenuta l'ammissione alla gara».
Pertanto, l'incameramento è conseguenza automatica del provvedimento di
esclusione, e, come tale, non suscettibile di valutazioni discrezionali da
parte dell'amministrazione in relazione ai singoli casi concreti: in
particolare, è insensibile ad eventuali valutazioni volte ad evidenziare la
non imputabilità a colpa della violazione che abbia dato causa
all'esclusione
(articolo ItaliaOggi del 10.04.2020).
---------------
MASSIMA
2.1.- Il motivo non ha pregio.
L’art. 75 del d.lgs. n. 163/2016, applicabile ratione temporis acti,
prevede la prestazione di una garanzia “a corredo dell’offerta”,
destinata a coprire “la mancata sottoscrizione del contratto per fatto
dell’affidatario” (comma 6) e destinata ad essere “svincolata
automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”.
Analoga previsione è oggi scolpita all’art. 93 del d.lgs. n. 50/2016, che
aggiunge la positiva denominazione di “garanzia provvisoria” e
puntualizza –recependo, con formula linguistica più comprensiva, la
consolidata elaborazione giurisprudenziale– che la copertura riguarda “ogni
fatto riconducibile all’aggiudicatario”.
La funzione di siffatta garanzia è, infatti, quella, per un verso, di
responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese in sede
di gara e di garantire la serietà e l'affidabilità dell'offerta e, per
altro verso, di precostituire una forma di tutela, a favore della
stazione appaltante, per l’eventualità che –per fatto (anche successivo alla
formulazione dell’offerta) comunque imputabile alla concorrente risultata
aggiudicataria– non si addivenga alla stipula del contratto.
L’escussione della cauzione provvisoria non concreta una sanzione in senso
tecnico che colpisca il concorrente per il comportamento tenuto, ma una
rappresenta una obiettiva garanzia per il corretto adempimento degli
obblighi assunti dagli operatori economici in relazione ad una
partecipazione ad una gara di appalto, ivi compresa la dimostrazione del
possesso, originario e continuato, dei requisiti dichiarati in sede di
offerta e per i quali è avvenuta la ammissione alla gara
(Cons. Stato, sez. V, 16.05.2018, n. 2896).
Per l’effetto, l'incameramento è conseguenza automatica del provvedimento di
esclusione, e, come tale, non suscettibile di valutazioni discrezionali da
parte dell'amministrazione in relazione ai singoli casi concreti: in
particolare, è insensibile ad eventuali valutazioni volte ad evidenziare la
non imputabilità a colpa della violazione che abbia dato causa
all'esclusione
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 24.01.2019, n. 589; Id., sez. V, 24.06.2019 n.
4328; Id., sez. V, 17.09.2018, n. 5424; Id., ad. plen. 29.02.2016, n. 5; Id.,
sez. V, 13.06.2016, n. 2531).
Nel caso di specie, i requisiti per la stipula del contratto, ancorché
effettivamente posseduti in sede di gara, sono venuti meno nelle more della
stipula del contratto, precludendone la stipula per fatto non imputabile
alla stazione appaltante e rientrante nel dominio della parte, che avrebbe
dovuto garantirne le necessaria continuità (cfr. Cons. Stato, sez. V,
31.12.2014, n. 6455).
Ne discende la correttezza dell’operato della stazione appaltante e
l’infondatezza delle formalizzate ragioni di doglianza. |
APPALTI:
Principio di invarianza – Art. 95, c. 15, d.lgs. n. 50/2016 –
Applicazione – Criteri di aggiudicazione automatica –
Criteri rimessi alla valutazione discrezionale della
commissione – Formula matematica utilizzata per la
valutazione e il confronto delle offerte dei partecipanti –
Valori fissi.
Il “principio di invarianza”, di cui
all’art. 95, c. 15 del d.lgs. n. 50/2016, che opera nel
senso della “cristallizzazione delle offerte” e della
“immodificabilità della graduatoria” ed integra un’espressa
eccezione all’ordinario meccanismo del regresso
procedimentale, per positiva irrilevanza delle
sopravvenienze, è destinato a trovare applicazione non
soltanto in presenza di criteri di aggiudicazione
automatici, come quello del “minor prezzo”, per i quali sia
previsto, anche ai fini della determinazione della soglia di
anomalia, il “calcolo di medie” (cfr. art. 97 del Codice),
ma anche nelle ipotesi di criteri rimessi alla valutazione
discrezionale della commissione valutatrice, come nel caso
della “offerta economicamente più vantaggiosa”, le quante
volte (come nel caso che debba procedersi, in base al
disciplinare di gara, secondo il metodo del c.d. confronto a
coppie) la formazione della graduatoria sia condizionata dal
meccanismo di “normalizzazione” del punteggio conseguito da
ciascun concorrente, attraverso il confronto parametrico con
quello dell’offerta migliore, che è alterato dalla modifica
della platea dei concorrenti da confrontare attraverso la
rideterminazione di valori medi
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.07.2019, n. 4789).
Per contro, la regola non può operare,
anzitutto per un limite di ordine positivo, nei casi in cui
“la formula matematica utilizzata per la valutazione e il
confronto delle offerte dei partecipanti, nei quali sia i
valori iniziali sia il risultato finale corrispondono a
valori fissi, non sottende alcuna media di dati o valori,
rimanendo per converso insensibile ad eventuali modifiche
determinate da provvedimenti giurisdizionali soltanto
l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte”
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 30.07.2018, n. 4664),
e ciò in quanto “in una siffatta eventualità,
dovrebbe trovare ex novo applicazione la suddetta formula in
relazione alle offerte rimaste in gara” (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 06.04.2020 n. 2257 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Termine
per proporre ricorso incidentale avverso l’ammissione del ricorrente
principale - Principio di invarianza e immodificabilità della graduatoria.
---------------
●
Processo amministrativo - Rito appalti – Ricorso incidentale avverso
ammissione del ricorrente principale – Dies a quo – Individuazione.
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Principio di invarianza – Art.
95, comma 15, d.lgs. n. 50 del 2016 – Aggiudicazione secondo il “metodo
aggregativo–compensatore di cui alle linee guida Anac approvate con Delibera
del consiglio n. 1005 del 21.09.2016” – Applicabilità.
●
Il dies a quo per proporre il ricorso incidentale avverso l’ammissione alla
gara del ricorrente principale decorre dalla conoscenza del provvedimento di
ammissione pubblicato sul profilo del committente e non, in applicazione del
principio dettato dall’art. 42, comma 1, c.p.a., dalla notifica del ricorso
principale (1).
●
Il principio di invarianza, di cui all’art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50 del
2016, trova applicazione nel caso in cui il criterio di valutazione delle
offerte, quale individuato dal disciplinare di gara, faccia capo al “metodo
aggregativo–compensatore di cui alle linee guida Anac approvate con Delibera
del consiglio n. 1005 del 21.09.2016”, in base ad una predeterminata
formula; ed invero, pur trattandosi di criterio non automatico, in quanto
orientato alla individuazione tecnico-discrezionale dell’offerta
economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto qualità/prezzo,
lo stesso è destinato ad operare (in virtù del richiamo al metodo
aggregativo-compensatore e alla interpolazione lineare) attraverso la
quantificazione di medie, condizionate dal numero dei concorrenti e dalle
modalità di formulazione dell’offerta; si tratta, perciò, di fattispecie in
cui è destinata ad operare, in base alle riassunte premesse, la regola della
“cristallizzazione delle medie”, non solo ai (meri) fini della
determinazione della soglia di anomalia (art. 97 del Codice), ma anche ai
(più comprensivi) fini del divieto di regressione procedimentale, che
implica l’immodificabilità della graduatoria anche all’esito della
estromissione di uno dei concorrenti la cui offerta aveva concorso alla
elaborazione dei punteggi (2).
---------------
(1)
Cons. Stato, sez. V, 23.08.2018, n. 5036. Contra
Cons. Stato, sez. III, 27.03.2018, n. 1902.
Ha chiarito la Sezione la presunzione assoluta di insorgenza immediata
dell’interesse a ricorrere, che discende dall’onere di immediata
impugnazione dell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. di suo conduce non solo alla
successiva non configurabilità di un ricorso incidentale escludente a valle
dell’impugnazione principale dell’aggiudicazione, com’è testualmente detto
allo stesso comma 2 bis, penultimo periodo («L’omessa impugnazione
preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi
atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale»); ma
anche alla non configurabilità di analogo strumento, in senso proprio, come
risposta a un ricorso immediato avverso l’altrui ammissione proposto in base
al comma 2-bis, primo periodo, seconda parte.
Infatti, l’interesse a proporre un ricorso incidentale sorge soltanto per
effetto dell’avvenuta proposizione del ricorso principale (art. 42, comma 1,
c.p.a.: «Le parti resistenti e i controinteressati possono proporre
domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via
principale, a mezzo di ricorso incidentale»).
Qui la presunzione assoluta e generalizzata di interesse a ricorrere per
tutti i concorrenti anticipa figurativamente questa insorgenza
dell’interesse a ricorrere “escludente” al momento ufficiale della
conoscenza di quell’ammissione.
Sicché la medesima ragione che preclude una reiterazione nel tempo
dell’interesse a ricorrere, che si è vista per il primo ricorso, preclude
una reiterazione per quello che altrimenti sarebbe un ricorso incidentale.
Anche per l’impresa di cui si contesta la legittimazione alla gara opera da
subito la presunzione di interesse a contestare in giudizio l’ammissione
dell’impresa che muove questa contestazione. In forza della presunzione,
simile, simmetrico e simultaneo è il loro interesse alla reciproca
esclusione: e questo, per virtuale che sia, tiene ormai luogo di ogni altra
effettiva, successiva insorgenza di utilità a quei medesimi riguardi.
In termini pratici segue che l’impresa che immagina un’altrui contestazione
della propria legittimazione alla gara dispone, per muovere una simmetrica
contestazione in giustizia, dello stesso termine di trenta giorni per
ricorrere e dal medesimo dies a quo. E il suo –se segue l’altro– non
sarà comunque un ricorso incidentale, ma un ricorso formalmente autonomo:
anche se, appunto, in risposta a un ricorso senza il quale non lo avrebbe
mosso e comunque a quello stesso connesso.
Le conclusioni che precedono hanno, del resto, trovato puntuale conferma
nella sentenza
Cons. Stato, A.P., 26.04.2018, n. 4, la quale ha chiarito:
a) che l’omessa attivazione del rimedio processuale entro il
termine di trenta giorni preclude al concorrente non solo la possibilità di
dedurre le relative censure in sede di impugnazione della successiva
aggiudicazione, ma anche di paralizzare, mediante lo strumento del ricorso
incidentale, il gravame principale proposto da altro partecipante avverso la
sua ammissione alla procedura;
b) che una diversa lettura non potrebbe trarre contrario argomento
dal comma 6-bis dell’art. 120 cit. («La camera di consiglio o l’udienza
possono essere rinviate solo in caso di esigenze istruttorie, per integrare
il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale»)
che, nel contemplare espressamente la possibilità di proporre ricorsi
incidentali, potrebbe far propendere, a una prima lettura, per la permanenza
del potere di articolare in sede di gravame incidentale, vizi afferenti
l’ammissione alla gara del ricorrente principale anche dopo il decorso del
termine fissato dal comma 2-bis.
Invero, in senso contrario, va osservato che detta disposizione si
riferisce, in realtà, ai gravami incidentali che hanno ad oggetto non vizi
di legittimità del provvedimento di ammissione alla gara, ma un diverso
oggetto (es. lex specialis ove interpretata in senso presupposto
dalla ricorrente principale): diversamente opinando, si giungerebbe alla
conclusione non coerente con il disposto di cui al comma 2-bis di consentire
l’impugnazione dell’ammissione altrui oltre il termine stabilito dalla
novella legislativa.
Per tal via si violerebbe il comma 2-bis e la ratio sottesa al nuovo
rito specialissimo che, come sottolineato in sede consultiva dal Consiglio
di Stato (parere n. 782/2017 sul decreto correttivo al Codice degli appalti
pubblici) è anche quello di “neutralizzare per quanto possibile […]
l’effetto “perverso” del ricorso incidentale (anche in ragione della
giurisprudenza comunitaria e del difficile dialogo con la Corte di Giustizia
in relazione a tale istituto").
(2) Ha ricordato la Sezione che l’art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50
del 2016 (che riproduce la disposizione dell’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n.
163 del 2006, inserita dall’art. 39, d.l. 24.06.2014 n. 90, convertito dalla
l. 11.08.2014, n. 114) stabilisce che “ogni variazione che intervenga,
anche in conseguenza di una pronunzia giurisdizionale, successivamente alla
fase di ammissione, regolarizzazione od esclusione delle offerte non rileva
ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della
soglia di anomalia delle offerte”.
Siffatto “principio di invarianza”, che opera nel senso della “cristallizzazione
delle offerte” e della “immodificabilità della graduatoria” ed
integra un’espressa eccezione all’ordinario meccanismo del regresso
procedimentale, per positiva irrilevanza delle sopravvenienze, obbedisce
alla duplice e concorrente finalità:
a) di garantire, per un verso, continuità alla gara e stabilità ai
suoi esiti, onde impedire che la stazione appaltante debba retrocedere il
procedimento fino alla determinazione della soglia di anomalia delle
offerte, cioè di quella soglia minima di utile al di sotto della quale
l’offerta si presume senz’altro anomala, situazione che ingenererebbe una
diseconomica dilatazione dei tempi di conclusione della gara correlata a un
irragionevole dispendio di risorse umane ed economiche (Cons.
Stato, sez. III, 12.07.2018, n. 4286; id.
27.04.2018, n. 2579);
b) di impedire, o comunque vanificare, in prospettiva antielusiva,
la promozione di controversie meramente speculative e strumentali da parte
di concorrenti non utilmente collocatisi in graduatoria, mossi dall’unica
finalità, una volta noti i ribassi offerti e quindi gli effetti delle
rispettive partecipazioni in gara sulla soglia di anomalia, di incidere
direttamente su quest’ultima traendone vantaggio (Cons.
Stato, sez. III, 22.02.2017, n. 841).
In correlazione alla evidenziata ratio, la regola è destinata a trovare
applicazione non soltanto in presenza di criteri di aggiudicazione
automatici, come quello del “minor prezzo”, per i quali sia previsto,
anche ai fini della determinazione della soglia di anomalia, il “calcolo
di medie” (art. 97 del Codice), ma anche nelle ipotesi di criteri
rimessi alla valutazione discrezionale della commissione valutatrice, come
nel caso della “offerta economicamente più vantaggiosa”, le quante
volte (come nel caso che debba procedersi, in base al disciplinare di gara,
secondo il metodo del c.d. confronto a coppie) la formazione della
graduatoria sia condizionata dal meccanismo di “normalizzazione” del
punteggio conseguito da ciascun concorrente, attraverso il confronto
parametrico con quello dell’offerta migliore, che è alterato dalla modifica
della platea dei concorrenti da confrontare attraverso la rideterminazione
di valori medi (Cons.
Stato, sez. V, 09.07.2019, n. 4789).
Per contro, la regola non può operare, anzitutto per un limite di ordine
positivo, nei casi in cui “la formula matematica utilizzata per la
valutazione e il confronto delle offerte dei partecipanti, nei quali sia i
valori iniziali sia il risultato finale corrispondono a valori fissi, non
sottende alcuna media di dati o valori, rimanendo per converso insensibile
ad eventuali modifiche determinate da provvedimenti giurisdizionali soltanto
l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte” (Cons.
Stato, sez. V, 30.07.2018, n. 4664), e ciò in quanto “in una
siffatta eventualità, dovrebbe trovare ex novo applicazione la suddetta
formula in relazione alle offerte rimaste in gara”
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 06.04.2020 n. 2257 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Commistione
fra criteri soggettivi di prequalificazione
e quelli oggettivi afferenti alla
valutazione dell'offerta.
Il TAR Milano, con
riferimento alla commistione fra criteri
soggettivi di prequalificazione e quelli
oggettivi afferenti alla valutazione
dell'offerta, precisa che:
“In base a quanto previsto nell’art. 36 del
Codice dei Contratti, l'affidamento e
l'esecuzione di servizi di importo inferiore
alle soglie comunitarie, deve infatti
avvenire, tra l’altro, nel rispetto dei
principi di economicità, efficacia,
tempestività, correttezza, libera
concorrenza, non discriminazione,
trasparenza, proporzionalità, e di
pubblicità, nel cui ambito, va ricompreso
anche il divieto di commistione fra criteri
soggettivi di prequalificazione e quelli
oggettivi afferenti alla valutazione
dell'offerta.
Sul punto, il Collegio intende evidenziare
come detto divieto non debba essere
applicato in modo meccanicistico, dovendosi
infatti temperarne la portata qualora
determinati requisiti di partecipazione, pur
se attinenti alle caratteristiche soggettive
dell’offerente, siano tuttavia idonei ad
essere apprezzati quale garanzia della
prestazione del servizio, in quanto
incidenti sulle modalità esecutive dello
stesso, e quindi, come parametro idoneo ad
esprimere talune caratteristiche oggettive
dell'offerta.
In particolare, il divieto di commistione
fra i criteri soggettivi di
pre-qualificazione e quelli oggettivi
afferenti alla valutazione dell'offerta, non
risulta eluso o violato allorché gli aspetti
soggettivi non siano destinati ad essere
apprezzati in quanto tali, in modo avulso
dal contesto dell'offerta, quanto invece,
quale garanzia della prestazione del
servizio, secondo le modalità prospettate, e
quindi, come parametro afferente le sue
caratteristiche oggettive”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.04.2020 n. 593 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
II) Quanto al merito, in via preliminare,
osserva il Collegio che, come espressamente
previsto dall’art. 6 dell’Avviso, mediante
lo stesso, il Comune ha dato luogo ad una “procedura
di selezione”, con i “criteri e
modalità di valutazione delle candidature”,
indicati nel successivo art. 7, al fine di
individuare un soggetto cui affidare la
redazione del progetto definitivo (v. art.
8), sulla base della proposta progettuale,
comprensiva del piano economico previsionale
(art. 4), presentati dai concorrenti in sede
di gara.
In particolare, il progetto definitivo, ed
il relativo piano economico, sarebbero stati
elaborati a seguito di una fase di “co-progettazione”,
sotto la Direzione del Settore Politiche
Sociali ed Educative del Comune di Cinisello
(art. 8 cit.), che alle scadenze previste,
avrebbe erogato i relativi fondi (art. 9).
III) Alla luce di quanto precede, ritiene il
Collegio che, al di là del nomen iuris,
e di talune espressioni letterali contenute
nell’Avviso, con la procedura che ne ha
formato oggetto, il Comune resistente ha in
sostanza dato luogo ad un confronto
competitivo, per l’affidamento di un
incarico di progettazione definitiva, e di
gestione del relativo servizio, a titolo
oneroso, sebbene connotato da talune
peculiarità, come detto, consistenti nella
redazione congiunta del progetto, ad opera
del concorrente vincitore e dell’Ente
Locale, sulla base della “proposta
progettuale” e del quadro economico
presentati dai concorrenti in sede di gara.
IV.1) Conseguentemente, ritiene il Collegio
che la previsione, nell’ambito dei criteri
di valutazione, di attribuire alla voce “curriculum
dell’organismo candidato”, un punteggio
di poco superiore a quello assegnato al
progetto preliminare offerto, è
irragionevole e discriminatoria, dovendosi
conseguentemente accogliere il ricorso.
In base a quanto previsto nell’art. 36 del
Codice dei Contratti, l'affidamento e
l'esecuzione di servizi di importo inferiore
alle soglie comunitarie, deve infatti
avvenire, tra l’altro, nel rispetto dei
principi di economicità, efficacia,
tempestività, correttezza, libera
concorrenza, non discriminazione,
trasparenza, proporzionalità, e di
pubblicità, nel cui ambito, va ricompreso
anche il divieto di commistione fra criteri
soggettivi di prequalificazione e quelli
oggettivi afferenti alla valutazione
dell'offerta (TAR Campania, Napoli, Sez.
VIII, 06.03.2017, n. 1293).
IV.2) Sul punto, il Collegio intende
evidenziare come detto divieto non debba
essere applicato in modo meccanicistico,
dovendosi infatti temperarne la portata
qualora determinati requisiti di
partecipazione, pur se attinenti alle
caratteristiche soggettive dell’offerente,
siano tuttavia idonei ad essere apprezzati
quale garanzia della prestazione del
servizio, in quanto incidenti sulle modalità
esecutive dello stesso, e quindi, come
parametro idoneo ad esprimere talune
caratteristiche oggettive dell'offerta (TAR
Puglia, Bari, Sez. I, 05.12.2011, n. 1842).
In particolare, il divieto di commistione
fra i criteri soggettivi di
pre-qualificazione e quelli oggettivi
afferenti alla valutazione dell'offerta, non
risulta eluso o violato allorché gli aspetti
soggettivi non siano destinati ad essere
apprezzati in quanto tali, in modo avulso
dal contesto dell'offerta, quanto invece,
quale garanzia della prestazione del
servizio, secondo le modalità prospettate, e
quindi, come parametro afferente le sue
caratteristiche oggettive (TAR Campania,
Napoli, n. 1293/2017 cit.). |
APPALTI: Esclusione
dalla gara per sequestro penale preventivo dei conti correnti e crediti ex
art. 321 c.p..
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara –
Sequestro penale preventivo dei conti correnti e crediti ex art. 321 c.p. -
Art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 – Inapplicabilità.
Il sequestro penale preventivo dei conti correnti e
crediti ex art. 321 c.p. non può ricomprendersi tra le cause di esclusione
di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, che
ricomprende situazioni oggetto di valutazione discrezionale da parte della
stazione appaltante, se sussumibili nella categoria di “gravi illeciti
professionali, tali da rendere dubbia la (sua) integrità o affidabilità”
dell’operatore economico (1)
---------------
(1) Ha chiarito la Sezione che il concetto di “grave illecito
professionale” costituisce un tipico concetto giuridico indeterminato e
che la norma ha carattere esemplificativo, non descrive la fattispecie
astratta in maniera esaustiva, ma rinvia, per la sussunzione del fatto
concreto nell'ipotesi normativa, all'integrazione dell'interprete, che
utilizza allo scopo elementi o criteri extragiuridici.
La norma, in altri termini, rimette alla valutazione discrezionale della
stazione appaltante l’individuazione di inadempienze tali da minare il
vincolo fiduciario che deve sussistere tra le parti (Cons.
St., sez. III, 11.06.2019, n. 3908).
Pertanto, è stato affermato, che la stazione appaltante ben può attribuire
rilevanza ad ogni tipologia di illecito che per la sua gravità, sia in grado
di minare l'integrità morale e professionale del concorrente. Il concetto di
“grave illecito professionale” ricomprende, infatti, ogni condotta,
collegata all'esercizio dell'attività professionale, contraria ad un dovere
posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o
amministrativa (Cons.
St., sez. III, 05.09.2017, n. 4192).
La Sezione
(27.12.2018, n. 7231) ha già ritenuto, ad es., ai sensi dell’art.
80, comma 5, lett. c), incondizionatamente doverosa la dichiarazione di
episodi risolutivi di precedenti rapporti contrattuali, ancorché sub
iudice, poiché il potere valutativo dell’Amministrazione può
estrinsecarsi solo sulla base di dichiarazioni complete degli operatori
economici partecipanti alle gare, che devono, dunque dichiarare ogni
episodio della vita professionale astrattamente rilevante ai fini della
esclusione, pena la impossibilità per la stazione appaltante di verificare
l'effettiva rilevanza di tali episodi sul piano della "integrità
professionale" dell'operatore economico.
Si tratta, evidentemente, di pregresse vicende professionali in cui, per
varie ragioni, è stata contestata una condotta contraria a norma o,
comunque, si è verificata la rottura del rapporto di fiducia con altre
stazioni appaltanti (Cons.
St., sez. V, 04.02.2019, n. 827; id.
16.11.2018, n. 6461; id.
24.09.2018, n. 5500; id.
03.09.2018, n. 5142; id.
17.07.2017, n. 3493; id.
06.07.2017, n. 3288; id.
22.10.2015, n. 4870), non essendo configurabile in capo
all'impresa alcun filtro valutativo o facoltà di scegliere i fatti da
dichiarare (Cons.
St., sez. V, 25.07.2018, n. 4532; id.
11.06.2018, n. 3592; id.
19.11.2018, 6530).
Tra questi sono stati fatti rientrare, anche alla luce della direttiva
comunitaria, 2014/24/ del 26.02.2014: le significative carenze
nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che
ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio,
ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una
condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di
influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante
o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il
fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili
di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione
ovvero l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento
della procedura di selezione (Cons.
St., sez. III, 12.12.2018, n. 7022).
Nella specie, il sequestro preventivo è stato disposto per violazioni
tributarie, relative al debito IVA, che non sono direttamente riconducibili
all’affidabilità nello svolgimento dell’attività professionale e alla lealtà
nel rapporto contrattuale, nulla togliendo alla innegabile gravità del
comportamento dal punto di vista dell’ordinamento, la cui rilevanza tuttavia
è compiutamente considerata dallo stesso art. 80, commi 1 e 4, nei limiti e
alle condizioni ivi specificate.
La rilevanza di indagini penali in atto, in ogni caso, ai fini della
fattispecie prevista dal comma 5, lett. c), andrebbe sempre valutata in
relazione alla categoria “grave violazione professionale”.
In quest’ottica, non sembra conducente il precedente citato dall’appellante
(Cons.
St., sez. V, 20.03.2019, n. 1846) che attiene ad una fattispecie
del tutto singolare, la fornitura in favore della Procura della Repubblica
del servizio di intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali, per
cui il bando richiedeva una serie di informazioni al fine di assicurare la
sussistenza, in capo ai concorrenti del "massimo grado di onorabilità,
sicurezza e affidabilità”.
In quel caso, le indagini penali in corso riguardavano un concorrente
indagato per reato informatico, per aver "custodito in un proprio
archivio riservato le tracce informatiche relative a una enorme quantità di
conversazioni telefoniche /ambientali/telematiche per la cui intercettazione
era stata incaricata da numerose AA.GG. e ciò in assenza di autorizzazione e
quindi in violazione di legge”. E’ evidente, in quel caso, che la
violazione per la quale risultava pendente l’indagine penale riguardava
direttamente l’oggetto delle prestazioni dell’appalto da aggiudicare.
Alla luce delle considerazioni che precedono, in definitiva, tutt’al più,
dalla nota integrativa del bilancio 2017 di E-Care s.p.a. è rilevabile
l’esistenza di una indagine penale che né alla data di presentazione
dell’offerta, né dopo, risulta essere sfociata nella adozione di
provvedimenti di condanna definitivi, per le ipotesi di reato che ai sensi
dell’art. 80, comma 1, conducono all’esclusione dalla gara.
Né si è in presenza di accertamenti tributari definitivi, ai sensi del comma
4 dell’art. 80. Neppure si è in presenza di gravi illeciti professionali, ex
comma 5, lett. c), dell’art. 80, non trattandosi di procedimento penale per
fatti e comportamenti particolarmente significativi sotto il profilo della
capacità e lealtà professionale
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 02.04.2020 n. 2245 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: All’Adunanza
plenaria diverse quesiti sui termini per ricorrere nel c.d. rito appalti.
La quinta sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria
alcuni quesiti interpretativi diretti a chiarire la disciplina della
decorrenza dei termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione e degli atti
di gara nel c.d. rito appalti.
---------------
Giustizia amministrativa – Appalti – Impugnazione degli atti di gara –
Dies a quo – Deferimento all’Adunanza plenaria
Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato le seguenti questioni:
a) se il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa
decorrere di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra
cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni
tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte
presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del D.Lgs.
n. 50 del 2016;
b) se le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art.
76 del D.Lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere
ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per
accertarne altri consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti,
eccettuata l’ipotesi da considerare patologica –con le ovvie conseguenze
anche ai soli fini di eventuali responsabilità erariale– della omessa o
incompleta pubblicazione prevista dal già citato articolo 29;
c) se la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non
sia giammai idonea a far slittare il termine per la impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione, che decorre dalla pubblicazione ex art. 29
ovvero negli altri casi patologici dalla comunicazione ex art. 76, e
legittima soltanto la eventuale proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se
essa comporti la dilazione temporale almeno con particolare riferimento al
caso in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei
documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero dalle
giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento di verifica
dell’anomalia dell’offerta;
d) se dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120,
comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di
gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex
art. 78 del D.Lgs. n. 50 del 2018) ovvero dalla conoscenza comunque
acquisita del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due
modi (di conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed
equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa
ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità
secondaria o subordinata e meramente complementare;
e) se in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in
precedenza sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29 del D.Lgs.
n. 50 del 2016 debba considerarsi rientrante in quelle modalità di
conoscenza aliunde;
f) se idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione debbano considerare quelle forme di
comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e
accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla
procedura di gara (1).
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(1) I. – La quinta sezione del Consiglio di Stato rimette
all’Adunanza plenaria i cinque quesiti indicati nella massima, relativi alla
disciplina dei termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione e degli atti
di gara nel c.d. rito appalti.
In particolare, sono rimesse al vaglio della plenaria le seguenti questioni:
- se il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere dalla
pubblicazione generalizzata degli atti di gara, compresi i verbali di gara;
- se le informazioni previste dall’art. 76 del d.lgs. 19.04.2016, n. 50,
nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i
vizi già individuati o per accertarne altri, consentano la sola proposizione
dei motivi aggiunti, salva la patologica ipotesi della omessa o incompleta
pubblicazione prevista dall’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
- se la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia
idonea a far slittare il termine per l’impugnazione del provvedimento di
aggiudicazione e legittimi solo la proposizione di motivi aggiunti ovvero se
essa comporti la dilazione temporale, almeno con riferimento alle ipotesi in
cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che
completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni da
questi rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta;
- se la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a., che fa decorrere il
termine per l’impugnazione degli atti di gara dalla comunicazione
individuale o dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, debba
intendersi nel senso che essa indica due modi di conoscenza e due momenti di
decorrenza equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la
comunicazione principale possa ritenersi modalità principale e prevalente e
la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente
complementare;
- se, in ogni caso, la pubblicazione degli atti di gara, ai sensi dell’art.
29 del d.lgs. n. 50 del 2016, debba considerarsi rientrante tra le modalità
di conoscenza aliunde; se le forme di comunicazione e pubblicità
individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori
economici ai fini della partecipazione alla procedura di gara siano idonee a
far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di
aggiudicazione.
II. – La controversia muove da una procedura di gara per
l’aggiudicazione del servizio di pulizia in uffici delle società del gruppo
GSE di durata quinquennale. La seconda classificata, dopo aver prelevato la
determinazione dal Sistema dinamico di acquisizione della pubblica
amministrazione ex art. 55 del d.lgs. n. 50 del 2016 (29 ottobre) e dopo
averne acquisita lettura (30 ottobre), riceveva, via pec, in data 6
novembre, la copia del provvedimento di aggiudicazione. Proponeva quindi
ricorso avverso tale atto, notificandolo in data 6 dicembre.
In primo grado, il Tar per il Lazio, sez. III-ter, 18.03.2019, n. 3552,
dichiarava irricevibile il ricorso, rilevando che:
a) l’art. 120, comma 5, c.p.a. deve essere letto in coerenza con i
principi di carattere generale sul decorso dei termini di decadenza per
l’impugnazione giurisdizionale degli atti e dei provvedimenti
amministrativi, che attribuiscono prevalenza alla loro effettiva conoscenza
anche rispetto a quella derivante dalla loro comunicazione;
b) secondo la giurisprudenza amministrativa il termine per
impugnare i provvedimenti delle procedure di affidamento di appalti pubblici
decorre, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a., dalla notificazione,
comunicazione o piena conoscenza dell’atto e ciò anche se non siano
rispettate le particolari forme di comunicazione di detti provvedimenti
previste dall’art. 79 d.lgs. 12.04.2006, n. 163, perché non è impedita
la piena conoscenza degli stessi con altre forme, secondo quanto previsto
dall’art. 120 c.p.a.;
c) nel caso di specie era stata fornita prova certa della
conoscenza da parte del ricorrente del provvedimento di aggiudicazione.
La sentenza era quindi impugnata dalla seconda classificata.
III. – Il collegio, dopo aver descritto la vicenda processuale e le
argomentazioni delle parti, ha osservato quanto segue:
d) i motivi di ricorso proposti richiedono di
esaminare una pluralità di questioni che interessano:
d1) l’esatta individuazione del termine per impugnare il provvedimento di
aggiudicazione dei procedimenti di affidamento degli appalti pubblici;
d2) le forme e le modalità della comunicazione di aggiudicazione e
l’ammissibilità della piena ed effettiva conoscenza del provvedimento di
aggiudicazione attraverso forme alternative (ed equipollenti) alla
comunicazione;
e) sulla questione del dies a quo per l’impugnazione del provvedimento di
aggiudicazione, secondo un orientamento giurisprudenziale, occorre
distinguere a seconda che l’amministrazione abbia inviato una comunicazione
completa ed esaustiva dell’aggiudicazione –nel qual caso il termine di
trenta giorni decorre dalla comunicazione del provvedimento di
aggiudicazione– ovvero si sia limitata a rendere noti l’avvenuta
aggiudicazione della procedura e il nominativo dell’aggiudicatario – nel
qual caso ai fini della decorrenza del termine si deve tener conto della
necessità dell’interessato di conoscere gli elementi tecnici dell’offerta
dell’aggiudicatario e, in generale, gli atti della procedura di gara per
poter
apprezzare compiutamente le ragioni di preferenza della stazione appaltante
e verificare la sussistenza di eventuali vizi del suo operato;
f) con riferimento alla rilevanza dell’accesso agli atti della procedura di
gara ai fini della decorrenza del termine per impugnare l’aggiudicazione:
f1) secondo le previsioni dell’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, l’accesso
poteva avvenire entro dieci giorni dalla comunicazione mediante visione ed
estrazione di copia, senza la necessità di un’apposita istanza e di un
formale provvedimento di ammissione, con la conseguenza che la
giurisprudenza ha ritenuto che il termine di trenta giorni per
l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione dovesse essere
incrementato di un numero di giorni, massimo dieci, pari a quello necessario
per avere piena conoscenza e contezza dell’atto e dei relativi profili di
illegittimità, ove questi non fossero oggettivamente evincibili dalla
comunicazione di aggiudicazione;
f2) qualora la stazione appaltante abbia rifiutato illegittimamente
l’accesso o abbia adottato comportamenti dilatori il termine per
l’impugnazione non inizia neppure a decorrere e il potere di impugnare non
si consuma se non dal momento in cui l’accesso sia effettivamente
consentito;
f3) tale orientamento ha trovato conferma anche a seguito dell’entrata in
vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ritenendosi che il rinvio, tuttora
contenuto nell’art. 120, comma 5, c.p.a., all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del
2006, sia da intendersi, a seguito dell’abrogazione di quest’ultimo, al
primo;
f4) a causa, tuttavia, del diverso contenuto letterale delle due
disposizioni si è affermato che la dilazione temporale, fissata in dieci
giorni per l’accesso informale ai documenti di gara ex art. 79, comma
5-quater, del d.lgs. n. 163 del 2006, debba ora essere ragionevolmente
ritenuta in quindici giorni, termine previsto dal comma 2 dell’art. 76 per
la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza
dell’interessato;
g) secondo un diverso e più rigoroso orientamento, per effetto del tenore
letterale dell’art. 120, comma 5, c.p.a., il termine per l’impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione è sempre di trenta giorni e decorre in ogni
caso dalla ricezione della comunicazione dell’avvenuta aggiudicazione
proveniente dalla stazione appaltante ovvero, in mancanza, dalla conoscenza
dell’aggiudicazione che l’interessato abbia comunque acquisito per altra
via;
g1) la distinzione tra vizi evincibili dal provvedimento comunicato e vizi
percepibili aliunde ai fini della decorrenza del termine non avrebbe
riscontro nel diritto positivo;
g2) la tutela giurisdizionale dei vizi dell’aggiudicazione conosciuti dopo
la sua comunicazione è sempre garantita dalla proponibilità dei motivi
aggiunti;
h) quanto alle forme e alle modalità della comunicazione di aggiudicazione
il termine per l'impugnativa dell'aggiudicazione, secondo la giurisprudenza:
h1) non decorre prima che la comunicazione di questa sia fatta secondo le
inderogabili forme del comma 5-bis dell’art. 79 del d.lgs. n. 50 del 2016;
h2) decorre, in base alla regola generale fissata dall'art. 41, comma 2,
c.p.a., dalla notificazione, comunicazione, o piena conoscenza dell'atto, e
ciò anche in mancanza delle particolari forme di comunicazione di detti
provvedimenti ai sensi dell'art. 79 cit., perché ciò non impedisce che la
loro conoscenza sia acquisita con altre forme, come prevede l’art. 120
c.p.a. che non dispone forme di comunicazione esclusive e tassative;
i) la normativa vigente prevede che:
i1) all’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016, fissando i principi di
trasparenza cui devono essere improntate le procedure di affidamento degli
appalti pubblici, “Tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e
degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere,
servizi e forniture, nonché alle procedure per l’affidamento di appalti di
servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione,
di concorsi di idee e di concessione, compresi quelli tra enti nell’ambito
del settore pubblico di cui all’articolo 5, alla composizione della
commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti ove non
considerati riservati ai sensi dell’articolo 53 ovvero secretati ai sensi
dell’articolo 162, devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del
committente, nella sezione “Amministrazione trasparente”, con l’applicazione
delle disposizioni di cui decreto legislativo 14.03.2013, n. 33”,
aggiungendo che “Fatti salvi gli atti a cui si applica l’articolo 73, comma
5, i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione
decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente”;
i2) all’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016: “Le stazioni appaltanti, nel
rispetto delle specifiche modalità di pubblicazione stabilite dal presente
codice, informano tempestivamente ciascun candidato e ciascun offerente
delle decisioni adottate riguardo alla conclusione di un accordo quadro,
all’aggiudicazione di un appalto o all’ammissione di un sistema dinamico di
acquisizione, ivi compresi i motivi dell’eventuale decisione di non
concludere un accordo quadro o di non aggiudicare un appalto per il quale è
stata indetta una gara o di riavviare la procedura o di non attuare un
sistema dinamico di acquisizione", e al secondo comma: “Su richiesta
scritta dell’offerente e del candidato interessato, l’amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni
dalla ricezione della richiesta: a) ad ogni offerente, i motivi del rigetto
della sua offerta, inclusi, per i casi
di cui all’articolo 68, commi 7 e 8, i motivi della decisione di non
equivalenza o della decisione secondo cui i lavori, le forniture o i servizi
non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti funzionali; a-bis) ad ogni
candidato escluso, i motivi del rigetto ella sua domanda di partecipazione;
b) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara e
valutata, le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta selezionata e il nome
dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o delle parti dell’accordo
quadro; c) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara
e valutata, lo svolgimento e l’andamento delle negoziazioni e del dialogo
con gli con gli offerenti”.
Il successivo comma 5 dispone che: “le stazioni
appaltanti comunicano d’ufficio immediatamente e comunque entro un termine
non superiore a cinque giorni: a) l’aggiudicazione, all’aggiudicatario, al
concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno
presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura offerta
siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione o
sono in termini per presentare impugnazione, nonché a coloro che hanno
impugnato il bando o la lettera d’invito, se tali impugnazioni non siano
state respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva; b) l’esclusione ai
candidati e agli offerenti esclusi; c) la decisione di non aggiudicare un
appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, a tutti i candidati; d)
la data di stipula del contratto con l’aggiudicazione, ai soggetti di cui
alla lettera a) del presente comma”.
Infine, il sesto comma 6 dell’articolo
in esame precisa che: “Le comunicazioni di cui al comma 5 sono fatte
mediante posta elettronica certificata o strumento analoga negli Stati
membri. Le comunicazioni di cui al comma 5, lettera a) e b), indicano la
data di scadenza del termine dilatorio per la stipulazione del contratto”;
i3) all’art. 120, comma 5, c.p.a.: “Per l’impugnazione degli atti di cui al
presente articolo il ricorso, principale e incidentale e i motivi aggiunti,
anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti
nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale, e per i
motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79
del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 o, per i bandi e gli avvisi
con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui
all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso,
dalla conoscenza dell’atto”;
j) il codice del 2016, a differenza di quello del 2006, prevede non solo
l’obbligo generalizzato di pubblicazione sul profilo del committente di
tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti
aggiudicatari delle procedure di affidamento degli appalti pubblici, ma
anche che, fatti salvi gli atti a cui si applica l’art. 73, comma 5, “i
termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione
decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente”;
k) l’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, pur avendo la stessa ratio dell’art.
79 del codice del 2006, non contiene alcuna previsione circa il fatto che
quelle comunicazioni facciano decorre il termine per l’impugnazione
dell’aggiudicazione, né disciplina la speciale forma di accesso informale;
l) si può dubitare dell’interpretazione dell’art. 120, comma 5, c.p.a., nel
senso di ritenere semplicemente sostituito il richiamo all’art. 79 del
codice del 2006 con quello all’art. 76 del codice del 2016;
m) dal punto di vista sistematico, secondo il collegio:
m1) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre di norma dalla
pubblicazione generalizzata degli atti di gara, compresi i verbali di gara,
in coerenza con la previsione dell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
m2) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del
d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori
elementi per apprezzare i vizi già individuati o per accertarne altri,
consentono la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi
della omessa o incompleta pubblicazione;
m3) la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine
per l’impugnazione degli atti di gara dalla comunicazione individuale o
dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, deve intendersi nel
senso che indica due modi di conoscenza e due momenti di decorrenza
equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione
individuale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza
aliunde secondaria o subordinata e meramente complementare;
m4) in ogni caso, la pubblicazione degli atti di gara, ai sensi dell’art. 29
del d.lgs. n. 50 del 2016, deve considerarsi rientrante in quelle modalità
di conoscenza aliunde;
m5) le forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis
di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della partecipazione
alla procedura di gara devono ritenersi idonee a far decorrere il termine
per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione;
m6) rimane il dubbio nelle ipotesi in cui l’esigenza di proporre il ricorso
emerga solamente dopo aver conosciuto i contenuti dell’offerta
dell’aggiudicatario ovvero anche, come spesso accade, le giustificazioni
rese dall’aggiudicatario nell’ambito del sub procedimento di verifica
dell’anomalia dell’offerta, documentazione per la quale non è prevista la
pubblicazione. In tali casi occorrerà valutare se il termine per
l’impugnazione decorra dalla comunicazione dell’aggiudicazione, secondo
l’orientamento più rigoroso, ovvero se sia preferibile tener conto del tempo
necessario ad accedere alla
documentazione presentata in gara dall’aggiudicatario, specificando se ciò
debba avvenire nelle forme dell’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016
ovvero in quelle dell’accesso ordinario di cui agli artt. 22 ss. l. 07.08.1990, n. 241;
n) la soluzione da ultimo descritta, rimessa comunque alla valutazione
dell’Adunanza plenaria, appare più coerente con le esigenze di celerità dei
procedimenti di aggiudicazione di affidamenti di appalti pubblici e risulta
anche rispettosa della disciplina della trasparenza cui è ispirato il nuovo
codice dei contratti pubblici e, al contempo, non comprime irragionevolmente
la tutela giurisdizionale e assicura ugualmente l’efficacia dei ricorsi
giurisdizionali, cui è ispirata la disciplina eurounitaria;
n1) “il legislatore vuole che rapidamente sia risolto ogni dubbio sulla
legittimità dei provvedimenti assunti nell’ambito di una procedura di
evidenza pubblica”;
n2) “ma questo esige che sia dato alle parti un dies certus per poter far
valere in giudizio le proprie ragioni; il diritto di difesa, altrimenti,
resta compresso e il, pur previsto accesso al giudice, meramente simbolico”.
IV. – Per completezza si osserva quanto segue:
o)
Tar Puglia, Lecce, ordinanza, 02.03.2020, n. 297 (pubblicata in
data successiva alla camera di consiglio relativa all’ordinanza in rassegna
e non citata nella stessa, oggetto della
News US, n. 30 del 16.03.2020, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali), ha sollevato q.l.c.
dell’art. 120, comma 5, c.p.a., nella parte in cui fa decorrere, per il rito
appalti, il termine di trenta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti
dalla ricezione della comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 79
del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, per contrasto con il diritto di difesa e con
il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24
Cost. Alla citata News US si rinvia, in particolare: per l’analisi della
dottrina al § d); per la giurisprudenza sulla decorrenza del termine per
impugnare gli atti di gara della stazione appaltante anche in caso di
proposizione di istanza di accesso al § e); per la giurisprudenza sulla
decorrenza del termine per impugnare gli atti nel c.d. rito appalti e nel
processo amministrativo in generale ai §§ f), g), h); per l’analisi della
dottrina e della giurisprudenza sulla disciplina dei motivi aggiunti nel
c.p.a. al § i);
p) inopinatamente il legislatore non ha ancora coordinato e aggiornato la
disciplina contenuta nell’art. 120 c.p.a. al nuovo codice dei contratti
pubblici del 2016, ingenerando una situazione di grave confusione;
q) sulla decorrenza del termine per impugnare i provvedimenti delle
procedure di affidamento di appalti pubblici si vedano:
q1) in generale, sul rapporto con la regola della piena conoscenza dell’atto
prevista dall’art. 41 c.p.a., Cons. Stato, sez. III, 14.06.2017, n. 2925
(in Foro amm., 2017, 1227), secondo cui “Nel processo amministrativo il
termine per impugnare i provvedimenti adottati nelle procedure di
affidamento di contratti pubblici decorre, in base alla regola generale
fissata dall'art. 41 2° comma, c.p.a., dalla notificazione, comunicazione, o
piena conoscenza dell'atto, e ciò anche in mancanza delle particolari forme
di comunicazione di detti provvedimenti ai sensi dell'art. 79, d.leg. 12.04.2006, n. 163, perché tale circostanza non impedisce che la conoscenza
degli stessi, cui comunque l'art. 120, c.p.a. fa riferimento testuale, sia
acquisita con altre forme; in sostanza il cit. art. 120, 5° comma, cpa, non
prevedendo forme di comunicazione esclusive e «tassative», non incide sulle
regole processuali generali del processo amministrativo, con riferimento
alla possibilità che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del
termine di impugnazione, sia acquisita conforme diverse da quelle del cit.
art. 79”;
q2) nel senso che ai fini della decorrenza del termine sia necessario che
l’interessato conosca gli elementi tecnici dell’offerta e gli atti di gara
si vedano:
- Cons. giust. amm. reg. sic., 08.06.2017, n. 274 (in Foro amm.,
2017, 1339), secondo cui “La decorrenza del termine di impugnazione dalla
ricezione della comunicazione dell'aggiudicazione è una norma processuale,
stabilita dall'art. 120, 5° comma, c.p.a., che nessuna legge di gara può
disattendere, non essendo la materia nella disponibilità delle stazioni
appaltanti, pertanto, una clausola del bando che prevedesse un diverso
termine dovrebbe dichiararsi radicalmente nulla, per difetto assoluto di
attribuzione, ai sensi dell’art. 21-septies della l. n. 241 del 1990”;
- Cons.
Stato, sez. V, 27.04.2017, n. 1953 (in Foro amm., 2017, 845), secondo
cui “Nelle gare pubbliche, ai sensi dell'art. 79 5° e 5°-bis comma, d.leg.
12.04.2006, n. 163, il termine per l'impugnativa avverso
l'aggiudicazione non decorre prima che la comunicazione di questa sia fatta
secondo le inderogabili forme del 5° comma bis, e cioè con il corredo della
relativa motivazione, a sua volta espressa attraverso gli elementi di cui al
2° comma lett. c)”;
- Cons. Stato, sez. V, 13.02.2017, n. 592 (in Foro amm., 2017, 306; Appalti & Contratti, 2017, fasc. 3, 88), secondo cui “In
base al combinato disposto dell'art. 79, 5º e 5º comma bis, d.leg. 12.04.2006 n. 163, nelle gare pubbliche il termine per l'impugnativa avverso
l'aggiudicazione non decorre dalla comunicazione dell'avvenuta
aggiudicazione di cui al succitato 5º comma, lett. a), bensì dal momento in
cui, ai sensi del successivo 5º comma bis, la stazione appaltante comunica
in modo pieno la motivazione dell'aggiudicazione e, in particolare, gli
elementi di cui al 2º comma, lett. c); ciò comporta che per un verso le
concorrenti lese dall'aggiudicazione vengono onerate del compito di proporre
impugnativa entro un termine particolarmente breve (pari ad appena trenta
giorni) mentre per altro verso il termine a quo per l'impugnativa viene
fatto decorrere dal momento in cui le stesse dispongono di informazioni
adeguatamente dettagliate in ordine alle caratteristiche dell'offerta
dell'aggiudicataria, e ciò all'evidente fine di evitare che le imprese, lese
dall'aggiudicazione, si trovino in condizione di dover impugnare un
provvedimento di aggiudicazione del quale non conoscano le caratteristiche
effettive e in relazione al quale non siano in grado di articolare difese
compiute”; Cons. Stato, sez. V, 23.11.2016, n. 4916 (in Appalti &
Contratti, 2016, fasc. 12, 97);
- Cons. Stato, sez. V, 03.02.2016, n. 408
(in Foro amm., 2016, 309), secondo cui “In materia di appalti pubblici, ai
sensi dell'art. 120, 5º comma, c.p.a., il ricorso avverso il provvedimento
di aggiudicazione definitiva di regola deve essere proposto nel termine di
trenta giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui
all'art. 79 d.leg. 12.04.2006 n. 163, accompagnata dal provvedimento e
dalla relativa motivazione contenente almeno gli elementi di cui al 2º
comma, lett. c), dello stesso art. 79; di conseguenza, nel caso di
comunicazione incompleta, la conoscenza utile ai fini della decorrenza del
termine, coincide con la cognizione, acquisita in sede di accesso, degli
elementi oggetto della comunicazione dell'art. 79, senza che sia necessaria
l'estrazione delle relative copie”;
q3) sulla decorrenza del termine in caso di accesso agli atti in relazione
all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, si vedano, tra le altre: Cons.
Stato, 27.04.2017, n. 1953, cit.; Cons. Stato, sez. V, 13.02.2017,
n. 592, cit.; Cons. Stato, sez. V, 23.02.2015, n. 864 (in Appalti &
Contratti, 2015, fasc. 3, 76); Cons. Stato, sez. III, 28.08.2014, n.
4432 (in Appalti & Contratti, 2014, fasc. 9, 70), secondo cui “Va condiviso
il principio interpretativo, sostenuto dal consiglio di stato, sez. VI,
nell'ord. n. 790 dell'11.02.2013, secondo cui il termine di trenta
giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre
sempre dal momento della comunicazione, di cui al 2º e 5º comma dell'art.
79, d.leg. n. 163/2006, ma può essere «incrementato di un numero di giorni
pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso
dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e
dei relativi profili di illegittimità (laddove questi non fossero
oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione e -comunque-
entro il limite dei dieci giorni che il richiamato 5º comma quater fissa per
esperire la particolare forma di accesso -semplificato ed accelerato- ivi
disciplinata»”;
q4) sulla decorrenza del termine in caso di rifiuto della p.a. di consentire
l’accesso, si vedano, tra le altre:
- Cons. Stato, sez. III, 21.03.2016, n.
1143 (in Foro amm., 2016, 560), secondo cui “Nelle pubbliche gare d'appalto
il c.d. termine breve per l'impugnazione degli atti e/o provvedimenti che
non siano stati trasmessi unitamente alla comunicazione della decisione di
aggiudicazione e che costituiscono oggetto dell'accesso (id est: degli atti
non immediatamente conosciuti in occasione della comunicazione
dell'intervenuta aggiudicazione) può essere incrementato, al massimo, di
dieci giorni fermo restando che se la p.a. rifiuta illegittimamente di
consentire l'accesso, il termine non inizia a decorrere, gli atti non
visionati non si consolidano ed il potere di impugnare, dell'interessato
pregiudicato da tale condotta amministrativa, non si consuma”; Cons. Stato,
sez. V, 07.09.2015, n. 4144 (in Appalti & Contratti, 2015, fasc. 9,
72);
- Cons. Stato, sez. V, 06.05.2015, n. 2274 (in Guida al dir., 2015,
fasc. 24, 86, con nota di MASARACCHIA), secondo cui “Nella materia degli
appalti pubblici, nel caso in cui il concorrente escluso proponga ricorso
avverso il provvedimento di esclusione, egli è poi onerato di proporre il
ricorso per motivi aggiunti (per denunciare vizi già maturati al tempo in
cui l'atto in questione è stato adottato) entro l'ulteriore termine di
trenta giorni che decorre dal momento in cui ha avuto piena conoscenza degli
altri atti endoprocedimentali dai quali si possono desumere le ulteriori
doglianze e comunque non oltre il termine di quaranta giorni dalla
comunicazione del provvedimento di esclusione; quest'ultimo termine si
ottiene sommando quello di dieci giorni dalla comunicazione del
provvedimento di esclusione nel quale è consentito l'accesso semplificato e
accelerato agli atti ai sensi dell'art. 79, 5º comma quater, d.leg.
163/2006, sempre che l'amministrazione ovviamente ottemperi tempestivamente
all'istanza di accesso; analoga disciplina si applica, a fortiori, per
l'ipotesi di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione”;
- Cons. Stato,
sez. III, 07.01.2015, n. 25 (in Urbanistica e appalti, 2015, 1059, con
nota di TIMO; Giur. it., 2015, 698, con nota di SCOCA; Ragiusan, 2015, fasc.
374, 95); Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2014, n. 1250 (in Foro amm., 2014,
818).
Sulla conferma di tale orientamento anche a seguito dell’entrata in
vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ritenendosi che il rinvio, tuttora
contenuto nell’art. 120, comma 5, c.p.a., all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del
2006 sia da intendersi, a seguito dell’abrogazione di quest’ultimo, al
primo, si vedano: Cons. Stato, sez. V, 10.06.2019, n. 3879 (in Appalti &
Contratti, 2019, fasc. 7, 66); Cons. Stato, sez. V, 27.11.2018, n.
6725 (in Foro amm., 2018, 1938);
q5) sempre con riferimento al rapporto tra diritto di accesso e termine per
impugnare gli atti della procedura di gara, con riferimento al codice del
2016 e, precisamente, nel senso che il diverso tenore letterale delle due
disposizioni (art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006 e art. 76 d.lgs. n. 50 del
2016) comporti che la dilazione temporale debba essere ragionevolmente
intesa in quindici giorni, termine previsto dall’art. 76, comma 2, per la
comunicazione
delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato si vedano:
- Cons. Stato, sez. V, 20.09.2019, n. 6251 (in Guida al dir., 2019,
fasc. 42, 98, con nota di PONTE; Comuni d'Italia, 2019, fasc. 9, 77;
Gazzetta forense, 2019, 805), secondo cui “Ai sensi dell'art. 120 c.p.a., ai
fini della decorrenza del termine per impugnare gli atti di gara la stazione
appaltante non è più obbligata, nella comunicazione d'ufficio dell'avvenuta
aggiudicazione, a esporre le ragioni di preferenza dell'offerta aggiudicata,
ovvero, in alternativa, ad allegare i verbali della procedura; tuttavia, il
termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di
aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione ma può
essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché
il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena
conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità
ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata
comunicazione”;
- Cons. Stato, sez. V, 13.08.2019, n. 5717 (in Appalti &
Contratti, 2019, fasc. 9, 82), secondo cui “Secondo i principi di
effettività della tutela giurisdizionale, così come enucleati anche dalla
giurisprudenza della corte di giustizia dell'Unione europea, qualora la
stazione appaltante rifiuti illegittimamente di consentire l'accesso
(ovvero, in qualunque modo tenga una condotta di carattere dilatorio), il
potere d'impugnare non si consuma con il decorso del termine di legge, ma è
incrementato del numero di giorni necessari per poter acquisire i documenti
stessi, così che il termine di trenta giorni per l'impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della
comunicazione, ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a
quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso
dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e
dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente
evincibili dalla comunicazione”;
q6) sulla decorrenza del termine: in caso di invio della comunicazione al
domicilio o all’indirizzo di posta elettronica indicato negli atti di gara
(da intendersi come ragionevole presunzione non solo dell’avvenuta
conoscenza da parte del destinatario di quegli atti e del loro contenuto, ma
anche del fatto che tale conoscenza si sia verificata direttamente in capo
alla parte e non al suo difensore) Cons. Stato, sez. V, 22.05.2015, n.
