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67-L.R. 31/2014
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70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
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78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
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89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
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102-SEGRETARI COMUNALI
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105-SICUREZZA SUL LAVORO
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per approfondimenti vedi anche:
A.N.AC. (già Autorità Vigilanza Contratti Pubblici) <---> Partenariato Pubblico Privato - MEF/RGS
* * *
A.N.AC. (massimario dell'Autorità) - A.N.AC. (massimario di giurisprudenza)

anno 2023
settembre 2023

APPALTI SERVIZI: In relazione ad una procedura non avente finalità lucrative è ammissibile tra organizzazioni di volontariato un contratto di avvalimento con corrispettivo ridotto.
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CONTRATTI pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione - Organizzazione volontariato - Avvalimento - Contratto - Corrispettivo inferiore a quello di mercato - Ammissibilità.
Ove il contratto di avvalimento intercorra tra organizzazioni di volontariato e ai fini della partecipazione a una procedura per l’affidamento di una convenzione estranea a finalità lucrative, le finalità solidaristiche che animano le parti del rapporto non possono non avere ricadute sulla determinazione del corrispettivo contrattuale, giustificandosi così una determinazione del corrispettivo del contratto di avvalimento in misura apparentemente inferiore rispetto a quella normalmente praticabile nell’ambito di un rapporto di tipo strettamente commerciale, che pertanto non può costituire utile parametro di riferimento per la verifica della adeguatezza del corrispettivo e della affidabilità della relazione tra ausiliaria e ausiliata ai fini della corretta esecuzione del contratto (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 19.09.2023 n. 2014 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2023

APPALTI: Sull’integrazione del bando di gara e sui limiti del soccorso istruttorio anche alla luce nel nuovo codice.
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Contratti pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione -Appalto di servizi – Bando – Eterointegrazione - Ammissibilità.
L’eterointegrazione del bando –ancorché si risolva, in effetto, nella prefigurazione più ampia e comprensiva (in senso qualitativo o quantitativo) dei requisiti di accesso alla procedura di gara, rispetto al canone di (determinatezza e) autosufficienza della relativa legge speciale– non collide con il principio di (rigorosa) tassatività delle cause di esclusione (che è, di per sé, corollario dell’onere di puntuale ed esaustiva prefigurazione delle condizioni concorrenziali), proprio perché si tratta di condizioni necessarie (in ragione della attitudine non derogabile della legge) ed implicite (e, come tali, suscettibili di essere colmate, nei sensi chiariti, in via di diretta applicazione della legge generale) (1).
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Contratti pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione -Appalto di servizi –Soccorso istruttorio - Limiti.
Deve tenersi per ferma la non soccorribilità (sia in funzione integrativa, sia in funzione sanante) degli elementi integranti, anche documentalmente, il contenuto dell’offerta (tecnica od economica): ciò che si porrebbe in contrasto con il superiore principio di parità dei concorrenti. Restano, per contro, ampiamente sanabili le carenze (per omissione e/o per irregolarità) della documentazione c.d. amministrativa.
In altri termini, si possono emendare le carenze o le irregolarità che attengano alla (allegazione) dei requisiti di ordine generale (in quanto soggettivamente all’operatore economico in quanto tale), non quelle inerenti ai requisiti di ordine speciale (in quanto atte a strutturare i termini dell’offerta, con riguardo alla capacità economica, tecnica e professionale richiesta per l’esecuzione delle prestazioni messe a gara) (2).
Il Consiglio di Stato coglie l’occasione per offrire un inquadramento generale dell’istituto del soccorso istruttorio, anche alla luce del nuovo codice, evidenziando, in primis, che l’istituto del soccorso istruttorio obbedisce, per vocazione generale (art. 6 l. n. 241/1990), ad una fondamentale direttiva antiformalistica che guida l’azione dei soggetti pubblici ed equiparati.
Con riguardo alle procedure di evidenza pubblica, esso si fa carico di evitare, nei limiti del possibile, che le rigorose formalità che accompagnano la partecipazione alla gara si risolvano –laddove sia garantita la paritaria posizione dei concorrenti– in disutile pregiudizio per la sostanza e la qualità delle proposte negoziali in competizione e, in definitiva, del risultato dell’attività amministrativa.
In tale prospettiva, la regola –che traduce operativamente un canone di leale cooperazione e di reciproco affidamento tra le stazioni appaltanti o gli enti concedenti e gli operatori economici (art. 1, comma 2-bis, l. n. 241/1990)– ha visto riconosciuta (ed accresciuta) la sua centralità nel nuovo codice dei contratti pubblici: il quale, per un verso, vi dedica (a differenza del codice previgente, una autonoma e più articolata disposizione (art. 101) e, per altro verso, ne amplifica l’ambito, la portata e le funzioni, superando, altresì, talune incertezze diffusamente maturate nella prassi operativa.
Il Consiglio di Stato precisa che, quand’anche si intenda dilatarne al massimo la portata (in certo modo filtrando –con non abusiva operazione esegetica, ben fondata su un ragionevole canone di ordine teleologico– l’interpretazione dell’art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50/2016 con la più ariosa prospettiva dischiusa, in termini solo parzialmente innovativi, dall’art. 101 del d.lgs. n. 36/2023), si dovrà, in ogni caso, puntualizzare, sotto un profilo funzionale, la necessaria distinzione tra:
   a) soccorso integrativo o completivo (comma 1, lettera a) dell’art. 101 d.lgs. n. 36 cit., non difforme dall’art. 83, comma 9), che mira, in termini essenzialmente quantitativi, al recupero di carenze della c.d. documentazione amministrativa necessaria alla partecipazione alla gara (con esplicita esclusione, quindi, della documentazione inerente l’offerta, sia sotto il profilo tecnico che sotto il profilo economico), sempre che non si tratti di documenti bensì non allegati, ma acquisibili direttamente dalla stazione appaltante (in prospettiva, tramite accesso al fascicolo virtuale dell’operatore economico);
   b) soccorso sanante (comma 1 lettera b), anche qui non difforme dall’art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50), che consente, in termini qualitativi, di rimediare ad omissioni, inesattezze od irregolarità della documentazione amministrativa (con il limite della irrecuperabilità di documentazione di incerta imputazione soggettiva, che varrebbe a rimettere in gioco domande inammissibili);
   c) soccorso istruttorio in senso stretto (comma 3), che –recuperando gli spazi già progressivamente riconosciuti dalla giurisprudenza alle forme di soccorso c.d. procedimentale– abilita la stazione appaltante (o l’ente concedente) a sollecitare chiarimenti o spiegazioni sui contenuti dell'offerta tecnica e/o dell'offerta economica, finalizzati a consentirne l’esatta acquisizione e a ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante, superandone le eventuali ambiguità, a condizione di pervenire ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale assunto, e fermo in ogni caso il divieto (strettamente correlato allo stringente vincolo della par condicio) di apportarvi qualunque modifica;
   d) soccorso correttivo (comma 4): che, in realtà, a differenza delle altre ipotesi –rispetto alle quali si atteggia, peraltro, a fattispecie di nuovo conio, come tale insuscettibile, almeno in principio, di applicazione retroattiva– prescinde dall’iniziativa e dall’impulso della stazione appaltante o dell’ente concedente (sicché non si tratta, a rigore, di soccorso in senso stretto), abilitando direttamente il concorrente, fino al giorno di apertura delle offerte, alla rettifica di errori che ne inficino materialmente il contenuto, fermo il duplice limite formale del rispetto dell’anonimato e sostanziale della immodificabilità contenutistica.
Sotto un profilo operativo, il soccorso procede (con la evidenziata e non rilevante peculiarità del soccorso correttivo, che è oggi riconosciuto ex lege) da una (doverosa, trattandosi al solito di potere-dovere) assegnazione di un termine (ora positivamente prefigurato in misura non inferiore a cinque e non superiore a dieci giorni) entro il quale l’operatore economico può integrare o sanare (a pena di esclusione: comma 4 dell’art. 101) la documentazione amministrativa ovvero (ma in tal caso, è il caso di soggiungere, senza automatismi espulsivi) chiarire ed illustrare, nei termini (e nei limiti) della specifica richiesta, il tenore della propria offerta.
La norma si cura di precisare (offrendo, con ciò, espressa soluzione positiva a talune ipotesi già oggetto di controverso intendimento) che sono soccorribili (purché, in tal caso, documentabili con atti di data certa, anteriore al termine di presentazione delle offerte: il che conferma che si deve trattare di una omissione meramente formale e non di una originaria carenza sostanziale):
   a) la mancata presentazione della garanzia provvisoria;
   b) l’omessa allegazione del contratto di avvalimento;
   c) la carenza dell'impegno al conferimento, per i concorrenti partecipanti in forma di raggruppamento costituendo, del mandato collettivo speciale.
In definitiva, appare evidente, sotto il profilo della prefigurazione di una direttiva esegetica tendenzialmente non restrittiva, il programmatico ampliamento dell’ambito del soccorso, fino al segno di marcare un possibile conflitto con il canone di autoresponsabilità (che in generale sollecita gli operatori economici, in virtù della postulata qualificazione professionale e del correlativo dovere di diligenza, al pieno e puntuale rispetto delle formalità procedimentali, evitando gli aggravi imposti dalla rimessione in termini: per i quali ben potrebbe prospettarsi, anche alla luce del criterio di buona fede, un forma di immeritevole abuso).

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   (1) Precedenti conformi: in generale, sull’eterointegrazione del bando di gara, Cons. Stato, Ad. plen., 30.01.2014, n. 7; Cons. Stato, Ad. plen., 20.05.2013, n. 14 e, tra le tante, Tar per l’Abruzzo, Pescara, sez. I, 30.01.2020, n. 41.
        Precedenti difformi: non risultano precedenti difformi.
   (2) Precedenti conformi: in generale, sulla non soccorribilità delle carenze dell’offerta, Cons. Stato, Ad. Plen. 25.02.2014, n. 9 e, tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 13.02.2019, n. 1030. Sulla ammissibilità della richiesta di chiarimenti finalizzati a consentire l’interpretazione delle offerte e ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante alla gara, superando le eventuali ambiguità, fermo il divieto di integrazione dell’offerta, Cons. Stato, sez. V, 27.01.2020, n. 680.
        Precedenti difformi: alcune sentenze, richiamando la sentenza Corte di Giustizia UE, sez. VIII, 11.05.2017, C-131/2016 Archus, precisano che non è in contrasto con il principio della par condicio tra i concorrenti la richiesta di correzione o completamento dell’offerta su singoli punti, qualora l’offerta necessiti in modo evidente di un chiarimento o qualora si tratti di correggere errori materiali manifesti, fatto salvo il rispetto di alcuni requisiti: Cons. Stato, sez. V, 08.03.2022, n. 1663; Cons. Stato, sez. V, 27.03.2020, n. 2146. In relazione allo specifico caso in esame, avente ad oggetto la produzione del certificato di equipollenza dei titoli di studio, pur muovendo da analoghe premesse in ordine alla necessità della certificazione di che trattasi, hanno ritenuto che la stazione appaltante avrebbe potuto (e allora: dovuto) dare seguito all’iter di soccorso istruttorio, eventualmente sollecitando la produzione del certificato di equipollenza (o alla valorizzazione di risorsa alternativa), C.g.a., sez. giur., 02.01.2023, n. 4 e C.g.a., sez. giur., 06.03.2023, n. 174, le quali, tuttavia, giungono a tale conclusione, partendo dal presupposto che il curriculum vitae non fosse, come tale, qualificabile come “requisito di partecipazione”, ma come “mezzo a comprova del requisito di partecipazione”, ritenendo pertanto che non concretasse, per tale vita, “componente dell’offerta tecnica o economica” ed essendo semmai da includere tra la “documentazione amministrativa”, sicché la sua sostituzione, in ragione dell’anonimato, non sarebbe stata idonea a comportare una “modificazione soggettiva” dell’offerta
  (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.08.2023 n. 7870 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2023

APPALTILe varianti migliorative condizionate all'ok della Pa non sono causa di esclusione. E la commissione giudicatrice può attribuire un punteggio in sede di valutazione dell'offerta tecnica, afferma il Consiglio di Stato.
Le varianti migliorative presentate in sede di offerta la cui fattibilità è condizionata all'autorizzazione di enti o amministrazioni pubbliche ovvero coinvolge aree di proprietà di soggetti privati non comportano l'esclusione dalla gara dell'offerente che le abbia proposte. Tali varianti migliorative possono quindi essere legittimamente oggetto di attribuzione di un punteggio in sede di valutazione dell'offerta tecnica.
La loro concreta fattibilità attiene infatti alla fase esecutiva dell'appalto, cosicché l'eventuale mancata realizzazione delle indicate condizioni deve essere valutata ai fini dell'inadempimento contrattuale, rispetto al quale operano gli ordinari strumenti civilistici di tutela. Ne consegue che la verifica in ordine alla fattibilità delle varianti proposte non può trovare ingresso nella precedente fase di valutazione delle offerte in sede di gara.

Si è espresso in questi termini il Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.07.2023 n. 6644, le cui affermazioni vanno analizzate anche alla luce delle novità introdotte dal D.lgs. 36/2023 in tema di varianti migliorative in sede di offerta.
Il fatto
Un ente appaltante aveva bandito una procedura aperta per l'affidamento dell'esecuzione dei lavori di messa in sicurezza di alcune infrastrutture. L'aggiudicazione disposta agli esiti della gara veniva impugnata da un altro concorrente partecipante alla procedura. Il Tar Campania respingeva il ricorso, ma la pronuncia del primo giudice veniva appellata davanti al Consiglio di Stato.
In sede di appello il ricorrente riproponeva il medesimo unico motivo già sottoposto e respinto al giudice di primo grado. Tale motivo si fondava sulla ritenuta illegittimità dell'operato della commissione giudicatrice che aveva attribuito il punteggio massimo, nell'ambito dell'offerta tecnica, in relazione alle varianti migliorative presentate dall'aggiudicatario.
L'illegittimità derivava dal fatto che tali varianti non erano attuabili o per la necessaria autorizzazione di enti o amministrazioni pubbliche o perché ricadenti su aree di proprietà privata.
Il Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello.
Ha infatti ritenuto corrette le argomentazioni del giudice di primo grado che aveva ritenuto che fossero attinenti esclusivamente alla fase esecutiva le problematiche relative al conseguimento delle autorizzazioni, pareri e nulla osta necessari per la realizzazione delle varianti migliorative proposte. Così come ha considerato altresì irrilevante in sede di valutazione dell'offerta il fatto che alcune aree su cui sviluppare gli interventi oggetto delle varianti fossero di proprietà di soggetti privati.
Ricorda infatti il Consiglio di Stato che per giurisprudenza consolidata l'offerta che contenga varianti migliorative che comportano la realizzazione di interventi che insistono su aree di altre amministrazioni o di soggetti privati o che comunque necessitano di atti autorizzativi di altri enti pubblici non può mai essere esclusa dalla gara.
Si tratta infatti di elementi che attengono alla fase esecutiva del rapporto, che come tali possono essere valutati solo in caso di inadempimento dell'aggiudicatario nell'ipotesi in cui, chiamato a realizzare gli interventi oggetto di varianti, non riesca a ottenere le necessarie autorizzazioni o la disponibilità delle relative aree. L'immediata conseguenza di queste affermazioni è che l'offerta che contenga varianti migliorative la cui effettiva realizzazione è subordinata alle circostanze indicate non può essere considerata un'offerta condizionata, come tale inammissibile e soggetta ad esclusione in sede di gara.
Ciò in quanto non si tratta di condizioni in senso proprio che vengono in considerazione in sede di valutazione dell'offerta, bensì di circostanze da apprezzare in fase esecutiva che, qualora non si verifichino, rendono l'aggiudicatario inadempiente, con la conseguente possibilità per l'ente appaltante di attivare gli ordinari strumenti di tutela a fronte dell'inadempimento di obbligazioni contrattuali assunte dall'appaltatore.
L'insieme di queste considerazioni porta il giudice amministrativo d'appello a concludere che non solo l'offerta recante le varianti migliorative con le caratteristiche sopra rappresentate non può essere esclusa, ma che del tutto legittimamente la commissione giudicatrice ha considerato tali varianti in sede di valutazione dell'offerta tecnica del concorrente, attribuendogli il punteggio ritenuto congruo.
Il nuovo Codice
La disciplina delle varianti migliorative che i concorrenti possono presentare in sede di offerta riceve una rivisitazione significativa nel D.lgs. 36/2023.
Nel D.lgs. 50/2016 -normativa in vigore in relazione alla fattispecie oggetto della pronuncia in commento- era previsto che gli enti appaltanti potessero autorizzare la presentazione di varianti da parte dei concorrenti e in questo caso dovevano indicare nei documenti di gara i requisiti minimi che tali varianti dovevano avere per essere prese in considerazione nonché le modalità per la loro presentazione (articolo 95, comma 14).
Al riguardo si era sviluppato un dibattito incentrato sulla ritenuta distinzione tra varianti in senso proprio, consentite solo se preventivamente autorizzate dall'ente appaltante nei documenti di gara, e offerta migliorativa, che veniva invece sempre ammessa anche in mancanza di una specifica clausola autorizzatoria contenuta nel bando.
La giurisprudenza prevalente aveva infatti evidenziato che la possibilità di presentare da parte dei concorrenti migliorie rispetto al progetto posto a base di gara era elemento connaturato all'utilizzo del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Tali migliore erano quindi da ritenere sempre consentite - a prescindere da qualunque indicazione autorizzativa contenuta nei documenti di gara a condizione che le stesse non alterassero i caratteri essenziali delle prestazioni da rendere, cioè relativamente agli appalti di lavori non proponessero un'opera intrinsecamente e radicalmente diversa da quella richiesta dall'ente appaltante. Proprio sulla base di questo principio si era andata consolidando la distinzione tra varianti non consentite a meno che non vi fosse in questo senso un'esplicita autorizzazione nei documenti di gara e miglioramenti progettuali, ammessi sempre e comunque.
Questi ultimi venivano comunemente identificati come quelle soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, funzione e tipologia del progetto posto a base di gara, riguardavano singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell'opera, concretizzandosi in integrazioni, precisazioni e migliorie idonee a rendere il progetto meglio rispondente alle esigenze dell'ente appaltante, senza snaturarne i contenuti essenziali.
Nella pratica questa distinzione non era in realtà agevole. Da qui interpretazioni giurisprudenziali difficilmente riconducibili a un indirizzo univoco in merito a ciò che dovesse considerarsi variante in senso proprio (vietata, salvo esplicita preventiva autorizzazione nel bando di gara) o mera offerta migliorativa, sempre consentita. Il quadro è destinato a mutare a seguito delle previsioni del D.lgs. 36/2023.
Il nuovo Codice, all'articolo 108, comma 11, adotta una disciplina diversa e più restrittiva, che pone al centro un concetto diverso rispetto alle previgente normativa, e cioè l'ipotesi in cui la variante si traduca nell'offerta di opere aggiuntive rispetto al progetto esecutivo posto a base di gara. In sostanza le varianti migliorative, almeno a livello di formulazione espressa della norma, si identificano con l'offerta di opere aggiuntive.
La possibilità di presentare in sede di offerta tecnica opere aggiuntive è espressamente prevista, ma a questa astratta possibilità si accompagna un limite significativo. Viene infatti stabilito che è vietato all'ente appaltante in relazione a tali eventuali opere aggiuntive di attribuire uno specifico punteggio all'offerta tecnica presentata.
Tenendo conto di questa previsione, il nuovo quadro normativo sembra potersi sintetizzare secondo le seguenti linee interpretative:
   - le varianti in senso proprio al progetto posto a base di gara non sono mai ammesse, essendo venuta meno la facoltà della preventiva autorizzazione delle stesse nei documenti di gara da parte dell'ente appaltante;
   - è consentita in astratto la proposizione di opere aggiuntive, fermo restando che in concreto questa possibilità sembra incontrare degli ostacoli operativi nel momento in cui è precluso di attribuire un punteggio aggiuntivo alle offerte che contengano tali opere;
   - resta il tema dell'ammissibilità di modifiche migliorative al progetto contenute nell'offerta tecnica che non rappresentano vere e proprie varianti.
Fermo restando la difficoltà di stabilire in concreto quando si tratti di modifiche migliorative (ammesse) e di varianti in senso proprio (vietate), la possibilità di presentare in sede di offerta tecnica modifiche migliorative al progetto posto a base di gara sembra doversi consentire negli stessi termini e con le medesime limitazioni indicate dalla giurisprudenza formatasi nella vigenza del D.lgs. 50.
Resta infatti fermo il principio di fondo ripetutamente affermato in passato dal giudice amministrativo secondo cui vietare in termini assoluti la proposizione di soluzioni migliorative in sede di offerta tecnica appare una contraddizione insanabile rispetto all'utilizzo del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Tale criterio, infatti, trova uno dei suoi punti qualificanti proprio nei contributi progettuali che possono essere forniti dai concorrenti ai fini del miglioramento della qualità del progetto (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 14.07.2023).
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SENTENZA
Con un unico motivo di gravame, sostanzialmente, l’appellante contesta l’attribuzione alla controinteressata del punteggio massimo di 80 per l’offerta tecnica in relazione alle varianti migliorative presentate, che in realtà non erano attuabili o per la necessità di autorizzazioni di diversi enti e amministrazioni, o perché ricadenti su aree aventi interesse naturalistico o in proprietà di privati terzi, o perché costituivano stravolgimento del progetto.
Alla luce delle esposte argomentazioni tecniche, l’appellante chiede, altresì, la verifica tecnica dell’operato della commissione di gara, essendo palesi, a suo dire, le violazioni delle regole dell’arte e le oggettive quanto inspiegabili valutazioni tecniche.
La controinteressata, invece, assumendo l’infondatezza dell’appello unitamente all’amministrazione appellata, contesta con appello incidentale la mancata esclusione di S2, tra l’altro, per invalidità dell’avvalimento e per incongruità dell’offerta.
La sentenza appellata ha ritenuto proprie della fase esecutiva le problematiche connesse al mancato conseguimento di autorizzazioni/pareri/nulla osta sulle migliorie presentate dal concorrente nella gara e ha ritenuto, altresì, irrilevante che gli interventi proposti da Lombardi ricadano in parte in aree anche di proprietà privata, esterne ai limiti delle aree indicate dal RUP.
Il Collegio ritiene condivisibili le motivazioni della sentenza appellata alla luce dei consolidati precedenti della Sezione per i quali l’eventuale offerta che preveda interventi su aree di altre amministrazioni non potrebbe mai comportare l’esclusione del concorrente in quanto circostanza che attiene alla fase esecutiva del rapporto, potendo determinare l’inadempimento dell’aggiudicatario solo nel caso in cui i necessari permessi, assensi o autorizzazioni dei legittimi proprietari, pubblici o privati, non intervengano.
Le medesime considerazioni valgono con riferimento alla presunta inammissibilità dell’offerta perché le migliorie richiederebbero l’acquisizione di autorizzazioni/pareri/assensi.
Ed invero: “Non è infatti da ritenere condizionata l’offerta in cui l’operatore economico si sia impegnato, come nell’odierna fattispecie, immediatamente e senza limiti alla realizzazione dell’opera, anche laddove essa richieda il previo rilascio da parte di altra pubblica amministrazione di titoli abilitativi (Cons. Stato, V, 27.12.2017, n. 6085, che richiama C.G.A.R.S. 08.02.2017, n. 37): ciò, in quanto, il loro rilascio attiene non alla fase della valutazione dell’offerta, bensì alla fase di esecuzione, nel cui ambito, per l’ipotesi che l’aggiudicataria non si renda al riguardo parte diligente, soccorrono i rimedi che la legge riconnette all’inadempimento alle obbligazioni contrattuali” (Cons. Stato, V, n. 6212 del 2021).
Alla luce di ciò, gli interventi contestati dall’appellante non si appalesano dunque estranei ed esorbitanti dall’opera prevista, così da implicare sic et simpliciter l’azzeramento del punteggio tecnico assegnato a … (o l’esclusione di quest’ultima): trattasi invero di interventi che, in quanto relativi ad aree limitrofe a quelle direttamente interessate dall’opera e potenzialmente impattanti anche sull’accesso a queste ultime, ben possono, non irragionevolmente, essere considerati e valutati dalla stazione appaltante sulla base dei suindicati criteri previsti dalla lex specialis, nel perimetro dell’apprezzamento discrezionale rimesso alla stessa stazione appaltante per la valutazione dell’offerta tecnica. In tale contesto, peraltro, la sola natura eventualmente privata dell’area interessata dagli interventi non vale a escludere di per sé, in assenza di diverse evidenze offerte dall’appellante, i proposti benefici per l’opera, e dunque la valutabilità delle migliorie od opere aggiuntive ai fini dell’attribuzione del punteggio tecnico” (Cons. Stato, V, n. 5510 del 2021).

APPALTI: Sulla necessità del possesso ininterrotto dei requisiti anche in caso di cessione del ramo d’azienda.
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Contratti pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione – Appalto – Requisiti di partecipazione – Affitto del ramo d’azienda – Irregolarità fiscale - Esclusione.
La regola del possesso ininterrotto dei requisiti di partecipazione trova applicazione anche nell’ipotesi in cui – successivamente alla presentazione dell’offerta – sia intervenuto un contratto di affitto di ramo d’azienda, sicché l’irregolarità fiscale riscontrata nei confronti della cedente refluisce inevitabilmente sulla posizione della cessionaria subentrata in corso di procedura, determinandone l’esclusione ex art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016 (1).
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   (1) Conformi: Cons. Stato, sez. V, n. 6706 del 2021; Cons. Stato, sez. III, n. 5517 del 2021.
   Difformi: non risultano precedenti difformi.
Con la sentenza in commento, il Collegio ha respinto un ricorso proposto avverso un provvedimento recante l’esclusione di un operatore economico per non aver mantenuto i requisiti di cui all’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016 per l’intera durata della procedura di gara, essendo state accertate irregolarità fiscali nei confronti dell’impresa cedente.
Nella prospettiva del ricorrente, l’operazione di affitto d’azienda avrebbe dovuto determinare una cesura netta tra la posizione dell’originario concorrente e quella dell’operatore economico subentrante. Il provvedimento di esclusione sarebbe, dunque, illegittimo giacché al momento della sua emanazione l’Amministrazione aggiudicatrice aveva già concluso con esito positivo le verifiche sulla cedente del ramo d’azienda, per cui da quel momento avrebbe potuto valutare soltanto la situazione dell’impresa cessionaria.
Il Collegio ha ritenuto non condivisibile siffatto rilievo. Invero, “l’Adunanza Plenaria (decisione n. 8 del 20.07.2015) del Consiglio di Stato ha evidenziato che il possesso dei requisiti di ammissione si impone a partire dall’atto di presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica […]; sulla scorta delle riferite coordinate ermeneutiche la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto necessaria la verifica del possesso dei requisiti di cui all’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 anche in capo all’affittante l’azienda, oltre che naturalmente all’affittuario, onde evitare che il ricorso a tale strumento negoziale, così come ad altri pure ammissibili, possa costituire strumento per eludere il principio del possesso necessariamente continuativo dei requisiti di partecipazione” (cfr. Tar Lazio-Roma, n. 4276/2019; Cons. Stato, n. 6706/2021; Tar Lazio-Roma, n. 6144/2018).
Del resto “deve ritenersi che l’affitto dell’azienda, pur comportando una modifica dell’identità giuridica del titolare dell’azienda, assicuri comunque una continuità sostanziale dell’impresa, consentendo all’affittuario di proseguire ininterrottamente l’attività economica avvalendosi dell’insieme coordinato di mezzi già organizzato a tali fini dalla parte affittante. Per tali ragioni si giustifica, al ricorrere dei presupposti supra delineati e in applicazione del principio ubi commoda, ibi incommoda, l’imputazione in capo all’affittuario tanto dei benefici (in termini di possesso dei requisiti correlati alla disponibilità dell’azienda) quanto degli svantaggi (riferiti ad eventuali cause di esclusione ascrivibili al precedente titolare dell’azienda) discendenti dall’acquisita disponibilità dell’azienda” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 8081/2021).
Ad avviso del Collegio, non è in discussione la possibilità per gli operatori economici di dare vita ad operazioni societarie espressione dell’autonomia imprenditoriale né potrebbe fondatamente prospettarsi che la determinazione della S.A. sia limitativa di tale libertà, venendo piuttosto in rilievo la necessaria salvaguardia di ulteriori principi che presidiano le procedure ad evidenza pubblica, quali par condicio, concorrenza e trasparenza. “Ciò che non può essere ammesso è la scomparsa dal fuoco del controllo dei requisiti del soggetto cedente o locatore dell’azienda, altrimenti mediante la trasmissione dell’azienda si porrebbe a disposizione degli operatori economici un comodo strumento per eludere il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle selezioni pubbliche”.
Pertanto, la irregolarità fiscale riscontrata nei confronti della cedente refluisce inevitabilmente sulla posizione della cessionaria subentrata in corso di procedura giovandosi dei requisiti della cedente stessa, determinandone così l’esclusione ex art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016, poiché la regola del possesso ininterrotto dei requisiti di partecipazione per tutta la durata della procedura di gara trova applicazione anche nell’ipotesi in cui, successivamente alla presentazione dell’offerta, sia intervenuto il contratto di affitto (cfr. Cons. Stato, sent. n. 5517/2021)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 05.07.2023 n. 4011 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
Parte ricorrente, sostiene che gli atti impugnati sarebbero illegittimi poiché pretenderebbero di disporre l’esclusione dalla gara di un’impresa (-OMISSIS-) che non risulta più rivestire il ruolo di concorrente alla selezione, avendo ceduto la propria partecipazione, nell’ambito dell’operazione di cessione del complesso aziendale, ad altro soggetto giuridico (-OMISSIS- srl) che, per l’effetto, è subentrato assumendo la veste di concorrente ed una volta che la S.A., in pendenza di gara, aveva riscontrato positivamente il possesso dei requisiti di cui all’art. 80 del Codice in capo ad entrambi.
In buona sostanza, l’operazione di affitto d’azienda (messa in atto nell’ambito di una complessiva operazione di risanamento sfociata nella richiesta di concordato preventivo in continuità aziendale cd. indiretta, come si evince dal relativo decreto di omologa a pag. 8, vale a dire tramite la costituzione di una società ad hoc cui conferire l’intero compendio aziendale) avrebbe dovuto determinare una cesura netta tra la posizione dell’originario concorrente e quella dell’operatore economico subentrante, dovendo la stazione appaltante, una volta accertata in costanza di gara il possesso dei requisiti di cui all’art. 80 cit., restare indifferente e non mostrare più attenzione alle vicende che, specie con riguardo alla permanenza dei requisiti di cui all’art. 80 del Codice appalti, avrebbero potuto nel frattempo attingere la pozione del “dante causa”.
l rilievo non può essere condiviso.
Come giustamente evidenziato dalla So. e dalle altre parti resistenti, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisione n. 8 del 20.07.2015, che richiama le decisioni n. 10 del 2014, nn. 15 e 20 del 2013; nn. 8 e 27 del 2012; n. 1 del 2010), ha evidenziato che il possesso dei requisiti di ammissione si impone a partire dall’atto di presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica, in quanto, per esigenze di trasparenza e di certezza del diritto, che non collidono col principio del favor partecipationis, la verifica del possesso, da parte del soggetto concorrente, dei requisiti di partecipazione alla gara deve ritenersi immanente all’intero procedimento di evidenza pubblica (si tratta del cd. principio di continuità del possesso dei requisiti); sulla scorta delle riferite coordinate ermeneutiche la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto necessaria la verifica del possesso dei requisiti di cui all’art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 anche in capo all’affittante l’azienda, oltre che naturalmente all’affittuario, onde evitare che il ricorso a tale strumento negoziale, così come ad altri pure ammissibili, possa costituire strumento per eludere il principio del possesso necessariamente continuativo dei requisiti di partecipazione (cfr. TAR Lazio-Roma, n. 4276/2019; Cons. Stato, n. 6706/2021; TAR Lazio-Roma, n. 6144/2018).
Del resto “deve ritenersi che l’affitto dell’azienda, pur comportando una modifica dell’identità giuridica del titolare dell’azienda, assicuri comunque una continuità sostanziale dell’impresa, consentendo all’affittuario di proseguire ininterrottamente l’attività economica avvalendosi dell’insieme coordinato di mezzi già organizzato a tali fini dalla parte affittante. Per tali ragioni si giustifica, al ricorrere dei presupposti supra delineati e in applicazione del principio ubi commoda, ibi incommoda, l’imputazione in capo all’affittuario tanto dei benefici (in termini di possesso dei requisiti correlati alla disponibilità dell’azienda) quanto degli svantaggi (riferiti ad eventuali cause di esclusione ascrivibili al precedente titolare dell’azienda) discendenti dall’acquisita disponibilità dell’azienda La continuità sostanziale dell’impresa, dunque, costituisce un effetto naturale del contratto di affitto di azienda, che, in ragione della sua portata generale, deve poter essere apprezzato non soltanto nelle ipotesi in cui la fattispecie negoziale si realizzi prima dell’indizione della gara, ma anche qualora il contratto sia concluso in sua pendenza da un operatore economico che abbia già assunto la posizione di candidato, offerente o aggiudicatario della procedura di affidamento, consentendosi in siffatte ipotesi il subentro dell’affittuario nella posizione dell’affittante ai fini della partecipazione alla pubblica gara” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 8081/2021).
Peraltro, “l'affitto d'azienda, alla stessa stregua della cessione, mette l'affittuario/cessionario in condizione di potersi giovare dei requisiti e delle referenze in relazione al compendio aziendale; l'atto di cessione di azienda abilita la società subentrante, previa verifica dei 5 contenuti effettivamente traslativi del contratto di cessione, ad utilizzare i requisiti maturati dalla cedente, atteso che sono certamente riconducibili al patrimonio della società o dell’imprenditore cessionari. I requisiti posseduti dal soggetto cedente devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all'attività propria del ramo o dell’azienda ceduta (Consiglio di Stato sez. III, 17/03/2017, n. 1212). In caso di subentro di una società ad altra a seguito di affitto di azienda opera la presunzione di continuità in quanto sia pure mediante percezione del canone per la durata dell’affitto, il locatore si giova dei risultati economici dell’azienda conseguiti dalla successiva gestione e l’affittuario a sua volta si giova delle referenze del complesso aziendale acquisito (Consiglio di Stato sez. V, 21.08.2017 n. 4045). Come afferma Adunanza Plenaria n. 10 del 04.05.2012, la continuità dell’attività imprenditoriale ben può verificarsi in ipotesi di cessione di azienda o di ramo di azienda a titolo particolare, consistente nel passaggio all’avente causa dell’intero complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda stessa o il suo ramo si sostanzia. Il cessionario, così come si avvale dei requisiti del cedente sul piano della partecipazione a gare pubbliche, così risente delle conseguenze sullo stesso piano delle eventuali responsabilità del cedente. Pertanto, senza alcun dubbio, la regola del possesso ininterrotto dei requisiti di partecipazione per tutta la durata della procedura di gara trova applicazione anche nell’ipotesi in cui, successivamente alla presentazione dell’offerta, sia intervenuto il contratto di affitto” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 5517/2021).
Non è affatto in discussione la possibilità per gli operatori economici di dare vita ad operazioni societarie espressione dell’autonomia imprenditoriale né potrebbe fondatamente prospettarsi che la determinazione della S.A. sia limitativa di tale libertà, venendo piuttosto in rilievo la necessaria salvaguardia di ulteriori principi che presidiano le procedure ad evidenza pubblica, quali par condicio, concorrenza e trasparenza e gli effetti che in tale specifico ambito non possono non assumere le suddette scelte imprenditoriali che per di più nel caso di specie sono state poste in essere in un’ottica di chiara continuità operativa tra i due soggetti coinvolti come documentalmente comprovato dallo stesso decreto di omologa del concordato preventivo.
Alcun rilievo possono assumere nella vicenda per cui è causa gli approdi giurisprudenziali pure citati da parte ricorrente che a ben vendere si riferiscono ad ipotesi in cui le operazioni di gara erano state ultimate con l’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, registrandosi in un momento successivo all’ultimazione delle operazioni di gara fenomeni di subentro quali quello per cui è causa.
Ciò che non può essere ammesso è la scomparsa dal fuoco del controllo dei requisiti del soggetto cedente o locatore dell’azienda, altrimenti mediante la trasmissione dell’azienda si porrebbe a disposizione degli operatori economici un comodo strumento per eludere il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle selezioni pubbliche.
In altre parole, la irregolarità fiscale riscontrata nei confronti della -OMISSIS- (quale cedente del ramo di azienda) refluisce inevitabilmente sulla posizione della cessionaria (-OMISSIS-) –subentrata in corso di procedura giovandosi dei requisiti della cedente- determinandone così l’esclusione dalla medesima procedura ex art. 80, co. 4, del d.lgs. n. 50/2016, poiché la regola del possesso ininterrotto dei requisiti di partecipazione per tutta la durata della procedura di gara trova applicazione anche nell’ipotesi in cui, successivamente alla presentazione dell’offerta, sia intervenuto il contratto di affitto (cfr. Cons. Stato, sent. n. 5517/2021).
L’esigenza sottesa ad una simile interpretazione, secondo la condivisibile giurisprudenza, è ancora più evidente nel caso in cui si tratti di affitto (come nella fattispecie) e non di cessione dell’azienda, “dal momento che l’influenza dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti…”.
A tale specifico riguardo (contratto di affitto di azienda) è stato affermato proprio che: “non soltanto l'affittuario è in condizione di utilizzare mezzi d'opera e personale facenti capo all'azienda affittata ma, soprattutto, si mette in condizione di avvantaggiarsi anche dei requisiti di ordine tecnico organizzativo ed economico finanziario facenti capo a tale azienda, per quanto ciò avvenga per un periodo di tempo determinato e malgrado la reversibilità degli effetti una volta giunto a scadenza il contratto di affitto d'azienda, con l'obbligo di restituzione del complesso aziendale” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 12.12.2018, n. 7022, cit.; Cons. Stato, sez. V, 05.11.2014, n. 5470, cit.) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 05.07.2023 n. 4011 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: A fronte di una certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate che attesti l’irregolarità del concorrente ai sensi dell’art. 80, co. 4, del codice, l’esclusione costituisce un atto dovuto.
Le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti si impongono alle stazioni appaltanti che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni.
Spetta, infatti, in via esclusiva all'Agenzia delle Entrate il compito di dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a gara pubblica, non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti previdenziali.
È evidente che il vincolo posto alle stazioni appaltanti di attenersi alle risultanze delle certificazioni rilasciate dagli enti preposti risponda allo scopo di ridurre i possibili arbitrii nelle verifiche delle Amministrazioni aggiudicatrici oltre che di garantire una maggior certezza e speditezza delle procedure di affidamento.
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In merito al provvedimento di esclusione e se ciò determini, o meno, la carenza di legittimazione a ricorrere avverso l’aggiudicazione, occorre rilevare al riguardo che:
   - per consolidata giurisprudenza, nel processo amministrativo la mera partecipazione (di fatto) alla gara non è sufficiente ad attribuire la legittimazione ad agire;
   - la situazione legittimante costituita dall'intervento nel procedimento selettivo deriva, infatti, da una posizione qualificata che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell'ammissione del soggetto ricorrente alla gara;
   - pertanto, la definitiva e inoppugnabile esclusione dalla gara o l'accertamento giurisdizionale retroattivo della sua legittimità impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione soggettiva sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva;
   - essendosi, dunque, nella specie, accertata la legittimità dell'esclusione -OMISSIS- dalla procedura di affidamento oggetto di causa, lotto 1, la medesima è carente di legittimazione ad agire avverso l’aggiudicazione in favore dell’odierna controinteressata: l'accoglimento dei motivi aggiunti rivolti a tale provvedimento non comporterebbe, infatti, l’affidamento dell'appalto in suo favore, ma la ripetizione della gara, laddove, però, l'interesse strumentale alla rinnovazione della gara può essere perseguito soltanto da una impresa che non sia stata esclusa, in quanto il provvedimento estromissivo risultato legittimo priva il concorrente della disponibilità di qualsivoglia interesse qualificato, anche di mera natura strumentale, preordinato ad ottenere la riedizione integrale della procedura; diversamente opinando anche un quisque de populo sarebbe legittimato ad impugnare bandi o fasi valutative di gare in relazione alle quali egli sia rimasto estraneo, dovendosi equiparare a tale posizione il concorrente escluso per carenza di offerta ammissibile.
Peraltro un tale approdo non contrasta gli orientamenti della giurisprudenza della Corte di Giustizia per la quale il concorrente che sia escluso dalla procedura di gara con provvedimento definitivo (come tale si deve ritenere anche il provvedimento espulsivo impugnato in questa sede) è privo di legittimazione a ricorrere avverso gli ulteriori atti della procedura, ivi compresa l’aggiudicazione definitiva ad altro concorrente.
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II) Con il secondo motivo di doglianza parte ricorrente sostiene che l’originario concorrente non verserebbe in una condizione di grave irregolarità fiscale definitivamente accertata, tenuto conto che -OMISSIS- (chiaramente elencate dalla S.A. nella comunicazione di avvio del procedimento, ad onta del deficit comunicativo prospettato da controparte) sarebbero oggetto di perdurante contestazione in sede giurisdizionale.
Il rilievo non merita positiva considerazione.
Al riguardo deve evidenziarsi che il provvedimento di esclusione trae origine dalle inequivoche risultanze della certificazione dell’Agenzia delle Entrate che ha attestato la sussistenza -OMISSIS- che, per l’effetto, in pendenza della selezione ha irrimediabilmente perso un requisito di partecipazione; con l’ulteriore rilievo che, contrariamente a quanto prospettato da controparte, con la comunicazione acquisita al prot. SRA--OMISSIS-, nel trasmettere la certificazione attestante -OMISSIS- della ricorrente, l’Agenzia dell’Entrate ha altresì evidenziato che “A seguito della richiesta di informazioni questo Ufficio si è prontamente attivato richiedendo all’Agente della Riscossione per la provincia di Napoli notizie in merito alla vigenza di alcune sospensioni disposte dall’Autorità Giudiziaria riferite a -OMISSIS-. Il predetto Agente con nota -OMISSIS-, ha comunicato l’assenza di sospensioni, definizioni agevolata e rateizzazioni. Conseguentemente, si è appurato che l’Autorità giudiziaria in data -OMISSIS- ha disposto la revoca -OMISSIS-, il cui dato risulta, all’attualità, aggiornato in procedura. Conseguentemente, si trasmette il certificato rilasciato in data odierna (allegato) che annulla e sostituisce quello inviato in data -OMISSIS-. In merito alle ulteriori richieste di informazioni circa le posizioni debitorie definitivamente accertate 7 presso l’erario alle date del -OMISSIS- si comunica che non risultano carichi pendenti definitivamente accertati, stante la presenza di sospensioni non revocate alle predette date”.
Considerato il chiaro contenuto negativo della certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, alla Stazione appaltante non restava che procedere all’esclusione, come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, anche di questa Sezione, secondo cui: “a fronte di una certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate che attesti l’irregolarità del concorrente ai sensi dell’art. 80, co. 4, del codice, l’esclusione costituisce un atto dovuto. Le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti si impongono alle stazioni appaltanti che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni; spetta, infatti, in via esclusiva all'Agenzia delle Entrate il compito di dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a gara pubblica, non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti previdenziali” (cfr. TAR Campania-Napoli, Sez. I, n. 775/2022 e n. 114/2020; Cons. Stato, Sez. III, n. 8148/2020; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 8/2012; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2682/2013 ).
È evidente che il vincolo posto alle stazioni appaltanti di attenersi alle risultanze delle certificazioni rilasciate dagli enti preposti risponda allo scopo di ridurre i possibili arbitrii nelle verifiche delle Amministrazioni aggiudicatrici oltre che di garantire una maggior certezza e speditezza delle procedure di affidamento.
Peraltro secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate, l’impugnazione proposta innanzi alla Commissione tributaria, connotata interinalmente da un provvedimento di sospensione cautelare poi revocato, riguardava l’atto di liquidazione emesso dall’Agente della Riscossione in riscontro alla domanda di definizione agevolata, non già le -OMISSIS-, rimaste dunque incontestate (al pari, secondo quanto evidenziato dall’Agenzia delle Entrate, dei presupposti avvisi di accertamento); come chiarito dalla giurisprudenza “la definitività dell'accertamento tributario decorre non dalla notifica della cartella esattoriale -in sé, semplice atto con cui l'agente della riscossione chiede il pagamento di una somma di denaro per conto di un ente creditore, dopo aver informato il debitore che il detto ente ha provveduto all'iscrizione a ruolo di quanto indicato in un precedente avviso di accertamento- bensì dalla comunicazione di quest'ultimo. La cartella di pagamento (che infatti non è atto del titolare della pretesa tributaria, ma del soggetto incaricato della riscossione) "costituisce solo uno strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale, cioè non possiede ... alcuna autonomia che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui l'obbligazione è stata enunciata” (ex multis, Cass., SS.UU., 08.02.2008, n. 3001), laddove è l'avviso di accertamento l'atto mediante il quale l'ente impositore notifica formalmente la pretesa tributaria al contribuente, a seguito di un'attività di controllo sostanziale.
E' invece l'avviso di accertamento il titolo esecutivo della pretesa tributaria, ossia l'atto formale con cui l’Amministrazione finanziaria muove una precisa contestazione al contribuente in merito all'adempimento di una specifica obbligazione fiscale: con esso vengono indicati al contribuente i dati di fatto e di diritto per i quali è richiesto un versamento, nonché la misura dello stesso (art. 42 del D.P.R. 29.09.1973, n. 600) e l'imponibile (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 8148/2020).
In ordine, poi, all’ulteriore argomento (peraltro esposto dalla ricorrente in via del tutto residuale sia nel ricorso introduttivo che nei motivi aggiunti), relativo all’esistenza di un concordato preventivo presentato in data -OMISSIS- è pacifico che la legge 134/2012 ha sottratto l’istituto del concordato preventivo con continuità aziendale, di cui all’art. 186-bis L.F, dal novero delle cause che determinano l’esclusione dell’impresa dalla partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.
Nondimeno, il legislatore con il citato art. 186-bis, comma 4, ha considerato la partecipazione alla gara come un atto da sottoporre comunque e sempre al controllo giudiziale del Tribunale fallimentare.
In proposito, giova richiamare la sentenza del Consiglio di Stato – Adunanza Plenaria 27/05/2021 n. 11, laddove è precisato che “la centralità e l’importanza che riveste l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione alla gara, conduce a ritenere che il rilascio e il deposito di tale autorizzazione debba intervenire prima che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto di aggiudicazione.
Si tratta di una posizione che già è stata fatta propria dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (Cons. St., sez. V, n. 1328 del 2020), alla quale si è richiamata anche l’ANAC (delibera n. 362 del 2020), e che ha il pregio di individuare un limite temporale definito, (più) idoneo ad assicurare l’ordinato svolgimento della procedura di gara, senza far carico l’amministrazione aggiudicatrice e gli altri concorrenti dei possibili ritardi legati ai tempi di rilascio (o di richiesta) dell’autorizzazione... così ….. è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un’autorizzazione tardiva ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione possa avere efficacia integrativa o sanante
”.
In definitiva le censure avverso il provvedimento di esclusione si appalesano infondate e ciò determina la carenza di legittimazione a ricorrere avverso l’aggiudicazione e la conseguente improcedibilità dei motivi aggiunti.
Ed infatti, occorre rilevare al riguardo che:
   - per consolidata giurisprudenza, seguita anche da questa Sezione, nel processo amministrativo la mera partecipazione (di fatto) alla gara non è sufficiente ad attribuire la legittimazione ad agire (cfr. TAR Campania, sez. I, n. 3805/2017);
   - la situazione legittimante costituita dall'intervento nel procedimento selettivo deriva, infatti, da una posizione qualificata che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell'ammissione del soggetto ricorrente alla gara;
   - pertanto, la definitiva e inoppugnabile esclusione dalla gara o l'accertamento giurisdizionale retroattivo della sua legittimità impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione soggettiva sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 924/2015);
   - essendosi, dunque, nella specie, accertata –nei sensi dianzi illustrati– la legittimità dell'esclusione -OMISSIS- dalla procedura di affidamento oggetto di causa, lotto 1, la medesima è carente di legittimazione ad agire avverso l’aggiudicazione in favore dell’odierna controinteressata: l'accoglimento dei motivi aggiunti rivolti a tale provvedimento non comporterebbe, infatti, l’affidamento dell'appalto in suo favore, ma la ripetizione della gara, laddove, però, l'interesse strumentale alla rinnovazione della gara può essere perseguito soltanto da una impresa che non sia stata esclusa, in quanto il provvedimento estromissivo risultato legittimo priva il concorrente della disponibilità di qualsivoglia interesse qualificato, anche di mera natura strumentale, preordinato ad ottenere la riedizione integrale della procedura; diversamente opinando anche un quisque de populo sarebbe legittimato ad impugnare bandi o fasi valutative di gare in relazione alle quali egli sia rimasto estraneo, dovendosi equiparare a tale posizione il concorrente escluso per carenza di offerta ammissibile (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 3688/2016; TAR Campania, sez. I, 3805/2017; TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 2567/2015; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, n. 119/2015; sez. II, n. 294/2016; TAR Umbria Perugia, n. 205/2016; TAR Lazio, Roma, sez. III, n. 7540/2016).
Peraltro un tale approdo non contrasta gli orientamenti della giurisprudenza della Corte di Giustizia per la quale il concorrente che sia escluso dalla procedura di gara con provvedimento definitivo (come tale si deve ritenere anche il provvedimento espulsivo impugnato in questa sede) è privo di legittimazione a ricorrere avverso gli ulteriori atti della procedura, ivi compresa l’aggiudicazione definitiva ad altro concorrente (cfr. Cons. Stato n. 374/2020 che richiama Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 21.12.2016 C-355/15 Bietregemeinschaft Technische Gebaudedetreuung Gesmbh un Caverion Osterreich; Cons Stato, sez. V, 12.09.2019, n. 6159; V, 25.06.2018 n. 3923; V, 23.03.2018, n. 1849; V, 08.11.2017, n. 5161) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 05.07.2023 n. 4011 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2023

APPALTI: Gare, escluso chi non paga contributo dovuto all'Anac.
Il pagamento all'Anac del contributo è condizione di ammissibilità alla gara; in caso di omesso pagamento scatta l'esclusione.

Lo ha precisato il TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, con la sentenza 29.06.2023 n. 946.
La vicenda riguardava una gara di appalto in cui un concorrente (peraltro unico partecipante alla selezione), a seguito di un malfunzionamento della piattaforma MePa, aveva presentato in cartaceo la documentazione per la partecipazione mezz'ora prima del termine finale, senza però riuscire ad effettuare il pagamento del contributo Anac.
Successivamente la commissione di gara aveva riscontrato la mancata produzione dell'attestazione del pagamento di tale contributo e ne aveva disposto l'acquisizione tramite la procedura di soccorso istruttorio, chiedendo lumi all'Anac sulla legittimità dell'operato. L'Autorità riteneva l'operato non conforme a legge e da qui il ricorso.
I giudici calabri premettono che Il pagamento del contributo Anac previsto dall'art. 1, comma 67, L. n. 266/2005 ha natura di «contribuzione obbligatoria» di scopo che è espressamente finalizzata alla copertura dei costi relativi al funzionamento dell'Anac posti (in parte) a carico, per quanto qui occorre evidenziare, degli operatori economici sottoposti alla vigilanza dell'Autorità la cui mancata corresponsione è sanzionata, per legge, con l'inammissibilità dell'offerta.
Tale contributo Anac costituisce inoltre «condizione di ammissibilità dell'offerta», cosicché il mancato versamento entro il termine di presentazione della domanda di partecipazione comporta automaticamente e obiettivamente l'inammissibilità dell'offerta e conseguentemente l'esclusione del concorrente.
Per il Tar, quindi, l'omesso versamento del contributo non dà luogo quindi a una causa di esclusione in senso stretto per mancanza dei requisiti partecipativi di ordine generale o speciale. Peraltro, si riferisce nella sentenza, è emerso che non si erano registrati problemi tecnici sulla piattaforma telematica Anac tali da impedire il pagamento del contributo entro la data di decadenza per come stabilito dal bando (articolo ItaliaOggi del 14.07.2023).
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SENTENZA
Considerato che:
   - la ricorrente non ha versato il contributo A.n.a.c., stabilito dall’art. 1, comma 67, L. n. 266/2005, nei termini di gara, in violazione dell’art. 12.4 del disciplinare, secondo cui “il mancato pagamento del contributo di gara nei termini, ovvero l’impossibilità di dimostrazione dello stesso, comporta l’esclusione del concorrente dalla procedura di gara, ai sensi dell’art. 1, comma 67, della L. 266/2005”;
   - a mente dell’art. 1, comma 67, L. n. 266/2005, richiamato dall’art. 12.4 del disciplinare, l’A.n.a.c. “cui è riconosciuta autonomia organizzativa e finanziaria, ai fini della copertura dei costi relativi al proprio funzionamento di cui al comma 65 determina annualmente l'ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, nonché le relative modalità di riscossione, ivi compreso l'obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori economici quale condizione di ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche”;
   - il pagamento del contributo A.n.a.c. previsto dall’art. 1, comma 67, L. n. 266/2005 «ha natura di “contribuzione obbligatoria” (cfr., Corte costituzionale 06.07.2007, n. 256) di scopo che è espressamente finalizzata alla copertura dei costi relativi al funzionamento dell’ANAC posti (in parte) a carico, per quanto qui occorre evidenziare, degli operatori economici sottoposti alla vigilanza dell’Autorità la cui mancata corresponsione è sanzionata, per legge, con l’inammissibilità dell’offerta, in deroga alla disciplina generale di cui all’art. 80, comma 4,» del D.Lgs. n. 50/2016 (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 07.10.2021, n. 10331);
   - tale contributo A.n.a.c. costituisce inoltre “condizione di ammissibilità dell'offerta”, cosicché il mancato versamento entro il termine di presentazione della domanda di partecipazione «comporta automaticamente e obiettivamente l’inammissibilità dell’offerta e conseguentemente l’esclusione del concorrente, autore di un’offerta non ammissibile per legge, analogamente a quanto stabilisce l’art. 59, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, per le offerte “considerate inammissibili” al ricorrere dei presupposti ivi indicati» (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 07.10.2021, n. 10331; Consiglio di Stato, Sez. III, 12.03.2018, n. 1572);
   - sebbene il Collegio sia consapevole della sussistenza di orientamenti giurisprudenziali non univoci in materia, alla luce degli indicati e condivisibili assunti interpretativi l’omesso versamento del contributo non dà luogo quindi a una causa di esclusione in senso stretto per mancanza dei requisiti partecipativi di ordine generale o speciale e pertanto, per un verso, ad esso non si attagliano le censure della ricorrente relative alla disciplina sulle cause di esclusione dalla gara e al principio del favor partecipationis, mentre sotto concorrente profilo la prescrizione contenuta nell’art. 12.4 della lex specialis risulta ragionevole e conforme art. 1, comma 67, L. n. 266/2005; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 15.05.2023, n. 747);
Considerato altresì che:
   - dalle evidenze processuali è emerso che, quanto meno a decorrere dal 03.05.2022, non si sono registrati problemi tecnici sulla piattaforma telematica A.n.a.c. tali da impedire il pagamento del contributo entro la data di decadenza per come stabilito dal bando, atteso che la ricorrente alla data del 03.05.2023 aveva chiesto e ottenuto il rilascio del certificato PassOE che presuppone l’individuazione del C.I.G., a sua volta necessario per procedere al pagamento del contributo;
Ritenuto che:
   - il gravame si palesa quindi infondato e la controversia può essere decisa in forma semplificata ex art. 74 c.p.a.;

anno 2022
luglio 2022

ATTI AMMINISTRATIVI - AMBIENTE-ECOLOGIA: Sulla legittimità, o meno, dell'ordinanza sindacale di proroga tecnica del servizio di igiene urbana.
Per condivisa giurisprudenza amministrativa: “deve ritenersi legittimo il ricorso all'istituto della ordinanza contingibile ed urgente per la proroga del contratto del servizio di gestione dei rifiuti, malgrado il Comune non si sia tempestivamente attivato per la indizione della gara per l'affidamento di tale servizio, in quanto la situazione di pericolo per la salute pubblica e l'ambiente connesse alla gestione dei rifiuti, non fronteggiabile adeguatamente con le ordinarie misure, legittimava comunque il sindaco all'esercizio dei poteri "extra ordinem" riconosciutigli dall'ordinamento giuridico (art. 50 d.lgs. 18.08.2000 n. 267) e, di fronte all'urgenza di provvedere, non rileva affatto chi o cosa abbia determinato la situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere”.
In termini confermativi, si è condivisibilmente affermato che: “L'esecuzione del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani deve, in generale, essere svolto con efficacia ed immediatezza a tutela del bene pubblico indicato dalla legge; pertanto qualora la necessità di provvedere si appalesi imperiosa —specie al fine di prevenire eventuali ipotesi di emergenze sanitarie e di igiene pubblica— il Sindaco può legittimamente ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente, ai sensi dell' art. 50, comma 5, del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 , anche se sussiste una apposita disciplina che regoli, in via ordinaria, la materia. L'acclarato legittimo esercizio del potere di ordinanza —in presenza dei presupposti di cui all'art. 191 del T.U. ambiente— giustifica la deroga ad ogni altra normativa di settore, essendo caratteristica propria delle ordinanze ambientali di cui all' art. 191 del d.lgs. 152/2006 (così come, in genere, di tutte le ordinanze extra ordinem contemplate dall'ordinamento) quella di poter operare in deroga alle disposizioni vigenti”.
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... per l'annullamento:
   - delle Ordinanze Sindacali n. 76/2019 del 22.05.2019 e n. 95/2019 del 26.06.2019 del Comune di Castellaneta, aventi entrambe ad oggetto la proroga tecnica del servizio di igiene urbana,
   - nonché per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno da essa subito nella vicenda in esame.
...
1. La ricorrente –aggiudicataria in ATI con Er. s.r.l. del servizio di raccolta e gestione dei rifiuti solidi urbani nel territorio del Comune di Castellaneta– ha impugnato le ordinanze Sindacali n. 76/2019 del 22.05.2019 e n. 95/2019 del 26.06.2019 del Comune di Castellaneta, aventi entrambe ad oggetto la proroga tecnica del servizio di igiene urbana.
A sostegno del ricorso, essa ha articolato i seguenti motivi di gravame, appresso sintetizzati:
   1) violazione degli artt. 23, 41 e 97 Cost; 50 d.lgs. n. 267/2000; eccesso di potere sotto vari profili;
   2) violazione degli artt. 23, 41 e 97 Cost; 50 d.lgs. n. 267/2000; 191 d.lgs. n. 152/2006; eccesso di potere sotto vari profili;
   3) violazione degli artt. 23, 41 e 97 Cost; 205 d.lgs. n. 152/2006; eccesso di potere sotto vari profili.
Ha chiesto pertanto l’annullamento degli atti impugnati, instando altresì per il risarcimento dei danni da essa subiti nella vicenda in esame. Il tutto con vittoria delle spese di lite.
...
3. Nel merito, con i primi due motivi di gravame, che possono essere esaminati congiuntamente, per comunanza delle relative censure, la ricorrente deduce l’illegittimità delle impugnate ordinanze contingibili e urgenti, avuto riguardo –in thesi– all’assenza della situazione di eccezionalità/imprevedibilità, la quale cosa avrebbe imposto l’adozione di rimedi di natura ordinaria.
Le censure sono infondate.
3.1. Premette anzitutto il Collegio che, per condivisa giurisprudenza amministrativa: “deve ritenersi legittimo il ricorso all'istituto della ordinanza contingibile ed urgente per la proroga del contratto del servizio di gestione dei rifiuti, malgrado il Comune non si sia tempestivamente attivato per la indizione della gara per l'affidamento di tale servizio, in quanto la situazione di pericolo per la salute pubblica e l'ambiente connesse alla gestione dei rifiuti, non fronteggiabile adeguatamente con le ordinarie misure, legittimava comunque il sindaco all'esercizio dei poteri "extra ordinem" riconosciutigli dall'ordinamento giuridico (art. 50 d.lgs. 18.08.2000 n. 267) e, di fronte all'urgenza di provvedere, non rileva affatto chi o cosa abbia determinato la situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere” (TAR Lecce, I, 19.02.2019, n. 275).
In termini confermativi, si è condivisibilmente affermato che: “L'esecuzione del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani deve, in generale, essere svolto con efficacia ed immediatezza a tutela del bene pubblico indicato dalla legge; pertanto qualora la necessità di provvedere si appalesi imperiosa —specie al fine di prevenire eventuali ipotesi di emergenze sanitarie e di igiene pubblica— il Sindaco può legittimamente ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente, ai sensi dell' art. 50, comma 5, del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 , anche se sussiste una apposita disciplina che regoli, in via ordinaria, la materia. L'acclarato legittimo esercizio del potere di ordinanza —in presenza dei presupposti di cui all'art. 191 del T.U. ambiente— giustifica la deroga ad ogni altra normativa di settore, essendo caratteristica propria delle ordinanze ambientali di cui all' art. 191 del d.lgs. 152/2006 (così come, in genere, di tutte le ordinanze extra ordinem contemplate dall'ordinamento) quella di poter operare in deroga alle disposizioni vigenti” (TAR Catania, IV, 16.09.2019, n. 2196).
3.2. Tanto premesso, e venendo ora alla fattispecie in esame, rileva il Collegio che, con contratto rep. n. 2237/16 le parti hanno espressamente pattuito (art. 2) che: “il contratto avrà durata di anni 2 (due) decorrenti dal 27.06.2016, data di consegna dell’appalto sotto riserva di legge. Qualora dopo la scadenza del contratto fosse necessario prorogare l’affidamento per il tempo occorrente per l’espletamento di una nuova gara di appalto, previa comunicazione inviata entro tre mesi dalla scadenza (…) l’Impresa Appaltatrice sarà tenuta alla prosecuzione del servizio, in regime di temporanea “prorogatio” per almeno trecento giorni e fino ad un massimo di trecentosessanta giorni dalla naturale scadenza, senza poter pretendere, in aggiunta al canone vigente al termine del periodo contrattuale ed agli eventuali aggiornamenti ISTAT (…) indennizzo alcuno”.
Pertanto, sino al 26.06.2019 l’Amministrazione era legittimata a ricorrente alla proroga, durante il tempo di “espletamento di una nuova gara di appalto”.
In tal senso essa ha disposto con Determina n. 951/18, che ha disposto proroga sino al 29.04.2019.
3.3. In data 18.03.2019 si è tenuta presso la Prefettura una riunione, nel corso della quale il Direttore dell’Ager ha dichiarato che: “… sarebbe necessario che il Sindaco adottasse provvedimenti extra ordinem previsti dal TUEL al fine di scongiurare emergenze igienico-sanitarie”.
Sulla base di tale premesse, con ordinanza sindacale n. 53/19, visto il bando di gara ponte pubblicato in data 08.04.2019, è stata disposta proroga del servizio sino al 26.05.2019, e pertanto, entro il suddetto termine contrattuale del 26.06.2019.
In pendenza del procedimento di affidamento della nuova gara, il servizio è stato prorogato con l’impugnata ordinanza sindacale n. 76/19 sino al 27.06.2019, e pertanto, con un solo giorno di ritardo rispetto alla scadenza del 26.06.2019.
Indi, con successiva ordinanza sindacale n. 95/19 (parimenti impugnata), è stata disposta proroga del servizio sino al 16.07.2019.
4. Emerge pertanto da quanto sopra che:
   - la proroga del servizio sino al 26.06.2019 era stata convenzionalmente pattuita dalle parti, in pendenza dei presupposti (necessità di procedere all’indizione di nuova gara di appalto);
   - la successiva proroga sino al 16.07.2019 è stata disposta previa riunione prefettizia, nella quale si è convenuto in ordine alla necessità di proroga, stante la pendenza della procedura per l’affidamento del servizio in esame.
5. Per tali ragioni, reputa il Collegio che il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente costituisca esercizio non irragionevole di discrezionalità amministrativa, essendo la proroga stata disposta al fine di evitare soluzioni di continuità nella gestione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in pendenza della gara per l’affidamento del servizio.
6. Alla luce di tali considerazioni, i primi due motivi di gravame sono infondati, e devono pertanto essere rigettati (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 19.07.2022 n. 1238 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2022

APPALTIQuesto Consiglio ha più volte affermato che l’art. 89, comma 1, cod. appalti -nell’imporre in capo all’ausiliario l’esecuzione diretta dei lavori o dei servizi in caso di avvalimento relativo ai «criteri relativi all’indicazione dei titoli di studio e professionali di cui all’allegato XVII, parte II, lett. f), o alle esperienze professionali pertinenti»- pone una norma di stretta interpretazione, perché restringe l’ambito di operatività dell’istituto tratteggiato al primo periodo della stessa disposizione, secondo cui, «[l]’operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui all’articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lett. b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, nonché il possesso dei requisiti di qualificazione di cui all’articolo 84, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche di partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi».
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7.- Con il secondo motivo di appello, Se. si duole che il Tar Campania, in violazione dell’art. 89, comma 1, cod. contratti pubblici, abbia escluso la necessità che, in relazione al requisito esperenziale sopra detto, il contratto di avvalimento preveda un impegno diretto ed espresso dall’ausiliaria a prestare in proprio le prestazioni oggetto del servizio.
Anche questa statuizione del primo giudice, che si fonda sulla medesima considerazione sopra svolta -e cioè che oggetto del prestito non sia il personale qualificato ma l’esperienza triennale di gestione- è corretta.
Questo Consiglio ha più volte affermato (sez. IV, sentenza 17.12.2020, n. 8111; sez. V, sentenza 26.04.2021, n. 3374; sez. III, sentenza 09.03.2020, 1704) che l’art. 89, comma 1, cod. appalti -nell’imporre in capo all’ausiliario l’esecuzione diretta dei lavori o dei servizi in caso di avvalimento relativo ai «criteri relativi all’indicazione dei titoli di studio e professionali di cui all’allegato XVII, parte II, lett. f), o alle esperienze professionali pertinenti»- pone una norma di stretta interpretazione (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 24.02.2022, n. 1308), perché restringe l’ambito di operatività dell’istituto tratteggiato al primo periodo della stessa disposizione, secondo cui, «[l]’operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui all’articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lett. b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, nonché il possesso dei requisiti di qualificazione di cui all’articolo 84, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche di partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi».
Nel caso di specie, pur avendo la gara ad oggetto la prestazione di assistenza domiciliare da svolgersi a mezzo di operatori in possesso di specifici titolo di studio (terapisti della riabilitazione, logopoedisti, infermieri e operatori socio sanitari), la lex specialis non ha posto quale requisito tecnico l’indicazione di tali titoli o l’esperienza professionale degli operatori, ma, come detto al punto che precede, l’esperienza dell’impresa nel settore (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.06.2022 n. 5022 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E’ noto che a dover essere specificamente e puntualmente motivata deve essere la valutazione di anomalia, non quella che, invece, la escluda, sicché è sufficiente il rinvio che il provvedimento di aggiudicazione fa alle valutazione positiva del Rup, all’esito della procedura di valutazione di anomalia dell’offerta, che si è dipanata in due richieste di giustificazioni, cui hanno fatto seguito gli articolati chiarimenti del controinteressato e la produzione di copiosa documentazione relativa alle statistiche aziendali.
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E' stato statuito che:
   - il discostamento delle tabelle ministeriali sul costo del lavoro, di per sé, non è indice di incongruità dell’offerta, a meno che la discordanza non sia considerevole e palesemente ingiustificata;
   - in ogni caso, anche in ipotesi di discordanza considerevole, la valutazione sull’anomalia dell’offerta è comunque frutto di un giudizio tecnico discrezionale, globale e sintetico, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza che rendano palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta;
   - la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità ed è sufficiente che tali stime si mostrino ragionevoli ed attendibili;
   - l’amministrazione non deve fornire, in sede procedimentale, una valutazione specifica sul giudizio di non anomalia;
   - l’onere della prova dell’anomalia dell’offerta, nei termini appena esposti, grava, invece, su chi intenda farla valere in giudizio.

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9.2.- Nel merito, il motivo è infondato.
E’ noto, infatti, che a dover essere specificamente e puntualmente motivata deve essere la valutazione di anomalia, non quella che, invece, la escluda (tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 18.06.2021, n. 4712; sez. III, sentenza 18.01.2021, n. 544), sicché è sufficiente il rinvio che il provvedimento di aggiudicazione fa alle valutazione positiva del Rup, all’esito della procedura di valutazione di anomalia dell’offerta, che si è dipanata in due richieste di giustificazioni, cui hanno fatto seguito gli articolati chiarimenti del controinteressato e la produzione di copiosa documentazione relativa alle statistiche aziendali.
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10.3.- La motivazione del primo giudice, su entrambi i motivi in esame, resiste alle censure dell’appellante.
Il Tar Campania ha premesso, in primo luogo, i principi che l’hanno guidato nell’esame delle censure, affermando che:
   - «la procedura di valutazione dell’anomalia dell’offerta è volta all’accertamento sulla serietà, congruità ed attendibilità dell’offerta stessa nel suo complesso e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale della stazione appaltante non sindacabile in sede di legittimità, a meno che le valutazioni siano immotivate o manifestamente illogiche, ovvero fondate sui errori di fatto o deficienze istruttorie, non potendo il giudice adito procedere ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, ciò rappresentando un’inammissibile invasione della sfera propria della Pubblica Amministrazione»;
   - «l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti, a dimostrazione della non anomalia della propria offerta, rientra nella discrezionalità tecnica, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidenti errori di valutazione oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il giudice di legittimità può esercitare il proprio sindacato, ferma restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello della Pubblica Amministrazione»;
   - «essendo lo scopo dell’indagine quello di accertare se in concreto l’offerta sia, nel suo complesso, attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto, la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica e non può pertanto concentrarsi esclusivamente ed in modo parcellizzato sulle singole voci di costo, non avendo per oggetto la ricerca di singole inesattezze dell’offerta»;
   - «più specificamente, ai valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali, si è chiarito oramai che essi rappresentano un semplice parametro di valutazione della congruità dell’offerta, perciò l’eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittima un giudizio di anomalia o di incongruità e occorre, perché possa dubitarsi della congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata, alla luce di una valutazione globale e sintetica, espressione di un potere tecnico-discrezionale insindacabile salvo che la manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza non renda palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.07.2019, n. 5353)»;
   - «la norma di cui all’art. 97, comma 5, lett. d), d.lgs. 50/2016 prevede l’esclusione non già nel caso di violazione del costo del lavoro indicato nelle tabelle di cui al decreto ministeriale, ma soltanto per la violazione dei minimi salariali retributivi indicati nelle dette tabelle. Si tratta di una norma in linea con la giurisprudenza pregressa in materia di tabelle indicanti il costo del lavoro, la quale, da un lato, ha ammesso la derogabilità delle indicazioni risultanti dalle tabelle, qualora l’impresa fornisca idonea giustificazione, mentre, dall’altro lato, ha costantemente escluso la derogabilità dei minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva, precludendo la giustificazione delle relative violazioni».
Nel fare applicazione di tali principi al caso di specie e con specifico riferimento alle censure dell’appellante, il primo giudice ha poi osservato che:
   - quanto, al monte ore mediamente lavorate, «le doglianze formulate, concernendo in definitiva singole voci di costo, che, in ragione di una particolare organizzazione aziendale nonché della compensazione tra sottostime e sovrastime, risultano non dirimenti rispetto all’obiettivo perseguito dalla ricorrente di dimostrare la complessiva antieconomicità e implausibilità dell’offerta aggiudicataria in relazione alla corretta e regolare esecuzione dell’appalto alle condizioni proposte, non essendo di per sé significative della prospettata anomalia»;
   - «la riduzione del costo del personale mediante scostamento dai valori indicativi contenuti nelle tabelle ministeriali, infatti, non esclude la congruità dell’offerta ove l’aggiudicatario, in sede di giustificazioni, ne dimostri in concreto l’affidabilità e la sostenibilità, essendo chiaro che il costo del lavoro non è uguale per tutte le imprese che partecipano alla stessa procedura di gara, e che è ben possibile che un non eccessivo scostamento trovi adeguata giustificazione nella particolare efficienza dell’organizzazione aziendale oltre che nella possibilità per l’impresa di realizzare economie di scala e/o di fruire di sgravi contributivi, o altre condizioni di favore che consentono una riduzione dei costi del lavoro rispetto a quello di altro operatore pur in parità di ore lavorate»;
   - «nel caso all’esame, il minor tasso di assenteismo trova supporto, oltre che nelle statistiche aziendali degli ultimi cinque anni, in un’efficiente organizzazione del personale, in relazione alle peculiari prestazioni oggetto di contratto, ex se comportanti un rapporto diretto, anche fiduciario, tra l’operatore e il paziente, che, anche secondo le plausibili valutazioni di conferma della S.A., consente di sopperire alle assenze dell’operatore, tenuto conto della peculiarità del servizio assistenziale svolto, non con la individuazione di sostituti (da cui scaturirebbe l’abbassamento delle ore medie lavorate di ciascun operatore/dipendente, secondo l’impostazione di parte ricorrente), quanto piuttosto con una diversa articolazione del lavoro del medesimo operatore»;
   - «in sede di formulazione dell’offerta e di conseguente verifica della sua congruità, è consentito alle imprese tener conto della determinazione di un tasso di assenteismo reale, fondato sulla concreta esperienza lavorativa dell’impresa interessata, purché lo stesso rifletta l’organizzazione e le modalità di lavoro dell’impresa nella quale saranno inseriti ed alla quale dovranno comunque conformarsi anche i lavoratori provenienti dal precedente gestore. Va inoltre considerato che dalle giustificazioni offerte è emersa la possibilità di coprire eventuali diseconomie conseguenti ad un tasso di assenza maggiore di quello immaginato, da un lato, compensandole con le economie derivanti dalla diversificazione delle retribuzioni globali e dalle relative sovrastime (essendo state “livellate” verso l’alto alcune voci, come, ad esempio, gli scatti di anzianità, pur nella consapevolezza che i 5 scatti spetteranno, ad un minore numero di operatori, posto che la gran parte dei dipendenti del gestore uscente risultano assunti solo di recente) e, dall’altro, in ragione della previsione di un utile di impresa abbastanza ampio, in grado di coprire eventuali disarmonie»;
   - «quanto inoltre alla contestata errata decontribuzione SUD di cui alla legge 178/2020, in disparte quanto rimarcato dalle difese resistenti circa l’impegno statale alla proroga fino al 31.12.2029 (come peraltro già previsto dal comma 165 dell’art. 1, per cui “Dal 01.07.2021 al 31.12.2029 l’agevolazione di cui al comma 161 è concessa previa adozione della decisione di autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa applicabile in materia di aiuti di Stato”), va in ogni caso dato atto della circostanza che, in caso di mancata autorizzazione in sede europea, […] l’aggiudicataria potrebbe beneficiare di altre agevolazioni, come peraltro ipotizzato dalla stessa ricorrente a pag. 27 del ricorso, sotto forma di contributi de minimis (€ 200.000 nel triennio dell’affidamento 2022-2024) in favore delle cinque imprese esecutrici dell’appalto (Ac., Ge., Me. d’o., Me. ed Ic.), di talché in ogni caso l’aumentato costo del lavoro non inficerebbe la sostenibilità dell’offerta nel suo complesso, tenuto conto dell’ampio margine di utile previsto, e considerato che nell’ambito delle procedure di gara pubbliche, in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, salvo il caso in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è dato stabilire una soglia di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi anomala (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 22.03.2021, n. 2437)».
Le osservazioni e le conclusioni raggiunte dal primo giudice sono condivisibili.
Risultano dirimenti, in particolare, le seguenti considerazioni:
   - il discostamento delle tabelle ministeriali sul costo del lavoro, di per sé, non è indice di incongruità dell’offerta, a meno che la discordanza non sia considerevole e palesemente ingiustificata;
   - in ogni caso, anche in ipotesi di discordanza considerevole, la valutazione sull’anomalia dell’offerta è comunque frutto di un giudizio tecnico discrezionale, globale e sintetico, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza che rendano palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta;
   - la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità ed è sufficiente che tali stime si mostrino ragionevoli ed attendibili (Consiglio di Stato, sez. V, sentenze 25.05.2022, n. 4191, e 08.06.2018, n. 3480);
   - l’amministrazione non deve fornire, in sede procedimentale, una valutazione specifica sul giudizio di non anomalia;
   - l’onere della prova dell’anomalia dell’offerta, nei termini appena esposti, grava, invece, su chi intenda farla valere in giudizio (tra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, sentenze 19.04.2021, n. 3167, e 30.11.2020, n. 7554; sez. IV, sentenza 04.06.2020, n. 3528)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.06.2022 n. 5022 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl Consiglio di Stato si pronuncia in materia di valutazione delle pregresse vicende professionali dichiarate dal concorrente ai fini dell’ammissione o esclusione dalla gara.
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Contratti della Pubblica Amministrazione - Gara- Ammissione ed esclusione.
Il provvedimento con il quale una stazione appaltante ammette alla gara un concorrente ritenendo non rilevanti a tal fine le pregresse vicende professionali da questi dichiarate non richiede in linea di massima un’analitica motivazione in proposito, ma è correttamente e congruamente motivato anche con il fatto stesso dell’ammissione, dato che in questo caso la motivazione si desume per implicito e si identifica con l’adesione alle controdeduzioni sul punto del concorrente stesso.
Un’espressa e puntuale motivazione, preceduta se del caso dalla necessaria istruttoria, si richiede invece nel provvedimento di ammissione pronunciato ove vi sia contestazione sul punto da parte degli altri concorrenti ovvero in presenza di vicende professionali pregresse di evidente particolare rilevanza.
Un’espressa e puntuale motivazione si richiede altresì per il provvedimento di esclusione, che deve spiegare perché un presunto illecito professionale si sia ritenuto esistente e tanto grave da escludere l’affidabilità del concorrente.
Non è determinante nel senso dell’esclusione il fatto che determinate circostanze siano state considerate giusta causa a tal fine da altra stazione appaltante
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.06.2022 n. 4831 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
11.2. In linea generale va ricordato che:
   - ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 50/2016, l’esclusione per motivi di onorabilità e affidabilità è rimessa all’ampia valutazione discrezionale della stazione appaltante così come è discrezionale la valutazione di cui alle successive lettere c-bis, c-ter e c-quater; in tal senso, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ha ribadito che relativamente al giudizio svolto dalla stazione appaltante operano “i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale in cui l'amministrazione sola è chiamata a fissare "il punto di rottura dell'affidamento nel pregresso e/o futuro contraente" [Cassazione, sezioni unite civili, nella sentenza del 17.02.2012, n. 2312, che ha annullato per eccesso di potere giurisdizionale una sentenza di questo Consiglio di Stato che aveva a sua volta ritenuto illegittimo il giudizio di affidabilità professionale espresso dall'amministrazione in relazione all'allora vigente art. 38, comma 1, lett. f), dell'abrogato codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163]; limiti che non escludono in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma che impongono al giudice una valutazione della correttezza dell'esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all'attendibilità della scelta effettuata dall'amministrazione” (decisione n. 16 del 20.08.2020, par. 15);
   - la stazione appaltante che procede all’ammissione alla gara di un’impresa, non ritenendo rilevanti le pregresse vicende professionali dichiarate dal concorrente, non è tenuta a esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto convincimento, potendo la motivazione risultare anche implicitamente o per facta concludentia, ossia con la stessa ammissione alla gara dell’impresa (Cons. Stato, sez. V, 19.02.2021, n. 1500; id. 09.09.2019, n. 6112);
   - la motivazione può essere ricavata per relationem dall’adesione della stazione appaltante alle argomentazioni con cui, nel rendere le rispettive controdeduzioni, le società partecipanti alla gara hanno contestualmente indicato le ragioni idonee ad escludere l’incidenza delle vicende ivi indicate sulla propria integrità e affidabilità professionale (Cons. Stato, sez. IV, 10.11.2021, n. 7501).
   - è invece il provvedimento di esclusione, fondato sulla valutazione della esistenza di un illecito professionale e sulla sua qualificazione in termini di “gravità” tali da minare la affidabilità del concorrente, a necessitare di una espressa e puntuale motivazione; la stazione appaltante deve quindi motivare puntualmente le esclusioni, e non anche le ammissioni, se su di esse non vi è, in gara, contestazione (Cons. Stato, sez. V, 05.05.2020, n. 2850; id., VI, 18.05.2016, n. 3198);
   - solo una pregressa vicenda professionale che appaia, ictu oculi, di particolare rilevanza, impone alle Amministrazioni oneri positivi di istruttoria e di motivazione, in funzione di tutela delle legittime aspirazioni degli altri concorrenti e del più generale interesse pubblico alla retta e trasparente conduzione della procedura (Cons. Stato, sez. V, n. 1500 del 2021, cit.).
...
11.6. Del tutto irrilevante, infine, è la circostanza che in alcuni precedenti giurisprudenziali i medesimi fatti commessi dall’aggiudicataria sarebbero stati considerati come cause di esclusione dell’odierna appellata.
Al riguardo, la Sezione ha infatti già evidenziato (sentenza 31.12.2020, n. 8563) che la stazione appaltante conserva un’autonoma sfera di discrezionalità nel valutare i fatti che possono minare l’affidabilità degli operatori economici partecipanti alla gara, senza che possa assumere rilievo determinante la circostanza che quei medesimi fatti siano stati considerati giusta causa di esclusione da parte di un’altra stazione appaltante.
In tal senso, la Sezione ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui “se un'amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare un'attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento dell'applicazione dei motivi facoltativi di esclusione” (Corte di giustizia UE, Sez. IV, sentenza del 19.06.2019, in causa C-41/18).
...
19.2. In primo luogo, si osserva che non è contestata la circostanza che i fatti cui si riferiscono le predette esclusioni, nella gara in esame siano stati integralmente dichiarati.
Tale circostanza priva di rilevanza i più recenti arresti giurisprudenziali citati dalla società appellante, addotti quali sintomatici di un contrasto giurisprudenziale in materia.
In tali pronunce è stata infatti sottolineato che l’obbligo di dichiarare una precedente esclusione “è formula sintetica per dire che il concorrente è tenuto a dichiarare quella pregressa vicenda professionale astrattamente in grado di far dubitare della sua integrità e affidabilità professionale come operatore chiamato all’esecuzione di un contratto d’appalto (che abbia condotto la stazione appaltante ad adottare un provvedimento di esclusione” (Cons. Stato, Sez. V, 20.09.2021, n. 6407), ovvero che l’esclusione può essere comminata quando “per effetto del silenzio serbato dall’offerente sulle pregresse esclusioni, la stazione appaltante non sia stata messa nelle condizioni di aver conoscenza di uno o più precedenti significativi in grado di orientarne il giudizio” (Cons. St., Sez. III, 24.12.2021, n. 8596).
Nel caso in esame, al contrario, non solo le vicende oggetto delle precedenti esclusioni sono state dichiarate da -OMISSIS- ma il Comune ha comunque chiesto ulteriori chiarimenti, i quali sono stati debitamente forniti dall’impresa (cfr. i documenti n. 22 e n. 23, depositati in primo grado del Comune).
L’Amministrazione ha quindi legittimamente ritenuto tali episodi, relativi ad altre gare, non ostativi all’ammissione di -OMISSIS-, in linea con l’orientamento richiamato dal Tar, secondo cui “il partecipante ad una gara di appalto non è tenuto a dichiarare le esclusioni comminate nei suoi confronti in precedenti gare per aver dichiarato circostanze non veritiere, poiché, al di là dei provvedimenti sanzionatori spettanti all’ANAC in caso di dolo o colpa grave nel mendacio, la causa di esclusione dell’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione si riferisce –e si conclude– all’interno della procedura di gara in cui è maturata (in termini, Cons. Stato, V, 09.01.2019, n. 196; V, 21.11.2018, n. 6576; V, 13.09.2018, n. 5365; V, 26.07.2018, n. 4594)” (Cons. Stato, sez. V, 03.02.2021, n. 1000).
Il rilievo meramente interno alla singola procedura di gara della tipologia di esclusione in esame, trova poi conferma anche nella giurisprudenza più recente, la quale ha sottolineato che il legislatore ha chiaramente definito le condotte che danno luogo ad una esclusione automatica prolungata nel tempo da ogni procedura di gara, “così mostrando il chiaro intento di specificare i casi che per il loro disvalore possono giustificare il propagarsi degli effetti espulsivi in via automatica.
Si tratta dei casi per i quali è prevista l’iscrizione nel casellario informatico tenuto dall’A.n.a.c. (art. 213, comma 10, d.lgs. 18.04.2016, n. 50) vale a dire la presentazione in gara di false dichiarazioni o di falsa documentazione e a condizione che l’A.n.a.c. ravvisi che esse siano state rese con dolo o colpa grave “in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione” (così il comma 12 del citato art. 80); questi episodi comportano l’esclusione da ogni procedura di gara per il tempo in cui perdura l’iscrizione nel casellario giudiziario (cfr. art. 80, comma 5, lett. f-ter e g).
Sarebbe, allora, poco ragionevole che il legislatore, da un lato, abbia previsto in dettaglio quelle vicende tra le varie previste dal comma 5 dell’art. 80 cit. che danno luogo a prolungata esclusione da ogni procedura di gara e, dall’altro, al comma 10–bis abbia poi introdotto una generalizzata estensione temporale dei provvedimenti di espulsione, valevole, cioè, quale che sia stata la causa di esclusione tra quelle previste dal comma 5 dell’art. 80 e per ogni altra procedura di gara
” (Cons. Stato, sez. V, n. 8406 del 16.12.2021).
Vero è che “v’è un obbligo dichiarativo a carico dell’operatore economico che è comunque tenuto a dichiarare in altre procedure il precedente provvedimento espulsivo subito, con conseguente onere dell’altra stazione appaltante, nella procedura di gara da sé stessa indetta, di (ri)valutare nuovamente l’episodio causa di esclusione e decidere autonomamente se ammettere il concorrente o (ri)affermare nuovamente la rilevanza espulsiva della condotta”.
Tuttavia non si può predicare alcun effetto espulsivo automatico dalla nuova procedura di gara cui l’impresa abbia richiesto di partecipare, sussistendo un principio generale per il quale “ogni provvedimento di esclusione si genera e si consuma all’interno della procedura di gara per il quale è stato adottato dalla stazione appaltante […] salvi gli obblighi dichiarativi in capo a ciascun operatore economico che dovrà informare la stazione appaltante delle precedenti esclusioni; in coerenza logica, la disposizione del comma 10–bis si pone quale norma di chiusura di questo microsistema poiché delimita il periodo di rilevanza ai fini espulsivi di una pregressa vicenda professionale della quale sia stata informata la stazione appaltante (e correlativo il periodo al quale gli obblighi dichiarativo debbono aver riferimento)” (così ancora la sentenza n. 8406/2021, cit.) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.06.2022 n. 4831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La commissione di gara non può disapplicare, integrare o modificare la lex specialis.
Le norme cristallizzate nel bando di gara vincolano rigidamente l'operato dell'Amministrazione e della commissione, che non può disapplicare, integrare o modificare le disposizioni di un bando.
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17. Una questione, in particolare, decide la controversia.
18. E’ del tutto pacifico che la Commissione, in relazione al criterio numero uno, non abbia applicato la formula prevista dalla lex specialis, ma una formula del tutto differente in aperta violazione della regola secondo cui le norme cristallizzate nel bando di gara, vincolano rigidamente l'operato dell'Amministrazione e della commissione, che non può disapplicare, integrare o modificare le disposizioni di un bando.
Quel che è poi del tutto pacifico è che la formula non era preventivamente conosciuta dai concorrenti.
18.1. Si è verificato quel che questa Sezione aveva già puntualmente osservato in sede cautelare (ordinanza n. 2167/2021) e cioè che si sono alterati gli aspetti di affinità valutabili, a vantaggio dei requisiti di carattere dimensionale ed a scapito dei profili tipologici e di complessità dei medesimi servizi. Tale statuizione, contrariamente a quanto affermato dalla controinteressata non viene affatto scalfita dalla nota del 05.05.2021, depositata in prime cure dal Comune (documento 11 produzioni della controinteressata), ed ignota a questa Sezione alla data di adozione dell’ordinanza Cautelare n. 2167 del 23.04.2021.
La nota, pur prescindendo dalla assoluta irrilevanza di una sorta di “interpretazione autentica” dei lavori della Commissione, paradossalmente, avvalora gli argomenti dell’appellante (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 13.06.2022 n. 4793 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIAmmessi servizi comuni fra enti. Cooperazione possibile, ma senza corrispettivi in denaro. L'avvocato generale della Corte di giustizia Ue sull'in house in deroga al principio di gara.
La cooperazione fra amministrazioni è ammessa e consente di evitare la gara pubblica se vi sono interessi comuni e se non sia previsto un prezzo per lo svolgimento dei servizi «comuni».