2570 (in Foro amm., 2015, 1418); sulla inidoneità, ai fini della decorrenza
del termine, della pubblicazione della delibera di aggiudicazione all’albo
pretorio, Cons. Stato, sez. V, 23.11.2016, n. 4916 (in Appalti & Contratti,
2016, fasc. 12, 97);
r) nella giurisprudenza europea, sulla decorrenza del termine in relazione
alla conoscenza o alla conoscibilità della violazione di disposizioni:
r1)
Corte di giustizia UE, 14.02.2019, C-54/18, Soc. coop. animaz. Valdocco
(in Foro it., 2019, IV, 431, con nota di CONDORELLI; Urbanistica e appalti,
2019, 175, con nota di GROSSI; Giur. it., 2019, 1168, con nota di GALLO;
Rass. avv. Stato, 2018, fasc. 4, 27; Riv. giur. edilizia, 2019, I, 276; Riv.
giur. edilizia, 2019, I, 485, con nota di TAGLIANETTI; Foro amm., 2019, 187;
oggetto della
News US, n. 26 del 25.02.2019, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti, spec. § o), secondo cui, tra l’altro, “La direttiva 89/665/Cee
del consiglio, 21.12.1989, che coordina le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e
di lavori, come modificata dalla direttiva 2014/23/Ue del parlamento europeo
e del consiglio, 26.02.2014, e in particolare i suoi art. 1 e 2-quater,
letti alla luce dell'art. 47 della carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad
una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento
principale, che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle
amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla
partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici
debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di trenta
giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione
che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una
relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati
siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto
dell'Unione dagli stessi lamentata”; “La direttiva 89/665/Cee, come
modificata dalla direttiva 2014/23/Ue, e in particolare i suoi art. 1 e 2-quater, letti alla luce dell'art. 47 della carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad
una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento
principale, che prevede che, in mancanza di ricorso contro i provvedimenti
delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione degli offerenti alla
partecipazione alle procedure di appalto pubblico entro un termine di
decadenza di trenta giorni dalla loro comunicazione, agli interessati sia
preclusa la facoltà di eccepire l'illegittimità di tali provvedimenti
nell'ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi, in particolare
avverso le decisioni di aggiudicazione, purché tale decadenza sia opponibile
ai suddetti interessati solo a condizione che essi siano venuti o potessero
venire a conoscenza, tramite detta comunicazione, dell'illegittimità dagli
stessi lamentata”;
r2) Corte di giustizia UE, sez. V, 12.03.2015, C-538/13, eVigilio Ltd (in
Urbanistica e appalti, 2015, 893, con nota di VIVANI; Guida al dir., 2015,
fasc. 16, 92 (m), con nota di PONTE; Nuovo notiziario giur., 2016, 615, con
nota di BARBIERI) secondo cui solo nel caso in cui il concorrente si sia
trovato nella
impossibilità di presentare un ricorso avverso le condizioni di gara perché
queste ultime erano incomprensibili, gli è consentito di proporre ricorso
nei termini perentori fissati per la impugnazione della aggiudicazione;
r3) Corte di giustizia UE, 08.05.2014, C-161/13 (in Giurisdiz. amm., 2013, ant., 961; Urbanistica e
appalti, 2014, 1021, con nota di DE NICTOLIS; Nuovo notiziario giur., 2015,
205, con nota di BARBIERI), secondo cui “Gli art. 1, par. 1 e 3, nonché 2-bis, par. 2, ultimo comma, direttiva 92/13/Cee del Consiglio, del 25.02.1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative relative all'applicazione delle norme comunitarie in materia
di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli
enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel
settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66/Ce
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11.12.2007, devono essere
interpretati nel senso che il termine per la proposizione di un ricorso di
annullamento contro la decisione di aggiudicazione di un appalto deve
iniziare nuovamente a decorrere qualora sia intervenuta una nuova decisione
dell'amministrazione aggiudicatrice, adottata dopo tale decisione di
aggiudicazione ma prima della firma del contratto e che possa incidere sulla
legittimità di detta decisione di attribuzione; tale termine inizia a
decorrere dalla comunicazione agli offerenti della decisione successiva o,
in assenza di detta comunicazione, dal momento in cui questi ultimi ne hanno
avuto conoscenza; nel caso in cui un offerente abbia conoscenza, dopo la
scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, di
un'irregolarità asseritamente commessa prima della decisione di
aggiudicazione di un appalto, il diritto di ricorso contro tale decisione
gli è garantito soltanto entro tale termine, salvo espressa disposizione del
diritto nazionale a garanzia di tale diritto, conformemente al diritto
dell'Unione”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza 02.04.2020 n. 2215 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: All’Adunanza
plenaria la decorrenza dei termini di impugnazione nel rito appalti.
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Processo amministrativo – Rito appalti – Termini - Aggiudicazione e atti
di gara – Individuazione – Dubbi in giurisprudenza – Rimessione all’Adunanza
plenaria
Sono rimesse all’Adunanza plenaria le questioni se:
a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa
decorrere di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra
cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni
tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte
presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29, d.lgs. n.
50 del 2016;
b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76,
d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori
elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri
consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da
considerare patologica –con le ovvie conseguenze anche ai soli fini di
eventuali responsabilità erariale– della omessa o incompleta pubblicazione
prevista dal già citato art. 29;
c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non
sia giammai idonea a far slittare il termine per la impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione, che decorre dalla pubblicazione ex art. 29
ovvero negli altri casi patologici dalla comunicazione ex art. 76, e
legittima soltanto la eventuale proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se
essa comporti la dilazione temporale almeno con particolare riferimento al
caso in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei
documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero dalle
giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento di verifica
dell’anomalia dell’offerta;
d) dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120,
comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di
gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex
art. 78, d.lgs. n. 50 del 2018) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita
del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi (di
conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed
equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa
ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità
secondaria o subordinata e meramente complementare;
e) in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza
sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29 d.lgs. n. 50 del 2016
debba considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde;
f) idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione debbano considerare quelle forme di
comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e
accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla
procedura di gara (1).
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(1) Ha ricordato la Sezione che sulla questione della
individuazione del dies a quo per l’impugnazione del provvedimento di
aggiudicazione si osserva che un primo orientamento giurisprudenziale,
maturato nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, sulla scorta del tenore
letterale dell’art. 120, comma 5, c.p.a., e sull’espresso richiamo fatto
all’art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006, ha distinto a seconda che
l’amministrazione appaltante abbia inviato una comunicazione completa ed
esaustiva dell’aggiudicazione (contenente l’esposizione delle ragioni di
preferenza per l’offerta dell’aggiudicatario alla luce delle caratteristiche
della stessa per come apprezzate dalla commissione giudicatrice) ovvero si
sia limitata a rendere noti l’avvenuta aggiudicazione della procedura ed il
nominativo dell’operatore dell’aggiudicatario.
Con riferimento alla prima ipotesi è stato affermato che il ricorso deve
essere sicuramente proposto nel termine di trenta giorni decorrenti dalla
comunicazione del provvedimento di aggiudicazione ai sensi dell’art. 79,
d.lgs. 12.04.2016, n. 163; nell’altro caso, invece, si è ritenuto che ai
fini della decorrenza del termine di impugnazione di debba tener conto della
necessità dell’interessato di conoscere gli elementi tecnici dell’offerta
dell’aggiudicatario e, in generale, gli atti della procedura di gara per
poter apprezzare compiutamente le ragioni di preferenza della stazione
appaltante e verificare la sussistenza di eventuali vizi del suo operato (Cons.
Stato, sez. V, 26.07.2017, n. 3675; id.
27.04.2017, n. 1953; id.
13.02.2017, n. 592; id. 26.11.2016, n. 4916; id.
03.02.2016, n. 408;
C.g.a. 08.06.2017, n. 274).
La predetta distinzione introduce l’ulteriore tema che accompagna la
problematica in esame riguardante l’accesso agli atti della procedura di
gara e in particolare se e in che modo il tempo necessario rilevi ai fini
della decorrenza del termine per impugnare l’aggiudicazione: è evenienza
notororia che l’impresa concorrente, proprio a seguito della comunicazione
di aggiudicazione (non completa dei verbali di gara o delle informazioni
sulle caratteristiche e sui vantaggi dell’offerta selezionata), chiede di
accedere agli atti della procedura di gara.
Secondo le previsioni dell’art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006 l’accesso poteva
avvenire entro 10 giorni dalla comunicazione mediante visione ed estrazione
di copia, senza la necessità di un’apposita istanza e di un formale
provvedimento di ammissione (salvi i provvedimenti di esclusione o di
differimento dell’accesso adottati ai sensi dell’art. 13), così che è stato
ritenuto che il termine di trenta giorni per l’impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione dovesse essere incrementato di un numero di
giorni (massimo dieci giorni) pari a quello necessario per aver piena
conoscenza e contezza dell’atto e dei relativi profili di illegittimità, ove
questi non fossero oggettivamente evincibili dalla comunicazione di
aggiudicazione (Cons.
Stato, sez. III, 28.08.2014, n. 4432; id.,
sez. V, 05.02.2018, n. 718; id.,
sez. III, 03.07.2017, n. 3253; id.,
sez. V, 27.04.2017, n. 1953; id.
23.02.2017, n. 851; id.
13.02.2017, n. 592; id. 10.02.2015, n. 864).
E’ stato poi precisato che qualora l’amministrazione appaltante abbia
rifiutato illegittimamente l’accesso o abbia adottato comportamenti dilatori
il termine per l’impugnazione non inizia neppure a decorrere e il potere di
impugnare “non si consuma” se non dal momento in cui l’accesso sia
effettivamente consentito (Cons
Stato, sez. III, 22.07.2016, n. 3308; id. 03.03.2016, n. 1143; id.,
sez. V, 07.09.2015, n. 4144; id.
06.05.2015, n. 2274; id.,
sez. III, 07.01.2015, n. 25; id.,
sez. V, 13.03.2014, n. 1250).
Tale orientamento ha trovato conferma anche a seguito dell’entrata in vigore
del d.lgs. n. 50 del 2016, ritenendosi che il rinvio, tuttora contenuto
nell’art. 120, comma 5, c.p.a., all’art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006, n. 163,
sia da intendersi, a seguito dell’abrogazione di quest’ultimo, al primo (Cons.
Stato, sez. V, 10.06.2019, n. 3879; id.
27.11.2018, n. 6725).
A causa tuttavia del diverso contenuto letterale delle due disposizioni
(art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006 e art. 76, d.lgs. n. 50 del 2016) si è
affermato che la dilazione temporale, fissata in dieci giorni per l’accesso
informale ai documenti di gara ex art. 79, comma 5-quater, d.lgs. n. 163 cit.,
debba ora essere ragionevolmente in quindici giorni, termine previsto dal
comma 2 dell’art. 76 per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione
su istanza dell’interessato (Cons.
Stato, sez. V, 20.09.2019, n. 6251; id.
02.09.2019, n. 6064; id.
13.08.2019, n. 5717, id.,
sez. III, 06.03.2019, n. 1540).
È stato mantenuto fermo il principio che se la stazione appaltante rifiuti
illegittimamente l’accesso, o tenga comportamenti dilatori che impediscono
l’immediata conoscenza degli atti di gara (nei termini indicati), il termine
per l’impugnazione non decorrere e il potere di impugnare “non si consuma”;
se non dal momento in cui l’interessato abbia avuto cognizione degli atti
della procedura (Cons.
Stato, sez. III, 06.03.2019, n. 1540).
3.3. Secondo un più rigoroso orientamento giurisprudenziale, per effetto del
tenore letterale del citato art. 120, comma 5, c.p.a., il termine di
impugnazione del provvedimento di aggiudicazione è sempre di trenta giorni e
decorre in ogni caso dalla ricezione della comunicazione dell’avvenuta
aggiudicazione proveniente dalla stazione appaltante ovvero, in mancanza,
dalla conoscenza dell’aggiudicazione che l’interessato abbia comunque
acquisito per altra via; del resto la distinzione tra vizi evincibili dal
provvedimento comunicato, per il quale il dies a quo avrebbe
decorrenza dalla comunicazione dell’aggiudicazione, ed altri vizi
percepibili aliunde, per i quali il termine di impugnazione
comincerebbe a decorrere dal momento dell’effettiva conoscenza, non avrebbe
riscontro nel diritto positivo (Cons.
Stato, V, 28.10.2019, n. 7384; id., sez. IV, 23.02.2015, n. 856;
id.,
sez. V, 20.01.2015, n. 143, le quali si rifanno all’orientamento
invalso prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo
e del quale sono espressione
Cons. Stato, sez. IV, 21.05.2004, n. 3298; id., sez. V,
02.04.1996, n. 381; id. 04.10.1994, n. 1120; C.g.a. 20.04.1998, n. 261).
Peraltro la tutela giurisdizionale dei vizi dell’aggiudicazione conosciuti
dopo la sua comunicazione è sempre garantita dalla proponibilità dei motivi
aggiunti.
Quanto alle forme e alle modalità della comunicazione di aggiudicazione e
all’ammissibilità della piena ed effettiva conoscenza del provvedimento di
aggiudicazione, il termine per l'impugnativa dell'aggiudicazione non decorre
prima che la comunicazione di questa sia fatta secondo le inderogabili forme
del comma 5-bis dell’art. 79, (cioè con il corredo della relativa
motivazione, a sua volta espressa attraverso gli elementi di cui al comma 2,
lett. c),
Cons. Stato, sez. V, 27.04.2017, n. 1953) e, per altro verso, che
il termine di impugnazione decorre, in base alla regola generale fissata
dall'art. 41 comma 2, c.p.a., dalla notificazione, comunicazione, o piena
conoscenza dell'atto, e ciò anche in mancanza delle particolari forme di
comunicazione di detti provvedimenti ai sensi dell'art. 79 cit., perché ciò
non impedisce che la loro conoscenza sia acquisita con altre forme, come
prevede l’art. 120 c.p.a. che non dispone forme di comunicazione esclusive e
tassative (Cons.
Stato, sez. III, 14.06.2017, n. 2925).
E’ stato anche evidenziato, sotto altro profilo, che sebbene il citato art.
79, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006 non abbia introdotto forme di
comunicazione tassative o esclusive ai fini della piena conoscibilità degli
atti e della decorrenza del termine di impugnazione, quelle previste
costituiscono uno strumento privilegiato per l'attuazione dei principi di
imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, sub specie di
pubblicità, trasparenza, economicità ed efficienza, garantendo un'adeguata
certezza della situazione di diritto conseguente allo svolgimento di una
gara a evidenza pubblica, così che le comunicazioni effettuate al domicilio
o all'indirizzo di posta elettronica indicato negli atti di gara danno vita
a una ragionevole presunzione non solo dell'avvenuta conoscenza da parte del
destinatario di quegli atti e del loro contenuto, ma anche del fatto che
tale conoscenza si sia verificata direttamente in capo alla parte e non al
suo difensore (Cons.
Stato, sez. V, 22.05.2015, n. 2570).
E’ da aggiungere che è stata ritenuta inidonea a far decorrere il termine de
quo la pubblicazione della delibera di aggiudicazione all’albo pretorio, nel
sistema previsto dall’art 79, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006, se essa non è
accompagnata dalla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva a tutti gli
interessati secondo la regola del successivo comma 5-bis, solo così potendo
decorrere il termine di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a. (Cons.
Stato, sez. V, 25.07.2019, n. 5257; id.
23.07.2018, n. 4442; id.
23.11.2016, n. 4916).
Completezza espositiva impone di dar conto che sulla questione della
decorrenza del termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione è intervenuta
anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che:
a) con la sentenza 08.05.2014, sez. V (causa C-161/13), ha
evidenziato che i ricorsi avverso gli atti delle procedure di affidamento
degli appalti pubblici sono efficaci solo se “…i termini imposti per
proporre tali ricorsi comincino solo a decorrere in cui il ricorrente è
venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa
violazione…” e che la possibilità di proporre motivi aggiunti “…non
costituisce sempre un’alternativa valida di tutela valida effettiva” (ma
quest’ultima affermazione deve essere contestualizzata in ragione della
peculiare situazione di specie);
b) con l’ordinanza 14.02.2019, sez. IV (causa C 54–18), in tema di
compatibilità con i principi eurounitari del rito super accelerato ex art.
120, comma 2-bis c.p.a., ha osservato che “la fissazione di termini di
ricorso a pena di decadenza consentono di realizzare l’obiettivo di celerità
perseguito dalla direttiva 89/665”, aggiungendo che tale obiettivo può
essere conseguito “…soltanto se i termini prescritti …iniziano a
decorrere solo dalla data in cui il ricorrente avvia avuto o avrebbe dovuto
avere conoscenza dell’asserita violazione di disposizioni”, ciò anche
per garantire l’effettività del controllo giudiziario, non mancando di
sottolineare che è rimesso al giudice nazionale la valutazione in concreto
della possibilità per il ricorrente di aver conoscenza dei motivi di
illegittimità del provvedimento (nel caso oggetto di controversia di
ammissione ai sensi dell’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016).
Ciò posto la Sezione è dell’avviso che la soluzione delle questioni sopra
accennate non possa prescindere dalla esegesi letterale e sistematica delle
disposizioni che le riguardano ed in particolare dal contenuto degli artt.
29 e 79, d.lgs. n. 50 del 2016 (e successive modd. e integr.) e 120, comma
5, c.p.a..
L’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016, fissando i principi di trasparenza cui
devono essere improntate le procedure di affidamento degli appalti pubblici,
stabilisce espressamente al comma 1 che “Tutti gli atti delle
amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla
programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure
per l’affidamento di appalti di servizi, forniture, lavori e opere, di
concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessione,
compresi quelli tra enti nell’ambito del settore pubblico di cui
all’articolo 5, alla composizione della commissione giudicatrice e ai
curricula dei suoi componenti ove non considerati riservati ai sensi
dell’articolo 53 ovvero secretati ai sensi dell’articolo 162, devono essere
pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione
“Amministrazione trasparente”, con l’applicazione delle disposizioni di cui
decreto legislativo 14.03.2013, n. 33…..”, aggiungendo
significativamente che “Fatti salvi gli atti a cui si applica l’articolo
73, comma 5, i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della
pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del
committente”.
L’art. 76 del citato decreto d.lgs. n. 50 del 2016, disciplinando la “Informazione
dei candidati e degli offerenti”, dopo aver stabilito al primo comma che
“Le stazioni appaltanti, nel rispetto delle specifiche modalità di
pubblicazione stabilite dal presente codice, informano tempestivamente
ciascun candidato e ciascun offerente delle decisioni adottate riguardo alla
conclusione di un accordo quadro, all’aggiudicazione di un appalto o
all’ammissione di un sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi
dell’eventuale decisione di non concludere un accordo quadro o di non
aggiudicare un appalto per il quale è stata indetta una gara o di riavviare
la procedura o di non attuare un sistema dinamico di acquisizione”’,
aggiunge al secondo comma che “Su richiesta scritta dell’offerente e del
candidato interessato, l’amministrazione aggiudicatrice comunica
immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della
richiesta: a) ad ogni offerente, i motivi del rigetto della sua offerta,
inclusi, per i casi di cui all’articolo 68, commi 7 e 8, i motivi della
decisione di non equivalenza o della decisione secondo cui i lavori, le
forniture o i servizi non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti
funzionali; a-bis) ad ogni candidato escluso, i motivi del rigetto ella sua
domanda di partecipazione; b) ad ogni offerente che abbia presentato
un’offerta ammessa in gara e valutata, le caratteristiche e i vantaggi
dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato
l’appalto o delle parti dell’accordo quadro; c) ad ogni offerente che abbia
presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, lo svolgimento e
l’andamento delle negoziazioni e del dialogo con gli con gli offerenti”.
Il successivo comma 5 dispone che “le stazioni appaltanti comunicano
d’ufficio immediatamente e comunque entro un termine non superiore a cinque
giorni: a) l’aggiudicazione, all’aggiudicatario, al concorrente che segue
nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta
ammessa in gara, a coloro la cui candidatura offerta siano state escluse se
hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione o sono in termini per
presentare impugnazione, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la
lettera d’invito, se tali impugnazioni non siano state respinte con
pronuncia giurisdizionale definitiva; b) l’esclusione ai candidati e agli
offerenti esclusi; c) la decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di
non concludere un accordo quadro, a tutti i candidati; d) la data di stipula
del contratto con l’aggiudicazione, ai soggetti di cui alla lettera a) del
presente comma.”.
Infine il sesto comma 6 dell’articolo in esame precisa che “Le
comunicazioni di cui al comma 5 sono fatte mediante posta elettronica
certificata o strumento analoga negli Stati membri. Le comunicazioni di cui
al comma 5, lettera a) e b), indicano la data di scadenza del termine
dilatorio per la stipulazione del contratto”.
Occorre aggiungere che, sebbene la ratio delle disposizioni dell’art.
76, d.lgs. n. 50 del 2016 sia analoga a quella dell’art. 79, d.lgs. n. 163
del 2006, quest’ultima conteneva la specifica disposizione sull’accesso
informale (comma 5-quater) che non compare nella prima.
L’art. 120, comma 5, c.p.a. infine dispone che: “Per l’impugnazione degli
atti di cui al presente articolo il ricorso, principale e incidentale e i
motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono
essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso
principale, e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di
cui all’articolo 79 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 o, per i
bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla
pubblicazione di cui all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero,
in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”.
Ciò posto, si osserva quanto segue.
Innanzitutto:
a) a differenza del d.lgs. n. 163 del 2006, il nuovo codice dei
contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016 e succ. modd. e integr.) all’art.
29, come evidenziato, prevede non solo l’obbligo generalizzato di
pubblicazione sul profilo del committente, nella Sezione “Amministrazione
trasparente”, di tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e
degli enti aggiudicatari delle procedure di affidamento degli appalti
pubblici (così come ivi elencati e specificati), ma anche la espressa
previsione che fatti, salvi gli atti a cui si applica l’art. 73, comma 5
(cioè gli avvisi e i bandi), “i termini cui sono collegati gli effetti
giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul
profilo del committente”.
L’A.N.A.C., ha ritenuto, nella delibera 28.12.2016, n. 1310, recante "Prime
linee guida recanti indicazioni sull'attuazione degli obblighi di
pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs.
33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016”, che sono soggetti
all’obbligo di pubblicazione anche “gli elenchi dei verbali delle
commissioni di gara”, salvo riconoscere la possibilità dell’accesso
civico generalizzato ai predetti verbali, ai sensi degli artt. 5, comma 2, e
5–bis, d.lgs. 14.03.2013, n. 33.
b) l’art. 76, pur avendo sostanzialmente la stessa ratio e finalità
dell’art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del
2006) e disciplinando anche la stessa materia delle informazioni ai
concorrenti ai candidati (degli esiti dei procedimenti di affidamento degli
appalti pubblici), non contiene alcuna previsione circa il fatto che quelle
comunicazioni facciano decorre il termine per l’impugnazione
dell’aggiudicazione, né disciplina la speciale forma di accesso informale,
prima prevista dall’art. 79, d.lgs. 163 del2006;
c) si potrebbe dubitare dell’interpretazione “evolutiva”
dell’art. 120, comma 5, c.p.a., nel senso di ritenere sict et simpliciter
sostituito il richiamo all’art. 79, d.lgs. n. 79 del 2006 con l’art. 76,
d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto, ancorché ragionevolmente basata sulla
eadem ratio, potrebbe non essere sistematicamente giustificabile in
relazione alla non irrilevante questione dell’eliminazione dell’accesso
informale con le sue ricadute sulla corretta individuazione del termine di
decorrenza dell’impugnazione dell’aggiudicazione.
Dal punto di vista sistematico può ricavarsi che:
a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre di
norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara –tra cui devono
comprendersi, non solamente gli “elenchi dei verbali”, ma proprio i
verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate
dalle commissioni di gara delle offerte presentate– in coerenza con la
previsione contenuta nell’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016;
b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76,
d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori
elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri
consentono la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da
considerare patologica –con le ovvie conseguenze anche ai soli fini di
eventuali responsabilità erariale– della omessa o incompleta pubblicazione
prevista dal già citato art. 29;
c) dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120,
comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di
gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex
art. 78, d.lgs. n. 50 del 2016) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita
del provvedimento, deve intendersi nel senso che indica due modi (di
conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed
equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa
ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde
modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
d) in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza
sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29, d.lgs. n. 50 del
2016 deve considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza
aliunde;
e) idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione devono considerare quelle forme di
comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e
accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla
procedura di gara.
f) resta il caso in cui l’esigenza di proporre ricorso emerga
solamente dopo aver conosciuto i contenuti dell’offerta dell’aggiudicatario
ovvero anche, come frequentemente accade, le giustificazioni rese
dall’aggiudicatario nell’ambito del sub procedimento di verifica
dell’anomalia dell’offerta, documentazione per la quale non è prevista la
pubblicazione, non rientrando tra gli “atti delle amministrazioni
aggiudicatrici relativi…alle procedure per l’affidamento di appalti pubblici
di servizi, forniture, lavori e opere…” ai sensi dell’art. 29, comma 1,
d.lgs. n. 50 del 2016 ed, anzi, per i quali l’istanza di accesso è
suscettibile di differimento ai sensi dell’art. 53, comma 2, lett. c),
d.lgs. n. 50
(Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza 02.04.2020 n. 2215 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Consiglio
di Stato, accesso totale su gare e contratti.
La disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei
e/o assoluti stabiliti dall'articolo 53 del Dlgs n. 50 del 2016, è
applicabile anche agli atti delle procedure di gara, in particolare,
all'esecuzione dei contratti pubblici.
É questo, in sintesi, l'orientamento
espresso dal Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, con la
sentenza 02.04.2020 n. 10.
La vicenda
L'Adunanza plenaria, affrontando anche altri aspetti collegati al diritto di
accesso in generale, pone fine alla controversa interpretazione circa
l'applicabilità o meno della disciplina dell'accesso civico generalizzato (articolo 5, comma 2, del Dlgs 33/2013) agli atti dell'appalto sia della fase
pubblicistica sia della fase esecutiva del contratto.
Il collegio si
sofferma sul contrasto giurisprudenziale caratterizzato dalle sentenze della
sezione III, 05.06.2019, n. 3780 e dalle sentenze gemelle della sezione
V, 02.08.2019, n. 5502 e n. 5503 che poi, semplificando, hanno portato
all'ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato n. 8501/2019.
Per la III sezione, l'accesso civico generalizzato si deve ritenere
applicabile alla materia degli appalti anche per un lettura
costituzionalmente orientata della nuova fattispecie senza possibilità di
"strumentalizzare" un diverso coordinamento tra norme; per la V sezione –che si è espressa negativamente- nell'articolato delle varie norme è
rinvenibile una esclusione (dovuta all' articolo 5-bis del decreto
trasparenza) per «materia» riconducibile, in sintesi, al fatto che l'accesso
agli atti dell'appalto trova un proprio «micro sistema normativo» (contenuto
nell'articolo 53 del Codice).
La posizione dell'Adunanza plenaria
Il Collegio pone in evidenza, con ampie sottolineature, la rilevanza del
valore della trasparenza e delle conoscibilità degli atti della pubblica
amministrazione chiarendo la distinzione fondamentale tra «bisogno di
conoscenza» alla base della richiesta dell'accesso documentale tradizionale
(di cui alla legge 241/1990) e il «diritto alla conoscenza» tutelato
dall'accesso civico generalizzato.
L'accesso civico generalizzato convive con le altre tipologie dell'accesso
documentale e dell'accesso civico «semplice» costituendo lo strumento volto
ad assicurare quel controllo democratico in grado di prevenire forme di
corruzione nella pubblica amminstrazione in superamento del limite posto
«all'accesso documentale che non ammette un controllo generalizzato
sull'attività delle pubbliche amministrazioni».
Il Foia rappresenta una «precondizione, (…), per l'esercizio di ogni altro
diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente
di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino
che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra
l'interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e
conflittuale autorità/libertà».
Le limitazioni a tale prerogativa sono
rinvenibili solamente nelle tre ipotesi di eccezioni assolute: «i documenti
coperti da segreto di Stato; gli altri casi di divieti previsti dalla legge,
compresi quelli in cui l'accesso è subordinato al rispetto di specifiche
condizioni, modalità e limiti; le ipotesi contemplate dall' articolo 24,
comma 1, della l. n. 241 del 1990».
Ambito, circoscritto, finalizzato a
garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti
di particolare rilevanza per l'ordinamento giuridico, ed in queste
situazioni «la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, (…)
preceduto da un'attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza,
rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e alla sussunzione
del caso nell'ambito dell'eccezione assoluta, che è di stretta
interpretazione».
Inoltre, la lettura delle eccezioni non deve essere «scorporata» ma unitaria
«evitando (…) di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l'uno dagli
altri, limiti, perché una lettura sistematica, ostituzionalmente e
convenzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai
limiti) secondo una interpretazione tassativizzante».
Pertanto, la lettura deve avvenire «secondo un canone ermeneutico di
completamento/inclusione» considerata la logica di fondo in vista della
tutela dell'interesse conoscitivo che altrimenti verrebbe frustrato
(determinando un «buco nero della trasparenza».
Rimane ferma, infine,
l'esigenza di una equilibrata applicazione della nuova prerogativa
«secondo
un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test),
che preservi il know-how industriale e commerciale» senza però «sacrificare
del tutto l'esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how» (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del
14.04.2020). |
APPALTI: Accesso agli atti, obbligo della p.a..
Legittima la verifica dei documenti da parte dei concorrenti. Anche
nella fase esecutiva dei contratti pubblici secondo l’Adunanza plenaria del CdS.
In una gara d'appalto è ammesso l'accesso agli atti da
parte di un concorrente anche per la fase esecutiva del contratto pubblico
essendo rilevante e concreto l'interesse fatto valere anche in tale fase.
Lo ha stabilito
l'Adunanza plenaria del Consiglio di stato con la
sentenza 02.04.2020 n. 10 in una vicenda riguardante un caso in cui un concorrente aveva
presentato istanza per l'accesso al fine di verificare se l'esecuzione del
contratto si stesse svolgendo nel rispetto del capitolato tecnico e
dell'offerta migliorativa presentata dall'aggiudicataria, poiché
l'accertamento di eventuali inadempienze dell'appaltatore avrebbe
determinato l'obbligo della pubblica amministrazione di procedere alla
risoluzione del contratto e al conseguente affidamento del servizio alla
stessa appellante, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria di
cui all'art. 140 del decreto 163/2006 vigente all'epoca dei fatti.
La
stazione appaltante aveva negato l'accesso perché l'istante non avrebbe
dimostrato la concreta esistenza di una posizione qualificata, idonea a
giustificare l'istanza di accesso.
Con l'ordinanza di rimessione la sezione del Consiglio di stato si poneva il
quesito se fosse configurabile, o meno, in capo all'operatore economico,
utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all'esito
della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la
titolarità di un interesse giuridicamente protetto.
L'Adunanza plenaria ha precisato, preliminarmente, che nel processo
amministrativo non è sufficiente a consentire l'intervento la sola
circostanza che l'interventore sia parte di un giudizio in cui venga in
rilievo una questione giuridicata analoga a quella oggetto del giudizio nel
quale intende intervenire.
In termini generali, nella sentenza si è precisato anche che la pubblica
amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l'istanza di accesso agli
atti e ai documenti pubblici, sia pure formulata in modo generico o
cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina,
anche alla stregua della disciplina dell'accesso civico generalizzato. Ciò
vale in tutti i casi, a meno che l'interessato non abbia inteso fare
esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell'accesso
documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l'istanza solo con specifico
riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice
amministrativo, adìto ai sensi dell'art. 116 del codice di procedura
amministrativo, possa mutare il titolo dell'accesso, definito
dall'originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica
amministrazione all'esito del procedimento.
Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che sia ravvisabile un
interesse concreto e attuale, ai sensi dell'art. 22, legge n. 241 del 1990,
e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase
esecutiva di un contratto pubblico da parte del concorrente alla gara, in
relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per
inadempimento dell'aggiudicatario e quindi allo scorrimento della
graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca
in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto
svolgimento del rapporto contrattuale.
Ciò vale anche se la richiesta di accesso è formulata genericamente in
quanto la disciplina dell'accesso civico generalizzato è applicabile anche
agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all'esecuzione dei
contratti pubblici, ferma restando la verifica della compatibilità
dell'accesso nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello
della riservatezza
(articolo ItaliaOggi del 10.04.2020). |
APPALTI:
Fase esecutiva – Concorrente alla gara – Accesso a documenti
riguardanti vicende che potrebbero condurre alla risoluzione
per inadempimento dell’aggiudicatario – Interesse concreto
ed attuale all’accesso.
E’ ravvisabile un interesse concreto e
attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e
una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti
della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un
concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero
condurre alla risoluzione per inadempimento
dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della
graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale
istanza non si traduca in una generica volontà da parte del
terzo istante di verificare il corretto svolgimento del
rapporto contrattuale.
...
Atti delle procedure di gara – Disciplina dell’accesso
civico generalizzato – Applicabilità, fermi i divieti
temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 d.lgs. n.
50/2016.
La disciplina dell’accesso civico
generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di
cui all’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile
anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare,
all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in
senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del
d.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e
con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta
in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma
resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con
le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a
tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti
da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della
trasparenza e quello della riservatezza (Consiglio
di Stato, A.P,.
sentenza 02.04.2020 n. 10 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Accesso
agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un
concorrente alla gara – Ammissibilità dell’accesso civico generalizzato.
---------------
●
Processo amministrativo – Intervento – Ad adiuvandum – Ammissibilità –
Condizione.
●
Accesso ai documenti – Istanza – Generica o cumulativa – Esame come istanza
di accesso generalizzata – Possibilità - Limiti.
●
Accesso ai documenti – Contatti della Pubblica amministrazione – Istanza –
Fase esecutiva di un contratto pubblico - Concorrente alla gara – Ha
interesse.
●
Accesso generalizzato – Istanza – Fase esecutiva di un contratto pubblico -
Configurabilità.
●
Nel processo amministrativo non è sufficiente a consentire l’intervento la
sola circostanza che l’interventore sia parte di un giudizio in cui venga in
rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio nel quale
intende intervenire (1).
●
La Pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di
accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o
cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina,
anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a
meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile,
riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa
dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l.
n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi
dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito
dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica
amministrazione all’esito del procedimento (2).
●
E’ ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22, l. n.
241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti
della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente
alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione
per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della
graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca
in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto
svolgimento del rapporto contrattuale (3).
●
La disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti
temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53, d.lg. n. 50 del 2016, è
applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare,
all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto
l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis, d.lgs. n. 33 del 2013 in combinato
disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non
esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma
la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di
cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e
privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore
della trasparenza e quello della riservatezza (4).
La rimessione è stata disposta dalla
sez. III con ord., 16.12.2019, n. 8501.
---------------
(1) Ha chiarito l’Adunanza plenaria che osta al riconoscimento di
una situazione che legittimi a intervenire una obiettiva diversità di
petitum e di causa petendi che distingue due processi, sì da non
potersi configurare in capo al richiedente uno specifico interesse
all’intervento nel giudizio ad quem.
Al contrario, laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l’intervento
volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris
controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo
amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata
dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e
potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, scisse dall’oggetto
specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce.
Non a caso, in base a un orientamento del tutto consolidato, nel processo
amministrativo l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può
essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica
collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale (Cons.
Stato, sez. IV, 29.02.2016, n. 853; id.,
sez. V, 02.08.2011, n. 4557).
Come ha già chiarito l’Adunanza plenaria nella
sentenza n. 23 del 04.11.2016, risulterebbe peraltro
sistematicamente incongruo ammettere l’intervento volontario in ipotesi che
si risolvessero nel demandare ad un giudice diverso da quello naturale (art.
25, comma 1, Cost.) il compito di verificare in concreto l’effettività
dell’interesse all’intervento (e, con essa, la concreta rilevanza della
questione ai fini della definizione del giudizio a quo), in assenza di un
adeguato quadro conoscitivo di carattere processuale, ove si pensi, solo a
mo’ di esempio, alla necessaria verifica che il giudice ad quem
sarebbe chiamato a svolgere, ai fini del richiamato giudizio di rilevanza,
circa l’effettiva sussistenza in capo all’interveniente dei presupposti e
delle condizioni per la proposizione del giudizio a quo.
(2) Ha chiarito l’Adunanza che la giurisprudenza del Consiglio di
Stato è consolidata e uniforme nell’ammettere il concorso degli accessi, al
di là della specifica questione qui controversa circa la loro coesistenza in
rapporto alla specifica materia dei contratti pubblici: «nulla infatti,
nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze
di accesso» (Cons.
St., sez. V, 02.08.2019, n. 5503).
Il solo riferimento dell’istanza ai soli presupposti dell’accesso
documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare
l’istanza anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove
l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne
l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia
inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo
solo all’uno o all’altro aspetto.
Se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato
differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, infatti, la
pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali
controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito
ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali
tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame.
Con riferimento al dato procedimentale, infatti, in materia di accesso opera
il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del
minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di
vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la
soddisfazione.
La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le
istanze, anche uno actu, è certo uno degli aspetti più critici
dell’attuale
disciplina perché, come ha bene messo in rilievo l’ANAC nelle Linee guida di
cui alla delibera n. 1309 del 28.12.2016 (par. 2.3, p. 7) –di qui in avanti,
per brevità, Linee guida– l’accesso agli atti di cui alla l. n. 241 del 1990
continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico
(generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi, e
la proposizione contestuale di entrambi gli accessi, può comportare un «evidente
aggravio per l’amministrazione (del quale l’interprete non può che limitarsi
a prendere atto), dal momento che dovrà applicare e valutare regole e limiti
differenti» (Cons.
St., sez. V, 02.08.2019, n. 5503).
Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi
interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per
caso tra tali interessi e tuttavia, come si è detto, le due fattispecie di
accesso ben possono concorrere, senza reciproca esclusione, e completarsi,
secondo quanto si chiarirà.
Il bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso previsto
dalla l. n. 241 del 1990, dove la tutela può consentire un accesso più in
profondità a dati pertinenti, e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le
esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso
meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti),
ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di
fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e
informazioni.
L’ANAC ha osservato che i dinieghi di accesso agli atti e documenti di cui
alla l. n. 241 del 1990, se motivati con esigenze di “riservatezza”
pubblica o privata, devono essere considerati attentamente anche ai fini
dell’accesso generalizzato, ove l’istanza relativa a quest’ultimo sia
identica e presentata nel medesimo contesto temporale a quella dell’accesso
di cui alla l. n. 241 del 1990, indipendentemente dal soggetto che l’ha
proposta.
Con ciò essa ha inteso «dire, cioè, che laddove l’amministrazione, con
riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il
diritto di accesso ex l. 241/1990, motivando nel merito, cioè con la
necessità di tutelare un interesse pubblico o privato prevalente, e quindi
nonostante l’esistenza di una posizione soggettiva legittimante ai sensi
della 241/1990, per ragioni di coerenza sistematica e a garanzia di
posizioni individuali specificamente riconosciute dall’ordinamento, si deve
ritenere che le stesse esigenze di tutela dell’interesse pubblico o privato
sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso generalizzato,
anche presentata da altri soggetti».
Se questo è vero, non può nemmeno escludersi tuttavia, per converso, che
un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un
interesse attuale e concreto, possa essere invece accolta sub specie di
accesso civico generalizzato, come è nel caso presente, fermi restando i
limiti di cui ai cennati commi 1 e 2 dell’art. 5-bis, d.lgs. n. 33 del 2013,
limiti che, come ha ricordato anche l’ordinanza di rimessione, sono
certamente più ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di
discrezionalità (v., su questo punto, anche
Cons. St., sez. V, 20.03.2019, n. 1817).
Ha quindi concluso l’Adunanza che a fronte di una istanza, come quella
dell’odierna appellante, che non fa riferimento in modo specifico e
circostanziato alla disciplina dell’accesso procedimentale o a quella
dell’accesso civico generalizzato e non ha inteso ricondurre o limitare
l’interesse ostensivo all’una o all’altra disciplina, ma si muove
sull’incerto crinale tra l’uno e l’altro, la pubblica amministrazione ha il
dovere di rispondere, in modo motivato, sulla sussistenza o meno dei
presupposti per riconoscere i presupposti dell’una e dell’altra forma di
accesso, laddove essi siano stati comunque, e sostanzialmente, rappresentati
nell’istanza.
A tale conclusione non osta il fatto che l’istanza di accesso civico
generalizzato non debba rappresentare l’esistenza di un interesse
qualificato, a differenza di quella relativa all’accesso documentale, e che
non debba essere nemmeno motivata, perché l’interesse e i motivi
rappresentati, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere
l’esistenza di un interesse uti singulus, ai fini dell’art. 22, l. n.
241 del 1990, ben possono essere considerati dalla pubblica amministrazione
per valutare l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso
generalizzato uti civis, quantomeno per il limitato profilo, di cui
oltre si tratterà, del c.d. public interest test.
In questo senso si è espresso anche il Ministro per la pubblica
amministrazione e la semplificazione nella Circolare n. 2 del 06.06.2017
sull’Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)
laddove, nel valorizzare il criterio della tutela preferenziale
dell’interesse conoscitivo, ha chiarito al par. 2.2 che «dato che
l’istituto dell’accesso generalizzato assicura una più ampia tutela
all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo
giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.), la stessa
dovrà essere trattata dall’amministrazione come richiesta di accesso
generalizzato».
Solo ove l’istante abbia inteso, espressamente e inequivocabilmente,
limitare l’interesse ostensivo ad uno specifico profilo, quello documentale
o quello civico, la pubblica amministrazione dovrà limitarsi ad esaminare
quello specifico profilo, senza essere tenuta a pronunciarsi sui presupposti
dell’altra forma di accesso, non richiesta dall’interessato.
L’Adunanza plenaria ha quindi chiarito che electa una via in sede
procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un
modello all’altro, che non può essere né imposta alla pubblica
amministrazione né ammessa –ancorché su impulso del privato– in sede di
riesame o di ricorso giurisdizionale, ferma restando però, come si è già
rilevato, la possibilità di strutturare in termini alternativi, cumulativi o
condizionati la pretesa ostensiva in sede procedimentale.
Nemmeno ad opera o a favore del privato può realizzarsi, insomma, quell’inversione
tra procedimento e processo che si verifica quando nel processo vengono
introdotte pretese o ragioni mai prima esposte, come era doveroso, in sede
procedimentale.
Se è vero che il rapporto tra le diverse forme di accesso, generali e anche
speciali, deve essere letto secondo un criterio di integrazione e non
secondo una logica di irriducibile separazione, per la miglior soddisfazione
dell’interesse conoscitivo, è d’altro lato innegabile che questo interesse
conoscitivo nella sua integralità e multiformità deve essere stato fatto
valere e rappresentato, anzitutto, in sede procedimentale dal diretto
interessato e valutato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo
potere, non potendo il giudice pronunciarsi su un potere non ancora
esercitato, stante il divieto dell’art. 34, comma 2, c.p.a., per non essere
stato nemmeno sollecitato dall’istante.
È vero che il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema
impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto
all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante
all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un “giudizio sul rapporto”,
come del resto si evince dall’art. 116, comma 4, c.p.a., secondo cui il
giudice, sussistendone i presupposti, «ordina l’esibizione dei documenti
richiesti» (v., per la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio
sul punto anche ante codicem, Cons. St., sez. VI, 09.05.2002, n. 2542
e, più di recente, id., sez. V, 19.06.2018, n. 3956).
Ma il c.d. giudizio sul rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva,
non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al
giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva,
immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica
del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico
competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo.
(3) L’Adunanza plenaria ha ricordato che la giurisprudenza del
Consiglio di Stato è univoca nell’ammettere l’accesso documentale,
ricorrendone le condizioni previste dagli artt. 22 e ss. dell’art. 241 del
1990, anche agli atti della fase esecutiva (v., ex plurimis,
Cons. St., sez. V, 25.02.2009, n. 1115) laddove funzionale, ad
esempio, a dimostrare, attraverso la prova dell’inadempimento delle
prestazioni contrattuali, l’originaria inadeguatezza dell’offerta vincitrice
della gara, contestata dall’istante nel giudizio promosso contro gli atti di
aggiudicazione del servizio.
L’accesso documentale agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente
dallo stesso art. 53, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette
alla disciplina degli artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990, «il diritto di
accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei
contratti pubblici», ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del
1990, richiamata dall’art. 53 testé citato.
Questa, dopo la riforma della l. n. 15 del 2015 che ha recepito
l’orientamento consolidato di questa stessa Adunanza plenaria (v., sul
punto, la fondamentale pronuncia di questo Cons. St., Ad. plen., 22.04.1999,
n. 5, secondo cui «l’amministrazione non può […] negare l’accesso agli
atti riguardanti la sua attività di diritto privato solo in ragione della
loro natura privatistica», ma in tal senso v. già Cons. St., sez. IV,
04.02.1997, n. 42), ha espressamente riconosciuto l’accesso ad atti «concernenti
attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica
o privatistica della loro disciplina sostanziale» (art. 22, comma 1,
lett. e), della l. n. 241 del 1990).
Non rileva, pertanto, che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia
tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, poiché anche e,
si direbbe, soprattutto questa fase rimane ispirata e finalizzata alla cura
in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base
dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi
trova la sua compiuta realizzazione proprio nella fase di realizzazione
dell’opera o del servizio; e lo stesso accesso documentale, attese le sue
rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce, come prevede l’art.
22, comma 2, l. n. 241 del 1990, siccome sostituito dall’art. 10 della l. n.
69 del 2009, «principio generale dell’attività amministrativa al fine di
favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza»:
dell’attività amministrativa, quindi, considerata nel suo complesso.
Esiste, in altri termini, una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di
esecuzione del contratto, dovuta alla compresenza di fondamentali interessi
pubblici, che comporta una disciplina autonoma e parallela rispetto alle
disposizioni del codice civile –applicabili «per quanto non espressamente
previsto dal presente codice e negli atti attuativi»: art. 30, comma 8,
d.lgs. n. 50 del 2016)– e questa disciplina si traduce sia nella previsione
di disposizioni speciali nel codice dei contratti pubblici (artt.
100-113-bis, d.lgs. n. 50 del 2016), sia in penetranti controlli da parte
delle autorità preposte a prevenire e a sanzionare l’inefficienza, la
corruzione o l’infiltrazione mafiosa manifestatasi nello svolgimento del
rapporto negoziale.
Sotto tale ultimo profilo, basti menzionare, tra gli altri, le funzioni di
vigilanza attribuite all’ANAC dall’art. 213, comma 3, lett. b) e c), d.lgs.
n. 50 del 2016 in materia di esecuzione dei contratti pubblici, o i
controlli antimafia da parte del prefetto, con gli effetti interdittivi di
cui all’art. 88, comma 4-bis, d.lgs. n. 159 del 2011.
Sotto il profilo degli interessi pubblici sottesi alla fase dell’esecuzione
del rapporto, vanno richiamati il principio di trasparenza e quello di
concorrenza.
La trasparenza, nella forma della pubblicazione degli atti (c.d.
discosclure proattiva), è espressamente disciplinata dall’art. 29,
d.lgs. n. 50 del 2016; alla disciplina dell’accesso agli atti è dedicato
l’art. 53 dello stesso codice dei contratti pubblici, che tuttavia rinvia,
in generale, alla disciplina della l. n. 241 del 1990, salvi gli specifici
limiti all’accesso e alla divulgazione previsti dal comma 2 al comma 6 dello
stesso art. 53.
Ma a esigenze di trasparenza, che sorregge il correlativo diritto alla
conoscenza degli atti anche nella fase di esecuzione del contratto,
conducono anche il principio di concorrenza e il tradizionale principio
dell’evidenza pubblica che mira alla scelta del miglior concorrente,
principio che non può non ricomprendere la realizzazione corretta dell’opera
affidata in esecuzione all’esito della gara.
È vero che il codice dei contratti pubblici, pur nell’esigenza che
l’esecuzione dell’appalto garantisca la qualità delle prestazioni, menziona
i principî di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza solo in
riferimento alla fase pubblicistica dell’affidamento di appalti e di
concessioni, ma non vi è dubbio che la fase dell’esecuzione, se si
eccettuano le varianti in corso d’opera ammesse dalla legge e le specifiche
circostanze sopravvenute tali da incidere sullo svolgimento del rapporto
contrattuale, deve rispecchiare e rispettare l’esito della gara condotto
secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione e della
concorrenza.
L’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della
gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del
concessionario devono dunque essere lo specchio fedele di quanto risultato
all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti
sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon
andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza,
formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica
all’aggiudicazione.
Il delineato quadro normativo e di principî rende ben evidente l’esistenza
di situazioni giuridicamente tutelate in capo agli altri operatori
economici, che abbiano partecipato alla gara e, in certe ipotesi, che non
abbiano partecipato alla gara, interessati a conoscere illegittimità o
inadempimenti manifestatisi dalla fase di approvazione del contratto sino
alla sua completa esecuzione, non solo per far valere vizi originari
dell’offerta nel giudizio promosso contro l’aggiudicazione (Cons. St., sez.
V, 25.02.2009, n. 1115), ma anche con riferimento alla sua esecuzione, per
potere, una volta risolto il rapporto con l’aggiudicatario, subentrare nel
contratto od ottenere la riedizione della gara con chance di aggiudicarsela.
La persistenza di un rilevante interesse pubblico nella fase esecutiva del
contratto, idoneo a sorreggere situazioni sostanziali e strumentali di altri
soggetti privati, in primis il diritto a una corretta informazione sulle
vicende contrattuali, è dimostrato, sul piano positivo, da una serie di
disposizioni che si vengono a richiamare.
Vanno anzitutto ricordate, a monte del costituendo rapporto, le regole del
codice dei contratti pubblici che prevedono in generale i controlli di
legittimità sull’aggiudicatario previsti dalle disposizioni proprie delle
stazioni appaltanti, il cui esito positivo costituisce condizione sospensiva
del contratto insieme con l’approvazione del contratto stesso (artt. 32,
comma 12, e 33, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016).
Nel corso del rapporto, poi, rilevano le molteplici, complesse, ipotesi di
recesso facoltativo da parte della stazione appaltante, che configurano, in
realtà, altrettante ipotesi di autotutela pubblicistica, frutto di
valutazione discrezionale e riconducibili al generale paradigma dell’art.
21-nonies, l. n. 241 del 1990 (v., sul punto,
Cons. St., comm. spec., 28.12.2016, n. 2777, par. 5.6.-5.6.1.).
Vi sono poi specifiche ipotesi di risoluzione di natura privatistica ammesse
dal codice dei contratti pubblici, oltre a quelle previste in via generale
dal codice civile, per gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali
da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertate dal
direttore dei lavori o dal responsabile dell’esecuzione del contratto, se
nominato (art. 108, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016) o comunque, anche al di
fuori delle ipotesi di grave inadempimento, ipotesi di ritardi per
negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (art.
108, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016).
In tutte queste ipotesi l’art. 110, comma 1, del vigente d.lgs. n. 50 del
2016 prevede che la stazione appaltante, se intende mantenere l’affidamento
alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede
di offerta, proceda allo scorrimento della graduatoria, esercitando quella
che pur sempre, nonostante il contrario avviso di autorevole dottrina, è
rimasta anche nel nuovo codice dei contratti pubblici una facoltà
discrezionale della pubblica amministrazione, come è reso manifesto dalla
lettera dell’art. 108, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016, laddove
menziona «la facoltà prevista dall’art. 110, comma 1».
La circostanza che tuttavia la stazione appaltante, al ricorrere delle
ipotesi di risoluzione di cui all’art. 108, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016,
abbia la mera facoltà di procedere allo scorrimento della graduatoria, con
il subentro del secondo classificato o dei successivi secondo l’ordine della
stessa, o di indire una nuova gara per il soddisfacimento delle proprie
esigenze, laddove permangano immutate –e salva, ovviamente, l’eccezionale
facoltà di revocare l’intera procedura gara stessa, se queste esigenze siano
addirittura venute meno, e di non bandirne più nessuna– non rende tuttavia
evanescente l’interesse dell’operatore economico, che abbia partecipato alla
gara, quantomeno meno a conoscere illegittimità, afferenti alla pregressa
fase pubblicistica ma emersi solo in sede di esecuzione (ipotesi di c.d.
recesso pubblicistico o, più precisamente, forme di annullamento in
autotutela, discrezionale o doverosa, secondo le ipotesi sopra ricordate in
via esemplificativa), o comunque inadempimenti manifestatisi in fase di
esecuzione (ipotesi di c.d. recesso privatistico).
L’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, se
riguardata infatti anche dal necessario versante del diritto amministrativo
e delle norme del codice dei contratti pubblici, che pure la regolano in
ossequio ai dettami del diritto dell’Unione, non è una “terra di nessuno”,
un rapporto rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il
contraente escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece
soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e
alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati
al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara.
La latitudine di questo intesse legittimo “strumentale” non solo
all’aggiudicazione della commessa, quale bene della vita finale, ma anche,
per l’eventuale riedizione della gara, quale bene della vita intermedio,
secondo quel “polimorfismo” del bene della vita alla quale tende per
graduali passaggi l’interesse legittimo, schiude la strada ad una visione
della materia, che fuoriesce dall’angusto confine di una radicale visione
soggettivistica del rapporto tra il solo, singolo, concorrente e la pubblica
amministrazione e che vede la confluenza e la tutela di molteplici interessi
anche in ordine alla sorte e alla prosecuzione del contratto, fermo pur
sempre il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa in questa
materia.
Applicando le medesime coordinate anche alla fase privatistica del contratto
pubblico, il riconoscimento di un interesse strumentale giuridicamente
tutelato quantomeno ai soggetti che abbiano partecipato alla gara, e non ne
siano stati definitivamente esclusi per l’esistenza di preclusioni che
impedirebbero loro di partecipare a qualsiasi gara (si pensi ad una impresa
colpita da informazione antimafia), a conoscere gli atti della fase
esecutiva non configura quindi una “iperestensione” del loro
interesse, con conseguente allargamento “a valle” della giurisdizione
amministrativa, tutte le volte in cui, a fronte di vicende di natura
pubblicistica o privatistica già verificatesi incidenti sulla prosecuzione
del rapporto, sia configurabile, se non il necessario, obbligatorio,
scorrimento della graduatoria (c.d. bene finale), quantomeno la realistica
possibilità di riedizione della gara (c.d. bene intermedio) per conseguire
l’aggiudicazione della stessa (c.d. bene finale), in un “solido
collegamento” con il bene finale.
L’interesse concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto riacquista
concretezza ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la
fase dell’esecuzione non rispecchi più quella dell’aggiudicazione,
conseguita all’esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco
concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano
illegittima l’aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità che
precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica,
facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l’inefficacia
sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che emerga una distorsione
di tutte quelle regole concorrenziali che avevano condotto
all’aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente per la
miglior soddisfazione dell’interesse pubblico.
Tanto chiarito sulla sussistenza di un interesse, e sulla conseguente
legittimazione che deriva dalla titolarità dello stesso, alla conoscenza
dello svolgimento del rapporto contrattuale, occorre però, ai fini
dell’accesso, che l’interesse dell’istante, pur in astratto legittimato,
possa considerarsi concreto, attuale, diretto, e, in particolare, che
preesista all’istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri
termini, che l’esistenza di detto interesse –per il verificarsi, ad esempio,
di una delle situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la
risoluzione del rapporto con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 108, commi 1
e 2, d.lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l’amministrazione a
scorrere la graduatoria– sia anteriore all’istanza di accesso documentale
che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruire” ad
hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post.
(4) Ha ricordato l’Adunanza plenaria Adunanza plenaria ritiene che
l’accesso civico generalizzato debba trovare applicazione, per le ragioni
che si esporranno, anche alla materia dei contratti pubblici.
L’accesso civico generalizzato introdotto nel corpus normativo del
d.lgs. n. 33 del 2013 dal d.lgs. n. 97 del 2016, in attuazione della delega
contenuta nell’art. 7, l. n. 124 del 2015, come diritto di “chiunque”,
non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del
richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla
conoscenza, viene riconosciuto e tutelato «allo scopo di favorire forme
diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e
sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al
dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013).
L’esplicita precisazione del legislatore evidenzia proprio la volontà di
superare quello che era e resta il limite connaturato all’accesso
documentale che, come si è detto, non può essere preordinato ad un controllo
generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma
3, l. n. 241 del 1990).
Nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al
cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse
individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere,
come taluno ha osservato, “occasionalmente protetto” per il c.d.
need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente,
strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso,
nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente
finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività
amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse
individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano
contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle
cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 33
del 2013.
Nel sopra citato
parere n. 515 del 24.02.2016 questo Consiglio di Stato, fornendo
indicazioni sulle modifiche normative da introdurre nel d.lgs. n. 33 del
2013, ha evidenziato nel par. 11.2 che «il passaggio dal bisogno di
conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella
definizione inglese F.O.I.A.) rappresenta per l’ordinamento nazionale una
sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine
[…] della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”».
Anche nel nostro ordinamento l’evoluzione della visibilità del potere, con
la conseguente accessibilità generalizzata dei suoi atti sul modello del
FOIA, è la storia del lento cammino verso la democrazia e, con il
progressivo superamento degli arcana imperii di tacitiana memoria,
garantisce la necessaria democraticità del processo continuo di informazione
e formazione dell’opinione pubblica (Corte cost. 07.05.2002, n. 155).
Il principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei
documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia
amministrativa in uno Stato di diritto, se è vero che la democrazia, secondo
una celebre formula ricordata dallo stesso
parere n. 515 del 24.02.2016, è il governo del potere pubblico in
pubblico, ma costituisce anche un caposaldo del principio di buon
funzionamento della pubblica amministrazione, quale “casa di vetro”
improntata ad imparzialità, intesa non quale mera conoscibilità, garantita
dalla pubblicità, ma anche come intelligibilità dei processi decisionali e
assenza di corruzione.
La stessa Corte costituzionale, ancor di recente (sent. n. 20 del
21.02.2019), ha rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati
in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA (Freedom
of information act), risponde a principî di pubblicità e trasparenza,
riferiti non solo, quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli
aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi
dell’art. 97 Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione (v.
anche sentt. n. 69 e n. 177 del 2018 nonché sent. n. 212 del 2017).
La stessa impostazione si rinviene ormai anche nel consolidato orientamento
di questo Consiglio di Stato non solo in sede consultiva, come nel più volte
citato
parere n. 515 del 2016, ma anche in sede giurisdizionale, laddove
numerose pronunce rimarcano che il nuovo accesso civico risponde pienamente
ai principi del nostro ordinamento nazionale di trasparenza e imparzialità
dell’azione amministrativa e di partecipazione diffusa dei cittadini alla
gestione della “cosa pubblica”, ai sensi degli artt. 1 e 2 Cost.,
nonché, ovviamente, dell’art. 97 Cost., secondo il principio di
sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost. (Cons.
St., sez. III, 06.03.2019, n. 1546).
Il FOIA si fonda sul riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” (right
to know) alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri
ordinamenti europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente
anche dall’art. 1, comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le
disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per
l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate
dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione,
contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma
dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost..
Non solo, peraltro, l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza
si declina come “accessibilità totale” (Corte cost. 21.02.2019, n.
20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del
legislatore (v., infatti, art. 1, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013), al
miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento
giuridico riconosce alla persona
(Consiglio
di Stato, A.P.,
sentenza 02.04.2020 n. 10 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI:
Automatismi espulsivi conseguenti al mancato rispetto della
previsioni di cui all’art. 95 d.lgs. n. 50/2016 –
Possibilità di omettere l’indicazione separata dei costi
della manodopera – Limiti – Sentenza Corte e di giustizia
UE, Nona Sezione, 02.05.2019, causa C-309/18.
Gli automatismi espulsivi conseguenti al
mancato rispetto delle previsioni di cui all’art. 95, comma
10, del codice dei contratti pubblici, sono compatibili con
il diritto europeo, come riconosciuto dalla Corte di
giustizia UE con sentenza della Nona Sezione, 02.05.2019,
causa C-309/18, con cui si è affermato: “I principi della
certezza del diritto, della parità di trattamento e di
trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014,
sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE,
devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a
una normativa nazionale, come quella oggetto del
procedimento principale, secondo la quale la mancata
indicazione separata dei costi della manodopera, in
un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura
di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta
l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di
soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di
indicare i suddetti costi separatamente non fosse
specificato nella documentazione della gara d’appalto,
sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione
siano chiaramente previste dalla normativa nazionale
relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente
richiamata in detta documentazione.
Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non
consentono agli offerenti di indicare i costi in questione
nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e
di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che
essi non ostano alla possibilità di consentire agli
offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli
obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro
un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice” (Consiglio
di Stato, A.P,.
sentenza 02.04.2020 n. 8 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: Mancata
indicazione separata dei costi della manodopera in un’offerta economica
presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Costi della
manodopera – Omessa separata indicazione – Conseguenza.
La mancata indicazione separata dei costi della
manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura
di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della
medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche
nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non
fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale
condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla
normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici
espressamente richiamata in detta documentazione.
Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli
offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i
principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel
senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di
sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla
normativa nazionale in materia entro un termine stabilito
dall’amministrazione aggiudicatrice (1)
---------------
(1) In termini v. anche
Cons. St., A.P., 02.04.2020, n. 8.
Sulla questione ha pronunciato la Corte di Giustizia Ue con sentenza della
sez. IX 02.05.2019, causa C-309/18.
Ha aggiunto l’Adunanza plenaria che i principi della certezza del diritto,
della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella
direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014,
sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come
quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata
indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica
presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto
pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di
soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i
suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione
della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di
esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa
alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta
documentazione.
Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli
offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i
principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel
senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di
sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla
normativa nazionale in materia entro un termine stabilito
dall’amministrazione aggiudicatrice.
Ha ricordato ancora l’Adunanza plenaria che in relazione ai rapporti
intercorrenti tra giudice nazionale e Corte di giustizia UE a seguito di
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dell’articolo 267 TFUE,
che “dopo aver ricevuto la risposta della Corte ad una questione vertente
sull’interpretazione del diritto dell’Unione da essa sottopostale, o
allorché la giurisprudenza della Corte ha già fornito una risposta chiara
alla suddetta questione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima
istanza deve essa stessa fare tutto il necessario affinché sia applicata
tale interpretazione del diritto dell’Unione” (Corte di giustizia UE,
Grande Sezione, 05.04.2016 causa C‑689/13).
Appare quindi del tutto superfluo procedere a una nuova formulazione del
principio di diritto in quanto, stante l’esaustività della decisione
pronunciata dalla Corte (come già evidenziato da
Cons. Stato, Ad. plen., ordinanza 28.10.2019, n. 12), si
assisterebbe una mera ripetizione di quanto già affermato dal giudice del
Lussemburgo.
Per altro verso, la struttura dell’art. 99 c.p.a., che regola il deferimento
all’Adunanza plenaria, evidenzia una flessibilità applicativa che consente a
questo giudice una pluralità di soluzioni diversificate, che variano dalla
decisione dell’intera vicenda (comma 4, prima parte), alla mera enunciazione
del principio di diritto (comma 4, seconda parte) fino alla semplice
restituzione degli atti alla Sezione remittente per ragioni di opportunità
(comma 1, seconda frase).
Il coordinamento delle dette disposizioni con i principi dell’Unione sopra
evidenziati consente pertanto a questa Adunanza di provvedere altresì alla
decisione dell’intera causa, secondo il già citato comma 4 dell’art. 99
c.p.a., allorché, come nel caso in esame, il principio di diritto sia stato
pronunciato aliunde, nell’ambito dei meccanismi del sistema di
cooperazione fra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte di
giustizia UE, instaurato dall’articolo 267 TFUE
(Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 02.04.2020 n. 7 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI:
Gestione dei contratti in essere.
Domanda
A seguito dell’adozione dei provvedimenti finalizzati al contenimento del
COVID-19 e l’interruzione di molti servizi comunali, in qualità di
Responsabile quali atti dovrei (o avrei dovuto) adottare con riferimento a
quei contratti che riguardano servizi non più possibili?
Risposta
La situazione drammatica e quasi surreale che stiamo vivendo ha trovato
impreparate le istituzioni e i cittadini nella gestione del quotidiano,
tanto che, di fronte al susseguirsi dei provvedimenti finalizzati al
contenimento del virus, le stesse amministrazioni locali sono intervenute
nella gestione dell’attività amministrativa secondo un ordine di priorità,
in primis quello della salute dei cittadini. Le numerose disposizioni
governative [1] e
locali hanno introdotto importanti limitazioni allo svolgimento
dell’attività sia pubblica che lavorativa, autorizzando solo quegli appalti
di estrema urgenza e indifferibili, con l’adozione di particolari
disposizioni igienico-sanitarie.
Per quei contratti in essere per i quali l’emergenza epidemiologica non
consente il regolare svolgimento, quali ad esempio, solo per citarne alcuni,
ristorazione scolastica, assistenza ad personam scolastica,
scuolabus, ecc., occorre applicare gli artt. 107 del d.lgs. 50/2016 e art.
23, co. 1, del d.m. 07.03.2018 n. 49.
L’art. 107, comma 1, stabilisce infatti che “In tutti i casi in cui
ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i
lavori procedano utilmente a regola d’arte, e che non siano prevedibili al
momento della stipulazione del contratto, il Direttore dei Lavori può
disporre la sospensione dell’esecuzione del contratto, compilando, se
possibile con l’intervento dell’esecutore o di un suo legale rappresentante
il verbale di sospensione, con l’indicazione delle ragioni che hanno
determinato l’interruzione dei lavori”.
Norma estesa anche ai contratti relativi a forniture e servizi ai sensi del
successivo comma 7.
Mentre il d.m. 07.03.2018 n. 49, in specie l’art. 23, comma 1, precisa che “Il
direttore dell’esecuzione, quando ordina la sospensione dell’esecuzione nel
ricorso dei presupposti di cui all’articolo 107, comma 1, del codice,
indica, nel verbale da compilare e inoltrare al RUP ai sensi dello stesso
articolo 107, comma 1, del codice, oltre a quanto previsto da tale articolo,
anche l’imputabilità delle ragioni della sospensione e le prestazioni già
effettuate”;
Pertanto, sussistendo le condizioni citate in premessa, il Direttore
dell’esecuzione dovrà ordinare la sospensione dell’esecuzione delle
prestazioni mediante un verbale da compilare e inoltrare al RUP, nel quale
indicare:
• i riferimenti contrattuali e l’ordinaria scadenza;
• le ragioni della sospensione;
• la situazione organizzativa al momento della sospensione;
• il dispositivo di sospensione con rinvio alla ripresa a seguito
della cessazione dello stato di emergenza e le eventuali cautele da adottare
anche ai fini del successivo riavvio.
Non appena siano venute a cessare le cause della sospensione (si spera
presto) seguirà un verbale di ripresa dell’attività che riporterà il nuovo
termine contrattuale.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 103, comma 4, del cd “Decreto Cura
Italia“ n. 18/2020, le Pubbliche Amministrazioni sono tenute a
sospendere i pagamenti di opere, servizi, forniture solo relativamente alle
prestazioni contrattuali oggetto di sospensione.
---------------
[1] I principali Decreti adottati ai fini del contenimento dell’emergenza
epidemiologica: decreto-legge 23.02.2020, n. 6; DPCM 01.03.2020; DPCM
08.03.2020; DPCM 09.03.2020; DPCM 11.03.2020; decreto-legge 17.03.2020, n.
18; DPCM 22.03.2020, decreto del 25.03.2020; decreto-legge 25.03.2020 n. 19
(01.04.2020 - link a www.publika.it). |
marzo 2020 |
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APPALTI: Principio
di rotazione e tutela giurisdizionale.
---------------
●
Processo amministrativo – Rito appalti – Principio di rotazione – Violazione
– Momento in cui è dedotta.
●
Contratti della Pubblica amministrazione - Rotazione – Ambito di
applicazione.
●
La violazione del rispetto del principio di rotazione deve essere dedotto
unitamente all’impugnazione dell’aggiudicazione e non con il provvedimento
di ammissione alla gara, non attenendo ai requisiti di ordine soggettivo, la
cui verifica era assoggettata al regime della impugnazione immediata di cui
all’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a. (1).
●
Il principio della rotazione, previsto dall’art. 36, comma 1,
d.lgs. n. 50 del 2016, si applica già nella fase dell’invito degli operatori
alla procedura di gara (2).
---------------
(1) Ha affermato la Sezione di ignorare il difforme orientamento
ancora di recente espresso, sul punto, da
Cons. Stato, sez. V, 17.05.2018, n. 2949 e condiviso da id.,
sez. V, 17.01.2019, n. 435: nondimeno, re melius perpensa,
osserva che il rito c.d. superspeciale di cui all’art. 120, comma 2-bis,
c.p.a.. –oggi abrogato per effetto dell'art. 1, comma 22, lett. a), d.l.
18.04.2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14.06.2019, n.
55, ma applicabile ai processi in corso, in virtù della disciplina
intertemporale di cui all’art. 1, comma 23– va considerato applicabile
esclusivamente con riguardo ai provvedimenti (di esclusione e di) ammissione
degli operatori economici, adottati “all’esito della valutazione dei
requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali”
necessari per la partecipazione alla gara (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 05.11.2019, n. 7539).
In particolare, i requisiti soggettivi (o generali o morali) si
differenziano dai requisiti tecnici ed economici (c.d. speciali) in quanto
attengono esclusivamente a caratteristiche soggettive e/o personali degli
operatori economici, essendo sempre identici per ogni procedura evidenziale.
Essi sono individuati in negativo dall’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016
(applicabile anche ai settori speciali, in virtù dell’espresso richiamo
operato dall’art. 136, nonché ai contratti di importo inferiore alle soglie
di rilevanza comunitaria, in virtù del richiamo di cui all’art. 36, comma 5)
attraverso l’elencazione (tassativa: cfr. art. 83, comma 8) di
corrispondenti “motivi di esclusione”.
Si tratta dei requisiti inerenti la “idoneità professionale” degli
operatori economici (cfr. art. comma 1 lettera a) del Codice), che,
complessivamente, si sostanziano: a) nella capacità giuridica ad instaurare
rapporti contrattuali; b) nella integrità e correttezza professionale; c)
nella affidabilità morale.
Orbene, la qualità di precedente affidatario del contratto (in base alla
quale –nel caso di procedura negoziata indetta ai sensi dell’art. 36, comma
2, lettera b)– è reso operativo il “principio di rotazione”), non
rappresenta un requisito di idoneità professionale, la cui accertata carenza
costituirebbe “motivo di esclusione” ai sensi dell’art. 80 cit., ma
solo una forma di limitazione (neppure assoluta, essendo possibile
giustificarne il superamento con adeguata motivazione) della libertà della
stazione appaltante nella individuazione della platea dei soggetti da
invitare alla gara.
Ne discende l’inapplicabilità del regime di cui all’art. 120, comma 2-bis,
in ragione del carattere speciale, derogatorio e pertanto di stretta
interpretazione della disposizione normativa (cfr., tra le tante,
Cons. Stato, sez. V, 08.01.2019, n. 173).
(2) Ha chiarito la Sezione che l’art. 36, comma 1, d.lgs. n. 50 del
2016 impone espressamente alle stazioni appaltanti nell’affidamento dei
contratti d’appalto sotto soglia il rispetto del “principio di rotazione
degli inviti e degli affidamenti”.
Detto principio costituisce necessario contrappeso alla notevole
discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nel decidere gli operatori
economici da invitare in caso di procedura negoziata (Cons.
Stato, sez. V, 12.09.2019, n. 6160); esso ha l’obiettivo di
evitare la formazione di rendite di posizione e persegue l’effettiva
concorrenza, poiché consente la turnazione tra i diversi operatori nella
realizzazione del servizio, consentendo all’amministrazione di cambiare per
ottenere un miglior servizio (Cons.
Stato, sez. VI, 04.06.2019, n. 3755).
In questa ottica, non è casuale la scelta del legislatore di imporre il
rispetto del principio della rotazione già nella fase dell’invito degli
operatori alla procedura di gara; lo scopo, infatti, è quello di evitare che
il gestore uscente, forte della conoscenza della strutturazione del servizio
da espletare acquisita nella precedente gestione, possa agevolmente
prevalere sugli altri operatori economici pur se anch’essi chiamati dalla
stazione appaltante a presentare offerta e, così, posti in competizione tra
loro (Cons.
Stato, sez. V, 12.06.2019, n. 3943; id.
05.03.2019, n. 1524; id.
13.12.2017, n. 5854).
Tale principio, comporta perciò, di norma, il divieto di invito a procedure
dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente
e dell’operatore economico invitato e non affidatario nel precedente
affidamento (Cons.
Stato, sez. V, 05.11.2019, n. 7539), salvo che la stazione
appaltante fornisca adeguata, puntuale e rigorosa motivazione delle ragioni
che hanno indotto a derogarvi (facendo, in particolare, riferimento, al
numero eventualmente circoscritto e non adeguato di operatori presenti sul
mercato; al particolare, idiosincratico e difficilmente replicabile grado di
soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale
ovvero al peculiare oggetto ed alle specifiche caratteristiche del mercato
di riferimento; cfr,
Cons. Stato, sez. V, 12.06.2019, n. 3943).
Tale motivazione, in base ai principi generali, deve risultare –nel rispetto
del qualificato canone di trasparenza che orienta la gestione delle
procedure evidenziali (cfr. art. 30, comma 1, d.lgs. n 50 del 2016)– già
dalla decisione assunta all’atto di procedere all’invito, e non può essere
surrogata dalla integrazione postuma, in sede contenziosa.
Nel caso di specie, la stazione appaltante, che ha optato per inoltrare
l’invito al gestore uscente, non ha evidenziato nella determina a contrarre
e nei successivi atti di gara le ragioni per le quali aveva ritenuto di non
poter prescindere dall’invito (peraltro rivolto in modo generalizzato a
tutti i fornitori iscritti all’Albo)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 31.03.2020 n. 2182 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
2.- Con un primo motivo di doglianza l’appellante lamenta
violazione dell’art. 120, comma 2-bis, cod. proc. amm., nella formulazione
vigente ratione temporis.
A suo dire, il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato
inammissibile, in quanto –incentrandosi la contestazione sul rilievo che
l’aggiudicataria non avrebbe dovuto essere, in tesi, né invitata né ammessa
alla gara– la doglianza avrebbe dovuto essere fatta valere mediante
tempestiva impugnazione del provvedimento di ammissione, nella specie
deliberata all’esito della seduta pubblica del 21.01.2019, con provvedimento
pubblicato sul profilo committente in data 23.01.2019: l’omessa impugnazione
di tale provvedimento avrebbe dovuto far ritenere, per tal via, preclusa la
contestazione della “illegittimità derivata dei successivi atti delle
procedure di affidamento”, come, appunto, previsto dall’art. 120, comma
2-bis cit..
2.1.- Il motivo non è persuasivo.
Il Collegio non ignora il difforme orientamento ancora di recente espresso,
sul punto, da Cons. Stato, sez. V, 17.05.2018, n. 2949 e condiviso da Id.,
sez. V, 17.01.2019, n. 435: nondimeno, re melius perpensa, osserva
che il rito c.d. superspeciale di cui all’art. 120, comma 2-bis, cod. proc.
amm. –oggi abrogato per effetto dell'art. 1, comma 22, lett. a), d.l.
18.04.2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14.06.2019, n.
55, ma applicabile ai processi in corso, in virtù della disciplina
intertemporale di cui all’art. 1, comma 23– va considerato applicabile
esclusivamente con riguardo ai provvedimenti (di esclusione e di) ammissione
degli operatori economici, adottati “all’esito della valutazione dei
requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali”
necessari per la partecipazione alla gara (cfr. Cons. Stato, sez. V,
05.11.2019, n. 7539).
In particolare, i requisiti soggettivi (o generali o morali) si
differenziano dai requisiti tecnici ed economici (c.d. speciali) in quanto
attengono esclusivamente a caratteristiche soggettive e/o personali degli
operatori economici, essendo sempre identici per ogni procedura evidenziale.
Essi sono individuati in negativo dall’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016
(applicabile anche ai settori speciali, in virtù dell’espresso richiamo
operato dall’art. 136, nonché ai contratti di importo inferiore alle soglie
di rilevanza comunitaria, in virtù del richiamo di cui all’art. 36, comma 5)
attraverso l’elencazione (tassativa: cfr. art. 83, comma 8) di
corrispondenti “motivi di esclusione”.
Si tratta dei requisiti inerenti la “idoneità professionale” degli
operatori economici (cfr. art. comma 1 lettera a) del Codice), che,
complessivamente, si sostanziano: a) nella capacità giuridica ad instaurare
rapporti contrattuali; b) nella integrità e correttezza professionale; c)
nella affidabilità morale.
Orbene, la qualità di precedente affidatario del contratto (in base alla
quale –nel caso di procedura negoziata indetta ai sensi dell’art. 36, comma
2, lettera b)– è reso operativo il “principio di rotazione”), non
rappresenta un requisito di idoneità professionale, la cui accertata carenza
costituirebbe “motivo di esclusione” ai sensi dell’art. 80 cit., ma
solo una forma di limitazione (neppure assoluta, essendo possibile
giustificarne il superamento con adeguata motivazione) della libertà della
stazione appaltante nella individuazione della platea dei soggetti da
invitare alla gara.
Ne discende l’inapplicabilità del regime di cui all’art. 120, comma 2-bis,
in ragione del carattere speciale, derogatorio e pertanto di stretta
interpretazione della disposizione normativa (cfr., tra le tante, Cons.
Stato, sez. V, 08.01.2019, n. 173).
3.- Con il secondo motivo di censura l’appellante lamenta violazione
dell’art. 36 del d.lgs. n. 50/2016 e degli artt. 3 e 21-octies della l. n.
241/1990.
In proposito premette che il primo giudice ha ritenuto:
a) che la gara in contestazione fosse soggetta al principio di
rotazione, in quanto sotto soglia e con procedura negoziata, “potendovi
partecipare soltanto gli operatori economici iscritti nell’albo fornitori
della Cassa Depositi e Prestiti che avevano ricevuto lettera d’invito”;
b) che anche in tali casi fossero ammissibili deroghe, ma
subordinatamente ad un onere di motivazione rafforzato, nella specie non
rispettato (o, comunque, implausibilmente valorizzato solo in sede
giudiziale);
c) che, per l’effetto, la violazione del principio di rotazione,
sostanziatosi non nell’invito del precedente affidatario a prendere parte
alla gara, ma nella omessa puntuale motivazione della decisione assunta,
fosse idoneo a travolgere la pedissequa aggiudicazione, con conseguente
obbligo di procedere allo scorrimento della graduatoria.
Ciò posto, assume criticamente che il primo giudice avrebbe errato:
a) anzitutto nel ritenere la sussistenza dei presupposti per
l’applicazione del principio di rotazione, in concreto asseritamente non
ricorrenti;
b) quindi nel postulare la necessità di una specifica motivazione
nell’invito in contestazione, non sussistente e, come che sia, emergente
ex actis;
c) infine nel ritenere esaurito il potere dell’amministrazione,
quando avrebbe dovuto, al più, disporre un remand per consentire alla
stazione appaltante di rivalutare la sussistenza dei presupposti per
l’invito del gestore uscente.
4.- Osserva il Collegio che l’art. 36, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 impone
espressamente alle stazioni appaltanti nell’affidamento dei contratti
d’appalto sotto soglia il rispetto del “principio di rotazione degli
inviti e degli affidamenti”.
Detto principio costituisce necessario contrappeso alla notevole
discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nel decidere gli operatori
economici da invitare in caso di procedura negoziata (Cons. Stato, sez. V,
12.09.2019, n. 6160); esso ha l’obiettivo di evitare la formazione di
rendite di posizione e persegue l’effettiva concorrenza, poiché consente la
turnazione tra i diversi operatori nella realizzazione del servizio,
consentendo all’amministrazione di cambiare per ottenere un miglior servizio
(Cons. Stato, sez. VI, 04.06.2019, n. 3755).
In questa ottica, non è casuale la scelta del legislatore di imporre il
rispetto del principio della rotazione già nella fase dell’invito degli
operatori alla procedura di gara; lo scopo, infatti, è quello di evitare che
il gestore uscente, forte della conoscenza della strutturazione del servizio
da espletare acquisita nella precedente gestione, possa agevolmente
prevalere sugli altri operatori economici pur se anch’essi chiamati dalla
stazione appaltante a presentare offerta e, così, posti in competizione tra
loro (Cons. Stato, sez. V, 12.06.2019, n. 3943; Id., sez. V, 05.03.2019, n.
1524; Id., sez. V, 13.12.2017, n. 5854).
Tale principio, comporta perciò, di norma, il divieto di invito a procedure
dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente
e dell’operatore economico invitato e non affidatario nel precedente
affidamento (Cons. Stato, sez. V, 05.11.2019, n. 7539), salvo che la
stazione appaltante fornisca adeguata, puntuale e rigorosa motivazione delle
ragioni che hanno indotto a derogarvi (facendo, in particolare, riferimento,
al numero eventualmente circoscritto e non adeguato di operatori presenti
sul mercato; al particolare, idiosincratico e difficilmente replicabile
grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto
contrattuale ovvero al peculiare oggetto ed alle specifiche caratteristiche
del mercato di riferimento; cfr, Cons. Stato, sez. V, 12.06.2019, n. 3943).
Tale motivazione, in base ai principi generali, deve risultare –nel rispetto
del qualificato canone di trasparenza che orienta la gestione delle
procedure evidenziali (cfr. art. 30, comma 1, d.lgs. n 50/2016)– già dalla
decisione assunta all’atto di procedere all’invito, e non può essere
surrogata dalla integrazione postuma, in sede contenziosa.
Nel caso di specie, la stazione appaltante, che ha optato per inoltrare
l’invito al gestore uscente, non ha evidenziato nella determina a contrarre
e nei successivi atti di gara le ragioni per le quali aveva ritenuto di non
poter prescindere dall’invito (peraltro rivolto in modo generalizzato a
tutti i fornitori iscritti all’Albo).
Ne discende, come correttamente ritenuto dalla sentenza appellata:
a) che l’aggiudicazione, disposta in favore proprio del gestore
uscente, risulta viziata dalla irrituale modalità di selezione della platea
dei competitori e va, perciò, annullata;
b) che –fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela, nei casi
consentiti dalle norme vigenti (cfr. art. 32, comma 8, d.lgs. n. 50/2016)–
l’estromissione della prima graduata importa, con la salvezza delle
verifiche di legge, lo scorrimento delle graduatoria, a favore
dell’appellante (dovendo escludersi –proprio nella impossibilità di
strutturare una motivazione a posteriori– la mera ratifica, in prospettiva
conformativa, degli esiti della gara). |
APPALTI:
Procedura negoziata con un numero di appaltatori inferiore a quanto
stabilito dalla norma.
Domanda
Avremmo necessità di un chiarimento in ordine alla possibilità di esperire
comunque una procedura negoziata per l’aggiudicazione del servizio di (…),
per un importo pari a 125 mila euro, anche se nel caso di specie gli
appaltatori che si sono proposti (in seguito a pubblicazione dell’avviso per
manifestare interesse rimasto in pubblicazione per n. 30 giorni) sono
solamente 4 e non 5 come previsto dalla norma.
Risposta
Il quesito si riferisce alla ipotesi di procedura semplificata ora prevista
–secondo la riscrittura intervenuta con la legge 55/2019– nella lettera b)
comma 2, dell’articolo 36 del Codice dei contratti.
La norma consente –per quanto concerne gli appalti di forniture e servizi–
in relazione al range di importo pari o superiore ai 40mila euro fino a
tutto il sotto soglia (per gli enti locali importi inferiori ai 214mila
euro) di avviare una competizione con almeno 5 operatori individuati con
l’indagine di mercato o tramite scelta dall’albo dei prestatori (interno
alla stazione appaltante).
In particolare, la disposizione si esprime in termini di affidamento diretto
previo confronto/competizione di almeno n. 5 operatori economici.
Chiaramente il riferimento all’affidamento diretto non è corretto
considerato che l’assegnazione non può prescindere dall’escussione di
diversi appaltatori.
La disposizione, come in altre circostanze segnalato, non esplicita il
procedimento che il RUP deve attuare ma, secondo tradizione, è bene che il
RUP pubblichi comunque l’avviso pubblico a manifestare interesse (sui cui
poi innestare gli inviti) o l’avviso a presentare direttamente la propria
migliore offerta.
La micro competizione è sicuramente il dato sostanziale di questo
procedimento ma può anche accadere che nonostante un procedimento
trasparente ed oggettivo (pubblicazione dell’avviso a manifestare interesse
anche per un tempo congruo come nel caso di specie) non si riesca ad
ottenere il numero minimo degli appaltatori richiesti dalla norma (ovvero
5).
A sommesso parere il RUP potrebbe avere due differenti opzioni: o valutare
di integrare il numero degli operatori invitando direttamente altri
appaltatori (magari scegliendoli discrezionalmente dalle vetrine del mercato
elettronico, facendosi guidare da riferimenti tecnici sempre applicando la
rotazione visto che si tratta di scelta discrezionale). In questo caso si
potrebbe raggiungere il numero minimo richiesto dalla norma.
Potrebbe altresì, a parere di chi scrive, se sono state rispettate le
condizioni di pubblicità e trasparenza (come nel caso prospettato) procedere
con l’invito dei soli soggetti che hanno presentato la propria candidatura.
Da notare che tale possibilità è anche prevista nello schema di regolamento
attuativo del codice dei contratti per i lavori nel range di importo tra
40/150mila euro (comma 1, art. 7).
In questo caso nella determina il RUP avrà cura di specificare che,
evidentemente, il mercato –in quel contesto particolare e/o per la tipologia
dell’appalto– non è grado di esprimere realtà economiche interessate
all’appalto.
Sempre che tale disinteresse, evidentemente, non sia stato determinato da
condizioni dell’appalto non convenienti che siano anche state segnalate
formalmente all’ente (in particolare al RUP) (25.03.2020 - link a
www.publika.it). |
APPALTI: Modalità
di sigillatura del plico contenente le
offerte e rispetto dei principi di
segretezza e immodificabilità delle stesse.
Il TAR Milano, a fronte
di una disposizione di gara che prevedeva
che il plico contenente l’offerta fosse
“unico”, “sigillato” e “controfirmato sui
lembi di chiusura”, osserva che:
«Premesso che le buste A e B presentate
dalla controinteressata non sono state
inserite in un unico plico, come richiesto
dall’art. 5 dell’avviso di gara, le stesse
sono state chiuse mediante semplice
incollatura, come desumibile dalle loro
fotografie depositate in giudizio, ed
inoltre, dal loro esame materiale,
effettuato nel corso della camera di
consiglio, in cui in particolare il Collegio
ha preso atto che le stesse non risultano
controfirmate sui lembi di chiusura, essendo
le sottoscrizioni state apposte al di sotto
degli stessi, né del resto le scritte dei
timbri sono state apposte su detti lembi,
quanto invece, in parte al di sopra, ed in
parte al di sotto.
Come già evidenziato in sede cautelare, i
predetti plichi non possono conseguentemente
ritenersi “sigillati”, considerato che,
malgrado il verbo sigillare, come utilizzato
nel linguaggio comune, non imponga
necessariamente l’apposizione di un sigillo,
lo stesso richiede comunque una chiusura
ermetica, tale da impedire ogni accesso, o
rendere evidente ogni tentativo di apertura.
In particolare, l’uso dei lembi preincollati
dal fabbricante con la dicitura “plico
verificabile per ispezione postale”, come ha
avuto luogo nel caso di specie, costituisce
elemento idoneo a far ritenere il mancato
assolvimento all’onere di sigillatura della
busta, in modo che ne sia garantita
l’integrità, segretezza, identità,
provenienza ed immodificabilità della
documentazione.
Se è pur vero che, in linea generale, la
violazione delle modalità di confezionamento,
benché prescritte dalla lex specialis a pena
di esclusione, quando si traduca in una mera
violazione di carattere formale, non
comporti necessariamente l’automatica
estromissione dalla gara, laddove invece
abbia luogo un effettivo vulnus alle
esigenze sostanziali alla cui tutela tali
incombenti sono preordinati, la stazione
appaltante non può che procedere
all’esclusione.
Come detto, nel caso di specie, i plichi
presentati dalla controinteressata non erano
sigillati, potendo pertanto, in astratto,
essere aperti, senza che di ciò restasse
traccia, ciò che è palesemente incompatibile
con la tutela dei principi di segretezza ed
immodificabilità delle offerte»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 24.03.2020 n. 554 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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III.2) Quanto al merito, l’istante deduce
l’illegittima ammissione della
controinteressata, per aver presentato un
plico sigillato con modalità difformi da
quanto richiesto, a pena di esclusione,
dalla lex specialis.
Sul punto, l’Avviso richiedeva che il plico
contenente l’offerta fosse, oltre che “unico”,
anche “sigillato”, e “controfirmato
sui lembi di chiusura”.
Premesso che le buste A e B presentate dalla
controinteressata non sono state inserite in
un unico plico, come richiesto dall’art. 5
dell’avviso di gara, le stesse sono state
chiuse mediante semplice incollatura, come
desumibile dalle loro fotografie depositate
in giudizio, ed inoltre, dal loro esame
materiale, effettuato nel corso della camera
di consiglio, in cui in particolare il
Collegio ha preso atto che le stesse non
risultano controfirmate sui lembi di
chiusura, essendo le sottoscrizioni state
apposte al di sotto degli stessi, né del
resto le scritte dei timbri sono state
apposte su detti lembi, quanto invece, in
parte al di sopra, ed in parte al di sotto.
Come già evidenziato in sede cautelare, i
predetti plichi non possono conseguentemente
ritenersi “sigillati”, considerato
che, malgrado il verbo sigillare, come
utilizzato nel linguaggio comune, non
imponga necessariamente l’apposizione di un
sigillo, lo stesso richiede comunque una
chiusura ermetica, tale da impedire ogni
accesso, o rendere evidente ogni tentativo
di apertura (TAR Sicilia, Catania, Sez. II,
05.03.2018, n. 497).
In particolare, l’uso dei lembi preincollati
dal fabbricante con la dicitura “plico
verificabile per ispezione postale”,
come ha avuto luogo nel caso di specie,
costituisce elemento idoneo a far ritenere
il mancato assolvimento all’onere di
sigillatura della busta, in modo che ne sia
garantita l’integrità, segretezza, identità,
provenienza ed immodificabilità della
documentazione (TAR Lazio, Sez. II-ter,
13.06.2016 n. 6745).
Se è pur vero che, in linea generale, la
violazione delle modalità di confezionamento,
benché prescritte dalla lex specialis a pena
di esclusione, quando si traduca in una mera
violazione di carattere formale, non
comporti necessariamente l’automatica
estromissione dalla gara, laddove invece
abbia luogo un effettivo vulnus alle
esigenze sostanziali alla cui tutela tali
incombenti sono preordinati, la stazione
appaltante non può che procedere
all’esclusione (C.S., Sez. V, 19.11.2018, n.
6520).
Come detto, nel caso di specie, i plichi
presentati dalla controinteressata non erano
sigillati, potendo pertanto, in astratto,
essere aperti, senza che di ciò restasse
traccia, ciò che è palesemente incompatibile
con la tutela dei principi di segretezza ed
immodificabilità delle offerte. |
APPALTI:
Recesso dal contratto da parte della
stazione appaltante.
Il TAR Milano in tema di
recesso dal contratto da parte della
stazione appaltante rimarca che:
«- in tema di appalti pubblici, lo ius poenitendi della stazione
appaltante è espressamente contemplato e
conformato dall’art. 109 del d.lgs. 50/2016,
che si inscrive nella previsione generale di
cui all’art. 21-sexies l. 241/1990, in forza
della quale è possibile “il recesso
unilaterale dai contratti della pubblica
amministrazione… nei casi previsti dalla
legge o dal contratto”, secondo una regola
di tipicità delle ipotesi di recesso analoga
a quella di cui agli articoli 1372 e 1373
c.c.;
- la facoltà di recedere in qualunque tempo dai contratti pubblici,
per vero, già cristallizzata all’art. 134
del previgente d.lgs. 163/2006, è da tempo
immemorabile riconosciuta
all’Amministrazione, tenuto conto già del
disposto di cui all’art. 345 l. 1865, n.
2248, all. F, per cui “È facoltativo
all'Amministrazione di risolvere in
qualunque tempo il contratto, mediante il
pagamento dei lavori eseguiti e del valore
dei materiali utili esistenti in cantiere,
oltre al decimo dell'importare delle opere
non eseguite”;
- le richiamate previsioni normative, immancabilmente succedutesi
negli anni –pur inscrivendosi
fisiologicamente nelle ordinarie categorie
civilistiche, integrando una ipotesi di
diritto legale di recesso- riflettono
all’evidenza la voluntas legis di assegnare
rilevanza alle sopravvenute valutazioni di
opportunità per definizione rientranti nella
sfera di merito della azione amministrativa,
attribuendo un potere di scioglimento
unilaterale del rapporto previo “pagamento
di un prezzo”; pretium costituito, in
particolare, dal valore dei “lavori eseguiti
o delle prestazioni relative ai servizi e
alle forniture eseguite”, nonché dal valore
“dei materiali utili esistenti in cantiere
nel caso di lavoro o in magazzino nel caso
di servizi o forniture, oltre al decimo
dell’importo delle opere, dei servizi o
delle forniture”, con una previsione che
differisce leggermente dal disposto generale
dell’art. 1671 c.c. in tema di appalto
privato;
- benché veicolato in forme privatistiche -in ossequio peraltro al
principio generale ora codificato all’art.
1, comma 1-bis l. 241/1990, per cui “La
pubblica amministrazione nell’adozione di
atti di natura non autoritativa, agisce
secondo le norme di diritto privato salvo
che la legge disponga diversamente”–
l’interesse pubblico di cui
l’Amministrazione è indefettibilmente
titolare permea anche tale forma di recesso,
con il corollario –non vertendosi in tema di
revoca ex art. 21-quinquies l. 241/1990, ma
di scioglimento di un vincolo negoziale per
definizione paritetico- “di non dover
assicurare il contraddittorio procedimentale
né esternare compiutamente le motivazioni
della scelta, essendo ciò bilanciato dal
maggiore onere economico che ne consegue”
(rispetto al “mero” indennizzo dovuto per il
caso di revoca di atti amministrativi ex
art. 21-quinquies: CdS, a.p., 20.06.2014, n.
14)»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 24.03.2020 n. 545 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
3. Anche il terzo mezzo è fondato.
3.1. L’art. 4 del disciplinare dispone che “La
durata dell’appalto (escluse le eventuali
opzioni) è di 36 mesi decorrenti dalla data
di aggiudicazione” (4.1.) e che “La
stazione appaltante si riserva la facoltà di
ripetere il contratto, alle medesime
condizioni, per una durata massima pari a 36
mesi (…) la durata del contratto in corso di
esecuzione potrà essere modificata per un
periodo di tempo massimo di sei mesi”
(4.2.).
3.2. Tali prescrizioni sono, di poi,
reiterate all’art. 2 del capitolato
speciale, rubricato giustappunto “durata
del contratto e utilizzo della graduatoria”,
ove tuttavia è dato testualmente leggere che
“I primi 6 (sei) mesi di servizio
–comunque computati nella durata
contrattuale- costituiscono periodo di prova
(…) durante il periodo di prova l’azienda
può, a suo insindacabile giudizio, recedere
dal contratto mediante preavviso di 10
(dieci) giorni”.
3.3. Tale ultima previsione, attribuendo
alla stazione appaltante la insindacabile
facoltà di interrompere, ad libitum
ed ex abrupto, il rapporto
contrattuale legittimamente costituito con
l’impresa aggiudicataria:
- non vale ad integrare, contrariamente a quanto opinato dal
consorzio ricorrente, la fattispecie
contemplata all’art. 1355 c.c., che sanziona
con la nullità la sola condizione meramente
potestativa sospensiva (“È nulla (…)
l’assunzione di un obbligo subordinata a una
condizione sospensiva”) e non anche
quella risolutiva (tra le tante, Cass., II,
20.04.2018, n. 9879; Id., id. 17859/2003;
Cass. 3439/2001, 15.09.1999 n. 9840,
25.01.1992 n. 812);
- è costitutiva di un diritto potestativo in capo alla azienda
resistente funzionale allo scioglimento del
rapporto contrattuale –e, dunque, alla
cessazione degli effetti negoziali inter
partes- il cui esercizio è pertanto
rimesso alla mera volontà (“si volam”)
di essa azienda, risolvendosi in una facoltà
di recesso nei primi sei mesi senza limiti
nell’“an”;
- non è colpita, indi e in via generale, dalla sanctio
nullitatis di cui è menzione all’art.
1355 c.c., trattandosi di una condizione
risolutiva, comportante il venir meno degli
effetti del negozio, ritenuta generalmente
ammissibile, purché l’esercizio del potere
di interrompere il rapporto avvenga sempre e
comunque nel rispetto dei principi generali
di buona fede e correttezza, che devono
informare la condotta dei soggetti avvinti
da un rapporto giuridico; la giurisprudenza
da tempo riconosce la vigenza, nel sistema
giuridico, di un principio generale di
divieto di abuso del diritto, volto a
sanzionare situazioni in cui il titolare di
un diritto soggettivo, pur in assenza di
divieti formali, lo eserciti con modalità
non necessarie ed irrispettose del dovere di
correttezza e buona fede, causando uno
sproporzionato ed ingiustificato sacrificio
della controparte contrattuale, ed al fine
di conseguire risultati diversi ed ulteriori
rispetto a quelli per i quali quei poteri o
facoltà furono attribuiti (Cass., I,
12.10.2018, n. 25606; Cass., 07.05.2013, n.
10568; TAR Lombardia, I, 14.06.2019, n.
1376; TAR Lombardia, I, 19.11.2018, n. 2603;
TAR Campania, III, 10.01.2018, n. 154; Cass.,
18/09/2009, n. 20106); il dovere di buona
fede e correttezza, di cui agli artt. 1175,
1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del
parametro di solidarietà, sancito dall'art.
2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza,
si pone non più solo come criterio per
valutare la condotta delle parti nell’ambito
dei rapporti obbligatori, ma anche come
canone per individuare un limite alle
richieste e ai poteri dei titolari di
diritti, anche sul piano della loro tutela
processuale (TAR Lombardia, I, 19.11.2018,
n. 2603).
3.4. D’altra parte non può non rimarcarsi
che:
- in tema di appalti pubblici, lo ius poenitendi della
stazione appaltante è espressamente
contemplato e conformato dall’art. 109 del
d.lgs. 50/2016, che si inscrive nella
previsione generale di cui all’art.
21-sexies l. 241/1990, in forza della quale
è possibile “il recesso unilaterale dai
contratti della pubblica amministrazione…nei
casi previsti dalla legge o dal contratto”,
secondo una regola di tipicità delle ipotesi
di recesso analoga a quella di cui agli
articoli 1372 e 1373 c.c.;
- la facoltà di recedere in qualunque tempo dai contratti pubblici,
per vero, già cristallizzata all’art. 134
del previgente d.lgs. 163/2006, è da tempo
immemorabile riconosciuta
all’Amministrazione, tenuto conto già del
disposto di cui all’art. 345 l. 1865, n.
2248, all. F, per cui “È facoltativo
all'Amministrazione di risolvere in
qualunque tempo il contratto, mediante il
pagamento dei lavori eseguiti e del valore
dei materiali utili esistenti in cantiere,
oltre al decimo dell'importare delle opere
non eseguite”;
- le richiamate previsioni normative, immancabilmente succedutesi
negli anni –pur inscrivendosi
fisiologicamente nelle ordinarie categorie
civilistiche, integrando una ipotesi di
diritto legale di recesso- riflettono
all’evidenza la voluntas legis di
assegnare rilevanza alle sopravvenute
valutazioni di opportunità (Cass., 391/2011)
per definizione rientranti nella sfera di
merito della azione amministrativa,
attribuendo un potere di scioglimento
unilaterale del rapporto previo “pagamento
di un prezzo”; pretium costituito, in
particolare, dal valore dei “lavori
eseguiti o delle prestazioni relative ai
servizi e alle forniture eseguite”,
nonché dal valore “dei materiali utili
esistenti in cantiere nel caso di lavoro o
in magazzino nel caso di servizi o
forniture, oltre al decimo dell’importo
delle opere, dei servizi o delle forniture”,
con una previsione che differisce
leggermente dal disposto generale dell’art.
1671 c.c. in tema di appalto privato;
- benché veicolato in forme privatistiche -in ossequio peraltro al
principio generale ora codificato all’art.
1, comma 1-bis l. 241/1990, per cui “La
pubblica amministrazione nell’adozione di
atti di natura non autoritativa, agisce
secondo le norme di diritto privato salvo
che la legge disponga diversamente”–
l’interesse pubblico di cui
l’Amministrazione è indefettibilmente
titolare permea anche tale forma di recesso,
con il corollario –non vertendosi in tema di
revoca ex art. 21-quinquies l. 241/1990, ma
di scioglimento di un vincolo negoziale per
definizione paritetico- “di non dover
assicurare il contraddittorio procedimentale
né esternare compiutamente le motivazioni
della scelta, essendo ciò bilanciato dal
maggiore onere economico che ne consegue”
(rispetto al “mero” indennizzo dovuto
per il caso di revoca di atti amministrativi
ex art. 21-quinquies: CdS, a.p., 20.06.2014,
n. 14). |
APPALTI: Alla
CGUE l’esclusione del concorrente per dichiarazioni non veritiere rese
dall’ausiliaria.
Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione
della compatibilità con il diritto europeo della normativa interna in
materia di avvalimento e cause di esclusione, nella parte in cui prevede
che, in caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria
riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato,
potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito
processionale, la stazione appaltante deve sempre escludere l’operatore
economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di indicare
un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima.
---------------
Contratti pubblici – Cause di esclusione – Avvalimento – Dichiarazione
non veritiera dell’ausiliaria – Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia
UE
Deve essere rimessa alla Corte di giustizia UE la
seguente questione pregiudiziale: “Se l’articolo 63 della direttiva 2014/24
del Parlamento europeo e del Consiglio del 26.02.2014, relativo all’istituto
dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di
libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), osti all’applicazione della
normativa nazionale italiana in materia di avvalimento e di esclusione dalle
procedure di affidamento, contenuta nell’articolo 89, comma 1, quarto
periodo, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo
18.04.2016, n. 50, secondo la quale nel caso di dichiarazioni non veritiere
rese dall’impresa ausiliaria riguardanti la sussistenza di condanne penali
passate in giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di
un grave illecito professionale, la stazione appaltante deve sempre
escludere l’operatore economico concorrente in gara, senza imporgli o
consentirgli di indicare un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione
della prima, come stabilito, invece nelle altre ipotesi in cui i soggetti
della cui capacità l'operatore economico intende avvalersi non soddisfano un
pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori
di esclusione” (1).
---------------
(1) I. – Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia
UE la questione pregiudiziale della compatibilità con il diritto europeo
dell’art. 89, comma 1, quarto periodo, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50, nella
parte in cui prevede la necessaria esclusione del concorrente in caso di
dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria e riguardanti la
sussistenza di condanne penali passate in giudicato, potenzialmente idonee a
dimostrare la commissione di un grave illecito professionale, senza che
possa imporre o consentire allo stesso operatore di indicare un’altra
impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima, come stabilito,
invece, nelle altre ipotesi in cui i soggetti della cui capacità l’operatore
economico intende avvalersi non soddisfano un pertinente criterio di
selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione.
II. – Nel caso di specie, un concorrente veniva escluso dalla
procedura di gara in quanto l’impresa ausiliaria aveva reso una
dichiarazione non veritiera, non avendo fatto menzione, nelle dichiarazioni
rese, di una sentenza di applicazione della pena su richiesta congiunta
delle parti, espressamente equiparata ad una sentenza di condanna secondo la
normativa nazionale, relativa al reato di lesioni colpose commesso con
violazione delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza
nei luoghi di lavoro.
L’esclusione della concorrente era stata annullata in primo grado, sentenza
appellata in parte qua in sede di appello.
III. – Con l’ordinanza in oggetto il collegio, dopo aver
ricostruito la vicenda processuale sottesa, ha osservato quanto segue:
a) il d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che:
a1) all’art. 80, comma 5, lett. f-bis), le stazioni appaltanti escludono
dalla partecipazione alla procedura d'appalto “l'operatore economico che
presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti
documentazione o dichiarazioni non veritiere”;
a2) all’art. 89, comma 1, secondo, terzo e quarto periodo, “L'operatore
economico che vuole avvalersi delle capacità di altri soggetti allega, oltre
all'eventuale attestazione SOA dell'impresa ausiliaria, una dichiarazione
sottoscritta dalla stessa attestante il possesso da parte di quest'ultima
dei requisiti generali di cui all'articolo 80, nonché il possesso dei
requisiti tecnici e delle risorse oggetto di avvalimento. L'operatore
economico dimostra alla stazione appaltante che disporrà dei mezzi necessari
mediante presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall'impresa
ausiliaria con cui quest'ultima si obbliga verso il concorrente e verso la
stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata
dell'appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente. Nel caso
di dichiarazioni mendaci, ferma restando l'applicazione dell'articolo 80,
comma 12, nei confronti dei sottoscrittori, la stazione appaltante esclude
il concorrente ed escute la garanzia”;
a3) all’art. 89, comma 3, “la stazione appaltante verifica, conformemente
agli articoli 85, 86 e 88, se i soggetti della cui capacità l'operatore
economico intende avvalersi, soddisfano i pertinenti criteri di selezione o
se sussistono motivi di esclusione ai sensi dell'articolo 80. Essa impone
all'operatore economico di sostituire i soggetti che non soddisfano un
pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori
di esclusione. Nel bando di gara possono essere altresì indicati i casi in
cui l'operatore economico deve sostituire un soggetto per il quale
sussistono motivi non obbligatori di esclusione, purché si tratti di
requisiti tecnici”;
b) la giurisprudenza nazionale ritiene che:
b1) in applicazione delle citate disposizioni, in caso di avvalimento, la
dichiarazione mendace presentata dall'impresa ausiliaria comporta
l'esclusione dalla procedura di gara dell’operatore economico che si è
avvalso della sua capacità per integrare i prescritti requisiti di
partecipazione;
b2) nell’ipotesi di dichiarazione mendace o di attestazione non veritiera
dell’impresa ausiliaria sul possesso dei requisiti di cui all’art. 80,
l’art. 89, comma 3, non è applicabile e, quindi, l’operatore economico non
può sostituire l’impresa ausiliaria;
b3) l’art. 89 prevede, infatti, espressamente l’esclusione del concorrente
in caso di dichiarazioni mendaci provenienti dall’impresa di cui egli si
avvale; la sostituzione dell’impresa ausiliaria è consentita solo nelle
altre ipotesi in cui risultano mancanti i pertinenti requisiti di
partecipazione;
c) il diritto eurounitario prevede che:
c1) con riferimento specifico all’avvalimento, ai sensi del primo paragrafo
parte II, dell’art. 63, rubricato “affidamento sulle capacità di altri
soggetti”, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 26.02.2014 sugli appalti pubblici, “L’amministrazione
aggiudicatrice verifica, conformemente agli articoli 59, 60 e 61, se i
soggetti sulla cui capacità l’operatore economico intende fare affidamento
soddisfano i pertinenti criteri di selezione o se sussistono motivi di
esclusione ai sensi dell’articolo 57. L’amministrazione aggiudicatrice
impone che l’operatore economico sostituisca un soggetto che non soddisfa un
pertinente criterio di selezione o per il quale sussistono motivi
obbligatori di esclusione. L’amministrazione aggiudicatrice può imporre o
essere obbligata dallo Stato membro a imporre che l’operatore economico
sostituisca un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di
esclusione”;
c2) la previsione, innovativa, punta a consentire la più ampia
partecipazione alla gara degli operatori economici privi dei prescritti
requisiti, mediante forme di collaborazione con altre imprese ausiliarie e,
al tempo stesso, intende assicurare che l’esecuzione delle prestazioni sia
svolta da soggetti effettivamente in possesso di adeguata capacità e
moralità. A questa duplice esigenza risponde la possibilità di sostituire
l’impresa ausiliaria che non soddisfi i requisiti o nei cui confronti
sussista una causa di esclusione.
“La perentorietà della formula legislativa europea fa assurgere la
stazione appaltante a garante del favor partecipationis, "imponendole" di
consentire la sostituzione dell'ausiliario e, quindi, sollecitandola ad
attivarsi per garantire la celere conclusione del contratto e la sua
esecuzione, a guisa di tutrice del buon andamento e dell'efficienza della
procedura di evidenza pubblica”;
c3) la disciplina della direttiva sviluppa i principi concorrenziali
espressi dagli artt. 49 e 56 TFUE, ai sensi dei quali, rispettivamente: “Nel
quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di
stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro
Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle
restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte
dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato
membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome
e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in
particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle
condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei
confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo
relativo ai capitali”; “Nel quadro delle disposizioni seguenti, le
restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono
vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno
Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione. Il
Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura
legislativa ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni del
presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e
stabiliti all’interno dell’Unione”;
d) il raffronto tra normativa interna ed europea induce a dubitare della
compatibilità della disciplina nazionale con i principi e le regole di cui
all’art. 63 della direttiva 2014/24/UE e con i principi concorrenziali di
cui agli artt. 49 e 56 TFUE:
d1) l’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, nel prevedere l’esclusione
del concorrente in conseguenza delle dichiarazioni mendaci dell’impresa di
cui si avvale, preclude la sostituzione dell’impresa ausiliaria ovvero il
ricorso al rimedio correttivo che, invece, il comma 3 prevede per tutti i
rimanenti motivi obbligatori di esclusione;
d2) la differente disciplina potrebbe essere giustificata dalla esigenza di
sanzionare coloro che si sono resi responsabili di dichiarazioni mendaci,
responsabilizzando l’operatore economico in ordine alla genuinità delle
attestazioni compiute dall’impresa ausiliaria. Tuttavia, l’art. 63 della
direttiva non contiene alcuna distinzione di disciplina e, al contrario,
impone la sostituzione dell’impresa ausiliaria in tutte le ipotesi in cui
sussistano in capo alla stessa motivi obbligatori di esclusione;
d3) la direttiva UE ha sul punto carattere innovativo ed è stata recepita
anche dal d.lgs. n. 50 del 2016. Durante la vigenza del codice del 2006, la
modificazione soggettiva dell’offerta era consentita solo nel caso di
raggruppamento temporaneo di imprese, per i motivi ivi previsti (art. 37,
comma 19, d.lgs. 12.04.2006, n. 163) e solamente nella fase di esecuzione
del contratto. L'art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016 consente ora al
concorrente la sostituzione dell’impresa ausiliaria anche nell'ambito del
rapporto tra imprese scaturito dalla stipulazione di un contratto di
avvalimento ed anche nella fase precedente l'esecuzione del contratto;
d4) la sostituzione dell’ausiliaria durante la procedura, in deroga al
principio di immodificabilità soggettiva del concorrente, risponde
all’esigenza di evitare l’esclusione dell’operatore per ragioni a lui non
direttamente riconducibili e, sia pure indirettamente, di stimolare il
ricorso all’avvalimento, potendo il concorrente fare conto sul fatto che,
nel caso in cui l’ausiliaria non presenti i requisiti prescritti, potrà
procedere alla sua sostituzione e non sarà automaticamente escluso dalla
gara;
d5) l’impostazione pro-concorrenziale è coerente con i criteri di delega
posti dal Parlamento con la legge n. 11 del 2016, art. 1, comma 1, lett. zz),
che ha disposto la “revisione della disciplina vigente in materia di
avvalimento, nel rispetto dei principi dell'Unione europea e di quelli
desumibili dalla giurisprudenza amministrativa in materia, (...) rafforzando
gli strumenti di verifica circa l'effettivo possesso dei requisiti e delle
risorse oggetto di avvalimento da parte dell'impresa ausiliaria nonché circa
l'effettivo impiego delle risorse medesime nell'esecuzione dell'appalto”;
d6) prevedendo l’esclusione automatica del concorrente, senza consentire la
sostituzione dell’impresa ausiliaria che abbia reso una dichiarazione non
veritiera, la normativa nazionale si può porre in contrasto con l’obiettivo
di apertura alla concorrenza e confligge con il disposto della direttiva,
che non contempla eccezioni al meccanismo generalizzato della sostituzione,
nemmeno nei casi in cui esse potrebbero astrattamente giustificarsi con la
finalità di responsabilizzare gli operatori economici sulla genuinità e
correttezza delle dichiarazioni svolte dalle imprese di cui si avvalgono;
d7) non può, infatti, ragionevolmente “sostenersi che solo nella
fattispecie della dichiarazione mendace l’operatore economico disponga di
una capacità di prevenzione e di controllo dei requisiti dichiarati
dall’impresa ausiliaria, tale da renderlo motivatamente corresponsabile
dell’attestazione inveritiera resa da quest’ultima. Il concorrente ausiliato
è parte del contratto di avvalimento e, non disponendo di speciali poteri di
verifica circa l’attendibilità delle credenziali della controparte, non può
che affidarsi alle dichiarazioni o alla documentazione da quest’ultima
fornitegli. In definitiva, all’operatore concorrente non può richiedersi una
diligenza maggiore di quella richiesta ad un comune operatore negoziale,
poiché nulla autorizza a ritenere il contrario”;
d8) nel caso di specie, la concorrente esclusa ha rappresentato di essersi
trovata nella sostanziale impossibilità di acquisire piena contezza del
precedente penale relativo al soggetto ausiliario, in quanto la condanna
riportata dal titolare dell’impresa non emergeva dal casellario giudiziale
consultabile dai privati;
d9) l’avvalimento è diretto a favorire la massima partecipazione degli
operatori economici al mercato degli appalti pubblici, aprendolo ad imprese
di per sé prive di requisiti di carattere economico-finanziario,
tecnico-organizzativo e consentendo loro la dimostrazione dei medesimi
requisiti attraverso il concorso di terzi ausiliari;
d10) l’avvalimento ha tradizionalmente goduto di ampio favore nella
giurisprudenza eurounitaria;
e) la questione risulta dirimente al fine della decisione della controversia
in quanto, qualora dovesse ritenersi che il diritto eurounitario non ammetta
preclusioni alla sostituzione dell’impresa ausiliaria, il giudizio dovrebbe
concludersi con una sentenza favorevole all’appellata; per contro, in caso
contrario, il giudizio dovrebbe concludersi con una sentenza di conferma
della legittimità del provvedimento di esclusione.
IV. – Per completezza si segnala quanto segue:
f) nel senso della necessaria esclusione del concorrente in caso di falsa
dichiarazione dell’ausiliaria si veda Cons. Stato, sez. V, 19.11.2018, n.
6529 (in Guida al dir., 2019, fasc. 1, 102), secondo cui “ai sensi del
combinato disposto dell'art. 80, 5° comma, lett. f-bis), e dell'art. 89, 1°
comma, d.leg. n. 50 del 2016 la falsa dichiarazione presentata
dall'operatore economico, anche con riguardo alla posizione dell'impresa
ausiliaria, fa scattare l'esclusione dalla gara”;
g) con riferimento alla disciplina in tema di modifiche soggettive in tema
di appalti pubblici:
g1) durante la vigenza del codice del 2006 si veda Cons. Stato, sez. V,
20.01.2015, n. 169 (in Foro amm., 2015, 74), secondo cui, tra l’altro: “nelle
gare pubbliche il divieto di modificare la composizione dei partecipanti
raggruppamenti temporanei d'imprese riguarda l'intero arco della procedura
di evidenza pubblica, mentre le eccezioni contemplate dall'art. 37, 18º e
19º comma, d.leg. 12.04.2006 n. 163 e concernenti il fallimento del mandante
e del mandatario, la morte, l'interdizione o inabilitazione
dell'imprenditore individuale, nonché le ipotesi previste dalla normativa
antimafia, riguardano evenienze relative alla successiva fase
dell'esecuzione del contratto”; “ai sensi dell'art. 37 d.leg.
12.04.2006 n. 163, il divieto di modificazione della compagine delle
associazioni temporanee di imprese o dei consorzi nella fase procedurale
corrente tra la presentazione delle offerte e la definizione della procedura
di aggiudicazione è finalizzato a impedire l'aggiunta o la sostituzione di
imprese partecipanti all'ati o al consorzio, e non anche a precludere il
recesso di una o più di esse, a condizione che quelle che restano a farne
parte risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di
qualificazione e che ciò avvenga per esigenze organizzative proprie dell'ati
o consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare,
per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti
in capo al componente dell'ati venuto meno per effetto dell'operazione
riduttiva”; “Nelle gare pubbliche, il generale divieto di
modificazione della composizione soggettiva dei raggruppamenti temporanei è
volto a garantire l'amministrazione appaltante in ordine alla verifica dei
requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economica, nonché
alla legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara, oltre che
a presidiare la complessiva serietà di tali imprese, onde assicurare
l'affidabilità del futuro contraente dell'amministrazione; ne deriva che,
una volta che un raggruppamento temporaneo di imprese ha partecipato ad una
gara, non è possibile alcuna modifica, tanto meno soggettiva, per quanto
attiene alla sua composizione ed a quanto dichiarato in sede di gara con
l'impegno presentato in sede di offerta”; “nelle gare pubbliche,
l'illegittima modificazione soggettiva del raggruppamento temporaneo
d'imprese produce, sul piano pubblicistico, le conseguenze disciplinate
dall'art. 37, 10º comma, d.leg. 12.04.2006 n. 163 ossia, a seconda dei casi,
l'esclusione dalla procedura, l'annullamento dell'aggiudicazione e la
nullità del contratto eventualmente stipulato”;
g2) con riferimento al carattere innovativo della disciplina europea sul
tema:
Corte di giustizia UE, 14.09.2017, C-223/16, Casertana costruzioni s.r.l.
(in Giur. it., 2017, 2458 (m), con nota di GIUSTI; Foro amm., 2017, 1780;
Riv. trim. appalti, 2017, 1069; Urbanistica e appalti, 2018, 183, con nota
di MANZI, nonché oggetto della
News US, in data 05.12.2017, sulla quale si veda infra § k2);
Cons. Stato, sez. III, 25.11.2015, n. 5359 (in Vita not., 2016, 181; Foro
amm., 2015, 2764; Riv. neldiritto, 2016, 269; Urbanistica e appalti, 2016,
696, con nota di MANZI; Nuovo dir. amm., 2016, fasc. 3, 80, con nota di
URBANI);
h) sulla ratio del principio della sostituibilità dell’ausiliaria durante la
procedura come deroga al principio di immodificabilità soggettiva del
concorrente si veda Cons. Stato, sez. V, 26.04.2018, n. 2527 (in Foro amm.,
2018, 638; Gazzetta forense, 2018, 333; Appalti & Contratti, 2018, fasc. 5,
94), secondo cui “Ai sensi dell'art. 89, 3° comma, d.leg. 18.04.2016 n.