Sono queste le conclusioni 09.06.2022 nelle cause riunite C-383/21 e C-384/21 che ha esposto l'avvocato generale della Corte di giustizia Ue (Manuel Campos Sánchez-Bordona), interessanti al fine di enucleare i principi che governano a livello di diritto «eurounitario» la cooperazione fra soggetti pubblici che consente di evitare la gara.
La vicenda affrontata nella controversia rimessa alla Corte dal giudice nazionale nasce In Belgio e riguarda una «convenzione quadro di appalto» fra una società di edilizia residenziale pubblica e un comune. Nell'ambito di questa convenzione, un contratto di assistenza tecnica per la costruzione di alloggi e un altro su servizi di inventario amianto che non sarebbero stati aggiudicati con procedura di gara, ma affidati direttamente a una terza entità, pubblica.
Nella sostanza, quindi, le due società avevano preferito non rivolgersi al mercato e avevano evitato le ordinarie procedure di appalto pubblico per l'acquisizione dei servizi. Si era in presenza di una entità in house controllata congiuntamente da due amministrazioni aggiudicatrici e si discuteva quindi sull'applicabilità o meno della direttiva appalti 2014/24.
A tale riguardo l'avvocato generale ha fatto presente che il fatto che entrambe le parti di un accordo siano esse stesse autorità pubbliche non esclude di per sé l'applicazione delle norme sugli appalti. Tuttavia, l'applicazione delle norme sugli appalti pubblici non dovrebbe interferire con la libertà delle autorità pubbliche di svolgere i compiti di servizio pubblico affidati loro utilizzando le loro stesse risorse, compresa la possibilità di cooperare con altre autorità pubbliche.
Ciò premesso, l'avvocato generale ha sottoposto alla Corte (che a breve deciderà) la tesi per cui un'amministrazione aggiudicatrice che intenda affidare un appalto pubblico rientrante nell'ambito di applicazione della direttiva senza assoggettarsi alle procedure di aggiudicazione da essa previste, deve rispettare comunque le condizioni di cui al suo articolo 12 (che prevede i requisiti del controllo analogo, cosiddetto in house verticale, e della cooperazione fra soggetti pubblici, cosiddetto in house orizzontale) e questo a partire dalla data limite per il recepimento nel diritto interno della direttiva (al momento dell'affidamento il Belgio non aveva ancora recepito la direttiva europea).
L'assoggettamento all'articolo 12, paragrafi 3 e 4, prima della trasposizione della direttiva non deriva, ha sostenuto l'avvocato generale nelle conclusioni, da un eventuale effetto diretto di tali disposizioni, ma «dall'obbligo incombente a tutte le autorità statali di conformarsi alle disposizioni delle direttive (articolo 288, terzo comma, Tfue) nonché di cooperare lealmente e di assicurare la piena esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni».
In particolare, ha affermato l'avvocato generale, l'articolo 12 (nei suoi due commi) deve essere interpretato nel senso che, se uno stato ha scelto di ricorrere alla facoltà di esclusione della gara, non si può parlare di esistenza di una cooperazione (orizzontale) tra amministrazioni aggiudicatrici quando la relazione che le lega, nel cui contesto esse si impegnano a fornire i loro rispettivi servizi, non persegue obiettivi comuni a tutte le predette amministrazioni.
Inoltre, non si può evitare di applicare la direttive 24/2014 (e quindi evitare la gara) in presenza di una relazione tra amministrazioni aggiudicatrici indipendenti nella quale una ottiene un servizio dall'altra a fronte esclusivamente di un corrispettivo in denaro (articolo ItaliaOggi del 17.06.2022).
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MASSIMA
V. Conclusioni
   80. Per i motivi esposti, propongo che la Corte di giustizia risponda al Conseil d’État (Consiglio di Stato, che agisce come Corte suprema amministrativa, Belgio) nei seguenti termini:
   «
1) Un’amministrazione aggiudicatrice che intenda aggiudicare un appalto pubblico rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva n. 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, senza assoggettarsi alle procedure di aggiudicazione da essa previste, deve rispettare le condizioni di cui al suo articolo 12 a partire dalla data limite per il recepimento nel diritto interno di tale direttiva qualora, a tale data, detto recepimento non abbia avuto luogo.
   2) L’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che:
– esclude l’esistenza di una cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici quando la relazione che le lega, nel cui contesto esse si impegnano a fornire i loro rispettivi servizi, non persegue obiettivi comuni a tutte le predette amministrazioni;
– non è applicabile a una relazione tra amministrazioni aggiudicatrici indipendenti nella quale una ottiene un servizio dall’altra a fronte esclusivamente di un corrispettivo in denaro
».

APPALTI: Le stazioni appaltanti non possono sindacare le certificazioni riguardanti la regolarità fiscale e contributiva delle imprese.
In materia di gare pubbliche, le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti, si impongono alle stazioni appaltanti che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni.
Spetta, infatti, in via esclusiva all'Agenzia delle Entrate il compito di dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a una gara pubblica, non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti previdenziali.
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La stazione appaltante ha effettuato l’interrogazione in data 18.02.2021 e il portale AVC-Pass, con elaborazione in data 03.03.2021, ha fornito esito di irregolarità con riferimento all’ambito provinciale di Cosenza.
Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (TAR Campania, Napoli Sez. I, 03.02.2022, n. 775; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 8/2012; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2682/2013; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 09.01.2020, n. 114; TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 07.05.2021, n. 681; TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 18.03.2021, n. 378; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.03.2020, n. 1053; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 11.11.2019, n. 5341; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 22.01.2019, n. 810; Consiglio di Stato, Sez. V, 08.04.2019, n. 2279; Consiglio di Stato, Sez. V, 12.02.2018, n. 856; Consiglio di Stato, Sez. V, 21.06.2012, n. 3663; Consiglio di Stato, Sez. V, 18.01.2011, n. 789; TAR Campania Napoli Sez. I, 09.01.2020, n. 114), in materia di gare pubbliche, le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti si impongono alle stazioni appaltanti che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni: spetta, infatti, in via esclusiva all'Agenzia delle Entrate il compito di dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a una gara pubblica, non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti previdenziali (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 08.06.2022 n. 1554 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICICaro materiali, troppe anomalie. Tar Lazio: dati non congrui, rilevazioni dei prezzi da rifare. Accolto il ricorso dell'Ance sul decreto del Mims relativo alle compensazioni per le imprese
Il decreto del Mims (ministero infrastrutture e mobilità sostenibili) di rilevazione degli aumenti dei prezzi dei materiali da costruzioni nel primo semestre 2021, che funge da base per le compensazioni da riconoscere alle imprese, deve essere sottoposto a revisione in ragione delle evidenti discrasie di alcuni prezzi.
Il TAR Lazio-Roma, Sez. III, con la sentenza 03.06.2022 n. 7215
ha annullato parzialmente il decreto dell'11.11.2021 (poi modificato il 7 dicembre per rettificare il prezzo medio di un materiale) emesso ai sensi dell'art. 1-septies del decreto-legge 25.05.2021 n. 73 (cosiddetto Decreto Sostegni bis), per dare il via ad un meccanismo straordinario di adeguamento dei prezzi dei materiali da costruzione impiegati nei contratti in corso di esecuzione con «compensazioni, in aumento o in diminuzione», per le variazioni percentuali di prezzo, rispetto al prezzo medio dell'anno d'offerta, «eccedenti l'8% se riferite esclusivamente all'anno 2021 ed eccedenti il 10% complessivo se riferite a più anni».
Nel ricorso presentato dall'Ance (l'associazione dei costruttori edili) si eccepiva la parte in cui, in assenza di criteri univoci di rilevazione e in presenza di dati ritenuti evidentemente irragionevoli e contraddittori trasmessi da provveditorati, Unioncamere e Istat, nel decreto era stato riportato un aumento percentuale del tutto irragionevole e di gran lunga inferiore all'aumento reale registrato sul mercato per 15 materiali (dalle lamiere in acciaio, ai chiusini in ghisa, alle tubazioni in ferro e Pvc rigido, al legname e alle fibre in acciaio per il rinforzo del calcestruzzo).
L'azione dell'Ance era corroborata da una rilevazione autonoma su 24 materiali ritenuti più significativi dall'associazione ed era mirata a contestare la metodologia adottata dal ministero evidenziando preliminarmente come la scelta di partenza dei 56 materiali da costruzione effettuata nell'anno 2006 non fosse più attuale; venivano quindi indicate alcune discrasie, a titolo esemplificativo, rinvenute nella rilevazione degli aumenti durante il primo semestre e si contestava il fatto che il ministero si fosse limitato ad «assemblare», tramite meri calcoli aritmetici, i dati trasmessi dalle tre fonti di rilevazione, senza quindi svolgere una reale istruttoria.
Il Tar, ha respinto un'eccezione di inammissibilità, e ha accolto in parte il ricorso riconoscendo che dal raffronto dei dati resi all'esito delle rilevazioni effettuate dai provveditorati, da un lato, e dalle camere di commercio dall'altro, il disallineamento tra la media prezzi ricavata dai due istituti di rilevazione risulta talmente ampio per alcuni materiali «da rendere evidente la presenza di anomalie nel reperimento e nell'elaborazione dei dati stessi; anche l'esame dei dati offerti dai singoli provveditorati evidenzia rilevanti disallineamenti».
Pur tenendo conto dei differenti contesti territoriali risultava assai anomalo un range di variazione oscillante tra lo zero (Emilia Romagna) e oltre il 100% di altri contesti. Per il Tar si sarebbe dovuto «acclarare in maniera approfondita la causa che aveva generato tali anomalie e approntare i necessari correttivi mediante l'implementazione delle informazioni necessarie alla stabilizzazione del dato».
I giudici hanno riconosciuto che i dati non sono congrui, ma hanno respinto la richiesta dell'Ance di adottare rilevazioni esterne, essendo il sistema di rilevazione ministeriale dotato di «una propria complessiva validità. La sentenza ha chiesto al ministero un «supplemento istruttorio, condotto anche autonomamente ed eventualmente facendo ricorso anche ad altre fonti e tenendo, se del caso, anche conto delle introdotte nuove metodiche di rilevazione, revisione e aggregazione dei dati»
(articolo ItaliaOggi del 10.06.2022).

LAVORI PUBBLICICaro-materiali, cosa succede alle compensazioni dopo lo stop del Tar al decreto prezzi del Mims.
Con la recente sentenza 03.06.2022 n. 7215 del TAR Lazio-Roma, Sez. III, il giudice amministrativo ha censurato il decreto del Mims dell'11.11.2021, recante le variazioni percentuali dei prezzi dei materiali di costruzione più significativi per il primo semestre 2021, emanato in attuazione dell'articolo 1-septies del decreto legge 73/2021.
Al di là delle motivazioni che hanno portato il Tar Lazio a queste conclusioni –per le quali si rinvia all'articolo pubblicato lunedì 6 giugno– occorre analizzare gli effetti che la pronuncia è destinata ad avere sul complesso e importante tema delle compensazioni/revisione dei corrispettivi d'appalto, oggetto recentemente di ripetuti interventi legislativi.
Nello specifico, questi effetti vanno valutati in relazione a due distinte situazioni. In primo luogo, occorre verificare in che misura la pronuncia vada a incidere sulle compensazioni già eventualmente riconosciute in base al decreto del Mims oggetto di censura, ovvero su quelle ancora da riconoscere.
Il secondo tema –meno rilevante da un punto di vista di immediata operatività, ma significativo in prospettiva– riguarda le indicazioni che si possono trarre dalla sentenza in relazione ai diversi meccanismi compensativi delineati dalle norme successive (il decreto legge 4/2022 e il decreto legge 5/2022).
Il principio affermato dal Tar Lazio
In estrema sintesi il giudice amministrativo ha censurato il decreto del Mims per difetto di istruttoria. Ha infatti ritenuto che, a fronte di una pluralità di dati provenienti da diverse fonti e recanti elementi di disomogeneità e incompletezza, il Mims non avrebbe dovuto limitarsi alla semplice acquisizione degli stessi, non accompagnata da alcuna revisione critica, trasferendoli come tali nel decreto.
Al contrario, avrebbe dovuto accertare la causa delle rilevate incongruenze, acquisire tutte le necessarie informazioni aggiuntive e solo a quel punto, dopo le necessarie integrazioni e adattamenti, procedere all'emanazione del decreto. In sostanza, in presenza di una situazione che –anche a causa dell'eccezionalità della situazione– presentava oggettive difficoltà di reperimento dei dati o che evidenziava l'incompletezza degli stessi o palesi incongruenze o anomalie, il Ministero avrebbe dovuto procedere con un adeguato supplemento istruttorio, per non incorrere nella violazione dei criteri di ragionevolezza e di adeguata motivazione.
L'evidente carenza di istruttoria è stata quindi posta alla base della pronuncia del Tar Lazio. È stato quindi accolto il ricorso ed è stato disposto che il Mims debba procedere allo svolgimento di un supplemento istruttorio, condotto anche autonomamente ed eventualmente facendo ricorso anche ad altre fonti e tenendo conto delle nuove metodiche di rilevazione, revisione e aggregazione dei dati.
Gli effetti sulle compensazioni riconosciute e su quelle ancora da riconoscere
I termini dell'accoglimento del ricorso da parte del giudice amministrativo rappresentano l'elemento fondamentale da tenere in considerazione ai fini dell'analisi degli effetti della pronuncia sia sulle compensazioni eventualmente già disposte –che peraltro risultano essere in misura esigua– sia su quelle ancora da disporre.
Occorre preliminarmente considerare che nel rivolgersi al giudice amministrativo il ricorrente aveva articolato una duplice domanda.
In via principale chiedeva l'annullamento del decreto del Mims, mentre in via subordinata veniva richiesto l'accertamento della sua illegittimità nella formulazione contestata con conseguente parziale integrazione dello stesso. Il Tar ha accolto il ricorso in relazione a questa seconda domanda. Ciò implica che il decreto del Mims non è stato oggetto di annullamento ma ne è stata accertata la non piena legittimità, nel contempo gravando il Mims di un'ulteriore attività istruttoria necessaria per renderlo pienamente legittimo attraverso le necessarie integrazioni e modifiche.
Il mancato annullamento del decreto ha una duplice conseguenza ai fini che si stanno analizzando.
In relazione alle compensazioni eventualmente già riconosciute sulla base del decreto, le stesse restano ferme, e non si pone alcuna questione di invalidità degli atti che le hanno disposte. Questa conclusione trova giustificazione nel fatto che il decreto del Mims, pienamente legittimo al momento in cui la compensazione è sta effettuata, non viene comunque annullato, ma ne viene riconosciuta una illegittimità parziale e sanabile.
Si deve peraltro ritenere che successivamente al completamento dell'attività istruttoria da parte del Mims e alla conseguente emanazione del decreto aggiornato le stazioni appaltanti debbano procedere a operare i relativi conguagli che tengano conto dei nuovi dati rilevati rispetto a quelli contenuti nel decreto originario. Se infatti è vero che le compensazioni sono state effettuate sulla base di un decreto all'epoca pienamente legittimo, è anche vero che la successiva modificazione dei dati rilevati non può considerarsi priva di effetti, anche per non creare ingiustificate situazioni di disparità di trattamento.
Più articolata si presenta la questione in relazione alle compensazioni ancora da riconoscere e corrispondere. In termini rigorosi la dichiarata parziale illegittimità del decreto del Mims –per rimuovere la quale il giudice amministrativo ha imposto un supplemento di istruttoria– non potrebbe consentire che lo stesso sia posto a base del calcolo delle future compensazioni.
Se il giudice amministrativo ha ritenuto i dati recepiti nel decreto non attendibili, risulterebbe contraddittorio e viziato il riconoscimento di compensazioni sulla base degli stessi. Ciò considerando che il giudizio di illegittimità parziale ha colpito proprio i dati contenuti nel decreto di cui si dovrebbe fare applicazione per determinare quanto dovuto a titolo di compensazione. La soluzione di non procedere ad alcuna compensazione fino a quando il supplemento di istruttoria non venga ultimato e il Mims proceda quindi a riemanare il proprio decreto debitamente modificato è sicuramente quella in astratto preferibile.
Tuttavia vi sono esigenze operative molto sentite che possono spingere a verificare anche la praticabilità di soluzioni alternative. Occorre infatti in primo luogo considerare che la norma di riferimento è stata dettata per far fronte a situazioni eccezionali di natura emergenziale, rispetto alle quali la tempestività dell'adozione di tutte le misure necessarie -non ultime l'adozione da parte elle stazioni appaltanti dei provvedimenti che riconoscono le compensazioni- riveste un ruolo centrale per l'efficacia del meccanismo delineato. D'altro canto il decreto del Mims –come detto– non è stato dichiarato totalmente illegittimo e quindi annullato nella sua integralità, ma ne è stata riconosciuta l'illegittimità parziale in relazione alla ritenuta insufficienza dell'attività istruttoria posta alla base della definizione dei relativi contenuti.
La combinazione coordinata delle due considerazioni evidenziate potrebbe anche portare –in una logica attenta alle esigenze operative– a una soluzione che intanto consenta di continuare a riconoscere le compensazioni sulla base dei dati contenuti nel decreto, parzialmente illegittimo ma non annullato e quindi ancora in grado di produrre effetti giuridici.
Soluzione che magari potrebbe trovare una qualche forma di riconoscimento attraverso una circolare o altro provvedimento del Mims, che consenta di operare le compensazioni in attesa dell'emanazione del nuovo decreto.
Evidentemente anche in questo caso le compensazioni avrebbero in qualche modo carattere provvisorio –da evidenziare chiaramente nel relativo provvedimento di riconoscimento– nel senso che la loro esatta misura andrebbe successivamente rideterminata alla luce dei dati contenuti nel nuovo decreto del Mims.
Gli effetti sulle normative sopravvenute
La sentenza del Tar Lazio si riferisce alla normativa contenuta nel decreto legge 73/2021, che disciplinava il meccanismo di compensazione per l'anno 2021. Successivamente vi sono stati due ulteriori interventi legislativi: il decreto legge 4/2022 e il decreto legge 50/2022.
Il primo ha introdotto un sistema revisionale valido per tutti gli appalti le cui procedure di gara siano avviate entro il 31.12.2023. Tale sistema si fonda anch'esso sull'emanazione di decreti del Mims di natura semestrale volti a rilevare le variazioni percentuali dei materiali di costruzione più significativi. Tali decreti sono emanati sulla base delle elaborazioni effettuate dall'Istat, che deve definire la metodologia di rilevazione di tali variazioni. Proprio questo sistema articolato e in particolare l'intervento dell'Istat dovrebbe rendere più solidi i decreti del Mims, potendo rappresentare un elemento di forza idoneo ad attenuare il possibile rischio di difetto di istruttoria evidenziato nella pronuncia del Tar Lazio.
Quanto al decreto legge 50/2022 –che riguarda esclusivamente le compensazioni relative ai lavori eseguiti e contabilizzati nell'anno 2022- il meccanismo compensativo non si fonda su decreti del Mims ma sui prezziari regionali aggiornati, che tuttavia devono tenere conto delle Linee guida adottate dallo stesso Mims, previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell'Istat e previa intesa della Conferenza Stato-Regioni. Fermo restando che sia le Linee guida che l'aggiornamento delle Regioni devono rispettare il principio dell'adeguata istruttoria, si deve ritenere che anche in questo caso il meccanismo delineato rappresenti un idoneo strumento di tutela rispetto a possibili censure analoghe a quelle sollevate dal giudice amministrativo (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 08.06.2022).

APPALTI: L'impresa iscritta alla camera di commercio ma non ancora attiva dev'essere esclusa dalla gara, salvo che la lex specialis stabilisca altrimenti.
La dimostrazione dell’iscrizione alla Camera di Commercio per una definita attività (oggetto dell'affidamento) vuol significare che, attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da svolgere e che attività effettivamente esercitata ed oggetto sociale non possono essere considerati come concetti coincidenti.
Ciò è stato affermato, con orientamento pressoché costante, dalla giurisprudenza amministrativa, essendo noto che “la funzione della prescrizione della lex specialis della gara, con la quale si richiede ai concorrenti, ai fini della partecipazione, l'iscrizione alla Camera di Commercio [sia nel regime previgente ove era prevista dall'art. 39, comma 1, del codice dei contratti pubblici tra i requisiti idonei a dimostrare la capacità tecnica e professionale dell'impresa, sia, e ancor più, nell'impianto del nuovo Codice dei contratti pubblici, ove è assurta, con la previsione di cui all'art. 83, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 50 del 2016, a requisito di idoneità professionale, anteposto ai più specifici requisiti attestanti la capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria dei partecipanti alla gara, di cui alle successive lett. b) e c) del medesimo comma] è finalizzata a selezionare ditte che abbiano una esperienza specifica nel settore interessato dall'appalto.
Quando tale prescrizione si specifica nel senso che occorre dimostrare l'iscrizione per una definita attività (oggetto dell'affidamento), ciò significa che, attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da svolgere”.
Il che esclude la possibilità di prendere in considerazione imprese la cui attività non sia stata ancora attivata, come, peraltro, evidenziato da una giurisprudenza altrettanto uniforme che avverte, altresì, che ai fini in discussione non può giovare il fatto della mera contemplazione di un'attività nell'oggetto sociale, il quale esprime solo la misura della capacità di agire della società interessata, indicando i settori -invero, potenzialmente illimitati- nei quali la stessa potrebbe in astratto operare, e che, così facendo, indica degli ambiti operativi che devono reputarsi non rilevanti ove non effettivamente attivati.
Tale orientamento mette, dunque, in evidenza che l’affidabilità dell’impresa è strettamente connessa alla sua attivazione.

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Il Collegio non condivide le suddette statuizioni, atteso che, come dedotto dall’appellante, la dimostrazione dell’iscrizione alla Camera di Commercio per una definita attività (oggetto dell'affidamento) vuol significare che, attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da svolgere e che attività effettivamente esercitata ed oggetto sociale non possono essere considerati come concetti coincidenti.
Ciò è stato affermato, con orientamento pressoché costante, dalla giurisprudenza amministrativa (sin da Cons. Stato, V, 19.02.2003, n. 925), essendo noto che “la funzione della prescrizione della lex specialis della gara, con la quale si richiede ai concorrenti, ai fini della partecipazione, l'iscrizione alla Camera di Commercio (sia nel regime previgente ove era prevista dall'art. 39, comma 1, del codice dei contratti pubblici tra i requisiti idonei a dimostrare la capacità tecnica e professionale dell'impresa, sia, e ancor più, nell'impianto del nuovo Codice dei contratti pubblici, ove è assurta, con la previsione di cui all'art. 83, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 50 del 2016, a requisito di idoneità professionale, anteposto ai più specifici requisiti attestanti la capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria dei partecipanti alla gara, di cui alle successive lettere b) e c) del medesimo comma) è finalizzata a selezionare ditte che abbiano una esperienza specifica nel settore interessato dall'appalto.
Quando tale prescrizione si specifica nel senso che occorre dimostrare l'iscrizione per una definita attività (oggetto dell'affidamento), ciò significa che, attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da svolgere
” (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 18.01.2021, n. 508).
Il che esclude la possibilità di prendere in considerazione imprese la cui attività non sia stata ancora attivata, come, peraltro, evidenziato da una giurisprudenza altrettanto uniforme che avverte, altresì, che ai fini in discussione non può giovare il fatto della mera contemplazione di un'attività nell'oggetto sociale, il quale esprime solo la misura della capacità di agire della società interessata, indicando i settori -invero, potenzialmente illimitati- nei quali la stessa potrebbe in astratto operare, e che, così facendo, indica degli ambiti operativi che devono reputarsi non rilevanti ove non effettivamente attivati (cfr. Cons. di Giust. Amm., 26.03.2020, n. 213; Cons. Stato, V, 10.04.2018, n. 2176; VI, 15.05.2015, n. 2486; III, 28.12.2011, n. 6968; VI, 20.04.2009, n. 2380; V, 19.02.2003, n. 925).
Tale orientamento mette, dunque, in evidenza che l’affidabilità dell’impresa è strettamente connessa alla sua attivazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.06.2022 n. 4474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La causa di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 50/2016 non opera se gli illeciti anticoncorrenziali sanzionati dall'AGCM sono stati commessi più di tre anni prima della data di pubblicazione del bando di gara.
Non sussistono i presupposti per l’applicazione della fattispecie escludente di cui dell’art. 80, co. 5, lett. c), del D.lgs. n. 50/2016, atteso che gli illeciti anticoncorrenziali stigmatizzati con gli invocati provvedimenti sanzionatori dell’A.G.C.M. risalgono ad oltre un triennio rispetto alla procedura di gara in questione (da computarsi a ritroso dalla data del bando), all’uopo dovendosi attribuire rilevanza non già alla data di irrogazione delle sanzioni bensì a quella di commissione degli illeciti sanzionati.
Ciò sull’assunto (corroborato dalla formulazione dell'articolo 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE e dalla pertinente pronuncia della Corte di Giustizia dell'U.E., sezione IV, 24/10/2018, C-124/17) che i “fatti” (id est, gli illeciti professionali) risalenti ad oltre un triennio non possono più ritenersi idonei a dimostrare l'inaffidabilità dell’operatore.
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Quanto al secondo motivo di impugnazione, non sussistono i presupposti per l’applicazione della fattispecie escludente di cui dell’art. 80, co. 5, lett. c), del D.lgs. n. 50/2016, atteso che gli illeciti anticoncorrenziali stigmatizzati con gli invocati provvedimenti sanzionatori dell’A.G.C.M. risalgono ad oltre un triennio rispetto alla procedura di gara in questione (da computarsi a ritroso dalla data del bando), all’uopo dovendosi attribuire rilevanza non già alla data di irrogazione delle sanzioni bensì a quella di commissione degli illeciti sanzionati (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 07/09/2021, n. 6233); ciò sull’assunto (corroborato dalla formulazione dell'articolo 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE e dalla pertinente pronuncia della Corte di Giustizia dell'U.E., sezione IV, 24/10/2018, C-124/17) che i “fatti” (id est, gli illeciti professionali) risalenti ad oltre un triennio non possono più ritenersi idonei a dimostrare l'inaffidabilità dell’operatore.
In ogni caso, come condivisibilmente sostenuto dalla difesa di Re., vi è documentale evidenza del fatto che i richiamati illeciti anticoncorrenziali (e le relative misure di self-cleaning) -dai quali non può inferirsi alcun automatismo espulsivo (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato sez. V, 11/03/2021, n. 2088)- sono stati non soltanto espressamente dichiarati dall’operatore economico in sede di partecipazione alla gara per cui è causa (non essendo, dunque, ravvisabile alcuna ipotesi di omissione dichiarativa), ma anche positivamente scrutinati dalla stazione appaltante (il che esclude qualsivoglia imputabile omissione), dovendosi all’uopo valorizzare il generale giudizio di insussistenza dei “motivi di esclusione ai sensi dell’art. 80 del Codice” espresso nella determinazione dirigenziale della S.U.A.B., in data 04/03/2020; detta valutazione:
   i) è certamente riferibile –sia pure con formula sintetica– a tutte le situazioni dichiarate dai concorrenti (ivi incluse, dunque, quelle relative alla posizione di Re. e qui rilevanti);
   ii) costituisce espressione della discrezionalità dell’Amministrazione in punto di apprezzamento dell’eventuale idoneità delle richiamate occorrenze (tenuto conto anche delle misure di self-cleaning adottate) a costituire gravi illeciti professionali;
   iii) non risulta, infine, specificamente impugnata dalla ricorrente, ciò conducendo di necessità alla reiezione della censura.
6. In conclusione, per quanto esposto, il ricorso e i motivi aggiunti vanno respinti (TAR Basilicata, sentenza 01.06.2022 n. 437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2022

APPALTIIl procedimento di verifica dell'anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo.
L’esito della gara può infatti essere travolto solo quando il giudizio negativo sul piano dell’attendibilità riguardi voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione economicamente non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente affidabilità a garantire la regolare esecuzione del contratto volta al perseguimento dell’interesse pubblico.
D’altro canto va anche rammentato che la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole ed attendibile.
Pertanto la valutazione di congruità costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che la manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell’operato renda palese l’inattendibilità complessiva dell'offerta.
Giova poi anche richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la verifica di congruità di un’offerta non può essere effettuata attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell’offerta analizzata ed alla capacità dell’impresa –tenuto conto della propria organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di particolari condizioni favorevoli esterne– di eseguire le prestazioni contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità di una di esse.
Inoltre, la motivazione del giudizio di non anomalia non deve essere specifica ed estesa, potendo essere effettuata anche mediante rinvio per relationem alle risultanze procedimentali e alle giustificazioni fornite dall’impresa. La stazione appaltante non è poi tenuta a chiedere chiarimenti su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio.
Inoltre in sede di procedimento di verifica dell’anomalia è pacificamente ammessa la progressiva riperimetrazione, nella dialettica della fase giustificativa, dei parametri di costo, con compensazione delle precedenti sottostime e sovrastime, sia per porre rimedio a originari errori di calcolo, sia, più in generale, in tutti i casi in cui l’entità dell’offerta economica rimanga immutata.
Infine, in base ai consolidati principi della giurisprudenza, se in sede giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale.
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In sede di verifica dell'anomalia dell'offerta, salvo il caso in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è dato stabilire una soglia di utile al di sotto della quale l'offerta va considerata anomala - potendo anche un utile modesto comportare un vantaggio significativo.
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Secondo la giurisprudenza, se in sede giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale.
Infatti, come innanzi evidenziato, la stazione appaltante non è tenuta a chiedere chiarimenti su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio per cui è ben possibile, che, nella dialettica processuale, l’aggiudicataria possa dovere giustificare ulteriori costi (marginali) in ordine ai quali la stazione appaltante non aveva richiesto espliciti chiarimenti, considerando l’offerta nel complesso attendibile.
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In sede di procedimento di verifica dell’anomalia è pacificamente ammessa la progressiva riperimetrazione, nella dialettica della fase giustificativa, dei parametri di costo, con compensazione delle precedenti sottostime e sovrastime, sia per porre rimedio a originari errori di calcolo, sia, più in generale, in tutti i casi in cui l’entità dell’offerta economica rimanga immutata.
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Secondo la condivisibile giurisprudenza le giustificazioni addotte dal concorrente per la comprova della congruità e serietà della propria offerta ben possono fare riferimento a situazioni esistenti al momento in cui si svolge la verifica di anomalia, per cui può certamente tenersi conto di sopravvenienze sia fattuali che normative che dimostrino la concreta affidabilità dell’offerta.
Infatti deve ritenersi consentita la modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, rispetto alle giustificazioni già fornite, come pure l’aggiustamento delle singole voci di costo anche in relazione a “sopravvenienze di fatto o normative”, potendosi sempre valorizzare “economie sopravvenienti, in grado di refluire sull’affidamento del contratto”.
Invero, “è ammissibile non solo la modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, rispetto alle giustificazioni già fornite, come pure l'aggiustamento delle singole voci di costo, sia in correlazione a sopravvenienze di fatto o normative, sia per porre rimedio a originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l'entità originaria dell'offerta economica, nel rispetto del principio dell'immodificabilità, che presiede la logica della par condicio tra i competitori; ma anche la rimodulazione degli elementi economici dell'offerta in sede di giustificazioni sull'anomalia, con il solo limite di non alterarne il quantum iniziale o l'equilibrio economico e purché si accerti in concreto, sulla base di un apprezzamento globale e sintetico, che la proposta economica risulti nel suo complesso affidabile e attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto”.
Altresì, “Premesso che lo scopo essenziale cui si conforma il giudizio sull'anomalia dell'offerta va individuato nella verifica della complessiva affidabilità dell'offerta sotto il profilo economico, in vista della esecuzione delle prestazioni contrattuali da parte dell'aggiudicatario, appare del tutto logico che detta verifica si svolga avendo come parametri di valutazione il livello dei costi al tempo in cui è effettuata la verifica. In altri termini, se la finalità (indiscussa) del procedimento in questione è la verifica della attuale attendibilità economica dell'offerta è del tutto coerente con tale finalità la scelta di fare riferimento a parametri economici attualizzati”.
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11. Prima di procedere alla disamina delle censure articolate con l’appello principale, giova premettere che come più volte affermato dalla giurisprudenza, il procedimento di verifica dell'anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo (tra le tante, Cons. di Stato, V, 02.05.2019, n. 2879; III, 29.01.2019, n. 726; V, 23.01.2018, n. 430; 30.10.2017, n. 4978).
L’esito della gara può infatti essere travolto solo quando il giudizio negativo sul piano dell’attendibilità riguardi voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione economicamente non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente affidabilità a garantire la regolare esecuzione del contratto volta al perseguimento dell’interesse pubblico.
D’altro canto va anche rammentato che la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole ed attendibile (così espressamente Cons. di Stato, V, 2018, 3480).
Pertanto la valutazione di congruità costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che la manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell’operato renda palese l’inattendibilità complessiva dell'offerta (ex multis, Cons. Stato, V, 17.05.2018 n. 2953; 24.08.2018 n. 5047; III, 18.09.2018 n. 5444; V, 23.01.2018, n. 230).
11.1 Giova poi anche richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la verifica di congruità di un’offerta non può essere effettuata attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell’offerta analizzata ed alla capacità dell’impresa –tenuto conto della propria organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di particolari condizioni favorevoli esterne– di eseguire le prestazioni contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità di una di esse (Cons. St., sez. III, 09.10.2018, n. 5798).
11.2 Inoltre, la motivazione del giudizio di non anomalia non deve essere specifica ed estesa, potendo essere effettuata anche mediante rinvio per relationem alle risultanze procedimentali e alle giustificazioni fornite dall’impresa. La stazione appaltante non è poi tenuta a chiedere chiarimenti su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio (Cons. Stato, Sez. III, 14.11.2018, n. 6430).
Inoltre in sede di procedimento di verifica dell’anomalia è pacificamente ammessa la progressiva riperimetrazione, nella dialettica della fase giustificativa, dei parametri di costo, con compensazione delle precedenti sottostime e sovrastime, sia per porre rimedio a originari errori di calcolo, sia, più in generale, in tutti i casi in cui l’entità dell’offerta economica rimanga immutata (C.d.S., V, sent. n. 1874/2020; C.d.S., V, n. 4400/2019; C.d.S., V, 4680/2017).
11.3 Infine, in base ai consolidati principi della giurisprudenza, se in sede giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale (Cons. Stato, Sez. III, 14.11.2018, n. 6430; Consiglio di Stato, sez. III, 15.02.2021 n. 1361).
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Ed infatti secondo la giurisprudenza condivisa dalla Sezione in sede di verifica dell'anomalia dell'offerta, salvo il caso in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è dato stabilire una soglia di utile al di sotto della quale l'offerta va considerata anomala - potendo anche un utile modesto comportare un vantaggio significativo (Cons. Stato Sez. V, 22/03/2021, n. 2437; Cons. Stato Sez. III, Sent., 13.07.2021, n. 5283). 
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17.6. Né può condividersi la prospettazione contenuta nella memoria difensiva di NTT secondo cui quanto dedotto (solo) in sede processuale non avrebbe alcuna valenza, dovendo assegnarsi rilievo alle sole giustificazioni prodotte nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta.
Ed invero, come innanzi evidenziato, secondo la giurisprudenza, se in sede giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale (Cons. Stato, Sez. III, 14.11.2018, n. 6430; Consiglio di Stato, sez. III, 15.02.2021 n. 1361).
Infatti, come innanzi evidenziato, la stazione appaltante non è tenuta a chiedere chiarimenti su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio (Cons. Stato, Sez. III, 14.11.2018, n. 6430) per cui è ben possibile, che, nella dialettica processuale, l’aggiudicataria possa dovere giustificare ulteriori costi (marginali) in ordine ai quali la stazione appaltante non aveva richiesto espliciti chiarimenti, considerando l’offerta nel complesso attendibile.
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Ciò senza mancare di rilevare che per contro, come evidenziato in termini generali, in sede di procedimento di verifica dell’anomalia è pacificamente ammessa la progressiva riperimetrazione, nella dialettica della fase giustificativa, dei parametri di costo, con compensazione delle precedenti sottostime e sovrastime, sia per porre rimedio a originari errori di calcolo, sia, più in generale, in tutti i casi in cui l’entità dell’offerta economica rimanga immutata (C.d.S., V, sent. n. 1874/2020; C.d.S., V, n. 4400/2019; C.d.S., V, 4680/2017).
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22.1. La censura è infondata.
Ed invero secondo la condivisibile giurisprudenza le giustificazioni addotte dal concorrente per la comprova della congruità e serietà della propria offerta ben possono fare riferimento a situazioni esistenti al momento in cui si svolge la verifica di anomalia, per cui può certamente tenersi conto di sopravvenienze sia fattuali che normative che dimostrino la concreta affidabilità dell’offerta.
Infatti deve ritenersi consentita la modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, rispetto alle giustificazioni già fornite, come pure l’aggiustamento delle singole voci di costo anche in relazione a “sopravvenienze di fatto o normative”, (C.d.S., V, n. 4400/2019), potendosi sempre valorizzare “economie sopravvenienti, in grado di refluire sull’affidamento del contratto” (C.d.S., V, 1874/2020; V, 3502/2019; in senso analogo V, 4272/2020 secondo cui è “ammissibile non solo la modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, rispetto alle giustificazioni già fornite, come pure l'aggiustamento delle singole voci di costo, sia in correlazione a sopravvenienze di fatto o normative, sia per porre rimedio a originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l'entità originaria dell'offerta economica, nel rispetto del principio dell'immodificabilità, che presiede la logica della par condicio tra i competitori (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2019, n. 4400); ma anche la rimodulazione degli elementi economici dell'offerta in sede di giustificazioni sull'anomalia, con il solo limite di non alterarne il quantum iniziale o l'equilibrio economico e purché si accerti in concreto, sulla base di un apprezzamento globale e sintetico, che la proposta economica risulti nel suo complesso affidabile e attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto (Cons. Stato, sez. V, 12.02.2020, n. 1071)”.
Ancora di recente questa Sezione ha al riguardo evidenziato, nel solco dell’indicato indirizzo giurisprudenziale: “Premesso che lo scopo essenziale cui si conforma il giudizio sull'anomalia dell'offerta va individuato nella verifica della complessiva affidabilità dell'offerta sotto il profilo economico, in vista della esecuzione delle prestazioni contrattuali da parte dell'aggiudicatario, appare del tutto logico che detta verifica si svolga avendo come parametri di valutazione il livello dei costi al tempo in cui è effettuata la verifica. In altri termini, se la finalità (indiscussa) del procedimento in questione è la verifica della attuale attendibilità economica dell'offerta è del tutto coerente con tale finalità la scelta di fare riferimento a parametri economici attualizzati” (Cons. Stato Sez. V, Sent., 20.01.2021, n. 593) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.05.2022 n. 4191 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Niente principio di rotazione se la stazione appaltante bandisce una procedura aperta senza limitare preventivamente il numero dei partecipanti.
L’articolo 36 d.lgs. n. 50/2016 impone espressamente alle stazioni appaltanti, nell’affidamento dei contratti d’appalto sotto soglia, il rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti.
Il principio costituisce necessario contrappeso alla notevole discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nel decidere gli operatori economici da invitare in caso di procedura negoziata e mira a evitare il crearsi di rendite di posizione in capo al contraente uscente favorendo, per converso, l’apertura al mercato più ampia possibile sì da riequilibrarne (e implementarne) le dinamiche competitive.
La giurisprudenza costante individua, tuttavia, un limite di carattere generale alla operatività della rotazione nel caso in cui la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione dei partecipanti attraverso inviti.

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9. Il motivo è infondato.
9.1 L’articolo 36 d.lgs. n. 50/2016 impone espressamente alle stazioni appaltanti, nell’affidamento dei contratti d’appalto sotto soglia, il rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti.
Il principio costituisce necessario contrappeso alla notevole discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nel decidere gli operatori economici da invitare in caso di procedura negoziata (Cons. Stato, sez. V, 12.09.2019, n. 6160) e mira a evitare il crearsi di rendite di posizione in capo al contraente uscente favorendo, per converso, l’apertura al mercato più ampia possibile sì da riequilibrarne (e implementarne) le dinamiche competitive (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 04.06.2019, n. 3755).
9.2 La giurisprudenza costante individua, tuttavia, un limite di carattere generale alla operatività della rotazione nel caso in cui la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione dei partecipanti attraverso inviti (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 04.02.2020, n. 875, Sez. V, 02.07.2020, n. 4252; 05.11.2019, n. 7539; Tar Lombardia, Milano, sez. II, sent. n. 881/2021) (TAR Lombardia, Sez. IV, sentenza 25.05.2022 n. 1205 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'Amministrazione non può sindacare il modello organizzativo adottato dalle imprese concorrenti, salvo che esso risulti manifestamente incompatibile con l'oggetto del contratto posto a gara.
Il Collegio ritiene opportuno sintetizzare i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sulla delicata dialettica tra il potere della stazione appaltante di sindacare l’offerta tecnica ed economica del concorrente e, dall’altro lato, la libertà di auto-organizzazione imprenditoriale dell’impresa in gara.
Più in particolare, si tratta di individuare i confini generali (così come tracciati dalla giurisprudenza) fino ai quali può spingersi il potere della stazione appaltante di sindacare l’offerta del concorrente ogniqualvolta venga in rilievo un profilo attinente all’organizzazione del fattore produttivo “lavoro”. Il che sottintende un’operazione di complesso bilanciamento tra due polarità costituzionali potenzialmente contrapposte, da un lato i principi di buon andamento della pubblica amministrazione e tutela del lavoro (artt. 97, 4, 35 e 36 Cost.) e dall’altro lato la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore (art. 41 Cost.).
In tale contesto devono essere inquadrati i consolidati orientamenti giurisprudenziali sviluppatisi sul potere della stazione appaltante di sindacare:
   (a) l’applicazione della clausola sociale inserita nel bando di gara;
   (b) la scelta imprenditoriale di adottare uno specifico contratto collettivo piuttosto che un altro;
   (c) la scelta imprenditoriale di adottare contratti di lavoro a causa mista lavoro/formazione;
   (d) la correttezza dell’inquadramento professionale della forza lavoro assunta con contratti di lavoro dipendente;
   (e) gli scostamenti del costo del lavoro rispetto ai parametri medi delle tabelle ministeriali;
   (f) la correttezza della qualificazione autonoma o libero-professionale dei rapporti di lavoro dichiarati dal singolo concorrente.
Il fil rouge che unisce questi orientamenti può essere sinteticamente compendiato nell’assoluta centralità della libertà di iniziativa economica dell’imprenditore (intesa soprattutto nella sua accezione euro-unitaria di libertà di concorrenza), nel senso cioè che la stazione appaltante non può mai imporre al concorrente un particolare modello di organizzazione del lavoro, quale che sia il modo con cui tale imposizione viene esercitata (ad esempio attraverso la prescrizione di un particolare tipo di contratto di lavoro o di CCNL o del livello di inquadramento).
Come ogni diritto di rango costituzionale, tuttavia, anche quello sin qui tratteggiato incontra un limite estremo ed invalicabile, e cioè l’esigenza di evitare che esso sconfini abusivamente nella lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e nel pregiudizio dei diritti sociali costituzionalmente tutelati (artt. 4, 35 e 36 Cost.).
Tali opposti principi costituzionali prevalgono infatti sulla libertà di auto-organizzazione imprenditoriale (legittimando quindi un sindacato della stazione appaltante sull’organizzazione del lavoro del concorrente) ogniqualvolta le concrete modalità di svolgimento del servizio oggetto di affidamento pubblico, così come analiticamente declinate nella lex specialis di gara, appaiono ictu oculi inconciliabili con la specifica matrice organizzativa impressa dal singolo concorrente alla propria forza lavoro.
Ciò senza dimenticare che la scelta imprenditoriale di adottare un particolare tipo di contratto di lavoro (oggettivamente inconciliabile con la lex specialis) può talvolta consentire al singolo concorrente di eludere i maggiori costi retributivi, contributivi e fiscali che sono invece sottesi al diverso modello contrattuale reso necessario dalle specifiche tecniche di gara, così realizzando non soltanto un pregiudizio all’interesse pubblico della stazione appaltante, ma anche una forma di “dumping” ad un tempo lesiva del leale gioco concorrenziale e dei diritti sociali.
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7. In via preliminare, si rileva che la lex specialis non prevedeva un limite all’utilizzo di risorse autonome piuttosto che di manodopera dipendente per l’esecuzione dell’appalto. La valutazione svolta dalla stazione appaltante deve, pertanto, ritenersi esercizio di discrezionalità tecnica.
8. Ciò premesso, il Collegio ritiene opportuno sintetizzare i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sulla delicata dialettica tra il potere della stazione appaltante di sindacare l’offerta tecnica ed economica del concorrente e, dall’altro lato, la libertà di auto-organizzazione imprenditoriale dell’impresa in gara.
9. Più in particolare, si tratta di individuare i confini generali (così come tracciati dalla giurisprudenza) fino ai quali può spingersi il potere della stazione appaltante di sindacare l’offerta del concorrente ogniqualvolta venga in rilievo un profilo attinente all’organizzazione del fattore produttivo “lavoro”. Il che sottintende un’operazione di complesso bilanciamento tra due polarità costituzionali potenzialmente contrapposte, da un lato i principi di buon andamento della pubblica amministrazione e tutela del lavoro (artt. 97, 4, 35 e 36 Cost.) e dall’altro lato la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore (art. 41 Cost.).
10. In tale contesto devono essere inquadrati i consolidati orientamenti giurisprudenziali sviluppatisi sul potere della stazione appaltante di sindacare:
   (a) l’applicazione della clausola sociale inserita nel bando di gara (cfr. ex multis Consiglio di Stato 10.06.2019 n. 3885);
   (b) la scelta imprenditoriale di adottare uno specifico contratto collettivo piuttosto che un altro (cfr. ex multis Consiglio di Stato 13.10.2015 n. 4699);
   (c) la scelta imprenditoriale di adottare contratti di lavoro a causa mista lavoro/formazione (cfr. ex multis Consiglio di Stato 18.01.2016 n. 143);
   (d) la correttezza dell’inquadramento professionale della forza lavoro assunta con contratti di lavoro dipendente (cfr. ex multis Consiglio di Stato 15.11.2021 n. 7596);
   (e) gli scostamenti del costo del lavoro rispetto ai parametri medi delle tabelle ministeriali;
   (f) la correttezza della qualificazione autonoma o libero-professionale dei rapporti di lavoro dichiarati dal singolo concorrente (cfr. Consiglio di Stato 25.03.2019 n. 1979, TAR Puglia-Lecce 02.11.2021 n. 1584, TAR Sardegna 05.02.2019 n. 94, TAR Lazio, Sezione Terza, 25.02.2015 n. 3294).
11. Il fil rouge che unisce questi orientamenti può essere sinteticamente compendiato nell’assoluta centralità della libertà di iniziativa economica dell’imprenditore (intesa soprattutto nella sua accezione euro-unitaria di libertà di concorrenza), nel senso cioè che la stazione appaltante non può mai imporre al concorrente un particolare modello di organizzazione del lavoro, quale che sia il modo con cui tale imposizione viene esercitata (ad esempio attraverso la prescrizione di un particolare tipo di contratto di lavoro o di CCNL o del livello di inquadramento).
12. Come ogni diritto di rango costituzionale, tuttavia, anche quello sin qui tratteggiato incontra un limite estremo ed invalicabile, e cioè l’esigenza di evitare che esso sconfini abusivamente nella lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e nel pregiudizio dei diritti sociali costituzionalmente tutelati (artt. 4, 35 e 36 Cost.).
13. Tali opposti principi costituzionali prevalgono infatti sulla libertà di auto-organizzazione imprenditoriale (legittimando quindi un sindacato della stazione appaltante sull’organizzazione del lavoro del concorrente) ogniqualvolta le concrete modalità di svolgimento del servizio oggetto di affidamento pubblico, così come analiticamente declinate nella lex specialis di gara, appaiono ictu oculi inconciliabili con la specifica matrice organizzativa impressa dal singolo concorrente alla propria forza lavoro.
14. Ciò senza dimenticare che la scelta imprenditoriale di adottare un particolare tipo di contratto di lavoro (oggettivamente inconciliabile con la lex specialis) può talvolta consentire al singolo concorrente di eludere i maggiori costi retributivi, contributivi e fiscali che sono invece sottesi al diverso modello contrattuale reso necessario dalle specifiche tecniche di gara, così realizzando non soltanto un pregiudizio all’interesse pubblico della stazione appaltante, ma anche una forma di “dumping” ad un tempo lesiva del leale gioco concorrenziale e dei diritti sociali.
15. Sul punto il Consiglio di Stato ha affermato, ad esempio, che “la parte appellante non ha dimostrato, né in sede di giustificativi né mediante il presente appello, la compatibilità “di fatto” o “organizzativa” con il servizio dell’avvalimento di personale autonomo, ugualmente contestata dalla stazione appaltante e non fatta oggetto di specifiche censure in sede di gravame. Da questo punto di vista, l’Amministrazione ha puntualmente evidenziato che, considerata la tipologia del servizio, il quale deve essere garantito 24 ore su 24 per 7 giorni alla settimana, esso non può basarsi sull’apporto esclusivo, quantomeno per medici e infermieri, di personale autonomo, dovendo l’affidatario programmare le proprie attività con largo anticipo e con turni rigorosamente prestabiliti” (cfr. Consiglio di Stato 25.03.2019 n. 1979) (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 24.05.2022 n. 6688 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La modifica soggettiva del RTI a seguito della perdita, da parte della mandataria o di una delle mandanti, dei requisiti di partecipazione ex art. 80 d.lgs. 50/2016 è consentita anche durante la gara.
La modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici) da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del medesimo Codice.
Ne consegue che, laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di partecipazione procedimentale, è comunque tenuta ad interpellare il raggruppamento e, laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, deve assegnargli un congruo termine per la predetta riorganizzazione.
In particolare, evidenza l’Adunanza plenaria, “il riconoscimento della possibilità di modificare (in diminuzione) il raggruppamento temporaneo di imprese, anche nel caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti, determina che, laddove si verifichi un caso riconducibile a tale fattispecie, la stazione appaltante, in applicazione dei principi generali di cui all’art. 1 della l. n. 241/1990 e all’art. 4 d.lgs. n. 50/2016, debba interpellare il raggruppamento (se questo non abbia già manifestato la propria volontà) in ordine alla volontà di procedere alla riorganizzazione del proprio assetto interno, al fine di rendere possibile la propria partecipazione alla gara”.
Del resto, la possibilità della modificazione (in “riduzione”) del RTI, ricorrendo i presupposti di cui ai commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 d.lgs. n. 50 del 2016, era già stata riconosciuta sempre dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio, con le sentenze 04.05.2012, n. 8 e 27.05.2021, n. 10 (cfr. punti 29.1 e 29.2).
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Con il proprio motivo di appello, il RTI I.G. Go. s.r.l. lamenta che l’esito cui è giunta la stazione appaltante –l’esclusione del RTI aggiudicatario dalla gara, dopo aver escluso la possibilità di rimodulare l’assetto del raggruppamento mediante avvalimento o subappalto, ovvero mediante assunzione da parte della mandataria delle quote precedentemente coperte dalla mandante nella categoria considerata, ovvero ancora in applicazione del meccanismo riduttivo di cui all’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del Codice dei contratti– si porrebbe in contrasto con il meccanismo previsto da quest’ultima norma, che consente di rimanere in gara previa estromissione (dal raggruppamento) della sola mandante, nonché con i principi dettati dal diritto eurounitario in materia di evidenza pubblica, alla luce dei quali le amministrazioni aggiudicatrici devono assicurare ogni più ampia tutela all’esigenza –ormai di rilievo ordinamentale, a seguito della Direttiva 2014/24/UE– di evitare l’esclusione dell’operatore per ragioni a lui non direttamente riconducibili o imputabili qualora questo faccia affidamento (o con associazione in RTI o in via mediata con avvalimento o subappalto) a risorse altrui.
In estrema sintesi, rileva l’appellante come l’art. 48 del d.lgs. n. 50 del 2016 preveda sì, in via generale, al comma 9 il divieto di modificazione della composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti “rispetto a quella risultante dall’impegno in sede di offerta”, salvo però quanto disposto ai successivi commi 17 e 18, contemplanti delle eccezioni al predetto principio generale.
Inoltre, sempre l’art. 48 dispone al comma 19-ter (introdotto dall’art. 32, comma primo, lettera h), del d.lgs. n. 56 del 2017) che “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19” (a mente del quale “è ammesso il recesso di una o più imprese raggruppate, anche qualora il raggruppamento si riduca ad un unico soggetto, esclusivamente per esigenze organizzative del raggruppamento e sempre che le imprese rimanenti abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o forniture o servizi ancora da eseguire. In ogni caso la modifica di cui al primo periodo non è ammessa se finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara”) trovano “applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verificano in fase di gara”.
In ragione della novella normativa, dunque, la deroga all’immodificabilità del raggruppamento temporaneo rispetto all’originaria composizione risultante dall’impegno presentato in sede di offerta sarebbe consentita sia in fase di gara che in fase esecutiva, ove conseguente ad un evento che abbia privato le imprese –mandataria o mandante– della capacità di contrarre con la pubblica amministrazione, a condizione beninteso che il raggruppamento conservi la qualificazione adeguata ai lavori da eseguire.
Il motivo è fondato, alla luce del recente arresto dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio, 25.01.2022, n. 2.
Secondo tale orientamento –dal quale non vi è ragione evidente per discostarsi, nel caso di specie– la modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici) da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del medesimo Codice.
Ne consegue che, laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di partecipazione procedimentale, è comunque tenuta ad interpellare il raggruppamento e, laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, deve assegnargli un congruo termine per la predetta riorganizzazione.
In particolare, evidenza l’Adunanza plenaria, “il riconoscimento della possibilità di modificare (in diminuzione) il raggruppamento temporaneo di imprese, anche nel caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti, determina che, laddove si verifichi un caso riconducibile a tale fattispecie, la stazione appaltante, in applicazione dei principi generali di cui all’art. 1 della l. n. 241/1990 e all’art. 4 d.lgs. n. 50/2016, debba interpellare il raggruppamento (se questo non abbia già manifestato la propria volontà) in ordine alla volontà di procedere alla riorganizzazione del proprio assetto interno, al fine di rendere possibile la propria partecipazione alla gara”.
Del resto, la possibilità della modificazione (in “riduzione”) del RTI, ricorrendo i presupposti di cui ai commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 d.lgs. n. 50 del 2016, era già stata riconosciuta sempre dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio, con le sentenze 04.05.2012, n. 8 e 27.05.2021, n. 10 (cfr. punti 29.1 e 29.2) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.05.2022 n. 4068 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Illegittima l'esclusione dalla gara per tardivo pagamento del contributo ANAC.
La disciplina del soccorso istruttorio, che di per sé trova fondamento tanto nel codice dei contratti pubblici all’art. 83, comma 9, quanto nell’art. 6 della L. 241/1990, costituisce il logico corollario dei principi del giusto procedimento, del buon andamento e della leale collaborazione tra pubblica amministrazione e privati, in una logica che mira al superamento del rigore formale del procedimento amministrativo e alla garanzia del favor partecipationis.
Tale disciplina, frutto di una lunga evoluzione normativa e giurisprudenziale, permette dunque alle Stazioni appaltanti, anche in assenza e/o incompletezza di alcune dichiarazioni, di consentire la regolarizzazione della documentazione da parte dei privati, allorquando tale carenza documentale non si traduca in una mancanza sostanziale dei requisiti di partecipazione alla gara.
In proposito, la giurisprudenza, aderendo all’orientamento già espresso dalla Corte di giustizia dell’U.E., ha già chiarito che i principi di tutela del legittimo affidamento, certezza del diritto e proporzionalità ostano ad ogni regola dell'ordinamento di uno Stato membro che consenta di escludere da una procedura di affidamento di un contratto pubblico l'operatore economico non avvedutosi del tardivo o mancato versamento del contributo per il funzionamento dell'Autorità nazionale anticorruzione.
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Dunque, alla luce della normativa statale e delle pronunce della giurisprudenza in materia, deve ritenersi, nel caso di specie, che la gravata esclusione dalla gara della società ricorrente sia stata oggettivamente sproporzionata e di per sé inconciliabile con il principio del favor partecipationis e della tutela della concorrenza.
Il tardivo versamento dei contributi ANAC previsti per la partecipazione alla gara pubblica, infatti, non afferisce né al contenuto dell’offerta economica, né a quello dell’offerta tecnica, pertanto si ritiene ragionevole qualificabile come un’irregolarità meramente formale, peraltro ingenerata da un malfunzionamento tecnico di un sistema informatico, certificato nella sua storicità fattuale dalla stessa Stazione appaltante e lealmente fatto constare in anteparte dalla ricorrente con apposita comunicazione indirizzata all’Amministrazione.
Detta irregolarità, pur se sanata dalla ... oltre il termine per la presentazione delle offerte, in nessuno modo osta alla riammissione della stessa alla gara in violazione del principio della par condicio competitorum.
Si consideri, peraltro, che dal punto di vista della qualificazione del contributo ANAC come elemento formale e non essenziale -poiché non riguardante l’offerta economica e/o tecnica- un recente orientamento giurisprudenziale ha chiarito che “il soccorso istruttorio, oltre a consentire operazioni di completamento o chiarimento della domanda, permette di sanare le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda, ossia la mancanza e l'incompletezza della stessa, nonché ogni altra irregolarità, quand'anche di tipo "essenziale", purché la stessa non riguardi l'offerta economica o tecnica in sé considerata”.
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Sul piano della metodologia espositiva delle ragioni poste a fondamento dell’accoglimento, i motivi dedotti da parte ricorrente possono essere trattati congiuntamente, in quanto tutti riconducibili, per diversi aspetti, ad una stessa questione di diritto, ovvero alla illegittimità del provvedimento di esclusione dovuta al tardivo versamento dei contributi ANAC previsti per la partecipazione alla gara pubblica bandita dalla ASL BT.
La disciplina, che in questa sede occorre richiamare, è quella del soccorso istruttorio.
Questo istituto, che di per sé trova fondamento tanto nel codice dei contratti pubblici all’art. 83, comma 9, quanto nell’art. 6 della L. 241/1990, costituisce il logico corollario dei principi del giusto procedimento, del buon andamento e della leale collaborazione tra pubblica amministrazione e privati, in una logica che mira al superamento del rigore formale del procedimento amministrativo e alla garanzia del favor partecipationis.
Tale disciplina, frutto di una lunga evoluzione normativa e giurisprudenziale, permette dunque alle Stazioni appaltanti, anche in assenza e/o incompletezza di alcune dichiarazioni, di consentire la regolarizzazione della documentazione da parte dei privati, allorquando tale carenza documentale non si traduca in una mancanza sostanziale dei requisiti di partecipazione alla gara.
In proposito, la giurisprudenza, aderendo all’orientamento già espresso dalla Corte di giustizia dell’U.E., ha già chiarito che i principi di tutela del legittimo affidamento, certezza del diritto e proporzionalità ostano ad ogni regola dell'ordinamento di uno Stato membro che consenta di escludere da una procedura di affidamento di un contratto pubblico l'operatore economico non avvedutosi del tardivo o mancato versamento del contributo per il funzionamento dell'Autorità nazionale anticorruzione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.04.2018, n. 2386; Corte di giustizia UE, 02.06.2016, C 27/15).
Dunque, alla luce della normativa statale e delle pronunce della giurisprudenza in materia, deve ritenersi, nel caso di specie, che la gravata esclusione dalla gara della società ricorrente sia stata oggettivamente sproporzionata e di per sé inconciliabile con il principio del favor partecipationis e della tutela della concorrenza.
Il tardivo adempimento in questione, infatti, non afferisce né al contenuto dell’offerta economica, né a quello dell’offerta tecnica, pertanto si ritiene ragionevole qualificabile come un’irregolarità meramente formale, peraltro ingenerata da un malfunzionamento tecnico di un sistema informatico, certificato nella sua storicità fattuale dalla stessa Stazione appaltante e lealmente fatto constare in anteparte dalla ricorrente con apposita comunicazione indirizzata all’Amministrazione.
Detta irregolarità, pur se sanata dalla Si. s.r.l. oltre il termine per la presentazione delle offerte, in nessuno modo osta alla riammissione della stessa alla gara in violazione del principio della par condicio competitorum.
Si consideri, peraltro, che dal punto di vista della qualificazione del contributo ANAC come elemento formale e non essenziale -poiché non riguardante l’offerta economica e/o tecnica- un recente orientamento giurisprudenziale ha chiarito che “il soccorso istruttorio, oltre a consentire operazioni di completamento o chiarimento della domanda, permette di sanare le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda, ossia la mancanza e l'incompletezza della stessa, nonché ogni altra irregolarità, quand'anche di tipo "essenziale", purché la stessa non riguardi l'offerta economica o tecnica in sé considerata” (cfr. TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 02.03.2020, n. 213; Cons. Stato, Sez. VI, 09.04.2019, n. 2344).
Inoltre, sulla base della ricostruzione dei fatti compiuta da parte ricorrente, appare evidente che il comportamento dell’impresa sia stato improntato al rispetto dei generali principi di correttezza e buona fede a cui devono sempre essere informati i rapporti fra Amministrazione e privati e che, dunque, il tardivo adempimento contributivo non sia stato affatto imputabile alla negligenza della ditta, ma ad un un’oggettiva impossibilità di procedere al pagamento, causata da un temporaneo malfunzionamento della piattaforma informatica ANAC; tanto può essere desunto, in primis, dal fatto che la ricorrente abbia presentato, nella stessa procedura di gara, offerte anche per ulteriori lotti, per le quali ha tempestivamente adempiuto all’onere contributivo ed, inoltre, dalla già menzionata autodichiarazione -allegata alla documentazione di gara- attestante l’impedimento tecnico formale determinatosi nel procedere al pagamento.
Da ultimo, ma non per ultimo, l’importo minimale del contributo in questione -due versamenti, ciascuno di euro 20,00- permette di far emergere la oggettiva minimalità della irregolarità determinatasi nel caso di specie e l’assoluta sproporzione delle conseguenze espulsive che da essa sono state tratte (TAR Puglia, Sez. II, sentenza 20.05.2022 n. 730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il “discrimine tra una variante inammissibile ed una miglioria ammessa non può essere affidato a una autonoma valutazione giudiziale dei bisogni che l'Amministrazione intende soddisfare con l'indizione della procedura di gara, dal momento che le clausole del bando sono di stretta interpretazione e la lex specialis vincola non solo i concorrenti ma anche la stazione appaltante, che non ha alcun margine di discrezionalità nella sua concreta attuazione, non potendo disapplicare le regole ivi contenute nemmeno qualora esse risultino formulate in modo inopportuno o incongruo, potendo nel caso, semmai, ricorrere all'autotutela.
Nell'individuare tale discrimine si deve pertanto far riferimento ai criteri più volte enunciati in giurisprudenza e precisamente: le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante”.

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Alla fattispecie che ci occupa deve pertanto essere applicato il tradizionale orientamento giurisprudenziale che ha rilevato come il “discrimine tra una variante inammissibile ed una miglioria ammessa non p(ossa) essere affidato a una autonoma valutazione giudiziale dei bisogni che l'Amministrazione intende soddisfare con l'indizione della procedura di gara, dal momento che le clausole del bando sono di stretta interpretazione e la lex specialis vincola non solo i concorrenti ma anche la stazione appaltante, che non ha alcun margine di discrezionalità nella sua concreta attuazione, non potendo disapplicare le regole ivi contenute nemmeno qualora esse risultino formulate in modo inopportuno o incongruo, potendo nel caso, semmai, ricorrere all'autotutela; nell'individuare tale discrimine si deve pertanto far riferimento ai criteri più volte enunciati in giurisprudenza e precisamente: le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante” (Cons. Stato sez. V, 15.11.2021, n. 7602; TAR Marche, 27.10.2021, n. 758; Cons. Stato sez. V, 03.03.2021, n. 1808) TAR Toscana, Sez. I, con la sentenza 19.05.2022 n. 685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAl Rup spetta il potere di non aggiudicare l'appalto e di escludere l'offerta anche per scostamenti tecnici.
Il responsabile unico del procedimento può adottare il provvedimento di esclusione non solo per ragioni documentali o amministrative ma, nonostante la posizione contraria della commissione di gara, anche per ragioni tecniche come nel caso in cui, ad esempio, l'offerta non risulti tecnicamente conforme alle prescrizioni della legge di gara.
È quanto ha stabilito il TAR Toscana, Sez. I, con la sentenza 19.05.2022 n. 685.
Il caso
Il tribunale amministrativo toscano è tornato sulla questione dei rapporti tra il Rup (nella regione dirigente responsabile dei contratti, con acronimo Drc) e la commissione di gara in particolare in relazione all'aggiudicazione dell'offerta. La commissione di gara ha proposto l'aggiudicazione trasmettendo gli atti al Rup che, ritenendo presenti degli scostamenti nell'offerta tecnica (rispetto al progetto esecutivo posto a base di gara) ha rinviato gli atti al collegio che, però, ha confermato il proprio operato e la propria valutazione.
La commissione ha espresso un giudizio notevolmente divergente dalle sottolineature del Rup visto che i supposti scostamenti tecnici in realtà, per la commissione di gara, corrispondevano a semplici «integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste».
La commissione ha pertanto ribadito la necessità di aggiudicare al Rti primo classificato.
Questa posizione non ha persuaso il Rup che ha proceduto con l'esclusione del Rti primo graduato e della stessa impresa seconda classificata disponendo la valutazione dell'anomalia dell'offerta della terza in classifica.
In sostanza, il Rup non ha ritenuto conformi ai desiderata espressi nella legge di gara ne la prima ne la seconda classificata escludendole.
I provvedimenti di esclusione sono stati immediatamente impugnati, sottolineando tra l'altro che la competenza sulle esclusioni secondo le disposizioni della legge di gara avrebbero dovuto ricadere sulla commissione.
La sentenza
Secondo il Tar, nel procedimento non è ravvisabile alcuna incompetenza del Rup nel decidere di non aggiudicare (e non confermare il verbale della commissione di gara) e, pertanto, di escludere le offerte con correlata responsabilità.
Anche se alcune disposizioni della legge di gara, se lette in modo «atomistico», potevano probabilmente portare ad affermare la competenza della commissione ad adottare anche i provvedimenti di esclusione, da una lettura non parziale è emersa invece una chiara distribuzione delle competenze.
In particolare, il disciplinare, «nel quadro della complessiva determinazione delle competenze rispettive dei tre organi della procedura (il presidente della commissione, la commissione di gara e il Drc che svolge, ai fini della legislazione regionale, le funzioni del Rup) ha attribuito inequivocabilmente al Drc il compito di approvare i verbali e adottare "il provvedimento con il quale dispone le esclusioni" dalla procedura».
E, precisamente, nel caso di specie l'esclusione è stata disposta per ragioni tecniche ovvero «a seguito della riscontrata non conformità dell'offerta tecnica del concorrente al progetto posto a base di gara».
L'epilogo, sulla questione specifica, della sentenza ha una indubbia valenza pratica considerato che il giudice ha rammentato che il potere del Rup di adottare il provvedimento di esclusione non «risulta per nulla limitato alle sole esclusioni determinate da carenze documentali o altre ragioni "amministrative" (come implicitamente prospetto dalla ricorrente), ma (…) investe l'interezza delle ragioni di esclusione e, quindi, anche le esclusioni determinate da ragioni "tecniche", ovvero determinate dalla non rispondenza del progetto tecnico delle singole partecipanti alla procedura alle specifiche tecniche previste dal progetto esecutivo a base di gara» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 30.06.2022).
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SENTENZA
2. In particolare, risulta manifestamente infondato il primo motivo del ricorso R.G. 1527/2021, relativo ad una presunta incompetenza del R.U.P. a disporre l’esclusione dalla procedura dell’offerta della ricorrente, trattandosi di valutazione a carattere prettamente tecnico (presuntamente) riservata alla Commissione di gara.
A questo proposito, risulta, indubitabile il fatto che il disciplinare di gara recasse una serie di previsioni che, a prima vista, potrebbero portare a concludere per la necessità di incardinare la competenza a disporre l’esclusione dalla procedura di gara delle offerte non rispondenti alle specifiche tecniche della procedura in capo alla Commissione di gara; in particolare, il riferimento è alle previsioni di cui alle pagine 6 (“la Commissione giudicatrice, in seduta pubblica,…esclude le eventuali offerte tecniche irregolari”), 20 (“nel caso in cui l’offerta non sia ritenuta accettabile dalla Commissione giudicatrice il concorrente sarà escluso dalla gara e non si procederà, pertanto, all’apertura della relativa offerta economica”) e di cui al punto 5.2 (“determina l’esclusione dalla gara il fatto che l’offerta tecnica…. sia ritenuta inaccettabile dalla Commissione giudicatrice in quanto peggiorativa o incompatibile con il progetto esecutivo a base di gara”) del disciplinare di gara che, sembrano, almeno a prima vista, riservare il potere di esclusione dalla procedura di gara per ragioni “tecniche” (ovvero a seguito della riscontrata non conformità dell’offerta tecnica del concorrente al progetto posto a base di gara) alla Commissione piuttosto che al R.U.P.
Con tutta evidenza, si tratta però di previsioni che non possono costituire oggetto di una lettura atomistica, ma che devono essere inserite all’interno della sistematica più complessiva della procedura di gara ed in particolare, devono essere lette in maniera coordinata con la previsione di cui a pag. 6 del disciplinare di gara che, nel quadro della complessiva determinazione delle competenze rispettive dei tre organi della procedura (il Presidente della Commissione, la Commissione di gara ed il D.R.C. che svolge, ai fini della legislazione regionale, le funzioni del R.U.P.) attribuisce inequivocabilmente al D.R.C. il compito di approvare i verbali ed adottare “il provvedimento con il quale dispone le esclusioni” dalla procedura.
La competenza finale all’adozione dei provvedimenti “finali” di esclusione dalla procedura di gara risulta pertanto essere inequivocabilmente attribuita, dal disciplinare di gara, al solo D.R.C. e, con tutta evidenza, si tratta di un potere che non risulta per nulla limitato alle sole esclusioni determinate da carenze documentali o altre ragioni “amministrative” (come implicitamente prospetto dalla ricorrente), ma che investe l’interezza delle ragioni di esclusione e, quindi, anche le esclusioni determinate da ragioni “tecniche”, ovvero determinate dalla non rispondenza del progetto tecnico delle singole partecipanti alla procedura alla specifiche tecniche previste dal progetto esecutivo a base di gara.
Risulta pertanto necessitata una lettura delle tre previsioni di cui alle pag. 6, 20 ed al punto 5.2 del disciplinare di gara in coordinazione con la finale attribuzione al D.R.C. della competenza all’adozione del provvedimento di esclusione dalla procedura, con conseguenziale necessità di riconoscere alla Commissione di gara solo una funzione di ausilio, con riferimento a tutti i profili tecnici inerenti all’offerta del singolo concorrente, di una scelta finale riservata al D.R.C.
Del resto, la costruzione proposta da parte ricorrente e tendente a svalutare le competenze del D.R.C. presuppone, con tutta evidenza, una necessità di “leggere” le competenze dell’Organo in termini di potere vincolato alle determinazioni della Commissione di gara che non è per nulla desumibile dalla già citata previsione di pag. 6 del disciplinare di gara (come già detto, destinata a regolamentare le competenze rispettive degli Organi della procedura) e che peraltro non risulta assolutamente in linea con la complessiva strutturazione di una procedura di gara che tende, al contrario, a riservare al D.R.C. la competenza finale all’emanazione di tutti i provvedimenti di esclusione dalla procedura.
Quanto sopra rilevato basterebbe già a determinare il rigetto del primo motivo del ricorso R.G. n. 1527/2021, non avendo la ricorrente censurato la previsione del disciplinare di gara (pag. 6) che riserva al D.R.C. la competenza all’adozione dei provvedimenti di esclusione dalla procedura.
Per completezza, la Sezione deve però rilevare come la strutturazione complessivamente desumibile dal disciplinare di gara risulti ben in linea con la ricostruzione delle rispettive sfere di competenza della Commissione di gara e del R.U.P. emersa in giurisprudenza.
A questo proposito, deve sicuramente essere richiamata una recente decisione della Sezione che ha rilevato come “la giurisprudenza …(abbia) in più occasioni ribadito che il provvedimento di esclusione dalla gara è di pertinenza della stazione appaltante, e non già dell'organo straordinario-Commissione giudicatrice; la documentazione di gara può, comunque, demandare alla Commissione giudicatrice ulteriori compiti, di mero supporto ed ausilio del RUP, ferma rimanendo la competenza della stazione appaltante nello svolgimento dell'attività di amministrazione attiva alla stessa riservata (Consiglio di Stato sez. VI, 08/11/2021, n. 7419).
L’invocata disposizione del disciplinare non vale a sottrarre alla stazione appaltante il potere di decidere la non conformità dell’offerta al progetto dalla stessa predisposto imponendole la realizzazione di un’opera diversa da quella voluta; la sua portata deve essere circoscritta al sub procedimento che si svolge innanzi all’organo valutatore, senza che il vaglio positivo dello stesso sulla “accettabilità” della offerta possa precludere un successivo diverso accertamento del RUP
” (TAR Toscana, sez. I, 19.04.2022, n. 526)
TAR Toscana, Sez. I, con la sentenza 19.05.2022 n. 685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Offerta tecnica – Legge di gara – Assenza di indicazione del minimo della percentuale del ribasso del tempo di esecuzione della prestazione – Linee guida ANAC – Strumento di regolazione flessibile, privo di carattere precettivo.
Le specifiche indicazioni formulate nelle Linee guida ANAC in relazione alla possibile limitazione del ribasso delle tempistiche di esecuzione, in quanto prive di carattere precettivo, operano esclusivamente quale strumento di regolazione flessibile, con funzione ricognitiva di princìpi di carattere generale e di mero ausilio interpretativo alle Amministrazioni cui sono rivolte, con il fine di promuovere interpretazioni uniformi e comportamenti omogenei (TAR Lazio, Roma, Sez. I, 03.07.2019, n. 8678).
Ne consegue che il discostamento da tali indicazioni e, nel caso di specie, la mancata fissazione di un limite al ribasso, rientra nell’ambito dell’ampia discrezionalità attribuita dalla legge all’Amministrazione in sede di predeterminazione dei criteri di selezione e valutazione delle offerte (Cons. Stato, sez. V, 18.06.2018 n. 3737), e appare nel contempo ragionevole, perché finalizzata ad assicurare il più ampio confronto concorrenziale, confronto che sarebbe inevitabilmente frustrato quando su un elemento organizzativo dirimente, come è il fattore tempo, gli operatori interessati fossero condotti ad appiattire le rispettive proposte su un valore soglia prestabilito
(TAR Veneto, Sez. I, sentenza 06.05.2022 n. 673 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIModalità di nomina dell’arbitro ex art. 209, d.lgs. 50 del 2016 di parte nel caso in cui la parte stessa non abbia provveduto.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Arbitrato – Nomina arbitro di parte in caso di inerzia – Soggetto deputato - Individuazione.
Il presidente del tribunale è il soggetto istituzionale deputato alla nomina dell’arbitro di parte nel caso di inerzia della parte stessa (1).
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   (1) Ha ricordato la Sezione che né l’art. 209, d.lgs. n. 50 del 2016 né il successivo art. 210 disciplinano espressamente l’ipotesi in cui la parte, cui spetta la nomina dell’arbitro di parte, non provveda.
Prima di dare analitica risposta ai quesiti posti dall’ANAC (come si farà nel prosieguo), la Sezione reputa necessario esporre il ragionamento logico-giuridico sotteso alla decisione, anticipando sin da ora che il Collegio ritiene di aderire alla soluzione che attribuisce al presidente del tribunale il potere di designazione dell’arbitro nel caso di inerzia della parte.
Ciò premesso, in primo luogo va evidenziato che, atteso il richiamo esplicito operato al codice di procedura civile (“Ai giudizi arbitrali si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dal presente codice”), il chiaro disposto dell’art. 209, comma 10, esclude che tecnicamente vi sia una lacuna.
La disposizione da ultimo richiamata serve proprio ad evitare le lacune e a prevedere una disciplina di riferimento –il più possibile completa– per tutti gli aspetti non regolati dal predetto articolo 209 codice appalti.
Leggendo l’articolo 209, comma 10, si ricava invero l’idea che all’arbitrato in materia di appalti si applichi per intero il codice di procedura civile, fatta eccezione per le regole contenute nel codice degli appalti.
Né in senso diverso può dirsi che il rinvio al codice di procedura civile sia limitato alla fase del giudizio e non anche a quella di costituzione del collegio arbitrale. Per la Sezione, la locuzione “giudizi arbitrali” deve essere riferita all’”arbitrato”, come disciplinato al Titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile (artt. 806 e segg.) nei suoi diversi Capi. Ragionando diversamente non sarebbe chiaro a quale dei diversi Capi (Capo I, “Della convenzione di arbitrato”, II “Degli arbitri”, III “Del procedimento”, IV “Del lodo” V “Delle impugnazioni”, ecc. ) il Codice degli appalti abbia voluto fare riferimento.
Le affermazioni ora compiute, in secondo luogo, portano ad affermare che la disciplina generale dell’arbitrato in materia di appalti è quella dettata dal codice di procedura civile, attesa l’ampiezza del rinvio compiuto dall’articolo 209, comma 10, mentre le norme contenute all’articolo 209 codice degli appalti hanno carattere derogatorio, e dunque eccezionale, pur se contenute in una legge speciale (ossia che si applica “soltanto ad una determinata materia o ad una determinata categoria di soggetti”), qual è il codice degli appalti.
Venendo al caso di specie, il chiaro disposto dell’articolo 209, comma 10, ove si effettua un amplissimo richiamo al codice di procedura civile, porta a far concludere che la procedura di nomina degli arbitri da parte della camera arbitrale abbia natura derogatoria rispetto a quella generale del codice di procedura civile e dunque non possa essere applicata analogicamente, giusta il divieto contenuto all’art. 14 Preleggi.
In terzo luogo, va evidenziato che la camera arbitrale è un organo amministrativo e come tale soggetto al principio di legalità dell’azione amministrativa, principio quest’ultimo che comporta la possibilità di ritenere esistenti solo i poteri espressamente conferiti a tale organo amministrativo dalla legge. Ne consegue che non possono riconoscersi, in via analogica, poteri non conferiti dalla legge –anzi espressamente assegnati al presidente del tribunale– come avverrebbe se la camera arbitrale supplisse all’inerzia della parte privata designando l’arbitro.
Tale ultima considerazione risulta essere l’unica soluzione coerente sia con la possibilità per le pubbliche amministrazioni di adottare solo i provvedimenti espressamente stabiliti dalla legge (c.d. tipicità e numerus clausus) sia con l’esplicita previsione legislativa di nominare unicamente il presidente e, su designazione degli arbitri di parte, il collegio, ex art. 209, comma 4 (“Il collegio arbitrale è composto da tre membri ed è nominato dalla Camera arbitrale di cui all'articolo 210. Ciascuna delle parti, nella domanda di arbitrato o nell'atto di resistenza alla domanda, designa l'arbitro di propria competenza scelto tra soggetti di provata esperienza e indipendenza nella materia oggetto del contratto cui l'arbitrato si riferisce. Il Presidente del collegio arbitrale è designato dalla Camera arbitrale tra i soggetti iscritti all'albo di cui al comma 2 dell'articolo 210, in possesso di particolare esperienza nella materia oggetto del contratto cui l'arbitrato si riferisce”).
Va poi aggiunto che nel nostro sistema, sempre il principio di legalità, porta al tendenziale rifiuto del ricorso a poteri impliciti. Come chiaramente affermato dalla Corte costituzionale, vi è «l'imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente «l'assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l'effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell'azione amministrativa» (Corte cost. 115/2011).
È ben vero che, nel caso di specie, all’articolo 210, comma 2, codice degli appalti è stabilito che “la Camera arbitrale cura la formazione e la tenuta dell'Albo degli arbitri per i contratti pubblici, redige il codice deontologico degli arbitri camerali e provvede agli adempimenti necessari alla costituzione e al funzionamento del collegio arbitrale”, tuttavia, ritiene la Sezione, che, con un’interpretazione costituzionalmente orientata, per le ragioni prima esposte, la locuzione “adempimenti necessari alla costituzione e al funzionamento del collegio arbitrale” non possa essere interpretata estensivamente nel senso di ampliare i poteri anche ad ipotesi non disciplinate e a poteri non espressamente conferiti.
A conferma di quanto or ora affermato va aggiunto che, se si ritenesse la camera arbitrale competente alla nomina dell’arbitro nel caso di inerzia della parte, sarebbe necessario altresì individuare il procedimento amministrativo che tale organo deve seguire, così svolgendo un compito che è demandato unicamente al legislatore.
In quarto luogo, la Sezione osserva che se fosse riconosciuto alla camera arbitrale il potere di nominare anche l’arbitro di parte, vi sarebbe un collegio che per due terzi (il presidente e un arbitro) sarebbe composto da soggetti nominati dallo stesso organo, ossia la camera arbitrale.
Fermo restando che la camera arbitrale ha certamente connotati di elevatissima indipendenza, in via sistematica, sino a quando non vi sarà un intervento del legislatore primario, va preferita la scelta che evita la “concentrazione” di nomine nello stesso organo e che opta per la nomina da parte di un soggetto terzo, anch’esso istituzionalmente caratterizzato da imparzialità e indipendenza, peraltro non competente a nominare neppure il presidente del collegio arbitrale.
In quinto luogo, occorre considerare che il dubbio sull’esistenza del potere in capo alla camera arbitrale, dubbio riconosciuto sia dall’ANAC sia dal DAGL, crea il rischio che l’atto di designazione dell’arbitro di parte sia adottato in carenza di potere con conseguente nullità del collegio e del lodo, ex art. 209, comma 7 (“La nomina del collegio arbitrale effettuata in violazione delle disposizioni di cui ai commi 4, 5 e 6 determina la nullità del lodo”).
La Sezione, in presenza di una norma (qual è il comma 10 dell’articolo 209) che richiama espressamente il codice di procedura civile conferendo il potere di nomina al presidente del tribunale, ritiene che vada seguito il canone ermeneutico per cui, in presenza di diverse opzioni interpretative, debba essere preferita quella più prudente e meno rischiosa per la validità degli atti adottati.
La Sezione osserva altresì che la difficoltà interpretativa, legata alla distinzione tra designazione e nomina, possa essere risolta.
Va osservato infatti che il presidente del tribunale, procedendo alla designazione nello svolgimento del suo ruolo istituzionale, rispetterà le disposizioni previste dal codice degli appalti (ivi comprese le incompatibilità lì stabilite), procedendo a designazioni che la camera arbitrale non avrà difficoltà ad inserire poi nel collegio arbitrale, con la conseguenza che difficilmente vi potrà essere un problema in sede di nomina del collegio da parte della camera arbitrale.
In ogni caso, se la camera arbitrale dovesse avere dubbi circa il possesso dei requisiti da parte dell’arbitro designato dal presidente del tribunale, potrà validamente interloquire col presidente del tribunale, che agisce nell’esercizio di poteri di volontaria giurisdizione (Cassazione civile, sez. I, 09.07.2018, n. 18004; Cassazione civile, sez. I, 21.07.2010, n. 17114), fermo restando che pur essendo inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. o il reclamo (Cassazione civile, sez. III, 19/01/2006, n. 1017), il decreto di nomina o di sostituzione di un arbitro, è “provvedimento privo di carattere decisorio e insuscettibile di produrre effetti sostanziali o processuali di cosa giudicata” (Cassazione civile, sez. VI, 09.06.2020, n. 10985; Cassazione civile, sez. I, 09.07.2018, n. 18004).
Alla luce delle considerazioni sino a qui esposte, la Sezione reputa di rispondere così ai quesiti:
   - In ordine al primo quesito –“se effettivamente vi sia una lacuna legislativa in ordine alla previsione dell'organo a cui spetta il potere di designazione sostitutiva nel caso dei procedimenti arbitrali per i contratti pubblici”– la Sezione ritiene che il rinvio esplicito al codice di procedura civile, contenuto all’art. 209, comma 10, d.lgs. 50/2016, esclude che tecnicamente vi sia una lacuna normativa.
   - In ordine al secondo quesito –“se l’arbitro di parte, trattandosi di c.d. arbitrato amministrato, possa essere nominato dalla camera arbitrale, e non dal presidente del tribunale, tenuto conto che la legge delega ha escluso il ricorso a procedure arbitrali diverse da quelle amministrate e ha accentuato il ruolo di garanzia svolto dalla Camera arbitrale”– la Sezione è dell’avviso che, per le considerazioni espresse, il presidente del tribunale sia il soggetto istituzionale deputato alla nomina dell’arbitro di parte nel caso di inerzia della parte stessa.
   - In relazione al terzo quesito –“se permanendo il potere di nomina da parte del presidente del tribunale, ai sensi dell’articolo 810 c.p.c., come deve essere coordinato tale potere di nomina con quello della camera arbitrale di verifica del possesso, nell’arbitro designato dal Presidente del Tribunale, dei requisiti soggettivi e della insussistenza negli stessi delle condizioni di inconferibilità dell'incarico”– per le ragioni esposte nel presente parere, la Sezione rileva che la distinzione tra “designazione” e “nomina” dell’arbitro non è di ostacolo all’individuazione del presidente del tribunale quale organo deputato alla designazione nel caso di inerzia della parte. Partendo dal presupposto che i rapporti tra presidente del tribunale e camera arbitrale dovranno essere improntati al principio della leale collaborazione, la “designazione” da parte del presidente del tribunale andrà effettuata tra coloro che possiedono i requisiti soggettivi richiesti dal codice degli appalti; inoltre, poiché la designazione è atto di volontaria giurisdizione, non si traduce in un provvedimento giurisdizionale, con conseguente possibilità per la camera arbitrale di interloquire qualora dovesse ritenere esistenti ‘imperfezioni’ nell’atto di nomina (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 05.05.2022 n. 808 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIVerifica della idoneità economico-finanziaria degli esecutori di lavori pubblici.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Appalto lavori – Idoneità economico-finanziaria degli esecutori di lavori pubblici - disponibilità di un patrimonio netto di valore positivo – Verifica – Limiti.
Nelle ipotesi previste dagli artt. 46, d.l. n. 189 del 2016 (c.d. decreto sisma 2016) e 6, d.l. n. 23 del 2020 (c.d. decreto liquidità), l’accertamento, ai sensi dell’art. 79, comma 2, lett. c), d.P.R. 207 del 2010, dell’idoneità economico-finanziaria degli esecutori di lavori pubblici può temporaneamente prescindere dalla disponibilità di un patrimonio netto di valore positivo solo con riferimento alle imprese i cui dati di bilancio sono cambiati in esito agli eventi cui si riferisce la normativa emergenziale (1).
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   (1) Ad avviso della Sezione è consentito il rilascio delle attestazioni di qualificazione alle imprese che, in conseguenza degli eventi sismici del 2016 e della recente emergenza epidemiologica da Covid-19, presentino un patrimonio netto di valore negativo.
Militano in tal senso le seguenti considerazioni.
In primo luogo, va osservato che la disciplina emergenziale del 2016 e del 2020 ha lo scopo di consentire alle imprese che si trovano in difficoltà (non per motivi di tipo “strutturale” ma) per ragioni eccezionali e imprevedibili, quali il sisma o la pandemia da Covid 19, di proseguire l’attività, derogando agli obblighi ordinariamente previsti dal codice civile. In questo quadro, dunque, tra le due possibili soluzioni ermeneutiche deve scegliersi quella più coerente con la ratio legis e, dunque, quella che favorisce maggiormente la prosecuzione dell’attività dell’impresa.
In secondo luogo, va osservato che, in forza della disciplina derogatoria introdotta dagli articoli 46 del d.l. n. 189 del 2016 e 6 del d.l. n. 23 del 2020, ove la diminuzione del capitale nominale al di sotto della soglia del minimo legale sia imputabile alle perdite verificatesi nel corso degli esercizi finanziari espressamente considerati dalle norme citate, lo scioglimento automatico della società è in ogni caso precluso, senza che sia a tal fine necessario approvare in sede assembleare la reintegrazione del valore dei conferimenti o la trasformazione dello schema societario.
Se dunque il legislatore dell’emergenza ha previsto la “sopravvivenza” della società senza imporre tutte quelle attività che ordinariamente sono stabilite dal codice civile, in via di principio non v’è ragione di escludere che queste società, munendosi di attestato SOA, oltre a sopravvivere, possano partecipare alle procedure di evidenza pubblica.
In altri termini, al pari dell’ammissione al procedimento di concordato preventivo, ex artt. 160 e segg. della legge fallimentare, anche i tragici effetti economico-sociali del sisma del 2016 e dell’emergenza sanitaria da Covid-19 connotano in termini di specialità l’esercizio dell’attività imprenditoriale e giustificano, per un verso, come previsto dall’articolo 182-sexies della legge fallimentare, la sospensione del meccanismo di adeguamento contabile delle risultanze di bilancio e, per altro verso, la derogabilità delle norme generali in materia di qualificazione previste dal d.P.R. n. 207 del 2010.
La Sezione non ignora che, a differenza del concordato preventivo con continuità aziendale, la partecipazione alle procedure di evidenza pubblica da parte delle imprese di cui agli articoli 46 del d.l. n. 189 del 2016 e 6 del d.l. n. 23 del 2020 non si inserisce nell’ambito di uno specifico piano di risanamento della crisi di liquidità.
Al riguardo, occorre tuttavia osservare che l’interesse della pubblica amministrazione allo svolgimento di rapporti contrattuali con soggetti che soddisfino gli essenziali criteri di adeguatezza economico-finanziaria è tutelato dai ristretti termini temporali entro i quali è ammessa la derogabilità dell’articolo 79, comma 2, lettera c), come più sotto sarà specificato.
In terzo luogo, non può negarsi che l’adesione alla contraria tesi dell’inderogabilità del requisito previsto dall’articolo 79, comma 2, lettera c), del d.P.R. n. 207 del 2010, oltre a produrre conseguenze applicative contraddittorie, verrebbe di fatto a vanificare lo scopo perseguito dal legislatore con l’introduzione della speciale disciplina emergenziale in esame, compromettendo irrimediabilmente sia le possibilità di ripresa delle società colpite dalla crisi sia le possibilità di ripresa dell’economia nazionale.
Sotto il primo aspetto –ossia quello della contraddittorietà– l'articolo 79, comma 2, lett. e), del d.P.R. n. 207/2010 rinvia tout court alle disposizioni del codice civile in materia di rilevazione e valorizzazione, anche ai fini giuridici, dei dati bilancio. Di talché, se la perdita di capitale esclude, per effetto di una specifica disposizione di legge, la necessità di procedere alla sua ricostituzione a garanzia del ceto creditorio, la medesima conclusione non può non valere nei rapporti con le stazioni appaltanti rispetto alle quali il patrimonio netto (e, dunque, anche il capitale sociale) costituisce la garanzia dell'esatto adempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte.
Sotto il secondo aspetto –ossia quello della finalità della disciplina emergenziale– va ricordato che il legislatore, in ultimo col recente Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, ha ritenuto di poter “riavviare” l’economia del Paese anche attraverso il rilancio degli appalti pubblici. Se si precludesse la possibilità alle imprese in condizioni di disequilibrio economico, per cause di natura non strutturale ma contingente, la partecipazione alle gare di appalto, molto probabilmente non si realizzerebbe l’obiettivo desiderato e lo squilibrio potrebbe non essere superato dalla società con conseguente crisi e ripercussioni negative anche sui livelli occupazionali.
Va in ultimo aggiunto che, come condivisibilmente sostenuto da ANAC con la nota 01.02.2022, n. 7221, la deroga in questione non deve essere concessa in modo indiscriminato a tutti gli operatori economici, cioè quelli che già prima del sisma 2016 o della pandemia da Covid 19 avevano perso, per svariate ragioni, tale requisito, “ma solo alle imprese i cui dati di bilancio sono cambiati in esito agli eventi cui si riferisce la normativa emergenziale”.
Inoltre, come già affermato in sede di richiesta di parere, può consentirsi soltanto entro il limite espressamente indicato, rispettivamente, dall'articolo 46 del d.l. 189/2016 -ovvero solo per "le perdite relative all'esercizio in corso alla data del 31.12.2016" che "non rilevano, nell'esercizio nel quale si realizzano e nei quattro esercizi successivi"- e dall'articolo 6 del d.l. n. 23/2020 -ovvero "alla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31.12.2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data".
Pertanto, una volta terminato il predetto lasso temporale nel corso del quale le perdite di esercizio non determinano l'applicazione dei meccanismi codicistici di salvaguardia del capitale, l'impresa dovrà necessariamente tornare in una condizione di equilibrio economico e, quindi, essere in possesso, ai fini attestativi, del requisito del patrimonio netto positivo di cui all'art. 79, comma 2, d.p.r. 207/2010.
A tale ultimo fine, considerato che l'attestazione di qualificazione, una volta rilasciata, abilita l'impresa all'esecuzione di lavori pubblici per tutto il periodo della sua validità (5 anni, con revisione al terzo anno), risulta altresì necessario prevedere che le SOA, nel caso in cui, per le imprese che ricadono nel regime speciale in esame, dovessero procedere al rilascio dell'attestazione di qualificazione in carenza del requisito di cui all'art. 79, comma 2, d.p.r. n. 207/2010:
   - provvedano a comunicare tempestivamente all'Autorità l'avvenuto rilascio, con indicazione dell'impresa, nonché degli estremi dell'attestazione di qualificazione rilasciata;
   - allo scadere della efficacia della deroga concessa dalla normativa speciale, provvedano, relativamente alle attestazioni rilasciate in carenza del requisito speciale del patrimonio netto positivo, al monitoraggio circa la effettiva riacquisizione da parte dell'impresa attestata del predetto requisito, procedendo alla dichiarazione la decadenza dell'attestazione di qualificazione laddove tale monitoraggio abbia esito negativo;
   - comunichino tempestivamente all'Autorità l'esito del monitoraggio svolto (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 04.05.2022 n. 804 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2022

APPALTI SERVIZINelle gare per l'affidamento della riscossione dei tributi obbligatorio indicare il costo della manodopera.
Il servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali non è un servizio intellettuale e pertanto, in sede di offerta, devono essere esplicitati i costi della manodopera.

Questa è la conclusione a cui è giunto il TAR Lombardia-Milano, Sez. I, con la sentenza 21.04.2022 n. 897.
La questione è di particolare interesse per tutti gli enti locali che si apprestano ad effettuare procedure di affidamento della riscossione e dell'accertamento dei tributi e delle altre entrate, avvalendosi della potestà di cui all'articolo 52 del Dlgs 446/1997, nonché dei servizi strumentali alla riscossione stessa, in relazione ai quali sta per essere emanato il decreto che istituisce la Sezione separata dell'albo.
Il Tar Lombardia, nell'esaminare il ricorso di un concorrente non aggiudicatario nell'ambito di una procedura di affidamento, avente ad oggetto la riscossione coattiva dei tributi e di altre entrate, ha evidenziato l'obbligo per il concorrente di esplicitare nella propria offerta il costo della manodopera, secondo quanto prescritto dall'articolo 95, comma 10, del Dlgs 50/2016.
La disposizione appena richiamata specifica che: «nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l'adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell'articolo 36, comma 2, lett. a)». Inoltre, «le stazioni appaltanti relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto dall'art. 97, comma 5, lett. d)».
In altri termini, in tutte le procedure di affidamento, fatta eccezione per gli affidamenti diretti previsti dall'articolo 36, comma 2, lett. a), del citato decreto (fino al 30.06.2023 sostituito dall'articolo 1, comma 2, del Dl 76/2020, che ha elevato, per i servizi e forniture, la soglia per l'affidamento diretto a 139.000 euro), gli operatori economici devono indicare nell'offerta il costo della manodopera, oltre che quelli connessi alla sicurezza.
La norma esclude dall'applicazione di tale obbligo i servizi di natura intellettuale, intendendo per tali quelli che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all'organizzazione di mezzi e risorse; mentre va esclusa la natura intellettuale del servizio avente a oggetto l'esecuzione di attività ripetitive che non richiedono l'elaborazione di soluzioni personalizzate, diverse, caso per caso, per ciascun utente del servizio, ma l'esecuzione di meri compiti standardizzati (Consiglio di Stato, V, 28.07.2020 n. 4806, nonché sezione V, n. 1291 del 2021).
Nel caso della riscossione dei tributi, il Tar ha osservato che si tratta di attività caratterizzate da una connotazione fortemente automatica e ripetitiva, spesso svolta con l'ausilio di supporti informatici. Tale conclusione nasce dall'esame delle attività che ordinariamente la caratterizzano, quali la predisposizione e la stampa di avvisi e solleciti, la loro postalizzazione, la ricerca dei beni aggredibili utilizzando le banche dati, sovente effettuata con procedure informatiche, il calcolo degli importi dovuti, con l'aggiunta degli interessi e delle spese, nonché, da ultimo, talune procedure cautelari, quali il pignoramento presso terzi e l'iscrizione ipotecaria, sovente attivate con comunicazioni massive.
L'esclusione della natura intellettuale del servizio, rende necessario che l'offerente indichi non solo i costi della manodopera, ma anche che gli stessi siano determinati sulla base delle apposite tabelle ministeriali, oggetto di verifica in sede di riscontro della congruità del suo valore effettuata durante la verifica dell'anomalia dell'offerta.
La mancata indicazione di tali costi ha l'effetto di determinare l'esclusione dell'offerta dell'operatore economico, non potendosi nella fattispecie neppure ricorrere al soccorso istruttorio, indipendentemente dal fatto che la circostanza non fosse prevista dalla documentazione di gara, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione (Corte di giustizia dell'Unione europea, causa C-309/18, Consiglio di Stato, sentenza n. 1526/2021).
Va comunque rilevato che, con riferimento ai servizi a supporto della riscossione dei tributi (nello specifico la bonifica e l'aggiornamento delle banche dati e la gestione dello sportello fisico e virtuale dei contribuenti, il supporto alla riscossione e alla rendicontazione, il supporto alla gestione del recupero degli importi non versati volontariamente nonché alla lotta all'evasione ed all'esclusione, compresa la relativa attività di riscossione, anche coattiva e infine il supporto alla gestione degli istituti deflattivi del contenzioso, ivi compreso il reclamo e la mediazione, della fase del precontenzioso e del contenzioso), il Consiglio di Stato ha invece confermato la sua natura di servizio intellettuale (sentenza n. 4098/2020) (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 11.05.2022).
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SENTENZA
23.3. Per servizi di natura intellettuale si devono intendere quelli che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all'organizzazione di mezzi e risorse; al contrario va esclusa la natura intellettuale del servizio avente ad oggetto l'esecuzione di attività ripetitive che non richiedono l'elaborazione di soluzioni personalizzate, diverse, caso per caso, per ciascun utente del servizio, ma l'esecuzione di meri compiti standardizzati (Cons. Stato, sez. V, n. 1291 del 2021; idem n. 4806 del 2020).
23.4. Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, va osservato che ai sensi dell’art. 4 del capitolato le attività richieste hanno in gran parte una connotazione fortemente automatica e ripetitiva, spesso eseguite attraverso supporti informatici.
Si pensi ad esempio all’attività di individuazione dei beni aggredibili, espletabile attraverso la consultazione delle banche dati, e a tutta l’attività di postalizzazione. Ed ancora l’elaborazione dei flussi per il calcolo degli interessi, aggio e spese postali, la predisposizione, la stampa e l’inoltro delle comunicazioni, secondo le modalità di legge; la verifica delle anagrafiche dei debitori; la gestione degli eventuali sgravi e rimborsi, intesi come riduzione del carico disposto da Regione, e l’aggiornamento della relativa lista di carico; l’iscrizione del fermo amministrativo dei beni mobili registrati o all’iscrizione di ipoteca sugli immobili o ad ogni altra azione a tutela del credito, laddove il debito rimanga insoluto, non sospeso o non sgravato.
E’ espressamente previsto che il concessionario disponga di un sistema informativo che consenta di gestire le attività oggetto del servizio.
23.5. Si tratta di attività che non richiedono un apporto eminentemente personale, anche perché le fasi decisionali a monte dei processi oggetto dell’appalto rimangono in capo alla Regione (si pensi, ad esempio, agli sgravi e ai rimborsi, che presuppongono determinazioni assunte dalla Regione, sicché l’attività conseguente è meramente esecutiva).
23.6. In sintesi quindi non si può ravvisare nell’oggetto del servizio di appalto un’attività di carattere intellettuale, neppure in termini di prevalenza, sicché non risulta giustificata l’omissione dei costi della manodopera, in violazione dell’art. 95, comma 10, del codice dei contratti.
23.7. L’omessa indicazione dei costi della manodopera non è neppure giustificabile alla luce della mancanza nella documentazione di gara della specifica previsione.
Ed invero la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un'offerta economica presentata nell'ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l'esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d'appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione (Consiglio di Stato sez. V, 22.02.2021, n. 1526).
Né nel caso di specie risultava non editabile l’indicazione del costo della manodopera, inserito dalla controinteressata nella propria offerta.
23.8. La mancata indicazione del costo della manodopera da parte della ricorrente non risulta quindi giustificabile. La sua offerta avrebbe pertanto dovuta essere esclusa.

marzo 2022

APPALTI: Obbligo prima dell’aggiudicazione di controllare i costi del personale.
Il TAR di Milano ricorda che:
<<la giurisprudenza condivisa dal Collegio ha chiarito che le stazioni appaltanti, ai sensi dell’art. 95, comma 10, secondo periodo, del d.lgs. n. 50/2016, prima dell’aggiudicazione hanno obbligo di controllare che i costi siano inferiori ai minimi salariali retributivi indicati nelle tabelle ministeriali, senza che per tale verifica la disposizione richieda alcun contraddittorio né, men che meno, che venga attivato il procedimento di verifica delle offerte anormalmente basse;
la norma di rinvio è contenuta nell’art. 97 del d.lgs. n. 50/2016, che disciplina tale procedimento, ma il rinvio è limitato al disposto di cui al comma 5, lett. d), di tale articolo, sicché non può essere interpretato nel senso che occorre attivare comunque il procedimento citato;
il rinvio in questione va, invece, interpretato nel senso che prima dell’aggiudicazione le stazioni appaltanti devono verificare il rispetto, da parte dell’offerta vincitrice, dei minimi salariali indicati nelle tabelle ministeriali;
laddove la verifica dia esito negativo la disposizione di cui al richiamato art. 95, comma 10, non prevede l’istituzione di alcun contraddittorio e deve quindi ritenersi che l’offerta vada irrimediabilmente esclusa, come previsto dall’art. 97, comma 5 (cui rinvia l’art. 95, comma 10), a norma del quale l’accertamento che l’anomalia dell’offerta deriva da un costo del personale inferiore ai minimi tabellari ne determina senz’altro l’esclusione>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.03.2022 n. 648 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
2.1. Con riguardo al primo motivo, è sufficiente osservare che:
   - la stazione appaltante ha valutato i costi di manodopera delle offerte presentate ai sensi della disciplina di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016, a tenore della quale “nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera” e le stazioni appaltanti, “relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all’articolo 97, comma 5, lett. d)”;
   - il citato art. 97, comma 5, lett. d), prevede che la stazione appaltante richieda spiegazioni agli operatori ed escluda l’offerta laddove accerti che la stessa sia “anormalmente bassa in quanto: […] d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 23, comma 16”;
   - l’art. 23, comma 16, a sua volta, stabilisce che “per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture, il costo del lavoro è determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione”;
   - la commissione di gara ha effettuato una stima del valore della manodopera prendendo in considerazione le tabelle ministeriali di riferimento, ovvero il “costo medio orario a livello nazionale del personale per il settore sorveglianza antincendio (CCNL 03.11.2009) emanate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Direzione Generale della Tutela delle Condizioni del Lavoro - Div. IV”, alla luce delle quali ha valutato non congrua l’offerta presentata dalla ricorrente in considerazione del fatto che il servizio posto a gara doveva essere svolto da una squadra composta da almeno due persone e che il costo per la manodopera formulato in sede di offerta da parte della ricorrente veniva quantificato in € 43.717,60, ovvero il 35,00% circa in meno rispetto a quanto previsto dalle tabelle ministeriali;
   - la giurisprudenza condivisa dal Collegio ha chiarito che le stazioni appaltanti, ai sensi dell’art. 95, comma 10, secondo periodo, del d.lgs. n. 50/2016, prima dell’aggiudicazione hanno obbligo di controllare che i costi siano inferiori ai minimi salariali retributivi indicati nelle tabelle ministeriali, senza che per tale verifica la disposizione richieda alcun contraddittorio né, men che meno, che venga attivato il procedimento di verifica delle offerte anormalmente basse; la norma di rinvio è contenuta nell’art. 97 del d.lgs. n. 50/2016, che disciplina tale procedimento, ma il rinvio è limitato al disposto di cui al comma 5, lett. d), di tale articolo, sicché non può essere interpretato nel senso che occorre attivare comunque il procedimento citato; il rinvio in questione va, invece, interpretato nel senso che prima dell’aggiudicazione le stazioni appaltanti devono verificare il rispetto, da parte dell’offerta vincitrice, dei minimi salariali indicati nelle tabelle ministeriali; laddove la verifica dia esito negativo la disposizione di cui al richiamato art. 95, comma 10, non prevede l’istituzione di alcun contraddittorio e deve quindi ritenersi che l’offerta vada irrimediabilmente esclusa, come previsto dall’art. 97, comma 5 (cui rinvia l’art. 95, comma 10), a norma del quale l’accertamento che l’anomalia dell’offerta deriva da un costo del personale inferiore ai minimi tabellari ne determina senz’altro l’esclusione (TAR Toscana-Firenze, Sez. II, n. 165/2019).

febbraio 2022

APPALTI FORNITURECaro-bollette, appalti da rifare. Il Tar Molise ha accolto il ricorso di un trader del mercato elettrico contro l'appaltante.
L'aumento del prezzo dell'energia, la cui imprevedibilità e rilevanza è confermata dai recenti interventi del legislatore, comporta “l'insostenibilità sopravvenuta dell'offerta” e il conseguente squilibrio del sinallagma contrattuale, tale da imporre alla stazione appaltante il riesame delle procedure ad evidenza pubblica.
E' questo il principio sancito dal TAR Molise con la sentenza 14.02.2022 n. 41 con la quale ha accolto il ricorso di un importante trader del mercato elettrico (assistito dallo studio DLA Piper), risultato aggiudicatario di gara pubblica per la fornitura del servizio di energia, con un prezzo fissato sulla base di offerte precedenti all'aumento del prezzo dell'energia elettrica (offerte del maggio 2021).
La ricorrente aveva fatto presente all'amministrazione che nelle more dello svolgimento della seconda fase dell'asta elettronica il prezzo dell'energia elettrica era notevolmente aumentato (+200%). Conseguentemente, la società aveva sollecitato la convenuta ad intraprendere tutte le possibili iniziative per garantire tanto gli interessi pubblici quanto quelli privati, il cui perseguimento era fortemente messo in discussione dalla formulazione, nella prima fase della gara, di un prezzo che, divenuto del tutto incongruo, non garantiva più la possibilità di esecuzione dell'appalto, a causa dell'insostenibilità dei costi della materia prima.
A fronte di questa sopravvenuta criticità segnalata alla stazione appaltante ancor prima dello svolgimento della seconda fase dell'asta elettronica, questa, senza mai assumere una puntuale posizione sulla problematica della sostenibilità effettiva dell'offerta della ricorrente, aveva speditamente proceduto all'aggiudicazione della gara.
Nell'accogliere il ricorso, il Tar Molise ha sottolineato come “il contegno sostanzialmente silente dell'Amministrazione si rivela assunto in aperta violazione dei canoni di buona amministrazione, i quali, alla luce della giurisprudenza elaborata in materia di silenzio amministrativo, impongono invece l'adozione di un espresso pronunciamento sulla questione sottoposta alla parte pubblica le quante volte, proprio in relazione al dovere di correttezza di quest'ultima, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle sue determinazioni".
Particolarmente importante nella valutazione effettuata dal Tar è il lasso temporale trascorso dal momento della presentazione delle offerte (maggio 2021) a quello dell'aggiudicazione (ottobre 2021). “L'Amministrazione, già per quanto detto, avrebbe pertanto dovuto farsi carico di una specifica valutazione della problematica indicata, dal momento che la stessa era sopravvenuta rispetto alla presentazione delle offerte: da qui il suo dovere di esprimersi sul punto, con particolare riferimento alla debita verifica di affidabilità dell'offerta della ricorrente alla stregua dei valori di mercato in essere al tempo dell'aggiudicazione”.
Secondo il Tar, infine, la stazione appaltante in ogni caso può e deve valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa.
Previsione, quest'ultima, che si raccorda con il giudizio tecnico di anomalia dell'offerta che mira a verificare la “congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità” dell'aggiudicanda offerta.
Pertanto è valido il principio secondo il quale “l'obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l'offerta sia, nel suo complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno”, in pari tempo evidenziando che “il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che militano contro l'attendibilità dell'offerta nel suo insieme ...”.
Essendo mutate nel tempo, per motivi non imputabili alla ricorrente, le condizioni economiche del contratto, il Tar ha accolto il ricorso, disponendo l'annullamento gli atti impugnati, ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione
(articolo ItaliaOggi del 01.03.2022).
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SENTENZA
13 Ciò premesso, il ricorso va accolto per la fondatezza delle censure di carenza di istruttoria e di motivazione, nonché di violazione dell’art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016.
14. Occorre anzitutto evidenziare quanto è pacificamente emerso nel corso del presente giudizio, vale a dire il fatto che le due fasi dell’asta elettronica si sono svolte a distanza di oltre quattro mesi l’una dall’altra, lasso temporale (dal maggio all’ottobre 2021) nel quale si è verificata una grave crisi del mercato dell’energia elettrica, con effetti di marcato e rapido rialzo del prezzo della materia prima.
La Stazione appaltante, che a base di gara aveva indicato l’importo presunto di € 4.450.000,00 a fronte di un consumo preventivato di MWh 69.581,826, per un prezzo unitario pari, pertanto, ad € 63,95, non ha contestato il dato storico del forte aumento verificatosi nei mercati di riferimento. Tant’è che la resistente ha osservato, alla pag. 10 della memoria depositata in sede cautelare, che un eventuale aggiornamento degli atti di gara, e/o la ripetizione della stessa, avrebbero comportato “una proroga del servizio in corso e, con esso, un differimento della durata contrattuale a condizioni molto più inique di quelle oggi offerte, con conseguenti (ed ancora) maggiori rischi (di interruzione del pubblico servizio espletato)”.
Negli scritti conclusivi Molise Acque non ha poi potuto che dare atto degli eventi occorsi nel secondo semestre dell’anno 2021 (vedasi, in specie, la pag. 12 della memoria del 14.01.2022), pur contestandone l’imprevedibilità.
Non a caso, e sia pure in via meramente subordinata, l’Amministrazione ha avanzato un’istanza di compensazione integrale delle spese di lite in caso di accoglimento del ricorso, adducendo che la imprevedibilità dell’aumento dei prezzi del mercato elettrico prospettata dal privato sarebbe sussistita a maggior ragione “per l’Amministrazione rispetto ad un operatore economico specializzato”.
A conferma della criticità economica a base del ricorso possono del resto valere anche le misure straordinarie che il Legislatore è stato da ultimo costretto a varare proprio per ridurre gli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico (id est: art. 1, commi 503 e 504, della L. n. 234 del 30.12.2021; art. 14, del D.L. n. 4/2022).
15. Orbene, a fronte di questa sopravvenuta criticità, dalla En.Di. s.r.l. segnalata alla Stazione Appaltante, per la prima volta, ancor prima dello svolgimento della seconda fase dell’asta elettronica, l’Amministrazione, senza mai assumere una puntuale posizione sulla problematica della sostenibilità effettiva dell’offerta della ricorrente, ha proceduto invece speditamente all’aggiudicazione della commessa.
Sicché, sotto un primo aspetto, il contegno sostanzialmente silente dell’Amministrazione si rivela assunto in aperta violazione dei canoni di buona amministrazione, i quali, alla luce della giurisprudenza elaborata in materia di silenzio amministrativo, impongono invece l'adozione di un espresso pronunciamento sulla questione sottoposta alla parte pubblica le quante volte, proprio in relazione al dovere di correttezza di quest’ultima, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle sue determinazioni (quali che siano) (vd., ex multis, C.d.S. n. 183/2020).
Vale difatti osservare che la nota di riscontro della Molise Acque prot. n. 15228/2021 ha eluso e sostanzialmente ignorato la sopravvenienza fattuale sin qui tratteggiata, essendosi l’Azienda limitata ad affermare, in proposito, di avere “da sempre considerato il prezzo indicato sulla piattaforma CONSIP quale valore “attendibile” di riferimento, specialmente per un appalto dalle caratteristiche sensibilmente variabili come il mercato dell’energia e di difficile previsione, a maggior ragione se riferito ad annualità diverse da quella in corso … Ad ogni modo, con offerta presentata da codesta spett.le Società, nonostante il prezzo unitario offerto pari a 82,29 €/MWh risultasse maggiore sia del presunto prezzo unitario di 63,95 €/MWh e superiore anche del prezzo PUN della Borsa Elettrica Italiana (IPEX - Italian Power Exchange) di Maggio 2021 pari a 69,91 €/MWh questa Stazione Appaltante non ha sollevato, nei confronti di codesta spett.le Società e di tutti gli altri partecipanti, alcuna eccezione sul prezzo offerto accettando offerte tutte al rialzo, sia per tener conto delle possibili oscillazioni del mercato, sia per favorire la massima concorrenzialità e partecipazione alla procedura in parola”.
Con il che il problema della insostenibilità sopravvenuta dell’offerta, sollevato dalla ricorrente, era rimasto negletto.
16. La carenza di motivazione già emergente da quanto precede si manifesta poi con particolare evidenza sol che si tenga debito conto dello iato temporale trascorso dal momento della presentazione delle offerte (maggio 2021) a quello dell’aggiudicazione (ottobre 2021).
L’Amministrazione, già per quanto detto, avrebbe pertanto dovuto farsi carico di una specifica valutazione della problematica indicata, dal momento che la stessa era sopravvenuta rispetto alla presentazione delle offerte: da qui il suo dovere di esprimersi sul punto, con particolare riferimento alla debita verifica di affidabilità dell’offerta della En.Di. s.r.l. alla stregua dei valori di mercato in essere al tempo dell’aggiudicazione.
16.1. Questa conclusione va ribadita al cospetto dell’art. 10 del disciplinare di gara, dal quale si evince che la Stazione appaltante si era espressamente riservata la facoltà “di valutare la congruità dell’offerta qualora appaia anormalmente bassa, procedendo secondo le modalità di cui all’art. 97 del Codice”.
Ed è in particolare il 6° comma dell’art. 97 dianzi menzionato ad introdurre il principio generale per cui “La stazione appaltante in ogni caso può valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa”. Previsione, quest’ultima, che si raccorda con il primo comma del medesimo articolo di legge il quale, nel tracciare l’ubi consistam del giudizio tecnico di anomalia dell’offerta, specifica che esso mira a verificare la “congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità” dell’aggiudicanda offerta.
Alla luce di queste coordinate normative la costante giurisprudenza amministrativa ha quindi da tempo chiarito che “obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno”, in pari tempo evidenziando che “il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme ...” (C.d.S., n. 636/2012).
Più di recente si è altresì precisato che, “per consolidato intendimento, nelle procedure di gara il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è finalizzato ad accertare l’attendibilità e la serietà dell’offerta, nonché l’effettiva possibilità dell’impresa di eseguire correttamente l’appalto alle condizioni proposte" (cfr. Cons. Stato, V, 16.04.2019, n. 2496; Id., III, 29.03.2019, n. 2079; Id., V, 05.03.2019, n. 1538)” (cfr. C.d.S., n. 1874/2020).
Da ultimo, la giurisprudenza di merito ha anche puntualizzato che “la valutazione sulla sostenibilità dell’offerta deve essere effettuata anche tenendo conto delle sopravvenienze di fatto e di diritto che incidono sulla sua tenuta economica, e ciò sia in caso di rivalutazione in melius che in peius per il concorrente” (TAR Lazio, n. 13167/2021; n. 10021/2021).
Sicché la carenza di istruttoria e di motivazione sul tema dell’attendibilità e/o serietà dell’offerta di En.Di. s.r.l. è decisivamente apprezzabile anche da questo angolo prospettico, che denota la sostanziale fondatezza della censura di violazione dell’art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016.
Del resto il giudizio di anomalia dell’offerta ha trovato uno spazio applicativo –pur nella vigenza del precedente Codice dei Contratti- anche negli appalti con offerte a ribasso sui tempi di esecuzione dell’opera, per i quali è stato chiarito che, in presenza di ribassi tali da far sorgere il timore di mettere a repentaglio la serietà dell’offerta, l’Amministrazione avrebbe dovuto farsi carico della problematica: essa avrebbe cioè dovuto esprimere una valutazione consapevole sul punto (C.d.S., n. 4858/2013).
16.2. Né la fondatezza dei rilievi sin qui esposti può incontrare obiezioni a fronte delle (invero) limitate contestazioni che la resistente ha sollevato in riferimento agli elaborati peritali di parte privata.
Molise Acque ha infatti dedotto che questi ultimi nulla dimostrerebbero con riferimento all’imprevedibilità del predetto rialzo dei prezzi alla data di presentazione dell’offerta.
16.2.1. Il Collegio ritiene, anzitutto, che tale questione sia mal posta, dovendosi –il seggio di gara- comunque interrogare sulla fattibilità dell’offerta di En.Di. s.r.l. (come del resto delle altre eventuali partecipanti) al tempo dell’aggiudicazione, tant’è che pure l’art. 95, comma 12, del D.Lgs. n. 50/2016 (rubricato “Criteri di aggiudicazione dell'appalto”), consente di “non procedere all'aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del contratto”.
Ogni valutazione di idoneità dell’offerta è quindi comunque cristallizzata al decisivo momento dell’aggiudicazione, conferendosi all’Amministrazione un potere certamente discrezionale, il cui esercizio nella specie avrebbe dovuto essere attentamente valutato dalla Stazione appaltante sotto altri concorrenti aspetti suggeriti dalla norma da ultimo citata.
In primis appare illuminante il riferimento legislativo all’“oggetto del contratto”, previsione che per i contratti ad effetti obbligatori quale l’appalto non può che riferirsi direttamente al concetto di “prestazione” (art. 1174 cod. civ.), imponendo quindi (a prescindere dalla reale sussistenza di un factum principis) un esame dell’idoneità della stessa a soddisfare gli interessi pubblici.
Ora, sotto questo profilo il capitolato speciale d’appalto del caso concreto ha condizionato la fornitura del servizio di energia elettrica all’esigenza di assicurarne la continuità e non interrompibilità “vista la funzione di pubblica utilità svolta dal Cliente” (art. 19).
Con la conseguenza che, qualora la prestazione offerta non fosse da ritenersi atta a garantire effettivamente la possibilità di una sua esecuzione per tutta la durata dell’appalto, si andrebbe incontro ad una soluzione di continuità del servizio pubblico che l’Amministrazione, in via logicamente prioritaria e anche indipendentemente (ripetesi) da ogni questione di imputabilità del fattore sopravvenuto, avrebbe il dovere di prevenire, in quanto incompatibile con gli interessi dell’Amministrazione (e di certo non pienamente ristorabile “per equivalente”).
16.2.2. Sotto l’aspetto più marcatamente economico, poi, sarebbe inesatto pensare che quello dell’equilibrio contrattuale sia un tema circoscritto alla mera fase esecutiva del contratto, come tale involgente al più questioni di imputabilità di eventuali inadempimenti contrattuali.
La giurisprudenza amministrativa ha infatti già chiarito che “l’equilibrio economico di una operazione contrattuale oggetto di una procedura ad evidenza pubblica non attiene solo alla fase esecutiva del contratto, bensì rappresenta anche una imprescindibile esigenza “a monte” della stipulazione del contratto, come dimostra la disciplina in tema di valutazione delle offerte anomale, volta proprio a far emergere quelle offerte che, siccome anormalmente basse, non sarebbero in grado di garantire la qualità del servizio, alla ricerca dell’equilibrio economico del contratto” (TAR Sardegna, n. 554/2020).
16.2.3. E a confermare la connessione tra le due fasi (procedimentale e negoziale) dell’attività contrattuale della pubblica Amministrazione vale, appunto, il rispetto del principio del c.d. “utile necessario”. Il medesimo richiede infatti che nei congrui casi venga vagliata l’effettiva sostenibilità economica non solo dell’offerta strutturalmente in perdita
ab initio (la quale tradirebbe per ciò solo lo scopo di lucro e, in definitiva, la ratio essendi dei soggetti che dovrebbero operare sul mercato in una logica di profitto), ma anche di quella in pareggio, o che presenti un utile solo oltremodo modesto (cfr. TAR Salerno, n. 536/2021).
16.2.4. Lo svolgimento di una valutazione sulla sostenibilità dell’offerta della ricorrente in funzione dell’affidamento della commessa, nella specie, era anche del tutto coerente con il criterio prescelto per l’aggiudicazione della fornitura.
L’art. 2 del capitolato speciale ha infatti previsto l’aggiudicazione al prezzo più basso, ossia mediante un sistema che l’art. 95, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016 concepisce come legato direttamente alle condizioni “definite dal mercato”. Quindi anche in questo senso si imponeva ogni attenta valutazione di idoneità parametrata –ripetesi, al tempo dell’aggiudicazione- alle dinamiche di mercato, pena un’incoerenza con lo stesso criterio prescelto a monte per l’aggiudicazione della gara.
16.2.5. In ogni caso, poi, la perizia di En.Di. srl ha persuasivamente esposto, e coerentemente concluso, che “nessun operatore, considerando anche tutti gli elementi forniti dai dati storici, avrebbe mai potuto prevedere una crescita cosi incisiva e repentina dei prezzi di borsa sia sui mercati nazionali sia su quelli europei. I dati analizzati hanno evidenziato i legami con il fabbisogno nazionale, il mix energetico e gli eventi imprevedibili come le crisi economiche”.
16.2.6. Senza dire, infine, che il punto della prevedibilità o meno del rialzo in discussione nulla comunque toglierebbe all’illegittimità della mancata istruttoria e valutazione in ordine alla sostenibilità dell’offerta più volte detta.
17. In conclusione il ricorso deve dunque trovare accoglimento, con il conseguente effetto di annullamento dell’impugnato provvedimento di aggiudicazione della gara nei sensi di cui in motivazione.
Rimangono salve le determinazioni che l’Amministrazione riterrà di assumere sia all’esito del giudizio di anomalia dell’offerta della ricorrente (giudizio che dovrà comunque necessariamente legarsi all’attualità -C.D.S. n. 72/2019-, ossia al tempo dell’aggiudicazione), sia, nel discrezionale apprezzamento della Stazione appaltante, ai fini di una eventuale riedizione della procedura di gara.

APPALTI: Il procedimento di verifica dell'anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo.
L’esito della gara può infatti essere travolto solo quando il giudizio negativo sul piano dell’attendibilità riguardi voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione economicamente non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente affidabilità a garantire la regolare esecuzione del contratto volta al perseguimento dell’interesse pubblico.
D’altro canto va anche rammentato che la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole ed attendibile.
Giova poi anche richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la verifica di congruità di un’offerta non può essere effettuata attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell’offerta analizzata ed alla capacità dell’impresa –tenuto conto della propria organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di particolari condizioni favorevoli esterne– di eseguire le prestazioni contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità di una di esse.
Inoltre, la motivazione del giudizio di non anomalia non deve essere specifica ed estesa, potendo essere effettuata anche mediante rinvio per relationem alle risultanze procedimentali e alle giustificazioni fornite dall’impresa. La stazione appaltante non è poi tenuta a chiedere chiarimenti su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio.
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6.2. Come più volte affermato dalla giurisprudenza, il procedimento di verifica dell'anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo (tra le tante, Cons. di Stato, V, 02.05.2019, n. 2879; III, 29.01.2019, n. 726; V, 23.01.2018, n. 430; 30.10.2017, n. 4978).
L’esito della gara può infatti essere travolto solo quando il giudizio negativo sul piano dell’attendibilità riguardi voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione economicamente non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente affidabilità a garantire la regolare esecuzione del contratto volta al perseguimento dell’interesse pubblico.
D’altro canto va anche rammentato che la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole ed attendibile (così espressamente Cons. di Stato, V, 2018, 3480).
Giova poi anche richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la verifica di congruità di un’offerta non può essere effettuata attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell’offerta analizzata ed alla capacità dell’impresa –tenuto conto della propria organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di particolari condizioni favorevoli esterne– di eseguire le prestazioni contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità di una di esse (Cons. St., sez. III, 09.10.2018, n. 5798).
Inoltre, la motivazione del giudizio di non anomalia non deve essere specifica ed estesa, potendo essere effettuata anche mediante rinvio per relationem alle risultanze procedimentali e alle giustificazioni fornite dall’impresa. La stazione appaltante non è poi tenuta a chiedere chiarimenti su tutti gli elementi dell’offerta e su tutti i costi, anche marginali, ma può legittimamente limitarsi alla richiesta di giustificativi con riferimento alle voci di costo più rilevanti, in grado di incidere sulla complessiva attendibilità dell’offerta sì da renderla non remunerativa e inidonea ad assicurare il corretto svolgimento del servizio (Cons. Stato, Sez. III, 14.11.2018, n. 6430).
6.3. Nella fattispecie in esame si osserva sempre in linea generale che la verifica di anomalia è stata condotta dalla stazione appaltante in modo accurato e approfondito. Infatti, la fase di verifica di congruità tesa ad accertare l’adeguatezza e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione da parte dei concorrenti, sulla base del Piano economico finanziario predisposto, è stata caratterizzata da una prima richiesta di chiarimenti del 30.08.2019 e dal relativo riscontro del successivo 6 settembre, nonché da un’ulteriore richiesta di approfondimento.
Non può poi essere accolta neppure la doglianza con cui si sostiene che la It. avrebbe inammissibilmente fornito in via postuma e integrato solo in sede di giudizio le giustificazioni a sostegno della congruità della propria offerta, al fine di emendare i vizi dedotti e illegittimamente non riscontrati dall’amministrazione prima e dal tribunale poi.
Infatti, in base ai consolidati principi della giurisprudenza, se in sede giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per aspetti non specificatamente presi in considerazione dalla stazione appaltante, legittimamente l’aggiudicataria può difendersi in giudizio provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale (Cons. Stato, Sez. III, 14.11.2018, n. 6430; Consiglio di Stato, sez. III, 15.02.2021 n. 1361) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.02.2022 n. 854 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2022

APPALTIL’Adunanza plenaria pronuncia sulla legittimazione degli amministratori e dei soci di una persona giuridica ad impugnare l’interdittiva antimafia.
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Processo amministrativo – Legittimazione attiva – Interdittiva antimafia – Amministratori ed i soci di una persona giuridica destinataria di interdittiva – Non sono legittimati.
Gli amministratori ed i soci di una persona giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento (1).
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   (1) La questione era stata rimessa dal C.g.a. con sentenza non definitiva 19.07.2021 n. 726.
Sulla specifica questione dei soggetti legittimati ad impugnare le informative prefettizie, la sentenza rileva come non si registri un orientamento univoco nella giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Un primo orientamento ha stabilito che il ricorso proposto da soggetti diversi dall’impresa destinataria dell’interdittiva è inammissibile per carenza di legittimazione attiva, in quanto il decreto prefettizio può essere impugnato solo dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti sulla sua posizione giuridica di interesse legittimo (in tal senso Cons. Stato, sez. III, 14.10.2020, n. 6205, 22.01.2019 n. 539, 16.05.2018 n. 2895, 11.05.2018, n. 2824 e n. 2829).
Un altro orientamento (Cons. Stato, sez. III, 04.04.2017, n. 1559) ha invece riconosciuto la legittimazione ad impugnare l’informativa, a tutela di un proprio interesse morale, in una ipotesi relativa a ricorso proposto da ex amministratori della società, o loro parenti, menzionati nell’interdittiva quali soggetti partecipi degli elementi indiziari da cui viene desunto il pericolo di condizionamento di stampo mafioso, ritenendosi la sussistenza della legittimazione al ricorso, in ragione della lesione concreta ed attuale della situazione professionale e patrimoniale dei soggetti che abbiano dovuto rinunciare all’incarico di amministratori della società, nonché sotto il profilo della potenziale lesione dell’onore e reputazione personale dei soggetti sui quali nel provvedimento venga ipotizzato un condizionamento mafioso.
Nell’ambito di tale secondo orientamento, viene anche ricordato altro precedente (Cons. Stato, sez. III, 07.04.2021 n. 2793), sebbene nella diversa fattispecie di scioglimento dell'organo consiliare comunale, ai sensi dell'art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000.
L’Adunanza Plenaria ritiene che gli amministratori ed i soci di una società destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento.
non appare possibile, onde riconoscere la legittimazione attiva in sede processuale (ai fini del ricorso avverso tale provvedimento), argomentare in termini di “bilanciamento” del “sacrificio delle garanzie procedimentali” ovvero di “compensazione” della “omessa garanzia del contraddittorio endoprocedimentale” per il tramite di un riconoscimento di legittimazione ad agire.
Appare, infatti, evidente che ciò che rileva, ai fini della soluzione del quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria, è la individuazione della sussistenza (o meno) di una situazione soggettiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona giuridica, con la conseguenza che, laddove tale situazione venga individuata ed abbia, in particolare, la consistenza di interesse legittimo, su di essa potrà fondarsi la legittimazione ad agire in giudizio a tutela della posizione medesima, in piena attuazione degli artt. 24 e 113 Cost. e, non ultimo, la stessa possibilità di partecipazione procedimentale, ai sensi degli artt. 7 ss., l. n. 241 del 1990 (salvo verificare la specifica compatibilità degli istituti della l. n. 241 del 1990 con la disciplina del Codice delle leggi antimafia); non sussistendo, in caso contrario, né la legittimazione ad agire in giudizio né quella a partecipare al procedimento.
Né può essere obliato che, anche in sede di partecipazione procedimentale, la stessa l. n. 241 del 1990 –utilizzando un concetto di “pregiudizio” variamente riferito a diverse tipologie di “interesse”- conosce forme e livelli diversi di partecipazione in funzione di tutela nell’ambito del procedimento, riconoscendo:
   - una partecipazione piena –quale forma di tutela “anticipata” in sede procedimentale delle proprie situazioni giuridiche– ai destinatari diretti del provvedimento che l’amministrazione intende assumere a conclusione del procedimento amministrativo, ovvero a coloro che dall’emanazione del medesimo, ancorché non ne siano diretti destinatari, possano subire un pregiudizio (i cd. controinteressati in sede procedimentale):
   - una ulteriore forma di partecipazione, riconosciuta a quei soggetti, portatori di interessi pubblici o privati “cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento”.
E tali differenti forme di partecipazione procedimentale si riflettono su distinte situazioni in sede processuale, quali quella della legittimazione ad agire o a resistere, per un verso; ovvero dell’intervento (ad adiuvandum o ad opponendum), per altro verso. (Cons. Stato, sez. V, 08.04.2021, n. 2836; sez. IV, 16.02.2010, n. 887).
D’altra parte, il recente d.l. 06.11.2021, n. 152, nell’introdurre modifiche agli artt. 92 e 93, d.lgs. n. 159 del 2011, prevede forme di partecipazione del soggetto destinatario del provvedimento di informazione antimafia interdittiva, disponendo che allo stesso venga data tempestiva comunicazione, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa ed assegnandogli un termine (non superiore a venti giorni) per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l'audizione.
Tale nuova disciplina per un verso stempera le perplessità espresse dalla sentenza di rimessione in ordine all’adozione di un provvedimento “con riverberi assai durevoli nel tempo, se non addirittura permanenti, indelebili e inemendabili” senza alcun contraddittorio endoprocedimentale (cui, nella prospettazione offerta, dovrebbe fare da “bilanciamento” il riconoscimento di legittimazione processuale); per altro verso, rende palese come il legislatore ritenga titolare di una situazione giuridica tale da legittimarlo alla partecipazione procedimentale (nei termini ivi specificamente disciplinati) il solo soggetto possibile destinatario della misura interdittiva (la persona giuridica) e non altri (amministratori, soci, etc.).
Il giudizio amministrativo, nella sua forma di giudizio impugnatorio di atti, tende ad assicurare al soggetto che si ritiene leso un vantaggio, che, attraverso l’eliminazione del provvedimento lesivo, consiste o nel recuperare la pienezza del proprio patrimonio giuridico ovvero nel conseguire (o tentare di conseguire) attraverso l’esercizio del potere amministrativo un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.
Ma, in ambedue le ipotesi, l’effetto proprio della sentenza costitutiva di annullamento si produce direttamente (e solo) sul patrimonio giuridico del soggetto per il quale si è instaurata –volente o nolente- una particolare relazione con la pubblica amministrazione, vuoi perché è l’amministrazione stessa che, unilateralmente e procedendo ex officio, ha intercettato la sua situazione giuridica, vuoi perché, al contrario, è stato il soggetto, attraverso una propria iniziativa di avvio procedimentale, a postulare l’esercizio (poi negato) del potere amministrativo.
Alla luce di quanto sin qui esposto, può allora affermarsi che le caratteristiche di “personale” e “diretto”, che devono assistere l’interesse legittimo, svolgono, sul piano sostanziale, anche il ruolo di definire l’ambito della (possibile) titolarità della posizione giuridica, il riconoscimento e tutela della medesima da parte dell’ordinamento giuridico.
Nell’ambito della situazione dinamica in cui si pone l’esercizio del potere amministrativo, dunque, l’interesse è “personale” in quanto si appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, ed è altresì (inscindibilmente con la prima caratteristica), anche “diretto”, in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con l’esercizio del potere amministrativo (per essere destinatario dell’atto e/o per avere nei confronti dell’atto una posizione opposta, speculare a quella del destinatario diretto).
Ne consegue che non possono esservi posizioni di interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione nell’esercizio del potere amministrativo conferitole dall’ordinamento, che non siano quelle (e solo quelle) che sorgono per effetto dello stesso statuto normativo del potere, nell’ambito del rapporto giuridico di diritto pubblico, (pre)configurato normativamente.
L’interesse legittimo prevede, dunque, l’instaurazione di un rapporto giuridico con la pubblica Amministrazione; un rapporto giuridico che, per di più, non è ipotizzabile come potenziale, ma che si instaura al momento stesso dell’insorgenza della posizione.
Laddove, dunque, gli attributi di “personale” e “diretto” attengono all’interesse legittimo in quanto posizione sostanziale, e consentono di circoscriverne la titolarità, l’ulteriore attributo di “attuale”, attiene alla proiezione processuale della posizione sostanziale, alla emersione della esigenza di tutela per effetto di un atto concreto e sincronicamente appezzabile di esercizio di potere, che renda dunque necessaria l’azione in giudizio, onde ottenere tutela, e quindi “utile”, a tali fini, la pronuncia del giudice.
E’ tale posizione giuridica, nei sensi sopra descritti, che legittima al ricorso avverso l’atto amministrativo lesivo, se ed in quanto, attraverso l’annullamento dell’atto, si conserva o consegue (o si può conseguire, anche attraverso il riesercizio del potere amministrativo) quella utilità di cui si è, o si ritiene di dovere diventare, o si intende diventare, “titolare”.
Al contrario, laddove non è individuabile tale posizione, ma pur tuttavia sono enucleabili generiche posizioni di interesse (anche derivanti da rapporti, quale che ne sia la fonte, intercorrenti tra soggetto in relazione con il potere amministrativo ed ulteriori soggetti), queste ultime –che ben possono ricevere indirettamente e/o di riflesso, un “pregiudizio”- legittimano i loro titolari a spiegare intervento in giudizio, ma non già ad impugnare autonomamente il provvedimento lesivo della sfera giuridica del soggetto con il quale intrattengono a diverso titolo rapporti giuridici.
L’ampliamento o la compressione del patrimonio giuridico, come si è già avuto modo di osservare, devono derivare direttamente dall’esercizio del potere amministrativo e solo questo determina, in sede processuale, la legittimazione ad agire.
Nel caso oggetto del presente giudizio, non può non rinvenirsi carenza di legittimazione attiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona giuridica colpita da interdittiva antimafia.
Come ha condivisibilmente affermato il prevalente orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (si veda, inter alia, Cons. Stato, sez. III, 22.01.2019, n. 539) “il decreto prefettizio può essere impugnato dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti, e quindi, dal destinatario dell’atto, e cioè dalla società, in quanto solo il destinatario subisce la lesione immediata e diretta alla sua posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo che consente il ricorso dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a.”.
Si è anche affermato come laddove “la lesione lamentata dal ricorrente riveste ed è stata da egli stesso qualificata come lesione del suo “diritto” alla reputazione, alla dignità, situazione giuridica soggettiva che non ha natura di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo”, vi è carenza di titolarità di interesse legittimo “il che comporta ulteriori profili di inammissibilità del ricorso sotto altro aspetto”.
Più specificamente, con riferimento alla posizione degli appellanti nella presente sede, è la posizione degli stessi in rapporto alla persona giuridica/società per azioni che, alla luce di quanto innanzi esposto, esclude la loro legittimazione ad agire, non essendo individuabile una loro titolarità di interesse legittimo.
Se, come essi stessi affermano (v. pag. 3 memoria del 15.10.2021), “il carattere di persona giuridica attribuito alla società non può eliderne la natura contrattuale e dunque il legame indissolubile con i contraenti, ossia i soci, o con le persone fisiche che, come gli amministratori, svolgono alcuni ruoli indispensabili perché la società possa determinarsi ad operare”, appare evidente come gli amministratori e/o i soci non siano destinatari diretti dell’esercizio del potere amministrativo, essendovi relazione diretta solo tra potere amministrativo e persona giuridica, ma essi emergono con un proprio (possibile e riflesso) pregiudizio solo per effetto di un diverso rapporto (di natura contrattuale o di altro tipo) che li lega al destinatario diretto (la società).
Ma questo rapporto, estraneo alla relazione intersoggettiva tra destinatario dell’atto e pubblica amministrazione, è inidoneo a far sorgere situazioni di interesse legittimo e impedisce, quindi, di configurare sul piano processuale la legittimazione ad agire nei confronti del provvedimento di interdittiva antimafia.
Ciò non significa che tale provvedimento non possa produrre “pregiudizi” sulla loro sfera giuridica, ma che, in ogni caso, questi ultimi non possono sorreggere la legittimazione ad impugnare, ma solo, nell’ambito del sindacato giurisdizionale di legittimità e ricorrendone i presupposti, un intervento in giudizio (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 28.01.2022 n. 3 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINatura sanzionatoria dell’interdittiva Anac.
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Annullamento d’ufficio e revoca - Riesame – Rigetto – Natura.
   Processo amministrativo – Giudicato – Ne bis in idem – Presupposti.
   Contratti della Pubblica amministrazione - Casellario informatico – Annotazione – Natura.
  
Il rigetto di una istanza di riesame non equivale alla mancata apertura del procedimento di riesame, concernendo non già il profilo dell’iniziativa procedimentale, ma quello dell’epilogo decisorio, presupponente una nuova ponderazione degli interessi, condotta sulla base degli ulteriori elementi assunti a sostegno della decisione (1).
  
Qualora su di una determinata domanda vi sia stata statuizione del giudice e detta statuizione sia passata in giudicato, non è possibile che la stessa domanda venga riproposta, in quanto ciò comporterebbe la violazione del principio del ne bis in idem; ma perché ciò si verifichi, occorre che il precedente giudizio coinvolga le stesse parti in causa e prospetti gli stessi elementi identificativi dell’azione proposta, e quindi che nei giudizi sia chiesto l’annullamento degli stessi provvedimenti, od al più di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità, in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (2).
  