50, il principio, secondo cui la stazione appaltante che, in sede di
verifica del possesso dei requisiti dichiarati, riceve dall'ente
previdenziale comunicazione di durc irregolare è tenuta ad escludere
l'operatore dalla procedura, revocando l'aggiudicazione eventualmente
effettuata, senza procedere al previo invito alla regolarizzazione, vale nel
caso di irregolarità contributiva della impresa concorrente, non potendo
operare nel caso di irregolarità di impresa ausiliaria della quale la
concorrente intende avvalersi, ma in questo caso la stazione appaltante non
può imporre all'operatore economico, anziché la sostituzione dell'ausiliaria
di cui all’art. 89, 3° comma, d.leg. n. 50 del 2016, la regolarizzazione”;
i) sul favor espresso dalla giurisprudenza europea in tema di avvalimento si
vedano:
i1) Corte di giustizia UE, 7 aprile 2016, C-324/14 (in Riv. neldiritto,
2016, 916; Riv. trim. appalti, 2016, 652), secondo cui “Gli art. 47, par.
2, e 48, par. 3, direttiva 2004/18/Ce del parlamento europeo e del
consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi,
letti in combinato disposto con l'art. 44, par. 2, di tale direttiva, devono
essere interpretati nel senso che: riconoscono il diritto di qualunque
operatore economico di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle
capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura dei suoi legami con
questi ultimi, purché sia dimostrato all'amministrazione aggiudicatrice che
il candidato o l'offerente disporrà effettivamente delle risorse di tali
soggetti che sono necessarie per eseguire detto appalto, e non è escluso che
l'esercizio di tale diritto possa essere limitato, in circostanze
particolari, tenuto conto dell'oggetto dell'appalto in questione e delle
finalità dello stesso; è quanto avviene, in particolare, quando le capacità
di cui dispone un soggetto terzo, e che sono necessarie all'esecuzione di
detto appalto, non siano trasmissibili al candidato o all'offerente, di modo
che quest'ultimo può avvalersi di dette capacità solo se il soggetto terzo
partecipa direttamente e personalmente all'esecuzione di tale appalto”;
i2) Corte di giustizia UE, 10.10.2013, C-94/12 (in Guida al dir., 2013,
fasc. 43, 94, con nota di MASARACCHIA; Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 2630;
Appalti & Contratti, 2013, fasc. 11, 84, con nota di TRAMONTANA; Nuovo
notiziario giur., 2014, 275; Urbanistica e appalti, 2014, 147, con nota di
CARANTA; Giurisdiz. amm., 2013, III, 746), secondo cui “Gli art. 47, par.
2, e 48, par. 3, direttiva 2004/18/Ce del parlamento europeo e del
consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi,
letti in combinato disposto con l'art. 44, par. 2, della medesima direttiva,
devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione
nazionale come quella in discussione nel procedimento principale, la quale
vieta, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una
procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi,
per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese”;
j) sulla generale apertura degli appalti pubblici alla concorrenza si veda
tra le altre: Corte di giustizia UE, 23.12.2009, C-305/08 (in Urbanistica e
appalti, 2010, 551, con nota di DE PAULI; Appalti & Contratti, 2010, fasc.
1, 96, con nota di DE NARDI; Foro amm.-Cons. Stato, 2009, 2776; Giurisdiz.
amm., 2009, III, 970; Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2010, 861, con nota
di DORACI; Dir. e pratica amm., 2010, fasc. 5, 48 (m), con nota di PETULLÀ;
Rass. avv. Stato, 2010, fasc. 1, 54; Arch. giur. oo. pp., 2010, 207; Riv.
amm. appalti, 2010, 51; Raccolta, 2009, I, 12129), secondo cui, tra l’altro,
“La direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che essa osta
all'interpretazione di una normativa nazionale che vieti a soggetti che,
come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente
scopo di lucro, di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un
appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal diritto
nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell'appalto considerato”;
k) sull’avvalimento si vedano:
k1)
Corte di giustizia UE, 14.02.2019, C-710/17, Soc. coop. animazione Valdocco
(in Foro amm., 2019, 187; oggetto della
News US, n. 25 del 22.02.2019, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti) che ha dichiarato irricevibile un rinvio pregiudiziale,
concernente l’ammissibilità dell’avvalimento da parte del progettista
incaricato nei contratti pubblici di lavori, ricordando che, affinché una
controversia in materia di appalti c.d. sotto soglia possa risultare
rilevante per il diritto europeo, è necessaria la dimostrazione del c.d.
interesse transfrontaliero certo.
Nel caso di specie, la controversia riguardava una gara, bandita nella
vigenza del vecchio codice dei contratti (d.lgs. n. 163 del 2006), per la
realizzazione di una centrale alimentata a biomasse per il teleriscaldamento
di un centro abitato.
La gara presentava un importo complessivo inferiore alla soglia comunitaria
indicata dall’art. 7, lett. c), della direttiva n. 2004/18/CE, ed era stata
aggiudicata ad un’impresa che proponeva un c.d. avvalimento a cascata: essa
cioè, in sede di offerta, aveva indicato un progettista esterno il quale, a
sua volta, e previa sua auto-qualificazione come “operatore economico”,
avrebbe dovuto avvalersi delle capacità di un soggetto terzo ai sensi
dell’art. 53, comma 3, prima parte, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo cui
“Quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del
comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per
i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare
nell'offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per
la progettazione”).
In primo grado, il Tar per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza
11.01.2013, n. 18, aveva respinto il ricorso presentato dall’impresa seconda
classificata, sostenendo che, in applicazione dei “principi di livello
europeo e nazionale, sulla base dell'articolo 49 del codice dei contratti e
degli articoli 47 e 48 della direttiva del 31.03.2004 n. 2004/18/CE”, “l’avvalimento
deve ritenersi ammesso anche a favore della figura del professionista che si
incarica formalmente di eseguire la progettazione di determinati lavori”.
In appello il Consiglio di Stato (con ordinanza 30.10.2017, n. 4982, in Foro
amm., 2017, 2023, solo massima) ha rilevato che, secondo la prevalente
giurisprudenza nazionale, il progettista esterno non è qualificabile come “operatore
economico” ai sensi dell’art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006,
non essendogli di conseguenza consentito di far ricorso all’avvalimento. Ha
anche aggiunto, sul punto, che, “trattandosi di prestazione
professionale, l’attività è incentrata sull’intuitus personae per cui la
personalità della prestazione ha un particolare rilievo”; ed ha quindi
ricordato che, secondo la giurisprudenza amministrativa, l’avvalimento è già
una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione alla
gara, sicché va permesso solo in ipotesi delineate rigorosamente, per
garantire l’affidabilità, in executivis, del soggetto concorrente,
con la conseguenza che “la fattispecie di avvalimento a cascata è non
permessa, giacché elide quel necessario rapporto diretto tra ausiliaria e
ausiliata, così allungando e indebolendo la catena giuridica che lega i vari
soggetti, con riflessi effetti evidenti in punto di responsabilità solidale,
per il soggetto ausiliato riguardo al soggetto ausiliario munito in via
diretta dei requisiti da concedere”.
Il giudice d’appello ha pertanto ritenuto opportuno di sottoporre al vaglio
della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione “se sia
compatibile con la pertinente normativa comunitaria (art. 48 della Direttiva
2004/18/CE del 31.03.2004 relativa al coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi)
una previsione come quella del già analizzato art. 53, comma 3, d.lgs.
16.04.2006, n. 163, che ammette alla partecipazione un’impresa con un
progettista ‘indicato’, il quale, a sua volta, per prevalente giurisprudenza
nazionale, non essendo concorrente, non può ricorrere all’avvalimento”;
k2) anche con riferimento alla sostituzione dell’impresa ausiliaria si veda
la sentenza della
Corte di giustizia UE, sez. I, del 14.09.2017, C-223/16, Casertana
costruzioni s.r.l. (cit., alla cui
News US, in data 05.12.2017, si rinvia per ulteriori
approfondimenti e richiami sull’istituto dell’avvalimento e, in particolare,
§§ da d) a j) per precedenti giurisprudenziali sul tema), secondo cui l’art.
47, par. 2, e l'art. 48, par. 3, della direttiva 2004/18/CE, relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi, “devono essere interpretati nel senso
che essi non ostano a una normativa nazionale che esclude la possibilità per
l'operatore economico, che partecipa a una gara d'appalto, di sostituire
un'impresa ausiliaria che ha perduto le qualificazioni richieste
successivamente al deposito della sua offerta, e che determina l'esclusione
automatica del suddetto operatore”.
Nella controversia sottoposta alla Corte era emersa la sopravvenuta perdita
dei requisiti dell’impresa ausiliaria. Con l’ordinanza di rimessione la
quarta sezione ricostruiva il possibile contrasto tra la normativa nazionale
italiana e quella europea, laddove, mentre ammette che il concorrente possa
avvalersi dei requisiti e attestazioni di altra impresa c.d. ausiliaria, non
consente espressamente, che in caso di perdita o riduzione dei requisiti di
partecipazione in capo all’impresa ausiliaria indicata essa possa essere
sostituita con altra impresa.
Nell’impostare il ragionamento che ha portato alla soluzione di cui alla
massima, la sentenza parte dalla constatazione del riconoscimento in via
generale del sistema di avvalimento, cioè del diritto per ogni operatore
economico di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di
altri soggetti, a prescindere dalla natura dei suoi legami con questi
ultimi, purché dimostri all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei
mezzi necessari per l’esecuzione di tale appalto.
La sentenza ritiene che consentire, in modo imprevedibile, esclusivamente a
un raggruppamento d’imprese di sostituire un’impresa terza che fa parte del
raggruppamento, e che ha perduto una qualificazione richiesta a pena di
esclusione, costituirebbe una modifica sostanziale dell’offerta e
dell’identità stessa del raggruppamento. Una tale modifica dell’offerta,
infatti, obbligherebbe l’amministrazione aggiudicatrice a procedere a nuovi
controlli procurando un vantaggio competitivo a tale raggruppamento;
k3)
Cons. Stato, Ad. plen., 04.11.2016, n. 23 (in Guida al dir.,
2017, fasc. 2, 50, con nota di PONTE; Foro amm., 2016, 2628; Urbanistica e
appalti, 2017, 410, con nota di FIGUERA; Appalti & Contratti, 2017, fasc. 4,
100; Riv. amm., 2017, 261; oggetto della
News US, in data 10.11.2016, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti, specie §§ da r) a v), con riferimento alla giurisprudenza
in tema di avvalimento), secondo cui: “l’art. 49 d.leg. 12.04.2006 n. 163
e l'art. 88 d.p.r. 05.10.2010 n. 207, in relazione all'art. 47, par. 2, dir.
2004/18/Ce, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a
un'interpretazione tale da configurare la nullità del contratto di
avvalimento in ipotesi in cui una parte dell'oggetto del contratto di
avvalimento, pur non essendo puntualmente determinata fosse tuttavia
agevolmente determinabile dal tenore complessivo del documento, e ciò anche
in applicazione degli art. 1346, 1363 e 1367 c.c.”.
Si precisa nella sentenza che l’istituto dell’avvalimento è stato introdotto
nell’ordinamento nazionale in attuazione di puntuali prescrizioni
dell’ordinamento UE e risulta volto a conseguire: l’apertura degli appalti
pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile a vantaggio non
soltanto degli operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni
aggiudicatrici; il più facile accesso delle piccole e medie imprese agli
appalti pubblici; trattandosi di obiettivi generali dell’ordinamento euro
unitario (e sulla base dei generali canoni ermeneutici di matrice UE), grava
sull’operatore nazionale l’obbligo di interpretare le categorie del diritto
nazionale in senso conforme ad essi (c.d. criterio dell’interpretazione
conforme) e di non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti
ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe
figure del diritto interno; limitare -in casi eccezionali- la possibilità
per gli operatori di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento.
Conseguentemente l’individuazione dell’oggetto del contratto di avvalimento
non deve sottostare a requisiti ulteriori e più stringenti rispetto a quelli
ordinariamente previsti per la generalità dei contratti ai sensi degli artt.
1325 e 1346 c.c.; sicché, al contenuto di tali disposizioni, ed
all’interpretazione che ne è comunemente data, va riportato anche il
compendio delle norme nazionali che disciplinano l’istituto dell’avvalimento
(art. 88, d.P.R. n. 207 del 2010 e artt. 49 e 50 del d.lgs. n. 163 del
2006); poiché manca una norma nazionale (della cui legittimità dal punto di
vista europeo sarebbe lecito dubitare) che imponga il requisito della
determinatezza dell’oggetto del contratto di avvalimento, tale requisito non
può essere introdotto in via esegetica sicché è ammissibile la
determinabilità dello stesso sulla base degli ordinari criteri
dell’ermeneutica contrattuale.
Neppure le sopravvenute disposizioni recate dal nuovo codice dei contratti
pubblici (di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, di attuazione delle
direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, in particolare art. 89,
comunque inapplicabile ratione temporis) recano, in tema di
avvalimento, disposizioni derogatorie e di maggior rigore in tema di
determinabilità dell’oggetto del contratto.
Non può trovare ingresso la teorica della c.d. forma-contenuto del contratto
(incentrata sulla puntuale esplicitazione di taluni elementi del rapporto
che rileverebbero ai fini della validità del contratto, rappresentandone in
qualche misura il contenuto minimo essenziale con la conseguente
comminatoria di forme di “nullità di protezione”), in quanto
elaborata in base alle disposizioni normative che nel tempo hanno apprestato
tutela al contraente debole per mitigare la situazione di asimmetria
informativa in cui normalmente versa; non si rinviene un’analoga ratio
giustificatrice nel settore della contrattualistica pubblica, nel cui ambito
agiscono operatori professionali.
Il contratto di avvalimento è un contratto atipico (connotato dai caratteri
del mandato, dell’appalto di servizi e della garanzia), normalmente oneroso
(dovendo emergere anche indirettamente l’interesse patrimoniale della
ausiliaria nel caso non sia previsto un corrispettivo espresso), in
relazione al quale la forma scritta è prescritta ad substantiam ed è
previsto l’obbligo per l’impresa ausiliaria di presentare un’apposita
dichiarazione d’impegno circa la messa a disposizione dei requisiti e delle
risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto nonostante il suo
contenuto risulti in parte riproduttivo di quello proprio del contratto
stesso di avvalimento;
k4) sull’avvalimento in genere,
sui requisiti suscettibili di avvalimento, sui divieti di avvalimento e sui
rapporti tra avvalimento e SOA: R. DE NICTOLIS, op. ult. cit., 880 ss., 901
ss., in particolare l’A. rammenta che in base all’art. 83, comma 2, del
codice dei contratti pubblici, in attesa del regolamento di cui all’art.
216, comma 27-octies, ivi previsto per disciplinare i rapporti fra
avvalimento e SOA, in virtù della disciplina transitoria sancita dagli artt.
216, comma 14, e 217, lett. u), del codice, continua ad applicarsi l’art. 88
del vecchio regolamento n. 207 del 2010 che consentiva l’avvalimento al fine
della qualificazione SOA solo ai rapporti infra gruppo; C. ZUCCHELLI, in
Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLI e R. DE NICTOLIS,
II, Soggetti, qualificazione, regole comuni alle procedure di gara, Milano,
2019, 1103 ss., 1162 ss., specie 1367 ss., dove l’A. conclude nel senso
della permanente vigenza, nella fase transitoria, dell’art. 88 del vecchio
regolamento del 2010
(Consiglio di Stato, Sez. III,
ordinanza 20.03.2020 n. 2005 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Alla
Corte di Giustizia Ue l’esclusione dalla gara del concorrente che, in sede
di avvalimento, ha indicato una impresa ausiliaria con condanna penale
passata in giudicato su grave illecito professionale.
---------------
Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Impresa
ausiliaria - Dichiarazioni non veritiere su condanna penale passata in
giudicato su grave illecito professionale – Esclusione del concorrente senza
che possa indicare altra ausiliaria – Rimessione alla Corte di Giustizia Ue.
É rimessa alla Corte di Giustizia UE la questione se
l’art. 63 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del
26.02.2014, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi
di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli
articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE),
osti all’applicazione della normativa nazionale italiana in materia di
avvalimento e di esclusione dalle procedure di affidamento, contenuta
nell’art. 89, comma 1, quarto periodo, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, secondo la
quale nel caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria
riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato,
potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito
professionale, la stazione appaltante deve sempre escludere l’operatore
economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di indicare
un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima, come
stabilito, invece nelle altre ipotesi in cui i soggetti della cui capacità
l'operatore economico intende avvalersi non soddisfano un pertinente
criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di
esclusione (1).
---------------
(1) ha ricordato la Sezione che la giurisprudenza nazionale, ormai
consolidata, ritiene che:
a) in forza del combinato disposto dei citati artt. 80, comma 5, lettera
f-bis, e 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, in caso di avvalimento, la
dichiarazione mendace presentata dall'impresa ausiliaria comporta
l'esclusione dalla procedura di gara dell’operatore economico che si è
avvalso della sua capacità per integrare i prescritti requisiti di
partecipazione;
b) nell’ipotesi di dichiarazione mendace o di attestazione non veritiera
dell’impresa ausiliaria sul possesso dei requisiti ex art. 80, l'art. 89,
comma 3, non è applicabile e, quindi, l’operatore economico non può
sostituire l’impresa ausiliaria.
Si ritiene, infatti, che l’art. 89 prevede espressamente l’esclusione del
concorrente in caso di dichiarazioni mendaci provenienti dall’impresa di cui
egli si avvale (Cons. St., sez. V, n. 6529 del 2018; id. n. 69 del 2019;
Delibera Anac n. 337/2019). La sostituzione dell’impresa ausiliaria è
consentita solo nelle altre ipotesi in cui risultano mancanti i pertinenti
requisiti di partecipazione.
Questo indirizzo interpretativo risulta ormai consolidato in giurisprudenza
e la parte appellata non ha indicato nuovi argomenti idonei a contrastarne
la correttezza.
Ha aggiunto la Sezione che: a) la ratio dell’istituto dell’avvalimento è
quella di favorire la massima partecipazione degli operatori economici al
mercato degli appalti pubblici, aprendolo ad imprese di per sé prive di
requisiti di carattere economico-finanziario, tecnico-organizzativo e
consentendo loro la dimostrazione dei requisiti medesimi per relationem,
attraverso il concorso di terzi soggetti ausiliari; b) l’istituto dell’avvalimento
ha tradizionalmente goduto di ampio favore nella giurisprudenza della Corte
di Giustizia, che lo ha elaborato e ha contrastato prassi interpretative e
disposizioni normative nazionali che potessero ostacolarne l’impiego.
Esemplificativa di questo indirizzo è la sentenza del 10.10.2013 in causa
C-94/12, SWM Costruzioni, con la quale la Corte ha risolto una questione per
rinvio pregiudiziale sollevata dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato
circa la compatibilità con il diritto UE della normativa nazionale (art. 49,
comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006) che vietava al concorrente in una pubblica
gara di appalto di avvalersi -salvo ipotesi eccezionali- di più di
un’impresa ausiliaria.
In quella sede la Corte ha definito la questione coniugando il principio
della piena apertura concorrenziale con quello dell’effettività della messa
a disposizione dei requisiti necessari. Secondo la Corte, infatti, “la
direttiva 2004/18 consente il cumulo delle capacità di più operatori
economici per soddisfare i requisiti minimi di capacità imposti
dall’Amministrazione aggiudicatrice, purché alla stessa si dimostri che il
candidato o l’offerente che si avvale delle capacità di uno o di svariati
altri soggetti disporrà effettivamente dei mezzi di questi ultimi che sono
necessari all’esecuzione dell’appalto”.
La Corte ha richiamato il generale obiettivo dell’apertura degli appalti
pubblici alla concorrenza “nella misura più ampia possibile, obiettivo
perseguito dalle direttive in materia a vantaggio non soltanto degli
operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici”
(v., in tal senso, sentenza del 23.12.2009, Conisma, in causa C-305/08).
Nello stesso senso viene in rilievo la sentenza del 07.04.2016 in causa
C-324/14, Partner Apelski Dariusz, con la quale la Corte ha chiarito che le
disposizioni UE in tema di avvalimento riconoscono “il diritto di
qualunque operatore economico di fare affidamento, per un determinato
appalto, sulle capacità di altri soggetti (…), purché sia dimostrato
all’amministrazione aggiudicatrice che il candidato o l’offerente disporrà
effettivamente delle risorse di tali soggetti che sono necessarie per
eseguire detto appalto, e non è escluso che l’esercizio di tale diritto
possa essere limitato, in circostanze particolari, tenuto conto dell’oggetto
dell’appalto in questione e delle finalità dello stesso (…)”.
La Corte ha tuttavia chiarito che eventuali limiti nazionali all’esercizio
del diritto di avvalimento devono essere riguardati con rigore, alla luce
dei principi di parità di trattamento e non discriminazione.
Sulla stessa scia si pone, in ambito nazionale, la pronuncia del Consiglio
di Stato Ad. Plen., del 04.11.2016, n. 23, la quale afferma, con specifico
riferimento all’istituto dell’avvalimento, che “trattandosi di obiettivi
generali dell'ordinamento Eurounitario (e sulla base di generali canoni
ermeneutici di matrice UE), grava sull'operatore nazionale l'obbligo di
interpretare le categorie del diritto nazionale in senso conforme ad essi
(c.d. criterio dell'interpretazione conforme) e di non introdurre in
relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che
operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno (si tratta di
un corollario applicativo dei generali principi di parità di trattamento e
di non discriminazione che devono assistere le posizioni giuridiche e gli
istituti di matrice Eurounitaria)”
(Consiglio di Stato, Sez. III,
ordinanza 20.03.2020 n. 2005 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: La
cauzione provvisoria nell’infra 40.000 euro.
Domanda
Nel caso di procedura di gara infra 40.000, stante l’art. 93, co. 1, ultimo
periodo del codice, è necessario richiedere la presentazione della cauzione
provvisoria, strumento costoso, spesso di non tempestivo reperimento per gli
operatori, e poco funzionale nelle gare di modico valore?
Risposta
L’Autorità Nazionale Anticorruzione con l’atto n. 2 del 26.02.2020 ha
segnalato al Governo e al Parlamento l’opportunità di estendere la deroga
prevista dall’art. 93, primo comma, ultimo periodo, del d.lgs. 50/2016, a
tutti gli affidamenti di importo inferiore ad una determinata soglia,
indipendentemente dalla tipologia di procedura di selezione utilizzata.
In particolare il citato articolo riconosce alla stazione appaltante la
facoltà di non richiedere la garanzia provvisoria nei casi di cui all’art.
36, co. 2, lett. a).
Appare utile per poter rispondere al quesito inquadrare esattamente
l’istituto e le ragioni che hanno portato all’introduzione, con il
correttivo al codice, dell’ultimo periodo dell’art. 93.
La cauzione provvisoria è richiesta dalla stazione appaltante a garanzia
della mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione per fatto
riconducibile all’affidatario o a seguito dell’adozione di informazione
antimafia interdittiva, come strumento a tutela della serietà e affidabilità
dell’offerta, diretto alla responsabilizzazione degli operatori mediante
l’anticipata liquidazione dei danni alla pubblica amministrazione (C.d.S.
sez. V, sent. 2181/2018).
L’ANAC con la delibera n. 140 del 27.02.2019 recante “Chiarimenti in
materia di garanzia provvisoria e garanzia definitiva”, ha precisato
che: “nei casi di contratti di importo inferiore a 40.000 euro assegnati
mediante procedure diverse dall’affidamento diretto, le stazioni appaltanti
sono tenute a richiedere la garanzia provvisoria di cui all’art. 93, co. 1,
ultimo periodo e la garanzia definitiva di cui all’art. 103, co. 11, del
codice dei contratti pubblici”.
La posizione assunta da ANAC, in linea con il parere del Consiglio di Stato
sul correttivo, si discosta dall’Atto di Governo n. 397 “Schede di
lettura alle disposizioni integrative del d.lgs. 50 del 18.04.2016”, ove
con riferimento all’art. 55 “Garanzie per la partecipazione alla
procedura di affidamento (modifiche all’art. 93 del d.lgs. 50/2016)"
evidenzia come la ratio delle principali modifiche riferite agli affidamenti
sotto i 40.000 euro (per i quali la garanzia diviene una scelta facoltativa
della stazione appaltante), è quella di perseguire la “semplificazione
dei sistemi di garanzia per l’aggiudicazione e l’esecuzione degli appalti
pubblici di lavori, servizi e forniture, al fine di renderli proporzionati e
adeguati alla natura delle prestazioni oggetto del contratto e al grado di
rischio connesso”.
La lettera a) introduce un nuovo periodo al comma 1 dell’art. 93 del codice
in base al quale nei casi di affidamenti infra 40.000 è facoltà della
stazione appaltante non richiedere le garanzie per la partecipazione alle
procedure di gara previste nell’articolo medesimo.
La norma come pubblicata in gazzetta ufficiale non sembra aver raggiunto
quell’obiettivo di semplificazione voluto dal correttivo, a meno che il
riferimento alla lettera a) non debba essere inteso come valore economico.
Fatte queste considerazioni nell’attuazione situazione è tuttavia possibile
evitare nell’infra 40.000 euro di richiedere la presentazione della cauzione
provvisoria non solo nell’affidamento diretto, c.d. puro, ma anche nel caso
di richiesta di preventivi per l’affidamento diretto ai sensi dell’art. 36,
co. 2, lett. a), procedura assolutamente consigliata negli
approvvigionamenti di importo inferiore a tale soglia.
Qualora si utilizzi la procedura procedura negoziata anche per importi
inferiori a 40.000 euro (procedura sconsigliata) si dovrà richiedere la
presentazione della citata cauzione (18.03.2020 -
link a www.publika.it). |
APPALTI: All’Ad.
plen. l’applicabilità del divieto di clausole di esclusione cd atipiche
dalle gare di appalto in relazione a quelle che vietano o limitano l’avvalimento.
La V Sez. del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria la
determinazione dell’ambito di applicazione del divieto di clausole di
esclusione atipiche dalla gara di appalto, con riferimento alle clausole con
cui le stazioni appaltanti vietando o limitando la possibilità per i
concorrenti di fare ricorso all’avvalimento precludono, di fatto, la
partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei
corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o
tecnico-professionale.
In particolare, se sia nulla la clausola con cui, per
gli appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro,
sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da
parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA.
---------------
Contratti pubblici – Tassatività delle cause di esclusione – Divieto o
limitazioni all’avvalimento – Attestazione SOA – Deferimento all’Adunanza
plenaria
Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato le seguenti questioni:
a) se rientrino nel divieto di clausole di esclusione c.d.
atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, del d.lgs. n. 50 del
2016, le prescrizioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la
stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso
all’avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89 del d.lgs.
n. 50 del 2016, precluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli
operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di
carattere economico-finanziario o tecnico-professionale;
b) in particolare, se possa reputarsi nulla la clausola con la
quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a
150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione
SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione
SOA (1).
---------------
(1) I. – La quinta sezione del Consiglio di Stato rimette
all’Adunanza plenaria dei quesiti connessi alla delimitazione dell’ambito
applicativo del divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche, di cui
all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, del d.lgs. 19 aprile 2016, n. 50.
In particolare il collegio chiede: se rientrino in tale divieto le
prescrizioni dei bandi o delle lettere di invito con le quali la stazione
appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento,
precluda di fatto la partecipazione alla gara degli operatori economici che
siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario
o tecnico-professionale; in particolare, se possa reputarsi nulla la
clausola con la quale sia consentito il ricorso all’avvalimento
dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una
propria attestazione SOA, per appalti di lavori pubblici di importo pari o
superiore a 150.000 euro.
II. – Nel caso di specie, la società ricorrente in primo grado era
stata esclusa da una procedura di gara, avente ad oggetto l’ampliamento
della capacità di base deposito carburanti, in quanto aveva dichiarato nella
propria offerta tecnica di avvalersi di SOA di impresa ausiliaria, in
contrasto con la previsione del disciplinare di gara che precludeva una tale
possibilità per le imprese prive di una propria attestazione SOA.
In primo grado, il ricorso principale proposto dalla concorrente esclusa era
accolto, con dichiarazione della nullità della clausola in questione, perché
avrebbe imposto, a pena di esclusione, un requisito ulteriore rispetto a
quelli previsti dalla legge, in violazione dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n.
50 del 2016.
L’aggiudicataria proponeva quindi appello avverso la sentenza di primo
grado.
III. – Con la sentenza non definitiva in rassegna il collegio, dopo
essersi pronunciato su parte delle domande ed aver esaminato le
argomentazioni delle parti, ha osservato quanto segue:
a) la clausola in questione prevede che “i
concorrenti possono soddisfare la richiesta relativa al possesso dei
requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale
richiesti nel presente disciplinare di gara, avvalendosi dell'attestazione SOA di altro soggetto ad esclusione delle categorie di cui all’art. 2, comma
1, del Decreto ministeriale 10.11.2016, n. 248, ai sensi del comma 11
dell’art. 89 del Codice. Ai sensi del combinato disposto degli articoli 84 e
89, comma 1 del Codice i concorrenti che ricorrono all'istituto dell'avvalimento
devono, pena esclusione, essere in possesso di propria attestazione SOA da
attestare secondo le modalità indicate nel precedente punto 17…”;
b) ai sensi dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 “i bandi e le
lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di
esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre
disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”;
c) secondo un orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, 23.08.2019,
n. 5834), che ha esaminato una clausola di tenore analogo a quella oggetto
della controversia in rassegna:
c1) muovendo dalla ratio dell’art. 89 d.lgs. n. 50 del 2016 come diretto a
garantire la più ampia partecipazione delle imprese alle gare pubbliche, si
è escluso che il divieto in questione riguardi l’avvalimento in relazione ad
attività e a compiti specifici e si è piuttosto ritenuto che ponga di fatto
in essere un limite generale al suo ricorso al di fuori dei limiti all’avvalimento
consentiti alla stazione appaltante;
c2) la clausola sarebbe quindi nulla perché non introduce una disciplina,
sia pur restrittiva, delle modalità con cui ricorrere all’avvalimento, ma un
vero e proprio divieto di ricorrere a tale istituto, incompatibile con la
norma cogente attualmente prevista dall’art. 89 del codice dei contratti
pubblici e perché si è in presenza di un potere esercitato dalla stazione
appaltante praeter legem, nel richiedere dei requisiti non contemplati dalla
norma codicistica ed il cui effetto sarebbe quello di vanificare la stessa
ratio applicativa di quest’ultima;
d) con l’ordinanza cautelare emessa nel medesimo giudizio (Cons. Stato,
2019, n. 344), la sezione aveva manifestato adesione per l’orientamento
contrapposto, sia quanto al rapporto con la previsione dell’art. 89 d.lgs.
n. 50 del 2016 (affermando che la clausola impugnata fosse espressione di un
potere amministrativo in astratto esistente, quale è quello di disciplinare
le modalità dell’avvalimento in corso di gara), sia quanto al rapporto con
l’art. 83, comma 8, ultimo inciso, (affermando che non potesse essere
qualificata come causa di esclusione atipica);
e) sulla qualificazione del vizio della clausola in termini di nullità
piuttosto che di annullabilità, non sono decisivi gli argomenti fondati
sull’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, anche dopo l’eliminazione dal primo
comma del riferimento che era fatto ai requisiti di qualificazione di cui
all’art. 84, effettuata con il d.lgs. n. 56 del 2017;
f) non è in contestazione che l’avvalimento sia consentito per soddisfare la
richiesta relativa al possesso di tutti i requisiti di carattere economico,
finanziario, tecnico e professionale di cui all’art. 83, lett. b) e c),
compreso il caso in cui per la prova del possesso di tali requisiti di
qualificazione sia richiesta, ai sensi dell’art. 84, l’attestazione da parte
degli appositi organismi di diritto privato (SOA) autorizzati dall’ANAC;
così come non è in contestazione che l’avvalimento della SOA di altra
impresa sia consentito anche da parte di impresa che ne sia del tutto priva,
purché operante nel settore economico di riferimento, quindi fornita del
corrispondente requisito di idoneità professionale di cui all’art. 83, comma
1, lett. a);
g) è analogamente incontroverso, già ai sensi dell’art. 89, che: la stazione
appaltante ha il potere di limitare il ricorso all’avvalimento, ma soltanto
a determinate condizioni, delineate nel comma 4; l’avvalimento è un istituto
di generale applicazione per conseguire il possesso dei requisiti di
partecipazione, potendo essere escluso soltanto nelle ipotesi tipizzate dal
legislatore;
h) ne discende che l’esercizio del potere discrezionale della stazione
appaltante al di fuori delle ipotesi consentite o l’introduzione di cause di
inammissibilità o di divieto di avvalimento diverse da quelle previste per
legge vizia la corrispondente previsione della legge di gara;
i) per quanto riguarda l’effetto prodotto da tale vizio sulla procedura di
gara si deve considerare che esso finisce per comportare, di regola,
l’esclusione dalla partecipazione alla gara di tutti coloro cui si è
illegittimamente impedito il ricorso
all’avvalimento. La clausola corrispondente, pur non prevedendo direttamente
l’esclusione dalla gara se non in possesso di un particolare requisito,
finisce per avere il medesimo effetto escludente che viene raggiunto
prevedendo un requisito di partecipazione per il quale non è consentito l’avvalimento;
j) pertanto, la questione posta dal ricorso involge quella
dell’interpretazione dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016, laddove
in applicazione del principio di tassatività delle clausole di esclusione,
sancisce la nullità testuale delle ulteriori prescrizioni contenute nei
bandi o nelle lettere di invito a pena di esclusione rispetto a quelle
previste dallo stesso codice e da altre disposizioni di legge vigenti;
j1) le clausole del bando di gara riguardanti i requisiti di partecipazione
alle procedure selettive vanno tempestivamente impugnate allorché contengano
prescrizioni di carattere escludente. Tali sono tipicamente quelle legate a
situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara,
esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e
non condizionate dal suo svolgimento. Tale regola è stata recepita dall’art.
120, comma 5, c.p.a.;
j2) la previsione della nullità testuale dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50
del 2016 impone il coordinamento sul piano processuale dell’art. 120, comma
5, c.p.a. con l’art. 31, comma 4, c.p.a., ponendo la questione della
prevalenza di quest’ultima disposizione ogniqualvolta la prescrizione della
legge di gara, pur autonomamente e immediatamente lesiva, in quanto
riguardante requisiti soggettivi, sia riconducibile alla fattispecie di
divieto di cause di esclusione atipiche;
j3) lo stesso art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 assegna alle stazioni
appaltanti il compito di indicare le condizioni di partecipazione richieste,
con la facoltà di esprimerle come livelli minimi di capacità, tra cui
rientra a pieno titolo il possesso di attestazione SOA;
j4) nel caso in esame è quindi richiesto un requisito di partecipazione in
astratto proporzionato e congruente con l’oggetto e il valore dell’appalto e
con la tipologia dei lavori da eseguire;
j5) la clausola del disciplinare di gara in esame è stata tuttavia
interpretata sia dalla stazione appaltante sia dalla sentenza di primo grado
nel senso che il possesso in proprio di un’attestazione SOA fosse condizione
per accedere, a pena di esclusione, all’istituto dell’avvalimento. La
disciplina di gara, così interpretata, pertanto: da un lato, ha limitato la
possibilità di ricorrere all’avvalimento; dall’altro, ha impedito che gli
operatori economici sprovvisti di qualificazione SOA possano partecipare
alle gare, pur essendo in possesso di idoneità professionale;
j6) la giurisprudenza del Consiglio di Stato non appare chiaramente
delineata sul punto della illegittimità delle clausole che impongono, per i
contratti di appalto di lavori pubblici di importo pari o superiore a
150.000 euro, ai concorrenti che vogliono stipulare un avvalimento per il
possesso dell’attestazione SOA di averne almeno una in proprio.
IV. – Per completezza si segnala quanto segue:
k) sul principio di tassatività delle cause di esclusione, si vedano in
particolare:
k1)
Corte di giustizia UE, sez. IX, 02.05.2019, C-309/18 – Lavorgna s.r.l.
(in Contratti Stato e enti pubbl., 2019, fasc. 3, 111, con nota di DAMIN;
Riv. corte conti, 2019, fasc. 3, 213, con nota di MARZANO; oggetto della
News US n. 56 del 13.05.2019, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti spec. § j) sul soccorso istruttorio e § k) sul principio di
proporzionalità), secondo cui “I principi della certezza del diritto,
della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella
direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014,
sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come
quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata
indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica
presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto
pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di
soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i
suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione
della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di
esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa
alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta
documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non
consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro
offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono
essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di
consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli
obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine
stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”.
La Corte si è pronunciata nel caso di specie sul rinvio pregiudiziale
proposto dal
Tar per il Lazio, sez. II-bis, ordinanza 24.04.2018, n. 4562
(oggetto della
News US, in data 04.08.2018);
k2) Cons. Stato, Ad. plen., 24.01.2019, n. 1, n. 2 e
n. 3 (in Foro it., 2019, III, 440, nonché oggetto della
News US n. 18 del 04.02.2019, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti, spec. §§ m) ed o), nonché sul soccorso istruttorio §§ l) ed
n), che ha rimesso alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale se “il
diritto dell’Unione europea (e segnatamente i princìpi di legittimo
affidamento, di certezza del diritto, di libera circolazione, di libertà di
stabilimento e di libera prestazione dei servizi) ostino a una disciplina
nazionale (quale quella di cui agli articoli 83, comma 9, 95, comma 10, e
97, comma 5, del ‘Codice dei contratti pubblici’ italiano, di cui al
d.lgs. n. 50 del 2016) in base alla quale la mancata indicazione da parte di
un concorrente a una pubblica gara di appalto dei costi della manodopera e
degli oneri per la sicurezza dei lavoratori comporta comunque l’esclusione
dalla gara senza che il concorrente stesso possa essere ammesso in un
secondo momento al beneficio del c.d. ‘soccorso istruttorio’, pur
nelle ipotesi in cui la sussistenza di tale obbligo dichiarativo derivi da
disposizioni sufficientemente chiare e conoscibili e indipendentemente dal
fatto che il bando di gara non richiami in modo espresso il richiamato
obbligo legale di puntuale indicazione”.
Con le medesime ordinanze il collegio ha chiarito che le norme del nuovo
codice dei contratti (in specie, il combinato disposto dell’art. 83, comma
9, con l’art. 95, comma 10) devono essere interpretate nel senso di imporre
l’esclusione dell’offerta che non abbia indicato separatamente i costi per
la manodopera e per gli oneri di sicurezza –pure nelle ipotesi in cui quell’offerta,
dal punto di vista sostanziale, abbia effettivamente computato quei costi–,
senza alcuna possibilità di invocare, da parte dell’impresa così esclusa, il
rimedio del c.d. soccorso istruttorio.
Ha quindi affermato che questa soluzione presenta possibili profili di
incompatibilità con i principi euro-unitari di legittimo affidamento, di
certezza del diritto, di libera circolazione, di libertà di stabilimento e
di libera prestazione dei servizi, nonché con le norme della direttiva n.
2014/24/UE, sollevando, di conseguenza, quale giudice di ultima istanza,
questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di giustizia UE.
In ogni caso la stessa Adunanza plenaria ha segnalato che vi sono importanti
argomenti di ordine letterale e logico che farebbero propendere per la
compatibilità comunitaria dell’obbligo di esclusione dalla gara, quale ormai
imposto, a livello legislativo, dalle richiamate disposizioni del Codice dei
contratti del 2016. Successivamente alla sentenza della Corte di giustizia
UE, sez. IX, 02.05.2019, C-309/18 – Lavorgna s.r.l., cit., Cons. Stato,
Ad. plen., ordinanze, 28.10.2019 n. 11, n. 12 e
n. 13 (oggetto della
News US n. 121 dell’08.11.2019) ha ritenuto che, qualora in
seguito a un rinvio pregiudiziale di interpretazione sollevato dal giudice
amministrativo, sopraggiunga una decisione della Corte di giustizia UE che
si pronunci sulla medesima questione, una volta accertato il venir meno
dell’interesse e, quindi, la sopravvenuta irrilevanza della causa
pregiudiziale, il giudice ritira la relativa domanda dandone comunicazione
alla Corte di giustizia UE.
Nel caso di specie, ritenendo essere venuto meno l’interesse a ottenere una
pronuncia pregiudiziale della Corte, ha ritirato la domanda di pronuncia
pregiudiziale a norma dell’art. 100, comma primo, del Regolamento di
procedura della Corte di giustizia (Reg. int. 25.09.2012), che prevede che “La
Corte resta investita della domanda di pronuncia pregiudiziale fintantoché
il giudice che ha adito la Corte non abbia ritirato la sua domanda. Il
ritiro di una domanda può essere preso in considerazione sino alla notifica
della data di pronuncia della sentenza agli interessati menzionati
dall’articolo 23 dello statuto”;
l) sull’onere di impugnare immediatamente clausole del bando direttamente
escludenti si veda:
Cons. Stato, Ad. plen., 26.04.2018, n. 4 (in Foro it., 2019,
III, 67; oggetto della
News US, in data 10.05.2018, alla quale si rinvia, oltre che
per l’analisi della sentenza dell’Adunanza plenaria e dell’ordinanza di
rimessione, per ulteriori approfondimenti, specie con riferimento alla
casistica delle clausole immediatamente escludenti §§ da p) a w) e sulla
impossibilità di configurare la tutela del c.d. interesse strumentale
nell’attuale ordinamento amministrativo §§ da aa) a dd), secondo cui, tra
l’altro:
l1) “Le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente
devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere
impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla
gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura”;
l2) l’art. 120, comma 5, c.p.a. prevedendo l’onere di immediata impugnazione
del bando o dell’avviso di gara solo “in quanto autonomamente lesivo” va
interpretato nell’unico senso possibile e cioè che tale eventualità sia
ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il bando presenti clausole
escludenti ma non che possa essere anche estesa a “tutte le clausole
attinenti alle regole “formali” e “sostanziali” della gara” (pur prive di
portata escludente) come invece prospettato dalla sezione rimettente,
occorrendo a tal fine un intervento in chiave additiva della Corte
costituzionale;
l3) dall’espressa comminatoria di nullità delle clausole espulsive
autonomamente previste dalla stazione appaltante (comma 1 bis dell'art. 46
del d.lgs. n. 163 del 2006 ed all’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016)
non potrebbe trarsi alcun argomento a sostegno del superamento del
consolidato orientamento in punto di necessità di impugnare le clausole non
preclusive della partecipazione unitamente al provvedimento che rende certa
ed invera la lesione ed anzi proprio il regime della nullità deporrebbe nel
senso opposto stante il potere di disapplicazione della clausola ad opera
della commissione di gara (come affermato da Cons. Stato, sez. V, 18.02.2013, n. 974 in Riv. giur. edilizia 2013, 2, I, 319) e della
possibilità di farla valere in giudizio in ogni momento;
m) sul tema specifico dei rapporti tra azione di nullità, clausole del bando
violative del divieto di tassatività e azione di annullamento, si vedano:
m1) Cons. Stato, Ad. plen., 25.02.2014, n. 9, non citata dalla
decisione in commento (in Foro it., 2014, III, 429, con nota di SIGISMONDI,
alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti; Giurisdiz. amm., 2013,
ant., 616; Foro amm., 2014, 387; Dir. proc. amm., 2014, 544, con nota di
BERTONAZZI; Urbanistica e appalti, 2014, 1075 (m), con nota di FANTINI;
Giornale dir. amm., 2014, 918 (m), con nota di FERRARA, BARTOLINI; Nuovo
notiziario giur., 2014, 550, con nota di BARBIERI), secondo cui: “L'art. 46,
1º comma bis, d.leg. 12.04.2006 n. 163, introdotto dall'art. 4, 2º
comma, lett. d), nn. 1 e 2, d.l. 13.05.2011 n. 70, conv. dalla l. 12.07.2011 n. 106, sulla tassatività delle cause di esclusione da una
procedura di gara per appalti pubblici, non è norma di interpretazione
autentica e pertanto si applica soltanto alle procedure i cui bandi o avvisi
siano stati pubblicati dopo la sua entrata in vigore”; “Rispetto alle
procedure di gara non disciplinate dal d.leg. 12.04.2006 n. 163, è
illegittima la clausola del bando che commina l'esclusione per
l'inosservanza di una prescrizione meramente formale”.
Nella sentenza si
chiarisce (§ 6.1.5.), sotto l’egida di precedente normativa -i cui principi
sono da ritenersi ancora attuali non essendo mutata, in parte qua, la
disciplina sostanziale recata dal nuovo codice dei contratti pubblici- che
l’art. 46 del codice all’epoca vigente deve essere inteso nel senso che
l’esclusione dalla gara è disposta sia nel caso in cui il codice, la legge
statale o il regolamento attuativo la comminino espressamente, sia
nell’ipotesi in cui impongano «adempimenti doverosi» o introducano,
comunque, «norme di divieto», pur senza prevedere espressamente l’esclusione
ma sempre nella logica del numerus clausus.
Questa interpretazione del
principio di tassatività delle cause di esclusione, in forza della quale la
tassatività può ritenersi rispettata anche quando la legge, pur non
prevedendo espressamente l’esclusione, imponga, tuttavia, adempimenti
doverosi o introduca norme di divieto, è stata espressamente affermata
dall’adunanza plenaria nel senso della non necessità, ai sensi dell’art. 46,
comma 1-bis, cod. contratti pubblici, che la sanzione della esclusione sia
espressamente prevista dalla norma di legge allorquando sia certo il
carattere imperativo del precetto che impone un determinato adempimento ai
partecipanti ad una gara “La cogenza delle cause legali di esclusione
disvela il carattere non solo formale del principio di tassatività —ovvero
il suo atteggiarsi a enunciato esplicito della medesima causa di esclusione— ma anche e soprattutto la sua indole sostanziale: la riforma del 2011,
infatti, ha inteso selezionare e valorizzare solo le cause di esclusione
rilevanti per gli interessi in gioco, a quel punto imponendole, del tutto
logicamente, come inderogabili non solo al concorrente ma anche alla
stazione appaltante”.
Al § 6.2. si precisa ancora che, dopo aver individuato
lo scopo, il contenuto e gli effetti del principio di tassatività delle
cause di esclusione, la legge ha rafforzato la previsione testuale della
nullità delle clausole difformi, “la sanzione della nullità, in luogo di
quella classica dell’annullabilità dell’atto amministrativo, è riferita
letteralmente alle singole clausole della legge di gara esorbitanti dai casi
tipici; si dovrà fare applicazione, pertanto, dei principî in tema di
nullità parziale e segnatamente dell’art. 1419, 2° comma, c.c., a tenore del
quale la nullità di singole clausole non comporta la nullità dell’intero
atto se le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative,
senza che si possa indagare sulla presenza di una difforme volontà della
stazione appaltante di non adottare il bando privo della clausola nulla, ma
fermo l’esercizio, ovviamente, degli ordinari poteri di autotutela”.
La
nullità di tali clausole incide, pertanto, sul regime dei termini di
impugnazione e sui meccanismi di rilievo di tale radicale forma di
invalidità, atteso che la domanda di nullità si propone nel termine di
decadenza più ampio e la nullità può essere eccepita dalla parte resistente
ovvero rilevata d’ufficio dal giudice.
Al § 6.2.1. si precisa ancora che “in
relazione alle gare disciplinate dal codice dei contratti pubblici si
potranno quindi verificare le seguenti ipotesi: a) legge di gara che
esplicitamente recepisce (o rinvia) (al)le disposizioni del codice dei
contratti pubblici, del regolamento attuativo o di altre leggi statali, che
prevedono adempimenti doverosi a pena di esclusione; in tal caso la
violazione dell’obbligo conduce de plano all’esclusione dell’impresa; b)
legge di gara silente sul punto; in tal caso la portata imperativa delle
norme che prevedono tali adempimenti conduce, ai sensi dell’art. 1339 c.c.,
alla etero-integrazione del bando e successivamente, in caso di violazione
dell’obbligo, all’esclusione del concorrente (cfr., sul punto, ad. plen. 05.07.2012, n. 26, id., Rep. 2012, voce cit., n. 1226; 13.06.2012, n.
22, ibid., n. 1225); c) legge di gara che, in violazione del principio di
tassatività, introduce cause di esclusione non previste dal codice, dal
regolamento attuativo o da altre leggi statali; in tal caso la clausola
escludente è nulla, priva di efficacia e dunque disapplicabile da parte
della stessa stazione appaltante ovvero da parte del giudice; d) legge di
gara che, in violazione dei precetti inderogabili stabiliti a pena di
esclusione dal codice, dal regolamento attuativo o da altre leggi statali,
espressamente si pone in contrasto con essi ovvero detta una disciplina
incompatibile; in tal caso occorre una impugnativa diretta della clausola
invalida per poter dedurre utilmente l’esclusione dell’impresa che non abbia
effettuato il relativo adempimento”;
m2) con riferimento alla tassatività delle cause di esclusione Cons. Stato,
Ad. plen., 05.07.2012, n. 26 (in Corriere merito, 2012, 969, con nota di CICCHESE; Riv. amm., 2012, 795; Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 77, con nota di
RICCI), secondo cui “L'art. 37, 4º comma, del codice dei contratti pubblici
n. 163 del 2006, nella parte in cui ha previsto che «nel caso di forniture o
servizi nell'offerta devono essere specificate le parti del servizio che
saranno eseguite dai singoli operatori riuniti o consorziati» si applica non
solo quando si tratti di ati verticali, ma anche di ati orizzontali”;
m3) in dottrina R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni, Bologna,
2020, p. 956;
n) sull’avvalimento si vedano:
n1)
Corte di giustizia UE, 14.02.2019, C-710/17, Soc. coop. animazione
Valdocco (in Foro amm., 2019, 187; oggetto della
News US, n. 25 del 22.02.2019, alla quale si rinvia per
ulteriori approfondimenti) che ha dichiarato irricevibile un rinvio
pregiudiziale, concernente l’ammissibilità dell’avvalimento da parte del
progettista incaricato nei contratti pubblici di lavori, ricordando che,
affinché una controversia in materia di appalti c.d. sotto soglia possa
risultare rilevante per il diritto europeo, è necessaria la dimostrazione
del c.d. interesse transfrontaliero certo.
Nel caso di specie, la
controversia riguardava una gara, bandita nella vigenza del vecchio codice
dei contratti (d.lgs. n. 163 del 2006), per la realizzazione di una centrale
alimentata a biomasse per il teleriscaldamento di un centro abitato. La gara
presentava un importo complessivo inferiore alla soglia comunitaria indicata
dall’art. 7, lett. c), della direttiva n. 2004/18/CE, ed era stata
aggiudicata ad un’impresa che proponeva un c.d. avvalimento a cascata: essa
cioè, in sede di offerta, aveva indicato un progettista esterno il quale, a
sua volta, e previa sua auto-qualificazione come “operatore economico”,
avrebbe dovuto avvalersi delle capacità di un soggetto terzo ai sensi
dell’art. 53, comma 3, prima parte, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo cui
“Quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del
comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per
i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare
nell'offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per
la progettazione”).
In primo grado, il Tar per il Friuli–Venezia Giulia, con sentenza
11.01.2013, n. 18, aveva respinto il ricorso presentato dall’impresa seconda
classificata, sostenendo che, in applicazione dei “principi di livello
europeo e nazionale, sulla base dell'articolo 49 del codice dei contratti e
degli articoli 47 e 48 della direttiva del 31.03.2004 n. 2004/18/CE”,
“l’avvalimento deve ritenersi ammesso anche a favore della figura del
professionista che si incarica formalmente di eseguire la progettazione di
determinati lavori”. In appello il Consiglio di Stato (con ordinanza 30.10.2017, n. 4982, in Foro amm., 2017, 2023, solo massima) ha rilevato
che, secondo la prevalente giurisprudenza nazionale, il progettista esterno
non è qualificabile come “operatore economico” ai sensi dell’art. 53, comma
3, del d.lgs. n. 163 del 2006, non essendogli di conseguenza consentito di
far ricorso all’avvalimento.
Ha anche aggiunto, sul punto, che, “trattandosi
di prestazione professionale, l’attività è incentrata sull’intuitus personae
per cui la personalità della prestazione ha un particolare rilievo”; ed ha
quindi ricordato che, secondo la giurisprudenza amministrativa, l’avvalimento
è già una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione
alla gara, sicché va permesso solo in ipotesi delineate rigorosamente, per
garantire l’affidabilità, in executivis, del soggetto concorrente,
con la conseguenza che “la fattispecie di avvalimento a cascata è non
permessa, giacché elide quel necessario rapporto diretto tra ausiliaria e
ausiliata, così allungando e indebolendo la catena giuridica che lega i vari
soggetti, con riflessi effetti evidenti in punto di responsabilità solidale,
per il soggetto ausiliato riguardo al soggetto ausiliario munito in via
diretta dei requisiti da concedere”.
Il giudice d’appello ha pertanto
ritenuto opportuno di sottoporre al vaglio della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea la questione “se sia compatibile con la pertinente
normativa comunitaria (art. 48 della Direttiva 2004/18/CE del 31.03.2004
relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori, di forniture e di servizi) una previsione come quella
del già analizzato art. 53, comma 3, d.lgs. 16.04.2006, n. 163, che
ammette alla partecipazione un’impresa con un progettista ‘indicato’, il
quale, a sua volta, per prevalente giurisprudenza nazionale, non essendo
concorrente, non può ricorrere all’avvalimento”;
n2) la
sentenza della Corte di giustizia UE, sez. I, del 14.09.2017, C-223/16,
Casertana costruzioni s.r.l. (in Giur. it., 2017, 2458, con nota
di GIUSTI; Urbanistica e appalti, 2018, 183, con nota di MANZI; Foro amm.,
2017, 1780; Riv. trim. appalti, 2017, 1069; oggetto della
News US in data 05.12.2017, cui si rinvia per ulteriori
approfondimenti e richiami sull’istituto dell’avvalimento e, in particolare,
§§ da d) a j) per precedenti giurisprudenziali sul tema), secondo cui l’art.
47, par. 2, e l'art. 48, par. 3, della direttiva 2004/18/CE, relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi,
“devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa
nazionale che esclude la possibilità per l'operatore economico, che
partecipa a una gara d'appalto, di sostituire un'impresa ausiliaria che ha
perduto le qualificazioni richieste successivamente al deposito della sua
offerta, e che determina l'esclusione automatica del suddetto operatore”.
Nella controversia sottoposta alla Corte era emersa la sopravvenuta perdita
dei requisiti dell’impresa ausiliaria. Con l’ordinanza di rimessione la
quarta sezione ricostruiva il possibile contrasto tra la normativa nazionale
italiana e quella europea, laddove, mentre ammette che il concorrente possa
avvalersi dei requisiti e attestazioni di altra impresa c.d. ausiliaria, non
consente espressamente, che in caso di perdita o riduzione dei requisiti di
partecipazione in capo all’impresa ausiliaria indicata essa possa essere
sostituita con altra impresa.
Nell’impostare il ragionamento che ha portato
alla soluzione di cui alla massima, la sentenza parte dalla constatazione
del riconoscimento in via generale del sistema di avvalimento, cioè del
diritto per ogni operatore economico di fare affidamento, per un determinato
appalto, sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura dei
suoi legami con questi ultimi, purché dimostri all’amministrazione
aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari per l’esecuzione di tale
appalto.
La sentenza ritiene che consentire, in modo imprevedibile,
esclusivamente a un raggruppamento d’imprese di sostituire un’impresa terza
che fa parte del raggruppamento, e che ha perduto una qualificazione
richiesta a pena di esclusione, costituirebbe una modifica sostanziale
dell’offerta e dell’identità stessa del raggruppamento. Una tale modifica
dell’offerta, infatti, obbligherebbe l’amministrazione aggiudicatrice a
procedere a nuovi controlli procurando un vantaggio competitivo a tale
raggruppamento;
n3)
Cons. Stato, Ad. plen., 04.11.2016, n. 23 (in Guida al dir.,
2017, fasc. 2, 50, con nota di PONTE; Foro amm., 2016, 2628; Urbanistica e
appalti, 2017, 410, con nota di FIGUERA; Appalti & Contratti, 2017, fasc. 4,
100; Riv. amm., 2017, 261; oggetto della
News US, in data 10.11.2016, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti, specie §§ da r) a v), con riferimento alla giurisprudenza
in tema di avvalimento), secondo cui: “l’art. 49 d.leg. 12.04.2006 n.
163 e l'art. 88 d.p.r. 05.10.2010 n. 207, in relazione all'art. 47, par.
2, dir. 2004/18/Ce, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a
un'interpretazione tale da configurare la nullità del contratto di avvalimento in ipotesi in cui una parte dell'oggetto del contratto di
avvalimento, pur non essendo puntualmente determinata fosse tuttavia
agevolmente determinabile dal tenore complessivo del documento, e ciò anche
in applicazione degli art. 1346, 1363 e 1367 c.c.”.
Si precisa nella
sentenza che l’istituto dell’avvalimento è stato introdotto nell’ordinamento
nazionale in attuazione di puntuali prescrizioni dell’ordinamento UE e
risulta volto a conseguire: l’apertura degli appalti pubblici alla
concorrenza nella misura più ampia possibile a vantaggio non soltanto degli
operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici; il
più facile accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici;
trattandosi di obiettivi generali dell’ordinamento euro unitario (e sulla
base dei generali canoni ermeneutici di matrice UE), grava sull’operatore
nazionale l’obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale in
senso conforme ad essi (c.d. criterio dell’interpretazione conforme) e di
non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori e diversi
rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto
interno; limitare -in casi eccezionali- la possibilità per gli operatori
di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento.
Conseguentemente
l’individuazione dell’oggetto del contratto di avvalimento non deve
sottostare a requisiti ulteriori e più stringenti rispetto a quelli
ordinariamente previsti per la generalità dei contratti ai sensi degli artt.
1325 e 1346 c.c.; sicché, al contenuto di tali disposizioni, ed
all’interpretazione che ne è comunemente data, va riportato anche il
compendio delle norme nazionali che disciplinano l’istituto dell’avvalimento
(art. 88, d.P.R. n. 207 del 2010 e artt. 49 e 50 del d.lgs. n. 163 del
2006); poiché manca una norma nazionale (della cui legittimità dal punto di
vista europeo sarebbe lecito dubitare) che imponga il requisito della
determinatezza dell’oggetto del contratto di avvalimento, tale requisito non
può essere introdotto in via esegetica sicché è ammissibile la
determinabilità dello stesso sulla base degli ordinari criteri
dell’ermeneutica contrattuale.