Il potere esercitato dall’Anac con l’annotazione nel casellario informatico, ai sensi del predetto art. 38, comma 1-ter, d.lgs. n. 163 del 2006 ha natura sanzionatoria ed afflittiva, con carattere dunque tassativo e di stretta interpretazione (al pari, del resto, delle altre cause di esclusione); ne consegue che l’art. 38, comma 1-ter, d.lgs. n. 163 del 2006 non si applica al di fuori dei casi considerati di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione (3).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che la conferma impropria si ha allorché l’amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame, si limiti a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento (in definitiva, a richiamarlo), senza compiere alcuna ulteriore istruttoria e senza esprimere una nuova motivazione; ove invece i fatti ed i motivi prospettati dal richiedente siano in qualche modo rivalutati, si ha una decisione di merito, di segno negativo, che costituisce una conferma propria (in quanto ha un contenuto identico a quello originario), provvedimento autonomamente impugnabile (Cons. Stato, sez. VI, 17.07.2017, n. 3513).
Il riesame, quantunque ampiamente discrezionale, essendo rimesso alla valutazione di merito dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 13.02.2020, n. 1141), allorché viene attivato, si conclude con un provvedimento che, ove analogo al precedente, assume la natura di conferma propria, esorbitando dall’ambito dell’atto ad effetto confermativo, che si configura allorché l’amministrazione dà atto dell’esistenza di un precedente provvedimento, rifiutando di procedere ad una nuova valutazione dell’affare.
Né può trascurarsi di considerare come talora il potere di riesame sia funzionale al ripristino della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento (valore primario dell’ordinamento, come affermato anche, ovviamente su altro piano, dalla giurisprudenza costituzionale nei più variegati settori dell’ordinamento: a titolo esemplificativo, Corte cost., 30.11.1982, n. 204 e 15.03.2020, n. 54).
   (2) Sulla prima parte della massima v. Cons., Stato, sez. III, 29.11.2018, n. 6808; sulla seconda parte v. Cons. Stato, sez. V, 26.11.2020, n. 7437.
   (3) La Sezione ha ricordato che sul piano interpretativo, la differenza tra dichiarazioni omesse e false, riconducendo le due ipotesi rispettivamente nell’ambito dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), ovvero lett. f-bis), d.lgs. n. 50 del 2016. In particolare, Cons. Stato, Ad. Plen., 28.08.2020, n. 16 ha precisato che le fattispecie riconducibili nella prima previsione non consentono l’esclusione automatica dalla procedura di gara, ma impongono alla stazione appaltante di svolgere la valutazione di integrità ed affidabilità del concorrente. Al contrario, la falsità dichiarativa ha attitudine espulsiva automatica ed è predicabile rispetto ad un “dato di realtà”, ovvero ad una situazione fattuale per la quale possa porsi l’alternativa logica “vero/falso” rispetto alla quale valutare la dichiarazione resa dall’operatore (Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2020, n. 8532).
Ora, a prescindere da questi profili attinenti alla disciplina della gara, ciò che rileva in questa sede è che risulta ormai acclarata la differenza giuridica tra omessa dichiarazione e falsa dichiarazione. Solo quest’ultima (unitamente alla falsa documentazione) assume valore, a termini dell’art. 38, comma 1-ter, d.lgs. n. 163 del 2006, ma anche dell’analogo art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella prospettiva della segnalazione all’Anac, la quale, ove la ritenga resa con dolo o colpa grave, dispone l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalla gara e dagli affidamenti di subappalti.
Il sopravvenuto chiarimento giurisprudenziale non ha peraltro una “portata innovativa”, in quanto, come detto, già l’art. 38, comma 1-ter, limitava, come emerge dalla sua ermeneusi letterale, la segnalazione alle ipotesi di falsa dichiarazione o falsa documentazione, locuzione che comunque non ammette un’interpretazione estensiva (nei confronti delle dichiarazioni omesse), operando il principio di stretta tipicità legale della fattispecie sanzionatoria, come questa Sezione ha avuto occasione di porre in evidenza in pronunce cautelari (cfr. Cons. Stato, V, ord. 26.02.2021, n. 923, nonché ord. 23.04.2021, n. 2163, intervenuta nel presente contenzioso).
Tornando sulla natura giuridica dell’annotazione nel casellario, osserva il Collegio come sia impossibile escluderne una natura sanzionatoria, a prescindere (come già ritenuto anche da Cass., sez. un., 04.12.2020, n. 27770) dalla ravvisabilità degli indici elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per l’affermazione di un quid pluris e cioè della natura sostanzialmente penale (cui devono correlarsi determinate garanzie) della sanzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare di quelli della qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, della intrinseca natura dell’illecito e del grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (c.d. “Engel criteria”, affermati per la prima volta dalla Corte EDU, 08.06.1976, Engel c. Paesi Bassi, e poi ribaditi dalla sentenza 04.03.2014, Grande Stevens e altri c. Italia), tematica cui è applicabile la recente giurisprudenza costituzionale evocata dall’appellante, concernente in definitiva l’estensione dello “statuto costituzionale” delle sanzioni penali a quelle amministrative a carattere punitivo (tra cui i principi di irretroattività della norma sfavorevole, e di retroattività della lex mitior: cfr. Corte cost. 16.04.2021, n. 68).
Occorre considerare che, seppure l’annotazione sia generalmente ricondotta nell’ambito della funzione di vigilanza e controllo dell’Anac (argomentando anche dall’art. 213, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016), con riguardo alla falsa dichiarazione o falsa documentazione non costituisce un mero atto dovuto da parte dell’Anac a seguito della segnalazione, imponendo altresì un giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione (in termini di dolo o colpa grave), e producendo delle conseguenze inequivocabilmente afflittive, in particolare l’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalti per un dato arco temporale, così da assumere -lo si ripete- natura sanzionatoria (in termini Cons. Stato, sez. V, 13.12.2019, n. 8480) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.01.2022 n. 491 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
1.- Con il primo, articolato, motivo l’appellante deduce che l’ANAC ha aperto, su istanza della stessa Re., un procedimento caratterizzato da un’istruttoria, anteriormente alla pubblicazione della sentenza di Cass., SS.UU., 04.12.2020, n. 27770, in contraddittorio con la società, convocata in audizione, e conclusosi con una proposta di rigetto, da parte dell’ufficio, in data 18.12.2020, dell’istanza di Re. e di conferma della delibera n. 1106 del 2017, con conseguente decisione di procedere all’annotazione dell’iscrizione; tale proposta è poi stata valutata e recepita dal Consiglio dell’Autorità che, in data 22.12.2020, ha deliberato in conformità della proposta dell’ufficio.
Per l’appellante, tale attività esclude che possa configurarsi una mera comunicazione di ANAC, espressiva dell’impossibilità di procrastinare l’annotazione della segnalazione in ragione della sopravvenuta definitività delle pronunce giurisdizionali, evidenziando al contrario un procedimento amministrativo di secondo grado, a sua volta conclusosi con una delibera del Consiglio, di rigetto dell’istanza di Re., avente natura di conferma propria, come si evincerebbe anche dalla registrazione della seduta del 25.11.2020 (minuto 26,10).
Assume ancora l’appellante che, ferma la tendenziale insussistenza di un obbligo di avviare un procedimento di riesame su istanza di un privato, allorché siano valutati i contenuti della domanda stessa, all’esito di un contraddittorio con l’istante, il procedimento di secondo grado deve ritenersi avviato, e deve essere concluso con un provvedimento espresso.
Il motivo è fondato.
La attenta scansione dell’attività compiuta dall’ANAC all’esito dell’istanza di riesame di Re. in data 20.11.2020 impedisce al Collegio di condividere l’assunto del giudice di prime cure, basato essenzialmente sul contenuto delle affermazioni asseritamente rese dal presidente dell’Autorità in apertura dell’audizione del 25.11.2020 e sulla nota in data 18.12.2020 definita “Appunto per il Consiglio”, da cui emergerebbe che l’ANAC non ha inteso avviare un procedimento di riesame, circostanza confermata dalla mancata comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, con il corollario di escludere valore provvedimentale (in particolare di conferma propria) alla nota impugnata.
Giova premettere che, per consolidata giurisprudenza, la distinzione tra atto meramente confermativo, e quindi inimpugnabile, e atto di conferma in senso proprio, autonomamente impugnabile, è data dallo svolgimento quanto al secondo di una rinnovata valutazione e ponderazione, ovvero un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento; segnatamente, ricorre l’atto meramente confermativo nel caso in cui è ribadita la decisione assunta nell’atto precedente, senza alcuna rivalutazione degli interessi, né nuovo apprezzamento dei fatti; vi è invece provvedimento di conferma quando si procede ad un riesame della precedente decisione, valutando nuovamente gli elementi di fatto acquisiti ovvero acquisendone di nuovi, come pure ponderando una seconda volta gli interessi coinvolti.
Il provvedimento di conferma si configura dunque come esito di un procedimento di secondo grado, senza che rilevi il fatto che la decisione assunta coincida perfettamente con quella contenuta nel precedente provvedimento, perché quel che conta è che essa sia il frutto di un rinnovato esercizio del potere amministrativo. In altri termini, sollecitata, in entrambi i casi, a riaprire il procedimento da un’istanza esterna, l’amministrazione con l’atto meramente confermativo dà una risposta negativa non riscontrando valide ragioni di riapertura del procedimento concluso con la precedente determinazione, laddove con il provvedimento di conferma dà una risposta positiva, riapre il procedimento e adotta una nuova determinazione; di conseguenza solo nel caso del provvedimento di conferma in senso proprio vi è un procedimento e, all’esito di questo, un nuovo provvedimento, sia pure di contenuto identico al precedente (in termini, tra le tante, Cons. Stato, IV, 07.05.2021, n. 3579).
Nella fattispecie controversa si ha che, a seguito dell’istanza di riesame della delibera n. 1106 del 2017 da parte di Re., con nota del 13 novembre è stata fissata l’audizione dinanzi al Consiglio per il 25.11.2020; il relativo verbale evidenzia, al di là del contestato incipit, che viene disposto un rinvio in attesa della documentazione preannunciata ad integrazione dell’istanza. Ricevuta detta documentazione, è intervenuta la nota in data 18.12.2020 “Appunto per il Consiglio”; nella parte contenente le “valutazioni”, la nota rileva preliminarmente che «occorre valutare se l’istanza di riesame del provvedimento formulata dall’O.e. sia accoglibile e se vi siano i margini per l’esercizio della c.d. “autotutela decisoria», per poi affermare che, a parere dell’ufficio, «non si rinviene alcuna rilevante sopravvenienza di fatto che imponga una rivisitazione del provvedimento», tale non potendosi considerare l’attuale situazione di crisi economica della società. La nota, quindi, nelle “conclusioni”, assume che «non è possibile accogliere la […] istanza di riesame, a fronte dell’insussistenza di sopravvenute ragioni di fatto che possano giustificare un riesame del provvedimento», aggiungendo che non «si rinvengono i presupposti per il riesame della delibera a suo tempo assunta e per l’apertura di una nuova istruttoria neppure con la sola finalità di rimodulare le sanzioni da irrogare».
Nell’adunanza del 22.12.2020 il Consiglio dell’Autorità ha deliberato in conformità alla proposta dell’Ufficio.
Si tratta ora di capire se la nota interna e la conforme delibera del Consiglio dell’ANAC si siano fermate ad un’attività prodromica o se invece abbiano introdotto un nuovo procedimento di riesame.
Ad avviso del Collegio è configurabile la seconda opzione, in quanto la nota del 18.12.2020 pone in luce che sia stato introdotto un procedimento di riesame, e sia stata svolta l’istruttoria; l’ufficio dà conto delle risultanze dell’audizione e degli argomenti posti da Re. a sostegno dell’istanza di riesame (nuovo orientamento giurisprudenziale, situazione di crisi finanziaria della società, aggravata dalla interdizione semestrale), ritenendo che non costituiscano una rilevante sopravvenienza, concludendo che l’istanza di riesame non è accoglibile. Il compiuto riesame è, del resto, attestato anche dalla nota in data 05.01.2020, anche essa oggetto del ricorso di primo grado, con la quale l’ANAC chiarisce apertis verbis che «il Consiglio, ascoltati i difensori dell’O.e. nel corso dell’audizione del 25.11.2020, rivalutata l’intera vicenda, anche alla luce delle considerazioni formulate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 27770 depositata il 04.12.2020, nell’adunanza del 22.12.2020 ha dato mandato all’Ufficio di reinserire l’annotazione in oggetto».
Tale esito (di rigetto dell’istanza di riesame) non equivale alla mancata apertura del procedimento di riesame, concernendo non già il profilo dell’iniziativa procedimentale, ma quello dell’epilogo decisorio, presupponente una nuova ponderazione degli interessi, condotta sulla base degli ulteriori elementi assunti a sostegno della decisione.
Infatti la conferma impropria si ha allorché l’amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame, si limiti a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento (in definitiva, a richiamarlo), senza compiere alcuna ulteriore istruttoria e senza esprimere una nuova motivazione; ove invece i fatti ed i motivi prospettati dal richiedente siano in qualche modo rivalutati, si ha una decisione di merito, di segno negativo, che costituisce una conferma propria (in quanto ha un contenuto identico a quello originario), provvedimento autonomamente impugnabile (Cons. Stato, VI, 17.07.2017, n. 3513).
Il riesame, quantunque ampiamente discrezionale, essendo rimesso alla valutazione di merito dell’amministrazione (Cons. Stato, IV, 13.02.2020, n. 1141), allorché viene attivato, si conclude con un provvedimento che, ove analogo al precedente, assume la natura di conferma propria, esorbitando dall’ambito dell’atto ad effetto confermativo, che si configura allorché l’amministrazione dà atto dell’esistenza di un precedente provvedimento, rifiutando di procedere ad una nuova valutazione dell’affare.
Né può trascurarsi di considerare come talora il potere di riesame sia funzionale al ripristino della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento (valore primario dell’ordinamento, come affermato anche, ovviamente su altro piano, dalla giurisprudenza costituzionale nei più variegati settori dell’ordinamento : a titolo esemplificativo, Corte cost., 30.11.1982, n. 204 e 15.03.2020, n. 54), infrante, in una vicenda come quella in esame, dalla presenza di un provvedimento, afflittivo in modo esponenziale, come è nella effettualità propria di una sanzione interdittiva, basato su di un’omessa dichiarazione “innocua”.
Corollario di ciò è, contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, l’ammissibilità del ricorso di primo grado, avente ad oggetto non solo il provvedimento in data 24.12.2020, di notifica dell’inserimento dell’annotazione interdittiva, ma anche la presupposta delibera del Consiglio in data 22.12.2020, integrante i requisiti della conferma propria.
2. - L’operata ricostruzione della vicenda in termini di conferma propria evidenzia anche l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso svolta dall’ANAC (e, in modo sostanzialmente sovrapponibile, anche dalle altre parti resistenti) nella considerazione che risulterebbe violato il principio del ne bis in idem e il giudicato, in quanto le doglianze svolte da Re. in primo grado ed in questa sede riproposte sarebbero volte a rimettere in discussione la delibera n. 1106 del 2017, su cui si è, appunto, formato il giudicato, atteso che le note impugnate sono prive di natura provvedimentale, valendo come mera presa d’atto del giudicato formatosi sul predetto provvedimento sanzionatorio.
E’ noto il principio generale per cui qualora su di una determinata domanda vi sia stata statuizione del giudice e detta statuizione sia passata in giudicato, non è possibile che la stessa domanda venga riproposta, in quanto ciò comporterebbe la violazione del principio del ne bis in idem (tra le tante, Cons., Stato, III, 29.11.2018, n. 6808). Ma perché ciò si verifichi, occorre che il precedente giudizio coinvolga le stesse parti in causa e prospetti gli stessi elementi identificativi dell’azione proposta, e quindi che nei giudizi sia chiesto l’annullamento degli stessi provvedimenti, od al più di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità, in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (così anche Cons. Stato, V, 26.11.2020, n. 7437).
Ma nella fattispecie in esame, il ricorso di primo grado ha ad oggetto provvedimenti diversi dalla delibera dell’ANAC n. 1106 del 2017, e precisamente la delibera ANAC del 24.12.2020, di annotazione della sanzione interdittiva, e la nota del successivo 05.01.2021, di risposta alla richiesta di differimento della stessa annotazione; la (solo) parziale coincidenza dei motivi dedotti discende dalla natura dell’atto impugnato, costituito da un provvedimento di conferma.
Peraltro, con riguardo al giudicato inter partes, di cui alla sentenza della Sezione 27.12.2018, n. 7271, giova rilevare che è di rigetto e ha pertanto un contenuto di accertamento negativo; invero tale tipo di pronuncia lascia invariato l’assetto giuridico dei rapporti precedenti alla radicazione del giudizio con l’impugnazione dell’atto amministrativo (Cons. Stato, V, 08.04.2014, n. 1669), sì da non precludere il potere di riesame dell’amministrazione. Ne consegue che il giudicato non ha subito alcun vulnus, venendo in rilievo un ulteriore e diverso segmento di attività amministrativa, conseguente all’istanza di riesame della deliberazione ANAC n. 1106 del 2017.
3. - Con il secondo motivo di appello vengono riproposti i motivi di primo grado; anzitutto il vizio procedimentale correlato all’asserita violazione del principio del contrarius actus, in quanto gli atti adottati all’esito del procedimento di riesame della delibera ANAC n. 1106 del 2017 non sono stati preceduti dalle garanzie procedimentali che avevano caratterizzato l’adozione della prima delibera; inoltre la delibera conclusiva non è neppure stata comunicata alla società, che ne ha avuto conoscenza solamente in virtù del deposito documentale in giudizio.
Il motivo va respinto.
L’ANAC giustifica l’omessa comunicazione di avvio del procedimento in considerazione del fatto che non sia stato introdotto un procedimento di riesame, e che la audizione espletata si collochi in una fase pre-procedimentale.
Ritiene il Collegio che un rapporto di comunicazione si sia comunque instaurato dopo la presentazione dell’istanza di riesame; infatti il Consiglio nell’adunanza dell’11.11.2020 ha disposto l’audizione della società appellante, e di ciò le è stata data comunicazione con la nota in data 13.11.2020, enucleante chiaramente l’oggetto del procedimento. Tanto è vero che poi la Re. ha potuto sollecitare la conoscenza degli atti intervenuti proprio conoscendo la pendenza del procedimento.
4. - Viene poi reiterato il vizio sostanziale, ravvisato nella violazione dell’art. 38, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, in combinato disposto con il comma 1, lett. h), dello stesso articolo, nella considerazione che i provvedimenti impugnati siano illegittimi, non essendo oggettivamente configurabile alcuna presentazione di falsa dichiarazione in ordine ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alla gara, ma solamente l’omessa dichiarazione di una procuratrice speciale della società, non sanzionabile con l’annotazione nel casellario informatico.
Per l’appellante, il potere esercitato dall’ANAC ai sensi del predetto art. 38, comma 1-ter, ha natura sanzionatoria ed afflittiva (presentando i c.d. “Engel criteria” che, in base alla giurisprudenza della Corte EDU, consentono di qualificarlo come sostanzialmente penale), con carattere dunque tassativo e di stretta interpretazione (al pari, del resto, delle altre cause di esclusione).
Ne consegue che l’art. 38, comma 1-ter, non si applica al di fuori dei casi considerati di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione; la falsità presuppone una dichiarazione recante una immutatio veri, ed è distinta dalla omessa dichiarazione. Nel caso di specie, una dichiarazione non è mai stata presentata e il potere interdittivo è stato esercitato nei confronti di una omessa dichiarazione, per di più innocua, essendo incontestato che in capo alla procuratrice speciale di Re. non vi fossero condanne penali che la stessa avrebbe dovuto dichiarare.
Il motivo è fondato.
La giurisprudenza ha chiarito, sul piano interpretativo, la differenza tra dichiarazioni omesse e false, riconducendo le due ipotesi rispettivamente nell’ambito dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), ovvero lett. f-bis), del sopravvenuto d.lgs. n. 50 del 2016. In particolare, Cons. Stato, Ad. Plen., 28.08.2020, n. 16 ha precisato che le fattispecie riconducibili nella prima previsione non consentono l’esclusione automatica dalla procedura di gara, ma impongono alla stazione appaltante di svolgere la valutazione di integrità ed affidabilità del concorrente. Al contrario, la falsità dichiarativa ha attitudine espulsiva automatica ed è predicabile rispetto ad un “dato di realtà”, ovvero ad una situazione fattuale per la quale possa porsi l’alternativa logica “vero/falso” rispetto alla quale valutare la dichiarazione resa dall’operatore (Cons. Stato, IV, 30.12.2020, n. 8532).
Ora, a prescindere da questi profili attinenti alla disciplina della gara, ciò che rileva in questa sede è che risulta ormai acclarata la differenza giuridica tra omessa dichiarazione e falsa dichiarazione. Solo quest’ultima (unitamente alla falsa documentazione) assume valore, a termini dell’art. 38, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, ma anche dell’analogo art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella prospettiva della segnalazione all’ANAC, la quale, ove la ritenga resa con dolo o colpa grave, dispone l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalla gara e dagli affidamenti di subappalti.
Il sopravvenuto chiarimento giurisprudenziale non ha peraltro una “portata innovativa”, in quanto, come detto, già l’art. 38, comma 1-ter, limitava, come emerge dalla sua ermeneusi letterale, la segnalazione alle ipotesi di falsa dichiarazione o falsa documentazione, locuzione che comunque non ammette un’interpretazione estensiva (nei confronti delle dichiarazioni omesse), operando il principio di stretta tipicità legale della fattispecie sanzionatoria, come questa Sezione ha avuto occasione di porre in evidenza in pronunce cautelari (cfr. Cons. Stato, V, ord. 26.02.2021, n. 923, nonché ord. 23.04.2021, n. 2163, intervenuta nel presente contenzioso).
Tornando sulla natura giuridica dell’annotazione nel casellario, osserva il Collegio come sia impossibile escluderne una natura sanzionatoria, a prescindere (come già ritenuto anche da Cass., SS.UU., 04.12.2020, n. 27770) dalla ravvisabilità degli indici elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per l’affermazione di un quid pluris e cioè della natura sostanzialmente penale (cui devono correlarsi determinate garanzie) della sanzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare di quelli della qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, della intrinseca natura dell’illecito e del grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (c.d. “Engel criteria”, affermati per la prima volta dalla Corte EDU, 08.06.1976, Engel c. Paesi Bassi, e poi ribaditi dalla sentenza 04.03.2014, Grande Stevens e altri c. Italia), tematica cui è applicabile la recente giurisprudenza costituzionale evocata dall’appellante, concernente in definitiva l’estensione dello “statuto costituzionale” delle sanzioni penali a quelle amministrative a carattere punitivo (tra cui i principi di irretroattività della norma sfavorevole, e di retroattività della lex mitior: cfr. Corte cost., 16.04.2021, n. 68).
Occorre considerare che, seppure l’annotazione sia generalmente ricondotta nell’ambito della funzione di vigilanza e controllo dell’ANAC (argomentando anche dall’art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016), con riguardo alla falsa dichiarazione o falsa documentazione non costituisce un mero atto dovuto da parte dell’ANAC a seguito della segnalazione, imponendo altresì un giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione (in termini di dolo o colpa grave), e producendo delle conseguenze inequivocabilmente afflittive, in particolare l’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalti per un dato arco temporale, così da assumere -lo si ripete- natura sanzionatoria (in termini Cons. Stato, V, 13.12.2019, n. 8480).
5. - L’accoglimento dello scrutinato motivo, portando all’annullamento degli atti impugnati, ha efficacia assorbente ed esime il Collegio dalla disamina dei residui motivi, concernenti, rispettivamente, un ulteriore profilo di violazione dell’art. 38, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, nella considerazione che l’omessa dichiarazione ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 della procuratrice speciale in relazione alla “gara Sa.” non ha costituito una condotta consapevole dell’appellante, difettando dunque l’elemento soggettivo attribuito dall’ANAC a Re., l’incompletezza del riesame della delibera n. 1106 del 2017 (in relazione alla dichiarata finalità anticoncorrenziale della “falsa dichiarazione”, rispetto alla quale vi sarebbe incompetenza dell’ANAC), la violazione dell’art. 45 della direttiva 2004/18/CE (che potrebbe consentire l’esclusione dalla singola gara, ma non anche dalla partecipazione alle successive) e del principio eurounitario di tassatività delle cause di esclusione, nonché, ancora, la violazione dei principi di proporzionalità (che non può prescindere dalla considerazione del carattere lieve delle irregolarità commesse e dunque anche della mera omissione inoffensiva), di libera circolazione delle merci e di parità di trattamento, oltre che della libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi e della libera concorrenza, e prospettanti, in subordine, anche molteplici profili di illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Appare utile solamente aggiungere, per completezza di esposizione, che la non veridicità delle dichiarazioni fornite dall’impresa alla stazione appaltante presuppone la coscienza e volontà di rendere una dichiarazione falsa e dunque il dolo generico dell’agente, e non anche il dolo specifico, irrilevanti essendo le concrete intenzioni dell’agente, in quanto non è richiesto l’animus nocendi o decipiendi, al pari del falso documentale colposo.
Un’ultima considerazione può essere fatta sulla portata dell’art. 45, comma 2, lett. g), della direttiva 2004/18/CE (recepita dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006); nella misura in cui consente l’esclusione dalla gara dell’operatore economico «che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni», perimetra l’effetto espulsivo alle ipotesi di grave colpevolezza, non rinvenibili nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi, essendo in possesso di tutti i requisiti previsti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.01.2022 n. 491 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’Adunanza plenaria pronuncia sulla possibilità della modifica soggettiva in gara del Rti in caso di perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 del Codice dei contratti da parte del mandatario o di una delle mandanti.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di partecipazione - Perdita del raggruppamento temporaneo di imprese - Modifica soggettiva del Rti – Anche in fase di gara – Possibilità.
La modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50 da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del medesimo Codice (1).
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   (1) La questione è stata rimessa dalla sez. V con ord. 18.10.2021 n. 6959.
Data la premessa, l’Alto Consesso ha fatto conseguire che, laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di partecipazione procedimentale, è tenuta ad interpellare il raggruppamento e, laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, provveda ad assegnare un congruo termine per la predetta riorganizzazione.
Adunanza Plenaria, con sentenza 27.05.2021 n. 10, ha già avuto modo di affermare i seguenti principi di diritto:
   “a) l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione meramente interna del mandatario o del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese con un altro soggetto del raggruppamento stesso in possesso dei requisiti, nella fase di gara, e solo nelle ipotesi di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di liquidazione o, qualora si tratti di imprenditore individuale, di morte, interdizione, inabilitazione o anche liquidazione giudiziale o, più in generale, per esigenze riorganizzative dello stesso raggruppamento temporaneo di imprese, a meno che –per questa ultima ipotesi e in coerenza con quanto prevede, parallelamente, il comma 19 per il recesso di una o più imprese raggruppate– queste esigenze non siano finalizzate ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara;
   b) l’evento che conduce alla sostituzione meramente interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara o la prosecuzione del rapporto contrattuale
”.
I commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 del Codice dei contratti sono stati interpretati, dunque, nel senso di consentire, ricorrendone i presupposti, esclusivamente la modificazione “in diminuzione” del raggruppamento temporaneo di imprese, e non anche quella cd. “per addizione”, che si verificherebbe con l’introduzione nella compagine di un soggetto ad essa esterno. Si è in tal senso affermato:
La deroga all’immodificabilità soggettiva dell’appaltatore costituito in raggruppamento, tale da evitare in fase esecutiva la riapertura dell’appalto alla concorrenza e, dunque, l’indizione di una nuova gara, è solo quella dovuta, in detta fase, a modifiche strutturali interne allo stesso raggruppamento, senza l’addizione di nuovi soggetti che non abbiano partecipato alla gara (o, addirittura, che vi abbiano partecipato e ne siano stati esclusi), ciò che contraddirebbe la stessa ratio della deroga, dovuta a vicende imprevedibili che si manifestino in sede esecutiva e colpiscano i componenti del raggruppamento, tuttavia senza incidere sulla capacità complessiva dello stesso raggruppamento di riorganizzarsi internamente, con una diversa distribuzione di diversi compiti e ruoli (tra mandante e mandataria o tra i soli mandanti), in modo da garantire l’esecuzione dell’appalto anche prescindendo dall’apporto del componente del raggruppamento ormai impossibilitato ad eseguire le prestazioni o, addirittura, non più esistente nel mondo giuridico (perché, ad esempio, incorporato od estinto). È chiaro che la modifica sostituiva c.d. per addizione costituisce ex se una deroga non consentita al principio della concorrenza perché ammette ad eseguire la prestazione un soggetto che non ha preso parte alla gara secondo regole di correttezza e trasparenza, in violazione di quanto prevede attualmente l’art. 106, comma 1, lett. d), n. 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, più in generale, per la sostituzione dell’iniziale aggiudicatario”.
Ha aggiunto l’Alto consesso che la questione della estensione della perdita dei requisiti di cui all’art. 80 non rappresentava affatto la questione centrale di quel giudizio, né tale problema interpretativo forma espressamente oggetto dei principi di diritto enunciati dalla citata sentenza n. 10/2001 (né di questi costituisce il presupposto logico-giuridico), principi solo in relazione ai quali si esplica l’effetto nomofilattico voluto dall’art. 99 c.p.a.
Si è trattato, dunque, di una affermazione incidentale, non conseguente ad una disamina argomentativa peraltro non necessaria, stante l’estraneità di questo aspetto al thema decidendum.
Tanto precisato, occorre ricordare che i commi 17 e 18, nella loro originaria formulazione, si occupavano di specifiche sopravvenienze, quali la sottoposizione a procedura concorsuale (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione), ovvero, nel caso di imprenditore individuale, la morte, l’interdizione e l’inabilitazione, ovvero ancora i “casi previsti dalla normativa antimafia”.
In tali ipotesi, le disposizioni predette consentivano, rispettivamente, la prosecuzione del rapporto di appalto con altro operatore in qualità di mandatario, purché in possesso dei requisiti di qualificazione adeguati ai lavori, servizi o forniture ancora da eseguire e, nel caso di sopravvenienza relativa ad una delle mandanti, consentivano l’indicazione da parte del mandatario di altro operatore economico subentrante in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, prevedendo altresì che, in caso di mancata indicazione, fosse lo stesso mandatario tenuto all’esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché in possesso dei requisiti adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.
Il riferimento, in entrambe le disposizioni, ai “lavori ancora da eseguire” rendeva chiaro –come sottolinea anche l’ordinanza di rimessione– “che la fase cui le disposizioni avevano riguardo era quella di esecuzione del contratto di appalto”.
A fronte di ciò, l’art. 32, comma 1, lett. h), del d.lgs. 19.04.2017 n. 56 ha introdotto nel testo dell’art. 48, per quel che interessa nella presente sede, due modifiche:
   - la prima nei commi 17 e 18, aggiungendo alle sopravvenienze già ivi presenti anche il “caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all’art. 80”;
   - la seconda, consistente nell’introduzione del comma 19-ter, il quale prevede che “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase di gara”.
Per un verso, dunque, il riferimento espresso al “corso dell’esecuzione”, contenuto nei commi 17 e 18, farebbe propendere per ritenere l’ipotesi di “perdita dei requisiti di cui all’art. 80”, come limitata ad una sopravvenienza che si verifichi in quella fase; per altro verso, l’ampia dizione del comma 19-ter rende applicabili tutte le modifiche soggettive contemplate dai commi 17 e 18 (quindi anche la predetta “perdita dei requisiti di cui all’art. 80”), anche in fase di gara.
L’Adunanza Plenaria ritiene che l’antinomia evidenziata possa e debba essere superata (come è noto, non ammettendo l’ordinamento lacune), attraverso il ricorso ad altre considerazioni, riconducibili ai principi di interpretazione secondo ragionevolezza ovvero secondo Costituzione (o costituzionalmente orientata), cui peraltro lo stesso criterio di ragionevolezza (riferibile all’art. 3 Cost.) si riporta.
A tali fini, giova innanzi tutto osservare come una interpretazione che escluda la sopravvenienza della perdita dei requisiti ex art. 80 in fase di gara, per un verso introdurrebbe una disparità di trattamento tra varie ipotesi di sopravvenienze non ragionevolmente supportata; per altro verso, perverrebbe ad un risultato irragionevole nella comparazione in concreto tra le diverse ipotesi, poiché sarebbe consentita la modificazione del raggruppamento in casi che ben possono essere considerate più gravi –secondo criteri di disvalore ancorati a valori costituzionali che l’ordinamento deve tutelare, come certamente quella inerente a casi previsti dalla normativa antimafia- rispetto a quelli relative alla perdita di requisiti di cui all’art. 80.
Inoltre, si verificherebbe un caso di concreta incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione da parte di imprese in sé “incolpevoli”, riguardando il fatto impeditivo sopravvenuto una sola di esse, così finendo per costituire una fattispecie di “responsabilità oggettiva”, ovvero una inedita, discutibile (e sicuramente non voluta) speciale fattispecie di culpa in eligendo.
Se uno dei principi fondamentali in tema di disciplina dei contratti con la pubblica amministrazione -tale da giustificare la previsione stessa del raggruppamento temporaneo di imprese- è quello di consentire la più ampia partecipazione delle imprese, in condizione di parità, ai procedimenti di scelta del contraente (e dunque favorirne la potenzialità di accedere al contratto, al contempo tutelando l’interesse pubblico ad una maggiore ampiezza di scelta conseguente alla pluralità di offerte), una interpretazione restrittiva della sopravvenuta perdita dei requisiti ex art. 80, a maggior ragione perché non sorretta da alcuna giustificazione non solo ragionevole, ma nemmeno percepibile, finisce per porsi in contrasto sia con il principio di eguaglianza, sia con il principio di libertà economica e di par condicio delle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni (come concretamente declinati anche dall’art. 1 della l. n. 241/1990 e dall’art. 4 del codice dei contratti pubblici).
Ed infatti, come condivisibilmente affermato dall’ordinanza di rimessione, “nessuna delle ragioni che sorreggono il principio di immodificabilità della composizione del raggruppamento varrebbero a spiegare in maniera convincente il divieto di modifica per la perdita dei requisii di partecipazione ex art. 80 in sede di gara: non la necessità che la stazione appaltante si trovi ad aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto del quale non abbia potuto verificare i requisiti, in quanto, una volta esclusa dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 10 del 2021 la c.d. sostituzione per addizione, tale evenienza non potrà giammai verificarsi quale che sia la vicenda sopravvenuta per la quale sia venuto meno uno dei componenti del raggruppamento; né la tutela della par condicio dei partecipanti alla procedura di gara, che è violata solo se all’uno è consentito quel che all’altro è negato” (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 25.01.2022 n. 2 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
8. L’Adunanza Plenaria ritiene che la modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici) da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del medesimo Codice.
Ne consegue che, laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di partecipazione procedimentale, è tenuta ad interpellare il raggruppamento e, laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, provveda ad assegnare un congruo termine per la predetta riorganizzazione.
9. Al fine di meglio inquadrare il “punto di diritto” rimesso all’esame di questa Adunanza Plenaria occorre evidenziare, in punto di fatto, come nel caso oggetto del presente giudizio la modificazione soggettiva in riduzione del raggruppamento appellato sia stata dapprima ricercata dal r.t.i. Medil attraverso il recesso della mandante (ipotesi disciplinata dall’art. 48, comma 19, d.lgs. n. 50/2016) e solo successivamente, una volta negata l’autorizzazione al recesso, si sia evidenziata la questione interpretativa dei commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 e dunque se la modificazione soggettiva del raggruppamento da questi ultimi prevista per il caso di perdita di un requisito di partecipazione ex art. 80, co. 5, in capo alla mandataria o alla mandante, sia applicabile anche in fase di gara e non solo in fase di esecuzione del contratto.
Ciò comporta che l’Adunanza Plenaria deve:
   - sia fornire, in funzione nomofilattica, l’interpretazione dei commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 (se, cioè, come si è detto, la modificazione in riduzione del raggruppamento ivi contemplata sia possibile anche in fase di gara);
   - sia chiarire (preliminarmente) se il diniego di autorizzazione al recesso di cui al comma 19 influisca (anche eventualmente in senso impeditivo) sulla applicabilità della modificazione prevista dai commi 17 e 18.
Ciò si evince dalla stessa ordinanza di rimessione, laddove questa, nel formulare i quesiti e riferendosi alle “modalità procedimentali” onde pervenire (se ritenuto ammissibile) alla modificazione soggettiva ai sensi dei commi 17 e 18 in fase di gara, chiede, in sostanza, se tali norme siano concretamente applicabili “anche qualora (la stazione appaltante) abbia negato l’autorizzazione al recesso che sia stata richiesta dal raggruppamento per restare in gara” e se, in caso affermativo, la medesima stazione appaltante abbia (o meno) l’obbligo di “interpellare il raggruppamento, assegnando congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto” in modo da poter “riprendere la propria partecipazione alla gara”.
10.1. Come è noto, l’art. 48, comma 9, del d.lgs. n. 50/2016 prevede, in via generale, il divieto di modificazione della composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti “rispetto a quella risultante dall’impegno in sede di offerta”, fatto salvo quanto disposto ai successivi commi 17 e 18, che costituisce ipotesi di “eccezione” al predetto principio generale.
Più precisamente, i commi 17 e 18 dispongono:
   (comma 17). “Salvo quanto previsto dall'articolo 110, comma 5, in caso di fallimento liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all'articolo 80, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante deve recedere dal contratto”.
   (comma 18). “Salvo quanto previsto dall'articolo 110, comma 5, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all'articolo 80, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.
Quanto all’ambito di applicazione di tali disposizioni, questa Adunanza Plenaria, con sentenza 27.05.2021 n. 10, ha già avuto modo di affermare i seguenti principi di diritto:
   “a) l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione meramente interna del mandatario o del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese con un altro soggetto del raggruppamento stesso in possesso dei requisiti, nella fase di gara, e solo nelle ipotesi di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di liquidazione o, qualora si tratti di imprenditore individuale, di morte, interdizione, inabilitazione o anche liquidazione giudiziale o, più in generale, per esigenze riorganizzative dello stesso raggruppamento temporaneo di imprese, a meno che –per questa ultima ipotesi e in coerenza con quanto prevede, parallelamente, il comma 19 per il recesso di una o più imprese raggruppate– queste esigenze non siano finalizzate ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara;
   b) l’evento che conduce alla sostituzione meramente interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara o la prosecuzione del rapporto contrattuale
”.
I commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 del Codice dei contratti sono stati interpretati, dunque, nel senso di consentire, ricorrendone i presupposti, esclusivamente la modificazione “in diminuzione” del raggruppamento temporaneo di imprese, e non anche quella cd. “per addizione”, che si verificherebbe con l’introduzione nella compagine di un soggetto ad essa esterno. Si è in tal senso affermato:
La deroga all’immodificabilità soggettiva dell’appaltatore costituito in raggruppamento, tale da evitare in fase esecutiva la riapertura dell’appalto alla concorrenza e, dunque, l’indizione di una nuova gara, è solo quella dovuta, in detta fase, a modifiche strutturali interne allo stesso raggruppamento, senza l’addizione di nuovi soggetti che non abbiano partecipato alla gara (o, addirittura, che vi abbiano partecipato e ne siano stati esclusi), ciò che contraddirebbe la stessa ratio della deroga, dovuta a vicende imprevedibili che si manifestino in sede esecutiva e colpiscano i componenti del raggruppamento, tuttavia senza incidere sulla capacità complessiva dello stesso raggruppamento di riorganizzarsi internamente, con una diversa distribuzione di diversi compiti e ruoli (tra mandante e mandataria o tra i soli mandanti), in modo da garantire l’esecuzione dell’appalto anche prescindendo dall’apporto del componente del raggruppamento ormai impossibilitato ad eseguire le prestazioni o, addirittura, non più esistente nel mondo giuridico (perché, ad esempio, incorporato od estinto).
È chiaro che la modifica sostituiva c.d. per addizione costituisce ex se una deroga non consentita al principio della concorrenza perché ammette ad eseguire la prestazione un soggetto che non ha preso parte alla gara secondo regole di correttezza e trasparenza, in violazione di quanto prevede attualmente l’art. 106, comma 1, lett. d), n. 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, più in generale, per la sostituzione dell’iniziale aggiudicatario
”.
10.2. Una ulteriore eccezione al principio generale di immodificabilità della composizione del raggruppamento, benché non richiamata dal comma 9 dell’art. 48, è introdotta dal comma 19, che prevede: “E' ammesso il recesso di una o più imprese raggruppate, anche qualora il raggruppamento si riduca ad un unico soggetto, esclusivamente per esigenze organizzative del raggruppamento e sempre che le imprese rimanenti abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire. In ogni caso la modifica soggettiva di cui al primo periodo non è ammessa se finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara”.
Da un lato, dunque, il comma 9 dell’art. 48 introduce un principio generale di “immodificabilità” della composizione del raggruppamento; dall’altro lato, i commi 17, 18 e 19, quali norme di eccezione alla norma generale, introducono una pluralità di esclusioni a tale principio, tali per la verità (stante il loro numero) da renderne sempre meno concreta l’applicazione.
L’ampiezza dell’ambito applicativo delle eccezioni si dimostra, a maggior ragione, alla luce di quanto previsto dal comma 19-ter dell’art. 48, in base al quale “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase di gara”.
10.3. Occorre evidenziare come le norme di eccezione di cui ai commi 17 e 18 disciplinano fattispecie diverse da quella di cui al comma 19. Ed infatti:
   - mentre le ipotesi disciplinate dal comma 17 (con riferimento al mandatario) e dal comma 18 (con riferimento ad uno dei mandanti) attengono a vicende soggettive, puntualmente indicate, del mandatario o di un mandante, conseguenti ad eventi sopravvenuti rispetto al momento di presentazione dell’offerta;
   - invece l’ipotesi di cui al comma 19 attiene ad una modificazione della composizione del raggruppamento derivante da una autonoma manifestazione di volontà di recedere dal raggruppamento stesso, da parte di una o più delle imprese raggruppate, senza che si sia verificato nessuno dei casi contemplati dai commi 17 e 18, ma solo come espressione di un diverso e contrario volere rispetto a quello di partecipare, in precedenza manifestato. Ed il recesso in tanto è ammesso, non tanto in base ad una più generale valutazione dei motivi che lo determinano, ma in quanto le imprese rimanenti “abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire” e sempre che la modifica soggettiva derivante dal recesso non sia “finalizzata ad eludere un requisito di partecipazione alla gara”.
Si tratta, dunque, nel caso disciplinato dal comma 19, di eccezione al principio generale di immodificabilità della composizione del raggruppamento del tutto diversa da quelle di cui ai commi 17 e 18, di modo che la possibilità che la stazione appaltante non ammetta il recesso di una o più delle imprese raggruppate non esplica alcun effetto sulle diverse ipotesi di eccezione, relative alle vicende soggettive del mandatario o di uno dei mandanti, disciplinate dai citati commi 17 e 18 dell’art. 48.
Quanto sin qui esposto in ordine ai rapporti tra ipotesi di cui ai commi 17 e 18 e distinta ipotesi di cui al comma 19 appare di particolare rilievo nel caso oggetto del presente giudizio, poiché, come esattamente osservato dall’ordinanza di rimessione, era “il recesso della mandante che il raggruppamento intendeva in prima battuta far valere quale causa di modificazione soggettiva in riduzione della compagine, e solo quando la stazione appaltante, negando la sua autorizzazione, ha impedito che l’effetto modificativo dovuto al recesso si producesse, ha assunto rilievo la (diversa) vicenda modificativa costituita dalla perdita di un requisito di partecipazione ex art. 80, comma 5, del codice dei contratti”.
Il diniego di autorizzazione al recesso non assume, quindi, alcun ruolo (tanto meno di “precedente impeditivo”) al fine della soluzione del quesito interpretativo rimesso a questa Adunanza Plenaria, stante la evidenziata differenza della previsione di cui al comma 19 rispetto alle previsioni di cui ai commi 17 e 18.
In altre parole, risolta la questione afferente all’autorizzazione al recesso con il diniego di autorizzazione, il comma 19 non trova alcuna residua applicazione nel caso oggetto del presente giudizio, dovendosi invece affrontare, a tal fine, il problema di interpretazione dei commi 17, 18 e 19-ter, e dunque se –come chiede l’ordinanza di rimessione- la modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese in caso di perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 da parte del mandatario o di una delle mandanti sia consentita anche in fase di gara, e non solo in fase di esecuzione.
11.1. Il problema interpretativo dei commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 del Codice dei contratti è ingenerato dall’antinomia normativa, ivi presente e che come tale richiede soluzione, frutto di una tecnica legislativa non particolarmente sorvegliata.
E’ opportuno preliminarmente precisare che tale problema non può dirsi superato e risolto per effetto di quanto incidentalmente affermato da questa stessa Adunanza Plenaria, con la propria citata decisione n. 10 del 2001 (v. par. 23.3), al contrario di come invece ritengono l’appellante e la costituita amministrazione.
Come condivisibilmente osservato anche dall’ordinanza di rimessione, la questione della estensione della perdita dei requisiti di cui all’art. 80 non rappresentava affatto la questione centrale di quel giudizio, né tale problema interpretativo forma espressamente oggetto dei principi di diritto enunciati dalla citata sentenza n. 10/2001 (né di questi costituisce il presupposto logico-giuridico), principi solo in relazione ai quali si esplica l’effetto nomofilattico voluto dall’art. 99 c.p.a.
Si è trattato, dunque, di una affermazione incidentale, non conseguente ad una disamina argomentativa peraltro non necessaria, stante l’estraneità di questo aspetto al thema decidendum.
11.2 Tanto precisato, occorre ricordare che i commi 17 e 18, nella loro originaria formulazione, si occupavano di specifiche sopravvenienze, quali la sottoposizione a procedura concorsuale (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione), ovvero, nel caso di imprenditore individuale, la morte, l’interdizione e l’inabilitazione, ovvero ancora i “casi previsti dalla normativa antimafia”.
In tali ipotesi, le disposizioni predette consentivano, rispettivamente, la prosecuzione del rapporto di appalto con altro operatore in qualità di mandatario, purché in possesso dei requisiti di qualificazione adeguati ai lavori, servizi o forniture ancora da eseguire e, nel caso di sopravvenienza relativa ad una delle mandanti, consentivano l’indicazione da parte del mandatario di altro operatore economico subentrante in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, prevedendo altresì che, in caso di mancata indicazione, fosse lo stesso mandatario tenuto all’esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché in possesso dei requisiti adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.
Il riferimento, in entrambe le disposizioni, ai “lavori ancora da eseguire” rendeva chiaro –come sottolinea anche l’ordinanza di rimessione– “che la fase cui le disposizioni avevano riguardo era quella di esecuzione del contratto di appalto”.
A fronte di ciò, l’art. 32, comma 1, lett. h), del d.lgs. 19.04.2017 n. 56 ha introdotto nel testo dell’art. 48, per quel che interessa nella presente sede, due modifiche:
   - la prima nei commi 17 e 18, aggiungendo alle sopravvenienze già ivi presenti anche il “caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all’art. 80”;
   - la seconda, consistente nell’introduzione del comma 19-ter, il quale prevede che “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase di gara”.
Per un verso, dunque, il riferimento espresso al “corso dell’esecuzione”, contenuto nei commi 17 e 18, farebbe propendere per ritenere l’ipotesi di “perdita dei requisiti di cui all’art. 80”, come limitata ad una sopravvenienza che si verifichi in quella fase; per altro verso, l’ampia dizione del comma 19-ter rende applicabili tutte le modifiche soggettive contemplate dai commi 17 e 18 (quindi anche la predetta “perdita dei requisiti di cui all’art. 80”), anche in fase di gara.
11.2. Tale contraddizione o incompatibilità tra norme, sussumibile nella fattispecie generale dell’”antinomia normativa”, risulta ancora più problematica per l’interprete, attesa la contestualità temporale delle disposizioni che le prevedono, riferibili ed introdotte dalla medesima fonte.
Ciò rende l’antinomia non risolvibile applicando normali criteri interpretativi, quali il criterio gerarchico ovvero il criterio della competenza della fonte, ovvero ancora i criteri cronologico o temporale o quello di specialità, trattandosi in questo caso di introduzione di norme per il tramite della medesima fonte.
Né particolari elementi utili all’interprete possono essere ricavati, in applicazione dell’art. 12 disp. prel cod. civ., dalla lettera delle disposizioni, ovvero dalla “volontà del legislatore”.
Quanto alla lettera delle disposizioni, essa non si presenta particolarmente “affidabile”, tale cioè da poter desumerne un senso “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”, non essendo in particolare coordinati gli enunciati introdotti dal d.lgs. n. 56 del 2017 con quelli originari del Codice; e di ciò costituisce dimostrazione, oltre ad altri casi non rilevanti nella presente sede, lo stesso intervento interpretativo effettuato da questa Adunanza Plenaria con la propria sentenza n. 10/2021.
Quanto alla interpretazione secondo criterio psicologico o soggettivo (cui in parte si riporta la stazione appaltante: v. pagg. 4-5 memoria del 27.11.2021), essa non può essere utilmente esercitata, facendo leva sulla relazione illustrativa al d.lgs. n. 56/2017, trattandosi in questo caso poco più di una parafrasi del testo normativo.
11.3. Allo stesso tempo, non è possibile negare che si tratti di antinomia cd. assoluta (o, secondo altre classificazioni, “totale”) – che si ha allorché nessuna delle due norme può essere applicata alla circostanza considerata senza entrare in conflitto con l’altra – sostenendo che, in realtà, vi sarebbe solo una incompatibilità apparente di enunciati, state la natura “generale” della norma espressa dal comma 19-ter e la natura “parziale” di quella ricavabile dagli incisi dei commi 17 e 18.
E’ questo il caso che ricorrerebbe allorché si intenda sostenere che il richiamo effettuato dall’art. 19-ter (norma generale) alle “modifiche soggettive ivi contemplate” (cioè nei commi 17 e 18) vada inteso come riferito alle predette modifiche “come disciplinate” dai medesimi commi 17 e 18 (e dunque, anche nei limiti per esse imposti). Da ciò conseguirebbe che mentre la norma del comma 19-ter sarebbe tranquillamente applicabile (nel suo effetto espansivo riferito alla fase di gara) a tutte le modifiche soggettive salvo quelle derivanti “dalla perdita dei requisiti di cui all’art. 80”, l’enunciato “in corso di esecuzione” a queste ultime riferito introdurrebbe una norma speciale che sottrae i casi considerati alla disciplina del comma 19-ter.
A questa tesi -sia pure con diversità di accenti e di formulazione e senza che il problema venga espressamente affrontato in termini di antinomia normativa- possono essere riportate anche precedenti decisioni del Consiglio di Stato, indicate nell’ordinanza di rimessione, laddove si afferma che sarebbe “del tutto illogico che l’estensione alla fase di gara di cui al comma 19-ter, introdotto dallo stesso decreto correttivo, vada a neutralizzare la specifica e coeva modifica del comma 18” (Cons. Stato, sez. V, 28.01.2021 n. 833 e sez. III, 11.08.2021 n. 5852).
Ed è alla tesi in precedenza esposta che si riportano sia l’appellante, quando parla di “effetto abrogativo” inammissibile, laddove sostiene che un ampliamento della sopravvenienza della “perdita dei requisiti di cui all’art. 80” comporterebbe un “effetto abrogativo” dell’inciso “in corso di esecuzione”, presente nei commi 17 e 18 /(v. pag. 6 memoria del 02.12.2021), sia la stazione appaltante, la quale fa leva sulla natura eccezionale, e quindi di stretta interpretazione, delle norme che derogano al principio generale di immodificabilità del raggruppamento temporaneo di imprese (art. 48, co. 9).
Benché non priva di elementi meritevoli di esame, anche questa tesi interpretativa non può essere condivisa.
Ed infatti, perché possa sostenersi la ricorrenza di una ipotesi particolare di antinomia (secondo talune classificazioni definita “parziale” o “unilaterale"), occorrerebbe:
   - o che uno dei due enunciati nomativi aggiungesse una specificazione (ad esempio, nel caso di specie, ad una certa fase della gara), tale da escludere (eccettuare) un singolo caso dalla classe di fattispecie altrimenti disciplinata dalla norma generale; nel caso di specie, invece, le fattispecie si presentano perfettamente coincidenti;
   - ovvero (e quantomeno) che l’esclusione della singola fattispecie fosse prevista dalla stessa norma generale, con una delle formule usualmente utilizzate dal legislatore (ad esempio: “fatto salvo quanto previsto…etc.”), e dunque, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere il comma 19-ter (norma generale) ad escludere la specifica ipotesi della “perdita dei requisiti di cui all’art. 80” dalla classe di fattispecie degli articoli 17 e 18 per le quali interviene l’effetto ampliativo anche alla fase di gara.
Invece, in difetto di previsione espressa del legislatore, l’esclusione della predetta fattispecie sarebbe il frutto di una doppia operazione dell’interprete, il quale dovrebbe dapprima applicare l’estensione prevista dal comma 19-ter alle molteplici fattispecie di cui ai commi 17 e 18 e poi limitare tale estensione ad una sola di esse per effetto di una esclusione che agirebbe per così dire “di rimbalzo” sulla norma generale. In questo caso, per effetto di un duplice percorso interpretativo (secondo un tragitto, per così dire, di “andata e ritorno”), l’interprete più che risolvere un problema di antinomia finisce per auto-attribuirsi una potestà normativa ex novo.
All’esclusione di tale ipotesi interpretativa perviene, in sostanza, anche l’ordinanza di rimessione, laddove sostiene come risponda “a logica” “l’argomento per il quale, se il legislatore, introducendo il comma 19-ter all’interno dell’art. 48, avesse voluto fare eccezione alla deroga e ripristinare il principio di immodificabilità ….la via maestra sarebbe stata quella di operare la distinzione all’interno dello stesso comma 19-ter, senza dare vita ad un arzigogolo interpretativo”.
Ed al fine di escludere l’interpretazione “restrittiva”, valga, da ultimo, rilevare come questa sia conseguenza di una considerazione “sovrastimata” dell’inciso “in corso di esecuzione”, posto che problemi interpretativi non molto dissimili potrebbero porsi –volendo utilizzare il metodo interpretativo qui non condiviso- anche per il fatto che il legislatore, nel momento stesso in cui introduceva il comma 19-ter, non ha eliminato dai commi 17 e 18 i riferimenti ai lavori, servizi o forniture “ancora da eseguire”; cioè proprio quei riferimenti che, prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 56/2017, costituivano il fondamento dell’interpretazione limitativa delle sopravvenienze soggettive alla sola fase di esecuzione.
12. L’Adunanza Plenaria ritiene che l’antinomia evidenziata possa e debba essere superata (come è noto, non ammettendo l’ordinamento lacune), attraverso il ricorso ad altre considerazioni, riconducibili ai principi di interpretazione secondo ragionevolezza ovvero secondo Costituzione (o costituzionalmente orientata), cui peraltro lo stesso criterio di ragionevolezza (riferibile all’art. 3 Cost.) si riporta.
A tali fini, giova innanzi tutto osservare come una interpretazione che escluda la sopravvenienza della perdita dei requisiti ex art. 80 in fase di gara, per un verso introdurrebbe una disparità di trattamento tra varie ipotesi di sopravvenienze non ragionevolmente supportata; per altro verso, perverrebbe ad un risultato irragionevole nella comparazione in concreto tra le diverse ipotesi, poiché sarebbe consentita la modificazione del raggruppamento in casi che ben possono essere considerate più gravi –secondo criteri di disvalore ancorati a valori costituzionali che l’ordinamento deve tutelare, come certamente quella inerente a casi previsti dalla normativa antimafia- rispetto a quelli relative alla perdita di requisiti di cui all’art. 80.
Inoltre, si verificherebbe un caso di concreta incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione da parte di imprese in sé “incolpevoli”, riguardando il fatto impeditivo sopravvenuto una sola di esse, così finendo per costituire una fattispecie di “responsabilità oggettiva”, ovvero una inedita, discutibile (e sicuramente non voluta) speciale fattispecie di culpa in eligendo.
Se uno dei principi fondamentali in tema di disciplina dei contratti con la pubblica amministrazione -tale da giustificare la previsione stessa del raggruppamento temporaneo di imprese- è quello di consentire la più ampia partecipazione delle imprese, in condizione di parità, ai procedimenti di scelta del contraente (e dunque favorirne la potenzialità di accedere al contratto, al contempo tutelando l’interesse pubblico ad una maggiore ampiezza di scelta conseguente alla pluralità di offerte), una interpretazione restrittiva della sopravvenuta perdita dei requisiti ex art. 80, a maggior ragione perché non sorretta da alcuna giustificazione non solo ragionevole, ma nemmeno percepibile, finisce per porsi in contrasto sia con il principio di eguaglianza, sia con il principio di libertà economica e di par condicio delle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni (come concretamente declinati anche dall’art. 1 della l. n. 241/1990 e dall’art. 4 del codice dei contratti pubblici).
Ed infatti, come condivisibilmente affermato dall’ordinanza di rimessione, “nessuna delle ragioni che sorreggono il principio di immodificabilità della composizione del raggruppamento varrebbero a spiegare in maniera convincente il divieto di modifica per la perdita dei requisii di partecipazione ex art. 80 in sede di gara: non la necessità che la stazione appaltante si trovi ad aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto del quale non abbia potuto verificare i requisiti, in quanto, una volta esclusa dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 10 del 2021 la c.d. sostituzione per addizione, tale evenienza non potrà giammai verificarsi quale che sia la vicenda sopravvenuta per la quale sia venuto meno uno dei componenti del raggruppamento; né la tutela della par condicio dei partecipanti alla procedura di gara, che è violata solo se all’uno è consentito quel che all’altro è negato”.
Nel caso in esame, quindi, l’antinomia trova soluzione inquadrando il caso concreto e le norme antinomiche ad esso applicabili nel più generale contesto dei principi costituzionali ed eurounitari, fornendo una interpretazione che renda applicabile una sola di esse in quanto coerente con detti principi, e che consente una regolazione del caso concreto con essi compatibile.
In tal modo, l’interpretazione determina –in presenza di norme incompatibili ma provenienti da fonti di pari livello e contestualmente introdotte dalla medesima fonte– la applicazione di una sola di esse (quella, appunto, compatibile con le fonti sovraordinate della Costituzione e del diritto dell’Unione Europea) e la non applicazione dell’altra, recessiva perché contraria ai più volte richiamati principi.
Tale operazione interpretativa –lungi dal porsi come inedita “costruzione giuridica”– costituisce, per un verso (sia pure in presenza di due norme incompatibili e non di una sola con riferimento ad un caso da esse disciplinato) solo una più articolata applicazione del metodo di interpretazione secondo Costituzione; per altro verso, costituisce metodo interpretativo non del tutto ignoto allo stesso legislatore ordinario, laddove questi prevede (art. 15 disp. prel. cod. civ.) la possibile abrogazione di norme “per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti”. Se vi è, dunque, la possibilità di verificare l’intervenuta abrogazione di una norma rimettendo al giudice/interprete la verifica della incompatibilità tra due norme temporalmente successive, non sembrano sussistere impedimenti a che la medesima operazione possa riguardare norme incompatibili non successive ma coeve.
E ciò anche in attuazione del “principio di coerenza” dell’ordinamento giuridico, che impone il superamento delle antinomie, rimettendo all’interprete, chiamato ad individuare ed applicare la regola di diritto al caso concreto, di verificare le possibilità offerte dall’interpretazione, senza necessariamente (e prima di) evocare l’intervento del giudice delle leggi.
13. Il riconoscimento della possibilità di modificare (in diminuzione) il raggruppamento temporaneo di imprese, anche nel caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti, determina che, laddove si verifichi un caso riconducibile a tale fattispecie, la stazione appaltante, in applicazione dei principi generali di cui all’art. 1 della l. n. 241/1990 e all’art. 4 d.lgs. n. 50/2016, debba interpellare il raggruppamento (se questo non abbia già manifestato la propria volontà) in ordine alla volontà di procedere alla riorganizzazione del proprio assetto interno, al fine di rendere possibile la propria partecipazione alla gara.
In modo non dissimile da quanto avviene ai fini del soccorso istruttorio, la stazione appaltante concederà un termine ragionevole e proporzionale al caso concretamente verificatosi, riprendendo all’esito l’ordinario procedimento di gara.
Tali considerazioni non necessitano della formulazione di un principio di diritto, in quanto pianamente desumibili dall’ordinamento giuridico amministrativo vigente.
14. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’Adunanza Plenaria formula il seguente principio di diritto: “
la modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 d.lgs. 18.04.2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici) da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del medesimo Codice” (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 25.01.2022 n. 2 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAGiurisdizione del giudice ordinario nelle controversie aventi ad oggetto il pagamento del servizio di raccolta rifiuti.
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Giurisdizione – Rifiuti – Raccolta – Pagamento del servizio – Controversia – Giurisdizione giudice ordinario.
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto non l'esercizio del potere o la gestione del ciclo dei rifiuti, intesa quale attività di raccolta, smaltimento e riconversione dei rifiuti solidi urbani organizzata dalla P.A. attraverso attività provvedimentale, discrezionale e autoritativa, ma una pretesa - il pagamento del corrispettivo correlato alla fase di esecuzione del rapporto avente ad oggetto la raccolta dei rifiuti- in relazione alla quale si pongono questioni di natura "negoziale" e a contenuto meramente patrimoniale, mentre non viene in rilievo alcun esercizio di potestà autoritativa da parte della pubblica amministrazione (1).
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   (1) Ha ricordato la Sezione che secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, la giurisdizione deve essere determinata sulla base della domanda, dovendosi guardare, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, al petitum sostanziale, da identificare, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della situazione giuridica dedotta in giudizio, da individuare con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico di cui essi sono espressione (ex plurimis, Cass. Sez. Un. 20350 del 2018, Sez. Un., n. 25578 del 2020, Sez. Un. 13492 del 2021). In tal senso è stata intesa la formula secondo cui "la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda" di cui all’art. 386 c.p.c..
L'indagine sulla intrinseca natura della situazione giuridica dedotta si risolveva, in passato, nella ricerca del diritto soggettivo perfetto, come tale desumibile da una norma attributiva al titolare di una protezione diretta e immediata (cfr. Cass. Sez. Un. 1894 del 1962, Sez. Un. 789 del 1963), quale condizione ineludibile del radicamento della giurisdizione del giudice ordinario, con effetti pratici in tema di riparto della giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto interessi non assurgenti a (o non emergenti ancora, in limine litis, come) diritti soggettivi perfetti ma neppure (assurgenti) a interessi legittimi.
Era concettualmente chiaro che gli interessi legittimi altro non sono che gli interessi che si rapportano al (o si confrontano con il) potere pubblico nella vicenda concreta, ma l'oggetto di indagine in sede di riparto della giurisdizione finiva per essere la posizione giuridica dedotta in causa dall'attore per verificarne la natura o consistenza in termini di diritto-non diritto, piuttosto che la condotta o il comportamento della pubblica amministrazione, onde accertare se questa avesse agito in concreto come autorità o jure privatorum.
La sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 ha avuto il merito di chiarire che condizione ineludibile per configurare la giurisdizione amministrativa, sia di legittimità sia esclusiva, è che la pubblica amministrazione agisca come autorità, e non come "qualsiasi litigante privato" e che oggetto di causa sia sempre la contestazione dell'esercizio del potere in concreto. In questa prospettiva la "intrinseca natura della situazione giuridica dedotta in giudizio" -che costituisce l'oggetto dell'indagine sul petitum sostanziale- viene a coincidere con la verifica della esistenza o meno di una contestazione in concreto dell'esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione-autorità, contestazione che costituisce condizione ineludibile per radicare la giurisdizione amministrativa.
Non è quindi la generica (e spesso opinabile) inerenza (dell'oggetto) della controversia a una "materia" tra quelle elencate nell'art. 133 c.p.a. a far radicare la giurisdizione esclusiva, ma la contestazione delle modalità di esercizio del potere concretamente esercitato dalla pubblica amministrazione in quella materia.
A dimostrarlo è la giurisprudenza costituzionale, la quale, nonostante l'ampiezza (e apparente totalità) della formula legislativa usata nell'indicazione di una delle "materie" di giurisdizione esclusiva, ha dichiarato l'infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 d.l. 90/2008, convertito, con modificazioni dalla l. 123/2008, che devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "tutte le controversie, anche relative a diritti costituzionalmente tutelati, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell'amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati".
E ciò in ragione del fatto che "l'espresso riferimento normativo ai comportamenti della pubblica amministrazione deve essere inteso nel senso che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall'amministrazione al di fuori dell'esercizio di un'attività autoritativa. Nella specie -prosegue il giudice delle leggi- venendo in rilievo questioni meramente patrimoniali connesse al mancato adempimento da parte dell'amministrazione di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, i comportamenti posti in essere dall'amministrazione stessa non sono ricompresi nell'ambito di applicazione della norma impugnata e rientrano, invece, nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, correttamente adita" (Corte Cost. n. 35 del 2010).
Quanto agli “accordi di diritto pubblico”, questi sono destinati a disciplinare e coordinare l'esercizio di potestà amministrative tra le pubbliche amministrazioni contraenti su oggetti di interesse comune, ma non a regolare questioni meramente patrimoniali tra le parti (da Cass. Sez. Un. 21770 del 2021) e, comunque, in presenza di accordi tra pubbliche amministrazioni è predicabile la giurisdizione esclusiva solo quando la controversia abbia come "oggetto immediato" l'accordo stesso (Cass. Sez. Un. 21652 del 2021) e non vicende meramente patrimoniali ad esso in ipotesi connesse (Cass. Sez. Un. 26291 del 2021).
Ha aggiunto la Sezione che la giurisprudenza delle Sezioni Unite è univoca nell'affermare che la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, ora prevista dall'art. 133, comma 1, lett. p), cod. proc. amm., presuppone che gli atti di gestione siano espressione dell'esercizio di un potere autoritativo della P.A. (o dei soggetti a questa equiparati), mentre quando in giudizio sia dedotto un rapporto obbligatorio avente la propria fonte in una pattuizione di tipo negoziale intesa a regolamentare gli aspetti meramente patrimoniali della gestione, la controversia continua ad appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass., Sez. Un., 11.07.2010, n. 14126; Cass., Sez. Un., 22.11.2010, n. 23597; Cass., Sez. Un., 24.05.2013, n. 12901; Cass., Sez. Un., 15.11.2016, n. 23227).
Tale ultima situazione è stata ai medesimi fini equiparata al caso di pretesa concernente la corresponsione del corrispettivo della gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, affidato sulla base di ordinanze contingibili e urgenti adottate (per ragioni di emergenza ambientale) ai sensi del d.lgs. 191/2006, anch’essa devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che essa riguarda unicamente l'esecuzione del rapporto di natura privatistica intercorrente tra le parti e la cognizione di aspetti puramente patrimoniali, senza involgere il sindacato, in via diretta o incidentale, della legittimità dell'attività provvedimentale urgente posta a monte dello stesso, la quale costituisce uno strumento alternativo e sostitutivo del contratto di appalto (Cass., Sez. Un., 24.06.2020, n. 12483).
Ci si muove, dunque, nell'ambito di una controversia inerente all'esecuzione del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani, che involge la cognizione di aspetti puramente patrimoniali, rappresentati dal pagamento del corrispettivo maturato (Cass., Sez. Un., 19.07.2021 n. 2053). Tale controversia attiene alla fase "contrattuale" dell'esecuzione del rapporto, da ritenere equipollente, ai fini del riparto, alla stipula del contratto, avendo la Corte di Cassazione stabilito che la giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene operativa nella successiva fase contrattuale afferente all'esecuzione del rapporto, che si apre con la stipula ovvero con l'inizio della esecuzione del contratto, quale alternativa alla stipula dello stesso (cfr. Cass., Sez. Un., 25.05.2018, n. 13191).
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SENTENZA
9. Nella vicenda in esame, l’A.G.O. di primo grado -OMISSIS-, adita dal Comune di -OMISSIS- in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso il 22.03.2006, con sentenza n. -OMISSIS-, si era espressa sull’eccezione di difetto di giurisdizione, accogliendola “…perché essa è del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. e), del D.Lgs. 80/1998. La norma riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutta la materia dei pubblici servizi e, in particolare, le liti relative a prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, restandone esclusi solo i rapporti individuali di utenza con soggetti privati. E’ così da ritenersi che tale giurisdizione sussiste anche nella fattispecie, come la presente, avente ad oggetto l’inadempimento di obbligazioni pecuniarie per la prestazione di un pubblico servizio (qual è l’attività di smaltimento dei rifiuti in base alla normativa che regola la materia) reso dal gestore a favore di una pubblica amministrazione…”.
La statuizione era stata confermata dal giudice di appello con la sentenza n. -OMISSIS-, sulla precipua motivazione che “
…nel caso che ne occupa, il Comune -OMISSIS- ha chiesto in via monitoria la condanna del comune di -OMISSIS- al pagamento del corrispettivo per l’intervenuto conferimento dei rifiuti solidi urbani presso una discarica ricadente nel proprio territorio, epperò la natura del rapporto è certamente di ordine pubblicistico sì come riconducibile all’ordinanza contingibile ed urgente n. -OMISSIS- con la quale il Prefetto -OMISSIS- ebbe ad autorizzare dati comuni ricadenti nella Provincia -OMISSIS- e, fra questi, il Comune di -OMISSIS-, a conferire i propri rifiuti solidi urbani nella discarica di proprietà del Comune -OMISSIS- al fine di far fronte al dichiarato stato di emergenza ambientale. L’introdotta controversia, quindi, se pur ha ad oggetto il pagamento di pretesi corrispettivi, implica, foss’anche per le sole difese già convenute nell’atto di opposizione, prima ancora che l’individuazione e la delibazione di clausole negoziali relative al detto compenso, l’accertamento in via principale del contenuto e della disciplina del rapporto (modalità di scarico, quantitativo, natura e consistenza dei poteri di controllo esercitato sul conferimento) e, non ultimo, si risolve nella stessa delibazione del modo in cui il Comune -OMISSIS- si è avvalso dell’esercizio diretto del proprio potere di determinazione, autoritativa e tecnicamente discrezionale (anche in relazione agli adempimenti istruttori che presuppone), della tariffa richiedibile ai comuni conferenti, sì come nella specie stabilita con la determina dirigenziale n. -OMISSIS-: coinvolge, cioè, l’esistenza, l’efficacia e lo svolgimento del rapporto pubblico e la stessa verifica dell’azione autoritativa della P.A. con l’esercizio di poteri discrezionali di cui essa gode nella determinazione di indennità, canoni o altri corrispettivi…”.
Nel corpo del provvedimento, la Corte di Appello di Catania richiama giurisprudenza della Corte di Cassazione, conseguente alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 204/2004, laddove “…è da ritenersi pacifico che le controversie concernenti indennità, canoni od altri corrispettivi, non attratte nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo perché riservate alla giurisdizione del Giudice ordinario sono solo quelle a contenuto meramente patrimoniale, e cioè quelle nelle quali non venga in rilievo il potere della P.A. a tutela di interessi generali. Ove, invece, si realizzi detta ultima ipotesi, perché la controversia coinvolge la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto sottostante, ovvero la verifica dell’esercizio di poteri discrezionali di cui essa gode nella determinazione di indennità, canoni o altri corrispettivi, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo…”.
10. Osserva il Collegio che la vicenda processuale, pur scaturendo da una serie reiterata di atti autoritativi della Prefettura -OMISSIS-, con i quali veniva ordinato ai due Comuni parti dell’odierna controversia di conferire/ricevere i rifiuti in un determinato arco temporale, inerisce ad obblighi strettamente patrimoniali nascenti dal rapporto e, più in generale, a posizioni soggettive che attengono al rapporto di dare/avere tra le parti, per le quali è salva la giurisdizione del giudice ordinario.
In particolare, l’art. 33 d.lgs. 80/1998 (oggi confluito nell’art. 133, co. 1, lett. c), c.p.a.), ratione temporis, ritenuto dall’A.G.O. applicabile al caso di specie, recitava:
   “1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni, al mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14.11.1995, n. 481.
   2. Tali controversie sono, in particolare, quelle:
      a) concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali, le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione urbana;
      b) tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi;
      c) tra le amministrazioni pubbliche e i soci di società miste e quelle riguardanti la scelta dei soci;
      d) in materia di vigilanza e di controllo nei confronti di gestori dei pubblici servizi;
      e) aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale;
      f) riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona e delle controversie in materia di invalidità.
   3. All'articolo 5, primo comma, della legge 06.12.1971, n. 1034, sono soppresse le parole: "o di servizi.”
.”.
Il noto arresto della Corte Costituzionale n. 204/2004 e la successiva giurisprudenza del giudice regolatore della giurisdizione hanno, a più riprese, evidenziato che l’art. 5 l. n. 1034 del 1971 (oggi art. 133 cod. proc. amm.), nel riservare alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alla materia dei servizi pubblici, eccettuate quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ha inteso far salva la giurisdizione del giudice ordinario soltanto nell’ipotesi in cui la controversia non abbia ad oggetto la determinazione di pretese che implicano l’esercizio di una discrezionalità da parte della p.a., ossia non coinvolga la verifica dell’azione autoritativa di quest’ultima.
Le controversie concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi, riservate, in materia di servizi pubblici, alla giurisdizione del giudice ordinario sono solo quelle con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere d’intervento della p.a. a tutela degli interessi generali; quando, invece, la controversia coinvolge la verifica dell’azione autoritativa della p.a. sull’intera economia del rapporto controverso, la medesima è attratta nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (sul punto, ex multis, Cass. Civ., SS.UU., Ord. n. 10268/2019, Cons. St., Sez. V, n. 2077/2018).
Con la pronuncia del 2004 della Corte Costituzionale, viene, dunque, ad essere abbandonata una nozione ampia di "pubblico servizio", comprensiva di ogni prestazione permeata da evidenti interessi pubblicistici, ancorché la relativa organizzazione possa presupporre un rapporto intersubiettivo tra enti pubblici finalizzato ad assicurare concretamente la fruizione del servizio da parte degli utenti finali. Tale sarebbe, in particolare, il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani reso dal Comune in favore dei suoi cittadini tramite l'utilizzazione di pubblica discarica della quale il Comune stesso è obbligato ad avvalersi, in virtù di provvedimenti autoritativi legati alla nota situazione di emergenza che ha comportato una gestione commissariale affidata al Presidente della Regione Siciliana (C.G.A. n. 938 del 21.12.2005).
A tal proposito, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, il Comune di -OMISSIS- ha chiesto in via subordinata la disapplicazione dell’atto dirigenziale -OMISSIS- del Comune -OMISSIS-, determinativo dei costi di conferimento in discarica. Impregiudicata la mancata impugnazione nei termini sia delle ordinanze prefettizie che della citata determina dirigenziale, quanto al predicato potere di disapplicazione di quest’ultimo atto ad opera del giudice adito, debbono rassegnarsi le seguenti considerazioni.
Il giudice amministrativo ha un potere generale di annullamento e un potere di disapplicazione soltanto in presenza di atti normativi.
Il giudice ordinario ha un potere generale di disapplicazione e un potere di annullamento soltanto nei casi previsti dalla legge.
L’art. 4 della legge abolitiva del contenzioso, 20.03.1865, n. 2248, All. E, prevede che «quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i Tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio». L’atto amministrativo «non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso».
L’art. 5 della stessa legge prevede che «in questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi».
Le norme riportate contemplano due diverse forme di disapplicazione.
La prima forma è di disapplicazione principale e presuppone che l’atto amministrativo sia oggetto di diretta lesione della posizione giuridica fatta valere.
In questi casi, a seguito della creazione della stessa giurisdizione amministrativa, in presenza di un provvedimento che incide negativamente su diritti soggettivi, anche se annullabile, si delinea, normalmente, un rapporto giuridico tra potere pubblico e interesse legittimo oppositivo, con giurisdizione del giudice amministrativo.
La seconda forma è di disapplicazione incidentale che si ha quando l’atto amministrativo non costituisce l’oggetto diretto della lesione e viene in rilievo soltanto in via, appunto, incidentale.
Il terreno di elezione di tale forma di disapplicazione è quello relativo alle controversie tra privati in cui, ai fini della loro risoluzione, può assumere valenza pregiudiziale il giudizio di validità di un atto amministrativo (Cons. St., sez. VI, n. 6792/2020).
Nel caso di specie, è evidente che la richiesta disapplicazione dell’atto dirigenziale si pone in chiave evidentemente strumentale alla domanda principale di rigetto di pretese creditorie, secondo un modello proprio del sindacato del giudice ordinario.
Al giudice amministrativo, dunque, non è consentito esercitare un vaglio sull’atto attraverso un generale potere di disapplicazione; al contrario, questi, ove adito nei termini, avrebbe potuto esercitare la giurisdizione generale di legittimità sull’atto mediante il potere di annullamento.
Il problema che ne residua, in questa sede, è quello di stabilire se la tipologia della controversia all'esame possa o meno ricondursi a taluna fra le materie che l’art. 33, co. 1, d.lgs. 80/1998 aveva "ritagliato" in favore della giurisdizione amministrativa, essenzialmente in ragione dell'esercizio di potestà pubblicistiche da parte dell'amministrazione.
A tale quesito il Collegio reputa debba darsi risposta negativa.
Andando per ordine, ripercorrendo il perimetro applicativo della norma:
   - è da escludere, pacificamente, che nella specie si configuri una controversia afferente ad un rapporto di concessione di pubblico servizio (con conseguente irrilevanza dell'ulteriore questione relativa alla riconducibilità, o meno, delle prestazioni patrimoniali ingiunte con decreto, nel novero delle "indennità, canoni ed altri corrispettivi");
   - è altrettanto da escludere che si versi in materia di attività provvedimentale a carattere autoritativo adottata dalla P.A. o da un privato gestore nell'ambito di un procedimento disciplinato dalla legge n. 241 del 1990;
   - è da escludere, altresì, che si versi in materia di "affidamento di un pubblico servizio";
   - è da escludere, da ultimo, che la controversia all'esame rientri tra quelle concernenti "la vigilanza e il controllo nei confronti del gestore".
Con particolare riferimento al primo alinea, giova evidenziare che dalla presupposta ed oggettiva inesistenza di un rapporto di concessione di pubblico servizio, deriva la non riconducibilità all’ipotesi di cui all’odierno art. 133, co. 1, lett. c), c.p.a. di quello che il G.O. menziona come provvedimento discrezionale di determinazione dell’indennità, canone o altro corrispettivo dovuto dal Comune di -OMISSIS-. Al contrario, è lo stesso G.O. che richiama le ordinanze prefettizie quale fonte primaria del rapporto tra i due Comuni. Di conseguenza l’atto dirigenziale n. -OMISSIS- del Comune -OMISSIS- (presunto provvedimento tariffario) viene ad assumere una dimensione funzionalmente collegata alle ordinanze prefettizie e temporalmente conseguente ad esse, senza trovare, però, alcun aggancio né fattuale né normativo nell’ambito di un rapporto di concessione di pubblico servizio, disciplinato quanto ai tratti autoritativi e non dal citato art. 33 d.lgs. 80/1998, oggi art. 133, lett. c), c.p.a..
Come di seguito si andrà ad enucleare, la vicenda contenziosa non può nemmeno ricadere nel perimetro applicativo delle ulteriori ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di accordi tra PP.AA. (oggi, art. 133, co. 1, n. 2, c.p.a. ed art. 15 l. 241/1990) ovvero attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti (oggi, art. 133, co. 1, lett. p, c.p.a.).
Preliminarmente, giova rilevare che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, la giurisdizione deve essere determinata sulla base della domanda, dovendosi guardare, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, al petitum sostanziale, da identificare, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della situazione giuridica dedotta in giudizio, da individuare con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico di cui essi sono espressione (ex plurimis, Cass. Sez. Un. 20350 del 2018, Sez. Un., n. 25578 del 2020, Sez. Un. 13492 del 2021). In tal senso è stata intesa la formula secondo cui "la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda" di cui all’art. 386 c.p.c..
L'indagine sulla intrinseca natura della situazione giuridica dedotta si risolveva, in passato, nella ricerca del diritto soggettivo perfetto, come tale desumibile da una norma attributiva al titolare di una protezione diretta e immediata (cfr. Cass. Sez. Un. 1894 del 1962, Sez. Un. 789 del 1963), quale condizione ineludibile del radicamento della giurisdizione del giudice ordinario, con effetti pratici in tema di riparto della giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto interessi non assurgenti a (o non emergenti ancora, in limine litis, come) diritti soggettivi perfetti ma neppure (assurgenti) a interessi legittimi. Era concettualmente chiaro che gli interessi legittimi altro non sono che gli interessi che si rapportano al (o si confrontano con il) potere pubblico nella vicenda concreta, ma l'oggetto di indagine in sede di riparto della giurisdizione finiva per essere la posizione giuridica dedotta in causa dall'attore per verificarne la natura o consistenza in termini di diritto-non diritto, piuttosto che la condotta o il comportamento della pubblica amministrazione, onde accertare se questa avesse agito in concreto come autorità o jure privatorum.
La sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 ha avuto il merito di chiarire che condizione ineludibile per configurare la giurisdizione amministrativa, sia di legittimità sia esclusiva, è che la pubblica amministrazione agisca come autorità, e non come "qualsiasi litigante privato" e che oggetto di causa sia sempre la contestazione dell'esercizio del potere in concreto. In questa prospettiva la "intrinseca natura della situazione giuridica dedotta in giudizio" -che costituisce l'oggetto dell'indagine sul petitum sostanziale- viene a coincidere con la verifica della esistenza o meno di una contestazione in concreto dell'esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione-autorità, contestazione che costituisce condizione ineludibile per radicare la giurisdizione amministrativa.
Non è quindi la generica (e spesso opinabile) inerenza (dell'oggetto) della controversia a una "materia" tra quelle elencate nell'art. 133 c.p.a. a far radicare la giurisdizione esclusiva, ma la contestazione delle modalità di esercizio del potere concretamente esercitato dalla pubblica amministrazione in quella materia.
A dimostrarlo è la giurisprudenza costituzionale, la quale, nonostante l'ampiezza (e apparente totalità) della formula legislativa usata nell'indicazione di una delle "materie" di giurisdizione esclusiva, ha dichiarato l'infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 d.l. 90/2008, convertito, con modificazioni dalla l. 123/2008, che devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "tutte le controversie, anche relative a diritti costituzionalmente tutelati, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell'amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati".
E ciò in ragione del fatto che "l'espresso riferimento normativo ai comportamenti della pubblica amministrazione deve essere inteso nel senso che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall'amministrazione al di fuori dell'esercizio di un'attività autoritativa. Nella specie -prosegue il giudice delle leggi- venendo in rilievo questioni meramente patrimoniali connesse al mancato adempimento da parte dell'amministrazione di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, i comportamenti posti in essere dall'amministrazione stessa non sono ricompresi nell'ambito di applicazione della norma impugnata e rientrano, invece, nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, correttamente adita" (Corte Cost. n. 35 del 2010).
Quanto agli “accordi di diritto pubblico”, questi sono destinati a disciplinare e coordinare l'esercizio di potestà amministrative tra le pubbliche amministrazioni contraenti su oggetti di interesse comune, ma non a regolare questioni meramente patrimoniali tra le parti (da Cass. Sez. Un. 21770 del 2021) e, comunque, in presenza di accordi tra pubbliche amministrazioni è predicabile la giurisdizione esclusiva solo quando la controversia abbia come "oggetto immediato" l'accordo stesso (Cass. Sez. Un. 21652 del 2021) e non vicende meramente patrimoniali ad esso in ipotesi connesse (Cass. Sez. Un. 26291 del 2021). Nella fattispecie, ad ogni modo, non era stato formalizzato alcun accordo tra le PP.AA. coinvolte.
Orbene, dalla ricostruzione degli atti di causa, emerge che il rapporto giuridico in contestazione trae origine dalle ordinanze prefettizie, necessitate da preminenti interessi concernenti la tutela dell’ambiente e della salute pubblica, con le quali viene disposto imperativamente al Comune di -OMISSIS- (e ad altri Comuni) di conferire i propri rifiuti nella discarica del Comune -OMISSIS- ed a quest’ultimo di riceverli. Le ragioni alla base del provvedimento attengono in via esclusiva alla incapacità del comune di -OMISSIS- (e degli altri comuni) di garantire in proprio un servizio pubblico di conferimento dei R.S.U..
Tali ordinanze di necessità ed urgenza sono state reiterate nel tempo, tanto che l’attività di conferimento nella discarica-OMISSIS- ad opera dei comuni impossibilitati a provvedere in proprio, ha assunto una caratterizzazione durevole e prolungata (nel caso oggetto del presente giudizio, il Comune di -OMISSIS- avrebbe versato dal 2003 al 2005).
L’unica fonte che disciplinava l’attività di conferimento dei rifiuti nella discarica -OMISSIS- era dunque rappresentata dalla ordinanza prefettizia di necessità ed urgenza pro tempore, che i Comuni interessati hanno applicato senza muovere alcuna contestazione.
E’ altrettanto vero che le ordinanze prefettizie non regolamentano le modalità prettamente esecutive del conferimento, ossia i limiti del quantitativo da versare, i poteri di controllo sull’attività di conferimento, i costi sostenuti dal Comune -OMISSIS- per “lavorare” i rifiuti altrui nell’ambito del proprio ciclo di gestione, le conseguenti obbligazioni a carico dei Comuni che versavano, i quali –di fatto– si avvalevano di una struttura altrui con conseguente arricchimento e vantaggio per la propria comunità.
In altri termini, tali ordinanze restano al di fuori del perimetro della controversia, riguardante i rapporti di dare-avere tra le parti.
Unica disciplina attinente la fase esecutiva del conferimento è da rinvenirsi nell’atto dirigenziale n. -OMISSIS- della Divisione Igiene Urbana del Comune -OMISSIS-, con il quale viene individuato il costo sostenuto per il ciclo di gestione dei rifiuti versati dai Comuni “terzi”, in ragione del quantitativo versato.
Mentre gli altri comuni interessati, come argomentato dalla difesa del Comune -OMISSIS-, hanno adempiuto alle obbligazioni sorte nel tempo, così come calcolate secondo le modalità di cui alla D.D. -OMISSIS- del Comune -OMISSIS- e riportate nelle fatture conseguentemente emesse, ciò non è avvenuto per il Comune di -OMISSIS-, per le ragioni di parte sopra esposte.
Atteso che gli unici due atti che regolamentano la vicenda in questione sono, dunque, le ordinanze prefettizie e la D.D. -OMISSIS-del Comune -OMISSIS-, emerge ictu oculi come queste siano state incontestate, all’epoca, dal Comune di -OMISSIS-, che non pare abbia proposto soluzioni alternative –anche in sede stragiudiziale– per risolvere in modo ad esso più conveniente il problema dello smaltimento dei R.S.U. della propria comunità. Nei fatti (e sul punto vi è ben più di un principio di prova in atti) il Comune di -OMISSIS- ha versato i propri rifiuti nella discarica individuata dal provvedimento prefettizio.
Ciò su cui il collegio vuol porre l’attenzione non è la tardività dell’impugnazione dei due provvedimenti citati da parte del Comune di -OMISSIS-, bensì la consistenza del perimetro dell’odierno giudizio, che non censura la fase prettamente organizzativa del servizio pubblico di smaltimento dei rifiuti urbani (attuato sulla base di determinazioni autoritative assunte dal Prefetto, nell’ambito di una situazione emergenziale per l’ambiente e la salute pubblica) bensì attiene alle pretese patrimoniali avanzate dal Comune -OMISSIS, in ragione del rapporto imperativamente scaturito dai citati provvedimenti contingibili ed urgenti.
I tratti di attività autoritativa che hanno investito la vicenda nel suo complesso, quanto alla fase organizzativa del servizio pubblico di smaltimento dei rifiuti, si sono esauriti all’epoca dei fatti e sono stati attuati dalle amministrazioni coinvolte in maniera coerente e conforme alle disposizioni prefettizie. Le lamentate lacune del comune di -OMISSIS- (con riferimento alla disciplina di dettaglio omessa dalle ordinanze prefettizie) non hanno impedito il corretto esplicarsi dello svolgimento del servizio pubblico nella sua dimensione organizzativa ed esecutiva, che ha come necessaria ricaduta la quantificazione dei costi sostenuti dal Comune -OMISSIS- e, dunque, delle somme dovute dal Comune di -OMISSIS-.
L’oggetto del giudizio, dunque, attiene, esclusivamente, a questioni patrimoniali connesse all'inadempimento da parte del Comune di prestazioni pecuniarie correlate alla fase di esecuzione di un rapporto obbligatorio.
Non ricorrendo alcuna delle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la controversia deve essere risolta sulla base dei criteri generali di riparto.
Non è in discussione l'esercizio del potere o la gestione del ciclo dei rifiuti, intesa quale attività di raccolta, smaltimento e riconversione dei rifiuti solidi urbani organizzata dalla P.A. attraverso attività provvedimentale, discrezionale e autoritativa. Il petitum sostanziale riguarda, dunque, una pretesa -il pagamento del corrispettivo correlato alla fase di esecuzione del rapporto- in relazione alla quale si pongono questioni di natura "negoziale" e a contenuto meramente patrimoniale, mentre non viene in rilievo alcun esercizio di potestà autoritativa da parte della pubblica amministrazione.
La giurisprudenza delle Sezioni Unite è univoca nell'affermare che la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, ora prevista dall'art. 133, comma 1, lett. p), cod. proc. amm., presuppone che gli atti di gestione siano espressione dell'esercizio di un potere autoritativo della P.A. (o dei soggetti a questa equiparati), mentre quando in giudizio sia dedotto un rapporto obbligatorio avente la propria fonte in una pattuizione di tipo negoziale intesa a regolamentare gli aspetti meramente patrimoniali della gestione, la controversia continua ad appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass., Sez. Un., 11.07.2010, n. 14126; Cass., Sez. Un., 22.11.2010, n. 23597; Cass., Sez. Un., 24.05.2013, n. 12901; Cass., Sez. Un., 15.11.2016, n. 23227).
Tale ultima situazione è stata ai medesimi fini equiparata al caso di pretesa concernente la corresponsione del corrispettivo della gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, affidato sulla base di ordinanze contingibili e urgenti adottate (per ragioni di emergenza ambientale) ai sensi del d.lgs. 191/2006, anch’essa devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che essa riguarda unicamente l'esecuzione del rapporto di natura privatistica intercorrente tra le parti e la cognizione di aspetti puramente patrimoniali, senza involgere il sindacato, in via diretta o incidentale, della legittimità dell'attività provvedimentale urgente posta a monte dello stesso, la quale costituisce uno strumento alternativo e sostitutivo del contratto di appalto (Cass., Sez. Un., 24.05.2020, n. 12483).
Ci si muove, dunque, nell'ambito di una controversia inerente all'esecuzione del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani, che involge la cognizione di aspetti puramente patrimoniali, rappresentati dal pagamento del corrispettivo maturato (Cass., Sez. Un., 19.07.2021 n. 2053). Tale controversia attiene alla fase "contrattuale" dell'esecuzione del rapporto, da ritenere equipollente, ai fini del riparto, alla stipula del contratto, avendo la Corte di Cassazione stabilito che la giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene operativa nella successiva fase contrattuale afferente all'esecuzione del rapporto, che si apre con la stipula ovvero con l'inizio della esecuzione del contratto, quale alternativa allo stipula dello stesso (cfr. Cass., Sez. Un., 25.05.2018, n. 13191).
Tale aspetto emerge, nella sua totale evidenza, anche sulla base della tipologia dell’azione originariamente azionata, attraverso la richiesta di decreto ingiuntivo, successivamente proseguita in sede di giudizio di opposizione. La controversia in esame ha ad oggetto esclusivo pretese di carattere patrimoniale, attinenti alla fase meramente esecutiva di un rapporto pubblicistico, fatte valere dal Comune -OMISSIS- e contestate, sotto vari profili, sia nell’an che nel quantum debeatur dal Comune di -OMISSIS-.
Non appare condivisibile, dunque, il passaggio della sentenza n. -OMISSIS- (con la quale la Corte di Appello di Catania, nell’aderire alla prospettazione del giudice di prime cure, ha confermato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O.) laddove ritiene che “l’introdotta controversia, quindi, se pur ha ad oggetto il pagamento di pretesi corrispettivi, implica, foss’anche per le sole difese già convenute nell’atto di opposizione, prima ancora che l’individuazione e la delibazione di clausole negoziali relative al detto compenso, l’accertamento in via principale del contenuto e della disciplina del rapporto (modalità di scarico, quantitativo, natura e consistenza dei poteri di controllo esercitato sul conferimento) e, non ultimo, si risolve nella stessa delibazione del modo in cui il Comune -OMISSIS- si è avvalso dell’esercizio diretto del proprio potere di determinazione, autoritativa e tecnicamente discrezionale (anche in relazione agli adempimenti istruttori che presuppone), della tariffa richiedibile ai comuni conferenti, sì come nella specie stabilita con la determina dirigenziale n. -OMISSIS-: coinvolge, cioè, l’esistenza, l’efficacia e lo svolgimento del rapporto pubblico e la stessa verifica dell’azione autoritativa della P.A. con l’esercizio di poteri discrezionali di cui essa gode nella determinazione di indennità, canoni o altri corrispettivi…”.
Invero, al di là del nomen iuris attribuito, il corrispettivo in questione si configura esclusivamente come costo sostenuto dal Comune-OMISSIS-, per la realizzazione e gestione della relativa “fase” della discarica di C.da -OMISSIS-, in ragione delle superiori ed imperative esigenze dei comuni limitrofi, che presentavano obiettive difficoltà nello smaltimento dei R.S.U..
Sul fatto che tale atto possa dirsi espressivo dell’esercizio di un pubblico potere, peraltro discrezionale, il Collegio esprime più di un dubbio, atteso che la determinazione del quantum dovuto dai Comuni conferenti, si appalesa come quantificazione –con funzione meramente compensativa e ripristinatoria– di un costo “anticipato” dal Comune -OMISSIS-, in esecuzione di un provvedimento prefettizio –quello sì– dalla connotazione fortemente autoritativa.
L’atto dirigenziale in questione può essere inquadrato, nell’ambito di una fattispecie a formazione progressiva, quale strumento di mera attuazione della determinazione prefettizia, laddove l’individuazione di quella che impropriamente viene denominata “tariffa” avviene mediante l’estrapolazione dell’onere dovuto dai Comuni interessati (proporzionalmente alla quantità versata) dai costi dell’ordinario ciclo di gestione del trattamento dei rifiuti della comunità -OMISSIS-.
Al di là delle censure del Comune di -OMISSIS- sulla prova della quantificazione dei rifiuti conferiti e del conseguente costo da sopportare (aspetto questo, si ribadisce, attinente alla fase meramente esecutiva e strettamente patrimoniale del rapporto in questione), è incontestato il fatto che il predetto Comune, in ottemperanza (doverosa e non altrimenti fronteggiabile) alle ordinanze prefettizie, abbia conferito i rifiuti del proprio territorio nella prevista discarica del Comune -OMISSIS-. Talché appare inconferente il richiamo al doveroso accertamento in via principale del contenuto e della disciplina del rapporto nonché all’esistenza, l’efficacia e lo svolgimento del rapporto pubblico, operati dall’A.G.O..
Al contrario, è di tutta evidenza che:
   - il rapporto controverso ha trovato il suo diretto ed irrinunciabile fondamento nei predetti atti della Prefettura -OMISSIS- (provvedimenti autoritativi, incontestati, idonei ad esaurire la fase organizzativa del servizio pubblico);
   - pur mancando un atto negoziale ovvero un’altra forma di accordo di diritto pubblico tra le parti, che disciplinasse il rapporto nella sua dimensione esecutiva, è incontestato che questo abbia trovato compimento con comportamenti concludenti da entrambe le parti;
   - la D.D. -OMISSIS-, altro non ha fatto che elaborare –secondo un preciso calcolo matematico– i costi dovuti, espungendoli da quelli ordinari del ciclo di gestione dei rifiuti;
   - la sequenza di atti e comportamenti, per come sopra delineata, appare idonea ex se –ai sensi dell’art. 1173 c.c.– a fondare il titolo dell’obbligazione oggetto del presente contenzioso.
Emerge, evidente come, ad oltre 6 anni dall’inizio della presente controversia e ad oltre 20 anni dall’emanazione del predetto atto dirigenziale, ci si trovi a discorrere di aspetti meramente patrimoniali del rapporto che, al più, potrebbero riguardare la corretta quantificazione delle somme dovute in ragione dei documenti prodotti dalle parti, il cui perimetro rimane circoscritto nell’alveo di una fase meramente esecutiva del rapporto, involgendo la quantificazione della prestazione, da una parte (senza alcun aspetto autoritativo, ma ricognitivo), e la correlata controprestazione dall’altra.
La vicenda, dunque, per come articolata in atti, non può essere ricondotta né alla giurisdizione generale di legittimità né ad alcuna delle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
11. Per tutte le superiori ragioni deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, davanti al quale il processo potrà essere riproposto ai sensi dell’art. 11 cod. proc. amm. (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 24.01.2022 n. 221 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIOfferte anomale, esclusione automatica.
In una gara sotto il milione di euro, anche se gli atti di gara non lo prevedono, si deve sempre applicare la norma sull'esclusione automatica delle offerte anomale.

Lo ha specificato l'Autorità nazionale anticorruzione con il parere di Precontenzioso 12.01.2022 n. 4 rispetto ad una procedura di affidamento di lavori di importo inferiore a un milione di euro.
In particolare, veniva eccepita, in sede di precontenzioso, la legittimità della scelta della stazione appaltante di non procedere all'esclusione automatica delle offerte anomale, in applicazione della disciplina introdotta dal D.L. n. 76/2020 che, per le procedure negoziate di importo inferiore alle soglie Ue, fino al 30.06.2023, dispone la mancata operatività dell'esclusione automatica nel solo caso in cui il numero delle offerte ammesse alla gara è inferiore a 5 (e non inferiore a 10 come previsto «ordinariamente») e la sua applicabilità invece per il caso di numero di offerte ammesse superiore a 5.
Era avvenuto infatti che fossero state ammesse nove offerte. La stazione appaltante, operante nei settori speciali, si difendeva assumendo che nella sua veste di impresa pubblica operante nei settori speciali poteva limitarsi (per gli acquisti di importo inferiore alla soglia comunitaria) ad applicare un proprio regolamento la cui disciplina è soggetta unicamente al rispetto dei principi comunitari a tutela della concorrenza.
Il punto sul quale l'Autorità si è soffermata è se fosse legittimo nel caso di specie, e quindi in una procedura indetta sulla base di un regolamento interno e di una lex specialis, richiamare la disciplina (ordinaria) di cui all'articolo 97, comma 8 del codice appalti senza contemplare la modifica legislativa di cui al D.L. n. 76/2020.
L'Anac non ha ritenuto legittimo l'operato della stazione appaltante perché aderisce all'«orientamento interpretativo prevalente ed in corso di consolidamento secondo cui la disciplina speciale dettata dal D.L. n. 76/2020, prevale sulla disciplina dei contratti sotto-soglia prevista dall'articolo 36 del d.lgs. n. 50/2016, integrando e sostituendo l previsioni della lex specialis con essa incompatibili, anche con riguardo a quelle in tema di verifica dell'anomalia».
Inoltre, ha precisato sempre l'Anac, la «deroga temporanea introdotta dal d.l. n. 76/2020 riguardante il numero minimo di offerte ammesse (ridotto a cinque) necessario per fare scattare (in presenza delle rimanenti condizioni) l'obbligo di esclusione automatica ha natura imperativa e pertanto sostituisce di diritto la clausola del bando difforme».
Alla luce di questi principi la delibera stabilisce che, ancorché negli atti di gara vi sia il richiamo agli articoli del Codice temporaneamente abrogati fino al 30.06.2023 dal D.L. n. 76/2020, la stazione appaltante è tenuta ad applicare la disciplina vigente al momento dell'indizione della procedura e, in particolare, quella relativa all'esclusione automatica delle offerte anomale.
Pertanto ad avviso dell'Anac la disciplina di gara deve ritenersi «eterointegrata alla nuova formulazione dell'articolo 97, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016» e deve trovare applicazione il nuovo regime giuridico, transitoriamente previsto, per l'esclusione automatica delle offerte anomale (articolo ItaliaOggi del 28.01.2022).
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Parere di Precontenzioso numero 4 del 12.01.2022
Istanza di parere per la soluzione delle controversie ex articolo 211, comma 1, del d.lgs. 18.04.2016 n. 50 presentata da Due T Gestioni e Costruzioni S.r.l. - Procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara Comune di Cossano C.se (prog. 11944). Sostituzione rete idrica in amianto cemento. Rif. APP_39/pn/2021 - CIG 8817802866 - CUP G41B21004610005 – Criterio di aggiudicazione: minor prezzo - Importo a base di gara: 708.453,89 euro – S.A.: Società Metropolitana Acque Torino S.p.A. PREC 221/2021/L – PB
Riferimenti normativi
Articolo 97, comma 8, d.lgs. n. 50/2016; Articolo 1, comma 3, del D.L. 16.07.2020, n. 76 (convertito con modificazioni in L. 11.09.2020 n. 120)
Parole chiave
Anomalia dell’offerta - Esclusione automatica – Ambito di applicazione della disciplina di cui all’articolo 1, comma 3, del D.L. Semplificazioni – Eterointegrazione della lex specialis
Massima
Le disposizioni normative contenute nell’art. 1 del decreto legge n. 76/2020, convertito in legge n. 120/2020, contengono una disciplina derogatoria, temporalmente limitata e giustificata dall’esigenza di far fronte ad una congiuntura economica resa particolarmente difficile dalla pandemia da COVID-19, che come tale prevale sulla disciplina dei contratti sotto-soglia prevista dall’articolo 36 del Codice appalti, con la conseguenza che le previsioni della lex specialis con essa incompatibili, con specifico riferimento alla disciplina dell’esclusione automatica delle offerta anomale, devono essere integrate e sostituite.

APPALTINiente violazione dello «stand still» con la sola esecuzione anticipata dell'appalto.
La violazione dello «stand still», ovvero del termine di 35 giorni dall'ultima comunicazione di aggiudicazione dell'appalto, inibisce/impedisce solamente la stipula del contratto ma non anche l'avvio dell'esecuzione (anticipata) dell'appalto.
In questo senso, il chiarimento fornito dal TAR Campania-Napoli, Sez. V, con la sentenza 05.01.2022 n. 78.
La vicenda
Tra i vari rilievi, la ricorrente si suole della violazione, da parte della stazione appaltante, dell'obbligo del cosiddetto stand still. In pratica, lo stand still (articolo 32, commi 9 e seguenti, del Codice dei contratti) costituisce una sorta di "quarantena" dell'affidamento che impedisce la stipula del contratto prima che siano trascorsi 35 giorni dall'ultima comunicazione di aggiudicazione dell'appalto. Lo stand still quindi, si sostanzia in un termine posto a favore degli operatori economici che si ritengano lesi dalle operazioni compiute dalla stazione appaltante evitando la "prematura" stipula del contratto che renderebbe più complicato (e spesso invano) il ricorso di chi ritiene di poter ottenere l'affidamento.
Secondo la ricorrente, stante l'impugnazione degli atti di gara, la stazione appaltante non avrebbe potuto né stipulare il contratto né affidare in via d'urgenza il servizio ma avrebbe dovuto attendere l'esito della procedura sull'istanza cautelare richiesta. Nel caso posto all'attenzione del giudice campano nel periodo di "quarantena" la stazione appaltante si era, in realtà, limitata solamente alla consegna in via d'urgenza dell'esecuzione dell'appalto e non anche alla stipula del correlato contratto. Proprio questo motivo, nella corretta interpretazione della norma, porta il giudice a respingere la doglianza.
Le motivazioni
Nel caso di specie, si è chiarito che la violazione della regola dello «stand still» «presuppone che sia intervenuta la stipulazione del contratto, senza la quale non sussiste alcuna violazione della clausola di stand still, non essendo l'esecuzione in via d'urgenza parificabile alla stipulazione del contratto».
In ogni caso, precisa il giudice, la violazione della regola in parola «senza che concorrano vizi propri dell'aggiudicazione, non comporta» di per sé l'annullamento dell'aggiudicazione o l'inefficacia del contratto, in quanto trattasi di una fase successiva a quella di selezione del migliore contraente, che, per ciò stesso, non potrebbe ripercuotersi negativamente sul provvedimento di aggiudicazione definitiva (ex multis, Consiglio di Stato, sezione III, 17.06.2019, n. 4087; Tar Lazio, Roma, sezione II, 11.03.2021, n. 3047).
Inoltre, nel caso di specie, si era in presenza di un servizio essenziale che non poteva tollerare interruzione (in particolare, l'affidamento riguardava una serie di servizi di vigilanza antincendio relativa a diversi presidi ospedalieri) «dovendosi chiaramente evitare di lasciare i presidi ospedalieri privi delle prescritte garanzie in caso di incendio, con evidenti profili di responsabilità per la tutela della saluta pubblica».
Da ultimo, a ribadire la statuizione, il giudice campano rammenta, in ogni caso, che per effetto dei recenti provvedimenti emergenziali (Dl 76/2020 convertito dalla legge 120/2020) l'esecuzione in via d'urgenza risulta –almeno fino al 30.06.2023- fortemente suggerita/incentivata dal legislatore (nell'ottica di una richiesta velocizzazione dell'esecuzione dei contratti per favorire la ripresa nel post-pandemia).
In questo senso, l'articolo 8, comma 1, lettera a) del Dl 76/2020 prevede che «è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l'esecuzione del contratto in via d'urgenza ai sensi dell'articolo 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, nelle more della verifica dei requisiti di cui all'articolo 80 del medesimo decreto legislativo, nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura».
Da notare, che la disposizione ultima citata risulta particolarmente utile anche in relazione dei contratti del Pnrr quale autentica misura di semplificazioni lasciando, al Rup (organo che gestisce anche la questione dell'esecuzione anticipata) poche alternative se non debitamente motivate (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 17.01.2022).
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SENTENZA
6.2 Con l’unico motivo del ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente, poi, lamenta la violazione della disciplina imperativa, di diretta derivazione comunitaria, di cui al D.lgs. 50/2016, preclusiva alla stipula del contratto sino alla conclusione della fase cautelare di primo grado, essendo stato proposto ricorso avverso l’aggiudicazione con contestuale domanda cautelare, rimarcando peraltro non sussistere nella specie ragioni di urgenza per l’esecuzione anticipata del servizio, svolto dal gestore uscente SO. s.r.l..
Il motivo è infondato in fatto prima che in diritto.
Va premesso che, per consolidata giurisprudenza in tema di gara per l'affidamento di un appalto pubblico, la violazione dell'art. 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, presuppone che sia intervenuta la stipulazione del contratto, senza la quale non sussiste alcuna violazione della clausola di stand still, non essendo l'esecuzione in via d'urgenza parificabile alla stipulazione del contratto.
Peraltro, è stato anche rilevato che la mera violazione della clausola di stand still, senza che concorrano vizi propri dell'aggiudicazione, non comporta l'annullamento dell'aggiudicazione o l'inefficacia del contratto, in quanto trattasi di una fase successiva a quella di selezione del migliore contraente, che, per ciò stesso, non potrebbe ripercuotersi negativamente sul provvedimento di aggiudicazione definitiva (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 17.06.2019, n. 4087; TAR Lazio, Roma, sez. II , 11.03.2021, n. 3047).
Venendo al caso all’esame, osserva il Collegio, come incontestatamente dedotto dalla resistente e dalla controintressata, che nessun contratto è stato ancora stipulato, posto che, a fronte della cessazione del precedente affidamento alla ditta uscente So. s.r.l. l’amministrazione ha disposto l’affidamento anticipato del servizio al RTI aggiudicatario a far data dal 02.08.2021, trattandosi di servizio rientrante tra i servizi pubblici essenziali che non può tollerare interruzioni (come anche evidenziato all’art. 4.3. del Capitolato tecnico), dovendosi chiaramente evitare di lasciare i presidi ospedalieri privi delle prescritte garanzie in caso di incendio, con evidenti profili di responsabilità per la tutela della saluta pubblica.
Ciò in conformità all’articolo 8, comma 1, lett. a), del D.L. 76/2020, che dispone “… è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l'esecuzione del contratto in via d'urgenza ai sensi dell'articolo 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, nelle more della verifica dei requisiti di cui all'articolo 80 del medesimo decreto legislativo, nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura …”.

APPALTIAll’Adunanza plenaria l’escussione della cauzione provvisoria prestata dall’operatore destinatario della proposta di aggiudicazione.
L’Adunanza plenaria è chiamata a pronunciare sulla corretta interpretazione della disciplina della garanzia provvisoria prestata dagli operatori economici che partecipano alle procedure selettive regolate dal d.lgs. n. 50 del 2016. Ciò con specifico riferimento alla questione se, l’amministrazione, in presenza degli altri presupposti, possa dar luogo o meno all’escussione della cauzione prestata dal destinatario della proposta di aggiudicazione ma non ancora formalmente aggiudicatario della gara.
La sentenza in rassegna ha anche espresso rilevanti principi di ordine processuale in punto di legittimazione e interesse a ricorrere avverso gli atti delle procedure selettive (soprattutto in punto di rilevanza della definitività dell’esclusione) ed ha approfondito le specifiche connotazioni del ricorso incidentale nelle sue diverse declinazioni.
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Contratti pubblici – Garanzia provvisoria – Escussione anteriore al provvedimento di aggiudicazione – Deferimento all’Adunanza plenaria
Va rimesso alla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato il seguente quesito: se l’art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016 possa (recte, debba) trovare applicazione non solo nei confronti del soggetto cui sia già stata definitivamente aggiudicata la gara, ma anche nei confronti del soggetto che la commissione giudicatrice, dopo le valutazioni di spettanza, abbia proposto per l’aggiudicazione (1).
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   (1) I. – Con la decisione in rassegna la quarta sezione del Consiglio di Stato, premessi alcuni rilevanti principi di ordine processuale e sostanziale, ha deferito all’Adunanza plenaria la questione di cui in massima relativa alla corretta interpretazione della disciplina in materia di escussione della cauzione prestata dalle imprese partecipanti alla gara e, segnatamente, se detta escussione sia ammessa nei confronti dell’operatore economico che sia soltanto destinatario della proposta di aggiudicazione.
   II. – La sentenza –che ha respinto l’appello incidentale e, in parte, quello principale- ha osservato quanto segue:
      a) su un primo aspetto processuale, relativo al regime di impugnazione degli esiti della gara:
         a1) la contestazione dell’esito di una procedura di selezione del contraente può essere formulata soltanto dall’operatore economico che a quella procedura abbia preso parte;
         a2) non rileva, in proposito, la mera partecipazione di fatto, poiché solo la legittima partecipazione ascrive in capo all’operatore una situazione differenziata e qualificata (ossia l’interesse legittimo alla regolare conduzione delle operazioni di selezione da parte della stazione appaltante) che lo facoltizza a lamentare, in sede processuale, l’esito della procedura, proprio in quanto vi ha partecipato secundum jus;
         a3) la partecipazione alla gara, quale fattore legittimante la formulazione di un ricorso avverso l’esito della stessa, rileva quale elemento (recte, presupposto) normativo, non semplicemente fattuale, dell’istanza di giustizia veicolata in giudizio: la formulazione di un ricorso e la sua decidibilità nel merito richiedono infatti, alla sua base, una situazione sostanziale giuridicamente qualificata, posto che il processo è, nella sua essenza, la forma pubblicistica di tutela di situazioni giuridiche soggettive e l’assenza, originaria o sopravvenuta, di tale fondamento sostanziale dell’istanza di giustizia priva ab imis la dinamica processuale del suo stesso oggetto;
         a4) non ha titolo ad impugnare l’aggiudicazione non solo il partecipante che sia stato in precedenza escluso dalla gara, eventualmente anche in sede di autotutela officiosa, con provvedimento inoppugnato, ma anche l’impresa che abbia visto respinto in sede giurisdizionale, con pronuncia definitiva, il proprio ricorso avverso l’estromissione dalla gara: in questo ultimo caso la pronuncia giurisdizionale, nel respingere il ricorso, accerta che il concorrente non ha ab origine partecipato secundum jus alla gara;          a5) le pronunce di rigetto del giudice amministrativo, infatti, si limitano a dichiarare l’infondatezza dei motivi di censura svolti dall’interessato avverso una manifestazione provvedimentale di volontà, che, dunque, resta ab origine l’unica fonte di regolazione della fattispecie;
         a6) in siffatta ipotesi, pertanto, il concorrente è da intendersi ab imis estraneo alla procedura, posto che la sua partecipazione di fatto non ha riposato su un sostrato normativo legittimante;
         a7) tali considerazioni di massima valgono anche nel caso in cui il ricorso avverso l’aggiudicazione sia stato formulato in pendenza dell’impugnativa avverso l’atto di esclusione: la reiezione di quest’ultima determina, in chiave processuale, la perdita ex tunc, in capo al ricorrente, della posizione legittimante il successivo ricorso avverso l’aggiudicazione, quale riflesso necessario ed ineludibile della carenza sostanziale di un interesse legittimo al regolare svolgimento della gara, strutturalmente insuscettibile di cristallizzarsi in capo ad un soggetto che non vi abbia tout court preso parte o ne sia stato legittimamente escluso (sul punto, in senso sostanzialmente conforme, Corte di giustizia UE, grande sezione, 21.12.2021, C-497/20, Randstad Italia s.p.a., infra § i1);
         a8) tale conclusione è conforme all’indirizzo interpretativo eurounitario e nazionale:
I) il regolatore euro-unitario non conosce una disciplina generale del processo, rimessa ai legislatori nazionali con l’unico limite dei principi di equivalenza (del trattamento delle situazioni giuridiche nazionali ed euro-unitarie) ed effettività (della tutela giurisdizionale in concreto erogabile);
II) il diritto processuale nazionale impone, con l’art. 120, comma 7, c.p.a., che tutti gli atti emessi nell’ambito di una procedura di gara già oggetto di un ricorso debbano essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti (detta disposizione ha un carattere processuale e tende a perseguire il fine della concentrazione processuale, quale fattore di razionalizzazione e velocizzazione del contenzioso; essa non impinge nella natura sostanziale degli atti impugnati, non ne muta il regime giuridico, non incide sulla relativa efficacia, non ne elide l’autonomia strutturale e funzionale);
         a9) il giudice investito di una tale complessa controversia (solo processualmente) unitaria deve prendere le mosse dal ricorso avverso l’atto di esclusione, non solo perché temporalmente anteriore, ma soprattutto perché funzionalmente propedeutico alla stessa possibilità di cognizione dell’impugnativa dell’aggiudicazione: la verifica della ritualità dell’esclusione del concorrente è, infatti, oggettivamente prioritaria rispetto allo scrutinio delle censure da questi mosse avverso il successivo esito della gara;
         a10) del resto, il diritto UE conosce, anche nella materia degli appalti, il valore della risorsa giustizia, la cui ontologica scarsità osta a che sia dispersa nello scrutinio di ricorsi avverso atti di aggiudicazione formulati da concorrenti che, al momento della delibazione da parte del giudice, risultino oramai estranei alla gara stessa;
         a11) non può che interpretarsi così il passaggio operato dalla sentenza della Corte di giustizia UE, sez. VIII, 21.12.2016, C-355/15, B.T.G. ( § 34), alla luce anche della successiva sentenza sez. VIII, 11.05.2017, C-131/16, Archus e Gama (in Riv. giur. edilizia, 2017, I, 533), secondo cui “[il diritto euro-unitario] consente ad ogni partecipante escluso di contestare non solo la decisione di esclusione, ma anche, fintantoché detta contestazione è pendente, le successive decisioni che gli arrecherebbero pregiudizio ove la propria esclusione fosse annullata”: del resto, le condizioni dell’azione debbono sussistere al momento del radicamento della lite e persistere per tutta la relativa durata, per cui, se al momento della delibazione giudiziale del ricorso avverso l’aggiudicazione il concorrente risulti definitivamente escluso dalla procedura a seguito del rigetto dell’impugnazione dell’atto di estromissione a suo tempo emanato dalla stazione appaltante, ne viene meno ex tunc la legittimazione e lo stesso interesse a ricorrere;
      b) su un secondo aspetto processuale, inerente all’assetto delle impugnazioni incidentali di primo grado:
         b1) premessa la natura occasionale, accessoria e, per così dire, non “originaria” dell’interesse sotteso alla proposizione dell’impugnazione incidentale (che non consegue all’atto, ma all’altrui impugnazione di tale atto), il ricorso incidentale c.d. proprio non introduce una domanda demolitoria autonoma nell’oggetto, ma costituisce una contro-impugnazione rivolta avverso il medesimo atto già impugnato ex adverso, che viene censurato nella parte in cui è lesivo per il ricorrente incidentale (qualifica processuale che, sul piano sostanziale, corrisponde a quella di controinteressato);
         b2) da un punto di vista processuale, il ricorso incidentale proprio non estende l’oggetto provvedimentale del giudizio stricto sensu inteso, che resta incentrato sull’atto già aggredito con l’impugnazione principale, ma ne arricchisce la cognizione, estesa anche alle censure incidentali: non tende teleologicamente a rimuovere l’atto gravato, ma a mantenerlo e per far ciò, stigmatizza profili di illegittimità dell’atto, distinti da quelli lamentati ex adverso, tali da neutralizzare l’impugnazione principale, preservando l’assetto degli interessi delineato dal provvedimento;
         b3) viceversa, il ricorso incidentale improprio attinge un diverso atto, il cui prospettico annullamento priverebbe di efficacia l’avversa impugnazione principale (ad esempio, l’impugnazione incidentale dell’ammissione alla gara del soggetto che ha impugnato, in via principale, l’aggiudicazione della stessa);
         b4) siffatta impugnazione, dunque, arricchisce l’oggetto del giudizio e mira a sterilizzare ab externo l’iniziativa giurisdizionale principale, elidendone ab imis i presupposti (in primis di ammissibilità o procedibilità);
         b5) anche il ricorso incidentale improprio, pur connotato da un portato demolitorio, mira comunque, in definitiva, a preservare l’assetto degli interessi fissato dall’Amministrazione;
         b6) la natura finalisticamente difensiva e strutturalmente conservativa del ricorso incidentale (proprio od improprio che sia), nonostante la forma impugnatoria, ne condiziona intrinsecamente l’ammissibilità e la procedibilità;
         b7) invero, il ricorso incidentale:
I) è ammissibile solo se effettivamente in grado, ove accolto, di neutralizzare l’avversa impugnazione;
II) è procedibile solo in caso di ritenuta fondatezza dell’impugnazione principale, posto che, in caso contrario, l’assetto degli interessi fissato in via amministrativa resterebbe comunque immutato;
         b8) quanto a quest’ultimo punto, va evidenziato che a sostegno dell’impugnazione incidentale non vi è una lesione attuale (che richiede l’esperimento di una impugnazione autonoma), ma una mera lesione virtuale conseguente all’ipotetico accoglimento dell’impugnazione principale: ove venga meno questo pericolo, la finalità difensiva cui è preordinato il ricorso incidentale è pienamente soddisfatta, sì che l’impugnazione incidentale perde naturaliter di interesse;
         b9) ne consegue che la reiezione, per qualsivoglia ragione, del ricorso principale di primo grado rende, in ogni caso, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso incidentale (arg. anche da Cons. Stato, Ad. plen., 18.05.2018, n. 8, oggetto della News US 30.05.2018 che esclude espressamente la possibilità di esaminare il ricorso incidentale escludente in caso di difettosa costituzione del rapporto processuale da parte del ricorrente principale);
      c) sul versante sostanziale inerente al mantenimento dei requisiti in capo all’impresa partecipante per tutta la durata della gara:
         c1) i requisiti di partecipazione devono sì essere posseduti al momento della formulazione della domanda, ma debbono altresì essere mantenuti per tutto il corso della procedura amministrativa di selezione del contraente;
         c2) argomentare diversamente, del resto, condurrebbe a diverse aporie logiche:
I) il concorrente, una volta ammesso, potrebbe in seguito perdere i requisiti di partecipazione senza alcuna conseguenza negativa, beneficiando in tal modo, per tutto il seguito del procedimento, di una sorta di “zona franca” sostanziale, collidente con gli scopi e le ragioni dell’evidenza pubblica;
II) sotto altro aspetto, l’ammissione di un concorrente ne cristallizzerebbe una volta per tutte la facoltà di partecipare alla gara, rendendo de jure irrilevanti tutte le eventuali vicende successive pur occorse durante lo svolgimento del procedimento, in spregio del principio di continuità dell’azione amministrativa e di immanenza del pubblico interesse perseguito dall’Amministrazione mediante la procedura di selezione del contraente;
III) sotto altro profilo, il dovere di lealtà e trasparenza, insito nella partecipazione stessa dell’operatore economico ad un procedimento di selezione del contraente (che genera un conseguente e sotteso rapporto amministrativo specificamente normato), impone la pronta comunicazione all’Amministrazione –tra l’altro– delle vicende penali che abbiano interessato gli esponenti apicali del concorrente costituito in forma societaria;
         c3) nell’ipotesi di rinvio a giudizio di esponenti apicali dell’operatore economico al quale la commissione giudicatrice aveva proposto di aggiudicare la gara (e, dunque, prima della conclusione del contratto), del tutto legittimamente la stazione appaltante omette la stipulazione ed esclude l’operatore economico dalla gara:
I) ciò che, a valle della stipulazione negoziale, costituisce, per disposizione della lex specialis specificamente ed incondizionatamente accettata dai concorrenti, causa di risoluzione di diritto del contratto, a monte della stessa non può che valere quale causa ostativa alla conclusione del medesimo;
II) diversamente argomentando si verificherebbe l’ossimoro giuridico di una stipulazione contrattuale operata dalla stazione appaltante nella consapevole prospettiva dell’immediato e doveroso scioglimento unilaterale del vincolo;
III) l’intervento, nel corso della procedura di evidenza pubblica, di una causa (sostanziale) ostativa alla prospettica stipulazione del contratto non può che riflettersi, in chiave procedimentale, nell’immediata estromissione del concorrente dalla gara;
IV) del resto, giacché la gara è teleologicamente volta alla stipulazione del contratto, un concorrente giuridicamente incapace di stipulare tale contratto –per il sopraggiungere di una causa a ciò ostativa– non ha più ragione di (continuare a) prendere parte alla procedura, che, peraltro, impone alla stazione appaltante la spendita di energie amministrative per loro natura scarse e, dunque, necessariamente da ottimizzare;
V) una tale conclusione è in linea con il potere di esclusione dell’impresa per il mancato di rispetto dei protocolli di legalità ex art. 1, comma 17, l. n. 190 del 2012: la relativa clausola non costituisce né una “condizione generale di contratto” (art. 1341 c.c.), né, comunque, una previsione negoziale, quanto, al contrario, una condizione di partecipazione ad un procedimento amministrativo indetto, nell’esercizio di un potere istituzionalmente riservato, dall’amministrazione (peraltro, in termini più generali, l’applicazione della normativa civilistica nelle materie oggetto di potere amministrativo non è immediata e, per così dire, fisiologica, ma è viceversa eccezionale –arg. a contrario dall’art. 1, comma 1-bis, l. n. 241 del 1990– posto che la fattispecie, proprio in quanto frutto della spendita di potere, è interamente regolata secondo il meccanismo norma–potere–effetto);
      d) quanto alla questione, anch’essa di ordine sostanziale, sottoposta all’attenzione della Plenaria:
         d1) il vigente testo dell’art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016, come modificato dal d.lgs. n. 56 del 2017, ha il seguente tenore: “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; la garanzia è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto”;
         d2) in precedenza, l’articolo recitava come segue: “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione, per fatto dell’affidatario riconducibile ad una condotta connotata da dolo o colpa grave, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”: risalta, dunque, l’intervenuta espunzione, nel vigente testo, di ogni riferimento all’elemento soggettivo dell’affidatario, viceversa contemplato nella precedente versione, limitandosi l’attuale formulazione dell’articolo, ad individuare, quale presupposto dell’escussione, la sussistenza di un “fatto riconducibile all’affidatario”, ovvero “l’adozione di informazione antimafia interdittiva”;
         d3) la prima locuzione (“fatto riconducibile all’affidatario”) esprime un collegamento meramente eziologico fra un “fatto” dell’aggiudicatario e la “mancata sottoscrizione del contratto”, richiamando dunque una concezione meramente oggettiva dei presupposti per l’applicazione dell’escussione, cui è estranea ogni valutazione circa la colpevolezza di tale “fatto”;
         d4) peraltro, la scelta dell’espressione “fatto”, anziché dell’espressione “atto”, rafforza vieppiù questa conclusione, posto che, nel linguaggio tecnico-giuridico, il “fatto” rimanda ad un mero accadimento materiale (dunque anche ad un’azione umana, ma vista esclusivamente nel suo portato materiale e nella sua natura oggettiva), senza alcuna rilevanza circa il sotteso assetto volontaristico del soggetto, proprio, invece, dello “atto” in senso stretto;
         d5) tale esegesi trova ulteriore, indiretta conferma nell’individuazione, come ulteriore fattispecie che attiva l’escussione, dell’adozione di informativa antimafia interdittiva;
         d6) tale provvedimento compete alla pubblica autorità (cui è, dunque, estraneo qualsiasi intervento dell’interessato) a seguito della discrezionale valutazione di elementi sintomatici di permeabilità mafiosa, ed è emesso senza che sia necessario alcuno scrutinio circa la colpevolezza del soggetto in ordine a tale situazione permeabilità, che ben può essere anche semplicemente subita o tollerata;
         d7) l’assoluta irrilevanza dell’elemento soggettivo in tale seconda ipotesi depone, quindi, per un’analoga conclusione circa l’altra fattispecie, in omaggio anche ad un criterio di necessaria coerenza interna della disposizione di legge, che deve sempre guidare l’interprete nel trarne la corrispondente norma;
         d8) in definitiva la disposizione in parola prescinde da un addebito di colpevolezza in capo all’interessato e pertanto:
I) si applica automaticamente al verificarsi, per quanto qui di interesse, di qualunque “fatto” riconducibile alla sfera giuridica dell’affidatario che abbia reso impossibile la stipulazione del contratto, locuzione volutamente ampia al cui interno ben può sussumersi il difetto, originario o sopravvenuto in corso di procedura, dei necessari requisiti di partecipazione stabiliti dalla legge; II) è priva di carattere sanzionatorio, con ogni relativa conseguenza in ordine all’irrilevanza dei principi di diritto di provenienza sovra-statuale –in primis della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretata dalla relativa Corte– circa i caratteri del “diritto punitivo”, locuzione che, come noto, in sede sovra-nazionale si protende oltre i confini ascritti in sede nazionale al diritto penale;
         d9) la natura sanzionatoria del provvedimento di escussione della cauzione non è, tuttavia, unanimemente sostenuta nella giurisprudenza amministrativa e in dottrina;
         d10) non può non evidenziarsi, inoltre, che:
I) è revocabile in dubbio che la funzione sanzionatoria di una misura, tanto più se indiretta, ne attesti ex se la natura giuridica propriamente sanzionatoria;
II) un istituto o ha natura sanzionatoria o non la ha, non contemplandosi casi di istituti con natura sanzionatoria “seppure non in senso proprio”, alla luce del principio di tassatività e legalità espressamente posto a fondamento del diritto amministrativo sanzionatorio (cfr. art. 1, l. n. 689 del 1981; art. 3, d.lgs. n. 472 del 1997);
         d11) in conclusione sul punto, l’escussione della garanzia deve essere ritenuta legittimamente disposta dalla stazione appaltante in ogni caso in cui la stipulazione del contratto non sia possibile a motivo di un “fatto” relativo alla sfera giuridica dell’aggiudicatario, quale ben può essere la mancanza o la perdita sopravvenuta dei requisiti cui la legge subordina la partecipazione ad una gara, senza che sia necessaria alcuna ulteriore indagine;
         d12) resta, a questo punto, il distinto profilo della possibilità di equiparare, ai fini de quibus, l’aggiudicatario propriamente detto ed il soggetto a cui favore è stata semplicemente proposta l’aggiudicazione: va rilevato che la disposizione vigente fa riferimento esclusivamente all’aggiudicatario, laddove stabilisce che “la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione”;
         d13) sul piano interpretativo, va ritenuto non potersi omettere un’esegesi di carattere logico-sistematico e teleologico della disposizione, invero necessaria al fine di collocarne ed inquadrarne armonicamente il portato normativo entro il più ampio ambito regolatorio recato dal d.lgs. n. 50 del 2016;
         d14) in detta prospettiva, doverosamente attenta al dato sistematico ed alla proiezione finalistica, emerge plasticamente l’assoluta identità, ai fini de quibus, tra la situazione dell’aggiudicatario e quella in cui versa il soggetto “proposto per l’aggiudicazione” che, tuttavia, si sia visto rifiutare la formale aggiudicazione, con contestuale esclusione dalla procedura, poiché, all’esito dei controlli operati dalla stazione appaltante proprio in vista della stipulazione del contratto, sia emersa l’assenza, non importa se originaria o sopravvenuta, dei necessari requisiti di legge;
         d15) in un caso siffatto, invero, la mancata stipulazione del contratto consegue in via diretta, immediata ed esclusiva ad un “fatto” del soggetto già proposto per l’aggiudicazione (dunque già individuato come vincitore della selezione), risultato privo di uno dei requisiti necessari per la stessa partecipazione alla gara;
         d16) va ritenuto che un’interpretazione siffatta, lungi dal violare la disposizione, ne trae di contro la norma più consona alla sottesa ratio, tesa a concentrare, a differenza che nel passato (cfr. art. 48, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006), i controlli amministrativi sul solo soggetto risultato vincitore della selezione, al fine di alleviare l’onere gravante sulla stazione appaltante e concentrarne le energie sul controllo del solo operatore con cui, all’esito della gara, deve essere stipulato il contratto, di converso limitando a carico di quest’ultimo il rischio dell’eventuale escussione della garanzia;
         d17) la disposizione in parola, del resto, ove menziona “la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione”, richiama quella fase situata dopo l’esito della procedura e prima della sottoscrizione negoziale, ossia proprio la fase in cui si svolgono i controlli sul soggetto proposto per l’aggiudicazione, una volta operato, da parte della commissione giudicatrice, il confronto concorrenziale in cui si sostanzia il senso ed il proprium della gara pubblica;
         d18) l’esegesi proposta, dunque, non determina una violazione della disposizione –la cui natura non sanzionatoria, peraltro, non impone alcun rigido perimetro all’interprete– ma, al contrario, ne trae, ad avviso del Collegio, la norma più coerente con la più ampia cornice regolatoria recata dal corpus codicistico in cui la disposizione è contenuta: risulterebbe, invero, contraddittorio e diseconomico obbligare la stazione appaltante a procedere all’aggiudicazione nei confronti del “proposto” e, subito dopo, ad esercitare l’annullamento in autotutela di tale provvedimento per carenza, in capo all’affidatario, di un imprescindibile requisito soggettivo;
   III. – Per completezza, si osserva quanto segue:
      e) sul principio di continuità del possesso dei requisiti, la sua inderogabilità e gli effetti nel tempo:
         e1) Cons. Stato, sez. IV, 11.11.2021, n. 7533, § 39.4 ss., citata nella sentenza non definitiva in rassegna;
         e2) News US in data 12.01.2011 a Cons. giust. amm. sic., sez. giur., ordinanza 29.12.2020, n. 1211, §§ m), n) (ivi i richiami alle plurime decisioni dell’Adunanza plenaria intervenute sul punto);
      f) sui protocolli di legalità o patti di integrità e relativa accettazione da parte del concorrente:
         f1) Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 12.01.2022, n. 32;
         f2) Corte di giustizia UE, 22.10.2015, C-425/14, Soc. impr. Edilux c. Assess. beni culturali Sicilia (in Appalti & Contratti, 2015, 12, 90, con nota di CANAPARO; Riv. corte conti, 2015, 5, 381; Giur. it., 2016, 1459, con nota di CRAVERO; Giornale dir. amm., 2016, 318, con nota di VINTI), citata nella sentenza non definitiva in rassegna;
      g) sul sindacato della valutazione discrezionale della gravità della condotta dell’operatore economico che partecipa alla gara (tutte citate nella sentenza non definitiva in rassegna):
         g1) Cons. Stato, sez. IV, 11.11.2021, n. 7533, cit.;
         g2) Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2020, n. 8532;
         g3) Cons. Stato, Ad. plen., 28.08.2020, n. 16, in Foro it., 2021, III, 103; Urbanistica e appalti, 2021, 85, con nota di NICODEMO; Giornale dir. amm., 2021, 79 (m), con nota di RIVELLINI e oggetto della News US in data 17.09.2020);
      h) sulle condizioni dell’azione (in particolare legittimazione e interesse), e rilevabilità della loro carenza, ex officio e anche in appello (su un piano generale):
         h1) Cons. Stato, Ad. plen. 09.12.2021, n. 22, citata nella sentenza non definitiva in rassegna (oggetto della News US n. 94 del 23.12.2021, cui si rinvia per ogni approfondimento);
         h2) Cons. Stato, Ad. plen., 20.02.2020, n. 6, in Foro it. 2020, III, 289, con nota di TRAVI; Guida al dir., 2020, 18, 88, con nota di LADDAGA; Foro amm., 2020, 224; Giornale dir. amm., 2020, 520, con nota di MIRATE, MANNUCCI; Dir. proc. amm., 2020, 1030 (m), con nota di FRANCA; oggetto della News US in data 13.03.2020, con ampio approfondimento sul tema;
         h3) Cons. Stato, Ad. plen., 25.02.2014, n. 9, citata nella sentenza non definitiva in rassegna, in Foro it., 2014, III, 429, con nota di SIGISMONDI; Dir. proc. amm., 2014, 544, con nota di BERTONAZZI; Urbanistica e appalti, 2014, 1075, con nota di FANTINI; Giornale dir. amm., 2014, 918 (m), con note di FERRARA, BARTOLINI; Nuovo notiziario giur., 2014, 550, con note di BARBIERI; tale pronuncia è stata successivamente richiamata, in punto di elementi costitutivi delle condizioni dell’azione, nella sentenza della plenaria 06.04.2018, n. 3, in Foro it., 2018, III, 321 e, quanto all’ordine di trattazione delle questioni, nella pronuncia dell’Ad. plen. 27.04.2015, n. 5, in Foro it., 2015, III, 265, con nota di TRAVI; Urbanistica e appalti, 2015, 1177, con nota di VAIANO; Riv. neldiritto, 2015, 2084, con note di COLASCILLA NARDUCCI; Riv. dir. proc., 2015, 1256, con nota di FANELLI; Giur. it., 2015, 2192 (m), con nota di FOLLIERI; Dir. proc. amm., 2016, 205, con nota di PERFETTI, TROPEA);
      i) sulla legittimazione e interesse ad impugnare gli atti di gara in caso di esclusione:
         i1) Corte di giustizia UE, grande sezione, 21.12.2021, C-497/20, Randstad Italia s.p.a., oggetto della News US in data 18.01.2022, la quale nel concentrare l’attenzione sulla definitività del provvedimento di esclusione, ha ritenuto che le disposizioni europee in tema di appalti pubblici non ostano a una disposizione del diritto interno di uno Stato membro che, secondo la giurisprudenza nazionale, impedisce alle imprese che hanno partecipato a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, di contestare la conformità al diritto UE di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa di tale Stato membro. In particolare ha affermato che:
I) la ricevibilità dei ricorsi di cui all’art. 1 della direttiva n. 89/665/CE non può essere subordinata alla condizione che il ricorrente fornisca la prova del fatto che l’amministrazione aggiudicatrice, in caso di accoglimento del ricorso, sarà indotta a ripetere la procedura di aggiudicazione di appalto pubblico;
II) l’esistenza di una tale possibilità deve essere considerata sufficiente a tal proposito;
III) ne consegue che qualora la ricorrente, in qualità di offerente escluso dalla procedura di aggiudicazione di un appalto, ha proposto dinanzi al giudice amministrativo un ricorso di primo grado fondato su motivi intesi a dimostrare l’irregolarità di tale procedura, detto ricorso deve essere esaminato nel merito;
IV) per quanto riguarda gli offerenti esclusi dalla procedura, questi non sono più considerati interessati e non devono ricevere comunicazione della decisione di aggiudicazione se la loro esclusione è divenuta definitiva;
V) al contrario, qualora tali offerenti non siano ancora stati definitivamente esclusi, la decisione di aggiudicazione deve essere loro comunicata;
VI) l’esclusione di un offerente è definitiva se gli è stata comunicata ed è stata ritenuta legittima da un organo di ricorso indipendente o se non può essere oggetto di una procedura di ricorso;
VII) il carattere non ancora definitivo della decisione di esclusione determina la legittimazione ad agire contro la decisione di aggiudicazione, legittimazione che non può essere svilita da altri elementi, non rilevanti, quali la classificazione dell’offerta dell’offerente escluso o il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto;
VIII) nel caso di specie, il Consiglio di Stato, ritenendo irricevibili i motivi diretti a contestare la decisione di aggiudicazione, sulla base del fatto che la ricorrente era stata esclusa dalla procedura, ha violato le direttive UE nella parte in cui prevedono che solo l’esclusione definitiva può avere l’effetto di privare un offerente della sua legittimazione ad agire contro la decisione di aggiudicazione. In particolare, sia nel momento in cui la ricorrente aveva proposto ricorso dinanzi al Tar competente, sia nel momento in cui questo ha deciso, la decisione della commissione di gara di escluderla dalla procedura non era ancora stata ritenuta legittima da quest’ultimo giudice o da qualsiasi altro organo di ricorso indipendente;
IX) pertanto, la riforma della sentenza del Tar da parte del Consiglio di Stato, che ha dichiarato irricevibile la parte del ricorso con cui era contestata l’aggiudicazione del contratto a un terzo, è incompatibile con il diritto a un ricorso effettivo garantito dall’art. 1, par. 1 e 3, della direttiva n. 89/665/CE, letto alla luce dell’art. 2-bis, par. 2, di quest’ultima e, di conseguenza, la sentenza non è neanche conforme all’art. 47, primo comma, della Carta;
         i2) Corte di giustizia UE, sez. VIII, 11.05.2017, C-131/16, Archus e Gama, in Riv. giur. edilizia, 2017, I, 533, § 57-59, cit.;
         i3) Corte di giustizia UE, sez. VIII, 21.12.2016, C-355/15, B.T.G., § 24 ss., cit.;
      j) sulle regole che presiedono alla esaminabilità del ricorso incidentale:
         j1) Cons. Stato, sez. V, 17.02.2014, n. 755 (in Foro it., 2014, III, 219 cui si rinvia per ogni approfondimento di dottrina e giurisprudenza);
         j2) Cons. Stato, Ad. plen., 07.04.2011, n. 4 in Foro it., 2011, III, 306, con nota di SIGISMONDI; Urbanistica e appalti, 2011, 674, con nota di LAMBERTI; Corriere merito, 2011, 763 (m), con nota di RAIOLA; Foro amm.-Cons. Stato, 2011, 1132; Giur. it., 2011, 1651 (m), con nota di TROPEA; Guida al dir., 2011, fasc. 19, 70, con nota di PALLIGGIANO; Giurisdiz. amm., 2011, I, 513; Giornale dir. amm., 2011, 1103 (m), con nota di GISONDI; Riv. giur. edilizia, 2011, I, 570; Riv. neldiritto, 2011, 1530, con nota di IZZO; Dir. proc. amm., 2011, 1035, con nota di SQUAZZONI, GIANNELLI, FOLLIERI, MARINELLI; Arch. giur. oo. pp., 2011, 404;
         j3) il principio elaborato dalla Plenaria (per cui il ricorso incidentale risente –per la sua teorica esaminabilità– in quanto strutturalmente accessorio, della rituale proposizione della causa in primo grado, principio estensibile ai motivi aggiunti cd. propri), è declinato motivatamente da Cons. Stato, sez. IV, 18.05.2018, n. 2999 secondo cui “… il thema decidendum del giudizio di appello amministrativo è costituito esclusivamente dalle domande e dai motivi ritualmente introdotti in prime cure con atto tempestivamente notificato e depositato secondo la disciplina sua propria (ricorso principale, ricorso incidentale, motivi aggiunti; cfr. sul punto Cons. Stato, Ad. plen. 27.04.2015, n. 5, in Foro it., 2015, III, 265, con nota di TRAVI; Urbanistica e appalti, 2015, 1177, con nota di VAIANO; Riv. Neldiritto, 2015, 2084, con nota di COLASCILLA NARDUCCI; Riv. dir. proc.; 2015, 1256, con nota di FANELLI; Giur. it., 2015, 2192 (m), con nota di FOLLIERI; Dir. proc. amm., 2016, 205, con nota di PERFETTI, TROPEA; Dir. proc. amm., 2016, 830 (m), con nota di BERTONAZZI; § 6.3.)”;
      k) sull’escussione della garanzia prevista dall’art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016 e dalla precedente disciplina contenuta nel d.lgs. n. 163 del 2006 ((tutte citate nella sentenza in rassegna):
         k1) con specifico riferimento alla disciplina transitoria della cauzione provvisoria, Cons. Stato, sez. V, ordinanza 26.04.2021, n. 3299, in Comuni d'Italia, 2021, 4-5, 148, oggetto della News US in data 03.06.2021, con cui il Consiglio di Stato ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in materia, censurando la mancata previsione della retroattività della regola più favorevole, introdotta dall’art. 93, comma 6, del nuovo codice dei contratti pubblici (di cui al d.lgs. n. 50 del 2016), secondo la quale l’escussione della cauzione può avvenire solo nei confronti dell’aggiudicatario e non anche (come in precedenza disponeva l’art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006) nei confronti degli altri concorrenti pur non aggiudicatari;
         k2) Cons. Stato, sez. IV, 22.04.2021, n. 3255;
         k3) Cons. Stato, sez. V, 27.06.2017, n. 3701;
         k4) Cons. Stato, sez. V, 19.04.2017, n. 1818;
         k5) Cons. Stato, sez. IV, 28.12.2016, n. 5501;
         k6) Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 2016, n. 5, in Contratti Stato e enti pubbl., 2016, 2, 85, con nota di TONON; Nuovo notiziario giur. 2016, 255, con nota di BARBIERI; Urbanistica e appalti, 2016, 787, con nota di CARANTA; Guida al dir., 2016, 13, 82, con nota di CORRADO; Riv. Neldiritto, 2016, 1586, con nota di CELLAI; 
         k7) Cons. Stato, sez. IV, 19.11.2015, n. 5280, in Foro amm., 2015, 2770; 
         k8) Cons. Stato, sez. IV, 09.06.2015, n. 2829;
         k9) Cons. Stato, Ad. plen., 10.12.2014, n. 34, in Giurisdiz. amm., 2014, 276; Urbanistica e appalti, 2015, 171, con nota di MANFREDI; Foro amm., 2015, 1363 (m), con nota di AMATO;
         k10) Cons. Stato, sez. V, 10.09.2012, n. 4778, in Foro amm., 2015, 2509;
         k11) con specifico riferimento alle questioni di giurisdizione: Cass. civ., sez. un., 31.03.2021, n. 9005;
      l) in dottrina:
         l1) sulla nuova disciplina della cauzione disegnata dall’art. 93 del codice e in particolare sulla previsione che ne prevede l’escussione solo a carico dell’aggiudicatario: M. ZOPPOLATO, in Trattato sui contratti pubblici, a cura di SANDULLI – DE NICTOLIS, Milano, 2019, III, Procedure di gara e criteri di scelta del contraente, 477 ss.; R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni, Bologna, 2020, 1168 ss.;
         l2) sul rapporto fra ricorso principale e incidentale di primo grado, sulla natura giuridica di quest’ultimo, sull’indole accessoria e condizionata, sui soggetti legittimati a proporlo, sulle modalità e termini di proposizione: VILLATA – BERTONAZZI, in Il processo amministrativo, a cura di QUARANTA e LOPILATO, Milano, 2011, 415 ss.; DE NICTOLIS, Codice del processo amministrativo, Milano, 2017, 812 ss. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza non definitiva 04.01.2022 n. 26 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Variazione delle giustificazioni delle voci di costo in sede di verifica della anomalia dell’offerta.
Il TAR Milano ribadisce, in coerenza con la consolidata giurisprudenza, che la verifica di anomalia è finalizzata ad accertare l’attendibilità e la serietà dell’offerta sulla base di una valutazione globale e sintetica e precisa che:
   <<- in termini generali, è ammissibile una variazione delle giustificazioni delle singole voci di costo, non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l’entità originaria dell’offerta, nel rispetto del principio dell’immodificabilità dell’offerta stessa, che presiede la logica della par condicio tra i competitori;
   - viceversa, è vietata una modificazione della composizione dell’offerta che ne alteri l’equilibrio economico; diversamente opinando si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza di consentire un’elusiva modificazione a posteriori della stessa, snaturando la funzione propria del subprocedimento di verifica dell’anomalia, che è volto ad un apprezzamento globale dell’attendibilità dell’offerta;
   - in sede di giudizio di anomalia sono consentiti aggiustamenti e spostamenti di costi tra le varie componenti del prezzo, potendosi tenere conto anche di eventuali sopravvenienze (normative o di fatto), a condizione che ciò non comporti una modificazione dell’offerta stessa>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 04.01.2022 n. 9 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
   - sul punto va ribadito, in coerenza con la consolidata giurisprudenza, che la verifica di anomalia è finalizzata ad accertare l’attendibilità e la serietà dell’offerta sulla base di una valutazione globale e sintetica;
   - in termini generali, è ammissibile una variazione delle giustificazioni delle singole voci di costo, non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l’entità originaria dell’offerta, nel rispetto del principio dell’immodificabilità dell’offerta stessa, che presiede la logica della par condicio tra i competitori (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.08.2021 n. 5644; Id., 16.03.2020, n. 1873);
   - viceversa, è vietata una modificazione della composizione dell’offerta che ne alteri l’equilibrio economico (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24.04.2017, n. 1896), diversamente opinando si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza di consentire un’elusiva modificazione a posteriori della stessa, snaturando la funzione propria del subprocedimento di verifica dell’anomalia, che è volto ad un apprezzamento globale dell’attendibilità dell’offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.07.2021, n. 5455; Cons. Stato, sez. VI, 15.01.2021, n. 487);
   - in sede di giudizio di anomalia sono consentiti aggiustamenti e spostamenti di costi tra le varie componenti del prezzo, potendosi tenere conto anche di eventuali sopravvenienze (normative o di fatto), a condizione che ciò non comporti una modificazione dell’offerta stessa (cfr. ex multis, Cons. Stato, V, 24.03.2020, n. 2056; III, 02.03.2017, n. 974);