Neppure le sopravvenute disposizioni recate
dal nuovo codice dei contratti pubblici (di cui al decreto legislativo n. 50
del 2016, di attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE,
in particolare art. 89, comunque inapplicabile ratione temporis) recano, in
tema di avvalimento, disposizioni derogatorie e di maggior rigore in tema di
determinabilità dell’oggetto del contratto. Non può trovare ingresso la
teorica della c.d. forma-contenuto del contratto (incentrata sulla puntuale
esplicitazione di taluni elementi del rapporto che rileverebbero ai fini
della validità del contratto, rappresentandone in qualche misura il
contenuto minimo essenziale con la conseguente comminatoria di forme di
“nullità di protezione”), in quanto elaborata in base alle disposizioni
normative che nel tempo hanno apprestato tutela al contraente debole per
mitigare la situazione di asimmetria informativa in
cui normalmente versa; non si rinviene un’analoga ratio giustificatrice nel
settore della contrattualistica pubblica, nel cui ambito agiscono operatori
professionali. Il contratto di avvalimento è un contratto atipico (connotato
dai caratteri del mandato, dell’appalto di servizi e della garanzia),
normalmente oneroso (dovendo emergere anche indirettamente l’interesse
patrimoniale della ausiliaria nel caso non sia previsto un corrispettivo
espresso), in relazione al quale la forma scritta è prescritta ad substantiam ed è previsto l’obbligo per l’impresa ausiliaria di presentare
un’apposita dichiarazione d’impegno circa la messa a disposizione dei
requisiti e delle risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto
nonostante il suo contenuto risulti in parte riproduttivo di quello proprio
del contratto stesso di avvalimento;
n4) sull’avvalimento in genere,
sui requisiti suscettibili di avvalimento, sui divieti di avvalimento e sui
rapporti tra avvalimento e SOA: R. DE NICTOLIS, op. ult. cit., 880 ss., 901
ss., in particolare l’A. rammenta che in base all’art. 83, comma 2, del
codice dei contratti pubblici, in attesa del regolamento di cui all’art.
216, comma 27-octies, ivi previsto per disciplinare i rapporti fra
avvalimento e SOA, in virtù della disciplina transitoria sancita dagli artt.
216, comma 14, e 217, lett. u), del codice, continua ad applicarsi l’art. 88
del vecchio regolamento n. 207 del 2010 che consentiva l’avvalimento al fine
della qualificazione SOA solo ai rapporti infra gruppo; C. ZUCCHELLI, in
Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLI e R. DE NICTOLIS,
II, Soggetti, qualificazione, regole comuni alle procedure di gara, Milano,
2019, 1103 ss., 1162 ss., specie 1367 ss., dove l’A. conclude nel senso
della permanente vigenza, nella fase transitoria, dell’art. 88 del vecchio
regolamento del 2010
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza non definitiva 17.03.2020 n. 1920 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: All’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato se rientrino nel divieto di clausole di
esclusione c.d. atipiche, il divieto di avvalimento al di fuori delle
ipotesi consentite.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Fuori delle
ipotesi consentite dall’art. 89, d.lgs. n. 50 del 2016 – Esclusione –
Configurabilità clausole vietate di esclusione c.d. atipiche - Rimessione
all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
E’ rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato la questione se rientrino nel divieto di clausole di esclusione c.d.
atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, d.lgs. n. 50 del 2016,
le prescrizioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione
appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento
al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89, d.lgs. n. 50 del 2016,
precluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici
che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere
economico-finanziario o tecnico-professionale; in particolare, se possa
reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori
pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il
ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti
che posseggono una propria attestazione SOA (1).
---------------
(1) Ha ricordato la Sezione che le clausole del bando di gara
riguardanti i requisiti di partecipazione alle procedure selettive vanno
tempestivamente impugnate allorché, contenendo clausole impeditive
dell’ammissione dell’interessato alla selezione, si configurino come
escludenti, quindi idonee a generare una lesione immediata, diretta ed
attuale, nella situazione soggettiva dell’interessato, dal momento che la
loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con
l’aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale i requisiti di
partecipazione sono stati assunti come regole per l’amministrazione; tali
sono tipicamente quelle legate a situazioni e qualità del soggetto che ha
chiesto di partecipare alla gara, esattamente e storicamente identificate,
preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento (Cons.
Stato, Ad. Plen. 29.01.2003, n. 1 e, da ultimo, id.,
Ad. Plen., 26.04.2018, n. 4).
La regola è stata recepita dall’art. 120, comma 5, c.p.a., laddove sancisce
l’onere della tempestiva impugnazione, nel termine di trenta giorni,
decorrente dalla pubblicazione, per i bandi e gli avvisi con cui si indice
una gara, qualora siano “autonomamente lesivi”.
La previsione della nullità testuale dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del
2016 impone tuttavia il coordinamento, sul piano processuale, dell’art. 120,
comma 5, c.p.a. con l’art. 31, comma 4, dello stesso Codice, ponendo perciò
la questione della prevalenza di quest’ultima disposizione ogniqualvolta la
prescrizione della legge di gara, pur autonomamente ed immediatamente
lesiva, in quanto riguardante requisiti soggettivi, sia riconducibile alla
fattispecie di divieto di cause di esclusione atipiche.
Ancora, va considerato che lo stesso comma 8 dell’art. 83, d.lgs. n. 50 del
2016 assegna alle stazioni appaltanti il compito di indicare le condizioni
di partecipazione richieste, con la facoltà di esprimerle come livelli
minimi di capacità, tra cui rientra a pieno titolo il possesso di
attestazione SOA
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza non definitiva 17.03.2020 n. 1920 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Affidamento
diretto, sotto 40mila euro non c'è obbligo di motivare urgenza o necessità.
L'affidamento diretto nell'ambito dei 40mila euro (comma
2, lettera a) dell'articolo 36 del codice dei contratti) costituisce uno
strumento ordinario a disposizione del Rup per le assegnazioni di micro
importi che non esigono una motivazione specifica né devono essere fondate
sull'urgenza.
---------------
6. Con il quinto motivo sono state veicolate due ulteriori censure di
legittimità avverso la determina di affidamento diretto della concessione.
Più nel dettaglio l’impugnata determina dirigenziale n. 913 del 2019 sarebbe
illegittima in quanto il calcolo del valore della concessione sarebbe stato
effettuato in violazione dell’art. 167 del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm.
atteso che il valore della concessione non può essere parametrato, come
invece avrebbe fatto il Comune, unicamente all’importo del canone
concessorio non considerando il valore complessivo della concessione.
Inoltre, secondo la ricorrente, non sussisterebbero le ragioni d’urgenza
esternate dall’Amministrazione Comunale a giustificazione dell’affidamento
diretto.
6.1 Nessuna delle due censure merita accoglimento.
Ai sensi dell’art. 167, comma 1, del D.Lgs. n. 50 del 2016 “il valore di
una concessione, ai fini dell’art. 35, è costituito dal fatturato totale del
concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA”.
Se, dunque, è certamente condivisibile l’assunto difensivo secondo cui la
richiamata disposizione non fa riferimento, quale unico parametro di
determinazione del valore del contratto, al canone concessorio,
l’applicazione della stessa deve, tuttavia, tenere in considerazione le
peculiari modalità con cui ha avuto luogo, nel caso in esame,
l’aggiudicazione. Essa, infatti, è stata disposta in via diretta e del tutto
interinale sicché, come riconosciuto dalla stessa ricorrente in senso alla
memoria ex art. 73 c.p.a., non essendo predeterminata la durata del rapporto
anche in ragione dell’obbligo dell’Amministrazione Comunale di indire una
formale procedura di gara, risultava impossibile stimare puntualmente il
valore del contratto al momento dell’indizione.
Una simile stima, del resto, andava effettuata dall’Amministrazione, secondo
il dettato del comma 2 dello stesso art. 167, proprio al momento dell’avvio
della procedura, quando tuttavia, per le ragioni già esposte, non poteva
essere noto il fattore previsto al primo comma, della “durata del
contratto”.
Va aggiunto, peraltro, che l’importo assai contenuto del canone concessorio
lascia ritenere, pur a fronte della già evidenziata incertezza temporale del
rapporto, che il valore complessivo si collocasse (e si collochi)
-sicuramente- al di sotto della soglia legale di € 40.000 ex art. 36, comma
2, lett. a), del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm..
6.2 Non sussiste, del pari, la lamentata violazione dell’art. 36 del D.Lgs.
n. 50 del 2016 e ss.mm. per asserito difetto delle condizioni di urgenza che
consentirebbero l’affidamento diretto.
La giurisprudenza ha, infatti, chiarito come fino all’importo massimo di €
40.000 previsto del già richiamato comma 2, lett. a), dell’art. 36, il
legislatore ha ritagliato una specifica disciplina che costituisce un
micro-sistema esaustivo ed autosufficiente che non necessita di particolari
formalità e sulla quale i principi generali non determinano particolari
limiti (si veda, in proposito, il parere reso dal Consiglio di Stato,
13.09.2016, n. 1903 sulle linee guida A.N.A.C. in materia di procedure per
l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di
rilevanza comunitaria).
Sicché nel caso dell’art. 36, comma 2, lett. a), si è “in presenza di una
ipotesi specifica di affidamento diretto diversa ed aggiuntiva dalle ipotesi
di procedura negoziata “diretta” prevista dall’art. 63 del Codice che impone
invece una specifica motivazione e che l’assegnazione avvenga in modo
perfettamente adesivo alle ipotesi predefinite dal legislatore (si pensi
all’unico affidatario o alle oggettive situazioni di urgenza a pena di
danno)” (così TAR Molise, sez. I, 14.09.2018, n. 533).
Ne consegue che, venendo in rilievo nel caso in esame una concessione di
servizi di valore certamente inferiore alla soglia di € 40.000 ex art. 36,
comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm., l’Amministrazione
Comunale resistente non aveva alcun obbligo di motivazione con riguardo alla
ricorrenza di condizioni di urgenza o necessità.
Resta, in ogni caso, fermo l’obbligo in capo all’Amministrazione Comunale
resistente di procedere tempestivamente all’indizione di una nuova procedura
di gara per l’affidamento in via definitiva del servizio pubblico in parola
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza
13.03.2020 n. 326 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI:
La modifica del codice unico di progetto.
Domanda
Rispetto a quanto inizialmente pensato dall’Amministrazione comunale in
ordine ad interventi di manutenzione straordinaria su un immobile, si è resa
la necessità di variare sensibilmente il progetto.
È necessario modificare il codice CUP inizialmente preso, quali sono le
modalità?
Risposta
Il Codice Unico di Progetto (CUP) è un sistema di identificazione dei
progetti di investimento pubblico [1]
per finalità di monitoraggio (Sistema di Monitoraggio degli Investimenti
Pubblici – MIP), nonché strumento per garantire la trasparenza e la
tracciabilità dei flussi finanziari.
Come si legge dal sito governativo di riferimento la richiesta del CUP è
obbligatoria per gli interventi rientranti nel Quadro Strategico Nazionale (QSN),
nella programmazione dei Fondi Europei, quali ad esempio Fondi strutturali e
di investimento europei (ESIF) 2014-2020 e nel Fondo di Sviluppo e Coesione.
In generale il CUP deve essere richiesto per ciascun progetto rientrante
nella “spesa per lo sviluppo”, ovvero quegli interventi che,
indipendentemente dalla natura contabile di spese correnti o in conto
capitale, apportano miglioramenti funzionali o strutturali all’ente, o ne
aumentano il patrimonio, oppure sono finanziati con risorse comunitarie o
con fondi FAS.
Al contrario le spese propriamente gestionali che sono finalizzate
all’ordinario funzionamento dell’amministrazione non prevedono la richiesta
del CUP (es. sostituzione di alcuni arredi o computer obsoleti).
Quello che rileva quindi è il fine, l’obiettivo che con tale prestazione si
vuole conseguire. In particolare, tra i principali progetti di investimento
pubblico rientrano:
• i lavori pubblici [2];
• gli incentivi a favore di attività produttive (es. incentivo a
favore di un’azienda per la costruzione di un capannone o per
l’ammodernamento degli impianti, per progetti di formazione, per progetti di
ricerca finalizzati a migliorare la gestione, ecc.);
• i contributi a favore di soggetti privati, diversi da attività
produttive (es. aiuti ai cittadini proprietari di immobili danneggiati da
eventi catastrofali, ecc.);
• la realizzazione di servizi (es. affidamento di un servizio di
ricerca finalizzato allo studio della qualità dell’aria nel territorio di
propria competenza, realizzazione di manifestazione finalizzate allo
sviluppo turistico di una zona ecc.)
• l’acquisto di beni (es. acquisto di beni durevoli che vanno
registrati al patrimonio dell’Ente, ammodernamento della strumentazione
della PA, acquisto di arredi o materiale informatico per una scuola, ecc.).
Con riferimento alla modifica delle informazioni collegate al CUP una volta
generato, si segnala:
• che entro le 72 ore successive alla richiesta del CUP, è
possibile procedere direttamente mediante la funzione Modifica CUP presente
nel menù “Gestione”;
• trascorse le 72 ore, la correzione richiede l’intervento della
Struttura di supporto CUP (Invio Richiesta Modifica CUP” all’interno
dell’area Comunicazioni nel menù “Messaggi”).
In particolare per quanto attiene al quesito, trattandosi di una modifica
sostanziale di un progetto, il RUP dovrà procedere alla cancellazione del
codice CUP originario sulla base delle seguenti passaggi:
• richiesta di nuovo codice CUP;
• inserimento della dicitura “intervento sostitutivo del CUP
“………”” nel campo ALTRO della III maschera di richiesta del codice;
• richiesta di cancellazione del precedente CUP tramite l’apposita
funzione “Invio Richiesta Modifica CUP” presente all’interno
dell’area Comunicazioni nel menù “Messaggi” (nel testo del messaggio
dovrà essere specificato il riferimento del nuovo CUP valido che sostituisce
il precedente);
• attendere notifica di avvenuta cancellazione del vecchio codice.
---------------
[1] L’art. 11 della legge 3/2003 stabilisce che il CUP deve essere
richiesto per ogni progetto di investimento pubblico senza indicare un tetto
minimo di spesa.
[2] Cfr. Linee Guida elaborate dal Gruppo di Lavoro ITACA per la
manutenzione ordinaria si tratta di una facoltà (11.03.2020 -
link a www.publika.it). |
APPALTI: Fatturato
specifico maturato dall’operatore economico come espressione di capacità
tecnica.
---------------
●
Processo amministrativo – Rito appalti – Rito super accelerato – Violazione
principi europei – Esclusione.
●
Contratti della Pubblica amministrazione - Requisiti di partecipazione -
Fatturato specifico maturato dall’operatore economico – Individuazione.
●
Processo amministrativo – Rito appalti – Aggiudicazione – Impugnazione –
Interesse a ricorrere – Condizione.
●
In applicazione dei principi espressi dalla Corte di giustizia UE con
sentenza del 14.02.2019, n. 54, l’onere di immediata impugnazione del
provvedimento recante le ammissioni e le esclusioni dei concorrenti non lede
di per sé il diritto di difesa dell’operatore economico, ma questi deve
essere messo in grado di conoscere agevolmente tutti gli elementi necessari
per verificare la correttezza dell’operato della stazione appaltante; né
d’altro canto è possibile riversare sulla stessa ditta che ha partecipato
alla gara eventuali lacune informative ponendo a suo carico l’onere di
formalizzare un’istanza di accesso ai documenti presentati dalle
controinteressate, dal momento che i suddetti oneri informativi, ai sensi
del combinato disposto di cui agli artt. 29, d.lgs. n. 50 del 2016 e 120,
comma 2-bis, c.p.a. e per come integrati dalla citata pronuncia del giudice
comunitario, gravano in via esclusiva sulla stazione appaltante (1).
●
La definizione della natura del fatturato specifico maturato dall’operatore
economico come espressione di capacità tecnica va effettuata in stretta
aderenza alle prescrizioni letterali della disciplina di gara ove contenente
un’espressa qualificazione in tal senso non riducibile a mera espressione
formale priva di significato precettivo.
In siffatte evenienze l’avvalimento ha natura di avvalimento c.d.
tecnico–operativo occorrendo, dunque, che vi sia stata effettivamente una
concreta ed adeguata messa a disposizione di risorse determinate affinché
l’impegno dell’ausiliario possa dirsi effettivo ed evitare, così, che l’avvalimento
si trasformi in una sorta di “scatola vuota” (2).
●
Nel processo amministrativo la sussistenza dell'interesse implica
la necessità che lo stesso sia valutato in concreto, al fine di accertare
l'effettiva utilità che può derivare al ricorrente dall'annullamento degli
atti impugnati, così che deve essere dichiarata inammissibile per carenza di
interesse l'impugnazione dell'aggiudicazione di una gara pubblica, non
afferente ad aspetti sostanziali o formali mirati alla rinnovazione della
gara stessa, se da una verifica a priori (c.d. prova di resistenza) non
risulti con sufficiente sicurezza che l'impresa ricorrente possa risultare
aggiudicataria in caso di accoglimento del ricorso.
---------------
1) Ha chiarito la
Sezione che è proprio la compressione dei tempi per l’esercizio del diritto
di difesa, prevista dal particolare rito, a giustificare in questo caso uno
spostamento in capo alla stazione appaltante dell’onere di rendere
conoscibili non solo gli effetti dispositivi degli atti di gara, ma anche
gli elementi fattuali e giuridici presupposti necessari per valutare
consapevolmente l’esistenza di eventuali profili di illegittimità ed
articolare efficacemente le relative censure.
La stessa Sezione terza (22.01.2020,
n. 546), LINK in una vicenda analoga a quella qui in rilievo, ha
già di recente evidenziato che è proprio la compressione dei tempi per
l’esercizio del diritto di difesa, prevista dal particolare rito, a
giustificare in questo caso uno spostamento in capo alla stazione appaltante
dell’onere di rendere conoscibili non solo gli effetti dispositivi degli
atti di gara, ma anche gli elementi fattuali e giuridici presupposti
(necessari per valutare consapevolmente l’esistenza di eventuali profili di
illegittimità, ed articolare efficacemente le relative censure).
Il punto di equilibrio fra esigenze di celerità e tutela comunque del
diritto di difesa è stato infatti individuato dalla Corte di Giustizia nella
necessità che l’effettività di tale diritto venga garantita almeno da una
adeguata e tempestiva conoscenza di tali elementi: di talché la dequotazione
dell’accesso non è irragionevole, ma funzionale a garantire il complesso
assetto su cui si fonda la compatibilità del rito con le garanzie rimediali
imposte dal diritto dell’U.E..
(2) Ha ricordato la Sezione che sono state prospettate in dottrina
e giurisprudenza tesi contrapposte in ordine al corretto inquadramento dei
requisiti di partecipazione concernenti il fatturato pregresso
dell’operatore economico, proprio con riguardo ai suoi possibili riflessi
sulla disciplina dell’avvalimento.
Da un lato, si è sostenuto che il fatturato serve a dimostrare
essenzialmente l’adeguata dimensione economica dell’impresa esecutrice:
pertanto, in caso di avvalimento, sarebbe sufficiente dimostrare che
l’ausiliaria si sia impegnata a mettere a disposizione dell’appaltatore la
propria acquisita capacità finanziaria, in particolare nei casi in cui
occorra garantire la stazione appaltante dei possibili rischi collegati ai
profili economici dell’appalto. Secondo questo punto di vista, l’ausiliaria
non si obbliga a fornire mezzi materiali all’esecutore, ma solo a mettere a
disposizione la propria affidabilità economica: il contratto di avvalimento
ha per oggetto questo elemento, puntualmente determinato.
Dal lato opposto, si è evidenziato che il fatturato non ha solo una valenza
economica, ma delinea la dimensione tecnica dell’impresa e la sua reale
presenza sul mercato. In tale ottica, in caso di avvalimento, l’ausiliaria
deve obbligarsi a conferire all’appaltatore adeguate risorse del proprio
apparato produttivo, precisamente indicate nel contratto di avvalimento.
La giurisprudenza di settore ricostruisce su basi differenti il regime
dell’uno e dell’altro contratto: nel caso di avvalimento c.d. “tecnico od
operativo”, prevale l’esigenza di definire in modo concreto le risorse
ed i mezzi messi a disposizioni dall’ausiliaria; viceversa, nel caso dell'avvalimento
c.d. “di garanzia”, l’impresa ausiliaria si limita a mettere a
disposizione il suo valore aggiunto in termini di solidità
economico-finanziaria, di talché non è necessario, in linea di massima, che
la dichiarazione negoziale costitutiva dell'impegno contrattuale rechi
l’indicazione specifica di indici materiali atti a esprimere una certa e
determinata consistenza patrimoniale, essendo sufficiente inferire dalla
ridetta dichiarazione l'impegno contrattuale a mettere a disposizione dell’ausiliata
la propria complessiva solidità finanziaria così garantendo una determinata
affidabilità e un concreto supplemento di responsabilità (Cons.
St., sez. V, 25.07.2019, n. 5257; id.
14.06.2019, n. 4024; id.
30.10.2017, n. 4973; id.,
sez. III, 11.07.2017, n. 3422; id.,
sez. V, 15.03.2016, n. 1032; id.
22.12.2016, n. 5423).
Si è poi fatto strada un ulteriore orientamento che ritiene dirimente
l’esame degli atti di gara per stabilire le finalità assegnate dalla
stazione appaltante al suo possesso: segnatamente, occorrerebbe stabilire se
il fatturato specifico sia in funzione di una certa solidità
economico–finanziaria dell’operatore economico –per aver, dai pregressi
servizi, ottenuto ricavi da porre a garanzia delle obbligazioni da assumere
con il contratto d’appalto- ovvero della capacità tecnica, per aver già
utilmente impiegato, nelle pregresse esperienze lavorative, la propria
organizzazione aziendale e le competenze tecniche a disposizione (Cons.
St., sez. V, 02.09.2019, n. 6066; id.,
sez. III, 10.07.2019, n. 4866; id.,
sez. V, 19.07.2018, n. 4396).
(3) E’, invero, ius receptum in giurisprudenza il principio
secondo cui è necessario dare adeguata dimostrazione della cd. prova di
resistenza per comprovare la sussistenza dell’interesse al ricorso che, come
è noto, costituisce condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c..
In linea generale, la verifica della sussistenza dell'interesse
all'impugnativa deve manifestare la sua concretezza, nel senso che
l'annullamento degli atti gravati deve risultare idoneo ad arrecare al
ricorrente un'effettiva utilità.
Invero, nel processo amministrativo la sussistenza dell'interesse implica la
necessità che lo stesso sia valutato in concreto, al fine di accertare
l'effettiva utilità che può derivare al ricorrente dall'annullamento degli
atti impugnati, così che deve essere dichiarata inammissibile (art. 35,
comma 1, lett. b), c.p.a.) per carenza di interesse l'impugnazione
dell'aggiudicazione di una gara pubblica, non afferente ad aspetti
sostanziali o formali mirati alla rinnovazione della gara stessa, se da una
verifica a priori (c.d. prova di resistenza) non risulti con sufficiente
sicurezza che l'impresa ricorrente possa risultare aggiudicataria in caso di
accoglimento del ricorso (Cons. St., sez. V, 14.04.2016, n. 1495; id., sez.
III, 17.12.2015, n. 5696; id. 08.09.2015, n. 4209; id. 05.02.2014, n. 571)
(Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 09.03.2020 n. 1704 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Principio
di rotazione.
Il principio di
rotazione deve essere bilanciato con il
principio di concorrenza. Pertanto, la
rotazione può essere considerata necessaria
solo quando i posti disponibili per l’invito
alla gara siano limitati a causa di ragioni
oggettive, o quando l’invito sia la
conseguenza di una prequalificazione gestita
dalla stazione appaltante secondo
valutazioni discrezionali, ad esempio
attraverso un’indagine di mercato orientata
da criteri selettivi.
In questi casi, l’esclusione dei precedenti
aggiudicatari e dei soggetti economici già
invitati è utile, in quanto impedisce la
formazione di una rendita di posizione, e
libera la stazione appaltante dai legami e
dai condizionamenti derivanti dai rapporti
pregressi, livellando il terreno della
competizione.
Se non vi sono le esigenze sopra descritte,
l’esclusione dei precedenti aggiudicatari e
dei soggetti economici già invitati non
aggiunge efficienza al mercato, ma sottrae
opzioni alla stazione appaltante.
Quando l’arrivo un concorrente marginale non
comporta problemi di gestibilità della
procedura, perché la partecipazione è aperta
a tutti i soggetti in possesso di
determinati requisiti, senza necessità di
una preventiva selezione, i rapporti
intrattenuti in passato da alcuni soggetti
con la stazione appaltante risultano
inevitabilmente diluiti, e in definitiva
perdono ogni capacità di interferenza nella
nuova gara
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.03.2020 n. 209 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
Sul ricorso incidentale
38. Nel ricorso incidentale le cooperative
Il Nu.–Co. lamentano la violazione del
principio di rotazione codificato nell’art.
36, comma 1, del Dlgs. 50/2016, in quanto la
cooperativa S. Lu., essendo il gestore
uscente, non avrebbe potuto partecipare alla
gara, o avrebbe potuto partecipare solo
sulla base di una specifica motivazione
della stazione appaltante, che però non è
stata fornita.
39. La tesi non appare condivisibile.
Il principio di rotazione deve essere
bilanciato con il principio di concorrenza.
Pertanto, la rotazione può essere
considerata necessaria solo quando i posti
disponibili per l’invito alla gara siano
limitati a causa di ragioni oggettive, o
quando l’invito sia la conseguenza di una
prequalificazione gestita dalla stazione
appaltante secondo valutazioni
discrezionali, ad esempio attraverso
un’indagine di mercato orientata da criteri
selettivi. In questi casi, l’esclusione dei
precedenti aggiudicatari e dei soggetti
economici già invitati è utile, in quanto
impedisce la formazione di una rendita di
posizione, e libera la stazione appaltante
dai legami e dai condizionamenti derivanti
dai rapporti pregressi, livellando il
terreno della competizione.
40. Se non vi sono le esigenze sopra
descritte, l’esclusione dei precedenti
aggiudicatari e dei soggetti economici già
invitati non aggiunge efficienza al mercato,
ma sottrae opzioni alla stazione appaltante.
Quando l’arrivo un concorrente marginale non
comporta problemi di gestibilità della
procedura, perché la partecipazione è aperta
a tutti i soggetti in possesso di
determinati requisiti, senza necessità di
una preventiva selezione, i rapporti
intrattenuti in passato da alcuni soggetti
con la stazione appaltante risultano
inevitabilmente diluiti, e in definitiva
perdono ogni capacità di interferenza nella
nuova gara.
41. Nello specifico, il Comune aveva già
disciplinato le condizioni di ottimale
gestibilità della procedura attraverso
l’avviso esplorativo per la manifestazione
interesse, riservato alle cooperative
sociali di tipo B (v. doc. 1). In
particolare, nell’avviso esplorativo è stata
fissata la soglia di cinque concorrenti.
Solo al di sopra di tale soglia era prevista
l’applicazione del principio di rotazione (“Qualora
il numero degli operatori economici che
manifestassero il proprio interesse a
partecipare alla procedura fosse superiore
al numero di 5 [cinque], i candidati
verranno individuati mediante scelta
motivata del responsabile unico del
procedimento e/o sorteggio nel rispetto dei
principi di trasparenza, concorrenza,
rotazione”).
42. Poiché alla gara hanno partecipato solo
due soggetti, compreso il gestore uscente,
non vi erano ragioni di interesse pubblico
legate alla gestione dalla procedura che
imponessero la limitazione del numero dei
concorrenti. Non vi erano neppure problemi
di prequalificazione, in quanto la
condizione di cooperativa sociale di tipo B
non richiedeva alcuna valutazione
discrezionale. Sussisteva invece un evidente
interesse pubblico ad ammettere più di un
soggetto, per conseguire i vantaggi della
competizione. |
APPALTI: Dichiarazioni
false o fuorvianti rese in procedure di
gara.
In materia di false o
fuorvianti dichiarazioni rese in procedure
di gara “l’art. 80, comma 5, lett. c), del
Codice dei contratti pubblici non è riferito
alle false dichiarazioni rese in procedure
concorsuali non in corso e, quindi, già
svoltesi, ma, al contrario, si riferisce
alle “informazioni false o fuorvianti”
ovvero all’omissione di “informazioni
dovute” nei confronti della stazione
appaltante nella procedura di gara in corso:
ne consegue che il rilievo ostativo alla
partecipazione non deriva certo dall’aver
reso “false dichiarazioni in precedenti
gare”, ma dal rendere, nella gara in corso,
dichiarazioni false o fuorvianti, ovvero
dall’omettere dichiarazioni dovute”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 05.03.20 n. 428 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
2.5. Con il quarto motivo la
ricorrente deduce che il RTI aggiudicatario
avrebbe dovuto essere escluso per aver
omesso di dichiarare un provvedimento di
esclusione adottato nei suoi confronti dal
Ministero dell’Interno in relazione ad altra
gara, per un non allineamento del fatturato
specifico comprovato dalla mandante Sa.Ca.
S.r.l. rispetto a quello dalla stessa
dichiarato.
2.5.1. La censura non convince.
Al riguardo è sufficiente rilevare che:
- come già visto sopra, la procedura di cui è causa è disciplinata
dal d.lgs. n. 163/2006;
- il RTI aggiudicatario non poteva essere escluso ai sensi
dell’art. 38, comma 1, lett. h), del citato
d.lgs. n. 163/2006, in quanto tale norma
stabiliva che, in caso di falsa
dichiarazione, l’esclusione fosse
conseguenza dell’iscrizione nel casellario
informatico intervenuta a seguito di
specifico procedimento di valutazione da
parte dell’ANAC, circostanza non
riscontrabile nella fattispecie;
- il controinteressato non poteva essere escluso nemmeno ai sensi
dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs.
n. 163/2006, dovendosi riferire tale norma
ai soli inadempimenti e alle condotte
negligenti commessi nell’esecuzione di un
contratto pubblico, e non ai fatti, anche
illeciti, occorsi nella prodromica procedura
di affidamento (ex multis, C.d.S.,
Sez. V, n. 722/2018; id., n. 5704/2017);
- anche a voler ritenere applicabile alla gara di cui è causa il
d.lgs. n. 50/2016, l’art. 80, comma 5, lett.
c), del Codice dei contratti pubblici non è
riferito alle false dichiarazioni rese in
procedure concorsuali non in corso e,
quindi, già svoltesi, ma, al contrario, si
riferisce alle “informazioni false o
fuorvianti” ovvero all’omissione di “informazioni
dovute” nei confronti della stazione
appaltante nella procedura di gara in corso:
ne consegue che il rilievo ostativo alla
partecipazione non deriva certo dall’aver
reso “false dichiarazioni in precedenti
gare”, ma dal rendere, nella gara in
corso, dichiarazioni false o fuorvianti,
ovvero dall’omettere dichiarazioni dovute (cfr.
C.d.S., Sez. V, n. 6490/2019; id., n.
6576/2018). |
APPALTI:
Il quinto d’obbligo e la richiesta del CIG.
Domanda
Nel caso di un servizio biennale, eventualmente rinnovabile, con previsione
nella lex specialis del quinto d’obbligo di cui all’art. 106, co. 12,
del codice, è necessario considerare il 20% nella determinazione del valore
ai fini della richiesta del CIG?
Risposta
Il TAR Milano nella sentenza n. 284 del 10.02.2020, diversamente dai giudici
campani (TAR Napoli, sentenza n. 5380/2018), da una lettura dell’art. 106,
co. 12, del codice, in linea con la posizione assunta da ANAC nella
relazione AIR al bando tipo n. 1/2017.
L’art. 106, co. 12, testualmente recita “La stazione appaltante, qualora
in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione
delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto,
può imporre all’appaltatore l’esecuzione delle stesse condizioni previste
nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il
diritto alla risoluzione del contratto”.
Secondo i giudici lombardi tale noma definisce il c.d. “quinto obbligo”
come una prestazione aggiuntiva rispetto al contratto originario, che
costituisce una sopravvenienza. Essa quindi si sottrae alla previsione
dell’art. 35, co. 4 [1],
del codice dei contratti, il quale fa riferimento a clausole già previste al
momento della predisposizione degli atti di gara, ed in questa in sede
inserite per effetto di una scelta discrezionale della stazione appaltate,
ma rimesse, nella loro concreta applicazione ad una successiva valutazione
facoltativa dell’amministrazione.
Ricostruzione che, secondo i magistrati, trova conferma nella collocazione
del c.d. quinto d’obbligo nelle modifiche contrattuali, oggetto di variante,
quale diritto potestativo che ha fonte legale e non negoziale, che si
innesta ab externo nel contratto il cui valore può essere ridotto o
incrementato per effetto di scelte operate solo ex post dalla stazione
appaltante.
Proseguono affermando che nessuna norma del codice, e tanto meno l’art. 106,
co. 12, stabilisce che il “quinto d’obbligo” assuma rilevanza in
ordine alla determinazione del valore della gara. Si tratta infatti di un
meccanismo che opera ex lege, indipendentemente dal mero richiamo o meno
nella lex specialis di gara, che non presentando il carattere dell’opzione
non incide sul valore complessivo dell’appalto, e non deve necessariamente
rientrare ai fini della richiesta del CIG.
Queste considerazioni tuttavia non precludono, la possibilità di riportare
all’interno del bando il quinto come opzione, oppure una percentuale
superiore, ai sensi della lettera a) dell’art. 106 del codice, e quindi
mediante una clausola chiara, precisa e inequivocabile. Operazione che ci
permette di avere un CIG capiente ed evitare i ben noti problemi di
sforamento del valore in caso di rendicontazione.
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[1] Il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori,
servizi e forniture è basato sull’importo totale pagabile, al netto
dell’IVA, valutato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente
aggiudicatore. Il calcolo tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi
compresa qualsiasi forma di eventuali opzioni o rinnovi del contratto
esplicitamente stabiliti nei documenti di gara. Quando l’amministrazione
aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore prevedono premi o pagamenti per i
candidati o gli offerenti, ne tengono conto nel calcolo del valore stimato
dell’appalto (04.03.2020 - link a www.publika.it). |
febbraio 2020 |
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APPALTI: I
poteri del RUP non dirigente/responsabile del servizio.
Domanda
Nel nostro ente (un comune) privo di dirigenti, si sta ponendo la questione
dei poteri del RUP (normalmente una categoria D a volte non coincidente con
il responsabile del servizio con funzioni gestionali), alla luce di quanto
viene espresso in giurisprudenza secondo cui, a titolo esemplificativo, il
provvedimento di esclusione dall’appalto compete al responsabile unico del
procedimento anche se questo soggetto non coincide con il titolare dei
poteri dirigenziali (nel nostro ente assegnati con provvedimento del sindaco
ex art. 109 del TUEL).
In tale contesto, è possibile specificare nel bando di gara che i
provvedimenti di esclusione verranno adottati direttamente dal responsabile
del servizio su proposta del RUP? Oppure in che modo l’ente potrebbe
disciplinare questi aspetti nella legge di gara?
Risposta
La tematica prende spunto, evidentemente, dalla recente giurisprudenza e
dalla posizione espressa dall’ANAC (finanche nei bandi tipo oltre che nelle
linee guida n. 3) di cui si è già parlato. E sul tema, chi scrive, ha avuto
modo già di evidenziare la particolarità di un preteso potere attribuito
anche al RUP non dirigente e non responsabile del servizio di adottare atti
a valenza esterna pur non avendo la competenza esplicita e nonostante il
chiaro dettato normativo di cui all’articolo 6 della legge 241/1990 ex art.
6, comma 1, lett. e) che –testualmente– puntualizza che nel caso in cui il
responsabile del procedimento non abbia la competenza ad adottare il
provvedimento a valenza esterna deve limitarsi a predisporre la proposta per
il proprio responsabile di servizio.
Quest’ultimo, sempre in base alla norma in commento, potrà finanche
discostarsi dalla proposta ma motivando adeguatamente le ragioni anche per
un problema di responsabilità. È chiaro che la decisione di agire
diversamente rispetto a quanto proposto dal responsabile del procedimento
deve avere una adeguata “tracciatura” per evitare che quest’ultimo
risponda per una decisione (contraria alla propria proposta) assunta dal
proprio responsabile di servizio.
In tempi recentissimi sul tema dei poteri del RUP a valenza esterna a
prescindere dalla circostanza che sia o meno un responsabile di servizio e/o
dirigente si è espresso il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n.
1104/2020.
Il giudice di Palazzo Spada non manifesta alcuna perplessità nel ritenere
che i provvedimenti di esclusione debbano essere adottati dal RUP a
prescindere dalla qualifica/categoria di appartenenza. Ad esempio, nel caso
di specie il RUP era un istruttore direttivo (cat. D) neanche responsabile
del servizio visto che lo stesso è rimesso ad un dirigente.
Ciò nonostante, come da giurisprudenza costante (e, si ripete, secondo la
prassi dell’ANAC) la statuizione è stata nel senso che i provvedimenti in
parola sono di competenza del RUP.
È chiaro che, nell’ambito di una stazione appaltante priva di dirigenti e
nel caso in cui il RUP non coincida neppure con il responsabile del servizio
con poteri a valenza esterna, la questione può determinare non poche
problematiche soprattutto per la “scarsa” propensione del RUP ad
adottare provvedimenti a valenza esterna che, evidentemente, implicano
gravose responsabilità.
Fermo restando che la posizione giurisprudenziale è quella appena espressa
ovvero che il RUP è tenuto ad adottare i provvedimenti a valenza esterna
(ammissioni, esclusioni, aggiudicazioni senza impegno di spesa), si può
ritenere –a parere di chi scrive– che probabilmente la legge di gara
potrebbe chiarire questo passaggio rimettendo il potere di adottare il
provvedimento esterno direttamente in capo al responsabile del servizio
piuttosto che al RUP.
La circostanza che ciò risulti esplicitamente chiarito
potrebbe essere valutata nell’interpretazione secondo cui la responsabilità
del RUP è di tipo residuale ovvero si estende ad una serie di atti (quelli
appena sintetizzati) solo quando non sia stati espressamente attribuiti ad
altri soggetti (art. 31 del codice dei contratti).
Rimane fermo che –a fronte della giurisprudenza che rimette le incombenze
estromissive al RUP (ritenendo, ad esempio, come nel caso della sentenza
ultima citata del CdS che l’esclusione comminata dalla commissione di gara
–dal presidente– sia illegittima)– è necessario un chiaro intervento del
legislatore o dell’ANAC per chiarire il passaggio anzidetto ovvero: se il
RUP non è dirigente/responsabile del servizio può adottare atti a valenza
esterna? Soprattutto negli enti locali (26.02.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI FORNITURE: Nuove
categorie merceologiche soggette ad obbligo di centralizzazione.
Domanda
È possibile acquistare un’autovettura da destinare ai vari settori comunali
mediante richiesta di preventivi alle concessionarie di zona?
Risposta
Con riferimento al quesito in premessa occorre richiamare il comma 581 della
legge finanziaria 2020, che intervenire sull’art. 1, co. 7, del d.l.
95/2012, con l’obiettivo di rafforzare la centralizzazione e aggregazione di
quelle committenze che presentano caratteristiche standardizzabili e
rilevanti economicamente.
Il citato art. 1, co. 7, prevede l’obbligo di
approvvigionamento attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a
disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali di
riferimento costituite ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge
27.12.2006, n. 296, ovvero mediante autonome procedure nel rispetto della
normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione messi a
disposizione dai soggetti sopra indicati.
Autonomia di acquisto che presuppone il rispetto del benchmark, ovvero i
parametri di qualità-prezzo delle convenzioni quadro come limiti massimi per
l’acquisto di beni e servizi comparabili (art. 26, l 488/1999, art. 1, co.
449-455-456, l. 296/2006).
Obbligo inizialmente previsto per alcune categorie merceologiche, quali,
energia elettrica e gas, carburanti rete ed extra rete, combustibili per
riscaldamento, telefonia fissa e mobile, buoni pasto (D.M. 22.12.2015),
viene con la finanziaria 2020 esteso alle seguenti categorie di veicoli:
• Autovetture (art. 54, co. 1, lett. a) del d.lgs. 285/1992 C.d.S.
(veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo nove posti,
compreso quello del conducente);
• Autobus (art. 54, co. 1, lett. b) del d.lgs. 285/1992, (veicoli
destinati al trasporto di persone equipaggiati con più di nove posti
compreso quello del conducente), ad eccezione di quelli per il servizio di
linea per trasporto di persone;
• Autoveicoli per trasporto promiscuo (art. 54, co. 1, lett. c) del
d.lgs. 285/1992, (veicoli aventi una massa complessiva a pieno carico non
superiore a 3,5 t. o 4,5 t. se a trazione elettrica o a batteria, destinati
al trasporto di persone e di cose e capaci di contenere al massimo nove
posti compreso quello del conducente);
• Autoveicoli e motoveicoli per le forze di polizia e autoveicoli
blindati (altre tipologie di veicoli non sono state ritenute
standardizzabili in quanto soggette a specifiche personalizzazioni da parte
delle PA).
In presenza di queste tipologie merceologiche l’Amministrazione,
indipendentemente dall’importo, potrà:
• Aderire ad una Convenzione/Accordo quadro Consip/Centrale di
committenza regionale
• Utilizzare il Mepa o altro Strumento telematico di negoziazione
della Centrale di Committenza Regionale.
Nel caso di specie qualora presente una convenzione attiva la stazione
appaltante avrà la possibilità, almeno nell’infra 40.000,00 euro, di
affidare direttamente, previa richiesta di preventivi alle concessionarie
locali, a condizione che si rispetti il benchmark della convenzione, e che
si utilizzino comunque gli strumenti telematici di negoziazione messi a
disposizione da Consip o dalla Centrale di Committenza Regionale (19.02.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI:
La gara nell’ambito dei 40mila euro e l’esigenza di rispettare l’evidenza
pubblica.
Domanda
Con numerosi quesiti, spesso, viene posta la questione dell’affidamento
diretto entro i 40mila euro e della necessità (o meno) di una particolare
motivazione soprattutto ora alla luce delle drastiche modifiche apportate
all’articolo 36 del codice ed alla introduzione delle fattispecie di
affidamento diretto previa consultazione di preventivi, per i servizi e per
le forniture, fino al sopra soglia comunitaria che legittimerebbero il RUP
ad agire discrezionalmente sugli inviti.
Risposta
Come si è rilevato in altre circostanze, la previsione dell’affidamento
diretto “puro” entro i 40mila euro, tanto per
forniture/servizi/lavori è una fattispecie introdotta dal legislatore che ha
cercato –in questo modo– di conciliare i principi classici della
trasparenza/oggettività con l’esigenza di assicurare l’assegnazione del
micro-appalto in modo tempestivo.
In sostanza, in relazione ad affidamenti di importo contenuto, il
legislatore ha effettuato una “prevalutazione” ritenendo preferibile
far “retrocedere” –come importanza/intensità– i principi classici
dell’evidenza pubblica (rigorosissimi) facendo prevalere il fattore “tempo
di esperimento della procedura”. In certi casi, evidentemente, la
celerità della procedura e, soprattutto, l’utilizzo di
contenuti/contingentati strumenti istruttori rappresenta un valore aggiunto.
Soprattutto, come detto, in relazione ai micro-appalti.
Non può sfuggire, anche ad un RUP inesperto, che avviare una autentica gara
(ad esempio con bando pubblico) per aggiudicare una commessa di importi
contenuti (es. 20mila) rappresenta sicuramente un aggravio di procedura. Non
si può negare che l’obiettivo dell’assegnazione della commessa verrebbe
raggiunto con un “costo” della stazione appaltante, in termini di
tempo e di risorse finanziarie, inaccettabile/spropositato.
Per contemperare, quindi, le diverse esigenze il legislatore ha ipotizzato
il c.d. affidamento diretto “puro”. Puro nel senso che –come
esplicitato con il decreto correttivo 56/2017– il RUP non ha alcuna
necessità di far competere più operatori e/o di richiedere più preventivi.
E, a ben vedere, neppure l’obbligo di effettuare una indagine di mercato
(peraltro sempre consigliabile).
Nel caso di specie, pertanto, di affidamento nell’ambito dei 40mila euro, la
motivazione può essere esplicitata, in primo luogo con riferimento al dato
normativo, in secondo luogo con le sottolineature che lo strumento
dell’affidamento diretto appare congeniale alle necessità di speditezza
dell’affidamento e che lo stesso avviene nel rigoroso rispetto della
rotazione.
Come già ampiamente ribadito, il RUP non può prescindere –soprattutto
nell’affidamento diretto– dal rispetto rigoroso della rotazione. Il riaffido
diretto dell’appalto al precedente affidatario richiede una motivazione
talmente circostanziata che, oggettivamente, il riaffido deve essere
limitato ad ipotesi realmente necessarie in assenza di ogni alternativa.
Un problema di motivazione e di strutturazione corretta del procedimento
amministrativo si impone, evidentemente, qualora il RUP decidesse –pur
nell’ambito dei 40mila euro– di utilizzare un procedimento diverso
dall’affidamento diretto valutando l’opportunità di richiedere e confrontare
più preventivi.
In questo caso, il RUP non si può esimere dal rispetto massimo dei principi
classici riconducibili all’evidenza pubblica a pena di illegittimità degli
atti compiuti.
In tema si può citare la recentissima sentenza del Tar Basilicata, Potenza,
sez. I, n. 79/2020 in cui –testualmente– si legge che “nelle gare (…)”
ovvero nel caso di utilizzo di una gara vera e propria piuttosto che
dell’affidamento diretto, “relative agli appalti di importo inferiore a €
40.000,00, devono essere garantiti i principi di non discriminazione e di
trasparenza di cui all’art. 30, comma 1, D.Lg.vo n. 50/2016, espressamente
richiamati dall’art. 36, comma 1, dello stesso D.Lg.vo n. 50/2016, che
disciplina i contratti di appalto sotto soglia (...)” (12.02.2020
- link a www.publika.it). |
APPALTI:
Distinzione delle offerte migliorative
dalle varianti progettuali.
Il TAR Milano, con
riferimento alla distinzione delle
offerte migliorative dalle varianti
progettuali, precisa che:
«Le prime consistono in soluzioni tecniche
che, senza incidere sulla struttura, sulla
funzione e sulla tipologia del progetto a
base di gara, investono singole lavorazioni
o singoli aspetti tecnici dell’opera,
lasciati aperti a diverse soluzioni.
Le seconde, invece, si sostanziano in
modifiche del progetto dal punto di vista
tipologico, strutturale e funzionale, per la
cui ammissibilità è necessaria una previa
manifestazione di volontà della stazione
appaltante, mediante previsione contenuta
nel bando di gara ed individuazione dei
requisiti minimi che segnano i limiti entro
i quali l'opera proposta dal concorrente
costituisce un aliud rispetto a quella
prefigurata dalla pubblica amministrazione.
Ne deriva che possono essere considerate
proposte migliorative tutte quelle
precisazioni, integrazioni e migliorie che
sono finalizzate a rendere il progetto
prescelto meglio corrispondente alle
esigenze della stazione appaltante, senza,
tuttavia, alterare i caratteri essenziali
delle prestazioni richieste e che, invece,
non sono ammesse tutte quelle varianti
progettuali che, traducendosi in una diversa
ideazione dell’oggetto del contratto,
alternativa rispetto al disegno progettuale
originario, diano luogo ad uno
stravolgimento di quest’ultimo.
Nell’ambito, poi, della gara da aggiudicarsi
col criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa è lasciato ampio margine di
discrezionalità alla commissione
giudicatrice, anche quanto alla valutazione
delle ragioni che giustificano la soluzione
migliorativa proposta e la sua efficienza
nonché quanto alla rispondenza alle esigenze
della stazione appaltante»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.02.2020 n. 272 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
13.4. Del resto, come evidenziato da
costante giurisprudenza amministrativa,
occorre distinguere le offerte
migliorative dalle varianti
progettuali.
Le prime consistono in soluzioni
tecniche che, senza incidere sulla
struttura, sulla funzione e sulla tipologia
del progetto a base di gara, investono
singole lavorazioni o singoli aspetti
tecnici dell’opera, lasciati aperti a
diverse soluzioni.
Le seconde, invece, si sostanziano in
modifiche del progetto dal punto di vista
tipologico, strutturale e funzionale, per la
cui ammissibilità è necessaria una previa
manifestazione di volontà della stazione
appaltante, mediante previsione contenuta
nel bando di gara ed individuazione dei
requisiti minimi che segnano i limiti entro
i quali l'opera proposta dal concorrente
costituisce un aliud rispetto a
quella prefigurata dalla pubblica
amministrazione (cfr., ex aliis,
Consiglio di Stato, Sez., V, 20.02.2014, n.
819; Id., 07.07.2014, n. 3435; Id., Sez. VI,
19.06.2017, n. 2969; Id., Sez. V,
14.05.2018, n. 2853; Id., Sez. V,
18.02.2019, n. 1097; Id., Sez. V,
15.01.2019, n. 374).
Ne deriva che possono essere considerate
proposte migliorative tutte quelle
precisazioni, integrazioni e migliorie che
sono finalizzate a rendere il progetto
prescelto meglio corrispondente alle
esigenze della stazione appaltante, senza,
tuttavia, alterare i caratteri essenziali
delle prestazioni richieste (cfr., Consiglio
di Stato, Sez. V, 16.04.2014, n. 1923) e
che, invece, non sono ammesse tutte quelle
varianti progettuali che, traducendosi in
una diversa ideazione dell’oggetto del
contratto, alternativa rispetto al disegno
progettuale originario, diano luogo ad uno
stravolgimento di quest’ultimo (cfr.,
Consiglio di Stato, Sez. IV, 07.11.2014, n.
5497).
Nell’ambito, poi, della gara da aggiudicarsi
col criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa è lasciato ampio margine di
discrezionalità alla commissione
giudicatrice (cfr. Consiglio di Stato, Sez.
V, 11.12.2015, n. 5655), anche quanto alla
valutazione delle ragioni che giustificano
la soluzione migliorativa proposta e la sua
efficienza nonché quanto alla rispondenza
alle esigenze della stazione appaltante. |
APPALTI:
Consolidata
giurisprudenza ritiene come “la
valutazione delle offerte tecniche, come pure
delle ragioni che giustificano la soluzione
migliorativa proposta quanto alla sua
efficienza e alla rispondenza alle esigenze
della stazione appaltante, costituisc[a]
espressione di un'ampia discrezionalità
tecnica, con conseguente insindacabilità nel
merito delle valutazioni e dei punteggi
attribuiti dalla commissione, ove non
inficiate da macroscopici errori di fatto,
da illogicità o da irragionevolezza
manifesta”.
Si afferma, inoltre, come “il
procedimento di verifica dell’anomalia
dell'offerta non [abbia] carattere
sanzionatorio e, per oggetto, la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, mirando piuttosto ad
accertare se in concreto l'offerta, nel suo
complesso, sia attendibile ed affidabile in
relazione alla corretta esecuzione
dell'appalto”.
La valutazione di congruità deve essere,
altresì, “globale e sintetica, senza
concentrarsi esclusivamente ed in modo
parcellizzato sulle singole voci di prezzo,
dal momento che l'obiettivo dell'indagine è
l'accertamento dell'affidabilità
dell'offerta nel suo complesso e non già
delle singole voci che lo compongono”.
In ultimo, va considerato che, a fronte di
censure tecniche numerose e particolarmente
complesse circa la qualità tecnica
dell’offerta dell’aggiudicataria, il Giudice
amministrativo deve, comunque, svolgere un
esame delle stesse al fine di verificare se
le queste disvelino “un’abnormità della
valutazione, del tutto illogica e/o
parziale, o un manifesto travisamento di
fatti”.
---------------
In linea di massima deve ammettersi che
nelle procedure ad evidenza pubblica il
concorrente possa giustificare il ribasso
proposto facendo riferimento ai preventivi o
alle offerte a lui rivolte dagli operatori
economici ai quali abbia deciso di
subappaltare (entro i limiti di legge) una o
più lavorazioni.
Ciò, tuttavia, a patto che le proposte dei
subappaltatori siano a loro volta corredate
da giustificazioni, poiché in caso contrario
non vi sarebbe alcuna garanzia in ordine
alla congruità dei prezzi da costoro
praticati e si sottrarrebbe una parte della
prestazione (quella subappaltata) al vaglio
di sostenibilità da parte della stazione
appaltante.
---------------
14.1. Prima di
procedere alla disamina delle varie censure
occorre rammentare come una consolidata
giurisprudenza ritenga che “la
valutazione delle offerte tecniche come pure
delle ragioni che giustificano la soluzione
migliorativa proposta quanto alla sua
efficienza e alla rispondenza alle esigenze
della stazione appaltante costituisc[a]
espressione di un'ampia discrezionalità
tecnica (Cons. Stato, sez. V, 14.05.2018, n.
2853), con conseguente insindacabilità nel
merito delle valutazioni e dei punteggi
attribuiti dalla commissione, ove non
inficiate da macroscopici errori di fatto,
da illogicità o da irragionevolezza
manifesta (Cons. Stato, sez. III,
07.03.2014, n. 1072; 14.11.2017, n. 5258)”
(Consiglio di Stato, Sez. V, 08.10.2019, n.
6793).
Si afferma, inoltre, come “il
procedimento di verifica dell’anomalia
dell'offerta non [abbia] carattere
sanzionatorio e, per oggetto, la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, mirando piuttosto ad
accertare se in concreto l'offerta, nel suo
complesso, sia attendibile ed affidabile in
relazione alla corretta esecuzione
dell'appalto” (Consiglio di Stato, Sez.
V, 25.03.2019, n. 1969).
La valutazione di congruità deve essere,
altresì, “globale e sintetica, senza
concentrarsi esclusivamente ed in modo
parcellizzato sulle singole voci di prezzo,
dal momento che l'obiettivo dell'indagine è
l'accertamento dell'affidabilità
dell'offerta nel suo complesso e non già
delle singole voci che lo compongono”
(Consiglio di Stato, Sez. V, 23.01.2018, n.
430).
In ultimo, va considerato che, a fronte di
censure tecniche numerose e particolarmente
complesse circa la qualità tecnica
dell’offerta dell’aggiudicataria, il Giudice
amministrativo deve, comunque, svolgere un
esame delle stesse al fine di verificare se
le queste disvelino “un’abnormità della
valutazione, del tutto illogica e/o
parziale, o un manifesto travisamento di
fatti” (Consiglio di Stato, Sez. III,
02.09.2019, n. 6058).
Ne consegue come non possa condividersi
l’eccezione della stazione appaltante e
della controinteressata nella parte in cui
chiedono, in apicibus, di dichiarare
il secondo motivo di ricorso inammissibile
dovendosi operare, comunque, una verifica
delle singole censure articolate.
...
15.4. La
ricorrente evidenzia, inoltre, la non
affidabilità dell’offerta stante la
dichiarata possibilità di avvalersi del
subappalto. Situazione che imporrebbe
l’acquisizione di documentazione idonea a
comprovare la congruità dell’offerta delle
ditte subappaltatrici.
15.5. La censura è infondata alla luce dei
principi ricavabili dal medesimo precedente
giurisprudenziale richiamato dalla
ricorrente.
Osserva, infatti, il Consiglio di Stato che
“in linea di massima deve ammettersi che
nelle procedure ad evidenza pubblica il
concorrente possa giustificare il ribasso
proposto facendo riferimento ai preventivi o
alle offerte a lui rivolte dagli operatori
economici ai quali abbia deciso di
subappaltare (entro i limiti di legge) una o
più lavorazioni”.
“Ciò tuttavia”, prosegue il Consiglio
di Stato, “a patto che le proposte dei
subappaltatori siano a loro volta corredate
da giustificazioni, poiché in caso contrario
non vi sarebbe alcuna garanzia in ordine
alla congruità dei prezzi da costoro
praticati e si sottrarrebbe una parte della
prestazione (quella subappaltata) al vaglio
di sostenibilità da parte della stazione
appaltante” (Consiglio di Stato, Sez. V,
25.07.2018, n. 4537).
Ora, la sentenza del Consiglio di Stato si
riferisce chiaramente ai casi in cui il
ribasso sia giustificato dai preventivi o
dalle offerte rivolte all’operatore
economico. Diverso è il caso in cui, al
contrario, l’operatore non giustifichi il
ribasso sulla base delle capacità dei
subappaltatori ma sulle proprie capacità
organizzative. In simile caso non trova
evidentemente giustificazione il principio
affermato dal Consiglio di Stato in quanto
il ribasso è derivante dalle garanzie
offerte direttamente dall’operatore
concorrente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.02.2020 n. 272 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
a) “in caso di comunicazione dell'aggiudicazione che non
specifichi le ragioni di preferenza
dell'offerta dell'aggiudicataria (o non sia
accompagnata dall'allegazione dei verbali di
gara), e comunque, in ogni caso in cui si
renda indispensabile conoscere gli elementi
tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario per
aver chiare le ragioni di preferenza,
l'impresa concorrente può richiedere di
accedere agli atti della procedura”;
b) “alla luce dell'insegnamento della Corte di Giustizia
dell'Unione europea, il
termine di trenta giorni per l'impugnativa
del provvedimento di aggiudicazione non
decorre sempre dal momento della
comunicazione ma può essere incrementato di
un numero di giorni pari a quello necessario
affinché il soggetto (che si ritenga) leso
dall'aggiudicazione possa avere piena
conoscenza del contenuto dell'atto e dei
relativi profili di illegittimità ove questi
non siano oggettivamente evincibili dalla
richiamata comunicazione”;
c) “la dilazione temporale, che prima era fissata nei dieci
giorni previsti per l'accesso informale ai
documenti di gara dall'art. 79, comma
5-quater D.Lgs. 12.04.2006, n. 163,
decorrenti dalla comunicazione del
provvedimento, può ora ragionevolmente
essere fissata nei quindici giorni previsti
dal richiamato comma 2 dell'art. 76 D.Lgs.
n. 50 del 2016 per la comunicazione delle
ragioni dell'aggiudicazione su istanza
dell'interessato”;
d) “qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente
l'accesso, o tenga comportamenti dilatori
che non consentano l'immediata conoscenza
degli atti di gara, il termine non inizia a
decorrere e il potere di impugnare
dall'interessato pregiudicato da tale
condotta amministrativa non si "consuma"; in
questo caso il termine di impugnazione
comincia a decorrere solo a partire dal
momento in cui l'interessato abbia avuto
cognizione degli atti della procedura”;
e) “la comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione imposta dall'art.
76, comma 5, D.Lgs. 18.04.2016, n. 50,
non è surrogabile da altre forme di
pubblicità legali, quali, in particolare, la
pubblicazione del provvedimento all'albo
pretorio della stazione appaltante per
l'espresso riferimento dell'art. 120, comma
5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della
comunicazione”, ovvero ad una precisa
modalità informativa del concorrente”;
f) “anche indipendentemente dal formale inoltro della
comunicazione dell'art. 76, comma 5, D.Lgs.
n. 50 del 2016 cit., per la regola generale
di cui all'art. 41, comma 2, Cod. proc. amm.,
il termine decorre dal momento in cui il
concorrente abbia acquisito "piena
conoscenza" dell'aggiudicazione, del suo
concreto contenuto dispositivo e della sua
effettiva lesività, pur se non si
accompagnata dall'acquisizione di tutti gli
atti del procedimento”.
---------------
25.1. Il
comune di Milano osserva come la ricorrente,
nel corso dell’accesso agli atti esercitato
in data 17.10.2019 (documento n. 50 del
comune di Milano) e in data 29.10.2019
(documento n. 57 del comune di Milano),
prenda integrale visione delle
giustificazioni per la verifica di congruità
dell’offerta presentate dal R.T.I. Te.
(documenti nn. 32, 34 e 36 del comune di
Milano).
Ne consegue che il dies a quo
dal quale far decorrere il termine per la
proposizione del ricorso per motivi aggiunti
non potrebbe ricondursi alla data di
produzione in giudizio di tale
documentazione (25.11.2019) ma dovrebbe
individuarsi nelle date dell’avvenuta
visione dei documenti.
25.2. Omologa eccezione è formulata dalla
controinteressata secondo la quale la
visione della documentazione consentirebbe
già la percezione della lesività dei
provvedimenti.
25.3. L’eccezione è fondata.
25.4. Osserva il Collegio come, secondo la
puntuale elaborazione del Consiglio di
Stato:
a) “in caso di comunicazione dell'aggiudicazione che non
specifichi le ragioni di preferenza
dell'offerta dell'aggiudicataria (o non sia
accompagnata dall'allegazione dei verbali di
gara), e comunque, in ogni caso in cui si
renda indispensabile conoscere gli elementi
tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario per
aver chiare le ragioni di preferenza,
l'impresa concorrente può richiedere di
accedere agli atti della procedura”;
b) “alla luce dell'insegnamento della Corte di Giustizia
dell'Unione europea (specialmente con la
sentenza 08.05.2014 nella causa C-161/13
Idrodinamica Spurgo secondo cui “ricorsi
efficaci contro le violazioni delle
disposizioni applicabili in materia di
aggiudicazione di appalti pubblici possono
essere garantiti soltanto se i termini
imposti per proporre tali ricorsi comincino
a decorrere solo dalla data in cui il
ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe
dovuto essere a conoscenza della pretesa
violazione di dette disposizioni” (punto
37) e “una possibilità, come quella
prevista dall'articolo 43 del D.Lgs. n. 104
del 2010, di sollevare “motivi aggiunti”
nell'ambito di un ricorso iniziale proposto
nei termini contro la decisione di
aggiudicazione dell'appalto non costituisce
sempre un'alternativa valida di tutela
giurisdizionale effettiva. Infatti, in una
situazione come quella di cui al
procedimento principale, gli offerenti
sarebbero costretti a impugnare in abstracto
la decisione di aggiudicazione dell'appalto,
senza conoscere, in quel momento, i motivi
che giustificano tale ricorso” (punto 40) il
termine di trenta giorni per l'impugnativa
del provvedimento di aggiudicazione non
decorre sempre dal momento della
comunicazione ma può essere incrementato di
un numero di giorni pari a quello necessario
affinché il soggetto (che si ritenga) leso
dall'aggiudicazione possa avere piena
conoscenza del contenuto dell'atto e dei
relativi profili di illegittimità ove questi
non siano oggettivamente evincibili dalla
richiamata comunicazione (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 02.09.2019, n. 6064; V, 13.02.2017,
n. 592; V, 10.02.2015, n. 864)”;
c) “la dilazione temporale, che prima era fissata nei dieci
giorni previsti per l'accesso informale ai
documenti di gara dall'art. 79, comma
5-quater D.Lgs. 12.04.2006, n. 163,
decorrenti dalla comunicazione del
provvedimento, può ora ragionevolmente
essere fissata nei quindici giorni previsti
dal richiamato comma 2 dell'art. 76 D.Lgs.
n. 50 del 2016 per la comunicazione delle
ragioni dell'aggiudicazione su istanza
dell'interessato”;
d) “qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente
l'accesso, o tenga comportamenti dilatori
che non consentano l'immediata conoscenza
degli atti di gara, il termine non inizia a
decorrere e il potere di impugnare
dall'interessato pregiudicato da tale
condotta amministrativa non si "consuma"; in
questo caso il termine di impugnazione
comincia a decorrere solo a partire dal
momento in cui l'interessato abbia avuto
cognizione degli atti della procedura (cfr.
Cons. Stato, sez. III, 06.03.2019, n. 1540;
III, 22.07.2016, n. 3308; V, 07.09.2015, n.
4144; III, 10.11.2011, n. 5121)”;
e) “la comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione imposta dall'art.
76, comma 5, D.Lgs. 18.04.2016, n. 50,
non è surrogabile da altre forme di
pubblicità legali, quali, in particolare, la
pubblicazione del provvedimento all'albo
pretorio della stazione appaltante per
l'espresso riferimento dell'art. 120, comma
5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della
comunicazione”, ovvero ad una precisa
modalità informativa del concorrente (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 25.07.2019, n. 5257; V,
23.07.2018, n. 4442; V, 23.11.2016, n.
4916)”;
f) “anche indipendentemente dal formale inoltro della
comunicazione dell'art. 76, comma 5, D.Lgs.
n. 50 del 2016 cit., per la regola generale
di cui all'art. 41, comma 2, Cod. proc. amm.,
il termine decorre dal momento in cui il
concorrente abbia acquisito "piena
conoscenza" dell'aggiudicazione, del suo
concreto contenuto dispositivo e della sua
effettiva lesività, pur se non si
accompagnata dall'acquisizione di tutti gli
atti del procedimento (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 23.08.2019, n. 5813; V, 23.07.2018,
n. 4442; V, 2017, n. 1953)” (cfr., ex
aliis, Consiglio di Stato, Sez. V,
28.10.2019, n. 7387).
25.5. Dai principi elaborati dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato e, in
particolare, dall’insegnamento proveniente
dalla Corte di Giustizia deve ritenersi che
il termine decorra dal momento della
conoscenza del provvedimento che si realizza
con l’accesso agli atti da parte
dell’operatore interessato.
Non determina,
tuttavia, uno slittamento del dies a quo
la mancata estrazione di copia e, quindi, la
realizzazione della conoscenza mediante la
mera visione dei documenti.
Secondo la ricorrente “nel caso di specie
appare evidente che l’accesso nella sola
forma della visione non possa [consentire]
alcuna cognizione piena ed integrale della
documentazione consultata”: “ciò in
quanto oggetto della richiesta di accesso di
Cedat 85 [sono], tra l’altro, i
giustificativi per la valutazione di
congruità dell’offerta dell’aggiudicatario
RTI TIM”. Una documentazione “dalla
mole significativa e dal contenuto tecnico
(si pensi solo ai preventivi di spesa
allegati), per la quale è difficile
immaginare una piena conoscenza a seguito
della sola visione”.
25.6. La tesi della ricorrente sovrappone
due concetti distinti: la conoscenza e/o
conoscibilità e la percezione e/o
percepibilità della lesione o, comunque,
della ritenuta illegittimità.
Nel caso di
specie, non si tratta di una mancata
conoscenza dei contenuti del documento che è
assicurata dalla mera visione ma dalla
difficoltà di percepire la ritenuta
illegittimità delle componenti dell’offerta
e delle giustificazioni della controinteressata.
Un elemento che è, tuttavia, estraneo al
sistema come sopra delineato e anche alla
stessa decisione della Corte di Giustizia
(richiamata al punto 25.4 della presente
sentenza) che insiste sulla necessità di
consentire una conoscenza effettiva ma non
anche di posticipare il termine nel tempo
dal momento in cui possa realizzarsi una
piena percezione della portata lesiva o
della ritenuta illegittimità.
Una simile
situazione introdurrebbe, del resto, un
elemento di carattere meramente soggettivo
difficilmente verificabile frustando “il
principio generale dell'accelerazione del
contenzioso e delle esigenze di certezza del
settore” (TAR per la Campania – sede di
Napoli, Sez. I, 05.06.2012, n. 2629).
25.7. Del resto, la giurisprudenza del
Consiglio di Stato indicata dalla parte
controinteressata appare chiara nel ritenere
che la non estrazione di copia non inficia
la realizzazione della conoscenza effettiva
da parte dell’operatore economico. Lo
afferma con chiarezza la decisione del
Consiglio di Stato, Sez. V, 13.04.2014, n.
1250, richiamata anche da Consiglio di
Stato, Sez. V, 15.05.2019, n. 3153.
Non sembra costituire smentita di quanto
esposto l’inciso contenuto nella sentenza
del TAR per la Campania – sede di Salerno,
Sez. I, 16.03.2011, n. 492, che ritiene non
“necessaria anche l’estrazione delle
relative copie, in tal senso deponendo le
finalità acceleratorie sottese alla speciale
disposizione di cui all’art. 120 del C.P.A.
e la circostanza che la visione consente
comunque la cognizione integrale degli atti,
sufficiente alla proposizione del ricorso,
salva la possibilità di successiva
proposizione di motivi aggiunti”.
Invero, il riferimento alla “proposizione
dei motivi aggiunti” non risulta
decisivo per sostenere uno slittamento del
termine per la proposizione di simile
impugnazione che decorre, in ogni caso, dal
momento dell’acquisizione della conoscenza
del provvedimento
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.02.2020 n. 272 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Congruità
di una offerta in perdita.
Non si possono far
rientrare nella valutazione di congruità
dell’offerta (nella fattispecie per il
servizio di ristorazione scolastica e
sociale) costi e ricavi relativi a rapporti
negoziali esterni, con soggetti che non sono
parte dell’appalto, rapporti che –anche in
un quadro di pregresse e consolidate
relazioni commerciali– sono comunque del
tutto eventuali; invero, l’offerta deve
essere sostenibile e il contratto non in
perdita per l’appaltatore autonomamente, e
non grazie a elementi esterni al contratto
medesimo, perché, diversamente, si
altererebbe la libera concorrenza a favore
degli operatori economici più forti, che
possono permettersi –pur di conquistare
quote sempre maggiori di mercato e di
espellere dal mercato altri concorrenti– di
presentare offerte in perdita
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 06.02.2020 n. 257 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
Il ricorso è manifestamente fondato.
Segnatamente, fondato e assorbente è il
primo motivo di ricorso, dedotto in
principalità, con il quale la società Du.Se.
S.r.l. lamenta la “Violazione e falsa
applicazione dell’art. 97, d.lgs. n.
50/2016. Insostenibilità dell’offerta.
Violazione del principio di par condicio.
Eccesso di potere per carenza di istruttoria
e di motivazione, travisamento dei
presupposti di fatto e di diritto,
ingiustizia manifesta”.
Dalla documentazione in atti emerge con
chiarezza che i costi di esecuzione
dell’appalto di ristorazione superano di €
1.296.534,36 nel triennio il corrispettivo
che la società Pe. S.p.A. ricaverà dalla
preparazione dei pasti per il Comune: il
dato non è in contestazione.
L’offerta è, dunque, in perdita.
Non è, infatti, condivisibile la tesi della
stazione appaltante, sostenuta anche dalla
società aggiudicatrice, per cui nella
valutazione di congruità dell’offerta si
deve tenere conto anche dei ricavi derivanti
dalla produzione nel Centro cottura del
Comune di ulteriori pasti destinati a terzi:
ricavi che nella prospettazione della
controinteressata sono in grado di coprire
le spese generate dal servizio reso al
Comune.
Invero, l’offerta deve essere sostenibile e
il contratto non in perdita per
l’appaltatore autonomamente, e non grazie a
elementi esterni al contratto medesimo,
perché, diversamente, si altererebbe la
libera concorrenza a favore degli operatori
economici più forti, che possono permettersi
–pur di conquistare quote sempre maggiori di
mercato e di espellere dal mercato altri
concorrenti– di presentare offerte in
perdita (cfr., C.d.S., Sez. V, sentenza n.
210/2014; TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza n. 200/2017).
E che la produzione di pasti destinati a
terzi sia elemento estraneo al contratto
messo a gara lo si ricava da una pluralità
di elementi.
Innanzitutto, il bando di gara nella
denominazione dell’appalto indica «Servizio
di ristorazione scolastica e sociale», e
nella descrizione dell’oggetto «- la
gestione del servizio di ristorazione
scolastica a favore degli utenti delle
Istituzioni scolastiche statali e comunali,
- la gestione del servizio di ristorazione
degli asili nido comunali, - la gestione del
servizio di ristorazione del Centro Diurno
Disabili (C.D.D.), - la gestione del
servizio di produzione e consegna di pasti a
domicilio persone anziane e/o ridotta
autonomia». In nessun punto del bando si
parla di contratto misto o si fa cenno al
fatto che lo sfruttamento economico del
Centro cottura comunale per eseguire anche
altri appalti rientri nel sinallagma
negoziale.
È ben vero che il Disciplinare di gara
all’articolo 3, rubricato “Oggetto
dell’appalto, importo e suddivisione in
lotti”, elenca anche il conferimento
dell’uso del Centro Produzione Pasti di
proprietà del Comune e dei punti di
somministrazione posti nei vari plessi
scolastici, nel C.D.D. e negli asili nido.
Ma è altrettanto vero che tale conferimento
in uso è, per l’appunto, funzionale
all’esecuzione dell’appalto del servizio di
ristorazione per il Comune di Saronno, e non
ad altro, come dimostra la circostanza che
il conferimento riguarda non solo il Centro
cottura, ma anche i punti di
somministrazione dei pasti.
D’altro canto, l’utilizzo del Centro di
cottura per la produzione di pasti per
terzi, ai sensi dell’articolo 22.1 del
Capitolato speciale (che, non a caso,
utilizza la dizione “può produrre”),
rappresenta una facoltà e non un obbligo.
Né a conclusioni diverse conduce la
circostanza che l’aggio annuo minimo
garantito è elemento dell’offerta economica.
Infatti, ancora una volta il precitato
articolo 22.1 del Capitolato speciale
chiarisce che tale importo minimo è comunque
dovuto, ovverosia indipendentemente dal
fatto che nel Centro cottura comunale si
preparino pasti per terzi e che se ne
preparino un numero sufficiente a coprire
l’aggio promesso.
Quindi, a ben guardare, si tratta di un
costo fisso dell’appalto di ristorazione.
In definitiva, non si possono far rientrare
nella valutazione di congruità dell’offerta
per il servizio di ristorazione scolastica e
sociale, costi e ricavi relativi a rapporti
negoziali esterni, con soggetti che non sono
parte dell’appalto, rapporti che –anche in
un quadro di pregresse e consolidate
relazioni commerciali– sono comunque del
tutto eventuali.
Pertanto, avuto riguardo ai costi e ai
ricavi del solo servizio di ristorazione
scolastica e sociale, l’offerta di Pe.
S.p.A. è in perdita e, come tale, è ex se
anomala (cfr., ex plurimis, C.d.S.,
Sez. V, sentenza n. 5422/2019; C.d.S., Sez.
V, sentenza n. 963/2015; TAR
Campania–Napoli, Sez. II, sentenza n.
3940/2015; TAR Lazio–Roma, Sez. III-ter,
sentenza n. 8744/2015) e, pertanto, da
escludersi dalla gara.
In conclusione, il ricorso è fondato e per
questo viene accolto. Per l’effetto, è
annullata l’aggiudicazione a favore della
società Pe. S.p.A..
Non si fa, invece, luogo alla declaratoria
di inefficacia del contratto, non risultando
agli atti che vi sia stata la stipula,
peraltro, inibita dall’incidente cautelare
ai sensi dell’articolo 32, comma 11, D.Lgs.
n. 50/2016.
Nemmeno si fa luogo all’aggiudicazione
diretta dell’appalto alla società Du.Se.
S.r.l., spettando alla stazione appaltante
riattivare la procedura e adottare le
determinazioni conseguenti all’avvenuto
annullamento. |
APPALTI:
1.- Appalti pubblici – gare – suddivisione in lotti – limiti.
In materia di appalti pubblici, costituisce principio di
carattere generale la preferenza per la suddivisione in lotti, in quanto
diretta a favorire la partecipazione alle gare delle piccole e medie
imprese: tale principio, come recepito all'art. 51 del D.Lgs. 18.04.2016, n.
50, non costituisce tuttavia una regola inderogabile, in quanto la norma
consente alla stazione appaltante di derogarvi per giustificati motivi, che
devono essere puntualmente espressi nel bando o nella lettera di invito,
proprio perché il precetto della ripartizione in lotti è funzionale alla
tutela della concorrenza.
La scelta della stazione appaltante circa la suddivisione in lotti di un
appalto pubblico costituisce, peraltro, una decisione normalmente ancorata,
nei limiti previsti dall’ordinamento, a valutazioni di carattere
tecnico-economico. In tali ambiti, il concreto esercizio del potere
discrezionale dell’Amministrazione circa la ripartizione dei lotti da
conferire mediante gara pubblica deve essere funzionalmente coerente con il
bilanciato complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal
procedimento di appalto e resta delimitato, oltre che da specifiche norme
del codice dei contratti, anche dai principi di proporzionalità e di
ragionevolezza.
Alle stazioni appaltanti è, tuttavia, vietato suddividere le gare in lotti
distinti laddove ciò non sia giustificato dalla diversità dei servizi o
delle forniture oggetto dei vari sub-lotti e/o dalla esigenza di favorire la
partecipazione delle piccole medie imprese, anche in sintonia con l’assetto
regolatorio contenuto nell’articolo 68 del codice dei contratti incentrato,
quale canone generale dell’intera disciplina dell’evidenza pubblica, sulla
valorizzazione del principio di equivalenza che, per definizione, rende
valutabili prestazioni da ritenersi omogenee sul piano funzionale secondo
criteri di conformità sostanziale (massima free
tratta da e link a www.giustamm.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.02.2020
n. 932). |
APPALTI: I
nuovi obblighi di controllo sulle ritenute versate in caso
di appalto.
Domanda
Il Comune ha affidato un servizio di ristorazione scolastica
che prevede la prestazione di preparazione pasti presso la
cucina, già attrezzata, della scuola di proprietà dell’ente.
Scatta l’obbligo previsto dall’art. 4 del d.l. 124/2019 in
materia di ritenute fiscali?
Risposta
L’art. 4 del d.l. n. 124/2019 dopo la conversione in legge
n. 157/2019 ha introdotto il nuovo art. 17-bis al d.lgs.
241/1997 [1],
che prevede rilevanti novità nella gestione delle ritenute
fiscali in materia di appalti, quale misura di contrasto
“all’illecita somministrazione di manodopera”. Disposizione
che appesantisce i già abbondanti adempimenti in capo sia ai
committenti pubblici che agli operatori aggiudicatari, e
rispetto alla quale si attendono chiarimenti interpretativi
ed operativi che rendano omogeneo e soprattutto funzionale
il nuovo onere, evitando che si traduca in una mera
richiesta documentale.
Per un primo approfondimento si rinvia:
• allo studio pubblicato dalla Fondazione Studio Consulenti del
Lavoro, “Nuove misure di contrasto all’illecita
somministrazione di manodopera”, di cui al
seguente link;
• alla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 108 del
23.12.2019: Oggetto: Articolo 4 del d.l. 26.10.2019 n. 124 –
Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti –
Chiarimenti, di cui al
seguente link;
• alle risposte ai quesiti degli esperti fornite dall’Agenzia delle
Entrate il 13.01.2020 nel corso del terzo Forum sui dottori
commercialisti ed esperti contabili a Milano, pubblicato sul
sito dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, di cui
al
seguente link.
La Stazione appaltante dovrà quindi verificare quali sono
gli operatori economici con i quali sono in corso di
esecuzione contratti che presentano contestualmente le
seguenti condizioni, come previste dalla sopra citata
normativa, ovvero:
• l’importo complessivo annuo superiore ad € 200.000 (importo annuo
delle prestazioni affidate alla stessa impresa anche con più
contratti di appalto, con estensione della verifica su tutti
i contratti);
• contratti caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera (si
può ritenere siano quelli riconducibili all’art. 50, del
d.lgs. 50/2016, ultimo periodo, ovvero quei contratti nei
quali il costo della manodopera è pari ad almeno al 50%
dell’importo totale del contratto. Informazione che è
desumibile dagli atti di gara essendo un dato da riportare
obbligatoriamente nella documentazione, ai sensi dell’art.
23, co. 16, del codice dei contratti, almeno per quegli
appalti banditi successivamente al correttivo del 2017);
• il personale impiegato presti l’attività lavorativa presso le
sedi di attività del committente;
• i beni strumentali utilizzati nell’esecuzione della prestazione
siano di proprietà del committente o ad esso riconducibili
in qualunque forma.
Con riferimento al quesito, se il servizio di ristorazione
scolastica è prestato presso la cucina della scuola
dell’ente locale e utilizza beni strumentali di proprietà
dell’Amministrazione comunale, è possibile ritenere che
sussistendo anche gli altri requisiti di importo, scattino
gli obblighi previsti dalla vigente normativa.
---------------
[1] 1. …., che affidano il compimento di una o più opere
o di uno o più servizi di importo complessivo annuo
superiore a euro 200.000 a un’impresa, tramite contratti di
appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o
rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da
prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività
del committente con l’utilizzo di beni strumentali di
proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in
qualunque forma, sono tenuti a richiedere all’impresa
appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici,
obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento
relative al versamento delle ritenute di cui agli articoli
23 e 24 del citato decreto del Presidente della Repubblica
n. 600 del 1973, 50, comma 4, del decreto legislativo
15.12.1997, n. 446, e 1, comma 5, del decreto legislativo
28.09.1998, n. 360, trattenute dall’impresa appaltatrice o
affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori
direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del
servizio.
Il versamento delle ritenute di cui al periodo precedente è
effettuato dall’impresa appaltatrice o affidataria e
dall’impresa subappaltatrice, con distinte deleghe per
ciascun committente, senza possibilità di compensazione
(05.02.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI SERVIZI: La
Centrale unica di committenza (CUC) di questa Unione di
comuni intende procedere all'affidamento del servizio di
raccolta rifiuti urbani ed è indeciso sulla qualificazione
quale appalto o concessione.
Quale è la disciplina applicabile?
La applicabilità dell'una (appalto) o dell'altra
(concessione) disciplina non dipende, nel quadro del D.Lgs.
18.04.2016, n. 50, dalla tipologia di servizio (raccolta di
rifiuti) ma dal regime contrattuale che sta alla base del
rapporto fra l'Ente locale che lo affida e il gestore.
Come evidenziato dalla giurisprudenza costante "assumono
rilievo i criteri discretivi tra appalto di servizi e
concessione, in considerazione del fatto che l'elemento
caratterizzante la concessione è il trasferimento del c.d.
"rischio economico" in capo al concessionario, inteso come
possibilità che la gestione dell'attività oggetto di
concessione non sia remunerativa. In difetto di detto
rischio, si verte nel campo dell'appalto di servizi"
(tale distinzione rileva anche ai fini dell'applicabilità
della tassa sull'occupazione del suolo pubblico ed altri
regimi fiscali.
Ne deriva, come sottolineato anche recentemente che "va
qualificato come appalto di servizi, e non come concessione
di servizi, il contratto di gestione dei rifiuti urbani che
preveda che l'attività svolta sia remunerata integralmente
dall'amministrazione, di modo che non gravi sull'operatore
economico il rischio d'impresa".
Dalla qualificazione ne deriva l'applicazione del distinto
regime giuridico, ad esempio in merito alla revisione dei
prezzi (possibile per l'appalto di servizi, vietato nella
concessione per la quale vige l'opposto principio della
normale invariabilità del canone concessorio, salva
esplicita clausola di deroga).
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.04.2016,
n. 50, art. 164
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. V, 24.01.2020, n. 608 - Comm. trib. prov.
Puglia Lecce Sez. II, 26.06.2019 - TAR Toscana, Sez. II,
04.06.2019, n. 832 - Comm. trib. prov. Puglia Lecce Sez. IV,
02.04.2019 - Cass., S.U., 20.04.2017, n. 9965 - TAR Campania
Napoli Sez. VIII, 12.01.2015, n. 114 - Cons. Stato Sez. VI,
05.06.2006, n. 3335 - Cons. Stato Sez. VI, 27.02.2006, n.
841 - Cons. Stato Sez. VI, 10.02.2006, n. 553 (05.02.2020 -
tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
APPALTI: L'art.
80, comma 5, lett. m), del d.lgs. 50/2016 stabilisce che deve essere escluso
dalla partecipazione alla procedura di gara l’operatore economico che “si
trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di
affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del
codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione
di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un
unico centro decisionale”.
Dalla piana interpretazione della norma si evince che “fra le cause di
esclusione dalle gare pubbliche, devono essere ricomprese, oltre alle
ipotesi previste dall'art. 2359 c.c., anche quelle non codificate di
collegamento sostanziale le quali, attestando la riconducibilità dei
soggetti partecipanti alla selezione ad un unico centro decisionale, causano
o possono causare la vanificazione dei principi generali in tema di par
condicio, segretezza delle offerte e trasparenza della competizione,
risultando ininfluente che la rilevanza del collegamento sia stata o meno
esplicitata nel bando di gara”.
---------------
Nel caso di annullamento o revoca di una aggiudicazione provvisoria, la
stazione appaltante non è obbligata a comunicare all'impresa aggiudicataria
provvisoria l'avvio del procedimento di autotutela, atteso che
l'aggiudicazione provvisoria è atto endo-procedimentale, che s'inserisce
nella procedura comparativa come momento necessario ma non decisivo.
---------------
Il ruolo di garanzia attribuito al RUP implica necessariamente il potere di
provvedere all’esclusione dei concorrenti nei casi tassativamente previsti
dal legislatore a tutela degli interessi della stazione appaltante: “tale
conclusione, del resto, reperisce il proprio ineludibile riscontro
nell'indirizzo stabilmente assunto dal Consiglio di Stato, il quale,
riguardo ad una questione analoga a quella ora in esame, ha invero ritenuto
che "la doglianza con la quale l'appellante sostiene che il responsabile del
procedimento non è competente in ordine all'esclusione delle partecipanti
alla gara deve essere respinta essendo la tesi sostenuta in contrasto con
orientamento pacifico del Consiglio di Stato che il Collegio condivide e al
quale fa riferimento ai sensi dell'art. 74 del codice del processo
amministrativo".
Senza ancora considerare come proprio l'attribuzione al RUP delle competenze
afferenti all'adozione dei provvedimenti di esclusione trovi piena
corrispondenza nel particolare ruolo attribuito a tale figura, nel contesto
della gara, e alle funzioni di garanzia e di controllo che ad esso sono
intestate, anche in ragione dei tempi e delle modalità della sua
preposizione, che è sempre anteposta (anche logicamente) all'avvio della
procedura di affidamento (art. 32, comma 1), così da collocarlo in una
posizione di originaria terzietà e separazione nel corso dell'intero ciclo
dell'appalto (condizione che si rileva sia rispetto agli organi deputati
allo svolgimento delle valutazioni tecniche -costituiti invece solo "dopo la
scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte", ai sensi
dell'art. 77, comma 7, D.Lgs. n. 50 del 2016- sia riguardo
all'organizzazione della stazione appaltante, quanto meno fino alla
formulazione, da parte del RUP, della proposta di aggiudicazione "soggetta
ad approvazione dell'organo competente secondo l'ordinamento della stazione
appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti" - art. 33, 1°
comma).
---------------
7. Il ricorso è infondato.
7.1. L'art. 80, comma 5, lett. m), del d.lgs. 50/2016 stabilisce che deve
essere escluso dalla partecipazione alla procedura di gara l’operatore
economico che “si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima
procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo
2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la
situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono
imputabili ad un unico centro decisionale”.
Dalla piana interpretazione della norma si evince che “fra le cause di
esclusione dalle gare pubbliche, devono essere ricomprese, oltre alle
ipotesi previste dall'art. 2359 c.c., anche quelle non codificate di
collegamento sostanziale le quali, attestando la riconducibilità dei
soggetti partecipanti alla selezione ad un unico centro decisionale, causano
o possono causare la vanificazione dei principi generali in tema di par
condicio, segretezza delle offerte e trasparenza della competizione,
risultando ininfluente che la rilevanza del collegamento sia stata o meno
esplicitata nel bando di gara” (TAR Napoli, Sez. V, 03/01/2019 n. 27).
Nel concreto caso di specie, è circostanza oggettiva e non contestata che
tra le offerte presentate dalla ricorrente e dalla ditta seconda
classificata nella graduatoria di gara sussistono molteplici similitudini,
che riguardano non soltanto il ribasso sui prezzi, ma anche i contenuti
tecnici e la veste grafica, al punto che sono ravvisabili i medesimi errori
di battitura.
I predetti elementi in comune non sono stati giustificati dalla ricorrente
in modo plausibile, dal momento che a fronte della spiegazione secondo cui
alcune similitudini descrittive sarebbero da imputare al fatto che entrambe
le ditte “hanno fatto riferimento per gli arredi ad una ditta leader nel
settore” (cfr. pag. 10 del ricorso), resta il fatto che gli aspetti di
immediata sovrapponibilità (o meglio, di assoluta identità) tra le offerte
sono molteplici e concordanti, essendo riscontrabile la coincidenza di 45
prezzi su 49, l’utilizzo delle stesse immagini, il riferimento ai medesimi
particolari costruttivi, oltre che agli stessi arredi. D’altronde la
invocata giustificazione del riferimento ad una ditta leader nel settore non
è poi confermata da una circostanziata indicazione delle modalità attraverso
cui tale riferimento avrebbe comportato la sostanziale uguaglianza
dell’offerta delle due partecipanti.
L’oggettiva convergenza di tali riscontri istruttori nel senso della unicità
del centro di imputazione delle opzioni partecipative sottese alle offerte
vale a dimostrare la lesione dell’interesse alla segretezza ed autonomia dei
relativi contenuti, con conseguente violazione del principio di
concorrenzialità.
7.2. Parimenti infondata è la censura con cui la ricorrente ha lamentato la
mancata comunicazione di avvio del provvedimento di revoca
dell’aggiudicazione provvisoria: “nel caso di annullamento o revoca di
una aggiudicazione provvisoria, la stazione appaltante non è obbligata a
comunicare all'impresa aggiudicataria provvisoria l'avvio del procedimento
di autotutela, atteso che l'aggiudicazione provvisoria è atto
endo-procedimentale, che s'inserisce nella procedura comparativa come
momento necessario ma non decisivo” (TAR Catania, Sez. I, 20/02/2017 n.
355).
7.3. Né miglior sorte ha la doglianza relativa all’incompetenza del RUP
rispetto all’adozione del provvedimento di esclusione della ricorrente dalla
procedura concorsuale, dal momento che la giurisprudenza pronunciatasi in
materia ha più volte ribadito che il ruolo di garanzia attribuito al RUP
implica necessariamente il potere di provvedere all’esclusione dei
concorrenti nei casi tassativamente previsti dal legislatore a tutela degli
interessi della stazione appaltante: “tale conclusione, del resto,
reperisce il proprio ineludibile riscontro nell'indirizzo stabilmente
assunto dal Consiglio di Stato, il quale, riguardo ad una questione analoga
a quella ora in esame, ha invero ritenuto che "la doglianza con la quale
l'appellante sostiene che il responsabile del procedimento non è competente
in ordine all'esclusione delle partecipanti alla gara deve essere respinta
essendo la tesi sostenuta in contrasto con orientamento pacifico del
Consiglio di Stato (Sezione Quinta, 06.05.2015, n. 2274, 21.11.2014, n.
5760) che il Collegio condivide e al quale fa riferimento ai sensi dell'art.
74 del codice del processo amministrativo" (Cons. Stato, Sez. III, n. 2983
del 2017).
Senza ancora considerare come proprio l'attribuzione al RUP delle competenze
afferenti all'adozione dei provvedimenti di esclusione trovi piena
corrispondenza nel particolare ruolo attribuito a tale figura, nel contesto
della gara, e alle funzioni di garanzia e di controllo che ad esso sono
intestate (cfr. Cons. Stato, Comm. spec., 25.09.2017, n. 2040), anche in
ragione dei tempi e delle modalità della sua preposizione, che è sempre
anteposta (anche logicamente) all'avvio della procedura di affidamento (art.
32, comma 1), così da collocarlo in una posizione di originaria terzietà e
separazione nel corso dell'intero ciclo dell'appalto (condizione che si
rileva sia rispetto agli organi deputati allo svolgimento delle valutazioni
tecniche -costituiti invece solo "dopo la scadenza del termine fissato per
la presentazione delle offerte", ai sensi dell'art. 77, comma 7, D.Lgs. n.
50 del 2016- sia riguardo all'organizzazione della stazione appaltante,
quanto meno fino alla formulazione, da parte del RUP, della proposta di
aggiudicazione "soggetta ad approvazione dell'organo competente secondo
l'ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo
stesso previsti" - art. 33, 1° comma)” (TAR Trieste, Sez. I, 29/10/2019
n. 450)
(TAR Molise,
sentenza 04.02.2020 n. 39 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI:
Omessa dichiarazione di condanne in una
procedura di gara.
Il TAR Milano con
riferimento al caso di omessa dichiarazione
di condanne precisa che:
«- la giurisprudenza condivisa dalla Sezione ha anche recentemente
ribadito che nel caso di omessa
dichiarazione di condanne è legittimo il
provvedimento di esclusione, non sussistendo
in capo alla stazione appaltante l’ulteriore
obbligo di vagliare la gravità del
precedente penale di cui è stata omessa la
dichiarazione, conseguendo il provvedimento
espulsivo all’omissione della prescritta
dichiarazione, che invece deve essere resa
in modo completo ai fini dell’attestazione
del possesso dei requisiti di ordine
generale e deve contenere tutte le sentenze
di condanna subite, a prescindere dalla
gravità del reato e dalla sua connessione
con il requisito della moralità
professionale, la cui valutazione compete
esclusivamente alla stazione appaltante;
- la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da
perseguire poiché consente, anche in
ossequio al principio di buon andamento
dell’amministrazione e di proporzionalità,
la celere decisione in ordine al possesso
dei requisiti morali in capo all’operatore
economico;
- del resto, la presentazione di una dichiarazione non veritiera da
parte di un soggetto che interloquisce con
una stazione appaltante non può che minare
alla radice, secondo l’id quod plerumque
accidit, il rapporto fiduciario con
l’Amministrazione;»
(TAR Lombardia- Milano, Sez. IV,
sentenza 03.02.2020 n. 234 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
2.4. Ciò posto, l’operato di Consip S.p.A.,
ad avviso del Collegio, non può che
ritenersi corretto, atteso che:
- la giurisprudenza condivisa dalla Sezione ha anche recentemente
ribadito che nel caso di omessa
dichiarazione di condanne è legittimo il
provvedimento di esclusione, non sussistendo
in capo alla stazione appaltante l’ulteriore
obbligo di vagliare la gravità del
precedente penale di cui è stata omessa la
dichiarazione, conseguendo il provvedimento
espulsivo all’omissione della prescritta
dichiarazione, che invece deve essere resa
in modo completo ai fini dell’attestazione
del possesso dei requisiti di ordine
generale e deve contenere tutte le sentenze
di condanna subite, a prescindere dalla
gravità del reato e dalla sua connessione
con il requisito della moralità
professionale, la cui valutazione compete
esclusivamente alla stazione appaltante (ex
multis, C.d.S., Sez. V, n. 1527/2019 e
la giurisprudenza ivi richiamata);
- la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da
perseguire poiché consente, anche in
ossequio al principio di buon andamento
dell’amministrazione e di proporzionalità,
la celere decisione in ordine al possesso
dei requisiti morali in capo all’operatore
economico (cfr. C.d.S., Sez. V, n.
1527/2019, cit.);
- del resto, la presentazione di una dichiarazione non veritiera da
parte di un soggetto che interloquisce con
una stazione appaltante non può che minare
alla radice, secondo l’id quod plerumque
accidit, il rapporto fiduciario con
l’Amministrazione;
- la disciplina del subappalto, nell’ambito della convenzione
oggetto della procedura di affidamento da
parte di Consip S.p.A., è contenuta nella
lex specialis di gara (v. paragrafo 9 del
disciplinare, sub doc. 13 della produzione
di parte resistente), secondo la quale “Il
subappalto è ammesso in conformità all’art.
118 del D.Lgs. 163/2006”, sicché anche
l’affidamento in subappalto è sottoposto
alla condizione che il fornitore produca,
tra l’altro, “la dichiarazione attestante
il possesso dei requisiti di cui
all’articolo 38 del d.lgs. n. 163/2006”;
- alle ipotesi di dichiarazione non veritiera, come quella
configurata nella fattispecie, non è
applicabile l’istituto del soccorso
istruttorio, contrariamente a quanto
sostenuto da parte ricorrente;
- nella condotta di Consip S.p.A., alla luce dei fatti come sopra
ricostruiti, non è riscontrabile alcuna
violazione del principio di proporzionalità,
né alcuno sviamento di potere, per le
ragioni sopra esposte. |
gennaio 2020 |
|
APPALTI: Partecipazione
procedimentale sull’informazione antimafia.
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Informativa antimafia – Comunicazione di avvio del procedimento -
Esclusione
L’informazione antimafia non richiede la necessaria
osservanza del contraddittorio procedimentale, meramente eventuale in questa
materia ai sensi dell’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011 né è
configurabile l’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del
1990 non essendo l’informazione antimafia provvedimento vincolato, ma per
sua stessa natura discrezionale (1).
---------------
(1) La Sezione dà
atto che la questione del contraddittorio procedimentale in materia di
informazioni antimafia è dibattuta, registrandosi in dottrina voci
dissenzienti ed avendo il Tar Bari, con
ord. n. 28 del 13.01.2020, chiesto alla Corte di Giustizia UE di
chiarire pregiudizialmente, ai fini della decisione del giudizio, se gli
artt. 91, 92 e 93, d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui non prevedono
il contraddittorio procedimentale in favore del soggetto nei cui confronti
il Prefetto si propone di rilasciare una informazione antimafia, siano
compatibili con il principio del contraddittorio, così come ricostruito e
riconosciuto quale principio di diritto dell’Unione.
La Sezione ha sul punto chiarito che l’assenza di una necessaria
interlocuzione procedimentale in questa materia non costituisca un vulnus al
principio di buona amministrazione, perché, come la stessa Corte UE ha
affermato, il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei
diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a
restrizioni, a condizione che «queste rispondano effettivamente a
obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e
non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento
sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei
diritti così garantiti» (sentenza della Corte di Giustizia UE,
09.11.2017, in C-298/16, § 35 e giurisprudenza ivi citata) e, in riferimento
alla normativa italiana in materia antimafia, la stessa Corte UE, seppure ad
altri fini (la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il
diritto eurounitario), ha di recente ribadito che «il contrasto al
fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli
appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una
restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si
applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici» (Corte
di Giustizia UE, 26.09.2019, in C-63/18, § 37).
La discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o
notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in
informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste
della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata di stampo
mafioso e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la
finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha
l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle
organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia
legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi.
Questa Sezione ha perciò già chiarito che la delicatezza della ponderazione
intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale
delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può
comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del
contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, come
ha pure chiarito la Corte di Giustizia UE nella sua giurisprudenza (ma v.
pure Corte cost.: sent. n. 309 del 1990 e sent. n. 71 del 2015), o slegato
dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore
rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo
irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio
di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo
fondamento del moderno diritto amministrativo (Cons.
St., sez. III, 09.02.2017, n. 565).
E d’altro canto il contraddittorio procedimentale non è del tutto assente
nemmeno nelle procedure antimafia, se è vero che l’art. 93, comma 7, d.lgs.
n. 159 del 2011 prevede che «il prefetto competente al rilascio
dell'informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e
delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i
soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni
informazione ritenuta utile»
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 31.01.2020 n. 820 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Offerte
imputabili ad un unico centro decisionale.
Il TAR Milano, con
riferimento all’esclusione in base all’art.
80, comma 5, lett. m), del D.Lgs. 50/2016,
ai sensi del quale le stazioni appaltanti
escludono dalla partecipazione alla
procedura d’appalto un operatore economico
che «trovi rispetto ad un altro
partecipante alla medesima procedura di
affidamento, in una situazione di controllo
di cui all'articolo 2359 del codice civile o
in una qualsiasi relazione, anche di fatto,
se la situazione di controllo o la relazione
comporti che le offerte sono imputabili ad
un unico centro decisionale», precisa
che:
«In sede di interpretazione della norma,
la giurisprudenza, condivisa dal Tribunale,
osserva che:
- l’accertamento della sussistenza di un unico centro decisionale
costituisce motivo in sé sufficiente a
giustificare l’esclusione delle imprese
dalla procedura selettiva, non essendo
necessario verificare che la comunanza a
livello strutturale delle imprese
partecipanti alla gara abbia concretamente
influito sul rispettivo comportamento
nell’ambito della gara, determinando la
presentazione di offerte riconducibili ad un
unico centro decisionale;
- ciò che rileva è, infatti, il dato oggettivo, autonomo e
svincolato da valutazioni a posteriori di
tipo qualitativo, rappresentato
dall’esistenza di un collegamento
sostanziale tra le imprese, con la
necessaria precisazione che lo stesso debba
essere dedotto da indizi gravi, precisi e
concordanti;
- tale interpretazione garantisce la tutela dei principi di
segretezza delle offerte e di trasparenza
delle gare pubbliche, nonché di parità di
trattamento delle imprese concorrenti,
principi che verrebbero irrimediabilmente
violati qualora si ritenesse di correlare
l’esclusione dalla gara di imprese in
collegamento sostanziale ad una posteriore
valutazione sul contenuto delle offerte;
- il semplice collegamento può dar luogo all’esclusione da una gara
d’appalto all’esito di puntuali verifiche
compiute con riferimento al caso concreto da
parte dell’Amministrazione che deve
accertare se la situazione rappresenta anche
solo un pericolo che le condizioni di gara
vengano alterate»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 31.01.2020 n. 222 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
L’esclusione impugnata si basa
sull’applicazione dell’art. 80, comma 5,
lett. m), del D.Lgs. 50/2016, ove si prevede
che le stazioni appaltanti escludono dalla
partecipazione alla procedura d’appalto un
operatore economico in una delle seguenti
situazioni, anche riferita a un suo
subappaltatore nei casi di cui all’articolo
105, comma 6, qualora: “m) l’operatore
economico si trovi rispetto ad un altro
partecipante alla medesima procedura di
affidamento, in una situazione di controllo
di cui all'articolo 2359 del codice civile o
in una qualsiasi relazione, anche di fatto,
se la situazione di controllo o la relazione
comporti che le offerte sono imputabili ad
un unico centro decisionale”.
In sede di interpretazione della norma, la
giurisprudenza, condivisa dal Tribunale (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V, n. 1265/2010;
Tar Lombardia Milano, sez. I, n. 1983/2019;
Tar Lombardia Milano, sez. I, n. 1918/2018;
Tar Lombardia Milano, sez. I, n. 2248/2016),
precisa che:
- l’accertamento della sussistenza di un unico centro decisionale
costituisce motivo in sé sufficiente a
giustificare l’esclusione delle imprese
dalla procedura selettiva, non essendo
necessario verificare che la comunanza a
livello strutturale delle imprese
partecipanti alla gara abbia concretamente
influito sul rispettivo comportamento
nell’ambito della gara, determinando la
presentazione di offerte riconducibili ad un
unico centro decisionale;
- ciò che rileva è, infatti, il dato oggettivo, autonomo e
svincolato da valutazioni a posteriori di
tipo qualitativo, rappresentato
dall’esistenza di un collegamento
sostanziale tra le imprese, con la
necessaria precisazione che lo stesso debba
essere dedotto da indizi gravi, precisi e
concordanti (C.d.S., Sez. V, n. 1265/2010);
- tale interpretazione garantisce la tutela dei principi di
segretezza delle offerte e di trasparenza
delle gare pubbliche, nonché di parità di
trattamento delle imprese concorrenti,
principi che verrebbero irrimediabilmente
violati qualora si ritenesse di correlare
l’esclusione dalla gara di imprese in
collegamento sostanziale ad una posteriore
valutazione sul contenuto delle offerte (TAR
Lombardia, I sezione, n. 2248/2016);
- il semplice collegamento può dar luogo all’esclusione da una gara
d’appalto all’esito di puntuali verifiche
compiute con riferimento al caso concreto da
parte dell’Amministrazione che deve
accertare se la situazione rappresenta anche
solo un pericolo che le condizioni di gara
vengano alterate (per tutte TAR Sardegna, n.
163/2018). |
APPALTI: Questa
stazione appaltante (ente pubblico economico) ha trovato, in
alcune procedure di gara, dichiarazioni di avvalimento di
requisiti di ordine finanziario.
In questi casi, come viene garantito dall'operatore l’avvalimento,
anche ai fini del controllo da parte della nostra stazione?
La giurisprudenza ormai consolidata (anche a livello di
Consiglio di Stato) ha chiarito la distinzione fra
avvalimento di garanzia (quello ad esempio inerente il
possesso dei requisiti di ordine finanziario) e l'avvalimento
tecnico-operativo (consistente nel supporto materiale e
organizzativo allo svolgimento della prestazione).
In entrambi i casi la stazione appaltante è tenuta a
verificare in concreto (al di là delle formule di rito e
dichiarazioni delle parti) che sussista un concreto apporto
dell'ausiliaria rispetto alle attività da svolgere a cura
dell'ausiliata e questa indagine va condotta "secondo i
canoni enunciati dal codice civile di interpretazione
complessiva e secondo buona fede delle clausole contrattuali"
anche se "non è conseguentemente necessario, in linea di
massima, che la dichiarazione negoziale costitutiva
dell'impegno contrattuale si riferisca a specifici beni
patrimoniali o a indici materiali atti a esprimere una certa
e determinata consistenza patrimoniale, ma è sufficiente che
dalla ridetta dichiarazione emerga l'impegno contrattuale a
prestare e a mettere a disposizione dell'ausiliata la
complessiva solidità finanziaria e il patrimonio
esperienziale, così garantendo una determinata affidabilità
e un concreto supplemento di responsabilità".
Sempre con riferimento all'avvalimento di garanzia si
evidenzia come "avendo esso ad oggetto l'impegno
dell'ausiliaria a garantire con proprie risorse economiche
l'impresa ausiliata, non è necessario che nel contratto
siano specificatamente indicati i beni patrimoniali o gli
indici materiali della consistenza patrimoniale
dell'ausiliaria, essendo sufficiente che questa si impegni a
mettere a disposizione la sua complessiva solidità
finanziaria e il suo patrimonio di esperienza".
Le sentenze sottolineano inoltre come "l'unico
responsabile dal punto di vista giuridico dell'esecuzione
del contratto è il concorrente aggiudicatario e che le
prestazioni in concreto svolte dall'ausiliaria sono comunque
riconducibili all'organizzazione da esso predisposta per
l'adempimento degli obblighi assunti nei confronti della
stazione appaltante".
Quindi, alla luce del quadro normativo ma soprattutto
giurisprudenziale, per rispondere al quesito formulato, si
sottolinea come:
- la prestazione contrattuale rimane in capo all'ausiliata
- il rispetto dell'avvalimento va verificato in concreto, anche in
fase esecutiva, accertando se sia dato il supporto
necessario (garanzie, coperture assicurative ecc…) indicate
in sede di gara.
Per le modalità di esecuzione di tale controllo la stazione
appaltante potrà chiedere specifiche giustificazioni,
chiarimenti e documentazione a corredo.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 89
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. V, 16.01.2020, n. 389 - Cons. Stato Sez. V,
02.12.2019, n. 8249 - Cons. Stato Sez. V, 25.07.2019, n.
5257 - Cons. Stato Sez. V, 14.06.2019, n. 4024 - Cons. Stato
Sez. V, 07.05.2019, n. 2917 - TAR Piemonte Torino Sez. I,
23.04.2019, n. 459 - Cons. Stato Sez. V, 26.11.2018, n. 6693
- TAR Lombardia Brescia Sez. I, 10.12.2018, n. 1195 - TAR
Marche, Sez. I, 26.06.2018, n. 471 (29.01.2020 -
tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
APPALTI: I
criteri di aggiudicazione dopo la legge 55/2019.
Domanda
Con diversi quesiti si pone la questione della chiara
identificazione dell’ambito di utilizzo del criterio minor
prezzo dopo le modifiche apportate con la legge 55/2019 e in
che modo questo possa essere considerato “residuale”
rispetto al criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa.
Riposta
Il codice dei contratti, come noto, ha superato l’equiordinazione
tra i criteri di aggiudicazione dell’appalto. In sostanza,
il RUP non ha più discrezionalità nella scelta dei criteri
ma deve attenersi alle indicazioni della norma e non v’è
dubbio che il criterio del “prezzo più basso" (ora
del minor prezzo) abbia sicuramente uno “spazio”
applicativo realmente residuale.
Ciò emerge, in particolare, dal comma 2 dell’articolo 95
laddove si puntualizza che gli appalti devono essere
aggiudicati “sulla base del criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa individuata …”. Il comma
non cita neppure il criterio dell’offerta al minor prezzo
(quasi ad evidenziarne il carattere marginale).
Le disposizioni fondamentali, in tema di criteri sono quelle
previste nei commi 3/6 dell’articolo 95 del codice.
La norma “guida” per il RUP –come anche la
giurisprudenza ha chiarito– è quella del comma 3 in cui si
precisa che il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa costituisce il criterio esclusivo per
aggiudicare:
• i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione
ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi
ad alta intensità di manodopera purché non riconducibili ad
affidamenti entro i 40mila euro;
• i contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e
architettura e degli altri servizi di natura tecnica e
intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro;
Infine la nuova ipotesi introdotta con la legge sblocca
cantieri (legge 55/2019) che impone l’obbligo di utilizzare
il multicriterio per aggiudicare “i contratti di servizi
e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro
caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno
un carattere innovativo”.
In sostanza, la discriminante è fissata sulla microsoglia
(entro i 40mila euro) in cui il RUP gode di un’ampia
discrezionalità.
Della norma appena citata è bene rammentare come non debba
essere sottovalutata la questione dell’intensità della
manodopera.
Spesso il RUP, anche in presenza di attività che definisce “standardizzate”,
pur in presenza di intensa manodopera tende a “forzare”
l’applicazione del criterio del minor prezzo anche nel caso
in cui si opera nell’ambito di importo pari o superiore ai
40mila euro. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle
attività di guardiania/pulizia.
Pur vero che le attività possono ritenersi standardizzate è
però altrettanto vero che ci si trova in presenza di
contratti con altissima intensità di manodopera. E tale
indice deve essere inteso nel senso prospettato dalla norma
(art. 50, comma 1).
Per la norma citata, “i servizi ad alta intensità di
manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è
pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del
contratto”.
Si sconsiglia, evidentemente, ogni forzatura che avrebbe per
effetto quello di rendere annullabile gli atti di gara per
palese illegittimità.
In ogni caso, qualora si optasse per una “libera”
interpretazione non si può prescindere dall’esigenza di
specificare, fin dalla determinazione a contrarre, la
motivazione. Motivazione, come detto, che compete al RUP che
propone o decide quale criterio applicare (se anche
responsabile del servizio).
In ordine al criterio del minor prezzo, il comma 4 è stato
completamente riscritto dalla legge sblocca cantieri e
l’unica ipotesi residua in cui un problema di criteri si
pone con minore intensità è proprio quello delle
forniture/servizi con caratteristiche standardizzate per i
quali appalti, come detto, è possibile prescindere
dall’offerta economicamente più vantaggiosa solamente se non
insiste intensità di manodopera. In particolare la norma ore
prevede il minor prezzo “per i servizi e le forniture con
caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono
definite dal mercato, fatta eccezione per i servizi ad alta
intensità di manodopera di cui al comma 3, lettera a). In
ogni caso, l’utilizzo del monocriterio esige una adeguata
motivazione".
In tema appare utile richiamare la recente conferma
intervenuta con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V,
del 20.01.2020 n. 444. In sentenza si legge che “il
legittimo ricorso al criterio del minor prezzo, ai sensi
dell’art. 95, comma 4, lett. b) del Codice dei contratti
pubblici, in deroga alla generale preferenza accordata al
criterio di aggiudicazione costituito dall’offerta
economicamente più vantaggiosa, si giustifica, tra altro,
per l’affidamento di forniture o di servizi che siano, per
loro natura, strettamente vincolati a precisi e inderogabili
standard tecnici o contrattuali ovvero caratterizzati da
elevata ripetitività e per i quali non vi sia quindi alcuna
reale necessità di far luogo all’acquisizione di offerte
differenziate (Cons. Stato, III, 13.03.2018, n. 1609;
02.05.2017, n. 2014)”
(29.01.2020 - link a www.publika.it). |
APPALTI: Sull’immodificabilità
dell’offerta all’esito del procedimento di verifica dell’anomalia.
Nella sentenza in rassegna il Collegio ha ribadito che la
valutazione dell’anomalia dell’offerta non è volta a sanzionare il
concorrente o a ricercare specifiche inesattezze nell’offerta, bensì è
finalizzata ad esprimere un giudizio globale e sintetico sulla sua
complessiva serietà e credibilità in relazione alla corretta esecuzione del
contratto.
Nel caso di specie l’aggiudicataria ha fornito, in sede
d’anomalia dell’offerta, delle giustificazioni inerenti le voci di prezzo
dell’offerta economica relative ad un periodo inferiore alla durata totale
dell’appalto.
Pertanto, ricalcolando con una semplice operazione matematica
le suddette voci di prezzo per la durata corretta, l’offerta
dell’aggiudicataria è risultata in perdita.
Ciò integra una criticità
sindacabile in sede giurisdizionale e non in sede d’anomalia, in quanto non
invade l’ambito della discrezionalità tecnica spettante alla p.a.
(commento tratto da www.aoerre.com - TAR Lazio-Latina,
sentenza 24.01.2020 n. 27 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
---------------
11.1 Con il primo mezzo di impugnazione aggiunto parte ricorrente
argomenta l’inadeguatezza delle giustificazioni fornite dall’aggiudicataria
in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, poiché detta offerta
sarebbe, in realtà, in perdita per almeno euro 1.315.901,34.
In particolare, parte ricorrente deduce tale elemento di fatto dai
giustificativi di offerta anomala forniti dalla stessa aggiudicataria alla
Regione Lazio con nota del 22.02.2019, ove si legge al § 16.10, pag. 43, che
il totale annuo delle “principali voci di costo […] che costituiscono il
complessivo onere dell’appalto” è quantificato in euro 2.641.802,61.
Tale importo moltiplicato per i 5 anni e 6 mesi della durata del contratto
ammonta ad euro 14.474.914,35, dunque superiori all’offerta di soli euro
13.173.289,97 (inclusi oneri di sicurezza non ribassabili per euro.
14.276,90), da intendersi “comprensiva di tutti gli oneri, spese e
remunerazioni per l’esatto e puntuale adempimento di ogni obbligazione
contrattuale e dei servizi migliorativi se dichiarati”.
Il motivo è fondato.
Come si è avuto modo di chiarire, l’importo a base d’asta, necessariamente
comprensivo del valore della eventuale proroga tecnica semestrale ex art.
35, comma 4, d.lgs. n. 50 cit., è di euro 15.609.220,10 per un periodo di 5
anni e 6 mesi, inclusi oneri per il rischio di interferenza non soggetti a
ribasso; in tal senso, l’offerta presentata da De.Pr. s.r.l. è di euro
13.159.013,07 e corrisponde a un ribasso del 15,62% operato su un piede di
calcolo di euro 15.594.943,20 (a dire l’importo a base di gara di euro
15.609.220,10, diminuito di euro 14.276,90 per oneri di sicurezza non
ribassabili).
La Regione Lazio con nota prot. 95290 del 05.02.2019 ha chiesto a De.Pr.
s.r.l. giustificazioni inerenti le voci di prezzo della propria offerta ai
sensi dell’art. 97, d.lgs. n. 50 cit., che sono state trasmesse con nota
datata 22.02.2019; l’Amministrazione ha poi conclusivamente ritenuto non
anomala l’offerta formulata da De.Pr. s.r.l., cui è stato aggiudicato il
contratto.
Al riguardo, si rammenta che, in generale, la valutazione di anomalia
dell’offerta è resa all’esito di un sub-procedimento che non è diretto a
sanzionare il concorrente o a ricercare specifiche inesattezze nell’offerta,
ma ad esprimere un giudizio globale e sintetico sulla sua complessiva
serietà, attendibilità e credibilità in relazione alla corretta esecuzione
del contratto alle condizioni proposte (ex multis: Cons. Stato, sez.
III, 29.01.2019 n. 726; sez. V, 23.01.2018 n. 430; sez. V, 30.10.2017 n.
4978; TAR Lazio, Latina, sez. I, 09.12.2019 n. 707).
Il giudizio di non anomalia ha, quindi, natura tecnico-discrezionale ed è
insindacabile in sede giurisdizionale, salvo l’esistenza di manifeste e
macroscopiche erroneità o irragionevolezze dell’operato dell’Amministrazione
che disvelino la complessiva inattendibilità dell’offerta, restando precluso
al giudice di verificare autonomamente la congruità dell’offerta e delle sue
singole voci (Cons. Stato, V, 17.05.2018 n. 2953; sez. V, 24.08.2018 n.
5047; sez. III, 18.09.2018 n. 5444; sez. V, 23.01.2018 n. 230; sez. V,
22.12.2014 n. 6231; sez. V, 18.02.2013, n. 974; sez. V, 19.11.2012 n. 5846;
sez. V, 23.07.2012 n. 4206; sez. V, 11.05.2012 n. 2732).
...
11.2 Nel secondo motivo aggiunto, parte ricorrente assume che
l’offerta di De.Pr. s.r.l. avrebbe dovuto essere esclusa per la palese
incongruità delle giustificazioni fornite in sede di verifica dell’anomalia
dell’offerta quanto ai costi della sicurezza, dato che gli oneri dichiarati
dall’aggiudicataria per l’intera durata del contratto sono pari a euro
247.500,00, mentre nella giustificazioni l’importo a ciò destinato è di euro
49.500,00 annui che, moltiplicato per 5 anni e 6 mesi, equivale a euro
272.250,00.
Anche il motivo all’esame è fondato.
L’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 cit., prevede che: “10. Nell’offerta
economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli
oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di
salute e sicurezza sui luoghi di lavoro […]”.
Nella specie, è pacifico che De.Pr. s.r.l. abbia dichiarato nella propria
offerta economica che gli oneri per la sicurezza per l’intera durata del
contratto (i.e. per i 5 anni di durata ordinaria e naturale
dell’appalto e per gli ulteriori 6 mesi di possibile proroga tecnica) sono
pari a euro 247.500,00; tuttavia, nelle giustificazioni presentate alla
Regione Lazio con la citata nota del 22.02.2019 li ha indicati in euro
49.500,00 annui, cifra questa che, attualizzata al predetto periodo di 5
anni e 6 mesi, restituisce un totale di euro 272.250,00, superiore quindi a
quanto dichiarato in sede di offerta economica.