anno 2021
dicembre 2021

APPALTIConsiglio Stato su ASMEL non qualificabile come ‘centrale committenza’ o ‘soggetto aggregatore’.
Con la recente sentenza 06.12.2021 n. 8072 del Consiglio di Stato, Sez. V, viene disposto che l’Asmel–Società Consortile a r.l., non può essere qualificata “centrale di committenza” o “soggetto aggregatore”.
Nel caso di specie, Asmel aveva proposto appello rispetto alla sentenza di primo grado contro la delibera n. 32 del 30.04.2015 di ANAC che le aveva vietato lo svolgimento di attività di intermediazione negli acquisti pubblici, dichiarando altresì prive del presupposto di legittimazione le gare poste in essere da tale società, a causa dell’inosservanza da parte di quest’ultima dei modelli organizzativi per le centrali di committenza previsti dalla normativa applicabile in materia di contratti pubblici.
Il Consiglio di Stato, conferma, quindi l’appellata sentenza ritenendo esente dai contestati profili di illegittimità il provvedimento impugnato con cui l’ANAC ha negato ad Asmel s.c.a.r.l. la qualificazione di “centrale di committenza”, a ragione della non corrispondenza ai tipi legali previsti dall’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, 163 per l’unione di comuni e l’accordo consortile, escludendone altresì la qualificazione di “organismo di diritto pubblico”.
I giudici di secondo grado ricostruiscono il quadro normativo e ricordano che, con la sentenza del 04.06.2020 (C-3/19), la Corte di Giustizia ha chiarito che, al fine di garantire la libera prestazione dei servizi e l’apertura ad una concorrenza non falsata, non può essere riconosciuta da una normativa nazionale la qualità di «centrale di committenza» ad un soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18.
I magistrati amministrativi, non hanno condiviso la tesi dell’appellante secondo cui la qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel e la sua legittimazione alla indizione della procedura di gara per conto degli enti locali associati sarebbero derivate dall’essere un’associazione tra amministrazioni aggiudicatrici (rappresentate dai piccoli comuni associati) e, a sua volta, amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto –atteso che l’ANAC ha accertato la carenza in capo ad Asmel dei requisiti di legge– il Consiglio di Stato, con la sentenza 8072 del 06/12/2021 ha disposto che la stessa Amsel–Società Consortile a r.l., non può essere qualificata “centrale di committenza” o “soggetto aggregatore”, in quanto non iscritta all’albo tenuto dall’Autorità ai sensi dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, insufficiente essendo, a tali fini, l’iscrizione all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti (20.12.2021 - commento tratto da e link a www.anci.it).
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SENTENZA
2. I motivi così sintetizzati, che per la loro connessione possono essere oggetto di trattazione unitaria, sono infondati.
3. Correttamente l’appellata sentenza ha ritenuto esente dai contestati profili di illegittimità il provvedimento impugnato con cui l’ANAC- individuato nell’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 inserito dall’art. 23, comma 4, d.l. 06.12.2011, n. 201, conv. dalla l. 22.12.2011, n. 214 il dato normativo di raffronto della legittimità della forma giuridica adoperata (per essere ivi disposto l’obbligo per i «Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia» di affidare «ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000 n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici») e precisate le modalità di funzionamento del “sistema Asmel” (caratterizzato da una partecipazione solo indiretta degli enti locali alla centrale di committenza siccome realizzata mediante l’intermediazione dell’associazione Asmel cui essi, in prima battuta, hanno aderito) – ha negato ad Asmel s.c.a.r.l. la qualificazione di centrale di committenza a ragione della non corrispondenza ai tipi legali previsti dall’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, 163 per assumere la veste di “centrale di committenza”, vale a dire l’unione di comuni e l’accordo consortile, escludendone altresì la qualificazione di “organismo di diritto pubblico”.
4. Giova anzitutto richiamare il quadro normativo di riferimento, così come già ricostruito dalla Sezione nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 68 del 03.01.2019.
La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture 2004/18/CE, individuava, all’art. 1, comma 9, le “amministrazioni aggiudicatrici” ne “lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico”, mentre per il comma 10, una “centrale di committenza” era “un’amministrazione aggiudicatrice che: - acquista forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici, o – aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici”.
L’art. 11 (Appalti pubblici e accordi quadro stipulati da centrali di committenza) chiariva: “1. Gli Stati membri possono prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di acquistare lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza. 2. Le amministrazioni aggiudicatrici che acquistano lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza nei casi di cui all’articolo 1, paragrafo 10, sono considerate in linea con la presente direttiva a condizione che detta centrale l’abbia rispettata”.
L’art. 3, comma 34, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, ratione temporis vigente, forniva la definizione di centrale di committenza, in perfetta coerenza con la direttiva comunitaria, come di «un’amministrazione aggiudicatrice che: - acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o - aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori».
L’«amministrazione aggiudicatrice» era, invece, identificata al comma 25, come «le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti».
L’art. 33, comma 3-bis, nella sua ultima formulazione specificava infine: «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 07.04.2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma. Per i Comuni istituiti a seguito di fusione l'obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione».
L’art. 32 (Unioni di comuni) del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 (Testo unico enti locali) prescrive: «L’unione di comuni è l’ente locale costituito da due o più comuni, di norma contermini, finalizzato all’esercizio associato di funzioni e servizi»; l’art. 31 (Consorzi) prevede, invece, che: «Gli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e per l’esercizio associato di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all’articolo 114, in quanto compatibili. Al consorzio possono partecipare altri enti pubblici, quando siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti».
4.1. Come rilevato dalla Sezione nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, la disciplina nazionale, sopra trascritta, va letta nel senso che le amministrazioni aggiudicatrici previste dal Codice dei contratti pubblici del 2006, vale a dire le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da siffatti soggetti, possono assumere la funzione di centrale di committenza, con obbligo, però, per i Comuni (dapprima con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e, poi, non capoluogo di provincia) di rivolgersi a centrali di committenza configurate secondo un preciso modello organizzativo, ovvero quello dell’unione dei comuni di cui all’art. 32 del Testo unico degli enti locali (qualora sia già esistente) o quello del consorzio tra i comuni che si avvale degli uffici delle province (nonché nell’ultima formulazione anche ad un soggetto aggregatore o alle province ai sensi della l. 07.04.2014, n. 56).
5. Su queste premesse, la Sezione, considerato che “una centrale di committenza è dunque, per il diritto euro-unitario, un’impresa che offre il servizio dell’acquisto di beni e servizi a favore delle amministrazioni aggiudicatrici” e rilevato che la disposizione nazionale sulle centrali di committenza che operano per i piccoli comuni “appare derogatoria rispetto alla regola generale, limitando il modello organizzativo utilizzabile a due soli schemi rispetto al più ampio novero di soggetti che, nella qualità di amministrazioni aggiudicatrici, potenzialmente possono assumere la veste di centrale di committenza”, che inoltre “il modello organizzativo del consorzio tra i comuni –tenuto conto della definizione di “amministrazione aggiudicatrice” dell’art. 3, comma 25, in cui il riferimento è ai “consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti” ovvero ai consorzi costituiti solamente tra soggetti pubblici– sembra richiamare una forma di cooperazione tra comuni di tipo pubblicistico, come quella prevista dall’art. 31 del Testo unico degli enti locali, che esclude la partecipazione di soggetti privati” ed infine che “l’espresso riferimento ai comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti nell’originaria formulazione dell’art. 33, comma 3-bis, come pure ai comuni non capoluogo di provincia, nella formulazione più recente, ossia ad una connotazione territoriale degli enti aderenti, induce a ritenere che l’ordinamento interno si sia riferito a una corrispondenza tra il territorio dei comuni ricorrenti alla centrale di committenza e l’ambito di operatività della stessa …limitato al territorio dei comuni compresi nell’unione dei comuni ovvero costituenti il consorzio”, ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunziarsi sulla compatibilità di tale disciplina interna con il diritto eurounitario (tenuto conto, in particolare, della possibilità di un più ampio ricorso all’istituto delle centrali di acquisto, prevista dalla direttiva 2004/18/CE) e con i principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi.
5.1. In particolare, l’ordinanza di rinvio ha posto i seguenti quesiti pregiudiziali:
   - “se osta al diritto comunitario, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, che limita l’autonomia dei comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza a due soli modelli organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero il consorzio tra comuni da costituire”; e, in ogni caso
   - “se osta al diritto comunitario, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che, letto in combinato disposto con l’art. 3, comma 25, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in relazione al modello organizzativo dei consorzi di comuni, esclude la possibilità di costituire figure di diritto privato quali, ad esempio il consorzio di diritto comune con la partecipazione anche di soggetti privati”; e, infine,
   - “se osta al diritto comunitario e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3-bis, che, ove interpretato nel senso di consentire ai consorzi di comuni che siano centrali di committenza di operare in un territorio corrispondente a quello dei comuni aderenti unitariamente considerato, e, dunque, al massimo, all’ambito provinciale, limita l’ambito di operatività delle predette centrali di committenza”.
6. Con la sentenza del 04.06.2020 (C-3/19), la Corte di Giustizia ha anzitutto chiarito che, al fine di garantire la libera prestazione dei servizi e l’apertura ad una concorrenza non falsata, non può essere riconosciuta da una normativa nazionale la qualità di «centrale di committenza» ad un soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18. La Corte ha poi aggiunto che “Tenuto conto dell’ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri, nulla nella direttiva 2004/18 né nei principi ad essa sottesi osta neppure a che gli Stati membri possano adattare i modelli di organizzazione di tali centrali di committenza sulla base delle proprie esigenze e delle circostanze particolari prevalenti in uno Stato membro, prescrivendo a tal fine modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di persone o di imprese private”.
6.1. La Corte, premesso che “il legislatore italiano, anzitutto incoraggiando il ricorso degli enti locali a centrali di committenza, create secondo modelli organizzativi definiti, poi imponendo ai piccoli enti locali l’obbligo di ricorrere a tali centrali, ha cercato non solo di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose, ma anche di prevedere uno strumento di controllo delle spese” e considerato anche che, “tenuto conto dello stretto legame esistente tra la nozione di “amministrazione aggiudicatrice” e quella di “centrale di acquisto (…) non si può ritenere che le centrali di committenza offrano servizi su un mercato aperto alla concorrenza delle imprese private”, ha concluso che “una normativa nazionale che limiti la libertà di scelta dei piccoli enti locali di ricorrere a una centrale di committenza, prescrivendo a tal fine due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di persone o di imprese private, non viola l’obiettivo di libera prestazione dei servizi e di apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, perseguito dalla direttiva 2004/18, dal momento che essa non colloca alcuna impresa privata in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti”.
Secondo la Corte di Giustizia, dunque, detta normativa nazionale non accorda alcuna preferenza ad un’impresa offerente nazionale, ma concorre alla realizzazione dei su indicati obiettivi “in quanto pone i piccoli enti locali al riparo dal rischio di un’intesa tra una centrale di committenza e un’impresa privata che detenga una partecipazione in tale centrale di committenza”.
6.2. Tanto premesso, la Corte di Giustizia si è quindi pronunziata sui quesiti pregiudiziali dichiarando che: “L’articolo 1, paragrafo 10, e l’articolo 11 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (UE) n. 1336/2013 della Commissione, del 13.12.2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale che limita l’autonomia organizzativa dei piccoli enti locali di fare ricorso a una centrale di committenza a soli due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di soggetti o di imprese private. L’articolo 1, paragrafo 10, e l’articolo 11 della direttiva 2004/18, come modificata dal regolamento n. 1336/2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale che limita l’ambito di operatività delle centrali di committenza istituite da enti locali al territorio di tali enti locali”.
7. Acclarata dunque l’insussistenza di profili di incompatibilità della disciplina sulle centrali di committenza recata dall’art. 33-bis del d.lgs. 163/2006, vigente ratione temporis, con il diritto comunitario, quanto alla scelta di consentire ai piccoli comuni il ricorso a soli due modelli organizzativi di centrali di committenza (le unioni di comuni se esistenti o la costituzione di un consorzio di comuni), esclusivamente pubblicistici e con ambito di operatività limitata al territorio degli enti locali che hanno costituito la centrale di committenza, sono infondate le doglianze di Asmel contro la sentenza appellata che bene ha ritenuto legittima la sua esclusione dal perimetro delle amministrazioni aggiudicatrici. Asmel associa infatti un soggetto privato ed ha essa stessa natura privatistica, oltre ad aver operato al di fuori del territorio degli enti locali fondatori: tanto comporta, in base alla disciplina di legge regolante la fattispecie, l’impossibilità di svolgimento da parte della stessa delle funzioni di centrale di committenza.
7.1. La giurisprudenza si è recentemente espressa in tal senso in due recenti decisioni, successive alla citata sentenza della Corte di Giustizia, richiamando i principi ivi affermati (oltre ad essersi occupata di doglianze concernenti la carenza dei requisiti della centrale unica di committenza in capo ad Asmel e delle clausole di gara che imponevano il versamento di un corrispettivo, in una percentuale dell’importo di aggiudicazione, a suo favore e a carico dell’aggiudicatario, prima della stipula del contratto, in virtù di un atto unilaterale d’obbligo compilato e sottoscritto dai concorrenti al momento della partecipazione, nelle sentenze di cui a Cons. Stato, V, 19.05.2020, n. 3173, e 17.03.2021, n. 2276: sebbene nei relativi giudizi solo per dichiarare inammissibili i ricorsi per difetto di interesse e legittimazione ad agire, a causa della mancata partecipazione alla gara delle imprese ricorrenti e della non ricorrenza nella specie di clausole del bando c.d. escludenti e perciò immediatamente impugnabili).
7.2. In particolare, per quanto di interesse, la sentenza del Consiglio di Stato, V, 12.11.2020, n. 6975 ha accolto le censure sollevate da un operatore economico avverso gli atti di indizione di una gara, con cui si è lamentato che “non poteva essere delegato l’espletamento di procedure concorsuali ad Asmel consortile S.c.a.r.l., in quanto priva dei requisiti di legge per poter essere considerata una centrale di committenza” e che parimenti illegittima doveva considerarsi la richiesta contenuta in tutti i propri bandi di versamento a suo favore da parte dell’aggiudicataria dei costi di gestione della sua piattaforma perché in violazione dell’art. 41, comma 2-bis, del d.lgs. 50/2016, in base al quale “E’ fatto divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell’aggiudicatario, i costi di gestione delle piattaforme di cui all’art. 58”.
La sentenza da ultimo citata ha dunque annullato l’intera procedura di gara, ritenendo che Asmel non potesse rivestire la posizione di centrale di committenza: e ciò nonostante i correttivi adottati a valle dell’impugnata deliberazione ANAC n. 32/2015 per il fatto che Asmel “continuerebbe a non possedere neppure le caratteristiche del modello organizzativo previsto dall’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 per la costituzione di centrali di committenza da parte dei comuni, continuando ad avere (nonostante l’intervenuta estromissione dei soci privati) una sostanziale natura privatistica, in quanto società di diritto privato costituita da altre associazioni (Asmel Campania ed Asmel Calabria)”.
7.3. La pressoché coeva sentenza di questa Sezione, 03.11.2020, n. 6787 ha invece respinto l’appello dell’associazione Asmel (la quale detiene il 25% delle quote sociali della Asmel Consortile s.c.a.r.l.) e confermato la decisione di prime cure di accoglimento di un ricorso proposto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione -nell’esercizio della legittimazione ad agire in giudizio riconosciuta dall’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici (al fine di “prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici, con particolare riferimento all’impugnazione dei bandi e degli altri atti generali, in relazione a «gravi violazioni» del Codice dei contratti pubblici”)- e incentrato sull’illegittimità degli atti della procedura di gara indetta da Asmel s.c.a.r.l., per conto di vari enti locali, proprio per il difetto della qualifica di centrale di committenza attribuibile a quest’ultima, che non avrebbe potuto essere considerata come amministrazione aggiudicatrice, non essendo in possesso dei requisiti per bandire una gara per la stipula di convenzioni quadro per l’acquisizione di forniture a favore di pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. i) [che contiene la definizione di «centrale di committenza»] e lett. m) [definizione di «attività di committenza ausiliarie»] e dell’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici.
7.3.1. In particolare, nella richiamata decisione, da cui non vi è ragione di discostarsi, la Sezione (richiamata la pronunzia della Corte di Giustizia sui quesiti pregiudiziali posti da questo Consiglio di Stato con ordinanza n. 68 del 03.01.2019 e alla luce dei principi ivi affermati) non ha condiviso la tesi dell’appellante secondo cui la qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel e la sua legittimazione alla indizione della procedura di gara per conto degli enti locali associati sarebbero derivate dall’essere un’associazione tra amministrazioni aggiudicatrici (rappresentate dai piccoli comuni associati) e, a sua volta, amministrazione aggiudicatrice per l’art. 3, comma 1, lett. a), del Codice dei contratti pubblici (che definisce «amministrazioni aggiudicatrici», le «amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti»); ed ha altresì escluso che l’Asmel associazione, costituendo “lo strumento per consentire ai medesimi enti soci di raggiungere l’obiettivo della centralizzazione delle commesse pubbliche degli enti locali di minor dimensione” (senza che ciò implicasse alcun conferimento di funzioni pubblicistiche, dagli enti pubblici soci alla stessa Asmel), avrebbe avuto tutti i requisiti dell’organismo di diritto pubblico (e dovesse, perciò, anche sotto questo profilo, essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice).
7.3.2. Si trascrivono di seguito le motivazioni della decisione.
13. - Le censure così sintetizzate sono infondate.
13.1. - In punto di fatto occorre precisare che la procedura di gara per cui è controversia è stata indetta da Asmel Consortile S.C. a r.l. nella asserita qualità di centrale di committenza.
13.2. - Secondo l’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, «se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia», come nel caso di specie, tra le diverse modalità consentite per l’acquisizione di beni, servizi o lavori, è previsto il ricorso a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati.
13.3. - Peraltro, come ben rilevato dall’Anac, per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori (inizialmente istituito presso l’AVCP e attualmente compreso nelle competenze dell’Anac, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, secondo cui «E' istituito, presso l'Autorità, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l'elenco dei soggetti aggregatori»).
L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 (Acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento) del decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23.06.2014, n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza, diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole regioni, devono richiedere all’Anac l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26, comma 1, della legge 23.12.1999, n. 488 […]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.); vale a dire, per stipulare le convenzioni quadro che sono oggetto del bando di gara indetto da Asmel Consortile (quale centrale di committenza) e impugnato dall’Anac col ricorso in primo grado.
13.4. - Che le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza siano diverse, lo si ricava, anzitutto, dalla lettera dell’art. 9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l’elenco dei soggetti aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1 dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito dell’Anagrafe unica […]»).
In secondo luogo, la distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza regionali, iscritti di diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2 dell’art. 9 cit. («il carattere di stabilità dell'attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda»), come precisati nel d.P.C.M. 11.11.2014 (adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti, la cui verifica è riservata all’Anac.
13.5. - La soluzione trova conferma anche nell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, che ha introdotto un nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, non ancora entrato in vigore, basato sull’istituzione di «un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza», cui possono accedere gli operatori economici in possesso dei requisiti descritti ai commi 3 e 4 dell’art. 38. Anche secondo quest’ultima disposizione, dell’elenco fanno distintamente parte le stazioni appaltanti, le centrali di committenza e i soggetti aggregatori che conseguano la qualificazione rilasciata dall’Autorità.
13.6.- Il trattamento normativo differenziato opera, infine, anche nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 216, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede che «[f]ino alla data di entrata in vigore del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all'articolo 38, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante l'iscrizione all'anagrafe di cui all'articolo 33-ter del decreto-legge 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012, n. 221». Gli effetti (provvisori) della qualificazione (e in particolare la possibilità di pretendere dall’Anac il rilascio del «codice identificativo della gara (CIG)» necessario per l’effettuazione delle procedure di gara: art. 38, comma 8) si producono, infatti, solo per le stazioni appaltanti, in quanto siano iscritte all’anagrafe unica; non per le centrali di committenza e i soggetti aggregatori (per i quali, come si è veduto, è necessario –sulla base dell’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014 cit.– anche l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori).
13.7. In conclusione, né la Asmel Consortile s.c. a r.l. (che, come veduto, ha indetto la procedura di gara spendendo la qualifica di centrale di committenza), né Asmel Associazione (indicata nel bando come stazione appaltante), possono essere qualificate come centrali di committenza o soggetti aggregatori, non risultando iscritte all’anzidetto elenco ed essendo insufficiente, a tali fini, la loro iscrizione all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti.
(…) Nella pendenza della vicenda contenziosa riferita, ai fini della controversia in esame, è rilevante rimarcare, nondimeno, che Asmel Consortile mai ha acquisito l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori o delle centrali di committenza
”.
7.3.3. La sentenza ha poi ulteriormente precisato che, essendo oggetto dell’accertamento svolto il difetto in capo ad Asmel Associazione della sua qualificazione come centrale di committenza o soggetto aggregatore e conseguentemente la sua incapacità a svolgere le relative funzioni, costituente “uno specifico vizio della procedura di gara avviata da Asmel (attraverso Asmel Consortile), maturato in un ambito pubblico”, per avere il soggetto (in astratto tenuto all’applicazione dell’evidenza pubblica) illegittimamente esercitato il potere in relazione alla concreta vicenda in esame, risulta pertanto “irrilevante stabilire se Asmel Associazione rientri nella definizione legale di organismo di diritto pubblico (questione diffusamente trattata nella sentenza impugnata e nell’appello)”, dovendo per analoghe ragioni escludersi la ricorrenza dei “presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea" (richiesto dall’appellante al fine di stabilire se Asmel debba essere qualificata come organismo di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del Codice dei contratti pubblici e delle direttive europee in materia di appalti e concessioni).
7.3.4. La menzionata sentenza ha ritenuto poi fondate anche le doglianze concernenti l’illegittimità del bando di gara nella parte in cui imponeva ai concorrenti, per poter partecipare alla procedura, di corredare l’offerta con un atto unilaterale d’obbligo, impegnandosi, nell’ipotesi di aggiudicazione della gara, al pagamento del costo del servizio svolto da Asmel s.c.a.r.l. quale centrale di committenza per conto degli enti locali, in violazione dell’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici (ai cui sensi: «[è] fatto divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell'aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione delle piattaforme di cui all'articolo 58», inserito dall'art. 28, comma 1, del d.lgs. 19.04.2017, n. 56), norma che preclude alle stazioni appaltanti di riversare i costi derivanti dall’utilizzo delle piattaforme telematiche di negoziazione, non solo nei confronti dei concorrenti ma anche dell’eventuale aggiudicatario (ritenendo quindi erroneo il riferimento dell’appellante all’art. 16-bis del r.d. n. 2440 del 1923, avente un oggetto diverso e specificamente riferito alle spese per la stipula e la registrazione dei contratti).
7.4. Alla luce delle considerazioni che precedono e dei principi affermati dalla giurisprudenza nelle su indicate decisioni, deve dunque ritenersi che la sentenza appellata, sia pure incentrata essenzialmente sulla mancata qualificabilità di organismo di diritto pubblico (che, invece, nel provvedimento dell’ANAC solo costituiva un elemento aggiuntivo alla decisione di escludere la qualificazione di centrale di committenza per mancanza dell’appartenenza ad uno dei tipi legali), sia corretta e immune dalle censure formulate.
7.5. Né sussiste la lamentata disparità di trattamento con riguardo all’inserimento da parte di ANAC nell’elenco dei soggetti aggregatori del Consorzio CEV (in tesi analogo nella forma giuridica e operatività ad Asmel consortile), per la non ricorrenza di situazioni identiche e sovrapponibili.
7.5.1. Con delibera n. 58 del 22.07.2015, il Consorzio CEV era stato infatti iscritto da Anac con riserva (“a condizione che venga effettuata la modifica statutaria volta ad eliminare la possibilità, anche solo in linea teorica, della partecipazione di privati nella compagine sociale e di qualsiasi vocazione commerciale dello stesso”); tuttavia successivamente ANAC ha dapprima sospeso (con effetto immediato a far data dal 15.10.2015) la detta iscrizione e poi (con delibera n. 125 del 10.02.2016) ha espunto il Consorzio CEV dall’elenco dei soggetti aggregatori, per mancato possesso dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, del d.P.C.M. 11.11.2014 (ovvero “il carattere di stabilità mediante un’organizzazione dedicata allo svolgimento dell’attività di centrale di committenza”).
7.6. Né risulta ricorrente la censurata violazione del principio del “tempus regit actum” (per avere il provvedimento dell’ANAC prima e l’appellata sentenza poi preso in considerazione una formulazione non vigente della norma di cui all’art. 33, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006 al tempo della sua adozione, il 30.04.2015).
7.6.1. In primo luogo, come bene evidenziato dalla difesa erariale, la stessa società Asmel consortile è stata costituita allo scopo di dare applicazione alle nuove disposizioni di cui all’art. 33, comma 3-bis, del d.lgs. 163/2006 (aggiunto dall'art. 23, comma 4, legge n. 214 del 2011 che ne ha previsto la decorrenza al 01.01.2014) ed ha in effetti fondato la propria legittimazione sulla norma che oggi assume non essere in vigore per effetto delle sopravvenute modifiche normative (cfr. art. 23-ter del d.l. 24.06.2014, n. 90 che, per effetto delle modifiche che esso stesso ha subito, ha spostato il termine di entrata in vigore al 01.11.2015); tant’è che, come osserva l’Avvocatura, tra le varie deliberazioni dei Comuni che hanno fatto ricorso ai servizi di committenza della centrale Asmel (peraltro, tutte predisposte secondo modelli diffusi dall’Asmel stessa) vi sono quelle con le quali si approva l’“accordo consortile ai sensi e per gli effetti dell’art. 33, comma 3-bis, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 e ss.mm.ii.”.
7.6.2. In ogni caso, a prescindere dalle formulazioni assunte dalla norma nel tempo o dalla sua successiva abrogazione, rileva che quest’ultima rechi in effetti un’identica disciplina sostanziale quanto alle limitazioni imposte alla costituzione delle centrali di committenza da parte degli enti locali di piccole dimensioni, sia con riferimento ai modelli organizzativi applicabili sia con riguardo alla relativa compagine e all’ambito territoriale di operatività, risiedendo la differente formulazione solo nel porre tale obbligo prima a carico dei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e poi a carico dei Comuni non capoluogo.
7.6.3. Ne segue che l’Autorità ha correttamente esaminato la fattispecie con riferimento alla disciplina del tempo (a ragione non rinvenendo in essa alcun aggancio normativo per fondare il presupposto di legittimazione alle gare svolte dalla società consortile per conto di vari enti locali), ed abbia motivato quindi l’esclusione di Asmel dal novero delle centrali di committenza sulla non rispondenza ai modelli organizzativi legali e in ragione delle su indicate limitazioni previste dal diritto interno, ritenute conformi al diritto dell’Unione dalla Corte di Giustizia (cfr. anche al riguardo paragrafo 41 della sentenza del 04.06.2020, in cui, nell’esaminare in limine la ricevibilità della questione pregiudiziale, si afferma che “il governo italiano ha precisato, in udienza, che la nuova normativa sulle centrali di committenza, che abroga e sostituisce l’articolo 33, comma 3 bis, del decreto legislativo n. 163/2006, non avrà effetto prima del 31.12.2020, ragion per cui il procedimento principale resta disciplinato da tale disposizione”).
7.6.4. Per completezza va evidenziato che l’ANAC (con delibera n. 780/2019) ha ritenuto che, anche alla luce dell’attuale assetto societario e pur nel mutato quadro normativo, Asmel Consortile non è legittimata ad affidare servizi in qualità di centrale di committenza, né tanto meno si giustifica l’imposizione di un contributo di carattere finanziario a carico dell’aggiudicatario (cfr. al riguardo anche la citata sentenza di Cons. Stato, V, n. 6787/2020).
7.7. Non sono neanche suscettibili di favorevole considerazione le doglianze con cui l’appellante lamenta il mancato riconoscimento della qualifica di organismo di diritto pubblico e, per tale via di “amministrazione aggiudicatrice”, configurabile quindi quale centrale di committenza.
7.7.1. L’attribuzione ad Asmel della qualificazione di organismo pubblico di suo comunque non comporterebbe la possibilità di svolgere attività di acquisizione di beni e servizi sul mercato per conto di altre amministrazioni (gli enti locali associati): rileva infatti, a monte e in via assorbente, l’impossibilità per Asmel consortile di essere qualificata per le ragioni anzidette come centrale di committenza e amministrazione aggiudicatrice sulla base della disciplina nazionale (che è espressione dell’ “ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri”), riconosciuta compatibile col diritto euro-unitario dalla più volte richiamata sentenza della Corte di Giustizia.
Ed infatti quest’ultima ha statuito che: “Dall’articolo 11 della direttiva 2004/18, in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafi 9 e 10, della direttiva 2004/18 e con il considerando 16 di quest’ultima, risulta che l’unico limite che tale direttiva impone rispetto alla scelta di una centrale di committenza è quello secondo cui tale centrale deve avere la qualità di «amministrazione aggiudicatrice». Tale ampio margine discrezionale si estende altresì alla definizione dei modelli organizzativi delle centrali di committenza, purché le misure adottate dagli Stati membri per l’attuazione dell’articolo 11 della direttiva 2004/18 rispettino il limite stabilito da tale direttiva, relativo alla qualità di amministrazione aggiudicatrice del soggetto al quale le amministrazioni aggiudicatrici intendono rivolgersi in quanto centrale di committenza. Pertanto, a un soggetto privo della qualità di amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18, non può essere riconosciuta, da parte di una normativa nazionale, la qualità di «centrale di committenza», ai fini dell’applicazione di tale direttiva”.
Come detto, il modello proposto da Asmel consortile non può rientrare tra i modelli organizzativi delle centrali di committenza definiti dall’ordinamento nazionale.
7.7.2. In ogni caso, per quanto rileva, non può riconoscersi ad Asmel consortile neppure la qualificazione di organismo di diritto pubblico, a ciò ostando l’assenza tanto del requisito teleologico (lo svolgimento di attività volte a soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale e commerciale), stante la previsione dell’obbligo in capo agli operatori commerciali aggiudicatari del pagamento di una commissione per i servizi di committenza espletati dalla stessa, quanto quello dell’influenza dominante, difettando il c.d. controllo analogo da parte degli enti locali aderenti.
7.7.3. Al riguardo, con riferimento al primo profilo, giova richiamare quanto statuito dalla la sentenza della Corte di Giustizia C‑3/19 secondo cui: «Una centrale di committenza agisce infatti in qualità di amministrazione aggiudicatrice, al fine di provvedere ai bisogni di quest’ultima, e non in quanto operatore economico, nel proprio interesse commerciale.» (cfr. par. 64); conformemente all’art. 1, paragrafo 9, di tale direttiva, deve ritenersi che un’amministrazione aggiudicatrice “è un ente che soddisfa una funzione di interesse generale, avente carattere non industriale o commerciale” e che “non esercita, a titolo principale, un’attività lucrativa sul mercato” (cfr. paragrafo 70 della sentenza).
7.7.4. Quanto al secondo aspetto, per le corrette motivazioni della sentenza di prime cure, non può poi condividersi la tesi di parte appellante secondo cui il controllo analogo risulterebbe dall’accordo consortile (nel quale sarebbe descritto ogni adempimento legato all’espletamento delle diverse fasi procedimentali degli appalti e ciascuno dei comuni eserciterebbe sulla centrale di committenza un controllo analogo a quello svolto nei riguardi dei propri uffici e servizi).
7.8. Peraltro, risulta dagli atti che, nell’ambito delle proprie competenze in relazione alla tenuta e gestione dell’elenco c.d. in house di cui all’articolo 192 d.lgs. 50/2016, ANAC ha comunicato le risultanze istruttorie, all’esito della domanda di iscrizione nel predetto elenco del comune di Caggiano e degli altri enti locali che partecipano ad Asmel consortile, ravvisando la carenza dei requisiti dell’in house providing di cui all’articolo 5 del Codice dei contratti pubblici, di fatto confermando, sotto altro aspetto, l’assenza del requisito soggettivo di “amministrazione aggiudicatrice” in capo ad Asmel, necessario per vedersi qualificare centrale di committenza abilitata ai sensi e per gli effetti dell’articolo 9 del d.l. 66/2014.
7.8.1. Inoltre, difetta, come bene rilevato dal primo giudice, anche la delimitazione territoriale dell’attività esercitata da Asmel, condizione anch’essa ritenuta rispettosa dei limiti del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri nell’attuazione della direttiva 2004/2018. Al riguardo, la Corte di Giustizia ha infatti affermato che “Una misura con cui uno Stato membro limiti l’ambito di operatività territoriale delle centrali di committenza ai rispettivi territori degli enti locali che le hanno istituite, al fine di assicurarsi che tali centrali di committenza agiscano nell’interesse pubblico di tali enti, e non nel loro proprio interesse commerciale, al di là di tali territori, deve essere considerata coerente con l’articolo 1, paragrafo 10, della direttiva 2004/18, il quale prevede che una centrale di committenza deve avere la qualità di amministrazione aggiudicatrice e deve, a tale titolo, soddisfare i requisiti previsti all’articolo 1, paragrafo 9, di tale direttiva” (cfr. paragrafo sentenza C-3/19).
7.9. Come evidenziato poi dal Consiglio di Stato (nella citata sentenza n. 6787/2020) per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori (inizialmente istituito presso l’AVCP e attualmente compreso nelle competenze dell’ANAC, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, secondo cui «E' istituito, presso l'Autorità, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l'elenco dei soggetti aggregatori»).
7.9.1. L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 del decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23.06.2014,n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza, diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole regioni, devono richiedere all’ANAC l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26,comma 1, della legge 23.12.1999, n. 488 […]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.).
7.9.2. Come chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio nella sentenza su indicata le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza sono diverse: tale conclusione si ricava, anzitutto, dalla lettera dell’art. 9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l’elenco dei soggetti aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1 dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito dell’Anagrafe unica […]»).
In secondo luogo, la distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza regionali, iscritti di diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2 dell’art. 9 cit. («il carattere di stabilità dell'attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda»), come precisati nel d.P.C.M. 11.11.2014 (adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti la cui verifica è riservata all’ANAC che ne ha accertato la carenza in capo ad Asmel, la quale non può essere anche per ciò qualificata “centrale di committenza” o “soggetto aggregatore”, in quanto non iscritta all’albo tenuto dall’Autorità ai sensi dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, insufficiente essendo, a tali fini, l’iscrizione all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti.
8. In conclusione, l’appello va respinto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.12.2021 n. 8072 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIRilevanza temporale, in sede di gara pubblica, dell’obbligo dichiarativo delle condanne non automaticamente escludenti.
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Contratti della Pubblica amministrazione - Esclusione dalla gara - Condanne non automaticamente escludenti - Comma 10-bis dell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016 – Interpretazione.
In sede di gara pubblica, il termine di tre anni di cui al comma 10-bis dell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016 è applicabile agli illeciti professionali contrattuali e alle condanne superiori ai tre anni stessi, mentre laddove la durata della condanna comminata è inferiore ai tre anni non potrà che applicarsi il criterio del primo periodo del citato comma 10-bis, che impone una esclusione pari alla durata della pena dal passaggio in giudicato della sentenza (1).
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   (1) La Sezione affronta la problematica della rilevanza temporale dell’obbligo dichiarativo delle condanne non automaticamente escludenti ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 e ritiene aderente al tipo di causa escludente invocata, omogenea per questo profilo ad ogni altra condanna ritenuta escludente dall’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, una valutazione che tenga conto del passaggio in giudicato della sentenza, come per altro espressamente imposto dal medesimo art. 80 in tutti i casi in cui menziona esplicitamente la rilevanza di condanne penali. La lontananza nel tempo della condotta oggetto di reato, per canto suo, entrerà legittimamente nelle valutazioni discrezionali spettanti alla stazione appaltante.
Sulla specifica questione del dies a quo del termine di durata dell’efficacia escludente delle condanne tutte, anche alla luce del tenore letterale della disposizione, buona parte della giurisprudenza si è orientata per l’applicazione, anche in caso di condanne non automaticamente escludenti ma rilevanti in quanto possibili illeciti professionali, di un termine di esclusione decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza (cfr. Cons. St. n. 4937 del 2020; Tar Lazio n. 4917 del 2020).
Altra e diversa problematica attiene alla durata triennale di tale termine ed agli effetti, anche sistematici, che essa in concreto produrrebbe nel caso di specie. La problematica si inserisce infatti nel contesto e nella evoluzione giurisprudenziale e normativa in cui è maturata la disciplina del “grave illecito professionale” quale causa di esclusione dalla gara. In particolare l’applicazione di tale termine produrrebbe intollerabili effetti di incoerenza esterna rispetto a quanto previsto per le condanne per reati tipicamente escludenti, quali ad esempio quelli disciplinati dall’art. 317 bis c.p.
Per questi ultimi, infatti, il comma 10-bis dell’art. 80 prevede un termine di rilevanza della causa escludente pari alla durata della pena stessa in ipotesi di pene inferiori a sette o cinque anni; praticamente, quindi, in casi di ben possibile condanna a pene inferiori ai tre anni per taluno dei reati, che per la loro gravità tipica addirittura obbligano la stazione appaltante ad escludere il concorrente e possono comportare la pena accessoria del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, si avrebbe una efficacia temporale della durata dell’esclusione minore di quella che si avrebbe nel presente caso, in cui è stata comminata una pena di due mesi e pochi giorni di reclusione soggetta a valutazione discrezionale della stazione appaltante.
Ne deriverebbe un effetto contrario alla ratio sottesa al disposto normativo di creare un omogeneo e coerente sistema che garantisca, da un lato, una durata massima degli effetti escludenti conseguenti a qualunque tipo di condanna, dall’altro una omogeneità di trattamento tra le fattispecie che costituiscono grave illecito professionale sub specie di condanne, senza però trascurare la necessaria coerenza esterna della disposizione rispetto ad altre ipotesi di condanne tipicamente escludenti, che, come tali, sono state ritenute per definizione più gravi dallo stesso legislatore.
Tale evidenza impone, a parere della Sezione, un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della normativa, improntata al canone della ragionevolezza e proporzionalità, non potendosi ritenere che il riferimento contenuto nell’art. 10-bis “al comma 5”, ferma l’individuazione del limite triennale massimo di esclusione per tutte le ipotesi di gravi illeciti professionali, ivi comprese eventuali condanne non tipizzate dal legislatore nella loro valenza escludente, sfoci, per condanne di durata infratriennale e non corredate dalla pena accessoria del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, nella palese violazione del principio di uguaglianza e degli stessi criteri di proporzionalità ed armonizzazione del sistema che hanno guidato il legislatore e la giurisprudenza in materia.
Pertanto, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica della normativa, nonché del principio di proporzionalità di derivazione eurounitaria che pure governa la materia deve ritenersi che il termine di tre anni di cui al comma 10-bis sia applicabile agli illeciti professionali contrattuali e alle condanne superiori ai tre anni stessi, mentre laddove la durata della condanna comminata sia inferiore ai tre anni non potrà che applicarsi il criterio del primo periodo del citato comma 10-bis, che impone una esclusione pari alla durata della pena dal passaggio in giudicato della sentenza (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 02.12.2021 n. 1108 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
Pare inoltre opportuno al collegio, ai fini conformativi, chiarire anche la problematica della rilevanza temporale dell’obbligo dichiarativo delle condanne non automaticamente escludenti ex art. 80, comma 5, lett. c), D.lgs 50/2016, pure oggetto del primo motivo di ricorso e di oggettivo interesse sostanziale per la ricorrente.
E’ evidente infatti come, nel considerare escludente l’omessa dichiarazione in sé, la stazione appaltante abbia quantomeno implicitamente ritenuto la condanna astrattamente idonea ad incidere sul suo giudizio.
Sul punto, per contrastare nel caso di specie la possibile rilevanza escludente della condanna, la difesa della ricorrente chiede innanzitutto, con il primo motivo di ricorso, di computare un termine triennale massimo di rilevanza della condanna a decorrere dalla data del fatto storico oggetto di condanna (pacificamente risalente al 2008) o, al più, della sentenza di primo grado (risalente al 2013).
Al proposito la difesa di parte ricorrente cita la sentenza Cons. St., sez. V, n. 6233/2021, che ha effettivamente preso in considerazione il fatto storico oggetto di una pur recente condanna.
La soluzione, se pur guidata da più che ragionevoli esigenze pratiche di applicazione del principio di proporzionalità, appare isolata in giurisprudenza e pare al collegio non praticabile in termini generali. Si consideri, infatti, che far decorrere il termine di rilevanza da un fatto di reato, per definizione non noto alla collettività se non in seguito alla sua emersione in seno al processo penale secondo le regole che lo governano, significherebbe che pressoché in ogni caso sarebbe da escludere la rilevanza di sentenze penali ai sensi dell’art. 80, co. 5, pur astrattamente teorizzata ed acquisita in giurisprudenza, perché l’accertamento penale del fatto (e talvolta anche la sua scoperta in sede di indagini) si cristallizza fisiologicamente oltre il triennio dalle condotte. D’altro canto l’equiparazione delle condanne non tipicamente escludenti ai fatti storici di illecito contrattuale, pur pacificamente acquisita dalla giurisprudenza nell’applicazione dell’art. 80, co. 5, necessariamente pone sullo stesso piano illeciti la cui emersione segue iter strutturalmente diversi; l’illecito contrattuale implica infatti contestazioni formali tra le parti, che lo rendono immediatamente percepibile, mentre il reato non può che emergere in esito al complesso iter delle indagini e dell’accertamento in sede giudiziaria.
Per tali ragioni il collegio ritiene, sul punto, più convincente ed aderente al tipo di causa escludente invocata, omogenea per questo profilo ad ogni altra condanna ritenuta escludente dall’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, una valutazione che tenga conto del passaggio in giudicato della sentenza, come per altro espressamente imposto dal medesimo art. 80 in tutti i casi in cui menziona esplicitamente la rilevanza di condanne penali. La lontananza nel tempo della condotta oggetto di reato, per canto suo, entrerà legittimamente nelle valutazioni discrezionali spettanti alla stazione appaltante.
In effetti, sulla specifica questione del dies a quo del termine di durata dell’efficacia escludente delle condanne tutte, anche alla luce del tenore letterale della disposizione, buona parte della giurisprudenza si è orientata per l’applicazione, anche in caso di condanne non automaticamente escludenti ma rilevanti in quanto possibili illeciti professionali, di un termine di esclusione decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza (cfr. Cons. St. n. 4937/2020; Tar Lazio 4917/2020).
Trattasi per altro della tesi patrocinata dalla difesa della stazione appaltante, la quale ha evidenziato persino come la stessa ricorrente, in fase di giustificazioni rese nel corso del procedimento, avesse dato per assunto che il dies a quo di rilevanza della condanna dovesse computarsi dal suo passaggio in giudicato.
Né può accedersi alla soluzione ibrida, pure proposta dalla difesa di parte ricorrente, di considerare la sentenza di primo grado, che da un lato non coinciderebbe con l’accadimento in senso naturalistico e, dall’altro, non garantirebbe la certezza propria del giudicato.
Superato tale specifico aspetto, altra e diversa problematica attiene alla durata triennale di tale termine ed agli effetti, anche sistematici, che essa in concreto produrrebbe nel caso di specie.
Non è ignoto al Collegio l’indirizzo ermeneutico secondo cui, mediante il generico riferimento “al comma 5”, contenuto nel nuovo comma 10-bis dell’art. 80 –introdotto dal D.L. 18.04.2019, n. 32– il limite di rilevanza temporale del fatto astrattamente configurabile quale “grave illecito professionale” viene indicato come triennale in ogni caso, ivi incluse le condanne e decorrente, appunto in tal caso, dalla data del passaggio in giudicato (cfr. TAR Lazio, sez. II-ter, 11/05/2020, n. 4917; C.G.A.R.S., 19/04/2021, n. 326; Cons. Stato, sez. IV, 05/08/2020, n. 4937; Tar Bari n. 318/2020).
Questa soluzione pare tuttavia al collegio che ingenererebbe, nella procedura per cui è causa, effetti di incoerenza sistematica che sarebbero, come sostanzialmente dedotto con il primo motivo di ricorso, obiettivamente sproporzionati.
La problematica si inserisce infatti nel contesto e nella evoluzione giurisprudenziale e normativa in cui è maturata la disciplina del “grave illecito professionale” quale causa di esclusione dalle gara; si precisa altresì che, in tutte le decisioni appena riportate, la coerenza, per così dire sistematica “esterna”, del termine triennale applicato a decorrere dal giudicato per una condanna per reato diverso da quelli che costituiscono fattispecie tipiche ed obbligatorie di esclusione non è emersa nei suoi profili critici, in quanto trattavasi di condanne risalenti ad oltre il triennio, la cui rilevanza restava dunque in ogni caso esclusa.
L’evoluzione normativa in materia muove dall’art. 57 paragrafo 7 della direttiva 2014/24/UE ai sensi del quale: “in forza di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e nel rispetto del diritto dell’Unione, gli Stati membri specificano le condizioni di applicazione del presente articolo. In particolare essi determinano il periodo massimo di esclusione nel caso in cui l’operatore economico non adotti nessuna misura di cui al paragrafo 6 per dimostrare la sua affidabilità. Se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al paragrafo 4”.
L’intento del legislatore eurounitario è stato quello di limitare, in qualunque caso, la rilevanza temporale della cause di esclusione, oggetto di recepimento nel nostro ordinamento con l’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, il tutto in un’ottica garantista ed in attuazione del principio di proporzionalità.
All’atto di primo recepimento di queste disposizioni il legislatore nazionale si è limitato a prevedere, all’art. 80, comma 10, un termine degli effetti escludenti derivanti da specifiche condanne penali che potrebbero comportare la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.), senza prendere in considerazione tutte le ulteriori ipotesi di esclusione contemplate dai commi 4 e 5 dell’art. 80 stesso e in particolare le atipiche e possibili fattispecie di condanna che, nel tempo, sono state ricondotte dalla giurisprudenza al grave illecito professionale di cui all’art. 80, co. 5, del d.lgs. n. 50/2016 stesso.
Ne è emersa, nella pratica, una non aderenza sul punto della legislazione italiana a quella eurounitaria, provvisoriamente colmata per lo più mediante una sostanziale applicazione diretta, in ogni ipotesi, del termine triennale di rilevanza massima previsto al paragrafo 4 della citata direttiva (in tal senso, ad esempio, Cons. St. 6576/2018).
Il legislatore è poi più volte intervenuto sul comma 10 dell’art. 80, per colmare il vuoto normativo, innanzitutto inserendo un termine di durata degli effetti escludenti derivanti dalle ipotesi di cui all’art. 80, commi 4 e 5.
Da ultimo con il D.L. 32/2019 c.d. Sblocca-Cantieri, applicabile alla vicenda per cui è causa ratione temporis, la pertinente disciplina è stata articolata tra un comma 10 e un nuovo comma 10-bis dell’art. 80 del d.lgs 50/2016 che recitano:
10. Se la sentenza penale di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, la durata della esclusione dalla procedura d'appalto o concessione è:
   a) perpetua, nei casi in cui alla condanna consegue di diritto la pena accessoria perpetua, ai sensi dell'articolo 317-bis, primo periodo, del codice penale, salvo che la pena sia dichiarata estinta ai sensi dell'articolo 179, settimo comma, del codice penale;
   b) pari a sette anni nei casi previsti dall'articolo 317-bis, secondo periodo, del codice penale, salvo che sia intervenuta riabilitazione;
   c) pari a cinque anni nei casi diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), salvo che sia intervenuta riabilitazione.
10-bis. Nei casi di cui alle lettere b) e c) del comma 10, se la pena principale ha una durata inferiore, rispettivamente, a sette e cinque anni di reclusione, la durata della esclusione è pari alla durata della pena principale. Nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia commesso
”.
Sul punto del dies a quo, già si è detto.
Quanto alla durata del termine l’applicazione della pregressa disposizione al caso di specie, alla luce dei principi tutti sin qui elaborati dalla giurisprudenza, dovrebbe condurre in sostanza, e come per altro sostenuto dalla difesa della stazione appaltante, all’applicazione di un termine di rilevanza triennale decorrente dal passaggio in giudicato della condanna.
Tuttavia pare al collegio che l’applicazione di tale termine produrrebbe intollerabili effetti di incoerenza esterna rispetto a quanto previsto per le condanne per reati tipicamente escludenti, quali ad esempio quelli disciplinati dall’art. 317-bis c.p..
Per questi ultimi, infatti, il comma 10-bis dell’art. 80 prevede un termine di rilevanza della causa escludente pari alla durata della pena stessa in ipotesi di pene inferiori a sette o cinque anni; praticamente, quindi, in casi di ben possibile condanna a pene inferiori ai tre anni per taluno dei reati, che per la loro gravità tipica addirittura obbligano la stazione appaltante ad escludere il concorrente e possono comportare la pena accessoria del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, si avrebbe una efficacia temporale della durata dell’esclusione minore di quella che si avrebbe nel presente caso, in cui è stata comminata una pena di due mesi e pochi giorni di reclusione soggetta a valutazione discrezionale della stazione appaltante.
Ne deriverebbe un effetto contrario alla ratio sottesa al disposto normativo di creare un omogeneo e coerente sistema che garantisca, da un lato, una durata massima degli effetti escludenti conseguenti a qualunque tipo di condanna, dall’altro una omogeneità di trattamento tra le fattispecie che costituiscono grave illecito professionale sub specie di condanne, senza però trascurare la necessaria coerenza esterna della disposizione rispetto ad altre ipotesi di condanne tipicamente escludenti, che, come tali, sono state ritenute per definizione più gravi dallo stesso legislatore
Nel caso specifico le condanna che ha comportato l’applicazione dell’esigua pena di poco più di due mesi di reclusione irrogata al sig. -OMISSIS- per il reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in autorizzazioni amministrative ex art. 477 c.p. per fatti risalenti al dicembre 2008, dovrebbe produrre un’efficacia escludente pari a tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza (avvenuto in data 17.12.2018 per declaratoria di inammissibilità del ricorso per Cassazione) e sarebbe quindi astrattamente rilevante per la gara per cui è causa. Per contro, laddove il sig. -OMISSIS- fosse stato condannato per reati ostativi di cui al comma 1, l’esclusione rileverebbe per un arco temporale pari alla effettiva durata della pena, e sarebbe, nel caso di specie (o comunque in ben possibili ipotesi di condanne, ancorché più elevate, infratriennali), per lo più irrilevante.
Tale evidenza impone, a parere del collegio, un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della normativa, improntata al canone della ragionevolezza e proporzionalità, non potendosi ritenere che il riferimento contenuto nell’art. 10-bis “al comma 5”, ferma l’individuazione del limite triennale massimo di esclusione per tutte le ipotesi di gravi illeciti professionali, ivi comprese eventuali condanne non tipizzate dal legislatore nella loro valenza escludente, sfoci, per condanne di durata infratriennale e non corredate dalla pena accessoria del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, nella palese violazione del principio di uguaglianza e degli stessi criteri di proporzionalità ed armonizzazione del sistema che hanno guidato il legislatore e la giurisprudenza in materia.
Si noti, ad esempio, che la stessa pronuncia C.G.A.S. n. 326/2021, che ha fatto applicazione di un termine triennale di esclusione per le condanne integranti gravi illeciti professionali, lo ha motivato precisando che non si può “logicamente consentire un trattamento giuridico più favorevole alle situazioni nelle quali intervengano condanne ostative (per le quali è pacifica la limitazione del periodo di inibizione e dunque la rilevanza temporale della condanna, ex art. 80, co. 10 e 10-bis, primo periodo, del Codice) rispetto situazioni diverse, assoggettabili ad una valutazione discrezionale della stazione appaltante”; si ribadisce che, nello specifico caso della sentenza del C.G.R.S., il risultato è stato comunque l’esclusione della rilevanza della condanna in contestazione.
Pertanto, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica della normativa, nonché del principio di proporzionalità di derivazione eurounitaria che pure governa la materia, il Collegio, ritiene che il termine di tre anni di cui al comma 10-bis sia applicabile agli illeciti professionali contrattuali e alle condanne superiori ai tre anni stessi, mentre laddove la durata della condanna comminata sia inferiore ai tre anni non potrà che applicarsi il criterio del primo periodo del citato comma 10-bis, che impone una esclusione pari alla durata della pena dal passaggio in giudicato della sentenza.
Nel caso di specie, pertanto, si ritiene che il periodo di rilevanza escludente della condanna per il reato di cui all’art. 477 c.p. sia già decorso, in quanto trattavasi di condanna di durata pari a due mesi e venti giorni, passata in giudicato nel 2018 (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 02.12.2021 n. 1108 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2021

APPALTILegittimità della esclusione da una gara, congiunta di un consorzio stabile e di due consorziate non designate esecutrici.
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Processo amministrativo – Rito appalti – Aggiudicazione – Impugnazione – Non finalizzata a ottenere la rinnovazione della gara – Legittimazione – Condizione
   Processo amministrativo – Rito appalti – Impugnazione atti conseguenti all’esclusione dalla gara – Limiti.
  
Contratti della Pubblica amministrazione - Gara - Divieto di partecipazione del consorzio stabile e della consorziata non indicata quale esecutrice – Ratio.
  
Contratti della Pubblica amministrazione – Consorzi stabili - Soggetto distinto dai consorziati- Conseguenza. 
   L'impugnazione dell’aggiudicazione non finalizzata a ottenere la rinnovazione della gara dev’essere sorretta, per essere ritenuto ammissibile, dalla c.d. prova di resistenza e, cioè, dalla dimostrazione a priori che, se le operazioni si fossero svolte correttamente, la ricorrente sarebbe risultata con certezza aggiudicataria.
  
Se il ricorrente intende contestare provvedimenti lesivi (quali la segnalazione all’ANAC e l’incameramento della cauzione), che discendono direttamente dalla disposta esclusione, non rileva la circostanza che non abbia articolato censure avverso il provvedimento conclusivo della gara (o che la relativa impugnazione sia irrituale), in quanto va, comunque, riconosciuta la sussistenza di un interesse (patrimoniale e/o morale) a contestare l’esclusione (1).
  
L’automatico divieto di partecipazione a una gara, tanto a carico del consorzio stabile quanto della consorziata non indicata quale esecutrice, può giustificarsi solo laddove un’indagine in concreto dimostri che il rapporto fra i relativi organi conduca a individuare un unico centro decisionale; la mera partecipazione dell’impresa a un determinato consorzio stabile non può fornire elementi univoci in tal senso, tali da fondare una vera e propria praesumptio juris et de jure, che si traduce in una sorta di sillogismo categorico circa l’esistenza di un’unicità di rapporti fra consorzio stabile e proprie consorziate.
  
Il Consorzio stabile, il quale partecipa a una gara d’appalto in proprio deve ritenersi -in linea di principio- un soggetto distinto dai consorziati, con conseguente irragionevolezza, sotto il profilo della sproporzione, dell’esclusione automatica di tutti i soggetti imprenditoriali che ne fanno parte non designati quali esecutori. Rimane salvo il potere/dovere della stazione appaltante di verificare l’esistenza in concreto di un collegamento tra il Consorzio stabile e le imprese consorziate o tra queste ultime che possa fare ritenere che le offerte sono espressione di un unico centro decisionale con conseguente alterazione della concorrenza; non sono, invece, ammissibili meccanismi automatici i quali sono sproporzionati.
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   (1) Ha chiarito la Sezione che qualora s’imponesse, in tali casi, la contestazione dell’aggiudicazione, si attiverebbe un circuito vizioso, che si tradurrebbe nella lesione del diritto alla tutela giudiziaria, in quanto il concorrente: da un lato, non potrebbe contestare solo ed esclusivamente la propria estromissione dalla gara; dall’altro lato, non avrebbe nemmeno titolo per contrastare la propria iscrizione all’ANAC, perché questa deriva in via automatica e obbligata dall’esclusione (e dalla conseguente segnalazione).
Il TAR ha rilevato che esiste un contrasto tra l'orientamento maggioritario accolto e quello minoritario secondo cui l'onere di indicare l’impresa consorziata per la quale il consorzio stabile concorre costituisce adempimento necessario al fine di evitare il divieto di partecipazione alla gara e che solo tale specifica indicazione consente di superare la necessaria presunzione di conflitto d’interessi derivante dalla contemporanea partecipazione di una consorziata tramite il consorzio e in un’altra forma.
Il TAR ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 23.12.2009, Serrantoni, C-376/08 nella quale si è affermato che la previsione dell’esclusione automatica del consorzio stabile e delle imprese che lo compongono, le quali hanno partecipato in concorrenza alla stessa procedura di affidamento di un pubblico appalto, viola i principi del Trattato in quanto pone una presunzione assoluta d’interferenza reciproca anche nel caso in cui il primo non sia intervenuto nel procedimento per conto delle seconde e non consente agli operatori di dimostrare che le loro offerte sono state formulate in modo pienamente indipendente.
In tale sentenza si è affermato che il diritto comunitario dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che dispone l’esclusione automatica dalla partecipazione alle procedura di gara e l’irrogazione di sanzioni penali nei confronti tanto del consorzio stabile quanto delle imprese che ne sono membri, le quali hanno presentato offerte concorrenti nell’ambito dello stesso procedimento, anche quando l’offerta di detto consorzio non sia stata presentata per conto e nell’interesse di tali imprese (
TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 30.11.2021 n. 3318 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
2. Sempre in via preliminare va esaminata l’eccezione di carenza d’interesse, conseguente alla mancata dimostrazione del conseguimento dell’aggiudicazione in caso di ammissione alla gara, che è stata valorizzata in sede di rigetto della sospensiva, ma che il CGA, accogliendo l’appello cautelare, ha invitato ad approfondire.
Il collegio, dopo attenta riflessione, ritiene fondata l’eccezione con riferimento alla parte del ricorso avente ad oggetto l’aggiudicazione, ma non anche per quella riferita all’esclusione.
2.1 Per quanto riguarda la prima, è jus receptum in giurisprudenza il principio secondo cui, in materia di appalti, l’interesse all’impugnativa deve manifestare la sua concretezza, nel senso che l’annullamento degli atti gravati deve risultare idoneo ad arrecare al ricorrente un’effettiva utilità, con la conseguenza che il gravame dell’aggiudicazione, che non sia finalizzato ad ottenere la rinnovazione della gara, dev’essere sorretto, per essere ritenuto ammissibile, dalla c.d. prova di resistenza e, cioè, dalla dimostrazione a priori che, se le operazioni si fossero svolte correttamente, la ricorrente sarebbe risultata con certezza aggiudicataria (in termini Consiglio di Stato, III, 09.03.2020, n. 1710 con richiami a V, 26.04.2018, n. 2534; III, 17.12.2015, n. 5717 e 08.09.2015, n. 4209).
Nella fattispecie in esame, il criterio di aggiudicazione scelto dalla stazione appaltante era quello del minor prezzo (vedi art. A4 della lettera d’invito), relativamente al quale la posizione in graduatoria delle offerte non seguiva a una valutazione di carattere tecnico-discrezionale, bensì a un mero riscontro automatico dell’offerta economica.
Pur essendo vero che tale riscontro può essere effettuato anche dal giudice amministrativo, è, però, necessario che questi sia posto nelle condizioni di effettuare la prova di resistenza con l’indicazione del ribasso offerto dall’impresa esclusa, così da verificare se lo stesso è maggiore di quello indicato dall’aggiudicataria e dar atto che, in caso di annullamento dell’esclusione, si ha la certezza dell’aggiudicazione (in modo automatico) della gara (Consiglio di Stato, V, 13.11.2020, n. 7000).
Nella specie la ricorrente sostiene labialmente di aver prodotto la offerta, ma questa non risulta dai documenti allegati; non ha, peraltro, nemmeno indicato il ribasso negli scritti difensivi, in quanto si è limitata ad affermare che “con la riammissione in gara può legittimante anche aspirare ad un ricalcolo della soglia atteso che ancora non si è perfezionata l’aggiudica a favore della contro interessata”.
Ne deriva che questo giudice non è nelle condizioni di verificare la sussistenza dell’interesse all’impugnazione dell’aggiudicazione che, peraltro, la stessa ricorrente ha ancorato a un presupposto in fatto (ricalcolo della soglia) che non può realizzarsi, in quanto in contrasto con l’art. 95, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016; il ricorso va, pertanto, come detto, dichiarato inammissibile per la parte in cui ha ad oggetto l’aggiudicazione.
2.2. A diversa conclusione deve, però, giungersi relativamente all’impugnazione dell’esclusione, la quale costituisce l’oggetto principale del giudizio, in quanto, come chiarito negli scritti difensivi, il bene della vita a cui aspira la ricorrente è quello di evitare l’annotazione nel casellario informatico dell’ANAC.
Va, sotto tale profilo, richiamato il condiviso orientamento giurisprudenziale secondo cui, qualora il ricorrente intenda contestare (ma anche prevenire l’adozione di, ndr) provvedimenti lesivi (quali la segnalazione all’ANAC e l’incameramento della cauzione), che discendono direttamente dalla disposta esclusione, non rileva la circostanza che non abbia articolato censure avverso il provvedimento conclusivo della gara (o che la relativa impugnazione sia irrituale, ndr), in quanto va, comunque, riconosciuta la sussistenza di un interesse (patrimoniale e/o morale) a contestare l’esclusione (per tutte Consiglio di Stato, IV, 29.07.2016, n. 3433).
Deve, peraltro, per completezza rilevarsi che, qualora s’imponesse, in casi analoghi a quelli in esame, la contestazione dell’aggiudicazione, si attiverebbe un circuito vizioso, che si tradurrebbe nella lesione del diritto alla tutela giudiziaria, in quanto il concorrente: da un lato, non potrebbe contestare solo ed esclusivamente la propria estromissione dalla gara; dall’altro lato, non avrebbe nemmeno titolo per contrastare la propria iscrizione all’ANAC, perché questa deriva in via automatica e obbligata dall’esclusione (e dalla conseguente segnalazione).
Ne consegue che, come anticipato, il ricorso va ritenuto ammissibile per la parte avente ad oggetto l’esclusione.
...
4. Ciò posto in rito, può procedersi all’esame dell’unico motivo di ricorso, avente ad oggetto l’insussistenza dei presupposti per l’esclusione dalla gara, che è fondato.
Invero, l’estromissione è avvenuta in applicazione dell’art. 48, comma 7, secondo periodo del d.lgs. n. 50 del 2016 a seguito dell’accertamento, da parte del seggio di gara, della partecipazione sia del Consorzio Stabile CIS, il quale non aveva designato nessuna esecutrice, che delle imprese consorziate “N. st.” s.r.l. (ricorrente) e “Pe. co.” s.r.l..
Orbene, la disposizione succitata, dopo avere disposto che i concorrenti non possono partecipare alla gara in forma individuale e in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti, statuisce che:
   - i consorzi stabili sono tenuti a indicare, in sede di offerta, per quali consorziati concorrono;
   - a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara;
   - in caso di violazione sono esclusi dalla gara sia il consorzio che il consorziato e si applica l’articolo 353 del codice penale.
In ordine all’interpretazione di tale disposizione si riscontrano due orientamenti giurisprudenziali, di cui il primo trova espressione nella sentenza del TAR Emilia Romagna n. 851 del 2019 (richiamata dalla stazione appaltante e dalla controinteressata) nella quale si è affermato che l’onere di indicare l’impresa consorziata per la quale il consorzio stabile concorre costituisce adempimento necessario al fine di evitare il divieto di partecipazione alla gara e che solo tale specifica indicazione consente di superare la necessaria presunzione di conflitto d’interessi derivante dalla contemporanea partecipazione di una consorziata tramite il consorzio e in un’altra forma. Si è, altresì, rilevato che si tratta di una disciplina che segna un punto di equilibrio tra il principio di garanzia della genuinità delle offerte e quello di libertà d’impresa, tenuto conto di quelli ulteriori di libera concorrenza in ambito europeo.
A tale orientamento si contrappone quello secondo cui l’automatico divieto di partecipazione a una gara, tanto a carico del consorzio stabile quanto della consorziata non indicata quale esecutrice, potrebbe giustificarsi solo laddove un’indagine in concreto dimostri che il rapporto fra i relativi organi conduca a individuare un unico centro decisionale e la mera partecipazione dell’impresa a un determinato consorzio stabile non può fornire elementi univoci in tal senso, tali da fondare una vera e propria praesumptio juris et de jure, che si traduce in una sorta di sillogismo categorico circa l’esistenza di un’unicità di rapporti fra consorzio stabile e proprie consorziate (in termini Consiglio di Stato, V, 16.02.2015, n. 801).
Il collegio, dopo attenta riflessione, ritiene di aderire al secondo orientamento per le ragioni indicate nel precedente succitato, alle quali vanno aggiunte le seguenti.
Deve, in primo luogo, rilevarsi che, prima dell’adozione del codice degli appalti, la fattispecie in questione era disciplinata dall’art. 36, quinto comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 (codice dei contratti) il quale, nella sua versione originaria, antecedente alle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lettera f, del d.lgs. n. 152 del 2008, conteneva un divieto generalizzato di “partecipazione alla medesima procedura di affidamento del consorzio stabile a dei consorziati” con comminatoria di applicazione dell’art. 353 c.p. in caso di inosservanza.
In ordine a tale disposizione è intervenuta la Corte di giustizia UE che, con la sentenza 23.12.2009, Serrantoni, C-376/08, ha affermato che la previsione dell’esclusione automatica del consorzio stabile e delle imprese che lo compongono, le quali hanno partecipato in concorrenza alla stessa procedura di affidamento di un pubblico appalto, viola i principi del Trattato in quanto pone una presunzione assoluta d’interferenza reciproca anche nel caso in cui il primo non sia intervenuto nel procedimento per conto delle seconde e non consente agli operatori di dimostrare che le loro offerte sono state formulate in modo pienamente indipendente.
Ha, altresì, affermato che il conseguente obbligo assoluto di esclusione gravante sulle stazioni appaltanti è in contrasto con l’interesse comunitario a che sia garantita la partecipazione più ampia possibile di offerenti a una gara d’appalto e va oltre quanto necessario per raggiungere l’obbiettivo consistente nel garantire l’applicazione dei principi di parità di trattamento e di trasparenza.
Ha concluso nel senso che il diritto comunitario dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che dispone l’esclusione automatica dalla partecipazione alle procedura di gara e l’irrogazione di sanzioni penali nei confronti tanto del consorzio stabile quanto delle imprese che ne sono membri, le quali hanno presentato offerte concorrenti nell’ambito dello stesso procedimento, anche quando l’offerta di detto consorzio non sia stata presentata per conto e nell’interesse di tali imprese.
Giova rilevare che i su riportati principi sono conformi alla giurisprudenza costante della Corte di Giustizia UE secondo cui l’esclusione automatica di candidati o di offerenti che si trovino in una situazione di controllo o di collegamento con altri offerenti eccede quanto necessario per prevenire comportamenti collusivi e, pertanto, per garantire l’applicazione del principio della parità di trattamento e il rispetto dell’obbligo di trasparenza (v., in tal senso, sentenze del 19.05.2009, Assitur, C-538/07, EU:C:2009:317, punto 28; del 23.12.2009, Serrantoni e Consorzio stabile edili, C-376/08, EU:C:2009:808, punti 38 e 40, nonché del 22.10.2015, Impresa Edilux e SICEF, C-425/14, EU:C:2015:721, punti 36 e 38).
Essi sono stati di recente ribaditi nella sentenza dell’08.02.2018, Lloyd’s of London, C-144/17 in cui si è affermato che l’esclusione automatica costituisce una presunzione assoluta d’interferenza reciproca nelle rispettive offerte, per uno stesso appalto, d’imprese legate da una situazione di controllo o di collegamento, la quale, in quanto esclude la possibilità di dimostrare l’indipendenza delle loro offerte, è in contrasto con l’interesse dell’Unione a che sia garantita la partecipazione più ampia possibile di offerenti a una gara d’appalto (v. punto 36).
Si è, altresì, affermato che il rispetto del principio di proporzionalità richiede che l’amministrazione aggiudicatrice sia tenuta a esaminare e valutare i fatti, al fine di accertare se il rapporto sussistente tra due entità abbia esercitato un’influenza concreta sul rispettivo contenuto delle offerte depositate nell’ambito di una medesima procedura di aggiudicazione pubblica, e la constatazione di una simile influenza, in qualunque forma, è sufficiente affinché le suddette imprese possano essere escluse dalla procedura (v. punto 38).
Le conclusioni a cui è giunta la Corte di Giustizia, nella succitata sentenza 23.12.2009, Serrantoni, C-376/08, sono, a ben vedere, pienamente coerenti con la peculiare natura dei consorzi stabili, i quali, secondo la definizione data dall’art. 45, comma 2, lettera c), del d.lgs.vo n. 50 del 2016, sono soggetti formati da non meno di tre imprenditori consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, hanno stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa.
Trattasi, pertanto, di aggregazioni durevoli di vari soggetti imprenditoriali, che possiedono autonoma personalità e operano all’esterno come un’unica impresa distinta da quella dei consorziati, le quali si differenziano dai consorzi ordinari e dai raggruppamenti temporanei in quanto sono astrattamente idonei a operare con un’autonoma struttura di impresa e sono, pertanto, capaci di eseguire, anche in proprio, le presentazioni previste nel contratto, ferma restando, ovviamente, la facoltà di demandare l’esecuzione, nei limiti consentiti, alle consorziate (in termini, recentemente, Consiglio di Stato, VI, 13.10.2020, n. 6165 e III, 04.02.2019, n. 865).
Ne consegue che il Consorzio stabile, il quale partecipa a una gara d’appalto in proprio deve ritenersi -in linea di principio- un soggetto distinto dai consorziati, con conseguente irragionevolezza, sotto il profilo della sproporzione, dell’esclusione automatica di tutti i soggetti imprenditoriali che ne fanno parte non designati quali esecutori.
Rimane ovviamente salvo il potere/dovere della stazione appaltante di verificare l’esistenza in concreto di un collegamento tra il Consorzio stabile e le imprese consorziate o tra queste ultime che possa fare ritenere che le offerte sono espressione di un unico centro decisionale con conseguente alterazione della concorrenza; non sono, invece, ammissibili meccanismi automatici i quali sono, come detto, sproporzionati.
Nella fattispecie in esame il Consorzio stabile CIS ha partecipato in proprio senza designare imprese consorziate e la stazione appaltante non ha individuato elementi indiziari plurimi, precisi e concordanti atti a suffragare il giudizio di riconducibilità dell’offerta presentata dalla consorziata NG strade s.r.l. a un unico centro decisionale, cosicchè la disposta esclusione automatica deve ritenersi illegittima (
TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 30.11.2021 n. 3318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVIIl provvedimento favorevole annullato tra legittimo affidamento, buona fede, correttezza, illegittimità evidente e responsabilità: la pronuncia della Plenaria.
L’Adunanza plenaria tratteggia perimetro, presupposti e limiti della responsabilità della p.a. discendente dal ragionevole affidamento del privato in ordine al legittimo esercizio del potere pubblico e all’operato della pubblica amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, anche nell’ipotesi di provvedimento favorevole successivamente annullato.
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Pubblica amministrazione – Violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede – Responsabilità civile – Presupposti e limiti
L’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:
   a) “Nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti al pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi”.
   b) “La responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento”.
   c) “Nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa” (1).

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    (1) I. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato -alla quale la seconda sezione del Consiglio di Stato con ordinanza 06.04.2021, n. 2753 (oggetto della News US in data 04.05.2021) aveva deferito alcune questioni interpretative- con articolata motivazione ha perimetrato la configurabilità dell’affidamento del privato sull’operato della p.a. e la connessa responsabilità di quest’ultima anche in relazione alle procedure riguardanti i contratti pubblici e in ipotesi di annullamento di provvedimento favorevole.
   II. – La vicenda contenziosa che ha condotto al giudizio dinanzi al giudice d’appello si è articolata nelle fasi di seguito descritte:
      a) all’esito dell’aggiudicazione di una gara disposta dal Comune di Carinola, taluni soggetti partecipanti alla medesima gara hanno proposto domanda di annullamento, la quale è stata rigettata con sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, 20.07.2007, n. 6857;
      b) tale sentenza è stata riformata dal Consiglio di Stato (sez. V, 09.12.2008, n. 6058), con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento dell’aggiudicazione;
      c) il Comune ha, quindi, preso atto della pronuncia di annullamento ed ha, a sua volta, formalmente revocato l’aggiudicazione definitiva della gara; 
      d) con successivo ricorso, l’originaria aggiudicataria ha chiesto condannarsi l’amministrazione al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, limitato al solo interesse negativo: in accoglimento della stessa domanda, con sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, 03.10.2012, n. 4017, il Comune di Carinola ‒in considerazione che l’affidamento asseritamente ingenerato si sostanzierebbe nella buona fede dell’impresa interessata all’effettivo conseguimento dell’utilitas rappresentata dall’aggiudicazione e che siffatto affidamento sarebbe derivato da un comportamento colpevole dell’ente pubblico‒ è stato condannato al risarcimento del danno, con quantificazione della somma dovuta ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a.;
      e) la parte pubblica ha, quindi, proposto appello avverso detta sentenza censurandone la statuizione di condanna per equivalente e, nel relativo giudizio, si è innestato il deferimento all’Adunanza plenaria di cui trattasi.
   III. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria giunge alla elaborazione delle massime riportate sulla base del seguente percorso argomentativo:
      f) sulla possibilità che il provvedimento amministrativo possa essere per il soggetto beneficiario fonte di un “legittimo e qualificato affidamento”, la cui lesione per effetto del successivo annullamento in sede giurisdizionale lo legittimi a domandare il risarcimento del danno nei confronti dell’amministrazione:
         f1) l’affidamento nella legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione e più in generale sulla correttezza del suo operato è riconosciuto dalla risalente giurisprudenza dell’Adunanza plenaria come situazione giuridica soggettiva tutelabile attraverso il rimedio del risarcimento del danno;
         f2) l’affermazione di principio può essere fatta risalire alla sentenza del 05.09.2005, n. 6 (in Foro it., 2009, III, 124; Cons. Stato, 2005, I, 1440, con nota di RUBULOTTA): nell’applicare le norme sull’evidenza pubblica la p.a. è soggetta alle “norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune”;
         f3) malgrado la legittimità dell’intervento in autotutela, l’Adunanza plenaria ha riconosciuto il risarcimento per la lesione dell’affidamento maturato dall’aggiudicataria sulla conclusione del contratto, una volta che la sua offerta era stata selezionata in gara come la migliore ed era stato emesso a suo favore il provvedimento definitivo;
         f4) negli stessi termini l’Adunanza plenaria si è più di recente espressa con la sentenza 04.05.2018, n. 5 (in Foro it., 2018, III, 453, con nota di MIRRA; Giur. it., 2018, 1983, con nota di COMPORTI; Corriere giur., 2018, 1547, con nota di TRIMARCHI BANFI; Urbanistica e appalti, 2018, 639, con nota di GIAGNONI; Appalti & Contratti, 2018, 5, 67 (m), con nota di USAI; Guida al dir., 2018, 23, 88, con nota di CLARICH, FONDERICO; Resp. civ. e prev., 2018, 1594, con nota di FOÀ, RICCIARDO CALDERARO; Rass. avv. Stato, 2019, 1, 160, con nota di IZZI; Riv. trim. appalti, 2019, 1071, con nota di BEVIVINO, nonché oggetto della News US 09.05.2018);
         f5) secondo i principi formulati nei precedenti ora richiamati, le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti:
I) uno relativo alla validità degli atti amministrativi;
II) l’altro concernente invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte;
         f6) oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi: l’”ordinaria possibilità che una responsabilità da comportamento scorretto sussista nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il procedimento” è stata in particolare affermata dalla citata pronuncia Cons. Stato, Ad. plen. 04.05.2018, n. 5, cit., in cui si è anche precisato che la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione nelle procedure di affidamento di contratti pubblici è una responsabilità “da comportamento illecito, che spesso non si traduce in provvedimenti illegittimi, ma, per molti versi, presuppone la legittimità dei provvedimenti che scandiscono la parabola procedurale”;
         f7) più di recente è stato affermato, su un piano generale, che l’affidamento “è un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività” (Cons. Stato, sez. VI, 13.08.2020, n. 5011): pur sorto nei rapporti di diritto civile, con lo scopo di tutelare la buona fede ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata (e di cui sono applicazioni concrete, tra le altre, la “regola possesso vale titolo” ex art. 1153 cod. civ., l’acquisto dall’erede apparente di cui all’art. 534 cod. civ., il pagamento al creditore apparente ex art. 1189 cod. civ. e l’acquisto di diritto di diritti dal titolare apparente ex artt. 1415 e 1416 cod. civ.), l’affidamento è ormai considerato canone ordinatore anche dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, ossia quelli che si instaurano nell’esercizio del potere pubblico, sia nel corso del procedimento amministrativo sia dopo che sia stato emanato il provvedimento conclusivo;
         f8) a conferma della descritta evoluzione si pone l’art. 1, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, il quale dispone che: “(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (comma aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera 0a), legge 11.09.2020, n. 120; di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali”);
         f9) la disposizione ora richiamata ha positivizzato una regola di carattere generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo è il luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo:
I) per il migliore esercizio della discrezionalità amministrativa il procedimento necessita pertanto dell’apporto dei soggetti a vario titolo interessati, nelle forme previste l. n. 241 del 1990;
II) concepito in questi termini, il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata;
III) in ragione di ciò esso si rivolge all’amministrazione e ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento;
IV) a fronte del dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede possono pertanto sorgere aspettative, che per il privato istante si indirizzano all’utilità derivante dall’atto finale del procedimento, la cui frustrazione può essere per l’amministrazione fonte di responsabilità;
V) inoltre la lesione dell’aspettativa può configurarsi non solo in caso di atto legittimo, ma anche nel caso di atto illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale;
VI) anche in questa seconda ipotesi può infatti darsi il caso che il soggetto beneficiario dell’atto per sé favorevole abbia maturato un’aspettativa ragionevole alla sua stabilità, che dunque può essere ingiustamente lesa per effetto dell’annullamento in sede giurisdizionale;
      g) sui limiti entro cui può essere riconosciuto il risarcimento per lesione dell’affidamento, con particolare riguardo all’ipotesi di aggiudicazione di appalto, successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale:
         g1) si tratta del settore dell’attività della pubblica amministrazione in cui tradizionalmente e più volte è stata riconosciuta la responsabilità di quest’ultima: le ragioni alla base dell’orientamento di giurisprudenza favorevole al privato venutosi a creare in questo settore si spiega sulla base del fatto che, sebbene svolta secondo i moduli autoritativi ed impersonali dell’evidenza pubblica, l’attività contrattuale dell’amministrazione è nello stesso tempo inquadrabile nello schema delle trattative pre-negoziali, da cui deriva quindi l’assoggettamento al generale dovere di “comportarsi secondo buona fede” enunciato dall’art. 1337 del codice civile (come chiarito dall’Adunanza plenaria nelle sopra citate pronunce del 05.09.2005, n. 6, e del 04.05.2018, n. 5, citt.);
         g2) per comune acquisizione di diritto civile, la tutela risarcitoria per responsabilità precontrattuale è posta a presidio dell’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, e dunque del più generale interesse di ordine economico a che sia assicurata la serietà dei contraenti nelle attività preparatorie e prodromiche al perfezionamento del vincolo negoziale: la reintegrazione per equivalente è pertanto ammessa non già in relazione all’interesse positivo, corrispondente all’utile che si sarebbe ottenuto dall’esecuzione del contratto, riconosciuto invece nella responsabilità da inadempimento, ma dell’interesse negativo, con il quale sono ristorate le spese sostenute per le trattative contrattuali e la perdita di occasioni contrattuali alternative, secondo la dicotomia ex art. 1223 cod. civ. danno emergente–lucro cessante;
         g3) applicata all’evidenza pubblica, la responsabilità precontrattuale sottopone l’amministrazione alla duplice soggezione alla legittimità amministrativa e agli obblighi di comportamento secondo correttezza e buona fede, i quali costituiscono, come in precedenza esposto, profili tra loro autonomi, e da cui può rispettivamente derivare l’annullamento degli atti adottati nella procedura di gara e le responsabilità per la sua conduzione (da ultimo in questo senso: Cons. Stato, sez. V, 12.07.2021, n. 5274; 12.04.2021, n. 2938; 02.02.2018, n. 680);
         g4) nei rapporti di diritto civile, affinché un affidamento sia legittimo occorre tuttavia che esso sia fondato su un livello di definizione delle trattative tale per cui la conclusione del contratto, di cui sono già stati fissati gli elementi essenziali, può essere considerato come uno sbocco prevedibile, e rispetto al quale il recesso dalle trattative, in linea di principio libero, risulti invece ingiustificato sul piano oggettivo e integrante una condotta contraria al dovere di buona fede ex art. 1337 cod. civ. (ex multis: Cass. civ., sez. II, 15.04.2016, n. 7545; sez. III, 29.03.2007, n. 7768);
         g5) analogamente, per diffusa opinione nella giurisprudenza amministrativa (da ultimo: Cons. Stato, sez. II, 20.11.2020, n. 7237), l’affidamento è legittimo quando sia stata pronunciata l’aggiudicazione definitiva, cui non abbia poi fatto seguito la stipula del contratto, ed ancorché ciò sia avvenuto nel legittimo esercizio dei poteri della stazione appaltante;
         g6) ne discende che:
I) l’aggiudicazione è considerata il punto di emersione dell’affidamento ragionevole, tutelabile pertanto con il rimedio della responsabilità precontrattuale;
II) il recesso ingiustificato assume i connotati provvedimentali tipici della revoca o dell’annullamento d’ufficio della gara, che interviene a vanificare l’aspettativa dell’aggiudicatario alla stipula del contratto e che, pur legittimo, non vale quindi ad esonerare l’amministrazione da responsabilità per avere inutilmente condotto una procedura di gara fino all’atto conclusivo ed avere così ingenerato e fatto maturare il convincimento della sua positiva conclusione con la stipula del contratto d’appalto;
         g7) in senso parzialmente diverso si è espressa la sentenza Cass. civ., sez. I, 03.07.2014, n. 15260 (in Foro it., 2015, I, 643, con nota di GALLI), la quale ha affermato che:
I) l’affidamento del concorrente ad una procedura di affidamento di un contratto pubblico è tutelabile “indipendentemente da un affidamento specifico alla conclusione del contratto”;
II) la stazione appaltante è quindi responsabile sul piano precontrattuale “a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante”;
         g8) l’apparente contrasto rispetto agli approdi della giurisprudenza amministrativa deve tuttavia essere ridimensionato: la stessa giurisprudenza amministrativa ha negato rilievo dirimente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, laddove ha in particolare affermato che la verifica di un affidamento ragionevole sulla conclusione positiva della procedura di gara va svolta in concreto, in ragione del fatto che “il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale” (Cons. Stato, sez. V, 15.07. 2013, n. 3831, in Contratti, 2014, 146, con nota di PASSARELLA; Rass. avv. Stato, 2014, 1, 173, con nota di ROMEO);
         g9) nella medesima prospettiva di un accertamento in concreto degli elementi costitutivi della responsabilità precontrattuale si è del resto espressa la Plenaria con sentenza 04.05.2018, n. 5, cit., secondo cui la responsabilità precontrattuale può insorgere “anche prima dell’aggiudicazionee possa derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai più volte richiamati doveri di correttezza e buona fede”;
         g10) più in generale, l’Adunanza plenaria ha precisato che la tutela civilistica della responsabilità precontrattuale, pur nel quadro del principio generale dell’autonomia negoziale delle parti, ivi compresa l’amministrazione, opera nel senso di assicurare la serietà delle trattative finalizzate alla conclusione del contratto, per cui essa costituisce il punto di equilibrio tra:
I) la libertà contrattuale della stazione appaltante e la discrezionalità nell’esercizio delle sue prerogative pubblicistiche da una parte;
II) rispetto del limite della correttezza e della buona fede, dall’altro;
         g11) individuato un primo requisito dell’affidamento tutelabile nella sua ragionevolezza e nel correlato carattere ingiustificato del recesso, il secondo consiste nel carattere colposo della condotta dell’amministrazione, nel senso che la violazione del dovere di correttezza e buona fede deve essere imputabile quanto meno a colpa, secondo le regole generali valevoli in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. (in questo senso va ancora richiamato Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2018, n. 5, cit.);
         g12) l’affidamento del concorrente, a sua volta, non deve essere inficiato da colpa: sul punto va richiamato l’art. 1338 cod. civ., il quale assoggetta a responsabilità precontrattuale la “parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte”, ed in base al quale viene escluso il risarcimento se la conoscenza di una causa invalidante il contratto è comune ad entrambe le parti che conducono le trattative, poiché nessuna legittima aspettativa di positiva conclusione delle trattative può mai dirsi sorta (in questo senso, di recente: Cass. civ, sez. lav., ordinanza 31.01.2020, n. 2316;
III, sentenza 18.05.2016, n. 10156; sentenza 05.02.2016, n. 2327);
         g13) il profilo in esame ha rilievo rispetto al potere di annullamento d’ufficio della procedura di gara, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, che opera in modo distinto rispetto alla revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies della medesima legge sul procedimento amministrativo, perché interviene non già come rivalutazione dell’interesse pubblico sotteso all’affidamento del contratto, secondo l’ampia definizione del potere di revoca data dalla disposizione da ultimo richiamata, ma per rimuovere un vizio di legittimità degli atti della procedura di gara: se pertanto il motivo di illegittimità che ha determinato la stazione appaltante ad annullare in autotutela la gara è conoscibile dal concorrente, la responsabilità della prima deve escludersi (in questo senso: Cons. Stato, V, 23.08.2016, n. 3674, che ha affermato al riguardo che “al fine di escludere la risarcibilità del pregiudizio patito dal privato a causa dell’inescusabilità dell’ignoranza dell’invalidità dell’aggiudicazione, che il giudice deve verificare in concreto se il principio di diritto violato sia conosciuto o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell’univocità dell’interpretazione della norma di azione e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità”);
         g14) peraltro, l’elemento della colpevolezza dell’affidamento si modula diversamente nel caso in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto d’ufficio dall’amministrazione ma in sede giurisdizionale: in questo secondo caso emergono con tutta evidenza i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio (con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui ai sensi dell’art. 29 c.p.a. l’azione deve essere proposta, e di difenderlo);
         g15) la situazione che viene così a crearsi induce, per un verso, ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio.
   IV. – Si segnala, per completezza, quanto segue:
      h) sulla nozione di affidamento (legittimo): Cons. Stato, sez. II, ordinanza 09.03.2021, n. 2013 (oggetto della News US in data 26.03.2021), secondo cui:
         h1) “l’affidamento è un istituto giuridico che taglia trasversalmente l’intero ordinamento giuridico e senza dubbio assume rilievo nei rapporti tra i privati e le pubbliche amministrazioni, anche nelle fattispecie in cui vi è esercizio di potere di natura pubblicistica”;
         h2) l’affidamento non è “un diritto soggettivo, come, invece, autorevolmente sostenuto da parte della giurisprudenza, bensì una situazione giuridica soggettiva dai tratti peculiari propri, idonea a fondare una particolare responsabilità, che si colloca tra il contratto e il torto civile”;
         h3) “ad ogni modo, per aversi un affidamento giuridicamente tutelabile in capo al privato, occorre, da un lato, una condotta della pubblica amministrazione connotata da mala fede o da colpa in grado di far sorgere nell’interessato, versante in una condizione di totale buona fede, un’aspettativa al conseguimento di un bene della vita e, dall’altro, che la fiducia riposta da quest’ultimo in un esito del procedimento amministrativo a lui favorevole sia ragionevole e non colposamente assunta come fondata”;
         h4) ”in sostanza, ai fini della sussistenza dell’affidamento, il privato che ha interloquito con la pubblica amministrazione non soltanto non deve averla condotta dolosamente o colposamente in errore, ma deve aver aspettativa qualificata, ovverosia basata su una pretesa legittima alla luce del quadro ordinamentale applicabile al caso di specie”;
         h5) “va peraltro sottolineato che, ai fini dell’affidamento, l’ipotesi di annullamento del provvedimento favorevole in sede giurisdizionale va tenuta chiaramente distinta da quella di annullamento d’ufficio in autotutela e, ancor più, dalla revoca, atteso che, a fronte del medesimo petitum risarcitorio, le causae petendi sono differenti. In questi secondi casi, infatti, l’eventuale affidamento del privato (ammesso che vi sia) verrebbe pregiudicato da un condotta dell’amministrazione, la quale modifica unilateralmente, melius re perpensa o alla luce di sopravvenienze, l’assetto d’interessi precedentemente delineato nell’esercizio del suo potere pubblicistico, mentre nel primo caso il potenziale affidamento verrebbe leso da un provvedimento promanante dal potere giurisdizionale, nei cui confronti non può esserci in radice, per la natura terza del giudice, alcuna aspettativa qualificata ‒e dunque tutelabile mediante ristoro patrimoniale‒ all’accoglimento delle proprie ragioni. Ne discende che l’annullamento del provvedimento amministrativo in sede giurisdizionale non può mai ridondare in una lesione di un affidamento legittimo, idonea a fondare una domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione”;
      i) sul diritto al risarcimento da lesione dell’affidamento verso un provvedimento amministrativo illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale:
         i1) per l’indirizzo non favorevole:
I) Cons. Stato, sez. IV, sentenza 29.10.2014, n. 5346, in Urbanistica e appalti, 2015, 181, con nota di D'ANGELO, secondo cui “Posto che anche nel diritto amministrativo sono applicabili i principi generali in virtù dei quali l'ignoranza della legge non scusa e non può fondatamente chiedere il risarcimento dei danni chi ne abbia con sua colpa cagionato la sua verificazione, non può dolersi di aver subìto un danno chi -per una qualsiasi evenienza e con un provvedimento espresso, ovvero a seguito di un silenzio-assenso o una s.c.i.a.- abbia ottenuto un titolo abilitativo presentando un progetto oggettivamente non assentibile: in tal caso, infatti, il richiedente sotto il profilo soggettivo ha manifestato quanto meno una propria colpa (nel presentare il progetto assentibile soltanto contra legem) e sotto il profilo oggettivo attiva con efficacia determinante il meccanismo causale idoneo alla verificazione del danno (in applicazione del principio di diritto enunciato è stata rigettata la domanda di risarcimento del danno avanzata dal costruttore che si lamentava del ritardo dell'amministrazione comunale nel pronunciarsi sulle istanze di condono avanzate conseguentemente all'annullamento in sede giurisdizionale delle concessioni edilizie inizialmente assentite, ancorché presentate in contrasto con gli strumenti urbanistici)”;
II) Cons. Stato, sez. V, 17.01.2014, n. 183 (in Giornale dir. amm., 2014, 704, con nota di MAGRI; Guida al dir., 2014, 7, 66, con nota di CORRADO; Danno e resp., 2014, 939, con nota di MAZZOLA), secondo cui “In tema di lesione dell'interesse legittimo imputato ad un provvedimento favorevole illegittimo che venga successivamente annullato in sede giurisdizionale, e in assenza di altra statuizione di legge, trovano applicazione i principi relativi all'illecito aquiliano”;
         i2) per l’indirizzo favorevole:
I) Cons. Stato, sez. IV, 20.12.2017, n. 5980, in Foro amm., 2017, 2384, secondo cui “Quando il risarcimento è fondato sulla lesione dell'affidamento in conseguenza dell'emanazione di un atto illegittimo perché annullato in autotutela o in via giurisdizionale, non ci si duole del danno derivante dall'illegittimo esercizio di un potere amministrativo in senso sfavorevole al privato, bensì di un comportamento conseguenza del precedente esercizio del potere amministrativo in favore del danneggiato; pertanto, il provvedimento amministrativo -che aveva concesso il diritto ad edificare e che, perché illegittimo, legittimamente è stato posto nel nulla e quindi non rileva più come provvedimento che rimuove un ostacolo all'esercizio di un diritto- continua a rilevare per i proprietario del fondo o il titolare di altro diritto, che lo abiliti a costruire sul fondo, esclusivamente quale mero comportamento degli organi che hanno provveduto al suo rilascio, integrando così, ex art. 2043 c.c., gli estremi di un atto illecito per violazione del principio del neminem laedere, imputabile alla p.a. e in virtù del principio di immedesimazione organica, per avere tale atto con la sua apparente legittimità ingenerato nel suo destinatario l'incolpevole convincimento, avendo questo il diritto di fare affidamento sulla legittimità dell'atto amministrativo e, quindi, sulla correttezza dell'azione amministrativa) di poter legittimamente procedere alla edificazione del fondo”;
II) Tar per la Campania, sez. VIII, 03.10.2012, n. 4017 (in Urbanistica e appalti, 2013, 93, con nota di CAPUTO), secondo cui “La colpevole negligenza nella stesura del bando, causa d'annullamento dell'aggiudicazione, integra gli estremi della responsabilità precontrattuale della stazione appaltante”;
III) Cons. Stato, sez. VI, 05.09.2011, n. 5002 (in Urbanistica e appalti, 2012, 66, con nota di QUADRI; Giornale dir. amm., 2012, 493 (m), con nota di VITALE), secondo cui “Anche se la revoca della gara è legittima, sussiste tuttavia la responsabilità precontrattuale della p.a. per la violazione dei doveri di lealtà e di buona fede di cui all'art. 1337 c.c., a causa degli affidamenti ingenerati nei concorrenti, che solo a procedura quasi ultimata hanno appreso delle risalenti intese tra i ministeri che hanno condotto all'esito contestato, perché, subito dopo la pubblicazione del bando di gara, era già emerso un orientamento oggettivamente contrastante con le scelte operate e sfociate nell'indizione della gara, più volte rinviata, fino alla revoca”;
         i3) con specifico riferimento all’annullamento giurisdizionale di una concessione edilizia per la realizzazione di un nuovo fabbricato in luogo di quello precedente, su ricorso di alcuni titolari di immobili situati nelle vicinanze, cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 19, coeva alla pronuncia in rassegna, resa all’esito di deferimento disposto con ordinanza Cons. Stato, sez. II, 09.03.2021, n. 2013, cit.;
      j) sul legittimo affidamento come elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, cfr. in particolare:
         j1) Corte cost., 09.05.2019, n. 108, in Giur. it., 2019, 2236, con nota di PAGANO; Giur. cost., 2019, 1341, con nota di MABELLINI;
         j2) Corte cost., 27.06.2017, n. 149, in Giur. cost., 2017, 1837, con nota di TRIVELLIN;
         j3) Corte cost., 12.04.2017, n. 73;
         j4) Corte cost., 24.01.2017, n. 16, in Ambiente, 2017, 203, con nota di SPINA;
         j5) Corte cost., 21.07.2016, n. 203, in Rass. dir. farmaceutico, 2016, 789;
         j6) Corte cost., 05.11.2015, n. 216, in Foro it., 2015, I, 3769;
         j7) Corte cost., 31.05.2015, n. 56, in Foro it., 2015, I, 1903;
         j8) Corte cost., 27.06.2012, n. 166, in Foro it., 2012, I, 2229;
         j9) Corte cost., 22.10.2010, n. 302, in Foro it., 2011, I, 327;
         j10) Corte cost., 24.07.2009, n. 236, in Foro it., 2009, I, 2921, con nota di ROMBOLI;
         j11) Corte cost., 09.07.2009, n. 206, in Corriere giur., 2010, 323, con nota di RIZZO;
         j12) Corte cost., 30.01.2009, n. 24, in Giur. cost., 2009, 165, con nota di SPUNTARELLI;
         j13) Corte cost., 03.11.2005, n. 409, in Giur. cost., 2006, 2543, con nota di MATUCCI;
         j14) Corte cost., 07.07.2005, n. 264, in Foro it., 2006, I, 2666;
         j15) Corte cost., 12.11.2002, n. 446, in Giur. it., 2003, 841, con nota di MAURIELLO; Giur. cost., 2002, 3658, con nota di CARNEVALE;
         j16) Corte cost., 04.11.1999, n. 416, in Foro it., 2000, I, 2456, con nota di PASSAGLIA; Mass. giur. lav., 2000, 130, con nota di CELOTTO; Riv. giur. lav., 2000, II, 161, con nota di MAZZIOTTI; Giur. cost., 1999, 3625, con nota di CARNEVALE;
         j17) Corte cost., 10.02.1993, n. 39, in Arch. civ., 1993, 685, con nota di ALIBRANDI; Dir. e pratica lav., 1993, 2429, con nota di ARGENTINO;
         j18) Corte cost., 04.04.1990, n. 155, in Foro it., 1990, I, 3072, con nota di TARCHI; Corriere giur., 1990, 588, con nota di BERTI; Riv. dir. comm., 1990, II, 211, con nota di BRANCADORO; Arch. civ., 1990, 771, con nota di ALIBRANDI;
         j19) Corte cost., 14.07.1988, n. 822, in Cons. Stato, 1988, II, 1378;
         j20) Corte cost., 17.12.1985, n. 349, in Giust. civ., 1986, I, 659;
      k) sul legittimo affidamento rispetto alla retroattività legislativa:
         k1) nella giurisprudenza costituzionale:
I) Corte cost., 20.05.2016, n. 108, la quale richiama il principio del legittimo affidamento espressione di una delle “molteplici declinazioni dell’art. 3 Cost.”;
II) Corte cost., 05.04.2012, n. 78 (in Foro it., 2012, I, 2585, con nota di PALMIERI A.; Contratti, 2012, 445, con nota di D'AMICO; Guida al dir., 2012, 20, 30, con nota di SACCHETTINI; Nuove leggi civ., 2012, 797 (m), con nota di DI GIROLAMO; Banca, borsa ecc., 2012, II, 423, con nota di DOLMETTA, SALANITRO, SEMERARO, TAVORMINA; Giur. it., 2012, 2283, con nota di RIZZUTI; Nuova giur. civ., 2012, I, 1039, con nota di AIELLO; Giur. cost., 2012, 1017, con nota di RESCIGNO; Rass. dir. civ., 2013, 194, con nota di BELLO; Corriere giur., 2013, 19, con nota di PANDOLFINI; Giur. comm., 2012, II, 1176, con nota di MANCINI; Giurisdiz. amm., 2012, IV, 347, con nota di PAGANO) secondo cui “La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (ex plurimis: Corte eur. dir. uomo, sez. II, 07.06.2011, Agrati c. Italia, in Foro it., 2013, IV, 9, con nota di PALMIERI A. […]). Pertanto, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25 Cost.), se giustificato da «motivi imperativi d’interesse generale», che spetta innanzitutto al legislatore nazionale e a questa Corte valutare, con riferimento a principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, nell’ambito del margine di apprezzamento riconosciuto dalla giurisprudenza della Cedu ai singoli ordinamenti statali”;
III) Corte cost., 26.11.2009, n. 311 (in Riv. critica dir. lav., 2009, 901, con nota di ZAMPIERI; Corriere giur., 2010, 619, con nota di CONTI; Giur. cost., 2009, 4657, con nota di MASSA; Riv. it. dir. lav., 2010, II, 389, con nota di AVALLONE; Giur. it., 2010, 2011, con nota di DI SERI;
         k2) nella giurisprudenza CEDU, tra le tante:
I) Corte eur. dir. uomo, sez. II, 15.11.2012, Lombardi c. Italia;
II) 19.01.2010, Zuccalà c. Italia;
III) grande camera, 29.03.2006, Scordino c. Italia (in Corriere giur., 2006, 929, con nota di CONTI); grande camera, 06.10.2005, Draon c. Francia; sez. IV, 20.07.2004, Back c. Finlandia;
      l) sul legittimo affidamento in relazione a norme interne contrarie all’ordinamento UE: Cons. Stato, Ad. plen., 09.11.2021, n. 18, oggetto della News US in data 29.11.2021;
      m) sul legittimo affidamento rispetto ai mutamenti giurisprudenziali:
         m1) Cons. Stato, Ad. plen., 22.12.2017, n. 13, in Urbanistica e appalti, 2018, 373, con nota di FOLLIERI; Riv. giur. urbanistica, 2018, 123, con nota di ROSSA; Rass. avv. Stato, 2018, 1, 134, con nota di VITULLO, MUCCIO; Dir. proc. amm., 2018, 1133, con nota di CASSATELLA; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 1022, con nota di APERIO BELLA; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 1022, n. APERIO BELLA, PAGLIAROLI; oggetto della News US in data 08.01.2018;
         m2) Cass. civ, sez. un., 11.07.2011, n. 15144, in Guida al dir., 2011, 32, 38, con nota di SACCHETTINI; Corriere giur., 2011, 1392, con nota di CAVALLA, CONSOLO, DE CRISTOFARO; Riv. dir. proc., 2012, 1072, con nota di VANZ; Giusto processo civ., 2011, 1117, con nota di AULETTA; Rass. avv. Stato, 2012, 2, 125, con nota di MELONCELLI; Giur. cost., 2012, 3153, con nota di CONSOLO;
      n) sulla tutela del legittimo affidamento nel diritto UE, in particolare:
         n1) sul legittimo affidamento quale principio UE: Corte di giustizia CE, 03.05.1978, C-112/77, Topfer;
         n2) sullo specifico rapporto tra certezza del diritto e difficoltà interpretative del dato normativo, Corte di giustizia CE, 17.07.1997, C-354/95, The Queen;
         n3) con particolare riferimento alla certezza del diritto nella trasposizione delle direttive, Corte di giustizia CE, 25.07.1991, C-208/90, Emmott;
         n4) sulla chiarezza e precisione della disciplina che impone obblighi a carico del contribuente, Corte di giustizia CE, 09.07.1981, C-169/80, Ammin. dogane Francia, in Foro pad., 1981, IV, 25;
         n5) sui caratteri della chiarezza e della prevedibilità delle norme UE per gli amministrati, Corte di giustizia CE, 12.11.1981, 212-217/80, in Foro it., 1982, IV, 364, con nota di DANIELE;
         n6) sulla certezza del diritto e legittimo affidamento nella modulazione degli effetti temporali della sentenza della Corte di giustizia: tra le più significative, quantunque risalente, cfr. Corte di giustizia CE, 26.04.1988 C-97/86, C-193/86, C-199/86 e C-215/86, Asteris;
         n7) sulla tutela dell’affidamento e ius poenitendi: Corte di giustizia CE, 12.07.1962, C-14/61, Hoogovens; 01.06.1961, C-15/60, Gabriel Simon; 12.07.1957, C-7/56, C-7/57, Algera;
         n8) sulla tutela dell’affidamento quando un operatore economico sia in grado di prevedere un provvedimento a sé sfavorevole: Corte di giustizia CE, sez. I, 14.10.2010, C-67/09, Nuova Agricast Srl e Cofra Srl, in Foro it., 2013, IV, 313, con nota di GRASSO;
         n9) in materia di concorsi, cfr. Corte di giustizia UE grande sezione, 27.11.2012, C-566/10P, Repubblica italiana contro Commissione, in Foro it., 2013, IV, 63, con nota di GRASSO (l’Autore ha evidenziato che in quel caso “la decisione dispiegherà i suoi effetti soltanto come precedente giacché, nel caso concreto, al fine di preservare il legittimo affidamento dei candidati prescelti, la Corte di giustizia ha ritenuto opportuno non rimettere in discussione i risultati dei concorsi espletati. In precedenza, la Corte di giustizia […] aveva affermato che qualora una prova di un concorso generale bandito per la costituzione di una riserva di assunzioni venga annullata, i diritti di un ricorrente che non ha superato tale prova sono adeguatamente tutelati se la commissione giudicatrice e l’autorità che ha il potere di nomina riesaminano le loro decisioni e cercano una soluzione equa per il suo caso senza che sia necessario modificare i risultati del concorso nel loro complesso o annullare le nomine effettuate in esito allo stesso; si tratta infatti di conciliare gli interessi dei candidati svantaggiati da un’irregolarità commessa in occasione di un concorso e gli interessi degli altri candidati”);
         n10) in materia di scommesse, Corte di giustizia UE, sez. I, 20.12.2017, C-322/16, Global Starnet (in Foro it., 2018, IV, 424, con nota di FORTUNATO, nonché oggetto della News US in data 11.01.2018), con la quale la Corte –tra l’altro– ha individuato le condizioni in presenza delle quali il legislatore può intervenire a modificare la disciplina di rapporti concessori in atto aventi ad oggetto giochi leciti;
         n11) in tema di regolarità della concessione degli aiuti di stato:
I) con specifico riferimento agli aiuti finanziari alle banche, Corte di giustizia UE, 03.12.2019, C-414/18, Iccrea Banca, in Giur. comm., 2021, II, 223, con nota di PIERINI, oggetto della News US in data 09.01.2020;
II) Corte giustizia UE, 08.12.2011, C-81/10 P (in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2011, 1545), secondo cui: “L'obbligo di notifica costituisce uno degli elementi fondamentali nel sistema di controllo istituito dal trattato nel settore degli aiuti di stato” ed ancora che: “tenuto conto del carattere imperativo del controllo sugli aiuti di stato svolto dalla commissione, le imprese beneficiarie di un aiuto possono, in linea di principio fare legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto solamente qualora quest'ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dall'art. 88 Ce e un operatore economico diligente deve di norma essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata; in particolare, quando un aiuto è stato versato senza previa notifica alla commissione, ed è pertanto illegittimo in forza dell'art. 88 n. 3, Ce, il beneficiario dell'aiuto non può riporre, a quel punto nessun legittimo affidamento sulla regolarità della concessione dello stesso”;
         n12) in tema di prelievo supplementare-quote latte, Corte di giustizia UE, sez. II, 11.09.2019, C-46/18, Caseificio Sociale San Rocco Soc. coop. a r.l., in Riv. corte conti, 2019, 5, 221 e oggetto della News US in data 15.10.2019; Corte di giustizia CE, 25.03.2004, n. 495/00;
         n13) in tema di appalti pubblici: Corte di giustizia UE, sez. IX, 02.05.2019, C 309/18, Lavorgna s.r.l. (in Riv. corte conti, 2019, 3, 213, con nota di MARZANO; Nuovo notiziario giur., 2019, 539, con nota di SARZOTTI; Riv. trim. appalti, 2019, 1473, con nota di COZZIO; Riv. it. dir. lav., 2019, II, 678, con nota di MACCHIONE, oggetto della News US n. 56 del 13.05.2019) secondo cui “I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE […], devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”;
      o) sulla posizione giuridica di chi entri in relazione con l’Amministrazione pubblica, attraverso un rapporto procedimentalizzato: Cons. Stato, sez. IV, ordinanza 11.05.2021, n. 3701, oggetto della News US in data 28.05.2021, secondo cui:
         o1) “non può essere sottovalutata la natura tipicamente relazionale dell’interesse legittimo pretensivo, e cioè della posizione (che come l’interesse legittimo oppositivo o difensivo) correlativa all’esercizio pur illegittimo del pubblico potere”;
         o2) “l’interesse legittimo pretensivo esprime, ad un tempo, sia l’interesse sostanziale rappresentato dalla pretesa ad ottenere un ‘bene della vita’, sia l’interesse procedimentale per cui il provvedimento finale sia emanato seguendo il procedimento previsto dalla legge”;
         o3) “Non si tratta di un mero interesse ‘occasionalmente protetto’ (adoperando una espressione tipica degli albori della giustizia amministrativa), cioè protetto per il tramite della tutela primaria della legalità amministrativa, bensì di una situazione giuridica immediata, diretta, concreta e personale del privato”;
         o4) “Può risultare dunque artificioso il sovrapporre a una tale posizione giuridica soggettiva –riferibile ad un rapporto di diritto pubblico tra il richiedente e l’Amministrazione- una diversa situazione sostanziale (da richiamare per individuare una ‘diversa’ giurisdizione), basata sul principio del neminem laedere (il cui ambito di efficacia prescinde dalla esistenza di un preesistente rapporto tra danneggiante e danneggiato) o anche su un ‘contatto sociale’”;
         o5) “In quest’ottica prospettica, per considerazioni sistematiche la Sezione ritiene che l’interesse pretensivo risulta di per sé leso quando l’Amministrazione emana il diniego avente natura autoritativa, ovvero resta inerte (risultando illogico e in contrasto con la legge n. 241 del 1990 il ritenere che nel corso del procedimento l’inerzia dell’attività amministrativa –disciplinata dalle leggi amministrative sostanziali e processuali– sia definibile come un comportamento sottoposto al diritto privato)”;
         o6) l’interesse pretensivo:
I) costituisce il presupposto logico-giuridico del diritto che poi vanta il richiedente, qualora in accoglimento della istanza vi sia il rilascio di un permesso, di una concessione, di una licenza o di un altro atto abilitativo ‘comunque denominato’;
II) ridiventa configurabile, allorquando l’Amministrazione in sede di autotutela o il giudice in sede giurisdizionale abbia annullato l’atto abilitativo, estinguendo di conseguenza quel diritto di per sé configurabile solo quando l’atto abilitativo favorevole risulti ancora efficace;
         o7) in altri termini:
I) “quando è annullato (in sede amministrativa o giurisdizionale) il provvedimento favorevole, il più delle volte l’istanza originaria del richiedente non può che risultare infondata e va respinta”;
II) “nella prassi, quando l’Amministrazione dapprima accoglie una istanza e poi annulla il titolo abilitativo perché risultato illegittimo, il secondo provvedimento comporta –anche se ciò non è esplicitato expressis verbis– il rigetto della istanza medesima”;
III) “lo stesso avviene in sostanza quando sia rilasciato un atto abilitativo (ad esempio, un permesso di costruire) e questo sia annullato dal giudice amministrativo su istanza di chi vi abbia interesse”;
IV) “In tal caso, nella prassi l’annullamento dell’espresso titolo abilitativo da parte del giudice amministrativo, in accoglimento del ricorso di chi vi abbia interesse, non sempre è seguito da un formale ed espresso ulteriore provvedimento negativo, di rigetto della originaria istanza”; 
V) “Infatti, a seconda dei casi, l’annullamento del titolo abilitativo da parte del giudice può comportare sia la rinnovazione del procedimento e il rilascio di un ulteriore titolo abilitativo (se ne sussistono tutti i presupposti), oppure la sostanziale fine della vicenda, perché dalla sentenza del giudice amministrativo si desume che il vizio dell’atto abilitativo è di per sé è insanabile, pur se un formale diniego non è emanato dopo la sentenza di annullamento”;
VI) “Ciò che rileva, sul piano sostanziale, è il fatto che –con l’annullamento dell’atto abilitativo– non sussiste più il diritto in precedenza sorto e torna ad esservi un interesse pretensivo che però non può più essere soddisfatto, quando un tale esito sia desumibile dalla sentenza del giudice amministrativo (di cui può anche prendere atto un ulteriore provvedimento, questa volta negativo, conseguente all’annullamento dell’atto abilitativo precedente)”;
         o8) “Allorquando sia stato annullato l’atto abilitativo e dunque non sia più configurabile il diritto ad esso conseguente, l’originario richiedente torna ad essere titolare di un interesse legittimo”;
         o9) “in fondo, si tratta del ripristino della dinamica delle posizioni giuridiche […]: il ricorrente ed il controinteressato, beneficiario in quanto tale dell’atto abilitativo impugnato, sono titolari di contrapposti interessi legittimi nel corso del procedimento, sicché –una volta che la sentenza amministrativa abbia annullato il titolo abilitativo– il controinteressato non risulta più titolare del diritto che era sorto con l’atto ormai annullato”;
         o10) “in altri termini, il controinteressato soccombente va qualificato come titolare di una posizione soggettiva contrapposta e speculare a quella del ricorrente vittorioso, in un quadro nel quale tra di loro e nei confronti dell’Amministrazione non vi sono diritti soggettivi da fare valere”;
         o11) “qualora il controinteressato soccombente nel giudizio di legittimità intenda formulare una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione anch’essa soccombente, la relativa causa petendi riguarda proprio il come è stato in precedenza esercitato il potere amministrativo e si deve verificare se il vizio dell’atto –oltre ad aver comportato il suo annullamento– deve avere conseguenze sul piano risarcitorio”;
      p) sulla condotta della p.a. e l’autodeterminazione dei privati: Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2018, n. 5, cit., secondo cui “Posto che anche nello svolgimento dell'attività autoritativa l'amministrazione è tenuta a rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico, le norme generali dell'ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la loro violazione può configurare una responsabilità da comportamento scorretto, che incide sul diritto soggettivo dei privati di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali”;
      q) sulla responsabilità della pubblica amministrazione e onere della prova:
         q1) sulla pretesa risarcitoria dell’imprenditore fondata sulla lesione dell’affidamento riposto nella condotta della p.a. che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede: Cass. civ., 15.01.2021, n. 615, in Giur. it., 2021, 1147, con nota di DE MARCO, secondo cui “la responsabilità della p.a. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da «contatto sociale qualificato», inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione”;
         q2) Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2021, n. 7, in Foro it., 2021, III, 394, con nota di PALMIERI A., PARDOLESI R., oggetto della News US in data 13.05.2021 la quale ha evidenziato che la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi ha natura di fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale.
La Plenaria ha precisato che anche in caso di danno da ritardo è necessario che sia provato “sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità rispetto alla condotta scorretta che si imputa all’amministrazione”.
La sentenza, inoltre, ha ribadito che il danno da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo, costituendo una speciale ipotesi di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., richiede, ai sensi dell'art. 2697 c.c., la prova da parte del danneggiato di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda, quali: la condotta della pubblica amministrazione, l'elemento psicologico, il danno e il nesso causale tra detta condotta e il danno;
         q3) con particolare riferimento alla responsabilità risarcitoria nel rapporto tra norme di azione e norme di relazione: Cass. civ., sez. I, 05.02.2021, n. 2738, in Foro it., 2021, I, 2452, con nota di MACARIO F.
La sentenza ha evidenziato come una cosa sia la denuncia dell’illegittimità dell’azione amministrativa, altra cosa la denuncia della lesione dell'affidamento del privato nella legittimità di provvedimenti amministrativi ampliativi successivamente annullati o nella mancata adozione di provvedimenti anche ampliativi nei casi in cui il petitum sostanziale consista nella violazione dei canoni della correttezza e buona fede da parte della pubblica amministrazione. In queste ultime ipotesi, la tutela risarcitoria non è, infatti, proposta come rimedio della illegittimità (accertata o da accertare) dell'azione amministrativa o come completamento di una inesistente tutela demolitoria di provvedimenti amministrativi illegittimi sotto il profilo della violazione delle norme di azione.
Il trade union di tale (condivisibile) orientamento è dato dal fatto che in quei casi non è denunciata (o non è chiesto di dichiarare) la illegittimità di provvedimenti amministrativi, manifestandosi una acquiescenza del privato all'assetto di interessi dagli stessi provvedimenti determinato (con il consolidamento del provvedimento diminutivo o del provvedimento di annullamento o revoca di quello ampliativo di determinate facoltà). Ad essere contestata è, piuttosto, la verifica della liceità del comportamento della pubblica amministrazione, evocata in giudizio dal privato su un piano paritetico, dunque dinanzi al giudice ordinario, essendo controverso il rispetto delle norme di relazione (buona fede e correttezza, lesione ingiustificata dell'affidamento, proporzionalità, ecc.) che prescindono dal e soverchiano il rispetto formale delle norme di azione postulanti la tutela dell'interesse legittimo”;
         q4) in tema di affidamento di contratti pubblici: Corte di giustizia UE, 30.09.2010, C-314/09, Graz Stadt (in Urbanistica e appalti, 2011, 398, con nota di GIOVAGNOLI; Giur. it., 2011, 664 (m), con nota di CIMINI; Riv. amm. appalti, 2010, 188 (m), con nota di TOMASSI; Dir. e pratica amm., 2011, 1, 52 (m), con nota di CONTESSA; Foro amm.-Cons. Stato, 2011, 3014 (m), con nota di FELIZIANI);
         q5) sulla responsabilità della p.a. discendente da attività provvedimentale posta in essere sulla base di norma dichiarata incostituzionale: Tar per la Sicilia, sez. st. Catania, sez. I, 30.07.2021, n. 2582;
         q6) sui comportamenti della pubblica amministrazione, anche successivi al bando, lesivi dei principî di buona fede e correttezza, responsabilità precontrattuale e teoria del contatto sociale qualificato: Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2018, n. 5, cit.;
         q7) sul rapporto fra invalidità dell’atto, colpa d’apparato e scusabilità dell’errore della p.a.
I) Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 19, cit., (in termini anche la sentenza 29.11.2021, n. 20, resa all’esito di deferimento disposto con ordinanza Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2021, n. 3701, cit.), secondo cui “il grado della colpa dell’amministrazione, e dunque la misura in cui l’operato di questa è rimproverabile, rileva sotto il profilo della riconoscibilità dei vizi di legittimità da cui potrebbe essere affetto il provvedimento. Al riguardo va ricordato che nel giudizio di annullamento la colpa dell’amministrazione è elemento costitutivo della responsabilità dell’amministrazione nei confronti delricorrente che agisce contro il provvedimento a sé sfavorevole, sebbene essa sia presuntivamente correlata all’illegittimità del provvedimento, per cui spetta all’amministrazione dare la prova contraria dell’errore scusabile. Sulla base di questa presunzione, per il danno da lesione dell’affidamento da provvedimento favorevole, poi annullato, la colpa dell’amministrazione è invece un elemento che ha rilievo nella misura in cui rende manifesta l’illegittimità del provvedimento favorevole al suo destinatario, e consenta di ritenere che egli ne potesse pertanto essere consapevole”;
II) Cons. Stato, sez. IV, 15.03.2021, n. 2193, secondo cui la “colpa amministrativa” è “da intendersi, per giurisprudenza consolidata […], come «colpa d'apparato», ossia come frontale, macroscopica ed inescusabile violazione, da parte dell'Autorità, dei canoni di imparzialità, correttezza e buona fede che debbono sempre conformarne l'azione”;
III) 17.04.2018, n. 2271, secondo cui ‒ “La responsabilità civile della Pubblica Amministrazione derivante da un provvedimento illegittimo è […] di natura extra contrattuale e non oggettiva, e non può prescindere dall'accertamento della colpevolezza”; ‒ “In presenza di atti illegittimi la colpa in astratto si potrebbe presumere, integrando l'accertamento dell'illegittimità, ai sensi degli artt. 2727 e 2729, comma 1, c.c., una forma di presunzione semplice in ordine alla sua sussistenza in capo all'Amministrazione […], tuttavia anch'essa superabile da prova contraria”;
IV) con specifico riferimento all’ipotesi di eccessiva durata di un concorso, 02.10.2017, n. 4570, secondo cui “una procedura concorsuale concernente il reclutamento di oltre mille dirigenti non può avere articolazione temporale breve, e non è affatto dimostrato che, nel caso specifico, l'Amministrazione abbia travalicato i tempi congrui a essa relativi, ossia quei limiti di ragionevolezza, da rapportare alla complessità della selezione anche in ragione del numero dei candidati che la stessa giurisprudenza della Suprema Corte invocata dagli appellanti […] richiama quale limite alla tutela risarcitoria, sotto il profilo dell'imputabilità soggettiva del danno”;
V) 18.07.2017, n. 3520, secondo cui “L'azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo non è […] retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipica del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sul ricorrente gravava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'Amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo svolgimento dell'attività amministrativa di stampo autoritativo, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall'art. 2043 c.c., donde la necessità di verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, compreso il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito”;
         q8) sulla responsabilità precontrattuale della p.a., su un piano generale:
I) un originario orientamento (Cass. civ., sez. un., 05.08.1993, n. 9892, in Corriere giur., 1994, 208, con nota di BATÀ; Resp. civ., 1994, 437, con nota di SBURLATI), escludeva la configurabilità dell responsabilità precontrattuale in capo alla p.a. sul rilievo che essa “non è configurabile con riguardo allo svolgimento del procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, nell'ambito del quale l'aspirante alla stipulazione del contratto è titolare esclusivamente di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta, onde difettano le condizioni strutturali per la configurabilità di «trattative» fra due soggetti e quindi di un diritto soggettivo dell'uno verso l'altro all'osservanza delle regole della buona fede, come stabilito dalla citata norma”;
II) tale impostazione è stata superata per effetto della “scissione del procedimento in una fase negoziale e in una fase amministrativa” (V. LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2021, I, 1379), sicché diviene rilevante il momento di rilevanza della buona fede: un primo orientamento stabilisce che “Per configurare responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione aggiudicatrice occorre che la gara sia giunta ad uno stadio tale da avere ingenerato nel concorrente un affidamento consolidato in ordine alla favorevole conclusione della procedura” (Cons. Stato, sez. V, 14.04.2015, n. 1864, in Foro it., 2015, III, 613, con nota di GALLI;
III) un secondo orientamento ritiene che la buona fede operi con l’esternazione dell’invito ad offrire (Cass. civ., sez. I, 03.07.2014, n. 15260, in Foro it., 2015, I, 643, n. GALLI);
IV) al secondo orientamento ha aderito la Plenaria con sentenza n. 5 del 2018, cit.;
         q9) quanto ai presupposti e sull’(in)efficacia delle clausole che escludono la responsabilità precontrattuale, Cons. Stato, sez. IV, 16.05.2018, n. 2907;
         q10) quanto alla tutela della p.a. nei confronti del privato e perimetro della giurisdizione esclusiva in materia di accordi: Cons. Stato, sez. III, n. 3755 (in Guida al dir., 2016, 40, 84, con nota di MEZZACAPO; Dir. proc. amm., 2017, 677, con nota di ROMANI); Corte cost., 15.07.2016, n. 179, in Foro it., 2016, I, 3047, con nota di TRAVI;
         q11) sulla responsabilità da mancata regolarizzazione contabile, a posteriori, di lavori disposti in via d’urgenza da un ente locale: Corte cost., ordinanza 06.02.2001, n. 26, in Finanza loc., 2001, 711, con nota di OLIVERI;
         q12) sulla responsabilità precontrattuale da revoca della procedura di gara per difficoltà finanziarie: Cons. Stato, sez. V, 13.07.2020, n. 4514 la quale ha, tra l’altro, evidenziato che “Poiché il danno risarcibile per responsabilità precontrattuale -nella prospettiva non sanzionatoria, ma soltanto ripristinatoria, che connota tutto il sistema vigente della responsabilità civile- è commisurato al pregiudizio (sub specie di lesione del c.d. interesse negativo) effettivamente sofferto dalla parte contraente, la sua liquidazione non cambia a seconda della tipologia o della gravità della condotta contraria a buona fede ascritta alla pubblica amministrazione”;
         q13) sulla responsabilità della p.a. in ipotesi di importo dell’appalto calcolato in violazione del prezziario di riferimento: Cons. Stato, sez. V, 05.07.2021, n. 5107, secondo cui “Ammesso pure che la stazione appaltante abbia indicato negli atti di gara un prezzo a base d'asta non remunerativo dell'attività prestata, non è certo incolpevole l'operatore economico che abbia partecipato alla gara con un'offerta al ribasso di detto prezzo. Questi, infatti, è tenuto ad un dovere di correttezza e serietà non meno di quanto sia tenuta l'amministrazione e, dunque, a formulare la sua offerta in maniera consapevole e meditata; e quindi, prima di dichiarare il ribasso offerto, ad esaminare se le condizioni imposte dall'amministrazione consentano la effettiva remunerazione dell'attività svolta”;
         q14) sulla responsabilità della p.a. in caso di project financing: Cons. Stato, sez. V, 11.01.2021, n. 368 (in Gazzetta forense, 2021, 149);
         q15) sulla responsabilità della p.a. in caso di tardivo ritiro di un bando in autotutela quando l'amministrazione era già da tempo a conoscenza dell'ineseguibilità dell'opera, cfr. Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 23.11.2020, n. 1092; Cons. Stato, sez. II, 20.11.2020, n. 7237 (in Contratti Stato e enti pubbl., 2021, 1, 51, con nota di TREVISAN; Giur. it., 2021, 921 (m), con nota di BARBERA);
         q16) sulla responsabilità discendente dall’indizione di una gara di un progetto esecutivo di ristrutturazione di un'opera pubblica, rivelatosi, al momento dell'avvio del cantiere, ineseguibile: Cons. Stato, sez. V, 23.12.2019, n. 8731;
         q17) sulla responsabilità precontrattuale in conseguenza di un annullamento in autotutela di concorso: Cass. civ., sez. lav., 20.08.2019, n. 21528, secondo cui “l'eventuale responsabilità della P.A. per l'accaduto non ha natura contrattuale, […] trattandosi semmai di una tipica fattispecie di responsabilità precontrattuale (e dunque extracontrattuale) ex art. 1338 c.c., per avere la P.A., attraverso l'indizione di un concorso illegittimo e la successiva stipula in base ad esso di un contratto di lavoro nullo, leso l'affidamento altrui. Non ha dunque alcun fondamento la pretesa che dalla mancata esecuzione del contratto derivi di per sé, ex art, 1218 c.c., il diritto […] al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni perdute, spettando viceversa al medesimo, secondo le regole proprie della responsabilità extracontrattuale di cui quella precontrattuale costituisce specie […] dimostrare l'esistenza di danni, non estesi al c.d. interesse positivo all'adempimento contrattuale […] causalmente riconducibili al comportamento altrui”;
      r) sul procedimento amministrativo quale luogo elettivo di composizione degli interessi: Corte cost., 23.06.2020, n. 116 (in Foro it., 2020, I, 3715, con nota di D'AURIA G., DELLA VALLE, oggetto della News US in data 23.07.2020), secondo cui:
         r1) “è nella sede procedimentale che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l'interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei principî costituzionali la loro previsione e tutela”;
         r2) “la struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l'emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei principî di cui all'art. 1 l. 07.08.1990 n. 241: efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza”;
         r3) “viene in tal modo garantita, in primo luogo, l'imparzialità della scelta, alla stregua dell'art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.”;
      s) in dottrina:
         s1) per un’ampia ricostruzione della responsabilità precontrattuale della p.a. e sua evoluzione nel tempo, tra gli scritti più recenti, cfr. V. LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2021, I, 1372 ss;
         s2) sulla responsabilità dello Stato e della p.a. con particolare riferimento agli elementi costitutivi dell’illecito, con una lettura critica sull’assetto della giurisprudenza nazionale, L. TORCHIA, Diritto amministrativo progredito, Bologna, 2010, 201 ss., secondo cui “Il principio di responsabilità dello Stato vale per qualsiasi violazione e per qualunque dei poteri pubblici che lo ponga in essere.
Le condizioni della responsabilità sono tre. La prima: per dare luogo a responsabilità e a risarcimento, la norma che viene violata deve attribuire diritti […]. La seconda: nel caso in cui lo Stato eserciti un potere discrezionale, questa violazione deve essere manifesta e grave […], nella diversa ipotesi in cui eserciti un potere vincolato, il contenuto dei diritti violati deve poter essere individuato sulla base di disposizioni della direttiva […]. La terza: vi deve essere un nesso causale tra la violazione dell’obbligo incombente sullo Stato e il danno subito da soggetti lesi. […] 
La giurisprudenza comunitaria […] mentre applica la prima e la terza delle condizioni menzionate a qualsiasi attività dello Stato, distingue quando si tratta di dimostrare la presenza della seconda condizione, chiedendo che vi sia una violazione sufficientemente caratterizzata, se lo Stato esercita un potere discrezionale, la sola violazione del contenuto di una direttiva, nel caso di potere vincolato. In un caso la prova è resa più difficile e la responsabilità ristretta, nell’altro vi è automatismo tra illegittimità del provvedimento e responsabilità. Il giudice italiano, non tenendo conto di questa distinzione cardine attorno a cui ruota il sistema della responsabilità comunitaria, prende a prestito quegli stessi elementi che definiscono la violazione grave e manifesta, li inserisce nella nozione di colpa oggettiva e li applica tout court all’attività amministrativa, tanto discrezionale, quanto vincolata, senza fare distinguo, se non in punto di maggiore o minore scusabilità.
Ne consegue che l’onere probatorio gravante sul privato è maggiore se confrontato con quello richiesto dal sistema comunitario o, comunque, che l’amministrazione potrà sempre addurre a scusanti questi elementi. La corrispondente limitazione di responsabilità riflette una diversa concezione del rapporto amministrazione-privato, in cui la tutela della posizione del privato non è strumentale al perseguimento di obiettivi di sistema e, dunque, rappresenta per l’amministrazione ancora una limitazione al proprio potere, più che un vantaggio necessario. La seconda differenza, forse più nominale che sostanziale, riguarda la colpa. La Corte di giustizia ha espunto completamente dalle condizioni necessarie a configurare la responsabilità la colpa dello Stato membro.
Quando, però, si parla di colpa, si intende «un elemento soggettivo, se si preferisce psichico o psicologico, che caratterizza –in senso appunto colposo o negligente o comunque nel senso che tradizionalmente si attribuisce all’espressione colpa– la condotta del soggetto cui viene imputata la violazione e con essa la responsabilità [CGUE, C-46/93 e C48/93, Conclusioni dell’avvocato generale, punto 85]».
Le ragioni per l’esclusione di tale elemento risiedono nella difficoltà di individuare un comportamento colposo dei pubblici poteri in base a criteri simili che si usano per il diritto civile o penale. Ciò, però, che viene escluso è, quindi, la colpa in senso soggettivo, e cioè proprio quello che ha fatto la giurisprudenza italiana, passando da una nozione soggettiva ad una oggettiva di colpa. Rimane che l’ordinamento italiano inutilmente mantiene un concetto che come bene dimostra l’esperienza comunitaria, proprio perché completamente soggettivizzato diventa parte della definizione della violazione e non dello stato soggettivo dell’organo amministrativo
” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 29.11.2021 n. 21 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’Adunanza plenaria pronuncia sulla giurisdizione sulla responsabilità precontrattuale dell’amministrazione nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici.
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Risarcimento danni – Responsabilità precontrattuale - procedure di affidamento di contratti pubblici – Presupposti.
Nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa (1).
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   La questione è stata rimessa da Cons. St., sez. II, ord., 06.04.2021, n. 2753.
   L’Adunanza plenaria n. 21 reitera anche i principi espressi dalla Adunanza plenaria 29.11.2021, n. 19.
   (1) Ha chiarito l’Alto consesso che con riguardo alla questione, concernente i limiti entro cui può essere riconosciuto il risarcimento per lesione dell’affidamento, con particolare riguardo all’ipotesi di aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture, successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale, deve in primo luogo essere precisato che questo settore dell’attività della pubblica amministrazione è quello in cui tradizionalmente e più volte è stata riconosciuta la responsabilità di quest’ultima.
Le ragioni alla base dell’orientamento di giurisprudenza favorevole al privato venutosi a creare in questo settore si spiega sulla base del fatto che, sebbene svolta secondo i moduli autoritativi ed impersonali dell’evidenza pubblica, l’attività contrattuale dell’amministrazione è nello stesso tempo inquadrabile nello schema delle trattative prenegoziali, da cui deriva quindi l’assoggettamento al generale dovere di «comportarsi secondo buona fede» enunciato dall’art. 1337 c.c. (come chiarito dall’Adunanza plenaria nelle sopra citate pronunce del 05.09.2005, n. 6, e del 04.05.2018, n. 5).
La tutela risarcitoria per responsabilità precontrattuale è posta a presidio dell’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, e dunque del più generale interesse di ordine economico a che sia assicurata la serietà dei contraenti nelle attività preparatorie e prodromiche al perfezionamento del vincolo negoziale. La reintegrazione per equivalente è pertanto ammessa non già in relazione all’interesse positivo, corrispondente all’utile che si sarebbe ottenuto dall’esecuzione del contratto, riconosciuto invece nella responsabilità da inadempimento, ma dell’interesse negativo, con il quale sono ristorate le spese sostenute per le trattative contrattuali e la perdita di occasioni contrattuali alternative, secondo la dicotomia ex art. 1223 cod. civ. danno emergente–lucro cessante.
Applicata all’evidenza pubblica, la responsabilità precontrattuale sottopone l’amministrazione alla duplice soggezione alla legittimità amministrativa e agli obblighi di comportamento secondo correttezza e buona fede, i quali costituiscono, come in precedenza esposto, profili tra loro autonomi, e da cui può rispettivamente derivare l’annullamento degli atti adottati nella procedura di gara e le responsabilità per la sua conduzione (da ultimo in questo senso: Cons. Stato, V, 12.07.2021, n. 5274; 12.04.2021, n. 2938; 02.02.2018, n. 680).
In senso parzialmente diverso si è espressa la Cassazione civile. Con sentenza in data 03.07.2014, n. 15260 (Sezione I) la Suprema Corte ha affermato che l’affidamento del concorrente ad una procedura di affidamento di un contratto pubblico è tutelabile «indipendentemente da un affidamento specifico alla conclusione del contratto»; la stazione appaltante è quindi responsabile sul piano precontrattuale «a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante».
L’apparente contrasto rispetto agli approdi della giurisprudenza amministrativa deve tuttavia essere ridimensionato, avuto riguardo al fatto che il caso deciso dalla Cassazione riguardava il concorrente primo classificato in una procedura di gara poi annullata in sede giurisdizionale amministrativa su ricorso di un altro concorrente. La stessa giurisprudenza amministrativa non si è del resto arroccata su rigidi apriorismi, ma con criterio elastico –che questa Adunanza plenaria ritiene condivisibile– ha negato rilievo dirimente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, laddove ha in particolare affermato che la verifica di un affidamento ragionevole sulla conclusione positiva della procedura di gara va svolta in concreto, in ragione del fatto che «il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale» (Cons. Stato, sez. V, 15.07.2013, n. 3831).
Individuato un primo requisito dell’affidamento tutelabile nella sua ragionevolezza e nel correlato carattere ingiustificato del recesso, il secondo consiste nel carattere colposo della condotta dell’amministrazione, nel senso che la violazione del dovere di correttezza e buona fede deve esserle imputabile quanto meno a colpa, secondo le regole generali valevoli in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. (in questo senso va ancora richiamato Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2018, n. 5).
l’elemento della colpevolezza dell’affidamento si modula diversamente nel caso in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto d’ufficio dall’amministrazione ma in sede giurisdizionale. In questo secondo caso emergono con tutta evidenza i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio.
Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm. l’azione deve essere proposta, e di difenderlo. La situazione che viene così a crearsi induce per un verso ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio (Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 29.11.2021 n. 21 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGare, il terzo posto non preclude automaticamente la possibilità di ricorso.
La collocazione al terzo posto in graduatoria non preclude, in automatico, la legittimazione ad agire, qualora l'operatore economico proponga censure dirette all'esclusione e/o alla postposizione nella graduatoria stessa di tutti i concorrenti che lo precedono, oppure alla caducazione dell'intera procedura di gara.

È questo l'inquadramento del diritto all'azione in giudizio espresso dal TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, con la sentenza 12.11.2021 n. 2528.
Il fatto
In una procedura di appalto, relativa all'affidamento del servizio di gestione del procedimento sanzionatorio delle violazioni alle norme del codice della strada, un concorrente, posizionatosi terzo nella graduatoria finale di merito, ha impugnato il provvedimento amministrativo di aggiudicazione, deducendo la carenza istruttoria degli atti di gara, che non hanno rilevato il difetto dei requisiti di partecipazione delle imprese meglio collocate.
Legittimazione dell'azione giudiziale
Prima di affrontare nel merito la questione, il giudice ha accertato i presupposti processuali per verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione giudiziale legate alla situazione sostanziale, la cui mancanza avrebbe determinato una pronuncia di inammissibilità.
Nel processo amministrativo, il diritto di agire si collega, difatti, alla lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente e sussiste quando è «individuabile un'utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento» (Consiglio di Stato, sentenza n. 4233/2019).
In altri termini, il riconoscimento di una situazione differenziata, fondante la legittimazione al ricorso, presuppone il riconoscimento immediato di un vantaggio, ossia di un provvedimento utile in capo all'appellante. Il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza della lesione di un interesse sostanziale e tende a un provvedimento del giudice idoneo, se favorevole, a rimuovere la stessa.
Il ricorrente ha censurato l'illegittimità dell'ammissione alla procedura di gara delle prime due concorrenti in graduatoria; pertanto, essendosi qualificato terzo, l'accoglimento del proprio gravame risulterebbe significativo se venissero riconosciute fondate le doglianze che dimostrano il non corretto posizionamento di tutte le imprese che lo precedono; solo così potrebbe ottenere, con il giudizio, lo scorrimento in posizione utile e la relativa aggiudicazione.
Diversamente, il consolidamento della posizione di una delle imprese meglio collocate rispetto al ricorrente, determinerebbe l'improcedibilità del ricorso, pregiudicando di per sé la possibilità del ricorrente di ottenere il bene della vita perseguito (Tar Puglia, Bari, n. 308/2021), cioè l'aggiudicazione dell'appalto, rendendo, quindi, privo di utilità un eventuale provvedimento del giudice.
La sentenza
Il tribunale, nell'iter argomentativo ripercorso, ha poi proceduto alla disamina della posizione della prima classificata, confermando la legittimità della sua collocazione in graduatoria. Da questo è scaturito il difetto di interesse dell'appellante a contestare la posizione della seconda graduata, perché non potrebbe ottenere alcun beneficio da una eventuale pronuncia processuale che accertasse l'illegittimità dell'ammissione alla procedura della seconda qualificata.
In sostanza, per esaminare la fondatezza dell'impugnativa proposta, i giudici hanno accertato la funzione di strumentalità che collega l'azione all'interesse sostanziale, dichiarando improcedibile il ricorso perché il ricorrente, anche in caso di accoglimento, non avrebbe comunque ottenuto alcuna utilità (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 03.12.2021).
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SENTENZA
1. Occorre in primis svolgere alcune brevi considerazioni in ordine all’interesse a ricorrere in capo a S., terza classificata nella procedura.
1.1. È ormai ius receptum il principio secondo cui la terza classificata si ritiene portatrice di un interesse attuale e concreto, idoneo a connotare l’impugnazione in termini di ammissibilità, qualora la stessa, agendo in giudizio, proponga censure dirette all’esclusione e/o alla postposizione nella graduatoria di tutti i concorrenti che la precedono, ovvero quando spenda motivi volti a contestare in toto la legittimità della gara. Nel primo caso, l’interesse azionato in giudizio è quello a ottenere l’aggiudicazione, nel secondo quello “indiretto” alla riedizione della procedura, cui conseguono nuove chances di futura aggiudicazione.
1.2. Nel caso di specie, la Sa. S.r.l. non ha proposto motivi di gravame dal cui accoglimento possa scaturire l’annullamento radicale della procedura e la ripetizione della stessa.
L’unico interesse fatto valere in giudizio è quello all’aggiudicazione, coltivato mediante censure volte a rilevare l’illegittimità dell’ammissione alla procedura delle prime due ditte in graduatoria.
1.3. Orbene, la ricorrente, in quanto terza classificata nella gara, potrà conseguire il soddisfacimento di detto interesse solo ove risultino fondate sia le censure proposte avverso la prima classificata, che quelle spese nei confronti della seconda graduata. Solo in tal modo, invero, la Sa. potrebbe divenire aggiudicataria dell’appalto e ottenere un effetto utile dall’accoglimento del proprio gravame.
Ne consegue che, laddove il Tribunale accerti la regolarità della posizione di una delle due concorrenti collocate in posizione poziore, verrebbe meno l’interesse della parte ricorrente a contestare l’ammissione alla gara dell’altra partecipante classificatasi in posizione a essa sovraordinata (l’eventuale esclusione dalla procedura della seconda ditta, invero, non le apporterebbe utilità di sorta).
L’eventuale consolidamento del posizionamento di una delle ditte che precedono in graduatoria la Sa., pertanto, rendendo impossibile per quest’ultima il conseguimento dell’aggiudicazione dell’appalto, determinerebbe la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione delle censure proposte avverso l’ammissione alla gara dell’altra concorrente che la precede in graduatoria. Con tutto quanto ne discende in termini di parziale improcedibilità del gravame.
Le considerazioni che precedono sono state efficacemente compendiate, in giurisprudenza, nei termini che seguono: «La terza classificata può efficacemente coltivare, attraverso il giudizio, l'utilità dell'aggiudicazione solo in quanto dimostri l'illegittimità del posizionamento delle due imprese che l'hanno preceduta in graduatoria, salva la piena ammissibilità delle censure che tendono ad invalidare l'intera procedura, poiché, attraverso di esse, è coltivato un interesse diverso da quello all'aggiudicazione, sub specie strumentale alla riedizione dell'intera gara. Il principio costituisce espressione di quello più generale dell'interesse ad agire, indefettibile condizione dell'azione che nel processo amministrativo si collega alla «lesione della posizione giuridica del soggetto» e sussiste qualora sia individuabile un'utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento. Alla luce di tali principi il ricorso avverso il provvedimento d'aggiudicazione non solo è inammissibile in radice se non contiene doglianze dirette nei confronti di tutti gli operatori collocati in graduatoria in posizione migliore del ricorrente, ma neppure può trovare accoglimento nel caso di rigetto di tutte le censure avverso uno di tali controinteressati, la cui posizione poziore si consoliderebbe pregiudicando di per sé la possibilità del ricorrente di ottenere il bene della vita perseguito» (TAR Puglia, Bari, II, 19.02.2021 n. 308).

ottobre 2021

APPALTIAccesso alle offerte tecniche di gara.
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Accesso ai documenti - Contratti della pubblica amministrazione - Offerte tecniche – Limiti.
Ai fini dell’accesso alle offerte tecniche di gara è utile, sebbene non quale pre-condizione per l’opposizione del segreto ma quale criterio di valutazione della sua meritevolezza, la formulazione della relativa dichiarazione già nel contesto dell’offerta o successivamente (1).
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   (1) La verifica della conformità della dichiarazione relativa alla segretezza tecnica e commerciale di parte della sua offerta tecnica, depositata da Ad. s.p.a. in data 30.08.2021 in riscontro all’ordinanza della Sezione n. 5620/2021, ai requisiti di specificità e adeguatezza motivazionale ivi indicati, carenti –ad avviso della Sezione- nella dichiarazione all’uopo precedentemente resa dalla medesima società.
Deve altresì precisarsi che, alla luce del tenore motivazionale e dispositivo delle citate ordinanze, non viene in rilievo –né, quindi, richiede che il Collegio fornisca ad essa, in questa sede, una autonoma soluzione– la questione del rapporto (di bilanciamento) tra esigenza di riservatezza del concorrente, per quanto concerne le informazioni contenute nella relativa offerta tecnica che siano espressione della sua capacità ideativa ed organizzativa, ed interesse del richiedente l’accesso, con particolare riguardo alla sua eventuale inflessione difensiva ex art. 53, comma 6, d.lvo n. 50/2016: ciò in quanto, oltre a non aver costituito oggetto di specifiche deduzioni della parte appellante (che incentra le sue critiche nei confronti delle modalità con le quali la società controinteressata ha attuato la disclosure documentale, oscurando due paragrafi del progetto tecnico da essa presentato in gara ed un allegato dello stesso, come più analiticamente si dirà infra, essenzialmente sostenendo l’insussistenza dei presupposti di segretezza atti a legittimare la parziale opposizione ostensiva da quella avanzata),
Il potere del giudice esercitato con ordinanze istruttorie volte alla verifica della possibilità di acquisire l’offerta tecnica integrale di gara, esercitabile anche officiosamente ex art. 65, comma 3, c.p.a., è principalmente orientato a garantire la completezza istruttoria del giudizio di merito, con particolare riguardo alla acquisizione al relativo compendio probatorio dei documenti di cui all’art. 46, comma 2, c.p.a., e non –se non in via meramente mediata- a soddisfare l’interesse ostensivo di una delle parti del giudizio, in funzione della difesa in giudizio degli interessi di cui essa è soggettivamente portatrice.
Così delineati l’oggetto e la cornice del presente giudizio, deve osservarsi, in via ugualmente preliminare, che la verifica relativa alla sussistenza (recte, alla “motivata e comprovata” rappresentazione da parte del titolare dei dati) di segreti “tecnici o commerciali” implica un inevitabile margine di “affidamento” alla dichiarazione della parte interessata, cui spetta in via prioritaria apprezzare la relazione tra le informazioni riservate ed il suo specifico background esperenziale e ideativo: dichiarazione che non si sottrae, comunque, al sindacato del giudice amministrativo, inteso ad accertarne l’attendibilità, anche sulla scorta delle deduzioni della parte interessata ad ottenere la più ampia disponibilità di quelle informazioni, e rafforzato dall’accesso diretto alle stesse (solo) da parte del giudice, che consente ad esso di valutarne l’effettiva riconducibilità al patrimonio tecnico e commerciale esclusivo dell’impresa cui ineriscono.
Né può omettersi di osservare che il sindacato del giudice amministrativo in subiecta materia si alimenta di tutti gli elementi utili al suo giudizio, sia intrinseci alle informazioni asseritamente riservate, sia estrinseci alle stesse, come la sede in cui la parte interessata al mantenimento del segreto ha manifestato le sottostanti ragioni giustificative: sì che, da questo punto di vista, si rivela utile, sebbene non quale pre-condizione per l’opposizione del segreto ma quale criterio di valutazione della sua meritevolezza, la formulazione della relativa dichiarazione già nel contesto dell’offerta o successivamente (aspetto che, per una parte della giurisprudenza, incide invece sullo stesso an del regime di secretazione, laddove si afferma, con riferimento al tema dell’accesso, che esso “può essere escluso sempre che il concorrente, in sede di offerta, dichiari preventivamente che talune informazioni fornite nell’ambito dell'offerta costituiscono segreti tecnici e commerciali; con la conseguenza che tale indicazione, costituendo specifico onere per il concorrente che intenda mantenere riservate e sottratte all'accesso tali parti della propria offerta, non può invece rappresentare, sul piano della ragionevolezza interpretativa, un impedimento frapposto ex post dall'aggiudicatario, a tutela della posizione conseguita, nei confronti dell'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale da parte degli altri concorrenti”: cfr. Cons. Stato, sez. V, 01.07.2020, n. 4220).
Deve infine osservarsi che, inerendo l’indagine ai limiti del potere acquisitivo del giudice (ed alle condizioni da osservare al fine di conciliare le esigenze di completezza istruttoria del giudizio, tutela del contraddittorio e parità tra le parti con la salvaguardia delle informazioni oggetto di segreto), essa deve ritenersi affrancata dagli stringenti vincoli immanenti al principio dispositivo, con la conseguente possibilità di attingere ad argomenti ed elementi non dedotti dalle parti (ed in particolare da quella interessata alla conoscenza della documentazione tecnica della aggiudicataria) (Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 26.10.2021 n. 7173 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICriteri di aggiudicazione basati su aspetti ambientali o sociali.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Offerta economicamente più vantaggiosa – Offerta tecnica – Criteri di aggiudicazione basati su aspetti ambientali o sociali – Ammissibilità - Limiti
Attraverso i criteri di aggiudicazione dei contratti di cui all’art. 95, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016, l’amministrazione appaltante può inserire -accanto o sullo stesso piano degli interessi pubblici specifici connessi alla necessità di acquisire i beni e servizi oggetto dell’appalto- ulteriori interessi sociali, in particolare il conseguimento di un più elevato livello di tutela dei lavoratori impiegati nell’esecuzione del contratto; quanto ai limiti di ammissibilità, considerato che sia l’art. 67, paragrafo 2,della direttiva appalti 2014/24/UE, che l’art. 95, comma 6, del Codice, non prefigurano un elenco tassativo di parametri sui quali basare i criteri di valutazione delle offerte tecniche ma individuano un catalogo aperto e quindi integrabile con ulteriori criteri (tra i quali, come risulta dallo stesso art. 95, comma 6, «gli aspetti […] ambientali e sociali»), si deve concludere che la stazione appaltante può discrezionalmente inserire tra i criteri di aggiudicazione anche particolari condizioni di esecuzione dell’appalto volte a conseguire obbiettivi di natura sociale (1) .
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   (1) Ha chiarito la Sezione che la condizione necessaria per il legittimo esercizio di tale potere discrezionale è costituita dalla verifica della sussistenza di una connessione tra i criteri e l’oggetto dell’appalto (art. 95, comma 6), nei termini della definizione di cui all’art. 95, comma 11, del codice dei contratti che considera connessi all’oggetto dell’appalto i «criteri di aggiudicazione [che] riguardino lavori, forniture o servizi da fornire nell'ambito di tale appalto sotto qualsiasi aspetto e in qualsiasi fase del loro ciclo di vita, compresi fattori coinvolti nel processo specifico di produzione, fornitura o scambio di questi lavori, forniture o servizi o in un processo specifico per una fase successiva del loro ciclo, anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale» (la disposizione recepisce l’art. 67, paragrafo 3, della direttiva 2014/24/UE).
Prendendo in considerazione anche fattori relativi all’intero ciclo di vita del lavoro, del bene o del servizio da acquisire, compresi i fattori coinvolti anche in una fase successiva al ciclo di vita, tra i criteri di aggiudicazione possono essere compresi anche criteri di natura sociale riferiti all’applicazione di un determinato contratto collettivo di lavoro o di una determinata tipologia di contratto di lavoro individuale, volti a conseguire specifici obiettivi di stabilità occupazionale e di trattamento economico e normativo dei lavoratori impiegati nell’appalto; fermo restando il limite da tempo individuato dalla giurisprudenza europea, ossia che il requisito non trasmodi nella previsione di criteri sociali che, abbandonando il legame con l’oggetto del contratto (nei termini sopra richiamati), prendano in considerazione gli aspetti relativi alla politica generale dell’impresa o altri aspetti estranei al programma contrattuale.
Nel caso di specie, pertanto, si è ritenuta conforme alle direttive enunciate la scelta dell’amministrazione appaltante di prevedere, nella valutazione della «Esecuzione del servizio», il criterio della «Stabilità del personale» (che tiene conto della «percentuale di lavoratori adibiti all’appalto con contatto pluriennale a copertura della vigenza dell’appalto»); e il criterio della «Disciplina rapporto di lavoro», che premia l’appaltatore che scelga di applicare il «CCNL Metalmeccanico per la compagine dedicata alla manutenzione impiantistica [e il] CCNL Edile per la compagine dedicata alla manutenzione edile» ovvero l’appaltatore che dichiari di applicare il «CCNL Multiservizi per la compagine dedicata alla manutenzione impiantistica [e il] CCNL Edile per la compagine dedicata alla manutenzione edile» (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.10.2021 n. 7053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGiustificazione della non anomalia dell’offerta rese soltanto in sede giudiziaria.
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Contatti della Pubblica amministrazione – Offerte anomale – Giustificazioni della non anomalia – Rese in sede giudiziaria – Tardività.
Sono tardive le giustificazioni della non anomalia dell’offerta rese dal concorrente soltanto in sede giudiziaria (1).
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   (1) La Sezione dà atto della possibilità, riconosciuta dalla giurisprudenza, di giustificare la non anomali dell’offerta e richiama principi pacificazione riconoscoiuti dal giudice di appello.
Ha ricordato che la disposizione dell’art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, laddove impone di indicare “i propri costi della manodopera” nell’offerta economica, fissa un obbligo dichiarativo a pena di esclusione che riguarda il singolo “operatore” ed ha ad oggetto i “propri” costi della manodopera, ossia i costi da sostenersi effettivamente da quest’ultimo per garantire l’esecuzione dell’appalto. Le uniche deroghe a tale obbligo sono quelle previste dalla stessa disposizione (forniture senza posa in opera, servizi di natura intellettuale, affidamenti ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett. a), nessuna delle quali ricorrente nel caso di specie.
La portata escludente dell’inosservanza dell’obbligo in parola da parte del singolo operatore economico fissato dalla richiamata disposizione nazionale è stata ritenuta conforme ai principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza -quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE- dalla sentenza della Corte di Giustizia, sez. IX, 02.05.2019, in causa C-309/18.
Ha affermato il Giudice eurounitario che i predetti principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un'offerta economica presentata nell'ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l'esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d'appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione.
Nei suoi principali snodi valutativi detta sentenza ha evidenziato che:
   a) l'obbligo di indicare separatamente gli oneri per la sicurezza aziendale in sede di offerta discende chiaramente dal combinato disposto dell'art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici e dell'art. 83, comma 9, del medesimo, il quale non consente la regolarizzazione di carenze concernenti l'offerta tecnica o economica;
   b) pertanto, qualsiasi operatore economico ragionevolmente informato e normalmente diligente si presume a conoscenza dell'obbligo in questione;
   c) la regola opera anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d'appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione;
   d) nondimeno, nei casi in cui il bando di gara contenga bensì un espresso rinvio alle norme del Codice dei contratti pubblici, ma si accompagni alla predisposizione di modelli dichiarativi ad uso obbligatorio concretamente privi di spazio fisico per l'indicazione separata dei costi della manodopera, debba demandarsi al giudice del merito la verifica della "materiale impossibilità" di evidenziare, nel rispetto della prescrizione normativa, i costi in questione, legittimandosi -in presenza di circostanze idonee a "generare confusione" in capo agli offerenti- l'eventuale attivazione del soccorso istruttorio.
In applicazione dei su indicati postulati anche sul versante interno non residuano dubbi sulla piena predicabilità dell’automatismo espulsivo correlato al mancato scorporo nell'offerta economica dei costi inerenti alla manodopera e ciò a prescindere da una espressa previsione, in tal senso, della lex specialis di gara (Cons. Stato, A.P., 02.04.2020, nn. 7 e 8; id., sez. V, 08.01.2021, n. 283; id. 10.02.2020, n. 1008; id. 24.01.2020, n. 604).
La ratio dell’obbligo dell’indicazione separata dei costi della manodopera è esplicitata nell’ultimo periodo dello stesso art. 95, comma 10, secondo il quale “le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto dall’art. 97, comma 5, lett. d)”, vale a dire il rispetto dei minimi salariali retributivi del personale indicati nelle tabelle di cui all’art. 23, comma 16.
Si tratta, all’evidenza, della finalità di tutela delle condizioni dei lavoratori cui si accompagna, a determinate condizioni, la finalità di consentire alla stazione appaltante la verifica della serietà dell’offerta economica, in particolare, in presenza di offerte anormalmente basse.
La gravità della conseguenza giuridica dell’espulsione dalla gara segnala, sul piano sostanziale, la rilevanza dei beni giuridici tutelati attraverso l’imposizione della prescrizione normativa, che intende garantire la tutela del lavoro sia sotto il profilo della applicazione dei contratti collettivi (e, quindi, della tutela della retribuzione dei lavoratori secondo l’art. 36 Cost.), sia sotto il profilo della salute e della sicurezza dei lavoratori (art. 32 Cost., ma anche secondo e terzo comma dell'art. 36 Cost., in cui si fissano la durata massima della giornata lavorativa ed il diritto al riposo settimanale nonché alle ferie annuali, che individuano altrettante condizioni necessarie e rilevanti anche per la tutela della salute dei lavoratori).
L’indicazione del costo della manodopera (così come degli oneri per la sicurezza aziendale) svolge, in realtà, una duplice funzione: non solo ai fini dell’eventuale giudizio di anomalia (che ha come unico scopo la verifica della congruità dell’importo indicato dall’offerente come costo del personale, da effettuare ai sensi dell’art. 97, comma 5, lett. d), del Codice dei contratti, e con i limiti posti dal comma 6 della medesima disposizione), ma, prima ancora, in sede di predisposizione dell’offerta economica per formulare un’offerta consapevole e completa sotto tutti i profili sopra evidenziati (Cons. Stato, sez. V, 30.06.2020, n. 4140).
Tali principi, ormai granitici nella giurisprudenza del giudice amministrativo, portano ad escludere che l’onere di indicazione degli oneri della manodopera possa ritenersi assolto con l’indicazione del costo standardizzato già riportato nelle tabelle ministeriali, atteso che, come correttamente affermato da Fo. nei propri scritti difensivi, si finirebbe per implicitamente accettare che nessuna impresa adempia più realmente a tale obbligo, essendo più agevole riservare il calcolo ad una fase successiva all’aggiudicazione, anche al fine di calibrarne l’ammontare ad eventuali esigenze di copertura di voci contestate (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.10.2021 n. 7036 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
2. Prima di affrontare il primo motivo di appello relativo alla anomalia dell’offerta giova ripercorrere i principi cardini, elaborati da una ormai granitica giurisprudenza del giudice amministrativo, che regolano la materia in esame.
La giurisprudenza ha più volte chiarito che la verifica dell'anomalia dell'offerta è finalizzata ad accertare l'attendibilità e la serietà della stessa sulla base di una valutazione, ad opera della stazione appaltante, che ha natura globale e sintetica e che costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato alla p.a., insindacabile in sede giurisdizionale salvo che per ragioni legate alla eventuale (e dimostrata) manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell'operato dell'amministrazione, tale da rendere palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta (Cons. Stato, sez. III, 19.10.2020, n. 6317).
In tale prospettiva, è, in termini generali, ammissibile una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l’entità originaria dell’offerta economica, nel rispetto del principio dell’immodificabilità, che presiede la logica della par condicio tra i competitori (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16.03.2020, n. 1873; id. 11.12.2020, n. 7943).
Tale ammissibilità incontra (di là dalla rigidità delle voci di costo inerenti gli oneri di sicurezza aziendale) il solo limite del divieto di una radicale modificazione della composizione dell'offerta che ne alteri l'equilibrio economico, allocando diversamente voci di costo nella sola fase delle giustificazioni (Cons. Stato, sez. V, 24.04.2017, n. 1896).
Inoltre, la riallocazione delle voci deve avere un fondamento economico serio allorché incida sulla composizione dell’offerta, atteso che, diversamente, si perverrebbe all'inaccettabile conseguenza di consentire un'elusiva modificazione a posteriori della stessa, snaturando la funzione propria del sub-procedimento di verifica dell'anomalia, che è, per l’appunto, di apprezzamento globale dell'attendibilità dell'offerta (Cons. Stato, sez. VI, 15.01.2021, n. 487).
Ragionevoli, giustificate e proporzionate modificazioni e rimodulazioni possono interessare anche la struttura dei costi per il personale.
Invero, l’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016, pone a carico di ogni operatore economico l’onere di indicare espressamente nell’offerta economica “i propri costi della manodopera”, anche al fine di consentire lo svolgimento del successivo subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta previsto dal successivo art. 97. La norma prevede, infatti, che la stazione appaltante, “relativamente ai costi della manodopera”, proceda, prima dell’aggiudicazione, a “verificare il rispetto di quanto previsto all'art. 97, comma 5, lettera d)”, ossia che il “costo del personale” non sia inferiore, salvo idonee spiegazioni, ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle ministeriale ai sensi dell’art. 23, comma 16.
3. Nell’ambito di tale ristretto sindacato, il Collegio ritiene la valutazione effettuata dalla commissione non sia congrua, e ciò pur aderendo al principio secondo il quale il procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta non mira ad individuare specifiche e singole inesattezze nella sua formulazione ma, piuttosto, ad accertare in concreto che la proposta economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto (Cons. Stato, sez. V, 29.12.2017, n. 6158).
Con il primo motivo Eu. afferma che il giudice di primo grado non ha considerato che, come affermato nei giustificativi prodotti in sede di gara, “la Società ha scelto di imputare in offerta dei costi orari della manodopera cautelativi rispetto a quelli sostenibili (applicando i parametri aziendali) al fine di ottenere un ulteriore margine economico in grado di garantire la copertura di costi aggiuntivi non preventivabili in fase di presentazione dell’offerta. Nello specifico, in offerta, sono stati imputati i costi orari indicati nelle ultime Tabelle Ministeriali pubblicate con riferimento alla Provincia di Frosinone, anche se tali costi risultano significativamente più alti rispetto a quelli concretamente applicabili dalla Società al proprio personale”.
Prudenzialmente Euro ha indicato come totale del costo del personale €/anno 4.458.086,88 in luogo di €/anno 4.005.094,32, che è la somma che dovrebbe essere effettivamente spesa per la manodopera, per una differenza pari a € 452.992,32 su base annua. In tal modo, attraverso le sovrastime si compenserebbero eventuali sottostime, con conseguente complessiva sostenibilità dell’offerta di Euro nel suo complesso.
Rileva il Collegio che, come correttamente affermato dal giudice di primo grado, solo in sede giudiziale Euro ha introdotto argomentazioni in ordine alle ragioni per cui la voce relativa al “costo del personale” –la più importante, anche in considerazione del peso che la manodopera ha avuto nell’offerta tecnica– non fosse sottostimata.
Per capire l’importanza di una seria stima del costo del lavoro vale premettere che nell’offerta tecnica sono stati previsti n. 21 dipendenti come staff aziendale di supporto; n. 7 lavoratori con funzioni di gestione, controllo e coordinamento; n. 303 risorse con mansioni operative; n. 267 addetti al supporto operativo (id est, sostituzioni, interventi particolari, squadre emergenza), per un totale di 598 dipendenti.
Nella giustificazione resa in data 31.07.2020 si fa riferimento alla Tabella ministeriale dei costi della Provincia di Roma, sostituita poi, nelle successive giustificazioni inviate in data 17.09.2020, dalle Tabelle ministeriali della Provincia di Frosinone. Dalle giustificazioni rese in ordine alla voce “Costi relativi alla sicurezza” si evince, da un mero calcolo matematico, che gli stessi coprono 303 dipendenti, con la conseguenza che risultano scoperti i 267 addetti a supporto operativo, con maggiori oneri per un totale di per euro 40.050,00.
Dalle giustificazioni prodotte in gara –le uniche alle quali si possa fare riferimento, non essendo assecondabile il tentativo di introdurre in giudizio nuovi giustificativi– non è stata affermata la sovrastima di altre voci di costo che possano coprire la mancata indicazione dei costi di sicurezza di 267 dipendenti, che nella predetta giustificazione, resa in data 31.07.2020, non trovano evidente copertura.
Ed in ogni caso, ove pure fosse stato fatto cenno a tale modus procedendi in sede di redazione dell’offerta economica, sarebbe assorbente la considerazione che la disposizione dell’art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, laddove impone di indicare “i propri costi della manodopera” nell’offerta economica, fissa un obbligo dichiarativo a pena di esclusione che riguarda il singolo “operatore” ed ha ad oggetto i “propri” costi della manodopera, ossia i costi da sostenersi effettivamente da quest’ultimo per garantire l’esecuzione dell’appalto. Le uniche deroghe a tale obbligo sono quelle previste dalla stessa disposizione (forniture senza posa in opera, servizi di natura intellettuale, affidamenti ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett. a), nessuna delle quali ricorrente nel caso di specie.
La portata escludente dell’inosservanza dell’obbligo in parola da parte del singolo operatore economico fissato dalla richiamata disposizione nazionale è stata ritenuta conforme ai principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza -quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE- dalla sentenza della Corte di Giustizia, sez. IX, 02.05.2019, in causa C-309/18.
Ha affermato il Giudice eurounitario che i predetti principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un'offerta economica presentata nell'ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l'esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d'appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione.
Nei suoi principali snodi valutativi detta sentenza ha evidenziato che:
   a) l'obbligo di indicare separatamente gli oneri per la sicurezza aziendale in sede di offerta discende chiaramente dal combinato disposto dell'art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici e dell'art. 83, comma 9, del medesimo, il quale non consente la regolarizzazione di carenze concernenti l'offerta tecnica o economica;
   b) pertanto, qualsiasi operatore economico ragionevolmente informato e normalmente diligente si presume a conoscenza dell'obbligo in questione;
   c) la regola opera anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d'appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione;
   d) nondimeno, nei casi in cui il bando di gara contenga bensì un espresso rinvio alle norme del Codice dei contratti pubblici, ma si accompagni alla predisposizione di modelli dichiarativi ad uso obbligatorio concretamente privi di spazio fisico per l'indicazione separata dei costi della manodopera, debba demandarsi al giudice del merito la verifica della "materiale impossibilità" di evidenziare, nel rispetto della prescrizione normativa, i costi in questione, legittimandosi -in presenza di circostanze idonee a "generare confusione" in capo agli offerenti- l'eventuale attivazione del soccorso istruttorio.
In applicazione dei su indicati postulati anche sul versante interno non residuano dubbi sulla piena predicabilità dell’automatismo espulsivo correlato al mancato scorporo nell'offerta economica dei costi inerenti alla manodopera e ciò a prescindere da una espressa previsione, in tal senso, della lex specialis di gara (Cons. Stato, A.P., 2 aprile 2020, nn. 7 e 8; id., sez. V, 08.01.2021, n. 283; id. 10.02.2020, n. 1008; id. 24.01.2020, n. 604).
La ratio dell’obbligo dell’indicazione separata dei costi della manodopera è esplicitata nell’ultimo periodo dello stesso art. 95, comma 10, secondo il quale “le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto dall’art. 97, comma 5, lett. d)”, vale a dire il rispetto dei minimi salariali retributivi del personale indicati nelle tabelle di cui all’art. 23, comma 16.
Si tratta, all’evidenza, della finalità di tutela delle condizioni dei lavoratori cui si accompagna, a determinate condizioni, la finalità di consentire alla stazione appaltante la verifica della serietà dell’offerta economica, in particolare, in presenza di offerte anormalmente basse.
La gravità della conseguenza giuridica dell’espulsione dalla gara segnala, sul piano sostanziale, la rilevanza dei beni giuridici tutelati attraverso l’imposizione della prescrizione normativa, che intende garantire la tutela del lavoro sia sotto il profilo della applicazione dei contratti collettivi (e, quindi, della tutela della retribuzione dei lavoratori secondo l’art. 36 Cost.), sia sotto il profilo della salute e della sicurezza dei lavoratori (art. 32 Cost., ma anche secondo e terzo comma dell'art. 36 Cost., in cui si fissano la durata massima della giornata lavorativa ed il diritto al riposo settimanale nonché alle ferie annuali, che individuano altrettante condizioni necessarie e rilevanti anche per la tutela della salute dei lavoratori).
L’indicazione del costo della manodopera (così come degli oneri per la sicurezza aziendale) svolge, in realtà, una duplice funzione: non solo ai fini dell’eventuale giudizio di anomalia (che ha come unico scopo la verifica della congruità dell’importo indicato dall’offerente come costo del personale, da effettuare ai sensi dell’art. 97, comma 5, lett. d), del Codice dei contratti, e con i limiti posti dal comma 6 della medesima disposizione), ma, prima ancora, in sede di predisposizione dell’offerta economica per formulare un’offerta consapevole e completa sotto tutti i profili sopra evidenziati (Cons. Stato, sez. V, 30.06.2020, n. 4140).
Tali principi, ormai granitici nella giurisprudenza del giudice amministrativo, portano ad escludere che l’onere di indicazione degli oneri della manodopera possa ritenersi assolto con l’indicazione del costo standardizzato già riportato nelle tabelle ministeriali, atteso che, come correttamente affermato da Fo. nei propri scritti difensivi, si finirebbe per implicitamente accettare che nessuna impresa adempia più realmente a tale obbligo, essendo più agevole riservare il calcolo ad una fase successiva all’aggiudicazione, anche al fine di calibrarne l’ammontare ad eventuali esigenze di copertura di voci contestate (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.10.2021 n. 7036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAll’Adunanza plenaria se la modifica soggettiva del Rti in caso di perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 da parte del mandatario o di una delle mandanti è consentita anche in fase di gara.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di partecipazione - Perdita del raggruppamento temporaneo di imprese - Modifica soggettiva del Rti – Anche in fase di gara – Rimessione all’Adunanza plenaria
E’ rimessa all’Adunanza plenaria la questione se sia possibile interpretare l’art. 48, commi 17, 18 e 19–ter, d.lgs. 18.04.2016, n. 50 nel senso che la modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese in caso di perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 dello stesso Codice dei contratti da parte del mandatario o di una delle mandanti è consentita non solo in fase di esecuzione, ma anche in fase di gara.
In caso di risposta positiva alla prima domanda va precisata la modalità procedimentale con la quale detta modifica possa avvenire, se, cioè, la stazione appaltante sia tenuta, anche in questo caso, ed anche qualora abbia già negato la autorizzazione al recesso che sia stata richiesta dal raggruppamento per restare in gara avendo ritenuto intervenuta la perdita di un requisito professionale, ad interpellare il raggruppamento, assegnando congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere la propria partecipazione alla gara (1).

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   (1) Ha chiarito la Sezione che nella sentenza dell’Adunanza plenaria 27.05.2021, n. 10, la modificabilità del raggruppamento per la perdita di requisiti di cui all’art. 80 del codice dei contratti in capo alla mandataria o ad una delle mandanti in fase di gara è detta non ammissibile incidentalmente, nel corso, cioè, della trattazione dedicata alla questione centrale della quale l’Adunanza plenaria era stata investita dal giudice rimettente, e dunque, senza che siano stati spesi argomenti a supporto di tale conclusione, (se non il mero richiamo alle sentenze della Quinta sezione alla delibera dell’Anac), né tanto meno messi a confronto gli opposti orientamenti.
Ha aggiunto che l’interpretazione delle disposizioni rilevanti è sicuramente connotata da alto livello di problematicità in quanto: il dato letterale, a ben riflettere, non pare decisivo per ricavare la regola della fattispecie: l’inciso “in corso di esecuzione” riferito al caso di perdita dei requisiti di partecipazione, senza che lo si dica inutile o superfluo come fatto dal giudice di primo grado, od anche illogico, potrebbe essere stato avvertito dal legislatore come precisazione necessaria per evitare il possibile dubbio interpretativo che il richiamo ai “requisiti di cui all’art. 80” vale a dire a quei requisiti –e a quell’articolo del codice– la cui verifica si compie in fase procedurale avrebbe potuto far sorgere circa l’effettivo ambito applicativo della disposizione.
Si aggiunga che risponde a logica l’argomento per il quale se il legislatore, introducendo il comma 19–ter all’interno dell’art. 48 del Codice, avesse voluto far eccezione alla deroga e ripristinare il principio di immodificabilità del raggruppamento in caso di perdita dei requisiti generali di cui all’art. 80 del codice in fase di gara, la via maestra sarebbe stata quella di operare la distinzione all’interno dello stesso comma 19–ter, senza dar vita ad un arzigogolo interpretativo; rinviando alle “modifiche soggettive” contemplate dai commi 17, 18 e 19, invero, la norma pianamente dice suscettibili di portare alla modifica del raggruppamento in fase di gara tutte le sopravvenienze ivi previste, compresa la perdita dei requisiti generali.
Ad ogni modo non si può negare che occorra superare in sede interpretativa una distonia e contraddizione tra le norme che sembra ricorrere su di un duplice piano:
sul piano interno, poiché non può negarsi che, a voler seguire una certa interpretazione tra le due possibili, si finisce coll’ammettere la modifica soggettiva del raggruppamento in corso di gara in caso di impresa sottoposta a procedura concorsuale o raggiunta da interdittiva antimafia e non invece nel caso in cui la stessa abbia perduto qualcuno dei requisiti generali di partecipazione: vero che ciascuna vicenda ha la sua peculiarità, ma resta il fatto che la permanenza in gara o l’esclusione di un operatore economico dipende da situazioni che tutte possono essere ricondotte quoad effectum (e, dunque unitariamente assunte in sede di interpretazione del dato normativo) alla perdita dell’integrità dell’operatore economico per la sua condotta professionale (es. il mancato versamento di contributi previdenziali o il mancato pagamento dei tributi, ma anche il dubbio circa l’idoneità morale conseguente all’adozione di uno dei provvedimenti della normativa antimafia) o alla perdita dell’affidabilità circa la sua capacità di eseguire le prestazioni oggetto del contratto in affidamento (i pregressi inadempimenti, specialmente se intervenuti con la stessa stazione appaltante, ma anche lo stato di decozione comportante l’assoggettamento alla procedura concorsuale), e delle quali indubbiamente quelle che consentono la modifica soggettiva risultano per più versi maggiormente allarmanti per l’interesse pubblico delle altre per le quali si viole escluso.
Sempre sul piano interno, perché è consentita la modifica soggettiva del raggruppamento anche in caso di perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 in fase di esecuzione, quand’ormai la stazione appaltante ha ben poche possibilità di vagliare l’affidabilità del raggruppamento per come riorganizzatosi al venir meno di un suo componente, con ogni possibile incertezza sulla residuata capacità di esecuzione, e non in fase di gara quando è ancora in tempo ad effettuare ogni verifica sui rimanenti componenti.
Sul piano esterno, perché se è vero che la deroga al principio di immodificabilità dei raggruppamenti per sopravvenuto assoggettamento a procedura concorsuale di un soggetto aggregato o per adozione nei suoi confronti di una misura prevista dalla normativa antimafia evita che le vicende dell’uno possano ripercuotersi su tutti gli altri, in situazioni in cui non sia incisa la capacità complessiva dello stesso raggruppamento che, riorganizzatosi al suo interno, si ancora in grado di garantire l’esecuzione dell’appalto (da ultimo, così è spiegata la deroga proprio dall’Adunanza plenaria n. 10 del 2021, al par. 25) –a sua volta eliminando quelle giustificate preoccupazioni (di non poter aggiudicarsi e concludere l’esecuzione dell’appalto per colpa di uno degli associati) dell’imprese con la finalità di favorire le aggregazioni di imprese, e, in ultima analisi, ampliare il campo degli operatori economici che possono aspirare all’aggiudicazione di pubbliche commesse– è fuor di dubbio, seguendo questa via di ragionamento, queste stesse ragioni possano condurre a dire giustificata la deroga all’immodificabilità del raggruppamento per la perdita dei requisiti generali di partecipazione e, specularmente, a dire non giustificato un diverso trattamento di detta vicenda.
Quanto sopra è tanto più vero ove si consideri che nessuna delle ragioni che sorreggono il principio di immodificabilità della composizione del raggruppamento varrebbero a spiegare in maniera convincente il divieto di modifica per la perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 in sede di gara: non la necessità di evitare che la stazione appaltante si trovi ad aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto del quale non abbia potuto verificare i requisiti, generali o speciali di partecipazione in quanto, una volta escluso dall’Adunanza plenaria nella sentenza n. 10 del 2021 la c.d. sostituzione per addizione, tale evenienza non potrà giammai verificarsi quale che sia la vicenda sopravvenuta per la quale sia venuto meno uno dei componenti del raggruppamento, né la tutela della par condicio dei partecipanti alla procedura di gara, che è violato solo se all’uno è consentito quel che all’altro è negato, ma qui tutti sono trattati allo stesso modo perché possono alle stesse condizioni pervenire all’aggiudicazione della procedura di gara, ossia a condizione che sia garantito l’integrale e continuativo possesso dei requisiti di partecipazione a partire dalla presentazione della domanda e fino all’esecuzione del contratto, situazione che, a ben vedere, ricorre sempre, quale che sia la ragione per la quale uno dei componenti del raggruppamento viene meno se gli altri sono in grado di garantire con i loro requisiti la corretta esecuzione del contratto.
Infine, valga la seguente riflessione: per quanto detto in precedenza, se vietare la modifica soggettiva al raggruppamento del quale uno dei componenti sia incorso in perdita dei requisiti di partecipazione in fase di gara, ma che sia comunque capace di eseguire il contratto in affidamento, non apporta alcun vantaggio alla stazione appaltante per la quale, rispettata quest’ultima condizione, quale che sia il numero dei componenti il raggruppamento, resta comprovata l’affidabilità dell’operatore, innegabile, invece, è il vantaggio per le imprese che, da un lato, hanno la necessità di raggrupparsi per poter competere in taluni segmenti di mercato, e dall’altro, subirebbero ingiustamente effetti negativi di altrui condotte che non hanno in alcun modo potuto evitare (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 18.10.2021 n. 6959 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIAppalti, paletti alle ordinanze.
L’ente non può imporre la proroga o il rinnovo del contratto. Il Tar di Reggio Calabria: no agli abusi dei comuni anche se si tratta di igiene urbana.
Non è possibile imporre all'appaltatore la proroga o il rinnovo del contratto, fissando unilateralmente il corrispettivo mediante ordinanza contingibile ed urgente, nemmeno nel caso dei servizi di igiene urbana.

La sentenza 18.10.2021 n. 794 del TAR Calabria-Reggio Calabria evidenzia l'abuso delle ordinanze contingibili ed urgenti sempre più spesso riscontrabile nella gestione degli appalti dei comuni.
L'articolo 191 del d.lgs. 152/2006 prevede che «qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il presidente della giunta regionale o il presidente della provincia ovvero il sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, nel rispetto, comunque, delle disposizioni contenute nelle direttive dell'Unione europea, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente».
Tuttavia, questo potere va esercitato senza andare oltre i confini del buon andamento della gestione e rispettando i principi costituzionali che impongono l'equilibrio economico tra le parti, nella gestione dei rapporti economici.
Secondo la giurisprudenza dominante, l'ordinanza contingibile ed urgente permette all'ente solo di imporre al privato l'erogazione delle prestazioni, nonostante la scadenza del contratto stipulato tra le parti, superando l'assenza del consenso dell'operatore economico al prolungamento del rapporto contrattuale. Tuttavia, con l'ordinanza non è consentito imporre all'appaltatore un corrispettivo per l'espletamento di quel servizio, né, tanto meno, l'ordinanza può fissare l'importo rinviando ad accordi contrattuali scaduti o sulla cui vigenza ed efficacia vi è contesa tra le parti.
Se così non fosse, si consentirebbe all'amministrazione pubblica di sacrificare la libera iniziativa economica privata a beneficio del proprio esclusivo interesse di risparmio di spesa, dandosi vita ad una grave violazione dei principi desumibili dall'articolo 41 della Costituzione.
Occorre, pertanto, garantire il bilanciamento tra le esigenze di interesse pubblico connesse alla necessità di proseguire il servizio di igiene urbana, con quelle private dell'operatore economico all'ottenimento del giusto prezzo: tale contemperamento è un obiettivo necessario per garantire il rispetto del principio di proporzionalità tra le prestazioni, di matrice comunitaria, operante anche nell'ordinamento interno, perché l'articolo 1 della legge 247/1990, legge sul procedimento amministrativo, richiama espressamente i principi di diritto europeo; in ogni caso, la necessità di non sacrificare oltre misura la libertà di impresa e l'economicità profittevole di un servizio reso da un operatore economico, si desume dall'articolo 97 della Costituzione, come diretta conseguenza dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.
La situazione di necessità e urgenza non giustifica, dunque, la definizione in via autoritativa e definitiva dell'importo dei canoni da corrispondere al gestore.
Nel caso affrontato dal Tar Calabria non solo il comune aveva imposto il prezzo, ma mediante l'ordinanza aveva anche previsto una proroga a del contratto scaduto (quindi, tecnicamente un rinnovo), nonostante si fosse già consumato il periodo di proroga tecnica di 12 mesi, previsto dall'originario contratto.
Molti comuni cadono nell'errore di ritenere che le ordinanze contingibili ed urgenti possano essere utilizzate come strumento per aggirare i principi posti dalla Costituzione e dal codice dei contratti per gli affidamenti degli appalti e la regolazione dei conseguenti contratti. Non sono rari i casi nei quali le ordinanze sono adottate anche al di fuori dei confini della gestione dei servizi di igiene urbana, come strumento per indurre gli uffici ad agire, spesso in deroga estesissima alle regole generali del procedimento amministrativo e degli appalti. Si tratta non di rado di ordinanze rivolte agli uffici, appunto per ordinare loro di procedere ad un appalto. Si tratta di atti profondamente illegittimi perché non possono essere gli uffici oggetto dei poteri straordinari previsti dall'articolo 50 del d.lgs 267/2000, ma destinatari terzi, cittadini o imprese.
Tali ordinanze sono anche un metodo per aggirare il principio di separazione tra politica e gestione, proprio in ambiti delicatissimi, perché spesso il loro fine è quello di porre in essere affidamenti diretti o proroghe in deroga (se non clamorosa violazione) delle norme del codice dei contratti e di altre leggi speciali (articolo ItaliaOggi del 04.12.2021).
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SENTENZA
Sul punto reputa il Collegio che dalla documentazione versata nel fascicolo di causa emerga la fondatezza delle censure con cui, nel ricorso principale ed in quelli per motivi aggiunti, la ricorrente lamentava la violazione dell’art. 106, comma 11, del dlgs 50/2016 e dell’art. 23 della legge 18.04.2005 n. 62, nonché di quelle con cui è denunziata l’illegittimità della determinazione unilaterale del corrispettivo dovuto alla ricorrente per effetto dei gravati provvedimenti di proroga dell’affidamento.
10.1. Osserva il Collegio come la prima proroga del contratto tra le parti sia stata adottata con la determina n. 15 dell'11/02/2019 (reg. gen. 110 del 15/02/2019) e che il vincolo negoziale a quella data era però già sciolto, atteso che la durata del contratto era stata stabilita in tre anni o trentasei mesi dalla consegna avvenuta il 10.02.2016, l’art. 3 comma 2 del contratto precisava infatti che “alla scadenza del termine di durata il contratto si intende cessato e risolto di diritto, senza necessità di disdetta, preavviso, diffida o costituzione in mora”, pertanto non di proroga dovrebbe parlarsi ma di rinnovo di un contratto scaduto, rispetto al quale però opera la preclusione di cui all’art. 23 della legge 18.04.2005 n. 62.
Ma anche a voler ritenere che di proroga e non di rinnovo si trattasse, appaiono manifestamente illegittime le successive proroghe (tecniche) adottate dalla resistente amministrazione a mente dell’art. 106, comma 11, del Dlgs 50/2016.
La norma in questione, infatti, stabilisce che “La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga”.
Ebbene, anche a voler considerare che l’originario contratto stipulato dalle parti fosse ancora in corso di esecuzione al momento (il 04.09.2020) dell’adozione del provvedimento gravato con il ricorso principale, in ogni caso quel contratto prevedeva che la durata complessiva della proroga non potesse eccedere il termine di un anno dalla scadenza originaria del vincolo negoziale (avvenuta come visto il 09.02.2019), sicché la nuova proroga adottata a settembre 2020, le precedenti (non impugnate) e le successive (poi impugnate con motivi aggiunti), non erano legittimate da alcuna disposizione del contratto o dei documenti di gara.
10.2. È fondata anche la doglianza con cui la ricorrente lamenta l’unilaterale determinazione del corrispettivo dovuto per la proroga del servizio. Sul punto non possono che essere richiamati i precedenti con cui questo Collegio (da ultimo con le sentenze n. 168 del 12.03.2020 e 468 del 23.07.2020), ha evidenziato che la PA non può imporre (nemmeno con lo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente) un corrispettivo per l'espletamento di un servizio, e tanto meno può farlo rinviando ad accordi contrattuali sulla cui vigenza ed efficacia vi è contesa tra le parti.
Invero, diversamente opinando, si consentirebbe all'Amministrazione di sacrificare la libera iniziativa economica privata a beneficio del proprio esclusivo interesse al risparmio di spesa, con violazione dei principi desumibili dall'art. 41 Cost. (cfr. in tal senso, C.d.S, V, 02.12.2002 n. 6624).