Ciò comporta che, accedendo alla tesi di parte ricorrente, l’offerta
presentata dall’aggiudicataria sia stata modificata nel corso del
sub-procedimento di valutazione dell’anomalia, in violazione del principio
generale di immodificabilità delle offerte presentate in pubbliche gare di
appalto, che comporta l’inammissibilità delle modifiche e l’esclusione del
concorrente (sull’immodificabilità dell’offerta all’esito del procedimento
di verifica dell’anomalia v: TAR Lazio, Roma, sez. II, 05.03.2019 n. 2904;
TAR Sardegna, sez. I, 23.01.2019 n. 50; TAR Campania, Napoli, sez. V,
08.01.2018 n. 108). |
APPALTI: Decorrenza
del termine di impugnazione del
provvedimento di aggiudicazione.
Il TAR Milano, in
materia di decorrenza del termine di
impugnazione dell’aggiudicazione di un
appalto pubblico, precisa che:
- sul punto, il Tribunale condivide e ribadisce il consolidato
orientamento della giurisprudenza
amministrativa a mente del quale l’art. 76
del d.l.vo 2016 n. 50 –così come il
previgente art. 79 del d.lgs. 12.04.2006. n.
163, come novellato dal d.lgs. 20.03.2010,
n. 53– detta sicuramente una disciplina tesa
a garantire la piena conoscenza e la
certezza della data di conoscenza in
relazione agli atti di gara, segnatamente
esclusioni e aggiudicazioni, sicché sono
state previste forme puntuali di
comunicazione;
- tuttavia, l’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50 –così come il
previgente art. 79 del d.lgs. n. 163 del
2006- da un lato, non prevede le
forme di comunicazione come “esclusive” e
“tassative”, dall’altro, non incide
sulle regole processuali generali del
processo amministrativo, in tema di
decorrenza dei termini di impugnazione dalla
data di notificazione, di comunicazione o,
comunque, di piena conoscenza dell’atto;
- le norme citate conservano il principio per cui la piena
conoscenza dell’atto, al fine del decorso
del termine di impugnazione, può essere
acquisita con altre forme, ovviamente con
onere della prova a carico di chi eccepisce
la avvenuta piena conoscenza con forme
diverse da quelle di cui all’art. 76 cit.;
- parimenti, l’art. 120, comma 5, cpa, si riferisce
all’impugnazione di tutti gli atti delle
procedure di affidamento e fissa plurime
decorrenze dei termini, o dalla ricezione
della comunicazione di cui all’art. 76 del
codice dei contratti, o, per i bandi, dalla
pubblicazione, ovvero, in ogni altro caso,
dalla conoscenza dell’atto;
- l’espressione “in ogni altro caso” non va riferita ad “atti
diversi” da quelli delle procedure di
affidamento, e specificamente da quelli di
cui all’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50, ma va
riferita a “diverse forme” di conoscenza
dell’atto, ossia diverse dalle forme
previste dalla disciplina specifica del
codice dei contratti;
- così inteso, l’art. 120, comma 5, cpa, è coerente con la regola
generale dettata dal precedente art. 41,
comma 2, secondo cui il termine di
impugnazione del provvedimento
amministrativo decorre dalla notificazione,
dalla comunicazione o dalla piena conoscenza
dell’atto da impugnare;
- ne deriva che l’art. 120, comma 5, cpa non ha inteso fissare
forme tassative di comunicazione degli atti
di gara al fine della decorrenza del termine
di impugnazione, ma ha inteso ribadire la
regola generale secondo cui il termine di
impugnazione decorre o dalla comunicazione
nelle forme di legge, o comunque dalla piena
conoscenza dell’atto;
- quindi, se la comunicazione non avviene con le forme poste
dall’art. 76 del d.lgs 2016 n. 50, il
termine decorre dalla piena conoscenza
altrimenti acquisita
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.01.2020 n. 134 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
In particolare, va osservato che:
- l’art. 120, comma 5, cpa dispone che “salvo quanto previsto al
comma 6-bis, per l'impugnazione degli atti
di cui al presente articolo il ricorso,
principale o incidentale e i motivi
aggiunti, anche avverso atti diversi da
quelli già impugnati, devono essere proposti
nel termine di trenta giorni, decorrente,
per il ricorso principale e per i motivi
aggiunti, dalla ricezione della
comunicazione di cui all'articolo 79 del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, o,
per i bandi e gli avvisi con cui si indice
una gara, autonomamente lesivi, dalla
pubblicazione di cui all'articolo 66, comma
8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni
altro caso, dalla conoscenza dell'atto. Per
il ricorso incidentale la decorrenza del
termine è disciplinata dall'articolo 42”;
- nel caso di specie, la documentazione in atti evidenzia che: a)
dal giorno 03.10.2019 la ricorrente è stata
informata dell’esito della procedura,
dell’aggiudicazione e della graduatoria
definitiva mediante pec; b) in data
17.10.2019, alle ore 13.21, la ricorrente ha
ricevuto una comunicazione via pec dalla
piattaforma Sintel contenente, in allegato,
il verbale di gara comprensivo di tutte le
sedute compresa l’aggiudicazione definitiva
e l’avviso che lo stesso era esposto anche
sul profilo del committente; c) sempre in
data 17.10.2019 sono stati pubblicati, sul
sito del committente, i verbali di gara e la
determina di aggiudicazione n. 2110, datata
16.10.2019; d) l’istanza di accesso
presentata dalla ricorrente in data
07.10.2019 è stata accolta dall’Ente, sicché
dal 28.10.2019 la ricorrente ha avuto piena
e completa conoscenza di tutti gli atti e i
documenti inerenti la posizione
dell’aggiudicataria e la procedura di gara;
- nondimeno, il ricorso è stato notificato all’Ente Nazionale Risi
via PEC solo in data 30.12.2019;
- ne deriva che il ricorso è stato proposto dopo il decorso del
termine perentorio di 30 giorni decorrente
dalla piena conoscenza degli atti impugnati
ed è, pertanto, irricevibile, come eccepito
dall’amministrazione resistente;
- sul punto, il Tribunale condivide e ribadisce il
consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa
(cfr. Consiglio di Stato sez. VI,
13/12/2011, n. 6531; Consiglio di Stato,
sez. V, 14/05/2013, n. 2614; TAR
Puglia-Lecce, sez. II, 31/05/2017, n. 875;
Consiglio di Stato, sez. V, 02/09/2019, n.
6064; TAR Campania-Napoli, sez. I,
13/06/2019, n. 3225) a
mente del quale l’art. 76 del d.l.vo 2016 n.
50 –così come il previgente art. 79 del
d.lgs. 12.04.2006. n. 163, come novellato
dal d.lgs. 20.03.2010, n. 53– detta
sicuramente una disciplina tesa a garantire
la piena conoscenza e la certezza della data
di conoscenza in relazione agli atti di
gara, segnatamente esclusioni e
aggiudicazioni, sicché sono state previste
forme puntuali di comunicazione;
- tuttavia,
l’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50 –così come
il previgente art. 79 del d.lgs. n. 163 del
2006- da un lato, non prevede le
forme di comunicazione come “esclusive”
e “tassative”, dall’altro, non
incide sulle regole processuali generali del
processo amministrativo, in tema di
decorrenza dei termini di impugnazione dalla
data di notificazione, di comunicazione o,
comunque, di piena conoscenza dell’atto;
- le norme
citate conservano il principio per cui la
piena conoscenza dell’atto, al fine del
decorso del termine di impugnazione, può
essere acquisita con altre forme, ovviamente
con onere della prova a carico di chi
eccepisce la avvenuta piena conoscenza con
forme diverse da quelle di cui all’art. 76
cit.;
- parimenti,
l’art. 120, comma 5, cpa, si riferisce
all’impugnazione di tutti gli atti delle
procedure di affidamento e fissa plurime
decorrenze dei termini, o dalla ricezione
della comunicazione di cui all’art. 76 del
codice dei contratti, o, per i bandi, dalla
pubblicazione, ovvero, in ogni altro caso,
dalla conoscenza dell’atto;
- l’espressione “in ogni altro caso” non va riferita ad “atti
diversi” da quelli delle procedure di
affidamento, e specificamente da quelli di
cui all’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50, ma va
riferita a “diverse forme” di conoscenza
dell’atto, ossia diverse dalle forme
previste dalla disciplina specifica del
codice dei contratti;
- così inteso, l’art. 120, comma 5, cpa, è
coerente con la regola generale dettata dal
precedente art. 41, comma 2, secondo cui il
termine di impugnazione del provvedimento
amministrativo decorre dalla notificazione,
dalla comunicazione o dalla piena conoscenza
dell’atto da impugnare;
- ne deriva che l’art. 120, comma 5, cpa non ha
inteso fissare forme tassative di
comunicazione degli atti di gara al fine
della decorrenza del termine di
impugnazione, ma ha inteso ribadire la
regola generale secondo cui il termine di
impugnazione decorre o dalla comunicazione
nelle forme di legge, o comunque dalla piena
conoscenza dell’atto;
- quindi, se la comunicazione non avviene con le
forme poste dall’art. 76 del d.lgs. 2016 n.
50, il termine decorre dalla piena
conoscenza altrimenti acquisita;
- nel caso di specie, al di là
dell’effettuazione della comunicazione ex
art. 76 –fatto contestato dalla ricorrente–
resta fermo che, almeno dall’ostensione dei
documenti di gara, avvenuta in data
28.10.2019, la ricorrente ha avuto piena
conoscenza degli atti impugnati, con
conseguente decorso del termine perentorio
di 30 giorni per la loro impugnazione;
- le considerazioni ora espresse non sono superabili considerando
che l’art. 25 del disciplinare di gara
prevede che “Tutte le comunicazioni e
tutti gli scambi di informazioni tra l’Ente
e gli operatori economici si intendono
validamente ed efficacemente effettuati per
mezzo della funzionalità “Comunicazioni
procedura” nell’interfaccia “Dettaglio”;
- invero, la previsione del disciplinare individua come devono
essere effettuate le comunicazioni degli
atti della gara, ma non introduce una deroga
-peraltro neppure giuridicamente
configurabile in termini di legittimità–
alla disciplina processuale della decorrenza
del termine di impugnazione, che rimane
fissata dalle richiamate disposizioni del
codice del processo amministrativo;
- né la norma del disciplinare consente di configurare un errore
scusabile in capo alla ricorrente;
- invero, come riconosciuto pacificamente in giurisprudenza,
l’errore scusabile rappresenta un
istituto inteso a garantire l’effettività
della tutela giurisdizionale, suscettibile
di trovare applicazione sia quando siano
ravvisabili situazioni di obiettiva
incertezza normativa, connesse a difficoltà
interpretative o ad oscillazioni
giurisprudenziali, sia quando si sia di
fronte a comportamenti, indicazioni o
avvertenze fuorvianti provenienti dalla
medesima amministrazione, da cui possa
conseguire difficoltà nella domanda di
giustizia ed un’effettiva diminuzione della
tutela giustiziale
(così già Cons. Stato, IV, 22.05.2006, n.
3026; VI, 17.10.1988, n. 1140);
- si tratta di
un istituto di carattere eccezionale
(Cons. Stato, IV, 30.12.2008, n. 6599),
che delinea una deroga al principio
cardine della perentorietà dei termini di
impugnazione;
- l’art. 37 cpa non presenta elementi per una differente
conclusione, dal momento che
un uso eccessivamente ampio del
riconoscimento, lungi dal rafforzare
l’effettività della tutela giurisdizionale,
potrebbe risolversi in un vulnus del
principio di parità delle parti (art. 2,
comma 1, cpa), quanto al rispetto dei
termini perentori stabiliti dalla legge
processuale
(sul punto, Cons. Stato, Ad. plen.,
02.12.2010, n. 3); |
APPALTI SERVIZI: Verifica
aggiudicatario affidamento servizio assicurativo.
Domanda
Siamo un ente di piccole dimensioni, ed a breve dovremmo bandire una gara
per il servizio di assicurazione obbligatoria per i veicoli del comune.
Come verificare i requisiti di idoneità e di capacità economico-finanziaria
o tecnica-professionale previsti per la partecipazione ad una procedura come
quella che verrà indetta? È possibile utilizzare il requisito del minor
prezzo?
Risposta
Data la complessità della materia assicurativa si consiglia all’ente di
affidarsi ad un broker, per la valutazione e gestione dei rischi attinenti
alla specifica realtà comunale, per l’analisi delle polizze e
predisposizione di adeguati capitolati, per l’assistenza nella redazione
della documentazione di gara, sia con riferimento ai requisiti speciali da
richiedere agli operatori, che nella scelta dei criteri di aggiudicazione.
Servizio, tra l’altro, che non comporta oneri diretti per l’ente pubblico.
Passando nello specifico al quesito, per quanto riguarda la verifica dei
requisiti di idoneità, intesa quale abilitazione all’esercizio dell’attività
assicurativa relativa al ramo di rischio oggetto della procedura, è
possibile accedere al sito dell’IVASS, ed in particolare alla sezione
dedicata agli albi
www.ivass.it/operatori/imprese/albi/index.html.
In merito ai requisiti speciali di capacità economico e/o tecnica, sono
ritenuti di regola, quali elementi significativi nella selezione di un
qualificato operatore economico:
• una data quantificazione di una raccolta premi assicurativi
complessiva nel ramo “RC Autoveicoli” nel precedente triennio finanziario;
• l’esercizio, sempre nel precedente triennio finanziario, di
servizi assicurativi analoghi a quello oggetto della procedura (rischio
appunto RC Auto).
Per accertare la regolarità della dichiarazione resa in sede di gara con
riferimento all’ammontare della raccolta premi [1]
in alternativa alla richiesta all’operatore economico è possibile accedere
al sito di ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), e
prendere visione della pubblicazione “Premi
del lavoro diretto italiano”.
Il secondo requisito andrà verificato mediante acquisizione d’ufficio di
originale o copia conforme dei certificati rilasciati
dall’amministrazione/ente pubblico contraente, con l’indicazione del tipo di
polizza, effetto e scadenza della polizza e premio annuo lordo, o richiesta
all’operatore aggiudicatario di analoghi documenti nel caso di committente
privato.
Sulla scelta del criterio di aggiudicazione, si ritiene legittimo il minor
prezzo, sia per importi infra 40.000 che superiori, ai sensi dell’art. 36,
co. 9-bis, del codice, non rientrando, la prestazione in oggetto, tra quelle
fattispecie descritte nell’art. 95, co. 3, del d.lgs. 50/2016.
Preme sottolineare l’opportunità di non prevedere l’esclusione automatica
delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore
alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2 e ss. dell’art. 97,
del codice, stante l’interesse transfrontaliero che può presentare un
servizio assicurativo.
---------------
[1] La verifica va effettata per gruppo assicurativo di appartenenza
(22.01.2020 - tratto da e link a
www.publika.it). |
APPALTI: Obblighi
di pubblicità e trasparenza in materia di enti pubblici.
Domanda
L’articolo 22, del d.lgs. 33/2013, detta gli obblighi di pubblicità e
trasparenza che hanno, anche i comuni, in materia di enti pubblici
istituiti, vigilati o finanziati dall’amministrazione medesima.
I tre requisiti citati nella norma devono intendersi in modo cumulativo o
alternativo?
Risposta
Il decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, all’articolo 22, disciplina gli “Obblighi
di pubblicazione dei dati relativi agli enti pubblici vigilati, e agli enti
di diritto privato in controllo pubblico, nonché alle partecipazioni in
società di diritto privato".
L’Albero della Trasparenza – allegato “1” alla delibera ANAC n. 1310 del
28.12.2016 – prevede una specifica sottosezione di Livello 1, nel link
Amministrazione trasparente, denominata “Enti controllati”, dove
adempiere ai seguenti obblighi:
Comma 1
Tutti gli enti devono pubblicare, in formato tabellare aperto:
a) l’elenco degli enti pubblici, comunque denominati, istituiti,
vigilati o finanziati dall’amministrazione medesima, nonché di quelli per i
quali l’amministrazione abbia il potere di nomina degli amministratori
dell’ente, con l’elencazione delle funzioni attribuite e delle attività
svolte in favore dell’amministrazione o delle attività di servizio pubblico
affidate;
b) l’elenco delle società di cui detiene direttamente quote di
partecipazione anche minoritaria indicandone l’entità, con l’indicazione
delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore
dell’amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;
c) l’elenco degli enti di diritto privato, comunque denominati, in
controllo dell’amministrazione, con l’indicazione delle funzioni attribuite
e delle attività svolte in favore dell’amministrazione o delle attività di
servizio pubblico affidate. Ai fini delle presenti disposizioni sono enti di
diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti
a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti
costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste
riconosciuti, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di
nomina dei vertici o dei componenti degli organi;
d) una o più rappresentazioni grafiche che evidenziano i rapporti
tra l’amministrazione e gli enti;
d-bis) i provvedimenti in materia di costituzione di società a
partecipazione pubblica, acquisto di partecipazioni in società già
costituite, gestione delle partecipazioni pubbliche, alienazione di
partecipazioni sociali, quotazione di società a controllo pubblico in
mercati regolamentati e razionalizzazione periodica delle partecipazioni
pubbliche, previsti dal decreto legislativo adottato ai sensi dell’articolo
18 della legge 124/2015.
Comma 2
Per ciascuno degli enti di cui alle lettere da a) a c) del comma 1 sono
pubblicati i dati relativi a:
• ragione sociale;
• misura della eventuale partecipazione dell’amministrazione;
• durata dell’impegno;
• onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l’anno sul
bilancio dell’amministrazione;
• numero dei rappresentanti dell’amministrazione negli organi di
governo;
• trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante;
• risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi finanziari.
Devono essere pubblicati i dati relativi agli incarichi di amministratore
dell’ente e il relativo trattamento economico complessivo.
Comma 3
Nel sito dell’amministrazione deve essere inserito il collegamento (tramite
un apposito link) con i siti istituzionali dei soggetti di cui al comma 1.
Comma 4
Nel caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli enti
di cui al comma 1, è vietata l’erogazione in loro favore di somme a
qualsivoglia titolo da parte dell’amministrazione interessata, ad esclusione
dei pagamenti che le amministrazioni sono tenute ad erogare a fronte di
obbligazioni contrattuali per prestazioni svolte in loro favore da parte di
uno degli enti e società indicati nelle categorie di cui al comma 1, lettere
da a) a c).
Comma 6
Le disposizioni dell’articolo 22 non trovano applicazione nei confronti
delle società, partecipate da amministrazioni pubbliche, con azioni quotate
in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione europea, e
loro controllate.
Per gli enti che non provvedono alla pubblicazione dei dati su indicati o li
pubblicano incompleti, l’articolo 47, comma 2, del decreto prevede una
specifica sanzione amministrativa, a carico del responsabile della
pubblicazione consistente nella decurtazione dal 30 al 60 per cento
dell’indennità di risultato ovvero nella decurtazione dal 30 al 60 per cento
dell’indennità accessoria percepita dal responsabile della trasparenza. La
stessa sanzione si applica agli amministratori societari che non comunicano
ai soci pubblici il proprio incarico ed il relativo compenso entro trenta
giorni dal conferimento ovvero, per le indennità di risultato, entro trenta
giorni dal percepimento [1];
Delineato il quadro normativo complessivo in cui ci si muove, venendo alla
questione specifica evidenziata nell’istanza, si risponde al quesito,
specificando che i tre requisiti richiesti dall’art. 22, comma 1, lettera
a), del d.lgs. n. 33/2013, ossia enti pubblici, comunque denominati, “istituiti”,
“vigilati” e “finanziati” dalla amministrazione, sono da
intendersi come alternativi e non cumulativi fra di loro. Ad esempio, i
comuni dovranno provvedere alla pubblicazione dei dati relativi agli enti
pubblici da loro vigilati, anche se gli stessi non risultino finanziati
dalle amministrazioni [2].
Per ciò che concerne, invece, gli obblighi di pubblicità e trasparenza delle
società ed enti in controllo pubblico, occorre fare riferimento all’articolo
2-bis del d.lgs. 33/2013, nel testo introdotto dall’articolo 3, comma 2, del
d.lgs. 97/2016. Con tale disposizione è stato ridisegnato l’ambito
soggettivo di applicazione della disciplina sulla trasparenza, rispetto alla
precedente indicazione normativa, contenuta nell’abrogato articolo 11 del
d.lgs. 33/2013.
I destinatari degli obblighi di trasparenza sono ora ricondotti a tre
categorie di soggetti:
1) pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2 del d.lgs.
165/2000, ivi comprese le autorità portuali nonché le autorità
amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione,
destinatarie dirette della disciplina contenuta nel decreto (art. 2-bis, co.
1);
2) enti pubblici economici, ordini professionali, società in
controllo pubblico, associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato,
sottoposti alla medesima disciplina prevista per le P.A. «in quanto
compatibile» (art. 2-bis, co. 2);
3) società a partecipazione pubblica, associazioni, fondazioni ed
enti di diritto privato soggetti alla medesima disciplina in materia di
trasparenza prevista per le P.A. «in quanto compatibile» e «limitatamente
ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse
disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea» (art. 2-bis,
co. 3) [3].
---------------
[1] Comma così sostituito dall’articolo 1, comma 163, della 27.12.2019,
n. 160 (legge di stabilità 2020);
[2] Per ulteriori approfondimento: Linee guida ANAC, delib. n. 1310/2016,
Paragrafo 5.4; FAQ Trasparenza 10.1.
[3] Per gli obblighi di pubblicità e trasparenza delle società ed enti in
controllo pubblico si rinvia alla delib. ANAC n. 1134 dell’08/11/2017,
recante: Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di
prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli
enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche
amministrazioni e degli enti pubblici economici (21.01.2020 - tratto da e link a
www.publika.it). |
APPALTI:
APPALTI – Informativa antimafia – Soggetti legittimati alla
richiesta – Rapporti tra privati – Esclusione – Vuoto
normativo – Art. 83, c. 1, d.lgs. n. 159/2011.
L’art. 83, c. 1, del d.lgs. n. 159/2011
ha individuato i soggetti che devono acquisire la
documentazione antimafia di cui all’art. 84 prima di
stipulare, approvare o autorizzare i contratti e
subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture
pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i
provvedimenti indicati nel precedente art. 67.
Si tratta delle Pubbliche amministrazioni e degli enti
pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti,
gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente
pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo
Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di
lavori o di servizi pubblici. A tali soggetti si aggiungono,
in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali
previsti dal Codice dei contratti pubblici. Trattasi,
dunque, di soli soggetti pubblici.
Aggiungasi che tale documentazione può essere utilizzata
solo nei rapporti tra una Pubblica amministrazione ed il
privato e non, nei rapporti tra privati. Il vuoto normativo
non può certo essere colmato da un Protocollo della
legalità, stipulato tra il Ministero dell’interno e
Confindustria, trattandosi di un atto stipulato tra due
soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo,
estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo
l’Adunanza plenaria, addirittura “incapacitanti”), che la
legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui
il privato in odore di mafia contragga con una parte
pubblica.
(Nella specie, la richiesta di rilasciare una comunicazione
antimafia, rivolta alla Prefettura, era stata effettuata da
Confindustria, associazione privata, per la conclusione di
contratti di rilevanza solo privatistica, in alcun modo
connessi all’uso di poteri, procedimenti o risorse
pubbliche) (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 20.01.2019 n. 452 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: La
normativa vigente non consente l’utilizzo della documentazione antimafia nei
rapporti tra privati.
---------------
Informativa antimafia – Rapporti tra privati – Esclusione.
L’impresa colpita da interdittiva antimafia può
stipulare contratti con i privati, essendo i limiti introdotti dell’art. 89,
comma 2, d.lgs. 06.09.2011, n. 159 applicabili solo quando il privato entra
in rapporto con l’Amministrazione (1).
---------------
(1) In punto di fatto
nella specie l’informativa era stata resa a seguito di una richiesta di
informazioni proveniente da Confindustria Venezia, nell’ambito di un
Protocollo di legalità, per la conclusione di contratti di rilevanza
privatistica
La Sezione ha premesso che il comma 1 dell’art. 83, d.lgs. 06.09.2011, n.
159 ha individuato i soggetti che devono acquisire la documentazione
antimafia di cui all'art. 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i
contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici,
ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel
precedente art. 67. Si tratta delle Pubbliche amministrazioni e gli enti
pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le
aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese
comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i
concessionari di lavori o di servizi pubblici. A tali soggetti si
aggiungono, in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali previsti
dal Codice dei contratti pubblici.
Si tratta dunque di soggetti pubblici. Nel caso all’esame del Collegio,
invece, la richiesta alla Prefettura di comunicazione antimafia è stata
avanzata da Confindustria Venezia, quindi da un soggetto di indubbia natura
privata.
Quanto all’utilizzabilità dell’informativa nei rapporti tra privati la
Sezione ha chiarito che l’art. 89, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 ha
previsto il potere del Perfetto che interviene quando il privato entra in
rapporto con l’Amministrazione. Ed è la legge a conferire un siffatto potere
di verifica al Prefetto.
Diverso è invece il caso di rapporti tra privati, in relazione ai quali la
normativa antimafia nulla prevede.
Tale vuoto normativo non può certo essere colmato, nella specie, dal
Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra
il Ministero dell’interno e Confindustria. Si tratta, infatti, di un atto
stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto
terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo l'Adunanza
plenaria, addirittura "incapacitanti"), che la legge ha espressamente
voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga
con una parte pubblica.
Prova di tale voluntas legis è proprio nella modifica del comma 1
dell’art. 87, d.lgs. n. 159 del 2011 che, prima della novella introdotta
dall’art. 4, d.lgs. 15.11.2012, n. 218, prevedeva espressamente la
possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto
privato.
Ciò chiarito, la Sezione ha però rappresentato che il d.lgs. n. 218 del 2012
sembra aver aperto una breccia nella trama intessuta dal Codice delle leggi
antimafia, il cui complesso di norme mira ad isolare le imprese vicine agli
ambienti della criminalità organizzata, togliendo loro la linfa data dai
guadagni, con l’esclusione dal settore economico pubblico, in particolare
nella contrattualistica, e dai finanziamenti pubblici.
Occorre dunque interrogarsi –e nulla più che un interrogativo “aperto”
può provenire da questo Giudice– se per rafforzare il disegno del
Legislatore, con una sapiente disciplina antimafia che sta portando in modo
tangibile i suoi risultati - non possano, le Istituzioni a ciò preposte,
valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice Antimafia, nel
senso che l’informazione antimafia possa essere richiesta anche da un
soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati.
Soltanto un tale intervento potrebbe, in vicende come quella oggi in esame,
permettere l’applicabilità generalizzata della documentazione antimafia, che
non a caso questo Consiglio ritiene pietra angolare del sistema normativo
antimafia (Cons. St., sez. III, 05.09.2019, n. 6105), in presenza di una
serie di elementi sintomatici dai quali evincere l’influenza, anche
indiretta (art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011), delle organizzazioni
mafiose sull’attività di impresa, nella duplice veste della c.d. contiguità
soggiacente o della c.d. contiguità compiacente. In tal modo si riuscirebbe
–chiudendo gli spazi che oggi esistono– da un lato ad emarginare
completamente tali soggetti rendendoli vulnerabili nel loro effettivo punto
di forza e, dall’altro, lasciare il mercato economico agli operatori
che svolgono l’attività affidandosi esclusivamente al proprio lavoro nel
rispetto delle regole.
L’interrogativo che la Sezione ha posto si fonda sulla considerazione che le
condotte infiltrative mafiose nel tessuto economico non solo sono un
pericolo per la sicurezza pubblica e per l’economia legale, ma anzitutto e
soprattutto un attentato al valore personalistico (art. 2 Cost.) e, cioè,
quel “fondamentale principio che pone al vertice dell’ordinamento la
dignità e il valore della persona” (v., per tutte, Corte cost.
07.12.2017, n. 258), anche in ambito economico, e rinnegato in radice dalla
mafia, che ne fa invece un valore negoziabile nel “patto di affari”
stipulato con l’impresa, nel nome di un comune o convergente interesse
economico, a danno dello Stato.
E, su questo terreno, non vi è dubbio che il devastante impatto della
infiltrazione mafiosa si manifesta nei rapporti tra privati come in quelli
tra privati e P.A.. Sempre, infatti, chi contratta e collabora con la mafia,
per convenienza o connivenza, non è soggetto, ma solo oggetto di
contrattazione (Cons. St., sez. III, 30.01.2019, n. 758).
Se un vero e più profondo fondamento, allora, si vuole generalmente
rinvenire nella legislazione antimafia e, particolarmente, nell’istituto
dell’informazione antimafia, esso davvero riposa, come accennato, nella
dignità della persona, principio supremo del nostro ordinamento, il quale –e
non a caso– opera come limite alla stessa attività di impresa, ai sensi
dell’art. 41, comma 2, Cost., laddove la disposizione costituzionale prevede
che l’iniziativa economica privata, libera, “non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o –secondo un clima assiologico di tipo
ascendente– in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana”.
L’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco,
la libertà di impresa, da un lato, e, dall’altro, la tutela dei fondamentali
beni che presidiano il principio di legalità sostanziale, secondo la logica
della prevenzione, potrebbe allora essere valutata dal Legislatore allo
scopo di restituire compiutezza piena ad un aspetto del Codice su cui certo
non può intervenire il Giudice in via interpretativa
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 20.01.2020 n. 452 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Sul
giudizio di congruità dell’offerta con riferimento alle concessioni di
servizi.
Con la pronuncia in esame i Giudici hanno chiarito
che non vi è motivo di scrutinare l’anomalia dell’offerta se l’affidamento
di un servizio rientra nella fattispecie della concessione.
Come noto, la
concessione di servizi presuppone che il compenso di cui beneficia
l’aggiudicatario deriva direttamente dall’utenza che fruisce del servizio ed
il rischio economico connesso alla gestione e alle spese non ricade
sull’amministrazione, alla quale è comunque riconosciuto il canone.
Diversamente da quanto accade per gli appalti di servizi, ove la prestazione
è resa in favore dell’amministrazione.
Pertanto, nell’ambito di una concessione di servizi non comporta un giudizio
necessitato di anomalia dell’offerta, lo scostamento del costo della
manodopera da quello indicato dalle tabelle ministeriali, costituendo detti
valori un mero parametro di riferimento, frutto di valutazioni ed analisi
aziendali, in grado di giustificare –fermo restando il necessario rispetto
dei minimi salariali retributivi– la sostenibilità di costi inferiori
(commento tratta da www.aoerre.com -
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 20.01.2020 n. 45 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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3. La seconda doglianza afferisce alla ritenuta insostenibilità
dell’offerta dell’aggiudicataria, che avrebbe esposto costi di personale
eccessivamente ridotti rispetto a quelli delle tabelle ministeriali di
riferimento, incongruamente giustificandoli nel corso del sub-procedimento
di verifica dell’anomalia con la sussistenza di entrate idonee a coprire
eventuali voci aggiuntive non considerate.
3.1. Va precisato al riguardo, in via preliminare, che non ha pregio
l’argomento formulato dalla resistente ASST, secondo cui la concessione in
esame andrebbe qualificata come concessione di beni e non come concessione
di servizi, argomento da cui l’amministrazione inferisce l’estraneità alla
disciplina del codice appalti e, in particolare, l’inapplicabilità delle
disposizioni relative alla verifica dell’anomalia dell’offerta.
3.1.1. Il contratto di cui è questione, che per espressa qualificazione del
capitolato tecnico ha ad oggetto il “servizio di gestione bar,
somministrazione di alimenti e bevande, la vendita di alimenti (…) la
rivendita di giornali, quotidiani”, è specificamente e dettagliatamente
normato dalla lex specialis con la previsione di precisi e specifici
obblighi posti in capo al concessionario, al fine di conformarne l’attività
a precise regole di efficienza, continuità e qualità, che travalicano la
mera gestione del bene pubblico e connotano il rapporto in termini di
servizio.
3.1.2. A conferma di detta ricostruzione va evidenziato come “ormai la
giurisprudenza (sia quella amministrativa sia quella della Corte di
cassazione) abbia pacificamente qualificato come concessione di servizi il
rapporto con cui una p.a. affida ad un privato la gestione di un servizio
bar e ristorazione all’interno di un complesso immobiliare di proprietà
demaniale. Su tale piano è stato, infatti, ormai chiarito, con principi
validi anche per la vicenda per cui è causa, che, ad esempio, «va
qualificato come concessione di servizi il rapporto con cui è stato affidato
da una Azienda sanitaria ad un privato la gestione di un servizio bar e
ristorazione all'interno di un complesso ospedaliero, in quanto sussistono
entrambi i requisiti contenutistici: il servizio di gestione del bar interno
è reso ad un pubblico di utenti del presidio ospedaliero, ed il rischio di
gestione del servizio ricade sull'aggiudicatario, che non è dunque
remunerato dall'Amministrazione, ma si rifà sugli utenti. Né può indurre ad
una diversa soluzione la circostanza che, in correlazione anche con
l'affidamento in uso di locali dell'Azienda ospedaliera, sia previsto dal
bando di gara il versamento, da parte del concessionario, di un canone
annuo, come pure l'obbligo dello stesso di svolgere i lavori di
predisposizione e di adeguamento funzionale dei locali. Poiché l'attività
economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni
collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale
costituisce un pubblico servizio, nel caso di specie vista la natura mista
del rapporto risultavano applicabili alla procedura per l'affidamento le
regole della concessione di servizi ovvero di altro modulo procedimentale
che tenesse nella debita considerazione, sul piano dinamico, lo svolgimento
dell’attività» (cfr., ex aliis, TAR Molise, n. 26 del 2010)” (TAR Emilia
Romagna, Bologna, sez. II, 10.01.2018, n. 18)
3.2. Va riconosciuto, comunque, che il rispetto della disciplina relativa al
giudizio di congruità dell’offerta deve essere nella specie scrutinato
tenendo in considerazione le differenze strutturali sussistenti tra
concessione e appalto; diversamente da quanto accade per gli appalti di
servizi, ove la prestazione è resa in favore dell’amministrazione, per le
concessioni il compenso di cui beneficia l’aggiudicatario deriva
direttamente dall’utenza che fruisce del servizio ed il rischio economico
connesso alla gestione e all’eventuale stima in difetto delle voci di spesa
non ricade sull’amministrazione, alla quale è comunque riconosciuto il
canone.
3.3. Tanto premesso, per orientamento giurisprudenziale consolidato il
sub-procedimento di anomalia dell’offerta è finalizzato a verificare, anche
attraverso il contraddittorio con il concorrente interessato, la complessiva
serietà, attendibilità e sostenibilità della sua offerta e non mira a
ricercarne specifiche e singole inesattezze. Il giudizio finale ha carattere
tecnico-discrezionale ed è sindacabile in sede giurisdizionale limitatamente
ai casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza o
travisamento dei fatti emersi nell’istruttoria, non potendo il vaglio sul
corretto esercizio del potere sfociare in una nuova valutazione dell’offerta
o di sue singole voci da parte del giudice amministrativo (ex multis,
Cons. Stato, sez. V, 22.10.2018, n. 2603).
Peraltro lo scostamento del costo della manodopera da quello indicato dalle
tabelle ministeriali di cui all’articolo 23, comma 16, del d.lgs. 50/2016
non comporta un giudizio necessitato di anomalia e inadeguatezza
dell’offerta, costituendo detti valori un mero parametro di riferimento, da
cui è possibile discostarsi in relazione a valutazioni statistiche ed
analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di
giustificare la sostenibilità di costi inferiori, fermo restando il
necessario rispetto dei minimi salariali retributivi.
3.4. La stazione appaltante, nel caso di specie, ha attivato un ampio
contraddittorio con Fa. s.r.l.s., chiedendo per ben tre volte chiarimenti
sulle voci esposte e, all’esito del sub-procedimento, ha ritenuto esaustive
le sue giustificazioni, valutando l’offerta congrua. |
APPALTI:
Informazioni sulle procedure in formato tabellare anno 2020.
Domanda
Sono correttamente adempiute le disposizioni di cui all’art. 1, co. 32,
legge 190/2012 qualora si proceda all’elaborazione nel solo mese di gennaio
della tabella riassuntiva in formato digitale aperto relativamente agli
appalti affidati nell’anno precedente?
Risposta
Si ritiene sia parzialmente adempiuta la disposizione richiamata nel
quesito. Per avere un quadro completo degli adempimenti occorre richiamare
oltre all’art. 1, co. 32, della legge 190/2012 [1],
l’art. 37, co. 1, lett. a), del d.lgs. 33/2013, la Delibera ANAC n. 39 del
20.01.2016 [2],
nonché la Delibera ANAC n. 1310 del 2016 completa di allegati
[3].
L’art. 3 della sopra citata delibera ANAC 39/2016 prevede la pubblicazione e
l’aggiornamento tempestivo sul proprio sito web istituzionale, nella sezione
“Amministrazione trasparente”, sotto-sezione di primo livello “Bandi
di gara e contratti”, delle informazioni indicate nell’art. 1, co. 32,
legge 190/2012, come elencate nella nota a pie di pagina, relative ai
procedimenti di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture
e servizi, a cui deve associarsi ovviamente il codice CIG di riferimento.
Tali informazioni devono essere riportate in formato tabellare (allegato
alla Delibera ANAC n. 1310/2016).
Il comma due del sopra citato art. 3 stabilisce che entro il 31 gennaio di
ogni anno le Amministrazioni pubblicano in tabelle riassuntive rese
liberamente scaricabili in formato digitale standard aperto, le informazioni
di cui al comma precedente, riferite:
• alle procedure avviate nel corso dell’anno precedente, anche se
in pendenza di aggiudicazione (ad esempio anno 2019). In quest’ultimo caso
verranno riportate le informazioni minime essenziali, quali CIG, struttura
proponente, oggetto del bando e procedura di scelta del contraente. Nelle
successive annualità si procederà all’aggiornamento e integrazione dei dati
mancanti;
• alle procedure in corso di esecuzione nel periodo preso in
considerazione (ad esempio procedure bandite in anni precedenti ma in corso
di esecuzione nell’anno 2019);
• alle procedure i cui contratti nel periodo annuale di riferimento
hanno subito modifiche e/o aggiornamenti (ad esempio i pagamenti effettuati
nell’anno 2019 relativi a contratti derivanti da gare bandite in anni
precedenti).
Nella prassi amministrativa di molti enti, compatibilmente con gli strumenti
informatici a disposizione, si procede alla pubblicazione nella sezione
Amministrazione trasparente di due distinte tabelle. Una prima che riguarda
i dati di cui all’art. 3, co. 1, relativa ai CIG staccati nell’anno di
riferimento, ed una seconda, da trasmettersi ad ANAC, nella quale sono
indicati i CIG presi nell’anno oggetto di comunicazione, nonché riproposti
quelli relativi ai contratti derivanti da gare bandite in anni precedenti ma
in corso di esecuzione, oppure riferiti a contratti modificati o aggiornati
nell’anno di interesse.
Per quanto riguarda la scadenza del 31.01.2020 e alle modalità di
trasmissione del file relativo alle informazioni del 2019, si rinvia alle
nuove modalità pubblicate sul sito dell’ANAC al
seguente link.
---------------
[1] Con riferimento ai procedimenti di cui al comma 16, lettera b), del
presente articolo, le stazioni appaltanti sono in ogni caso tenute a
pubblicare nei propri siti web istituzionali: la struttura proponente;
l’oggetto del bando; l’elenco degli operatori invitati a presentare offerte;
l’aggiudicatario; l’importo di aggiudicazione; i tempi di completamento
dell’opera, servizio o fornitura; l’importo delle somme liquidate. Le
stazioni appaltanti sono tenute altresì a trasmettere le predette
informazioni ogni semestre alla commissione di cui al comma 2. Entro il 31
gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all’anno precedente,
sono pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un
formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare,
anche a fini statistici, i dati informatici. Le amministrazioni trasmettono
in formato digitale tali informazioni all’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che le pubblica nel
proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i
cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per
regione.
[2]
pagina web linkata
[3]
pagina web linkata (15.01.2020 - tratto da e link a
www.publika.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Richiesta di fatturato e obbligo di motivazione.
Domanda
Nel programma biennale delle forniture e servizi, la nostra stazione
appaltante ha previsto l’avvio di una serie di servizi nell’annualità 2020.
I RUP stanno predisponendo gli atti di gara ed in assenza di specifiche
indicazioni ci si interroga sul fatturato che può essere richiesto agli
appaltatori. E’ possibile avere una generale ricognizione in merito?
Risposta
In tema di richiesta di un fatturato specifico (al fine della dimostrazione
dei requisiti di affidabilità economica e finanziaria) dispone il comma 4
dell’articolo 83 del codice dei contratti, nel caso di specie la lettera a)
in cui si prevede che le stazioni appaltanti, nel bando di gara, possono
richiedere che “gli operatori economici abbiano un fatturato minimo
annuo, compreso un determinato fatturato minimo nel settore di attività
oggetto dell’appalto”.
La disciplina sul tema è completata dal successivo quinto comma in cui
–primo periodo (limitando l’analisi)- chiarisce che “Il fatturato minimo
annuo (…) non può comunque superare il doppio del valore stimato
dell’appalto, calcolato in relazione al periodo di riferimento dello stesso,
salvo in circostanze adeguatamente motivate relative ai rischi specifici
connessi alla natura dei servizi e forniture, oggetto di affidamento. La
stazione appaltante, ove richieda un fatturato minimo annuo, ne indica le
ragioni nei documenti di gara”.
Dalla disposizione ultima riportata emerge che sul RUP grava un doppio onere
motivazionale, il primo nel caso in cui venga indicato un fatturato minimo
annuo, il secondo –ben più intenso– nel caso in cui il fatturato richiesto
superi il doppio del valore stimato dell’appalto.
Alla luce di quanto, il primo suggerimento, ovvio, è che si rispettino le
indicazioni cogenti del dettato normativo e che il fatturato richiesto non
superi mai il doppio del valore dell’appalto salvo che insistano
oggettivamente motivazioni specifiche. Ciò appare ovvio perché, francamente,
appare anche difficile trovare motivazioni –che, si ripete, devono essere
esplicitate nel bando di gara– che giustifichino la richiesta di un
fatturato “eccessivo”.
In tema si può anche richiamare il recente intervento dell’ANAC espresso con
il parere n. 1046/2019.
Anche l’autorità anticorruzione ribadisce che in base al chiaro dettato
normativo, pur vero che le stazioni appaltanti “possono richiedere, a
dimostrazione della solidità economico-finanziaria degli operatori, un
importo di fatturato minimo annuo e di fatturato minimo specifico non
superiore al doppio dell’importo posto a base di gara” ma “va
sottolineato”, prosegue la deliberazione “che, in ogni caso, detta
richiesta deve essere sempre accompagnata da una specifica motivazione”.
Inoltre “nell’ipotesi in cui l’importo richiesto superi il doppio
dell’importo posto a base di gara", come previsto dalla norma e chiarito
dal Consiglio di Stato, è necessario che siano fornite “motivazioni
relative a rischi specifici connessi alla natura dei servizi e forniture,
oggetto di affidamento” (Cons. Stat., sez. III, 19.01.2018, n. 357).
Nel caso trattato dall’autorità anticorruzione dette motivazioni erano del
tutto generiche e sono apparse limitative della libera concorrenza,
pertanto, nel parere il procedimento avviato dalla stazione appaltante è
stato considerato non conforme al dettato normativo.
A nulla, tra l’altro, è valso il richiamo –da parte della stazione
appaltante interessata– che il fatturato richiesto facesse riferimento non a
servizi identici ma a servizi analoghi (a dimostrare la volontà di non
limitare la concorrenza). Queste “aperture” non esonerano il RUP dal
chiarire, fin dall’avvio della procedura, la motivazione che induce a
richiedere un fatturato superiore al doppio rispetto al valore della base
d’asta (08.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it). |
APPALTI: Sulla legittimazione a ricorrere del terzo classificato e sull’anomalia
dell’offerta.
Con la pronuncia in esame i giudici di Palazzo Spada hanno
ribadito che, al fine della legittimazione a ricorrere per l’impresa terza
classificata in graduatoria, sussiste in capo a quest’ultima la necessità di
dimostrare l’illegittimità della posizione assunta da parte di tutti i
concorrenti che la precedono in graduatoria.
Per l’effetto –secondo il
Supremo Consesso– è da ritenersi viziata la sentenza di primo grado, nel
punto in cui, pur ritenendo inammissibili e in parte infondati i motivi
diretti a contestare la posizione del secondo in graduatoria, aveva
scrutinato i motivi tesi a contestare l’aggiudicazione della gara al primo
classificato.
...
Sotto altro profilo il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il ricorso
al lavoro supplementare (e straordinario) da parte dell’impresa
aggiudicataria per giustificare il (minor) costo del lavoro dichiarato nel
subprocedimento di verifica dell’anomalia, precisando che la natura
volontaria del lavoro supplementare (così come di quello straordinario) non
può di per sé rendere l’offerta inattendibile, sempre che il ricorso al
lavoro supplementare (e straordinario) sia contenuto in una percentuale
limitata (commento tratto da www.aoerre.com
- Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.01.2020 n. 83 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
---------------
1.1.2. In termini generali, secondo la condivisibile giurisprudenza di
questo Consiglio di Stato, la terza classificata “può efficacemente
coltivare, attraverso il giudizio, l’utilità dell’aggiudicazione solo in
quanto dimostri l’illegittimità del posizionamento delle due imprese che
l’hanno preceduta in graduatoria”, salva la piena ammissibilità delle
censure “che tendono ad invalidare l’intera procedura, poiché, attraverso
di esse, è coltivato un interesse diverso da quello all’aggiudicazione, sub
specie strumentale alla riedizione dell’intera gara” (Cons. Stato, III,
02.03.2017, n. 972).
Il principio costituisce espressione di quello più generale dell’interesse
ad agire, indefettibile condizione dell’azione che nel processo
amministrativo si collega alla “lesione della posizione giuridica del
soggetto” e sussiste qualora “sia individuabile un’utilità della
quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento” (Cons.
Stato, II, 20.06.2019, n. 4233).
L’interesse a ricorrere è individuato in particolare nel vantaggio che il
ricorrente può conseguire per effetto dell’accoglimento del ricorso, e
consiste nella “concreta possibilità di perseguire un bene della vita,
anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in
corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto”
(Cons. Stato, II, 24.06.2019, n. 4305; IV, 01.03.2017, n. 934; 23.08.2016,
n. 3672; VI, 21.03.2016, n. 1156; IV, 20.08.2015, n. 3952).
Alla luce di tali principi il ricorso avverso il provvedimento
d’aggiudicazione non solo è inammissibile in radice se non contiene
doglianze dirette nei confronti di tutti gli operatori collocati in
graduatoria in posizione migliore del ricorrente, ma neppure può trovare
accoglimento nel caso di rigetto di tutte le censure avverso uno di tali
controinteressati, la cui posizione poziore si consoliderebbe
pregiudicando di per sé la possibilità del ricorrente di ottenere il bene
della vita perseguito.
...
In forza dei medesimi principi su indicati relativi alla necessaria censura,
a fini di ammissibilità del ricorso avverso l’aggiudicazione, della
posizione di tutte le imprese meglio graduate del ricorrente la
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha infatti chiarito come fra
tali censure possano ben esservi anche quelle relative alla ritenuta
anomalia dell’offerta della controinteressata non aggiudicataria (nel caso
di specie, il Rti capeggiato da Ra.), scrutinabili in termini di massima
proprio al fine di saggiare l’interesse a ricorrere.
In tale prospettiva “la collocazione al terzo posto in graduatoria non
comporta di per sé -con carattere di automatismo- il difetto di
legittimazione del concorrente terzo graduato ad introdurre contestazione
sulle scelte operate dalla stazione appaltante in ordine all’opportunità di
procedere o meno all’esame discrezionale di una supposta anomalia
dell’offerta dei concorrenti collocati in posizione potiore, in presenza di
evidenti e conclamati profili di eccesso di potere che inficino la fase di
cognizione ed esame dell’offerta del secondo graduato, la cui possibile
estromissione di gara consentirebbe lo scorrimento in posizione utile per
poter aspirare all’aggiudicazione” (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 8 del
2014).
Anzi, la mancata prospettazione di una siffatta doglianza nei confronti
della seconda classificata “al fine di dimostrarne, nel contraddittorio
della parte ed in modo definitivo, l’inaffidabilità e/o contrarietà
[dell’offerta]con le vigenti norme di legge” determina, in difetto di
altri rilevanti profili d’illegittimità fatti valere, l’inammissibilità del
ricorso avverso l’aggiudicazione (Cons. Stato, V, 25.06.2018, n. 3921).
...
In proposito la condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha
ritenuto che la sola natura volontaria del lavoro straordinario (così come
di quello supplementare) non vale di per sé a incidere sull’offerta o “intaccare
la significatività dell’impegno giuridico assunto dall’impresa nei confronti
del committente”, afferendo piuttosto il possibile rifiuto del
prestatore di lavoro “ai rapporti interni fra datore e lavoratore”;
tutto ciò sempre che “il ricorso al lavoro supplementare (e
straordinario) sia contenuto in una percentuale limitata” (Cons. Stato,
VI, 30.05.2018, n. 3244).
Dal che consegue che il richiamo al lavoro straordinario non va ritenuto
aprioristicamente precluso a fini di giustificativi della sostenibilità
dell’offerta, potendo esso effettivamente rientrare fra gli elementi di
possibile organizzazione dell’impresa (cfr. Cons. Stato, III, 14.11.2018, n.
6430; v. anche Id., 18.01.2018, n. 324).
In relazione al settore della vigilanza privata, inoltre, l’art. 2, comma 3,
d.lgs. n. 66 del 2003 esclude la diretta applicazione delle disposizioni «concernenti
taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro» contenute nel
medesimo decreto, fra cui quelle in materia di straordinario.
Dal che non deriva peraltro, in senso opposto, la libera e incondizionata
applicazione del lavoro straordinario, tanto meno a fini di giustificazione
della sostenibilità economica dell’offerta, atteso che permane pur sempre
l’intrinseca diversità del lavoro straordinario rispetto a quello ordinario,
così come l’applicazione del necessario canone della ragionevolezza nel
ricorso allo straordinario al fine di contemperare le esigenze aziendali con
l’irrinunciabile preservazione dell’integrità psicofisica dei lavoratori (cfr.
Cons. Stato, III, 04.01.2019, n. 90, in cui s’è esclusa la legittimità del
ricorso al lavoro straordinario in un caso in cui le ore complessivamente
previste superavano l’ammontare teorico indicato dalle tabelle ministeriali
e il tetto previsto dalla contrattazione collettiva).
Alla luce di ciò, facendo applicazione nel caso in esame dei principi su
indicati, deve ritenersi che l’impiego delle ore di straordinario
complessivamente richiamate dalla Ra. -qui rilevanti ai fini del vaglio di
anomalia della relativa offerta, a sua volta funzionale allo scrutinio
dell’interesse del Consorzio all’annullamento dell’aggiudicazione- possa
essere complessivamente considerato ancora non incongruo od illegittimo.
La Ra. ha indicato a giustificativo dell’offerta un numero annuo di ore
medie lavorate pari a 1804, comprensivo di n. 226 ore di straordinario.
Il che, tenuto conto della particolarità del settore -resa evidente dalle
previsioni del ccnl e dall’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 66 del 2003 su
richiamati- e del rispetto in specie dei limiti massimi di straordinario
stabiliti dal ccnl e del monte ore teoriche previste dalla competente
tabella ministeriale (pari a n. 2128 ore annue) consente di ritenere ancora
contenuto entro limiti di congruità e legittimità il siffatto richiamo alle
ore di straordinario, riconducibile perciò ad una (non di per sé
illegittima) scelta di organizzazione aziendale, così come peraltro ritenuto
dall’amministrazione in relazione alle consimili previsioni contenute
nell’offerta di Issv (cfr. in proposito la relazione del Rup, in atti; in
senso parzialmente diverso, cfr. Cons. Stato, VI, 03.12.2018, n. 6838).
...
In base a un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, non
può essere dichiarato il carattere anomalo di un’offerta per il solo fatto
che il costo del lavoro, nelle varie voci, sia stato indicato secondo valori
inferiori rispetto a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali, i quali
-pur assumendo un rilievo ai fini del giudizio di anomalia- non hanno di per
sé stessi un carattere dirimente, né rappresentano parametri insuperabili.
In particolare, le tabelle ministeriali recanti il costo della manodopera
espongono dati non inderogabili, assolvendo a una funzione di parametro di
riferimento, in quanto recanti indicazione di valori di “costo medio
orario” (in specie “per il personale dipendente da istituti ed
imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari”: cfr. la tabella
prodotta dallo stesso Consorzio, sub doc. 7).
Per questo lo scostamento dalle tabelle ministeriali può rilevare se e nella
misura in cui si dimostri considerevole e ingiustificato (inter multis,
cfr. Cons. Stato, V, 21.10.2019, n. 7135; 28.01.2019, n. 690; 12.09.2018, n.
5332; 18.12.2017, n. 5939; III, 29.08.2018, n. 5084)
Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 07.01.2020 n. 83 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI: Il
condivisibile orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato
ritiene,
- da un lato, che la legittima composizione della
commissione presupponga solo la prevalente, seppure non esclusiva, presenza
di membri esperti del settore oggetto dell’appalto;
- dall’altro che il requisito enunciato debba essere inteso
in modo coerente con la poliedricità delle competenze richieste in relazione
alla complessiva prestazione da affidare, considerando anche, secondo un
approccio di natura sistematica e contestualizzata, le professionalità
occorrenti a valutare sia le esigenze dell’amministrazione sia i concreti
aspetti gestionali ed organizzativi sui quali i criteri valutativi siano
destinati ad incidere.
Non è in proposito necessario che l’esperienza professionale di ciascun
componente copra tutti gli aspetti oggetto della gara, potendosi le
professionalità dei vari membri integrare reciprocamente, in modo da
completare ed arricchire il patrimonio di cognizioni della commissione,
purché idoneo, nel suo insieme, ad esprimere le necessarie valutazioni di
natura complessa, composita ed eterogenea.
---------------
10.1.2. Alla luce di ciò le
qualifiche e i profili professionali dei componenti della commissione
giudicatrice risultano complessivamente esenti dalle censure formulate
dall’appellante, e ben coerenti -pur alla luce della complessità
dell’oggetto dell’affidamento- con la previsione di cui all’art. 77 d.lgs.
n. 50 del 2016 secondo cui, in caso di gara da aggiudicarsi secondo il
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione delle
offerte è rimessa a commissari «esperti nello specifico settore cui
afferisce l’oggetto del contratto» (nello stesso senso, cfr. già l’art.
84, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006).
In proposito il condivisibile orientamento giurisprudenziale di questo
Consiglio di Stato ritiene, da un lato, che la legittima composizione
della commissione presupponga solo la prevalente, seppure non esclusiva,
presenza di membri esperti del settore oggetto dell’appalto (Cons. Stato, V,
11.07.2017, n. 3400); dall’altro che il requisito enunciato debba
essere inteso in modo coerente con la poliedricità delle competenze
richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare,
considerando anche, secondo un approccio di natura sistematica e
contestualizzata, le professionalità occorrenti a valutare sia le esigenze
dell’amministrazione sia i concreti aspetti gestionali ed organizzativi sui
quali i criteri valutativi siano destinati ad incidere. Non è in proposito
necessario che l’esperienza professionale di ciascun componente copra tutti
gli aspetti oggetto della gara, potendosi le professionalità dei vari membri
integrare reciprocamente, in modo da completare ed arricchire il patrimonio
di cognizioni della commissione, purché idoneo, nel suo insieme, ad
esprimere le necessarie valutazioni di natura complessa, composita ed
eterogenea (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, 17.06.2019, n. 4050;
18.06.2018, n. 3721; 15.01.2018, n. 181; 08.04.2014, n. 1648; VI,
10.06.2013, n. 3203; III, 17.12.2015, n. 5706; 09.01.2017, n. 31)
Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 07.01.2020 n. 83 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI:
1.- Processo amministrativo – ordine di trattazione dei ricorsi cd.
escludenti – orientamenti espressi dalla Corte UE – necessario esame di
entrambi i ricorsi – si impone.
2.- Processo amministrativo – rito appalti – abrogazione del cd
rito super accelerato – conseguenze.
3.- Appalti pubblici – requisiti - requisito del fatturato
specifico – ricomprensione nel novero di quelli economico finanziari – va
affermata.
4.- Appalti pubblici – avvalimento – caratteristiche generali.
5.- Appalti pubblici – avvalimento – nullità – limiti.
6.- Appalti pubblici – avvalimento – causa – tipicità – sussiste.
1. In base alla più recente
giurisprudenza della Corte di Giustizia il ricorso principale non può essere
dichiarato irricevibile in applicazione di prassi giudiziarie nazionali in
tema di ricorsi cd escludenti e va esaminato in ogni caso, quale che sia il
numero di partecipanti e/o di ricorrenti.
Se ne deve dedurre che per la Corte di Giustizia vada predicato il massimo
rilievo all’interesse strumentale alla riedizione della gara: pertanto non
può interpretarsi la sentenza Fastweb come una mera deroga, in presenza di
specifici presupposti, al generale principio di ordine di esame sancito
dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che aveva continuato a dare
priorità al ricorso incidentale escludente.
Ne consegue che, in applicazione di tali principi, ove si presentano due
ricorsi reciprocamente escludenti, pur in presenza di più offerenti, che non
hanno tutti partecipato al presente giudizio (anche se alcuni hanno proposto
separata impugnativa) è doveroso l’ esame di entrambi i ricorsi.
2. Va processualmente preso atto che è mutato il quadro normativo
di riferimento a seguito dell’avvenuta abrogazione del cosiddetto rito super
accelerato di cui all’articolo 120, comma 2-bis cpa, con effetto a partire
dal 19.04.2019, secondo il disposto del D.L: n. 32 del 2019, convertito in
legge numero 55 del 14.06.2019.
In particolare il legislatore, eliminando l’onere di immediata impugnazione
delle ammissioni di altre imprese concorrenti alla gara, ha assunto quale
riferimento temporale non già la pubblicazione del bando di gara o la
spedizione dell’invito(secondo i consueti criteri adottati allo scopo nella
materia, che guardano al momento dell’avvio della procedura di affidamento)
bensì l’inizio del processo.
Pertanto, per processi “iniziati dopo la data di entrata in vigore del
decreto” devono intendersi, nell’ottica di chi agisce in giudizio ovvero di
chi lo ha “iniziato”, quelli in cui il ricorso introduttivo venga notificato
dopo il 19 aprile 2019 , fattispecie in cui rientra il presente giudizio.
Conseguentemente le censure relative all’ammissione alla gara dei
concorrenti per carenza di requisiti soggettivi ovvero economico finanziari
e tecnico professionali ,vanno attivate nelle forme ordinarie, e per quanto
riguarda la reazione dell’aggiudicataria, nelle forme del ricorso
incidentale, ai sensi dell’articolo 42 CPA, che prevede il termine di 60
giorni (nella specie dimezzato in virtù del rito appalti ) dalla notifica
del ricorso principale.
Invero l’impugnazione delle ammissioni di altre ditte, in virtù della
disposizione abrogante, ritorna a dover essere posticipata al momento
dell’aggiudicazione definitiva ovvero a quello in cui (per la prima volta)
l’interesse a ricorrere da parte del concorrente, insoddisfatto dall’esito
della gara, diventa concreto ed attuale - nella specie - la notifica del
ricorso principale da parte della seconda graduata.
3. Benché sia stata particolarmente controversa in giurisprudenza
la questione se il requisito relativo al fatturato specifico sia inerente
alla capacità economico finanziaria, ovvero a quella tecnico operativa, la
disposizione di cui all’articolo 83 comma 4 lettera a) del decreto
legislativo 50/2016 è intervenuta a chiarire che ai fini del possesso dei
requisiti di capacità economica e finanziaria le stazioni appaltanti possono
richiedere “che gli operatori economici abbiano un fatturato minimo annuo,
compreso un determinato fatturato minimo nel settore di attività oggetto
dell’ appalto“, con ciò evidentemente includendo anche il requisito del
fatturato specifico nel novero di quelli economico finanziari: ne deriva che
il fatturato specifico assume il ruolo di elemento indicativo della solidità
finanziari a del concorrente, e qualora non sia direttamente posseduto, può
essere acquisito in avvalimento nelle forme e modi del cd. avvalimento di
garanzia.
4. L’avvalimento è un istituto di derivazione comunitaria che
consente all’operatore economico privo dei requisiti necessari per la
partecipazione ad una gara di soddisfare quanto richiesto dalla stazione
appaltante avvalendosi di risorse, mezzi e strumenti di altri operatori
economici. La finalità̀ di segno pro-concorrenziale dell’istituto è quella
di ampliare la platea dei possibili contraenti della pubblica
amministrazione.
A livello comunitario si è parlato per la prima volta di “avvalimento” con
la sentenza del 14 aprile 1994 in Causa - 389/92 (cd. Ballast), con cui la
Corte di Giustizia Europea ha stabilito che una holding può dimostrare la
sussistenza dei requisiti di qualificazione tramite una società del suo
gruppo di appartenenza.
Successivamente, i principi elaborati dai giudici comunitari sono stati
recepiti a livello normativo nelle Direttive UE 2004/17 e 2004/18. A mente
della norma contenuta nell’art. 47 della Direttiva 2004/18/CE, infatti, «Un
operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare
affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami con questi ultimi». Il successivo art. 48
aggiunge, inoltre, che: «In tal caso deve dimostrare all’amministrazione
aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante
presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti».
Le prime direttive comunitarie del 2004 sono state poi recepite nel nostro
ordinamento con l’art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006. Di recente, nel 2016,
con il d.lgs. n. 50, nel recepire le seconde direttive del 2014, si è
assistito ad una specificazione dell’istituto, per ciò che concerne i
requisiti essenziali del contratto: la norma contenuta nell’art. 89, co. 1,
ult. cpv prevede, infatti, che “…il contratto di avvalimento contiene, a
pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse
messe a disposizione dall’impresa ausiliaria”.
5. La “sanzione” della nullità, assente nella previgente normativa,
è il risultato di un percorso giurisprudenziale consacrato con la pronuncia
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato il 04.11.2016 n. 23 pubblicata
sotto la vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, ove si era evidenziato che
l’articolo 88 del d.p.r. 207/2010, per la parte in cui prescrive che il
contratto di avvalimento deve riportare “in modo compiuto, esplicito ed
esauriente (…) le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e
specifico”, deve essere interpretato nel senso che esso osta a configurare
la nullità̀ del contratto di avvalimento in ipotesi in cui una parte
dell’oggetto del contratto, pur non essendo puntualmente determinata, sia
tuttavia agevolmente determinabile dal tenore complessivo del documento, e
ciò̀ anche in applicazione degli articoli 1346, 1363 e 1367 del codice
civile.
6. Sotto l’aspetto strutturale, l’avvalimento è un contratto
causalmente orientato a colmare le carenze dell’impresa partecipante,
proprio al fine di integrare i requisiti di partecipazione alla gara.
Discussa la sua ascrivibilità o meno alla categoria dei contratti tipici o
atipici, anche ai fini dell’indagine sulla meritevolezza della causa, va
tuttavia superata l’impostazione che ascrive il contratto di avvalimento
nello schema del contratto atipico, ravvisandosi elementi ordinamentali di
novità tali da indurre ad un ripensamento della definizione, sì da poter
qualificare il contratto di avvalimento come contratto tipico: in
particolare, il contratto in esame trova oggi nell’ordinamento una specifica
disciplina legale nell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, così descrivendosi
dettagliatamente il contenuto del contratto e prescrivendo i requisiti al
ricorrere dei quali un contratto di avvalimento possa essere considerato
valido ed efficace.
Ne deriva che il contratto di avvalimento rientra a pieno titolo nella
categoria del “tipo”contrattuale, laddove per “tipo” si intende una figura o
un modello di contratto, avente determinate caratteristiche e volto a
realizzare una operazione economica.
Sebbene il Codice civile dedichi il Titolo III del Libro IV ai “singoli
contratti”, descrivendo e disciplinando un ampio numero di “tipi”
contrattuali, quali la vendita, la locazione, l’appalto, il deposito e tutti
gli altri schemi che si trovano ivi menzionati (artt. 1470 ss. del C.C.),
non v’è una previsione normativa in forza della quale un contratto è tipico
solo se trova una specifica disciplina nel codice civile.
Sul punto, ai fini della definizione del contratto atipico , non rileva la
limitata frequenza della sua stipulazione o la peculiarità del suo oggetto,
ma solo l'elemento negativo della non rispondenza a nessuno degli schemi
predisposti dal legislatore.
Pertanto, il contratto di avvalimento, che trova una sua compiuta
definizione nell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, deve ritenersi “tipico”.
L’autonomia contrattuale, nel caso di specie è peraltro condizionata dagli
obiettivi fissati dalla norma e che le parti contrattuali devono perseguire
all’atto della stipula del contratto di avvalimento.
Da ciò consegue che lo schema contrattuale definito dalla norma contenuta
nell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016 non può essere in alcun modo
alterato. È necessario, infatti, che attraverso il contenuto specifico del
contratto di avvalimento prescritto dal Codice dei contratti pubblici, si
offra alla Stazione appaltante una garanzia di solidità del concorrente
oltre che di corretta esecuzione dell’appalto; ed in determinati casi, anche
di un particolare standard di qualità dell’esecuzione dello stesso.
Ai fini della valutazione della causa in concreto, va quindi affermato che
il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità
della causa concreta, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal
procedimento (massima free
tratta da e link a www.giustamm.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza
07.01.2020 n. 51).
---------------
Al riguardo si legga anche:
●
G. Gabriele,
Il contratto di
avvalimento incontra la causa in concreto - nota a sentenza a TAR Campania,
III Sez., 07.01.2020 n. 51
(07.02.2020 - link a
www.giustamm.it). |
APPALTI: Contratto
di avvalimento e teoria della cd. causa concreta.
---------------
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Esperienze
professionali pertinenti – Limiti.
●
Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento – Contratto tipico –
Teoria della cd. causa concreta – Applicabilità.
●
L'esercizio dell’avvalimento può essere limitato, in circostanze
particolari, tenuto conto dell'oggetto dell'appalto in questione e delle
finalità dello stesso; in particolare, ciò può avvenire quando le capacità
di cui dispone un soggetto terzo, e che sono necessarie all'esecuzione di
detto appalto, non siano trasmissibili al candidato o all'offerente, di modo
che quest'ultimo può avvalersi di dette capacità solo se il soggetto terzo
partecipa direttamente e personalmente all'esecuzione di tale appalto (1).
●
Il contratto di avvalimento che trova una sua compiuta
definizione nell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016 deve ritenersi “tipico”;
l’autonomia contrattuale è condizionata dagli obiettivi fissati dalla norma
che le parti contrattuali devono perseguire all’atto della stipula del
contratto di avvalimento; da ciò consegue che lo schema contrattuale
definito dalla norma contenuta nell’art. 89, d.lgs. n. 50 del 2016 non può
essere in alcun modo alterato; è necessario, infatti, che attraverso il
contenuto specifico del contratto di avvalimento prescritto dal Codice dei
contratti pubblici, si offra alla Stazione appaltante una garanzia di
solidità del concorrente oltre che di corretta esecuzione dell’appalto ed in
determinati casi, anche di un particolare standard di qualità
dell’esecuzione dello stesso; ai fini della valutazione della causa in
concreto, il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva
realizzabilità della causa concreta, da intendersi come obiettivo specifico
perseguito dal procedimento.
---------------
(1) Corte giust. Comm. Ue 07.04.2016, C-324/14.
La tesi in oggetto è fatta propria dal più recente orientamento del
Consiglio di Stato (sentenza n. 2019 del 2191); il giudice di appello,
pronunciandosi in una fattispecie avente ad oggetto un appalto di servizio
mensa, ha ritenuto anche la necessaria esperienza pregressa elemento
prescritto “per eseguire l’appalto con un adeguato standard di qualità”
(secondo la lettera dell’art. 83, comma 6, del Codice dei Contratti
pubblici).
Inoltre ha rimarcato che “Né la nozione di “esperienze professionali
pertinenti” può essere riferibile solo a prestazioni che richiedono
l’impiego di capacità non trasmissibili, come avviene negli appalti aventi
ad oggetto servizi intellettuali o prestazioni infungibili: in disparte la
considerazione per cui anche il servizio oggetto dell’appalto in questione
richiede competenze professionali specialistiche e l’impiego di figure
professionali qualificate, la lettera della norma e soprattutto la ratio
dell’istituto non autorizzano affatto una siffatta opzione ermeneutica.
Se, infatti, gli operatori economici possono soddisfare la richiesta
relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario,
tecnico e professionale necessari a partecipare ad una procedura di gara
“avvalendosi delle capacità di altri soggetti”, ovvero mediante il
trasferimento delle risorse e dei mezzi di cui l’ausiliata sia carente,
l’ipotesi contemplata dal secondo capoverso dell’articolo 89 contiene una
disciplina più stringente e rigorosa, stabilendo che per i criteri relativi
alle indicazioni dei titoli di studio e professionali o esperienze
professionali pertinenti “tuttavia” (i.e. in deroga al regime ordinario) gli
operatori possano avvalersi della capacità di altri soggetti “solo” se (i.e.
a condizione che) questi ultimi eseguano direttamente i lavori o i servizi
per cui tali capacità sono richiesti (senza operare alcuna distinzione in
base alla natura intellettuale o materiale del servizio da espletarsi)".
Ha rilevato nella fattispecie il Giudice di appello che: ”con il
contratto di avvalimento in esame si è, infatti, convenuto tra le parti
l’obbligo dell’ausiliaria di mettere a disposizione, in relazione
all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato
organizzativo, e precisamente:
a) i propri manuali tecnico/operativi, le proprie procedure
operative, istruzioni operative, schede di registrazione- report inerenti
l’organizzazione e conduzione di servizi di ristorazione, i propri
protocolli di formazione e addestramento del personale, nonché il know how
maturato in tali settori mediante la consegna di tutta la predetta
documentazione sopracitata e la previsione di giornate di affiancamento;
b) l’interfacciarsi di figure professionali dell’ausiliaria (il
Responsabile della produzione, il Responsabile degli acquisti, il
Responsabile dell’amministrazione del personale e delle relazioni sindacali)
con le corrispondenti figure professionali già presenti all’interno
dell’organizzazione dell’ausiliata, al fine di trasferire il proprio know
how mediante la previsione di giornate di affiancamento.”
Conclusivamente, nel caso di specie, il contratto di avvalimento aveva ad
oggetto il prestito del requisito di “esperienza pregressa”, dal che
discendeva la necessità dell’impegno dell’ausiliaria ad assumere un ruolo
esecutivo nello svolgimento del servizio, e non solo a trasmettere all’ausiliata
il Know how e la struttura organizzativa dall’esterno.”
(2) Quanto alla teoria della causa concreta della causa in concreto
e la giurisprudenza della Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Osserva in proposito il Collegio che va fatto ricorso alla teorica della
causa in concreto del contratto, elaborata dalla Terza sezione civile della
corte di Cassazione, a partire dalla sentenza del 2006 n. 10490, che ha
inaugurato un nuovo corso nella valutazione dell’elemento causale del
contratto.
Da tempo la giurisprudenza della Corte di Cassazione ed in particolare la
Terza sezione civile è giunta ad un progressivo abbandono della tradizionale
teorica della causa come funzione economico sociale del contratto, ovvero
cosiddetta causa in senso astratto, per approdare ad un’interpretazione
della causa come funzione economico individuale, superando una visione di
carattere puramente oggettivistico.
Si è infatti rilevato che nella prospettiva dello Stato autoritario in cui
vide luce il codice del 1942, la concezione pubblicistica della causa come
funzione economico sociale, inserita in un’ottica tesa a controllare anche
le relazioni contrattuali tra privati, identificando causa e tipo ,escludeva
la possibilità di esistenza di un contratto tipico con causa illecita.
Una siffatta impostazione di stampo estremo oggettivistico ha comportato
critiche sin dalla dottrina che si è sviluppata nel clima post
costituzionale, ove si proponeva una maggiore attenzione alla funzione
concreta della singola e specifica negoziazione.
Tuttavia, tranne alcune isolate pronunce in giurisprudenza, la consapevole e
matura adesione alla teoria della causa concreta è stata inaugurata solo
dopo molto tempo, e segnatamente dalla storica sentenza della Cassazione
Terza sezione civile n. 10490 del 2006, che ha ammesso la possibilità di
nullità di un contratto tipico per mancanza di causa concreta. In tal sede
si è affermata la nullità per difetto di causa del contratto tipico di
consulenza delineato dall’articolo 2222 c.c., stipulato da un soggetto in
favore di una società, attività a cui tuttavia lo stesso era tenuto in
adempimento dei propri doveri di amministratore della stessa, e per la quale
percepiva il relativo compenso.
La Suprema Corte ha dunque rilevato che di fatto in concreto lo scambio di
quella attività di consulenza a titolo oneroso, essendovi il soggetto già
tenuto ad altro titolo, era priva di causa, facendo leva proprio sulla causa
intesa come “fattispecie causale concreta“, che discende da una “serrata
critica della teoria della predeterminazione causale del negozio“.
Secondo la teorica fatta propria dalla corte di Cassazione la causa in
concreto è “sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è
diretto a realizzare (aldilà del modello, benché tipico, adoperato). Sintesi
(e dunque ragioni concrete) della dinamica contrattuale, si badi e non anche
della volontà delle parti. Causa dunque ancora iscritta nell’orbita della
dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del
singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo
stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione
sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari
tipi contrattuali, si volga al fine di cogliere l’uso che di ciascuno di
essi hanno inteso con i contraenti adottando quella determinata, specifica
(a suo modo unica) convenzione negoziale“.
Tali coordinate ermeneutiche non comportano un ritorno alla concezione
soggettiva della causa, per la evidente la necessità di sottolineare
l’interesse sociale che il singolo contratto intende perseguire,
segnatamente l’insieme degli interessi rilevanti nel complesso
dell’operazione economica, con il ripudio della causa del contratto come
strumento di controllo della sua utilità sociale, facendosi invece valere la
stessa quale elemento di verifica degli interessi reali che il contratto è
diretto a realizzare.
A riprendere significativamente tale concetto la S.C. è intervenuta con una
serie di pronunce merito alla responsabilità da vacanza rovinata (Cassazione
terza sezione civile 24.07.2007 n. 16315), ove si è data piena cittadinanza
alla finalità nel contratto dello scopo concreto stabilendo che “la
finalità turistica o “scopo di piacere “....non è un motivo irrilevante ma
si sostanza nell’interesse che lo stesso è funzionalmente rivolto a
soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando perciò
l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla
realizzazione del preminente scopo vacanziero“ (fattispecie in cui è
stata dichiarata la nullità di un contratto di cd. pacchetto turistico per
due settimane all’estero in presenza di un’epidemia in atto nel luogo di
destinazione; in tal senso altresì Cassazione sezione terza 20.12.2007 n.
26958).
Ancora successivamente la Terza sezione civile (sentenza 20.03.2012 n. 4372)
individua come essenziale l’offerta di tutte le prestazioni contenute nel
pacchetto di viaggio (nella specie esaminando la possibilità di effettuare
immersioni subacquee rivelatasi impraticabile durante il periodo del
soggiorno del turista in quel luogo), così avendo modo di ribadire che la
causa non può più essere intesa in senso astratto, svincolata dalla singola
fattispecie contrattuale e si identifica nella funzione economico
individuale del singolo specifico negozio.
In tal modo si è progressivamente abbandonata la teoria della causa come
funzione economico sociale del contratto, con notevoli riflessi anche sui
principi costituzionali che danno rilievo all’interesse concretamente
perseguito dalle parti ovvero alla cosiddetta ragione pratica dell’affare,
calandosi nell’attuale contesto socio economico e nella realtà delle
contrattazioni tra privati, spesso tale da coinvolgere anche più generali
principi di buona fede ed affidamento.
La Suprema Corte ha successivamente accolto la nozione di causa concreta
anche al di là dei contratti di viaggio turistico (cfr. Cass. n. 24769 del
2008 che ha affermato la nullità di contratto di locazione di un fondo
sottoposto a vincolo di destinazione ad uso boschivo in quanto ne prevedeva
l’utilizzazione in spregio al vincolo stesso e quindi un contrasto della
causa concreta del contratto con le norme di legge).
Egualmente la pronuncia della Cassazione Sezioni unite n. 26972 del 2008,
intervenendo sul significativo aspetto della categoria del danno
esistenziale, ha affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile
quando il contratto sia rivolto alla tutela di interessi non patrimoniali,
la cui individuazione deve essere condotta accertando la causa concreta del
negozio nel senso chiarito dalla storica Cassazione sezione terza n. 10490
del 2006.
Ancora più recentemente in tema di mutuo di scopo (Cassazione sezione I
ordinanza n. 26770 del 2019), si è rilevato che l’utilizzo delle somme
erogate per finalità diverse da quelle previste nel contratto (nella specie
per ripianamento di pregressa esposizione anziché per l’acquisto di un
immobile) comporti la deviazione della causa concreta rispetto a quella
specificamente convenuta con conseguente nullità del contratto. La finalità
cui l’attribuzione delle somme era preordinata entra dunque nella causa
concreta del contratto, per cui l’oggettiva deviazione dallo scopo determina
la carenza di causa concreta del contratto, nonostante sia stato adoperato
un contratto tipico (in termini altresì Sez. 1, n. 15929/2018).
Il principio è stato poi affermato dalle Sez. U, n. 22437/2018, nel
contratto di assicurazione per la responsabilità civile con clausole “claims
made”. Tale decisione -dopo aver premesso che il modello “claims made”
si colloca ormai nell’area della tipicità legale, rifluendo nell’alveo
proprio dell’esercizio dell’attività assicurativa- ha ritenuto tuttavia
necessario che la clausola “on claims made basis”, con la quale il
pagamento dell’indennizzo è subordinato al fatto che il sinistro venga
denunciato nel periodo di efficacia del contratto, «rispetti, anzitutto,
i “limiti imposti dalla legge”, secondo quella che suole definirsi “causa in
concreto” del negozio».
In tal senso, hanno precisato le Sezioni Unite, l’indagine è volta ad
accertare l’adeguatezza del contratto agli interessi concreti delle parti.
Sul punto la sentenza osserva che l’analisi del sinallagma del contratto
assicurativo costituisce un adeguato strumento per verificare se ne sia
stata realizzata la funzione pratica di assicurazione dallo specifico
pregiudizio, e ciò al fine non di sindacare l’equilibrio economico delle
prestazioni (profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale), ma
di indagare se lo scopo pratico del negozio presenti un arbitrario
squilibrio tra rischio assicurato e premio, poiché nel contratto di
assicurazioni contro i danni la corrispettività si fonda su una relazione
oggettiva e coerente fra rischio assicurato e premio.
Particolarmente significativa, per le implicazioni sotto certi aspetti
parametrabili al contratto di avvalimento, in quanto diretto a produrre
peculiari effetti anche verso terzi, si presenta la recente pronuncia in
tema di concordato preventivo (Cassazione civ. sezione I, 08.02.2019 n.
3863) che indica la causa concreta come l’obiettivo specifico perseguito dal
procedimento, priva di un contenuto fisso e predeterminabile e dipendente
essenzialmente dal tipo di proposta formulata.
In tal sede la S.C. ha rilevato come sia essenziale verificare se il
contratto sia idoneo ad espletare una funzione commisurata agli interessi
che le parti perseguono; tale controllo, operato dal giudice sul regolamento
degli interessi voluto dalle parti, ha essenzialmente ad oggetto il
rispetto, da parte dei contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale,
del principio di conformità all’utilità sociale dell’iniziativa economica
privata di cui all’art. 41 Cost..
La valutazione di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., in altri termini,
non si esaurisce in una verifica di liceità della causa, ma investe il
risultato perseguito con il contratto, del quale deve accertare la
conformità ai principi di solidarietà e parità che l’ordinamento pone a
fondamento dei rapporti privati (cfr., anche Cassazione civile sezione unite
23.01.2000 n. 13521, che ha affermato a fronte della proposta di concordato
preventivo, come il controllo del giudice si spinge alla verifica
dell’effettiva realizzabilità della causa concreta del procedimento,
dipendente dal tipo di proposta formulata, finalizzata da un lato al
superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e dall’altro
all’assicurazione di un soddisfacimento dei creditori, nonché Cassazione
civile 18.08.2011 n. 17360, 12.11.2009 n. 22941). L’inserimento dunque nel
giudizio di fattibilità del concordato preventivo della categoria della
causa in concreto comporta la mancanza di tutela prestata dall’ordinamento
al negozio stipulato qualora se ne riscontri la mancanza.
Conclusivamente, la Corte di Cassazione, attraverso un filo ininterrotto di
pronunce, afferma come la causa in concreto può essere assente in contratti
formalmente riconducibili a figure tipiche, ma che non sono in grado di
realizzare gli interessi previsti dal tipo legale
(TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 07.01.2020 n. 51 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI:
1.- Appalti Pubblici – bando di gara suddivisa in più lotti – carattere
unitario della selezione – non sussiste.
In termini generali, e salvo le specificità di
ciascun caso concreto, va affermato che il bando di una gara suddivisa in
lotti costituisce un atto ad oggetto plurimo e determina l'indizione non di
un'unica gara, ma di tante gare, per ognuna delle quali vi è un'autonoma
procedura, che si conclude con un'aggiudicazione.
La scelta legislativa di cui all’art. 120, comma 11-bis, c.p.a. costituisce
il corollario obbligato di tale premessa: se, infatti, non si ponesse un
problema di pluralità di atti (o di atti plurimi), neppure dovrebbe porsi la
questione del ricorso plurimo, in quanto l’atto sarebbe unico e
risponderebbe alla regola generale del processo amministrativo impugnatorio
in forza della quale il ricorso deve avere ad oggetto un solo provvedimento
e i vizi-motivi si debbono correlare strettamente a questo.
Invece, proprio in considerazione della sussistenza di una pluralità di
provvedimenti, è stato codificato un orientamento -già consolidato della
giurisprudenza del giudice amministrativo-, attraverso il summenzionato
l'art. 120, comma 11-bis, c.p.a., secondo cui l'ammissibilità del ricorso
cumulativo degli atti di gara pubblica resta subordinata all'articolazione,
nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad
esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione
giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte
tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese
affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti
aggiudicazioni.
Ne consegue che, nel caso di gara a più lotti, le concorrenti partecipino al
solo o ai soli lotti per i quali presentino l’offerta: posto che il
perimetro della partecipazione delinea l’ambito della legittimazione deve
ritenersi inammissibile il ricorso volto a contestare segmenti procedurali
non riguardanti i lotti interessati dall’offerta presentata (massima free tratta da www.giustamm.it).
---------------
SENTENZA
13.1. Prioritariamente il Collegio esamina la censura dell’appellante
Mo., controinteressata in primo grado, di erronea, illogica e
contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha
rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per una
pluralità di lotti per violazione dell’art. 120, comma 11-bis, c.p.a., anche
perché il TAR avrebbe omesso di considerare che la ricorrente in primo grado
non ha presentato domanda per i lotti 2, 4 e 6 e, in relazione ai restanti
lotti, 1, 3 e 5, la posizione della medesima è sub iudice.
Così facendo Mo. ha giustapposto due eccezioni di diverso tenore, relative
all’asserita violazione dell’art. 120, comma 11-bis, c.p.a. e alla carenza
di legittimazione di K. in riferimento alle gare relative ai lotti per i
quali non risulta essere candidata.
13.2. Il Collegio ritiene che debba essere prioritariamente esaminata la
censura relativa alla (parziale) carenza di legittimazione di K. in ragione
della radicalità del vizio (Ad. Plen. 5 del 2015), attinente alla
sussistenza della condizione di ammissibilità della legittimazione a
ricorrere.
La censura deve essere accolta.
Sulla scorta di una consolidata giurisprudenza, richiamata, fra l’altro,
nell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2018, la legittimazione a impugnare gli atti
di gara è ancorata, salvo le poche eccezioni individuate dalla
giurisprudenza, che non ricorrono nella presente controversia, alla
partecipazione alla gara.
L’applicazione della suddetta regola al caso controverso richiede di
valutare preliminarmente come si concretizza la nozione di partecipazione
alla gara in relazione a una procedura selettiva articolata in più lotti. Si
tratta, cioè, di verificare se la suddivisione in lotti determina una
moltiplicazione delle procedure o se la gara permane unitaria.
In termini generali, e salvo le specificità di ciascun caso concreto, la
giurisprudenza amministrativa ha affermato che il bando di una gara
suddivisa in lotti costituisce un atto ad oggetto plurimo e determina
l'indizione non di un'unica gara, ma di tante gare, per ognuna delle quali
vi è un'autonoma procedura, che si conclude con un'aggiudicazione (Cons. St.,
sez. III, 15.05.2018, n. 2892).
La scelta legislativa di cui all’art. 120, comma 11-bis, c.p.a. costituisce
il corollario obbligato di tale premessa. Se, infatti, non si ponesse un
problema di pluralità di atti (o di atti plurimi), neppure dovrebbe porsi la
questione del ricorso plurimo, in quanto l’atto sarebbe unico e
risponderebbe alla regola generale del processo amministrativo impugnatorio
in forza della quale il ricorso deve avere ad oggetto un solo provvedimento
e i vizi-motivi si debbono correlare strettamente a questo.
Invece, proprio in considerazione della sussistenza di una pluralità di
provvedimenti, è stato codificato un orientamento già consolidato della
giurisprudenza del giudice amministrativo (Cons. St., sez. III, 04.02.2016,
n. 449) attraverso l'art. 120, comma 11-bis, c.p.a., secondo cui
l'ammissibilità del ricorso cumulativo degli atti di gara pubblica resta
subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare
segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara,
la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri
di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive
fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a
caducare le pertinenti aggiudicazioni (Cons. St., sez. III, 03.07.2019, n.
4569).
In ragione di quanto argomentato appena sopra il Collegio ritiene che, nel
caso di gara a più lotti, le concorrenti partecipino al solo o ai soli lotti
per i quali presentano l’offerta.
Posto che il perimetro della partecipazione delinea l’ambito della
legittimazione (Ad. Plen. n. 9 del 2014) deve ritenersi inammissibile il
ricorso volto a contestare segmenti procedurali non riguardanti i lotti
interessati dall’offerta presentata.
Del resto, neppure si comprende di quale interesse potrebbe essere portatore
colui che pretende di far annullare un atto che nega un bene della vita che
costui non manifesta di voler conseguire, non partecipando alla procedura
finalizzata a ottenerlo (ordinanza CGA n. 325 del 2019, richiamata in fatto)
(CGARS,
sentenza 03.01.2020 n. 2 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
Collegio intende dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale:
- la nozione di controinteressato all'accesso è data dall'art. 22, comma 1,
lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, per il quale sono ‘controinteressati’
‘tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla
natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero
compromesso il loro diritto alla riservatezza’; il che avviene quando vi sia
un soggetto titolare di un diritto alla riservatezza dei dati racchiusi nel
documento;
- l’Amministrazione deve valutare l'esistenza di controinteressati ai sensi
dell'art. 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184, per il quale, “fermo quanto
previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la
richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui
all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare
comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con
avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano
consentito tale forma di comunicazione”;
- se, nel procedimento avviato dall'istanza di accesso ai documenti,
l'Amministrazione individua un controinteressato, a quel soggetto dovrà
essere notificato l'eventuale ricorso proposto dall'istante avverso il
rifiuto all'accesso adottato dall'amministrazione (ovvero avverso il
silenzio); per converso, nel caso in cui l'Amministrazione non abbia in sede
procedimentale individuato alcun controinteressato, l'istante non sarà
onerato a notificare il ricorso, a pena di sua inammissibilità, ad alcun
controinteressato;
- qualora l'amministrazione, in sede procedimentale, non ravvisi posizioni
di controinteresse rispetto alla domanda di accesso e, dunque, l'istante non
sia tenuto a notificare il ricorso ad altri oltre all'Amministrazione, il
giudice adito deve valutare comunque, anche d'ufficio, l'esistenza di
controinteressati e imporre la notifica del ricorso di primo grado ai fini
dell’integrazione del contraddittorio;
- dall'art. 3, comma 1, del d.P.R. 12.04.2006, n. 184 emerge che, in
sede giurisdizionale, non può essere dichiarato inammissibile il ricorso per
l'accesso, per mancata notifica al controinteressato, quando
l’Amministrazione, in sede procedimentale, non abbia consentito la
partecipazione di altri soggetti suscettibili di essere pregiudicati
dall'accoglimento dell’istanza di accesso, che acquisterebbero la qualifica
di controinteressati nel caso di impugnazione del conseguente diniego: in
tali ipotesi -ove ravvisi posizioni di controinteresse – il giudice adito è
tenuto a imporre la notifica del ricorso di primo grado alla parte
controinteressata, al fine di integrare il relativo contraddittorio
processuale.
---------------
In via generalizzata, la parte controinteressata viene individuata nel
soggetto, individuato o facilmente individuabile sulla base del
provvedimento impugnato, titolare di un interesse eguale e contrario a
quello azionato dal ricorrente principale –e, quindi, di un interesse al
mantenimento della situazione esistente, messa in forse dal ricorso, fonte
di una posizione qualificata meritevole di tutela conservativa- suscettibile
di essere pregiudicato dall’eventuale emissione di una sentenza di
accoglimento del ricorso.
Come osservato, con riferimento alla materia dell’accesso ai documenti
amministrativi deve, in particolare, ritenersi ‘controinteressato’ colui che
vedrebbe compromesso il proprio diritto alla riservatezza dall’ostensione
del documento richiesto.
Trattasi di nozione ricavabile:
- dall’art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, secondo cui i controinteressati devono individuarsi in tutti i soggetti, individuati o
facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che
dall’esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla
riservatezza;
- dall’art. 5-bis D.Lgs. 14.03.2013, n. 33 che, in materia di accesso
civico, prevede tra gli interessi qualificati, in funzione ostativa
all’accesso, la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza
della corrispondenza, nonché gli interessi economici e commerciali del
singolo, suscettibili di essere pregiudicati dall’ostensione del documento
oggetto di accesso;
- dall’art. 53, comma 5, lett. a), D.Lgs. n. 50/2016 che, in materia di
appalti pubblici, accorda tutela alle informazioni fornite nell’ambito
dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo
motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o
commerciali.
A prescindere dai rapporti intercorrenti fra le esigenze di trasparenza
amministrativa e di tutela giuridica degli istanti, sottese all’istanza di
accesso, e le esigenze di tutela della riservatezza, poste a garanzia della
posizione del controinteressato –variamente ricostruibili a seconda del
regime giuridico di accesso concretamente rilevante– in ogni caso, deve riconoscersi una
posizione di controinteresse in capo a colui che, in quanto titolare di dati
personali ovvero di segreti commerciali o tecnici suscettibili di essere
disvelati dall’ostensione del documento richiesto, dall’accoglimento
dell’istanza di accesso subirebbe un pregiudizio nella propria sfera
giuridica, sub specie di diritto alla riservatezza di dati racchiusi nel
relativo documento.
Trattasi, pertanto, di posizione qualificata e differenziata, in quanto, da
un lato, presa in considerazione dal legislatore nel regolare la materia
dell’accesso ai documenti amministrativi, dall’altro, imputabile ad un
soggetto direttamente inciso dall’azione amministrativa, titolare di una
situazione giuridica soggettiva attiva (diritto alla riservatezza) correlata
allo specifico documento oggetto di accesso.
---------------
1. In via pregiudiziale, attenendo alla corretta instaurazione del
contraddittorio processuale -presupposto di validità del giudizio,
necessario per poter esaminare il merito della controversia– occorre
pronunciare sul capo di sentenza con cui il Tar, escludendo che il Ci.
rivestisse la qualità di contoininteressato, ha (implicitamente) ritenuto
ammissibile il ricorso di prime cure: trattasi di statuizione censurata sia
dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca con il primo
motivo di appello, sia dal Ci. con il primo motivo di opposizione di
terzo, valevole altresì come atto di intervento ex art. 109, comma 2, c.p.a.
In subiecta materia, anche ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), del
codice del processo amministrativo, il Collegio intende dare continuità
all’indirizzo giurisprudenziale (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV,
04.0.2019, n. 6719), in forza del quale:
- la nozione di controinteressato all'accesso è data dall'art. 22, comma 1,
lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, per il quale sono ‘controinteressati’
‘tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla
natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero
compromesso il loro diritto alla riservatezza’; il che avviene quando vi sia
un soggetto titolare di un diritto alla riservatezza dei dati racchiusi nel
documento;
- l’Amministrazione deve valutare l'esistenza di controinteressati ai sensi
dell'art. 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184, per il quale, “fermo quanto
previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la
richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui
all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare
comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con
avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano
consentito tale forma di comunicazione”;
- se, nel procedimento avviato dall'istanza di accesso ai documenti,
l'Amministrazione individua un controinteressato, a quel soggetto dovrà
essere notificato l'eventuale ricorso proposto dall'istante avverso il
rifiuto all'accesso adottato dall'amministrazione (ovvero avverso il
silenzio); per converso, nel caso in cui l'Amministrazione non abbia in sede
procedimentale individuato alcun controinteressato, l'istante non sarà
onerato a notificare il ricorso, a pena di sua inammissibilità, ad alcun
controinteressato;
- qualora l'amministrazione, in sede procedimentale, non ravvisi posizioni
di controinteresse rispetto alla domanda di accesso e, dunque, l'istante non
sia tenuto a notificare il ricorso ad altri oltre all'Amministrazione, il
giudice adito deve valutare comunque, anche d'ufficio, l'esistenza di
controinteressati e imporre la notifica del ricorso di primo grado ai fini
dell’integrazione del contraddittorio;
- dall'art. 3, comma 1, del d.P.R. 12.04.2006, n. 184 emerge che, in
sede giurisdizionale, non può essere dichiarato inammissibile il ricorso per
l'accesso, per mancata notifica al controinteressato, quando
l’Amministrazione, in sede procedimentale, non abbia consentito la
partecipazione di altri soggetti suscettibili di essere pregiudicati
dall'accoglimento dell’istanza di accesso, che acquisterebbero la qualifica
di controinteressati nel caso di impugnazione del conseguente diniego: in
tali ipotesi -ove ravvisi posizioni di controinteresse – il giudice adito è
tenuto a imporre la notifica del ricorso di primo grado alla parte
controinteressata, al fine di integrare il relativo contraddittorio
processuale.
Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, preliminarmente, occorre
verificare se nella specie sia corretta la decisione del Tar di non ritenere
il Ci. parte controinteressata nel presente giudizio; in caso di
riscontrata erroneità della relativa statuizione, sarà necessario verificare
se l’omessa evocazione in primo grado del Ci. abbia comportato
l’inammissibilità del ricorso, come dedotto dal Miur e dal Ci., ovvero
abbia determinato la violazione del contraddittorio processuale, fattispecie
rilevante ai fini della rimessione della causa al primo giudice ai sensi
dell’art. 105 c.p.a.
2. Con riferimento al primo profilo di indagine, il Collegio ritiene che il
Ci. sia da considerare parte controinteressata in relazione al ricorso ex
art. 116 c.p.a. proposto in prime cure.
In via generalizzata, la parte controinteressata viene individuata nel
soggetto, individuato o facilmente individuabile sulla base del
provvedimento impugnato, titolare di un interesse eguale e contrario a
quello azionato dal ricorrente principale –e, quindi, di un interesse al
mantenimento della situazione esistente, messa in forse dal ricorso, fonte
di una posizione qualificata meritevole di tutela conservativa-
suscettibile di essere pregiudicato dall’eventuale emissione di una sentenza
di accoglimento del ricorso (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 06.06.2019,
n. 3911).
Come osservato, con riferimento alla materia dell’accesso ai documenti
amministrativi deve, in particolare, ritenersi ‘controinteressato’ colui che
vedrebbe compromesso il proprio diritto alla riservatezza dall’ostensione
del documento richiesto.
Trattasi di nozione ricavabile:
- dall’art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, secondo cui i controinteressati devono individuarsi in tutti i soggetti, individuati o
facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che
dall’esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla
riservatezza;
- dall’art. 5-bis D.Lgs. 14.03.2013, n. 33 che, in materia di accesso
civico, prevede tra gli interessi qualificati, in funzione ostativa
all’accesso, la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza
della corrispondenza, nonché gli interessi economici e commerciali del
singolo, suscettibili di essere pregiudicati dall’ostensione del documento
oggetto di accesso;
- dall’art. 53, comma 5, lett. a), D.Lgs. n. 50/2016 che, in materia di
appalti pubblici, accorda tutela alle informazioni fornite nell’ambito
dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo
motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o
commerciali.
A prescindere dai rapporti intercorrenti fra le esigenze di trasparenza
amministrativa e di tutela giuridica degli istanti, sottese all’istanza di
accesso, e le esigenze di tutela della riservatezza, poste a garanzia della
posizione del controinteressato –variamente ricostruibili a seconda del
regime giuridico di accesso concretamente rilevante (nella specie, la parte
appellata ha comunque fatto riferimento, in primo grado, sia all’accesso
documentale ex art. 22 e ss. L. n. 241/1990, sia all’accesso civico ex art. 5
D.Lgs. 14.03.2013, n. 33)– in ogni caso, deve riconoscersi una
posizione di controinteresse in capo a colui che, in quanto titolare di dati
personali ovvero di segreti commerciali o tecnici suscettibili di essere
disvelati dall’ostensione del documento richiesto, dall’accoglimento
dell’istanza di accesso subirebbe un pregiudizio nella propria sfera
giuridica, sub specie di diritto alla riservatezza di dati racchiusi nel
relativo documento.
Trattasi, pertanto, di posizione qualificata e differenziata, in quanto, da
un lato, presa in considerazione dal legislatore nel regolare la materia
dell’accesso ai documenti amministrativi, dall’altro, imputabile ad un
soggetto direttamente inciso dall’azione amministrativa, titolare di una
situazione giuridica soggettiva attiva (diritto alla riservatezza) correlata
allo specifico documento oggetto di accesso
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.01.2020 n. 30 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
APPALTI:
Richiesta, nel procedimento di verifica di
anomalia, di fatture e non di preventivi a
giustificazione dei prezzi offerti.
Il TAR Milano ritiene
non irragionevole la scelta della stazione
appaltante, nell’ambito del procedimento di
verifica dell’anomalia dell’offerta, a
fronte dei rilevanti scostamenti tra i
prezzi offerti dal concorrente rispetto a
quelli di mercato, di non ritenere
sufficiente la loro giustificazione mediante
“preventivi” e, pertanto, di mere proposte
contrattuali provenienti da terzi, in luogo
di “fatture” e, dunque, di documenti che
comprovino l’avvenuta esecuzione di un
contratto a determinate condizioni,
rispondendo questa scelta all’esigenza di
tutelare la stazione appaltante da offerte
eccessivamente basse senza risultare
discriminatoria, in quanto riferita a
materiali di uso comune e facilmente
reperibili
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 02.01.2020 n. 9 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
I) In via preliminare, il Collegio dà atto
che, in sede di verifica di anomalia, la
Commissione ha rilevato che per alcune voci
di prezzo la ricorrente ha indicato costi
che presentano scostamenti significativi
rispetto a quelli dei materiali/attrezzature
che compongono le lavorazioni poste a base
di gara, richiedendo conseguentemente “la
presentazione di recenti fatture di acquisto
quietanziate, da cui risulti il costo
dichiarato per le quantità necessarie e
similari a quelle poste a base di gara, a
garanzia della qualità, congruità ed
affidabilità dell’offerta” (verbale n. 1 del
21.2.2019).
A fronte della mancata presentazione delle
richieste fatture, la Commissione ha
pertanto ritenuto non giustificati i valori
indicati nell’offerta della ricorrente, che
è stata conseguentemente giudicata anomala,
in particolare, rispetto ai costi indicati
per i materiali, per un importo di €
75.642,38 (v. verbale n. 2 del 20.03.2019).
II) Secondo la ricorrente, l’operato della
stazione appaltante sarebbe tuttavia
illegittimo, per aver preteso la produzione
di fatture di acquisto quietanziate, e per
non aver accettato, in loro mancanza,
preventivi dei fornitori.
Ritiene il Collegio che il ricorso vada
respinto atteso che, come già evidenziato in
sede cautelare, nell’ambito del limitato
sindacato giurisdizionale esercitabile dal
g.a. in materia di anomalia dell’offerta, la
richiesta di giustificare talune voci
mediante la produzione di fatture non sia
irragionevole, in quanto finalizzata alla
necessità di verificare l’effettiva
reperibilità sul mercato di taluni
materiali, alle condizioni particolarmente
favorevoli allegate dalla ricorrente, né
particolarmente gravosa, alla luce del loro
ampio utilizzo e diffusione sul mercato (ad
es. ghiaia).
Sulla questione il Collegio si è peraltro
già pronunciato in più occasioni, in cui,
malgrado le inevitabili peculiarità delle
relative fattispecie, evidenziate dalla
ricorrente nella propria memoria finale, gli
istanti deducevano l’illegittimità della
richiesta del Comune di Milano, di
giustificare la propria offerta mediante la
produzione di fatture (TAR Lombardia,
Milano, Sez. I, 16.12.2015 n. 2672, 12.05.2017
n. 1095) analogamente a quanto ha luogo nel
presente giudizio.
III) Malgrado la ricorrente deduca che “la
giurisprudenza ritiene pacificamente
ammissibile la produzione di preventivi a
giustificazione di talune voci di costo
dell’offerta”, come del resto dalla stessa
correttamente osservato, l’oggetto del
presente giudizio è “la legittimità della
decisione della p.a. di richiedere
necessariamente ed esclusivamente le
fatture” (v. pag. 3 memoria finale), e non
invece la legittimità di un giudizio di
anomalia fondato sulla produzione di
preventivi, ciò che, in taluni casi, e
nell’ambito della sua discrezionalità, una
stazione appaltante può certamente
consentire.
Come già evidenziato, il sindacato del g.a.
sulle valutazioni amministrative
caratterizzate da discrezionalità tecnica è
di tipo “debole”, e pertanto circoscritto ai
soli casi di manifesta e macroscopica
erroneità, irragionevolezza o arbitrarietà,
ovvero di motivazione fondata su palese e
manifesto travisamento dei fatti, laddove
siano sintomatiche di un uso della
discrezionalità tecnica distorto e contrario
ai principi di efficacia, economicità e buon
andamento, in presenza del quale, soltanto,
è consentito l'intervento caducatorio
dell'autorità giurisdizionale (TAR Lazio,
Roma, Sez. III, 03.12.2018, n. 11691).
Nel caso di specie, a fronte dei rilevanti
scostamenti tra i prezzi offerti dalla
ricorrente rispetto a quelli di mercato, la
scelta del Comune di non ritenere
sufficiente la loro giustificazione mediante
“preventivi”, e pertanto, di mere proposte
contrattuali provenienti da terzi, in luogo
di “fatture”, e dunque di documenti che
comprovino l’avvenuta esecuzione di un
contratto a determinate condizioni, non è
certamente irragionevole, rispondendo
infatti all’esigenza di tutelare la stazione
appaltante da offerte eccessivamente basse,
né discriminatoria, in quanto riferita a
materiali di uso comune e facilmente
reperibili.
IV) Infine, evidenzia il Collegio che la lex
specialis si limitava a prevedere che “le
giustificazioni e i relativi documenti a
corredo (fatture, preventivi, ecc.),
dovranno essere presentate su supporto
informatico”, con ciò prescrivendo le
relative modalità di documentazione, senza
invece vincolare la stazione appaltante ad
un giudizio di equipollenza tra le due
forme.
In conclusione, il ricorso va pertanto
respinto. |
APPALTI: Risalenza
del tempo dei fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia.
---------------
Informativa antimafia – Presupposti –Fatti risalenti nel tempo –
Irrilevanza ex se.
I fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia
possono anche essere risalenti nel tempo nel caso in cui vadano a comporre
un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile
l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata
(1).
---------------
(1) Ha chiarito la Sezione (21.01.2019,
n. 515), che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non
implica la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di
infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in
un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale
istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della ‘risalenza’
dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa,
occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi quanto il
loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l'impresa
dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della
mafiosità.
Con riferimento poi alla presenza, all’interno della società, di soggetti
vicini agli ambienti della mala, è sufficiente ricordare che proprio in
relazione ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori,
direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati,
organici, contigui alle associazioni mafiose la Sezione (07.02.2018,
n. 820) ha affermato che l’Amministrazione può dare loro rilievo
laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre
caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più
probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una
regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei
detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere
influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da
un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto.
Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno
della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di
comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di
copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza
può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in
contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia
anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la
complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si
articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’,
sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia
attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del
‘capofamiglia’ e dell’associazione.
Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente
esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi
economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato
luogo a condanne in sede penale) e peculiari realtà locali, ben potendo
l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza –su
un’area più o meno estesa– del controllo di una ‘famiglia’ e del
sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 02.01.2020 n. 2 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
1. Oggetto del gravame è l’interdittiva antimafia, emessa, in data 16.03.2018, dalla Prefettura della Provincia di Crotone a carico della
-OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-) a seguito delle risultanze istruttorie
riportate nell’ordinanza di applicazione di misura coercitiva ex art. 292 c.p.p., emessa in data 28.12.2017 dal Gip del Tribunale ordinario di
Catanzaro, nell’ambito del procedimento penale scaturito in esito
all’operazione di Polizia giudiziaria denominata “-OMISSIS-”, che ha
coinvolto una pluralità di indagati, tra cui anche la società -OMISSIS-.
Il Tar Catanzaro, dinanzi al quale la società aveva impugnato l’interdittiva,
ha accolto il ricorso sul rilievo che dalle verifiche fatte svolgere alla
Guardia di finanza non emerge il connotato di univocità agli elementi
indiziari ricavati, in ordine alla soggezione all’ingerenza criminale, dai
provvedimenti emessi in sede penale, con la conseguenza che, se è vero che
il giudice amministrativo non può certo sostituire la propria valutazione a
quelle operate, nell’ambito del procedimento penale, dall’Autorità
giudiziaria competente, altrettanto vero è che il giudice amministrativo
deve assicurare alla società ricorrente il diritto fondamentale alla difesa,
e dunque non può omettere di considerare quei dati fattuali allegati dal
soggetto colpito da informazione interdittiva per dimostrare l’insussistenza
del condizionamento mafioso.
In altri termini il giudice di primo grado, richiamati correttamente i
principi che sono alla base del sistema preventivo dell’interdittiva, ha
concluso nel senso che alla luce degli esiti delle Guardia di finanza
mancavano, nella specie, anche i meri indizi, questi sì necessari per far
scattare la misura di prevenzione.
Il Collegio non condivide le conclusioni del primo giudice. Non ritiene
infatti di poter escludere il tentativo di infiltrazione nella società
appellata, che emerge dalle indagini del Gip del Tribunale ordinario di
Catanzaro, nell’ambito del procedimento penale scaturito in esito
all’operazione di Polizia giudiziaria denominata “-OMISSIS-” e riportate
nell’ordinanza di applicazione di misura coercitiva ex art. 292 c.p.p.,
emessa in data 28.12.2017. L’avversa conclusione del Tar poggia,
infatti, sul diverso esito delle indagini che lo stesso aveva affidato alla
Guardia di finanza, di durata e profondità necessariamente più limitata.
Dalle indagini penali è emerso, infatti, che la società appellata è tra
quelle che hanno beneficiato dei favori del Sindaco del Comune di -OMISSIS-
che, pur non essendo inserito stabilmente nella struttura organizzativa del
sodalizio della ndragheta locale della famiglia -OMISSIS-, con la pressione
o, comunque, l’approvazione delle cosche dominanti sul territorio, “poneva
in essere tutta una serie di atti procedimentali al fine di far appaltare
lavori a ditte controllate e/o indicate dalla stessa cosca e/o dai suoi
fiancheggiatori e/o provvedendo, attraverso atti amministrativi e contabili,
quali fittizi mandati di pagamento, ad assegnare a membri della famiglia …
delle somme di denaro destinate apparentemente a ditte che svolgono servizi
per l’Ente …”. Tra queste ditte, appunto, era compresa anche la società
appellata, come risulta dalla lettura dell’ordinanza del Gip del Tribunale
ordinario di Catanzaro del 28.12.2017.
Aggiungasi che, come emerge dagli stessi atti di causa, il legale
rappresentante della società appellata –alla quale sono stati affidati nel
Comune gli appalti di pulizia dei locali comunali, di mensa scolastica ed il
trasporto scolastico– è -OMISSIS- di soggetto nei cui confronti è stata
svolta attività estorsiva alla quale, da quanto è dato leggere
dall’ordinanza del Gip, avrebbe ceduto.
2. Tutti gli elementi fattuali sopra descritti sono sufficienti a supportare
l’informativa impugnata dinanzi al Tar Catanzaro, alla luce dei consolidati
principi che governano tale materia, ben conosciuti dal giudice di primo
grado che, pur avendoli correttamente richiamati, non ne ha fatto corretto
uso.
E’ noto, infatti che l’informazione antimafia implica una valutazione
discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di
infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi
dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento
induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello
di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento
finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su
prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di
verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da
far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione
mafiosa.
Ha aggiunto la Sezione (-OMISSIS- del 2019) che lo stesso legislatore –art.
84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011– ha riconosciuto quale elemento
fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di
infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi
delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione
mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono
nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della
prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa
scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma
anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente
immaginari o aleatori.
Ha ancora chiarito la Sezione (05.09.2019, -OMISSIS-) che la legge
italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia
all’esistenza di “tentativi” di infiltrazione mafiosa, ha fatto ricorso,
inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non
costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità
amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il
giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su
elementi “tipizzati” (quelli dell'art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), d.lgs. n. 159 del 2011), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in
volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione
mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere
prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea,
anche la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso,
tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico
primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico,
di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di
prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica.
L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in
questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da
autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del
resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi
tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato,
fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della
singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia
adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante
per la stessa autorità amministrativa.
Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e
buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di
legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando
compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento
amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando
“tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno
del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità,
concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di
inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una
struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità
criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie
per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza
personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la
Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 04.01.2018, n. 111).
Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del
quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al
pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del
potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo,
consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che
devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la
ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che
l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che,
necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non
sanzionatoria, della misura in esame.
Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del
provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem
agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto
divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della
discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare
l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro
arbitrio.
La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo
confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso
di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche
atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di
perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od
obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio,
in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30.01.2019,
-OMISSIS-).
E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico
il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve
arrestarsi.
Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai
quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare
qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome
di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la
sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per
usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella
sentenza De Tommaso c. Italia, consiste anzitutto nel «tenere il passo con
il mutare delle circostanze» secondo una nozione di legittimità sostanziale.
Ma, come è stato recentemente osservato anche dalla giurisprudenza penale,
il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte
europea in generale compatibile con la normativa convenzionale poiché «il
presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una
“condizione” personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti,
anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di
vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una
sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del
processo penale» (Cass. pen., sez. II, 09.07.2018, n. 30974).
Al delicato bilanciamento raggiunto dall’interpretazione di questo Consiglio
di Stato non osta nemmeno, come sostiene l’appellante, l’orientamento
assunto dalla Corte costituzionale nelle recenti sentenze n. 24 del 27.02.2019 e n. 195 del 24.07.2019, orientamento di cui, per la sua
importanza sistematica anche nella materia della documentazione antimafia,
occorre dare qui conto.
Come ha ben posto in rilievo la Corte costituzionale nella sentenza n. 24
del 2019, infatti, allorché si versi al di fuori della materia penale, non
può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle
condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto
costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta
anche sulla base «dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza
costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate
dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da
un certo grado di imprecisione».
Essenziale –nell’ottica costituzionale così come in quella convenzionale
(v., ex multis, Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione quinta,
sentenza 26.11.2011, Gochev c. Bulgaria; Corte europea dei diritti
dell’uomo, sezione prima, sentenza 04.06.2002, Olivieiria c. Paesi Bassi;
Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione prima, sentenza 20.05.2010, Lelas c. Croazia)– è, infatti, che tale interpretazione giurisprudenziale
sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure
limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere
l’applicazione della misura stessa.
In tale direzione la verifica della legittimità dell’informativa deve essere
effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti
che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e
probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della
criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale
del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza,
evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e
che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di
qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del
ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18.04.2018, n. 2343).
Ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare
l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di
elementi sintomatico-presuntivi dai quali –secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale– sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte
della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno
considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi
acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III,
18.04.2018, n. 2343).
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un
diverso procedimento logico, va del resto qui ricordato, ma la (minore)
forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva,
l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul
piano metodologico, «ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi
intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme,
ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più
appropriata, la c.d. probabilità cruciale» (Cons. St., sez. III, 26.09.2017, n. 4483).
3. Ciò chiarito, con riferimento alla pregressa presenza, all’interno della
società appellata, del signor -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- del legale
rappresentante -OMISSIS- -OMISSIS-, è sufficiente ricordare che proprio in
relazione ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori,
direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati,
organici, contigui alle associazioni mafiose la Sezione (07.02.2018, n.
820) ha affermato che l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale
rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete,
lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa
abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di
fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le
decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche
indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla
mafia mediante il contatto con il proprio congiunto.
Nei contesti sociali,
in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può
verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere
legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di
soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla
considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi
costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per
la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione
della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello
particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’
mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può
subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.
Hanno
dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo,
ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il
coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne
in sede penale) e peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione
evidenziare come sia stata accertata l’esistenza –su un’area più o meno
estesa– del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento
dei suoi componenti.
Nel caso all’esame del Collegio il -OMISSIS- del legale rappresentante della
società appellata -già titolare della stessa, ceduta al -OMISSIS- (il
-OMISSIS- 2008) quando questi non aveva ancora raggiunto la maggiore età, ma
ancora gestore di fatto- in data antecedente al 1998, quando era
amministratore della società, sarebbe stato vittima di un’estorsione alla
quale, da quanto emerge dall’ordinanza del Gip di Catanzaro, avrebbe ceduto,
essendosi recato presso la filiale della -OMISSIS- dopo aver parlato con
-OMISSIS-, condannata a 15 anni e 4 mesi nell’ambito dell’operazione di
polizia -OMISSIS-.
Giova a tale proposito ricordare che alcune operazioni
societarie possono disvelare un’attitudine elusiva della normativa antimafia
ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con la
pregressa gestione subendone, anche inconsapevolmente, i tentativi di
ingerenza (Cons. St., sez. III, 27.11.2018, n. 6707; 07.03.2013, n.
1386).
Ancora priva di giuridico peso la circostanza che il fatto estorsivo che ha
colpito il -OMISSIS- del legale rappresentante della società appellata
risale al 1998.
E’, infatti, sufficiente sul punto richiamare il principio secondo cui i
fatti sui quali si fonda tale misura di prevenzione possono anche essere
risalenti nel tempo nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario
complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un
condizionamento da parte della criminalità organizzata.
Come chiarito dalla
Sezione (21.01.2019, n. 515), il mero decorso del tempo, di per sé
solo, non implica, cioè, la perdita del requisito dell’attualità del
tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende
descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime
quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza
della ‘risalenza’ dei dati considerati ai fini della rimozione della
disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti
nuovi positivi quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo
irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita
definitiva dal cono d'ombra della mafiosità.
Diversamente da quanto assume il giudice di primo grado, non può sottacersi
il fatto che due dipendenti della società appellata siano legati da vincoli
parentali a componenti alla cosca. Ove pure gli stessi fossero stati assunti
con la cd. clausola sociale, non è offerto neanche un principio di prova del
tentativo di non addivenire a tali assunzioni né rileva il fatto che gli
stessi occupassero bassi profili, essendo uno autista e l’altro addetto alle
pulizie. Indipendentemente, infatti, dalle mansioni ricoperte, un dipendente
di società legato alla malavita può costituire un ponte tra questa e la
società per la quale lavora.
Rileva ancora il Collegio che non assume portata determinante la
circostanza, non chiarita nella sua materialità, se vi sia stato o meno
l’effettivo pagamento, da parte del Comune di -OMISSIS-, di un importo pari
a € 3.000,00, risultando comunque dalle intercettazioni che la stessa
società compulsava i competenti uffici comunali per provvedere al relativo
mandato di pagamento.
4. In conclusione, correttamente il coacervo di elementi è stato ritenuto
dal Prefetto di Crotone sufficiente ad evidenziare il pericolo di contiguità
con la mafia, con un giudizio peraltro connotato da ampia discrezionalità di
apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle
conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta
illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato
del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia
rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a
base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001).
Tale valutazione
costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza
costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo
solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei
fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).
4. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione,
essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112
c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati,
infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e,
comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
5. In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello deve essere accolto e
va, dunque, riformata la sentenza del Tar Calabria, sede di Catanzaro, sez.
I, -OMISSIS- del 20.03.2019, che ha accolto il ricorso di primo grado. |
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