APPALTISuddivisione della gara in lotti per macroaree geografiche.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Lotti - Suddivisione – Frazionamento delle procedure per macroaree geografiche – Legittimità.
A fronte della identità funzionale dell’oggetto della procedura di gara, non irragionevolmente la Stazione appaltante recupera l’eventuale deficit di diversificazione pro-concorrenziale frazionando le procedure per macroaree geografiche, limitando così gli importi a base d’asta. (2).
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   (1) Ha premesso la Sezione che la suddivisione in lotti di cui all’art. 51, d.lgs n. 50 del 2016 è prevista a tutela delle piccole e medie imprese al fine di consentire la loro partecipazione e, dunque, è posta a tutela della libera concorrenza. L’appalto in questione prevede la fornitura dall’oggetto necessariamente unitario, motivo per cui la suddivisone in lotti in termini geografici non appare difforme rispetto al precetto normativo. La previsione di vincoli di partecipazione o di aggiudicazione rientra tra le facoltà dell’amministrazione e non si risolve in un obbligo, come anche indicato nella Direttiva 2014/24/UE.
La scelta della Stazione appaltante è frutto di un bilanciamento tra tutela della concorrenza da una parte, ed esigenze tecnico-economiche dall’altra, afferenti l’interesse pubblico alla prestazione di cui è attributaria l’amministrazione, per cui la suddivisione in lotti geografici su base d’asta non risulta irragionevole o illegittima, e, come affermato da recente giurisprudenza, sebbene sia indubbio che la suddivisione in lotti rappresenti uno strumento posto a tutela della concorrenza sotto il profilo della massima partecipazione alle gare, è altrettanto indubbio che tale principio non costituisca un precetto inviolabile né possa comprimere eccessivamente la discrezionalità amministrativa di cui godono le Stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti di gara in funzione degli interessi sottesi alla domanda pubblica, assumendo, piuttosto, la natura di principio generale adattabile alle peculiarità del caso di specie. Nella giurisprudenza della Sezione si è più volte affermato che la mancata previsione del vincolo di aggiudicazione non comporta ex se illegittimità della procedura.
In particolare, la sentenza n. 3683 del 2020 ha chiarito che “non è l'assenza di tale vincolo, la cui previsione è meramente discrezionale (art. 51, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016), a determinare in sé la violazione della concorrenza, bensì la strutturazione della gara in modo tale che la sua apparente suddivisione in lotti, per le caratteristiche stesse di questi o in base al complesso delle previsioni della lex specialis, favorisca in modo indebito taluno dei concorrenti e gli consenta di acquisire l'esclusiva nell'aggiudicazione dei lotti”.
Il problema si sposta dunque sulla logicità e ragionevolezza della suddivisione in lotti: che, come chiarito, nel caso di specie è risultata conforme ad un plausibile bilanciamento fra le esigenze di tutela della concorrenza e quelle correlate alla organizzazione sul territorio della prestazione oggetto dell’appalto.
Nella specie la Sezione ha escluso la illogicità del frazionamento per essere state accorpate in alcuni lotti più Aziende Sanitarie, qualora tale accorpamento sia comunque conforme al criterio territoriale di cui sopra: non risultando, e non avendolo peraltro neppure dedotto l’appellante, che gli accorpamenti in questione siano stati individuati e definiti in deroga al ridetto criterio.
L’accorpamento nel medesimo lotto di Aziende non ricadenti in ambiti territoriali eterogenei confermerebbe semmai la ragionevolezza del criterio e la sua effettiva funzionalizzazione agli interessi collettivi portati dalla stazione appaltante.
Ha aggiunto la Sezione che è proprio il diritto comunitario ad insegnare che la tutela della concorrenza, che qui dunque appare garantita, può essere peraltro recessiva (o quanto meno bilanciata) rispetto alle esigenze sottese ad una efficiente ed efficace erogazione del servizio, in ragione della prevalenza funzionale, nella disciplina (anche comunitaria) degli appalti pubblici, del profilo causale inerente le ragioni della domanda pubblica: “Va anzitutto osservato che il fatto che la disciplina degli appalti pubblici sia ispirata al valore della tutela della concorrenza non vuol dire che ciò comporti una restrizione sul piano della qualità delle prestazioni che può richiedere l’amministrazione (secondo un parametro di proporzionalità), specie a fronte di un servizio pubblico così delicato. A partire alla sentenza della Corte di Giustizia, 17.09.2002, in causa C-513/99, è acquisito il principio per cui la tutela della concorrenza nel settore dei contratti pubblici implica anche la capacità dell’impresa di stare sul mercato offrendo prodotti competitivi per soddisfare una domanda pubblica qualificata, in relazione ai sottostanti interessi della collettività (secondo la logica del contratto pubblico come strumento a plurimo impiego). La positivizzazione di tale principio è scolpita nella direttiva 2014/24/UE laddove si prevede, con riferimento alle capacità tecniche e professionali, che “le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche e l’esperienza necessarie per eseguire l’appalto con un adeguato standard di qualità” (art. 58, paragrafo 4), confermando l’impostazione secondo la quale la pubblica amministrazione ha interesse ad incentivare la partecipazione alle gare di soggetti particolarmente qualificati, che garantiscano elevati standard qualitativi al fine di svolgere al meglio le prestazioni oggetto di gara” (Cons. Stato, sez. III, n. 1076 del 2020).
Tale principio, positivizzato con riferimento alla disciplina dei requisiti, rileva evidentemente –per identità di ratio- anche quale criterio che orienta il margine di discrezionalità di cui dispone la stazione appaltante (con il limite della logicità e della ragionevolezza) nell’individuazione dei lotti, a tutela delle esigenze dell’amministrazione rilevanti sul piano dell’organizzazione del servizio (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12.10.2021 n. 6837 - commento tratto da e  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIEsclusione per grave illecito professionale.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Grave illecito professionale - Art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 – Discrezionalità tecnica e amministrativa.
L’esclusione dalla gara per grave illecito professionale, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, disegna un potere discrezionale in una duplice prospettiva: è connotato da discrezionalità tecnica, specie nell’apprezzamento dei fatti (i precedenti contrattuali della società) e nella sussunzione dei medesimi nell’ambito dei gravi illeciti professionali, e da discrezionalità amministrativa, in particolare nella valutazione relativa alla conseguente, o meno, inaffidabilità dell’impresa, laddove bisogna stabilire se i “gravi illeciti professionali” sono “tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, non venendo in predicato, in tale caso, una scienza tecnica o giuridica (che invece soccorre nel sussumere le condotte poste in essere dall’operatore nella nozione di gravi illeciti professionali) ma una valutazione di opportunità circa il venir meno dell’affidabilità a cagione della precedente condotta dell’operatore (1).
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   (1) Cons. St., Ad. plen., 28.08.2020, n. 16.
Ha chiarito il C.g.a. che la commistione fra discrezionalità tecnica e amministrativa deriva anche dalla compartecipazione di due organi a detta attività valutativa, la Commissione di gara, organo tecnico nella composizione e nell’attività che svolge, e il rup, nel quale alle competenze tecniche si aggiunge il potere di scelta amministrativa, in quanto organo dell’Amministrazione.
Ha aggiunto che la discrezionalità trova il proprio fondamento nel diritto UE, che delinea detta causa di esclusione come facoltativa (art. 57 par. 4 della direttiva 2014/24, come interpretato da Corte giust., sez. IV, 19.06.2019, C-41/18);
Essa si esplica innanzitutto sull’an: la richiamata lett. c) non fa derivare l’esclusione da una circostanza indipendente dalla volontà dell’Amministrazione, al pari delle fattispecie escludenti di cui ad altre lettere del medesimo comma 5 dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 (sottoposizione a fallimento, conflitto di interessi, distorsione della concorrenza …) ma dalla dimostrazione della stazione appaltante circa l’inaffidabilità dell’operatore economico: benché la disposizione individui i gravi illeciti professionali come causa della valutazione discrezionale di inaffidabilità, essa non stabilisce un rapporto di necessarietà fra le due situazioni, il verificarsi del grave illecito professionale e la valutazione di inaffidabilità: una volta accertato il grave illecito professionale, l’Amministrazione adotta il provvedimento espulsivo solo laddove ritenga che la commissione di detto illecito abbia reso l’operatore economico inaffidabile (Cons. St., sez. IV, 08.10.2020, n. 5967 e sez. V, 27.02.2019, n. 1367) (CGARS, sentenza 11.10.2021 n. 842 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it)
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SENTENZA
13.9. Attraverso gli atti qui impugnati l’Amministrazione ha quindi riesercitato il potere di cui alla causa escludente prevista dall’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 (la cui violazione è stata la causa dell’annullamento giurisdizionale alla base dell’obbligo conformativo), in cui la stessa è chiamata a fissare “il punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente” (ss. uu. 17.02.2012 n. 2312 e Ad. plen. 28.08.2020 n. 16).
In base all’ art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, vigente ratione temporis (le modifiche di cui all'art. 5, comma 1, del d.l. 14.12.2018 n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.02.2019 n. 12, che ha sostituito l'originaria lettera c) con le attuali lettere c), c-bis ) e c-ter), “si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi, con i quali si indicono le gare, sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”, così il richiamato art. 5, comma 2, nel caso di specie la gara è stata bandita il 30.05.2018), “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione ovvero l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”.
La fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 si fonda quindi su tre elementi costitutivi: i gravi illeciti professionali commessi dall’operatore economico e l’idoneità di questi a rendere dubbia l’integrità e la moralità, nonché la dimostrazione della stazione appaltante della sussistenza di detti due elementi.
La norma contempla poi alcune situazioni che integrano il requisito dei gravi illeciti professionali quali le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni, il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio e il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sulla gara, nonché l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.
L'elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella lettera c) del comma 5 dell'art. 80 è, peraltro, meramente esemplificativa, per come è reso evidente sia dalla possibilità della stazione appaltante di fornirne la dimostrazione “con mezzi adeguati”, sia dall' incipit del secondo inciso (“Tra questi [id est, gravi illeciti professionali] rientrano”) che precede l'elencazione (Cons. St., sez. IV, 08.10.2020 n. 5967).
Su un punto, è bene essere chiari: armonicamente con la formulazione “aperta” della norma, e con la necessità dalla stessa postulata che la valutazione sia resa dalla stessa stazione appaltante (art. 34, comma 2 cpa, primo alinea) il potere di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 è un potere discrezionale in una duplice prospettiva.
Esso è connotato da discrezionalità tecnica, specie nell’apprezzamento dei fatti (i precedenti contrattuali di -OMISSIS-) e nella sussunzione dei medesimi nell’ambito dei gravi illeciti professionali, e da discrezionalità amministrativa, specie nella valutazione relativa alla conseguente, o meno, inaffidabilità dell’impresa, laddove bisogna stabilire se i “gravi illeciti professionali” sono “tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, non venendo in predicato, in tale caso, una scienza tecnica o giuridica (che invece soccorre nel sussumere le condotte poste in essere dall’operatore nella nozione di gravi illeciti professionali) ma una valutazione di opportunità circa il venir meno dell’affidabilità a cagione della precedente condotta dell’operatore.
La commistione fra discrezionalità tecnica e amministrativa deriva dalla compartecipazione di due organi a detta attività valutativa, la Commissione di gara, organo tecnico nella composizione e nell’attività che svolge, e il rup, nel quale alle competenze tecniche si aggiunge il potere di scelta amministrativa (in quanto organo dell’Amministrazione). Nel caso di specie la valutazione infatti è stata compiuta dapprima dalla Commissione di gara e poi dal rup, che, con determina 16.09.2020 n. 278, ha approvato il verbale 07.09.2020, dopo avere valutato gli atti di gara e svolto ulteriori approfondimenti istruttori.
In quanto potere amministrativo altamente discrezionale, esso non è vincolato dalla legge in modo tale che possa ritenersi sussistere un solo atto legittimamente attuativo della norma.
Vi è infatti potere discrezionale se la disposizione di legge può essere attuata (legittimamente) attraverso atti di vario contenuto (atteso che la discrezionalità comporta una scelta fra più soluzioni possibili), la cui individuazione discende da un giudizio che, purché “affidabile” (nel senso di non illogico, non omissivo, non abnorme), rimane insindacabile dal giudice della legittimità amministrativa (pur essendo passibile di valutazione da parte del giudice contabile per quanto riguarda la responsabilità per mala gestio), fatto salvo il rispetto dei canoni (discendenti dalla legge e/o dai principi generali) che governano l’esercizio della funzione.
Il rispetto di detti ultimi limiti costituisce l’oggetto del sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità amministrativa, nella prospettiva della correttezza dell’esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata dall’amministrazione in relazione al fine pubblico. E ciò senza che peraltro questo Giudice possa intervenire sul merito amministrativo, cioè sulla scelta di opportunità, non governata da norme giuridiche, sicché è impedito al g.a. di sostituire una valutazione opinabile con altra valutazione opinabile.
Osta a ciò, nel caso in cui il potere non sia stato esercitato, il principio di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2 c.p.a. (secondo cui il giudice non può pronunciare “con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”).
Laddove invece il potere sia stato esercitato, operano per esso i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale.
Quanto invece alla discrezionalità tecnica (di cui è appunto permeata la fattispecie in esame) la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato afferma che il sindacato del giudice amministrativo sull’esercizio dell’attività valutativa da parte della Commissione non può sostituirsi a quello della pubblica amministrazione, in quanto il sindacato sostitutivo non può essere svolto al di fuori dei tassativi casi sanciti dall’art. 134 c.p.a., fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica (Cons. St., sez. V, 08.01.2019 n. 173).
Ne deriva che, come da consolidato indirizzo giurisprudenziale, per sconfessare il giudizio della Commissione giudicatrice non è sufficiente evidenziarne la mera non condivisibilità, dovendosi piuttosto dimostrare “la palese inattendibilità e l’evidente insostenibilità del giudizio tecnico compiuto” (Cons. St., sez. II, 02.09.2019 n. 6058), ciò che nel caso di specie, come meglio si dirà, non è accaduto, in quanto non sono emersi travisamenti, pretestuosità o irrazionalità, idonei a porre in dubbio il giudizio globale di affidabilità, ma margini di fisiologica opinabilità e non condivisibilità della valutazione tecnico-discrezionale.
Nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 la discrezionalità si esplica innanzitutto sull’an: la richiamata lett. c) non fa derivare l’esclusione da una circostanza indipendente dalla volontà dell’Amministrazione, al pari delle fattispecie escludenti di cui ad altre lettere del medesimo comma 5 dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 (sottoposizione a fallimento, conflitto di interessi, distorsione della concorrenza …) ma dalla dimostrazione della stazione appaltante circa l’inaffidabilità dell’operatore economico. E, benché la disposizione individui i gravi illeciti professionali come causa della valutazione discrezionale di inaffidabilità, essa non stabilisce un rapporto di necessarietà fra le due situazioni, il verificarsi del grave illecito professionale e la valutazione di inaffidabilità.
Ne deriva che, una volta accertato il grave illecito professionale, l’Amministrazione adotta il provvedimento espulsivo solo laddove ritenga che la commissione di detto illecito abbia reso l’operatore economico inaffidabile. “Il relativo giudizio quindi è espressione di ampia discrezionalità da parte della p.a., cui il legislatore ha voluto riconoscere “un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell'affidabilità dell'appaltatore. Ne consegue che il sindacato che il g.a. è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della "non pretestuosità" della valutazione degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera "non condivisibilità" della valutazione stessa” (cfr. Cass. Civ., S.U., 17.02.2012, n. 2312)” (Cons. St., sez. IV, 08.10.2020 n. 5967 e sez. V, 27.02.2019 n. 1367).
13.10. Da ultimo si rileva, al fine di inquadrare la fattispecie, che l’ampia discrezionalità che connota il potere escludente di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 trova il proprio fondamento nel diritto UE, che disegna detta causa di esclusione come facoltativa.
Ai sensi dell'art. 57 par. 4 della direttiva 2014/24 le amministrazioni aggiudicatrici “possono escludere” oppure gli Stati membri “possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere” dalla partecipazione alla procedura di appalto un operatore economico in una delle suddette situazioni: dal testo della disposizione in questione risulta quindi che “il compito di valutare se un operatore economico debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto è stato affidato alle amministrazioni aggiudicatrici, e non a un giudice nazionale” (Corte giust., sez. IV, 19.06.2019, C-41/18).
La facoltà di cui dispone qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di appalto è destinata in modo particolare a consentirle di valutare l'integrità e l'affidabilità di ciascuno degli offerenti, come dimostrano l'art. 57 par. 4, lett. c) e g), nonché il considerando 101 della direttiva 2014/24. In particolare, viene in evidenza un “elemento essenziale del rapporto tra l'aggiudicatario dell'appalto e l'amministrazione aggiudicatrice, vale a dire l'affidabilità del primo, sulla quale si fonda la fiducia che vi ripone la seconda”. In tal senso, il considerando 101, comma 1, della direttiva prevede che le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere gli “operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili”, mentre il comma 2 prende in considerazione, nell'esecuzione degli appalti pubblici precedenti, “comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull'affidabilità dell'operatore economico”.
Nell’ambito della discrezionalità di cui beneficia l’Amministrazione la Corte di giustizia ha stabilito che le amministrazioni aggiudicatrici devono poter escludere un operatore economico “in qualunque momento della procedura” e non solo dopo che un organo giurisdizionale ha pronunciato la sua sentenza, il che costituisce un indizio ulteriore della volontà del legislatore dell'Unione di lasciare un ampio margine di scelta all'amministrazione aggiudicatrice di effettuare la propria valutazione sull’affidabilità dell’operatore economico. E ciò in quanto “se un'amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare un'attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento dell'applicazione dei motivi facoltativi di esclusione. Orbene, secondo il considerando 101 della direttiva 2014/24, tale principio implica in particolare che, prima di decidere di escludere un operatore economico, una simile amministrazione aggiudicatrice prenda in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o la ripetizione di lievi irregolarità”.
Il legislatore dell'Unione ha inteso affidare all'amministrazione aggiudicatrice, e a essa soltanto, nella fase della selezione degli offerenti, il compito di valutare se un candidato o un offerente debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto” (Corte giust., sez. IV, 19.06.2019, C-41/18).
Ne deriva che la Corte di giustizia non impone all’Amministrazione di inferire da un’irregolarità non definitiva (in quanto oggetto di contenzioso) l’inaffidabilità, pretendendo piuttosto che sia lasciata alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione di detta irregolarità, in un’ottica che tende a riconosce e a confidare nella capacità valutativa del soggetto pubblico. Tanto è vero che nella motivazione della pronuncia si legge che “Il potere discrezionale che l'articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 conferisce all'amministrazione aggiudicatrice è infatti paralizzato dalla semplice proposizione da parte di un candidato o di un offerente di un ricorso diretto contro la risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico di cui era firmatario, quand'anche il suo comportamento sia risultato tanto carente da giustificare tale risoluzione” (Corte giust., sez. IV, 19.06.2019, C-41/18) (CGARS, sentenza 11.10.2021 n. 842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIRiparametrazione del possesso dei requisiti di partecipazione indicati dal bando (operazioni effettuate nell’ultimo triennio) in ragione della effettiva esistenza della società concorrente.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di partecipazione – Imprese neo costituite - Riparametrazione dei requisiti di capacità tecnica - Limiti.
In assenza di specifiche disposizioni limitative da parte del bando di gara, la riparametrazione dei requisiti di capacità tecnica per le imprese neo costituite può favorire condotte elusive e condurre ad esiti del tutto inaccettabili, quali la partecipazione alla gara di operatori economici costituitisi pochi giorni prima rispetto al termine di scadenza di presentazione delle offerte ed in possesso di requisiti del tutto esigui ed inidonei a comprovare l’affidabilità del concorrente (1).
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   1) Ha ricordato la Sezione che per le imprese di recente costituzione "il calcolo per la verifica del possesso dei requisiti indicati nel bando va effettuato sugli anni di effettiva esistenza dell'impresa e i bilanci e la documentazione da presentare sono da riferirsi agli anni di effettiva operativa della stessa" (cfr. deliberazioni ANAC 20.12.2017, n. 1349; 23.05.2018, n. 473 e 14.06.2017, n. 671).
Tuttavia nella fattispecie oggetto di quel giudizio -relativa ad appalto di ristorazione- vi era anzitutto la presenza di clausola nella lex specialis dal tenore ambiguo non essendo chiaro se il criterio dell’esecuzione di servizi analoghi nell’ultimo triennio ovvero di un numero minimo di pasti (70.000) fosse riferito a ciascun anno del triennio o alla media ponderata. In secondo luogo l’impresa interessata aveva abbondantemente dimostrato il possesso del requisito nell’arco del triennio (ben 432.145 pasti) avendo soltanto nell’anno 2015 erogato un numero di pasti inferiore a 70.000 a causa della costituzione avvenuta soltanto nel mese di giugno 2015.
pur non potendo la Sezione che condividere il su indicato principio, sicuramente pro-concorrenziale, non lo ritiene nel caso di specie applicato correttamente dalla stazione appaltante.
La previsione nel bando da parte dell’Amministrazione di specifici requisiti di capacità tecnica costituisce attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, predicati dall'art. 97 Cost., e sostanziandosi nell'apprestamento da parte dell'Amministrazione degli strumenti e delle misure più adeguati ed efficaci per il corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, in relazione all'oggetto dell'appalto da affidare (Cons. Stato sez. V, 23.06.2011, n. 3809).
Ai sensi dell’art. 83, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 i requisiti e le capacità economico finanziarie e tecnico professionali “sono attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto, tenendo presente l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e rotazione”. Il successivo comma 8 onera la stazione appaltante di indicare le condizioni di partecipazione richieste.
Mette conto richiamare anche il considerando 4 della Direttiva 2014/23/UE in tema di “favor” per la partecipazione alle procedure di affidamento dei pubblici appalti delle c.d. PMI ovvero delle piccole e medie imprese quali l’odierna controinteressata.
La riparametrazione dei su indicati requisiti, di contro, per quanto sicuramente finalizzata al “favor partecipationis”, non trova specifica previsione nel nostro ordinamento in alcuna norma, si che la lex specialis appare la naturale “sedes materiae”.
In assenza, infatti, di specifiche disposizioni limitative da parte del bando di gara, la riparametrazione dei requisiti di capacità tecnica per le imprese neo costituite può favorire condotte elusive e condurre ad esiti del tutto inaccettabili, quali la partecipazione alla gara di operatori economici costituitisi pochi giorni prima rispetto al termine di scadenza di presentazione delle offerte ed in possesso di requisiti del tutto esigui ed inidonei a comprovare l’affidabilità del concorrente. Per ipotesi, infatti, basterebbe la costituzione dell’impresa concorrente una settimana prima e la produzione di fatturato di poche centinaia di euro relativo a tal periodo, che riparametrato, consentirebbe la partecipazione.
Riparametrare senza alcun limite il requisito sulla base dell’effettivo periodo di tempo (inferiore a quello richiesto in bando) di operatività dell’azienda (ovverosia a partire dal momento in cui l’attività ha avuto avvio) comporterebbe la violazione di tale ratio, perché non verrebbe assicurata l’esperienza ritenuta necessaria (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 11.10.2021 n. 834 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIInefficacia del contratto di appalto.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Chiarimenti – Natura.
  
Processo amministrativo - Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE – Obbligo – Limiti.
  
Contratti della Pubblica amministrazione – Contratti – Inefficacia – Condizione.
  
I chiarimenti resi dalla stazione appaltante nel corso di una gara d’appalto non hanno alcun contenuto provvedimentale, non potendo costituire, per giurisprudenza consolidata, integrazione o rettifica della lex specialis di gara, per cui gli stessi sono ammissibili solo se contribuiscono, con un’operazione di interpretazione del testo a renderne chiaro e comprensibile il significato, ma non quando, proprio mediante l’attività interpretativa, si giunga ad attribuire ad una disposizione della lex specialis un significato ed una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal testo stesso.
  
L’obbligo di sollevare la questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE sussiste quando la questione interpretativa sia rilevante ai fini della soluzione della controversia.
  
La dichiarazione di inefficacia del contratto non costituisce un effetto automatico dell’annullamento dell’aggiudicazione, ma può conseguire ad una specifica valutazione effettuata dal giudice che ha annullato l’aggiudicazione, sulla base degli elementi di valutazione indicati dall’art. 122 c.p.a. (1).
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   (1) Ha chiarito la sentenza che nella materia dei contratti pubblici, l’illegittimità dell’azione amministrativa, che si sia risolta nell’annullamento dell’aggiudicazione, prospetta, alla stregua dell’art. 124 c.p.a., una articolata struttura rimediale rimessa, in base all’ordinario canone dispositivo, alla domanda di parte (cfr. artt. 30, 40, comma 1, lettere b) ed f), 41 e 64 cod. proc. amm., in relazione all’art. 99 cod. proc. civ. e 2907 cod. civ.).
In particolare –contestualmente alla impugnazione, a mezzo di “azione di annullamento” (art. 29 cod. proc. amm.), ad esito prospetticamente demolitorio, dei “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento” (art. 119, comma 1, lettera a) e 120 cod. proc. amm.)– è rimessa all’impresa pregiudicata l’opzione:
   a) per una “tutela in forma specifica”, a carattere integralmente satisfattorio, affidata alla domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto (art. 124, comma 1, prima parte), il cui accoglimento:
      a1) postula, in negativo, la sterilizzazione ope judicis, in termini di “dichiarazione di inefficacia”, del contratto eventualmente già stipulato inter alios (essendo, per ovvie ragioni, preclusa una ulteriore attribuzione dell’unitario bene della vita gestito dalla procedura ad evidenza pubblica);
      a2) richiede, in positivo, un apprezzamento di spettanza in termini di diritto al contratto, con la certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, il ricorrente si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa;
   b) per un “risarcimento del danno per equivalente” (art. 124, comma 1, seconda parte), e ciò:
      b1) sia nel caso in cui il giudice abbia riscontrato l’assenza dei presupposti per la tutela specifica (e, in particolare, non abbia ravvisato, ai sensi degli artt. 121, comma 1 e 122 cod. proc. amm., i presupposti per dichiarare inefficace il contratto stipulato ovvero, sotto distinto profilo, non abbia elementi sufficienti a formulare un obiettivo giudizio di spettanza);
      b2) sia nel caso in cui la parte abbia ritenuto di non formalizzare la domanda di aggiudicazione (né si sia resa comunque “disponibile a subentrare nel contratto”, anche in corso di esecuzione), nel qual caso la “condotta processuale” va anche apprezzata in termini concausali (cfr. art. 124, comma 2, in relazione al richiamato art. 1227 cod. civ.).
Insomma, ai sensi delle richiamate norme processuali, costituisce un preciso onere dell’operatore economico che intende subentrare nella posizione negoziale dell’aggiudicatario, formulare una specifica domanda di subentro nel contratto.
La dichiarazione di inefficacia del contratto, infatti, non costituisce un effetto automatico dell’annullamento dell’aggiudicazione, ma può conseguire ad una specifica valutazione effettuata dal giudice che ha annullato l’aggiudicazione, sulla base degli elementi di valutazione indicati dall’art. 122 c.p.a. (
CGARS, sentenza 08.10.2021 n. 841 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sull’affidamento del servizio di gestione dei “distributori automatici”.
In primo luogo, l’affidamento in esame deve essere qualificato come concessione di servizi e non appalto di servizi, trattandosi dell’affidamento del servizio di gestione dei “distributori automatici”, nell’ambito del quale l’affidatario trae i suoi guadagni non in funzione di un corrispettivo ricevuto in via diretta dall’Amministrazione, ma con gli introiti della vendita dei prodotti distribuiti.
Il rapporto di concessione di pubblico servizio, infatti, si distingue dall'appalto di servizi proprio per l'assunzione, da parte del concessionario, del rischio di domanda. Mentre l'appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest'ultimo grava interamente sull'appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l'utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione.
Da ciò deriva che la determinazione della soglia comunitaria, quale limite al sotto del quale è applicabile la disciplina dell’esclusione automatica in caso di anomalia dell’offerta ex art. 97, comma 8, del codice dei contratti pubblici deve essere determinata in relazione alla previsione relativa alle concessioni di servizi, ovverosia in base all’art. l’art. 35, comma 1, lett. a), del D.lgs. 50/2016 che stabilisce la soglia di euro 5.225.000 “per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni”, riferendo testualmente tale soglia a ogni tipo di concessione.
L’affidamento in esame si rivela, quindi, sotto soglia.
Da ciò deriva nel caso in esame l’applicabilità al comma 8 dell’art. 97 del codice dei contratti pubblici, così come modificata dall’art. 1 del d.l. n. 32/2019, e anzi a ben vedere dell'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito in legge 11.09.2020, n. 120 (di cui più diffusamente in seguito) che consente l’esclusione automatica alla gara per le procedure di gara di importo al di sotto della soglia comunitaria che non rivestano carattere transfrontaliero, che presentino una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2 e dei commi 2-bis e 2-ter del medesimo articolo.
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Infondato è, inoltre, l’argomento, motivo di ricorso, secondo cui il comma 8 dell’indicato art. 97 non sarebbe applicabile, in quanto l’ultimo periodo prevede che “comunque l’esclusione automatica non opera quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci”, mentre la gara ha avuto un numero di offerte pari “solo” a nove.
Al riguardo, infatti, l'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito in legge 11.09.2020, n. 120, ha introdotto una deroga temporanea quest’ultima disposizione, efficace per il periodo emergenziale, e applicabile ratione temporis, secondo cui per i contratti pubblici sotto soglia “nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell'articolo 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del dlgs n. 50 del 2016, anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque”.
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... per l'annullamento, previa adozione di misura cautelare,
   - del provvedimento di esclusione della ricorrente dalla procedura di gara per l’affidamento del servizio di distribuzione automatica tramite apparecchi di distribuzione bevande e cibi presso gli enti area Cecchignola e dell’aggiudicazione alla controinteressata;
   - dei relativi verbali di gara che dispongono l’esclusione e l’aggiudicazione, trasmessi a seguito di apposita istanza di accesso; del bando di gara e relativo disciplinare, nella parte in cui (art. 8) prevede l’applicazione dell’art. 97 Codice appalti, comma 8, e quindi dell’esclusione automatica delle offerte ritenute anomale;
nonché per la declaratoria
   - dell’inefficacia del contratto eventualmente già stipulato tra resistente e controinteressata nelle more del giudizio, in cui la ricorrente dichiara di voler subentrare;
per la condanna
   - anche in subordine, o in uno con la richiesta di subentro, della stazione appaltante al risarcimento dei danni arrecati per effetto degli atti contestati, in via subordinata anche per la mera perdita di chance.
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Parte ricorrente ha partecipato alla procedura negoziata, ai sensi dell’art. 36 del Codice dei contratti pubblici, da aggiudicarsi con il criterio del minor prezzo, ai sensi dell’art. 95, comma 4, D.Lgs. 50 del 18.04.2016, e nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento previsti dall’art. 30, comma 1 e comma 7, per l’affidamento del servizio di gestione dei “distributori automatici” delle Caserme dell’area Cecchignola. Importo a base d’asta euro 438.524,59.
La medesima parte ricorrente ha contestato la sua esclusione automatica dalla procedura, il bando di gara in parte qua, nonché l’aggiudicazione emessa a favore della controinteressata Ma.Ve. Srl.
La medesima ricorrente, ha presentato l’offerta con lo sconto più alto, ma è stata esclusa dalla procedura di gara in via automatica, in forza della previsione del disciplinare, che, al punto 8, ha contemplato l’applicazione dell’art. 97, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, indicando che si sarebbe proceduto all’esclusione automatica delle offerte che avessero presentato una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’art. 1, commi 2, 2-bis 2-ter, del decreto cosiddetto semplificazioni (d.l. n. 32/2019).
La gara è stata, quindi, aggiudicata all’impresa odierna controinteressata.
L’offerta di parte ricorrente è, infatti, risultata aver superato la soglia di anomalia, con un ribasso del 56,24%, a fronte del ribasso offerto dall’aggiudicataria pari a 54,50%. La soglia dell’anomalia è stata calcolata facendo le medie di tutti i ribassi per un risultato di 55,125%.
Parte ricorrente ha impugnato la sua esclusione automatica, il bando e il disciplinare di gare e l’aggiudicazione all’impresa controinteressata, nonché gli altri atti della procedura. Ha chiesto l’annullamento degli atti impugnati, la declaratoria dell’inefficacia del contratto eventualmente stipulato tra resistente e controinteressata nelle more del giudizio, dichiarando di voler subentrare, nonché la condanna, anche in subordine, o in uno con la richiesta di subentro, della stazione appaltante al risarcimento dei danni arrecati per effetto degli atti contestati, in via subordinata anche per la perdita di chance.
La medesima parte ricorrente ha formulato i seguenti motivi di ricorso: ...
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3) Nel merito il ricorso si palesa infondato.
In primo luogo, l’affidamento in esame deve essere qualificato come concessione di servizi e non appalto di servizi, trattandosi dell’affidamento del servizio di gestione dei “distributori automatici”, nell’ambito del quale l’affidatario trae i suoi guadagni non in funzione di un corrispettivo ricevuto in via diretta dall’Amministrazione, ma con gli introiti della vendita dei prodotti distribuiti.
Il rapporto di concessione di pubblico servizio, infatti, si distingue dall'appalto di servizi proprio per l'assunzione, da parte del concessionario, del rischio di domanda. Mentre l'appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest'ultimo grava interamente sull'appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l'utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione (conferma TAR Lazio-Roma, Sez. III, 18.03.2020, n. 3371).
Da ciò deriva che la determinazione della soglia comunitaria, quale limite al sotto del quale è applicabile la disciplina dell’esclusione automatica in caso di anomalia dell’offerta ex art. 97, comma 8, del codice dei contratti pubblici deve essere determinata in relazione alla previsione relativa alle concessioni di servizi, ovverosia in base all’art. l’art. 35, comma 1, lett. a), del D.lgs. 50/2016 che stabilisce la soglia di euro 5.225.000 “per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni”, riferendo testualmente tale soglia a ogni tipo di concessione.
L’affidamento in esame si rivela, quindi, sotto soglia, anche volendo ritenere, ad avviso del collegio correttamente, che il valore dell’affidamento vada determinato moltiplicando per quattro il valore annuo in virtù della previsione dei possibili rinnovi sino a tre anni. A tal fine diviene anche irrilevante stabilire se il valore annuo è € 438.524,59 o € 535.000,00.
Da ciò deriva nel caso in esame l’applicabilità al comma 8 dell’art. 97 del codice dei contratti pubblici, così come modificata dall’art. 1 del d.l. n. 32/2019, e anzi a ben vedere dell'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito in legge 11.09.2020, n. 120 (di cui più diffusamente in seguito) che consente l’esclusione automatica alla gara per le procedure di gara di importo al di sotto della soglia comunitaria che non rivestano carattere transfrontaliero, che presentino una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2 e dei commi 2-bis e 2-ter del medesimo articolo.
Infondato è, inoltre, l’argomento, motivo di ricorso, secondo cui il comma 8 dell’indicato art. 97 non sarebbe applicabile, in quanto l’ultimo periodo prevede che “comunque l’esclusione automatica non opera quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci”, mentre la gara ha avuto un numero di offerte pari “solo” a nove.
Al riguardo, infatti, l'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito in legge 11.09.2020, n. 120, ha introdotto una deroga temporanea quest’ultima disposizione, efficace per il periodo emergenziale, e applicabile ratione temporis, secondo cui per i contratti pubblici sotto soglia “nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell'articolo 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo n. 50 del 2016, anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque”.
Infondato è al riguardo l’assunto del ricorrente, in linea anche su quanto indicato dal parere di pre-contenzioso ANAC di cui alla delibera n. 390/2021 -poi annullato in autotutela- secondo cui questa disposizione derogatoria si applicherebbe solo agli appalti e non alle concessioni.
In assenza di una specifica delimitazione del campo di applicazione della norma riferita nella rubrica dell’art. 1 ai contratti pubblici e nello stesso comma 3 alle procedure di affidamento, si deve ritenere che la disposizione si applichi anche alle concessioni e, in ogni caso, per quanto riguarda il riferimento agli appalti contenuto nel comma 3 in questione (“Per gli affidamenti di cui al comma 2, lettera b), le stazioni appaltanti … procedono, a loro scelta, all'aggiudicazione dei relativi appalti, sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del prezzo più basso”), operi il principio generale espresso dall’art. 164, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016, secondo cui alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi, si applicano, per quanto compatibili, le stesse diposizioni previste per gli appalti “…relativamente ai principi generali, alle esclusioni…”.
Priva di pregio si rivela anche la censura inerente alla mancata valutazione da parte della Stazione appaltante dell’assenza di interessi possibili di natura transfrontaliera al fine di giustificare l’applicabilità della disciplina degli affidamenti sotto soglia nella parte in cui prevedono l’esclusione delle offerte anomale.
La parte ricorrente non ha, infatti, in alcun modo evidenziato le ragioni per le quali ritiene che siffatto interesse transfrontaliero sussisterebbe, tanto più in un contesto come quello della procedura in esame che si concreta nella concessione di un servizio di natura prettamente locale, quale quello di gestione dei “distributori automatici” delle Caserme dell’area Cecchignola.
Da rigettare sono, infine, le censure di contrarietà al diritto eurounitario, così come prive di pregio si presentano le deduzioni inerenti alla contrarietà con i precetti della Carta Costituzionale delle previsioni legislativa, di cui art. 97, comma 8, del codice dei contratti pubblici e, più specificamente nel caso in questione, dell'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76 che consentono l’esclusione automatica per anomalia dell’offerta per gli appalti sotto soglia.
Al riguardo il Collegio rileva come non sia rilevabile alcuna incompatibilità con il diritto eurounitario, in forza del principio secondo cui le norme della direttiva 2014/24 -invocata da parte ricorrente per sostenere l’incompatibilità dell’esclusione automatica in caso di anomalia dell’offerta– trovano applicazione, come stabilito dall’art. 4 della stessa direttiva, esclusivamente “agli appalti che abbiano un importo, al netto dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), pari o superiore” alle soglie dallo stesso articolo individuate. L’art. 69 della Direttiva 2014/24/UE (che non prevede l’esclusione diretta delle offerte anomalmente basse) non può, quindi, applicarsi in via diretta nelle ipotesi di affidamenti sotto soglia, in luogo della normativa interna attualmente in vigore.
Inoltre, la disciplina dell'art. 1, comma 3, del d.l. 16.07.2020, n. 76 si colloca in un contesto emergenziale e derogatorio, di limitata durata temporale (con scadenza al 31.12.2021) che, secondo un principio di ragionevolezza e proporzionalità, per l’eccezionalità delle esigenze che tende a soddisfare, non potrebbe porre problematiche di compatibilità con la normativa eurounitaria (sul punto TAR Piemonte, Torino, Sez. I, del 17.11.2020 n. 736).
Non si ravvisano, altresì, profili di possibile contrasto della normativa surrichiamata con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, in quanto le norme in questione sono volte al più spedito e lineare svolgimento delle procedure di evidenza pubblica, rispetto ai quali non si ravvisano profili di irragionevolezza.
Per le suesposte ragioni il ricorso va rigettato (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 07.10.2021 n. 10278 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDifferenza tra avvalimento cd. "operativo" e avvalimento cd. "di garanzia".
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Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Avvalimento cd. "operativo" e avvalimento cd. "di garanzia" – Differenza.
Mentre l’avvalimento di garanzia non richiede di essere riferito a beni capitali descritti e individuati con precisione, mirando esclusivamente ad asseverare (mediante il formale impegno dell’ausiliaria di messa a disposizione della propria solidità finanziaria e professionale) la generale capacità dell’offerente di onorare gli obblighi contrattuali, di contro quello operativo impone l’individuazione specifica dei mezzi, giacché concerne (recte, condiziona) la stessa esecuzione della prestazione (1).
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   (1) Ha ricordato la Sezione che la giurisprudenza prevalente, invero, l’avvalimento di garanzia concerne requisiti inerenti alla complessiva capacità economica e finanziaria dell’offerente e, come tale, mira a rassicurare la stazione appaltante circa l’idoneità soggettiva dell’offerente a far fronte alle obbligazioni derivanti dal contratto.
Viceversa, l’avvalimento operativo riguarda le risorse materiali in concreto necessarie per eseguire il contratto: inerisce, dunque, alla stessa possibilità oggettiva e, per così dire, “fisica” di eseguire la prestazione.
Ne consegue che mentre l’avvalimento di garanzia non richiede di essere riferito a beni capitali descritti e individuati con precisione, mirando esclusivamente ad asseverare (mediante il formale impegno dell’ausiliaria di messa a disposizione della propria solidità finanziaria e professionale) la generale capacità dell’offerente di onorare gli obblighi contrattuali, di contro quello operativo impone l’individuazione specifica dei mezzi, giacché concerne (recte, condiziona) la stessa esecuzione della prestazione.
Orbene, allorquando (come nella specie) un’impresa proponga in gara un bene fabbricato da un altro operatore e indichi quest’ultimo come ausiliario, sia pure al solo dichiarato fine di dimostrare il buon esito di precedenti commesse di contenuto analogo, si verte nell’ambito di una forma operativa di avvalimento: questo, infatti, non è strutturalmente limitato alla generica garanzia di solidità patrimoniale, ma è oggettivamente proteso ad assicurare la stessa esecuzione della prestazione posta a gara, proprio in quanto il bene offerto è prodotto dall’ausiliaria.
In tali casi è, pertanto, necessario che il contratto di avvalimento sia specifico e dettagliato ed indichi con precisione le concrete “risorse” -in termini di competenza e capacità produttive, gestionali e manutentive- che l’ausiliaria mette a disposizione dell’ausiliata, pena, in caso contrario, la nullità ex lege disposta dall’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.10.2021 n. 6711 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2021

APPALTI: Giudizio circa l’anomalia o incongruità dell’offerta.
Il TAR Milano con riferimento al giudizio di anomalia dell’offerta, ribadisce che:
   <<- nelle gare pubbliche il giudizio circa l’anomalia o l’incongruità dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale e, quindi, non può essere esteso ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci;
   - il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta non mira a individuare specifiche e singole inesattezze nella sua formulazione ma, piuttosto, ad accertare in concreto che la proposta economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; in altri termini, la verifica della congruità di un’offerta ha natura globale e sintetica, vertendo sull’attendibilità della medesima nel suo insieme e, quindi, sulla sua idoneità a fondare un serio affidamento sulla corretta esecuzione dell’appalto;

   - in sede di verifica delle offerte anomale la motivazione del relativo giudizio deve essere rigorosa e analitica solo in caso di giudizio negativo, mentre, in caso di giudizio positivo, ovvero di valutazione di congruità dell’offerta anomala, come accaduto nella procedura di cui è causa, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un’articolata motivazione, ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti;>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 03.09.2021 n. 1963 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
2.4.1. Le censure sono infondate.
Al riguardo, è sufficiente rilevare che:
   - nelle gare pubbliche il giudizio circa l’anomalia o l’incongruità dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale e, quindi, non può essere esteso ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci (ex multis, C.d.S., Sez. V, n. 4755/2016; id., Sez. III, n. 514/2017);
   - il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta non mira a individuare specifiche e singole inesattezze nella sua formulazione ma, piuttosto, ad accertare in concreto che la proposta economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto (C.d.S., Sez. V, n. 2228/2017); in altri termini, la verifica della congruità di un’offerta ha natura globale e sintetica, vertendo sull’attendibilità della medesima nel suo insieme e, quindi, sulla sua idoneità a fondare un serio affidamento sulla corretta esecuzione dell’appalto;
   - il RUP, nella fattispecie, ha effettuato l’istruttoria secondo le regole del contraddittorio dettate dall’art. 97 del d.lgs. n. 50/2016, dapprima chiedendo a So.It. S.p.A. (doc. 19 del Comune) di produrre le giustificazioni utili a comprovare la serietà e la sostenibilità dell’offerta, relativamente alle singole voci dell’offerta tecnica presentata, e successivamente, ricevute le prime giustificazioni, formulando ulteriori richieste di precisazione (docc. 20-21 del Comune) in relazione ad alcuni aspetti ritenuti meritevoli di approfondimento;
   - in sede di verifica delle offerte anomale la motivazione del relativo giudizio deve essere rigorosa e analitica solo in caso di giudizio negativo, mentre, in caso di giudizio positivo, ovvero di valutazione di congruità dell’offerta anomala, come accaduto nella procedura di cui è causa, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un’articolata motivazione, ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti;
   - nella fattispecie, la coerenza del PEF con l’offerta presentata dalla controinteressata è stata valutata dalla Commissione, così come previsto dall’art. 21 del Disciplinare di gara e come risulta dal verbale n. 4 del 02.12.2019 (cfr. doc. 10 del Comune);
   - venendo poi, nello specifico, alle voci di costo di cui Pe. S.p.A. lamenta il mancato computo, quanto al profilo sub (a), il calcolo effettuato dalla ricorrente non è corretto perché non va riferito alla intera durata del servizio, e ciò per le ragioni già esposte supra, ai parr. 2.2.1, 2.3.1.1. e 2.3.1.2, cui si rinvia per brevità;
   - con riguardo al profilo sub (b), le doglianze si fondano su mere supposizioni, che non sono sufficienti a dimostrare che l’utile sia completamente eroso, tenuto conto che la “Matrice dei rischi” allegata allo Schema di contratto riporta un rischio variabile annuo tra € 70.000,00 ed € 35.000,00, con la conseguenza che spetta al concorrente valutarne e calcolarne l’incidenza; e, del resto, la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto, essendo per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole e attendibile (C.d.S., Sez. V, n. 8688/2019);

agosto 2021

APPALTI: APPALTI – Appalti di servizi – Prestazioni periodiche o continuative – Interdittiva antimafia – Valore delle prestazioni già eseguite – Individuazione.
Negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del dlgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso.
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APPALTI – Determinazione del valore-prezzo per le prestazioni già eseguite – Revisione dei prezzi – Art. 115 d.lgs. n. 163/2006.
Nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del dlgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006 (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 06.08.2021 n. 14 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIL’Adunanza plenaria pronuncia sulla spettanza della revisione prezzi in caso di recesso dal contratto di appalto a seguito di interdittiva antimafia.
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Informativa antimafia – Contratto di appalto – Appalto a prestazioni periodiche – Recesso – Per intervenuta interdittiva antimafia – Pagamento opere eseguite - Artt. 92 e 94, d.lgs. n. 159 del 2011 - Criterio – Revisione prezzi – Spetta.
Negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso.
Nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115, d.lgs. n. 163 del 2006 (1).

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   (1) La questione era stata rimessa dal C.g.a. con ord., 22.01.2021, n. 48.
Preliminarmente l’Adunanza plenaria ha richiamato i principi espressi, anche in ordine alla natura dell’interdittiva antimafia, dalla stessa Adunanza plenaria 06.04.2018, n. 3 e 26.10.2020, n. 23.
Ha premesso l’Adunanza plenaria che negli appalti di servizi, quale è quello per cui è processo, in cui l’aggiudicazione e quindi la determinazione del prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti.
Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve infatti ritenersi coincidente con il miglior prezzo di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione. Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica.
Nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, quindi, il prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo economico si allontanasse oltre misura dal valore dell’utilità che la stessa abbia, di fatto, a conseguire.
Ha aggiunto l’Alto consesso, con riferimento all’“utilità conseguite”, che la peculiarità dell’appalto di servizi, connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità, ed è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del recesso e non ancora pagate abbiano una “utilità” diversa dalle prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione appaltante, di aver conseguito dalle prestazioni ripetitive già eseguite e non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle prestazioni periodiche già eseguite e pagate.
L’Adunanza plenaria ha poi ricostruito i caratteri della revisione prezzi, al fine di rispondere al quesito sottoposto e cioè se, nella determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da pagarsi o già pagato in relazione alle prestazioni già eseguite dall’esecutore attinto da informativa antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, debba farsi riferimento solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata (anche essa prima della interdittiva antimafia).
Ha escluso che l’istituto della revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie; lo stesso viene concepito dal legislatore unicamente al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito, ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.
In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal prezzo come integrato.
La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. Sicché, una volta riconosciuto dall’amministrazione il ricorrere delle condizioni della revisione, le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base di riferimento il prezzo come revisionato.
Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa” del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto.
Il carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di servizi, ai sensi dell’art. 115, d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile ratione temporis), corrobora tale conclusione. La revisione, infatti, opera anche se non espressamente pattuita dalle parti, in virtù di un procedimento amministrativo da attivare obbligatoriamente al verificarsi dei presupposti di legge. Ne deriva che la somma determinata a seguito della revisione dei prezzi altro non è che una parte del prezzo, e, quale parte del tutto, ne ha la stessa natura e conseguentemente deve averne la stessa disciplina giuridica. Pertanto, tutte le norme giuridiche che si riferiscono al “prezzo” contrattuale dovuto devono perciò ritenersi riferite al prezzo legalmente integrato con la somma dovuta a titolo di revisione.
Se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis. La soluzione negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato dalla sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria e cioè il fatto che la Pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”.
La Pubblica amministrazione così operando si approprierebbe ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior) costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione: tale differenza costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme richiamate e la stessa sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria tendono a evitare (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 06.08.2021 n. 14 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
14. Le questioni sottoposte all’esame dell’Adunanza plenaria possono così essere riassunte.
L’informazione interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità ex lege parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto -persona fisica o giuridica- è precluso avere con la Pubblica Amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall'art. 67, co. 1, lett. g), d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui prevede il divieto di ottenere "contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.”
La disposizione dell’art. 67, co. 1, lett. g), del codice antimafia va interpretata nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A., quale che ne sia la fonte e la causa, per il tempo di durata degli effetti dell’interdittiva (Cons. St., sez. III, 04.06.2021, n. 4293).
Eccezione al detto principio è contenuta nel disposto degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 che prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.
Ai soggetti, sebbene già destinatari del provvedimento interdittivo, deve essere comunque corrisposto il “valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.
15. Il quesito posto dall’ordinanza di rimessione chiede di verificare come debba essere interpretato il concetto di “valore delle opere già eseguite” e, con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate (quale è quello per cui qui è processo), come debba essere inteso il “valore dei servizi già resi”, e cioè se debba tenersi conto solo del prezzo pattuito come desumibile dal contratto stipulato tra le parti o dell’effettivo valore economico delle prestazioni, che deve essere quantificato dovendosi anche tenere conto della revisione dei prezzi che hanno interessato le opere già realizzate ed i servizi già erogati.
16. Prima della risposta al quesito posto dal Consiglio di giustizia amministrativa, occorre stabilire che cosa debba intendersi per “valore delle opere (o servizi) già eseguiti”, pagabili al contraente privato interdetto “nei limiti delle utilità conseguite” dall’Amministrazione, non potendosi dare per scontata la equivalenza tra prezzo contrattuale e valore delle prestazioni, ove si consideri il tenore letterale delle norme in commento, che, da un lato, non prevedono il pagamento del “prezzo” delle prestazioni già eseguite, ma fanno riferimento al “valore” di dette prestazioni, e dall’altro lato pongono l’ulteriore limite delle utilità conseguite.
16.1. Per rispondere al quesito pregiudiziale, vanno anzitutto ribaditi i principi affermati nella sentenza dell’Adunanza plenaria 06.04.2018, n. 3, secondo cui il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro cd. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione.
16.2. La successiva sentenza dell’Adunanza plenaria n. 23 del 2020 ha precisato che:
a fronte dell’estremo rigore risultante dal complessivo sistema normativo disciplinante l’informazione antimafia e le sue conseguenze (posto, lo si ribadisce, a tutela di essenziali valori costituzionali) – costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione (ex art. 14 disp. prel. cod. civ.: v. Cons. Stato, sez. IV, 28.10.2011 n. 5799), quelle che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità, consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore eventualmente acquisite ovvero la possibilità di procedere alla loro dazione da parte delle pubbliche amministrazioni.
Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” –da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati– deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione
.”
16.3. Ha precisato poi questa Adunanza plenaria che la norma ora citata si applica anche agli appalti di servizi.
“Occorre anzi precisare che, intanto è possibile l’applicazione della norma (co. 2, che parla di pagamento di “opere già eseguite”) anche ai contratti di servizi e forniture in quanto il successivo co. 3 dell’art. 94 – nel riferirsi, al fine di escluderli, “alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente”, accomuna gli appalti di lavori (“nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione”) ai contratti di fornitura di beni e di servizi (laddove la loro prosecuzione sia “ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico” e sempre che “il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”).”
16.4. Nella sentenza n. 23 del 2020 della Plenaria si è chiarito altresì che “la norma di eccezione riguarda la “salvezza” del pagamento delle “opere già eseguite” ovvero del “rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente”, mentre il riferimento “nei limiti delle utilità conseguite” riguarda il “quantum” dovuto, di modo che, intanto potrà procedersi alla verifica delle “utilità conseguite” (dall’amministrazione o, più in generale, dall’interesse pubblico), in quanto si ritenga ammissibile la predetta salvezza.”
“Le eccezioni di cui agli articoli 92, co. 3, e 94, co. 2, rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un “bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia.
Se è pur vero che la stipula del contratto e la sua esecuzione sono avvenute “sub condicione”, è altrettanto vero che appare confliggente con evidenti ragioni di equità, oltre che con i princìpi dell’attribuzione causale, addossare tutto il peso delle conseguenze di ciò in capo al privato contraente, consentendo all’amministrazione, che pure ha tenuto un comportamento non coerente con le disposizioni normative (il ritardo nell’informativa antimafia) di conseguire un indebito arricchimento.”

La sentenza puntualizza che “Nel più specifico caso di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2, la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese già sostenute per l’esecuzione del rimanente, deve essere commisurata “all’utilità conseguita”, intendendosi per tale l’arricchimento derivante al patrimonio dell’amministrazione.
16.5. Sulla scorta della sentenza dell’Adunanza sopra richiamata, con l’espressione “utilità conseguite” si intende riconoscere “al soggetto interdetto (…) il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento”.
Le utilità conseguite” non sono dunque necessariamente equivalenti al valore e nemmeno al prezzo delle opere e servizi eseguiti.
Si tratta di “nozione riferibile ad una parte specifica e da questa apprezzabile attraverso il filtro selettivo di una valutazione di convenienza, tipica dell’operatore economico-giuridico individuale”; pertanto, essa deve essere intesa in un senso più limitato e strettamente patrimoniale, tale da applicarsi alle sole opere, servizi o forniture che accrescono il patrimonio dell’amministrazione e che per quest’ultima rappresentano un valore economicamente valutabile”.
Può, in conclusione, affermarsi che la determinazione delle utilità conseguite è compito della p.a. che provvede, ricorrendone le condizioni di fatto, alla quantificazione alla stregua delle norme di legge.
Con la quantificazione delle utilità conseguite non si riconoscono diritti soggettivi o interessi legittimi sorti in capo al destinatario dopo l’adozione dell’interdittiva antimafia ma si intende evitare che la pubblica amministrazione “dall’esecuzione dell’opera o dalla prestazione di servizi, possa trarre un ingiustificato arricchimento”, in applicazione dei principi generali in materia del nostro ordinamento (art. 2041 cod. civ.).
16.6. Negli appalti di servizi, quale è quello per cui è processo, in cui l’aggiudicazione e quindi la determinazione del prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti.
Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve infatti ritenersi coincidente con il miglior prezzo di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione. Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica.
Nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, quindi, il prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo economico si allontanasse oltre misura dal valore dell’utilità che la stessa abbia, di fatto, a conseguire.
16.7. Quanto al secondo limite, delle “utilità conseguite”, ancora una volta, la peculiarità dell’appalto di servizi per cui è processo, connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità, ed è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del recesso e non ancora pagate abbiano una “utilità” diversa dalle prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione appaltante, di aver conseguito dalle prestazioni ripetitive già eseguite e non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle prestazioni periodiche già eseguite e pagate.
16.8. Con riferimento quanto meno al caso di cui si controverte -appalto di servizi aggiudicato con gara e connotato da prestazioni standardizzate, omogenee, ripetitive e continuative- può quindi senz’altro ritenersi che il valore dei servizi già eseguiti, da pagarsi all’impresa interdetta nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, coincida con il prezzo contrattuale dei servizi già resi.
17. Si può così affrontare il quesito specificamente posto dall’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria, già sintetizzato nel par. 15: se, nella determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da pagarsi o già pagato in relazione alle prestazioni già eseguite dall’esecutore attinto da informativa antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 d.lgs. n. 159/2011 debba farsi riferimento solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata (anche essa prima della interdittiva antimafia).
17.1. Per rispondere al quesito occorre ricostruire brevemente la natura e la finalità dell’istituto della revisione dei prezzi.
17.2. Occorre premettere che nel caso che ci occupa le norme applicabili, ratione temporis, sono quelle di cui al d.lgs. n. 163/2006.
L’art 115 del citato decreto legislativo prevedeva che “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, co. 4, lett. c) e co. 5 (costi standardizzati)”.
La clausola di revisione dei prezzi costituiva un obbligo per le stazioni appaltanti: la revisione era sempre dovuta anche in mancanza di clausole nella lex specialis di gara. Era compito dell’operatore economico chiederla in quanto l’obbligatorietà non comportava però il diritto all’aggiornamento automatico del corrispettivo contrattuale. Si era soliti dire al riguardo che il richiedente fosse titolare di un interesse legittimo con riferimento all’an e di un diritto soggettivo al successivo quantum.
17.3. Questo Consiglio di Stato ha ripetutamente accertato la natura e gli obiettivi delle norme che prevedono la revisione dei prezzi.
Con la sentenza n. 2295 del 2015, interpretando la norma del 2006 sopra citata, è stato precisato che “a) che la normativa in questione ha natura imperativa, per cui si inserisce automaticamente e prevale addirittura sulla regolamentazione pattizia, cosicché “nessuna preclusione è configurabile in ordine al diritto che trova titolo e disciplina nella legge.”
L’assunto è stato confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 12.08.2019, n. 5686: “La revisione prezzi, secondo la disciplina pro tempore applicabile, si applica ai contratti di durata pluriennale a partire dall'anno successivo al primo, e l'art. 115 d.lgs. 163/2006 prevede l'inserimento obbligatorio della clausola di revisione prezzi, con conseguente sostituzione di diritto ex art. 1339 cod. civ. delle clausole contrattuali difformi, nulle di pieno diritto ex art. 1419 cod. civ.”.
Con la sentenza del Consiglio di Stato n. 3874/2020 è stata ribadita la natura dell’interesse che sottende l’istituto in questione: “L’istituto della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015 n. 2295; Id., Sez. V, 20.08.2008 n. 3994; Id., Sez. III, 20.08.2018, n. 4985); dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23.04.2014 n. 2052; Sez. III 04.03.2015 n. 1074; Sez. V 19.06.2009 n. 4079).
Al contempo essa è posta a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni
”.
La posizione dell’appaltatore in ordine all’an della revisione ha –come si è accennato- natura di interesse legittimo: “La giurisprudenza ha inoltre affermato che l’istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con la prima solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa. Ne deriva che sarà sempre necessaria l’attivazione –su istanza di parte– di un procedimento amministrativo nel quale l’Amministrazione dovrà svolgere l’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l’importo”.
La caratteristica di attività meramente tecnica dell’attività della p.a. nel valutare le condizioni che legittimano la revisione prezzi si evince anche dalla giurisprudenza delle Sezioni unite (Cass., sez. un., 12.10.2020 n. 21990).
17.4. Il richiamo alle interpretazioni della giurisprudenza sia amministrativa che civile consente di escludere che l’istituto della revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie; lo stesso viene concepito dal legislatore unicamente al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito, ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.
In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal prezzo come integrato.
La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. Sicché, una volta riconosciuto dall’amministrazione il ricorrere delle condizioni della revisione –che nella specie risulta accertato già in forza di giudicato-, le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base di riferimento il prezzo come revisionato.
18. Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa” del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto.
Il carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di servizi, ai sensi dell’art. 115 d.lgs. n. 163/2006 qui applicabile ratione temporis, corrobora tale conclusione. La revisione, infatti, opera anche se non espressamente pattuita dalle parti, in virtù di un procedimento amministrativo da attivare obbligatoriamente al verificarsi dei presupposti di legge (Cons. St., sez. III, 02.05.2018, n. 2841). Ne deriva che la somma determinata a seguito della revisione dei prezzi altro non è che una parte del prezzo, e, quale parte del tutto, ne ha la stessa natura e conseguentemente deve averne la stessa disciplina giuridica. Pertanto, tutte le norme giuridiche che si riferiscono al “prezzo” contrattuale dovuto devono perciò ritenersi riferite al prezzo legalmente integrato con la somma dovuta a titolo di revisione.
Ragionando a contrario, se si seguisse la soluzione negativa e si ritenesse non computabile nel prezzo da corrispondere la revisione dei prezzi in caso di interdittiva antimafia dell’impresa esecutrice, si violerebbero la ratio e la lettera dei citati artt. 92 e 94 del codice antimafia, che, prevedendo il pagamento del valore delle prestazioni già eseguite, ancorché nei limiti delle utilità conseguite dall’amministrazione, intende evitare l’ingiustificato arricchimento dell’amministrazione. E’ questa la medesima ratio sottesa alla revisione dei prezzi: evitare che oscillazioni dei prezzi, tali da portare il prezzo pattuito sotto il valore di mercato delle prestazioni, comportino un ingiustificato arricchimento della parte contrattuale pubblica in danno della parte privata.
Pertanto, se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis.
La soluzione negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato dalla sentenza n. 23 del 2020 di questa Adunanza e cioè il fatto che la pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”.
18.1. Nello specifico caso per cui è processo, negare il pagamento della revisione dei prezzi significherebbe che la stazione appaltante sarebbe autorizzata a quantificare le utilità conseguite calcolando il costo del lavoro dei dipendenti (che forma la voce di spesa più rilevante con il prestatore di servizi) alla stregua del prezzo previsto dal contratto iniziale non tenendo conto degli aumenti subiti dallo stesso nel corso di un arco temporale di oltre tredici anni.
La pubblica amministrazione così operando si approprierebbe ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior) costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione: tale differenza costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme richiamate e la stessa sentenza n. 23 del 2020 tendono a evitare.
19. Si devono in conclusione affermare i seguenti principi di diritto:
   "a) negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso;
   b) nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d.lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006”
(Consiglio di Stato, A.P., sentenza 06.08.2021 n. 14 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIInterdittiva antimafia basata su una sola figura se attorno alla stessa si concentrano una serie di elementi quali nonché la vicinanza ad una locale cosca mafiosa.
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Informativa antimafia – Presupposti – Persona vicina alla locale cosca mafiosa e al mondo dello spaccio di stupefacenti – Legittimità.
E’ legittima l’interdittiva antimafia che si basi su una sola figura se attorno alla stessa si concentrano una serie di elementi, quali la vicinanza con soggetti controindicati nonché, attraverso questi e attraverso la figura della compagna convivente, il mondo dello spaccio di stupefacenti, nonché la vicinanza ad una locale cosca mafiosa (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che non rileva se tale figura controindicata non sia più l’amministratore unico della società.
Come insegna una costante giurisprudenza di questa Sezione (02.05.2019, n. 2855) alcune operazioni societarie possono disvelare una attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con la pregressa gestione subendone, anche inconsapevolmente, i tentativi di ingerenza (Cons. St., sez. III, 27.11.2018, n. 6707; 07.03.2013, n. 1386).
Contrariamente a quanto afferma il giudice di primo grado, tale operazione, se collegata alla persona controindicata, assume un significato pregnante, stante gli ulteriori elementi che rendono “più probabile che non” la sua cointeressenza con gli ambienti della criminalità organizzata.
Aggiungasi la rilevanza che assume la frequentazione con soggetti controindicati ai fini antimafia, tutt’altro che generica, essendo ben individuati nella nota della legione Carabinieri i nominativi e i carichi penali.
No rileva neanche il carattere non attuale di alcuni episodi.
Come chiarito dalla Sezione (21.01.2019, n. 515), il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della ‘risalenza’ dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della mafiosità.
E’ evidente che il momento in cui l’interdittiva è adottata non fotografa l’inizio della vicinanza della società agli ambienti della criminalità organizzata, che possono trovare la loro genesi anche in epoca di gran lunga antecedente.
In conclusione, la legittimità del provvedimento interdittivo si fonda sul principio secondo cui i fatti valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale –che è alla base della teoria della prova indiziaria- quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 03.08.2021 n. 5723 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINovero dei soggetti le cui condotte possono influire in modo ostativo sulla partecipazione dei concorrenti alle gare pubbliche in caso di collegamento tra società.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara - Collegamento tra società – Limiti.
L’ampliamento del novero dei soggetti le cui condotte possono influire in modo ostativo sulla partecipazione dei concorrenti alle gare pubbliche è previsto, in via eccezionale, dall’art. 80, comma 3, unicamente per le ipotesi “di cui ai commi 1 e 2”, ovvero per le ipotesi, affatto diverse e più gravi rispetto a quelle del comma 5, in cui l’esclusione sia conseguenza di una condanna definitiva per uno dei reati elencati dal comma 1 o dell’esistenza di una delle misure interdittive previste al comma 2.
Pertanto, è illegittima l’esclusione dal procedimento di gara per grave illecito professionale, desunto da una condanna subita da un amministratore del socio unico persona giuridica di un concorrente (amministratore privo di ruoli nella compagine societaria dell’operatore economico che partecipa alla gara) subisca una condanna (in primo grado) per bancarotta fraudolenta, in relazione al fallimento di una terza società (a sua volta controllata dalla medesima socia unica persona giuridica di detto concorrente), operante in altro settore (1).

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   (1) Ha chiarito la Sezione che l’Amministrazione si è invero determinata ad operare l’espulsione sulla base della regola giurisprudenziale meglio descritta come “teoria del contagio” (Cons. Stato n. 3507 del 2020), secondo la quale un comportamento illecito di un amministratore di una persona giuridica, in grado per la sua posizione di determinarne le scelte, non può che considerarsi illecito della persona giuridica stessa; e tale condizione è suscettibile di estendersi, viziandone la partecipazione, anche ad altre persone giuridiche che dalla prima siano controllate.
Si tratta di un orientamento che, con riguardo al caso di specie, la Sezione non condivide.
In linea di principio, esso si risolve, ancora una volta, nella creazione di una regola giurisprudenziale che, a tacere della sua reale ragionevolezza (nella sua applicazione più estrema appare espressione di una cultura di sospetto, più che di legalità), non trova fondamento nella legge, la quale è chiara (ed inequivoca) nel riferire la necessità di accertare il grave illecito professionale in capo all’”operatore” che partecipa alla gara.
Vero è che l’accertamento dell’illecito professionale ex art. 80, comma 5, d.lgs. 50 del 2016 è fattispecie aperta, essendo consentito alla Amministrazione di accertarlo “con ogni mezzo”; ma, proprio perché si tratta di un potere ampio della P.A., il suo esercizio non può prescindere da una motivazione “forte”, adeguata alle circostanze del caso concreto e senza automatismi, come invece la tesi del “contagio”, nella sua accezione “assoluta” (ossia sganciata dal contesto concreto) finisce con l’implicare.
Nel caso di specie, l’Amministrazione si è limitata ad inferire la inattendibilità professionale della odierna ricorrente in dipendenza dei reati (pur indubbiamente gravi) per i quali è stato condannato l’amministratore di altra società che, a sua volta, è socio unico della società concorrente (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 02.08.2021 n. 9121 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2021

APPALTIEffetti sulla partecipazione alla gara del controllo giudiziario.
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Informativa antimafia – Controllo giudiziario – Effetti sulla partecipazione alla gara.
Alla luce dello scopo del controllo giudiziario la retroattività degli effetti dell’interdttiva può predicarsi oltre che per la fase successiva all’esecuzione, anche per la fase antecedente la verifica dei requisiti in esito all’aggiudicazione; ove l’impresa concorrente sia colpita da interdittiva l’esclusione può essere effettivamente congelata dall’intervento del controllo giudiziario (a volte anteceduto dalla sospensione degli effetti dell’interdittiva nelle more della decisione del controllo) se sopraggiunto anteriormente al momento di verifica dei requisiti in capo all’aggiudicatario(1).
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   (1) Ha chiarito il Tar che l’irretroattività dell’efficacia del controllo giudiziario ha, nel suo essere netta, gli indubbi pregi della chiarezza e del porre in primo piano l’interesse pubblico alla speditezza e certezza della contrattazione pubblica.
Ritiene, tuttavia, il Tar che la questione meriti una ulteriore riflessione, per appurare se la suddetta irretroattività sia, effettivamente, regola assoluta.
È bene, anzitutto, precisare che non viene in alcun modo in discussione il principio secondo cui il decreto ex art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011 non modifica il giudizio in ordine alla sussistenza dei pericoli di infiltrazione: esso senza dubbio “non costituisce un superamento dell’interdittiva, ma in un certo modo ne conferma la sussistenza” (v. Cons. Stato, n. 6377/2018; Cons. Stato, sez. V, 31.05.2018, n. 3268 e cfr. Cass. Pen. nn. 39.412 e 27.856 del 2019 che escludono che il controllo abbia la conseguenza di vanificare il provvedimento definitivo dell’informazione e che sia strumento alternativo di impugnazione) e, ove nelle more del giudizio amministrativo, il Tribunale della prevenzione rigettasse l’istanza di controllo per evidente esclusione del requisito della occasionalità, tale elemento costituirebbe ulteriore riscontro della legittimità dell’informativa nel giudizio amministrativo (così Tar Napoli sent. n. 6659/2018).
Ciò di cui si dubita è che il sopraggiungere del provvedimento di ammissione al controllo giudiziario possa avere in via assoluta effetti favorevoli solo per gli atti amministrativi ad esso successivi (limitando in questa sede l’analisi, per questione di rilevanza, ai soli atti contrattuali).
La questione dubitativa sorge, evidentemente, per effetto della scarsa puntualità delle norme che hanno introdotto e regolato l’istituto.
Di tali disposizioni, come si ricorderà, non a caso, da tempo gli interpreti hanno evidenziato la trascuratezza della regolazione dei rapporti tra giudizio amministrativo e procedimento di prevenzione, mancanza che ha portato Giudici penali e Giudici amministrativi ad intervenire per via interpretativa per configurare un coordinamento, divenuto indispensabile in ragione della ormai una larga applicazione dell’istituto.
Venendo alla specifica questione delle conseguenze dell’ammissione al controllo giudiziario sulle procedure contrattualistiche pubbliche, essa deve essere verificata tenendo conto della lettera della legge, della ratio dell’istituto del controllo e degli interventi giurisprudenziali.
In punto di littera legis, laconicamente il comma 7 dell’art. 34-bis cod. antim. prevede che “Il provvedimento che dispone l'amministrazione giudiziaria prevista dall'articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del comma 6 del presente articolo sospende gli effetti di cui all'articolo 94” cod. antim. il quale, come noto, prevede, a sua volta, il divieto per le appaltanti di stipulare/approvare/autorizzare i contratti con imprese interdette ed obbliga al recesso dal contratto con esse stipulato (salvo la facoltà per la p.a. di non recedere per garantire l’interesse pubblico all’esaustiva esecuzione dell’appalto, con finalità analoga a quella del commissariamento prefettizio ex art. 32, co. 10, d.l. n. 90/2014).
Il Legislatore, ancora, nel 2019 ha sentito la necessità di intervenire in via additiva per congelare espressamente gli effetti dell’interdittiva in conseguenza dell’ammissione al controllo giudiziario anche nella fase della partecipazione delle gare pubbliche, prevedendo all’art. 80, co. 2, c.c.p., di seguito alla enunciazione dell’essere il provvedimento prefettizio motivo di esclusione, che “Resta fermo altresì quanto previsto dall'articolo 34-bis, commi 6 e 7, del decreto legislativo 06.09.2011, n. 159”.
Tale formulazione, si badi, ha formula più generica della analoga previsione di inoperatività del motivo di esclusione previsto per le imprese sottoposte a confisca e sequestro in cui è chiara la lettera della legge nel riconoscere la sterilizzazione del motivo di esclusione solo alle imprese già sottoposte alla misura giudiziaria (“aziende o società sottoposte a sequestro o confisca …. ed affidate ad un custode o amministratore giudiziario o finanziario, limitatamente a quelle riferite al periodo precedente al predetto affidamento”).
Ci si deve, allora chiedere se la novella, giustificata dalla relazione illustrativa con la necessità del “coordinamento con le norme del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011”, con tale formulazione non voglia lasciare una chance favorevole all’impresa che abbia ottenuto la misura della “bonifica” durante la gara pubblica.
In punto di ratio legis va, poi, rammentato che il controllo giudiziario è istituto di sostegno previsto dall’ordinamento per l’imprenditore che sia marginalmente toccato dai clan e che individualmente (specie in realtà piccole e contaminate e ad economia scarsa) non sia in grado di reagire alla criminalità, sostegno costituito da un percorso imprenditoriale sorvegliato dall’amministratore giudiziale, finalizzato alla sua bonifica.
L’istituto va, però, coordinato con gli altri con cui esso si correla e, di conseguenza risulta necessario porre in evidenza i confliggenti interessi in gioco evincibili nell’incontro delle norme sulla contrattualistica con quelle del codice antimafia:
   - i plurimi interessi pubblici (anche non convergenti)
      -) alla stipula del contratto con soggetto meritevole di fiducia in quanto non interessato da fenomeni di infiltrazione mafiosa,
      -) alla stipula del contratto con il migliore offerente,
      -) alla certezza del soggetto contraente,
      -) alla stipula nei tempi ristretti di cui all’art. 32 c.c.p.;
   - l’interesse dell’impresa concorrente a quella interdetta a conservare gli effetti degli atti della stazione appaltante sfavorevoli a quest’ultima ex art. 94 cod. antim. e di quelli conseguenti a sé favorevoli;
   - l’interesse dell’impresa interdetta ed ammessa al controllo a conservare i provvedimenti di evidenza pubblica/ contrattuale a lei favorevoli/ reagire a quelli sfavorevoli comminati prima dell’ammissione al controllo giudiziario, interesse che in realtà piccole e contaminate e ad economia scarsa può coincidere con quello alla sopravvivenza dell’impresa (sottolinea tale aspetto la Corte di Cassazione nella sentenza n. 27856/2019 che afferma che la ratio dell’istituto sia “quella di consentire, a mezzo di specifiche prescrizioni e con l'ausilio di un controllore nominato dal Tribunale, la prosecuzione dell'attività di impresa nelle more della definizione del ricorso amministrativo al fine di evitare, in tale lasso di tempo, la decozione dell'impresa che, privata di commesse pubbliche e/o di autorizzazioni essenziali per la prosecuzione della propria attività, potrebbe subire conseguenze irreparabili a causa della "pendenza" del provvedimento prefettizio”) coincidente con quello pubblico (per come osservato dal Cons. St. n. 4619/2021) alla forza lavoro ivi impiegata (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 29.07.2021 n. 1546 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIVerifica dell'anomalia, mano libera del Rup sulla gestione del procedimento.
I giudici di Palazzo Spada - Sez. III, con la sentenza 02.07.2021 n. 5077, hanno affrontato la censura, già respinta in primo grado (Tar Puglia, sentenza n. 335/2021), sulla non corretta conduzione del subprocedimento di verifica della potenziale anomalia da parte del Rup che si era avvalso dell'ausilio di un esperto esterno in luogo della commissione di gara.
L'appellante, nel dettaglio, ha posto la questione della mancata previsione dei criteri di scelta dell'esperto esterno, dell'approccio istruttorio del Rup che si sarebbe limitato «a prendere atto delle conclusioni del consulente senza alcuna volizione propria, sostanzialmente abdicando all'esercito del potere-dovere di valutare la congruità dell'offerta».
Infine, è stata posta anche la questione del ruolo della commissione di gara che, nel tema demolitorio, avrebbe dovuto essere, obbligatoriamente, consultata dal Rup.
La decisione
I giudici del Consiglio di Stato non hanno condiviso nessuna delle censure prospettate indicando il chiaro approccio istruttorio che il Rup deve seguire nella gestione del subprocedimento di verifica dell'anomalia.
In primo luogo, in sentenza sono stati rammentati gli orientamenti giurisprudenziali consolidati in tema di valutazione sulla potenziale anomalia dell'offerta espressa dalla stazione appaltante e, quindi, sull'ambito del giudizio.
In relazione al primo aspetto il collegio ha segnalato che «il giudizio di anomalia costituisce espressione di tipico potere tecnico-discrezionale riservato alla pubblica amministrazione, insindacabile in sede giurisdizionale se non per manifesta erroneità, irragionevolezza e/o inadeguatezza dell'istruttoria, senza che possa essere sostituita alla verifica compiuta dall'amministrazione una autonoma valutazione di congruità delle offerte da parte del concorrente controinteressato o del giudice».
Riguardo alla corretta delimitazione dell'ambito della valutazione, va rammentato che il giudizio sulla potenziale anomalia, proprio perché solo potenziale, è un giudizio globale che riguarda l'offerta nel suo complesso e non si estrinseca in una verifica chirurgica «per singole voci».
Ciò che il Rup deve accertare, in sostanza, è «la serietà e affidabilità nel suo complesso» dell'offerta «ed eventuali inesattezze o inadeguatezze di singole voci» devono considerarsi «irrilevanti ai fini dell'esclusione dalla gara».
La scelta di un consulente esterno
Sulla scelta di un consulente esterno, in luogo dell'ausilio della commissione di gara, il giudice rimarca come queste decisioni rientrino nell'ampia discrezionalità del Rup a «cui è affidata la (…) verifica, non essendo il giudizio di congruità di competenza della Commissione di gara, le cui incombenze sono limitate alla valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico previste dall'articolo 77 del Dlgs 50/2016 (Consiglio di Stato n. 3602/2020)».
Avendo, il Rup, la responsabilità/presidio del subprocedimento di verifica della potenziale anomalia, compete a questo soggetto determinare lo svolgimento istruttorio e i soggetti (anche esterni) eventualmente necessari.
In pratica, se il Rup ritiene che sia necessario il supporto di una professionalità esterna, come nel caso di specie, ha assoluta libertà di azione e non ha alcun obbligo di «rivolgersi alla commissione o a dipendenti interni (Consiglio di Stato n. 7805/2019; n. 3602/2020)».
Né questa prerogativa può dirsi inibita da prescrizioni contenute nel disciplinare di gara che, evidentemente, non possono condizionare l'azione amministrativa del Rup, in difetto non potrebbe rispondere pienamente della propria decisione.
Allo stesso modo, prosegue la sentenza, «neppure può sostenersi fondatamente che l'aver preso atto delle risultanze del parere tecnico da parte del Rup equivalga a spogliarsi della propria competenza o recepirne acriticamente le conclusioni».
L'accettazione delle risultanze dell'attività/valutazione esterna non richiede un apparato motivazionale di particolare intensità mentre, al contrario, una adeguata motivazione si renderebbe necessaria nel caso di scostamento dal giudizio/valutazione espressa dall'esperto.
A poco rileva, infine, il fatto che la scelta dell'esperto esterno non sia stata preceduta dalla previa definizione di criteri di competenza/esperienza visto che, in questi casi, è sufficiente la motivazione indicata negli atti di conferimento dell'incarico (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 08.07.2021).
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SENTENZA
1.1.- Il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è immune dai vizi denunciati e l’esito della verifica non presenta macroscopiche illogicità ed arbitrarietà.
1.2.- Va premesso che secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudizio di anomalia costituisce espressione di tipico potere - tecnico discrezionale riservato alla Pubblica Amministrazione, insindacabile in sede giurisdizionale se non per manifesta erroneità, irragionevolezza e/o inadeguatezza dell’istruttoria, senza che possa essere sostituita alla verifica compiuta dall’Amministrazione una autonoma valutazione di congruità delle offerte da parte del concorrente controinteressato o del giudice (cfr. tra le tante, C.d.S. A.P. 29.12.2012, n. 36, Sez. V, 28.10.2019, n. 7391; 12.2.2020, n. 1066; Sez. III 19.09.2019, n. 6248 e 29.03.2019, n. 2079).
Inoltre, l’esame dell’offerta anomala va condotto complessivamente e non per singole voci, con giudizio globale e sintetico, al fine di valutarne la serietà e affidabilità nel suo complesso ed eventuali inesattezze o inadeguatezze di singole voci sarebbero irrilevanti ai fini dell’esclusione dalla gara (C.d.S., Sez. V, 18.12.2018, n. 7129; 29.01.2018, n. 589).
...
3.- Con riguardo al subprocedimento per la verifica dell’anomalia dell’offerta, si osserva che la richiesta di consulenza esterna da parte del RUP rientra nella scelta discrezionale dello stesso, cui è affidata la detta verifica, non essendo il giudizio di congruità di competenza della Commissione di gara, le cui incombenze sono limitate alla valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico ex art. 77 D.lgs. n. 50/2016 (Sez. III 05.06.2020, n. 3602).
Ove il RUP ritenga necessario per la verifica di un elemento di particolare complessità approfondire l’istruttoria avvalendosi dell’ausilio di un tecnico esterno specializzato, ben può adottare tale soluzione e non è obbligato a rivolgersi alla Commissione o a dipendenti interni (C.d.S. Sez. V, 13.11.2019, n. 7805; sez. III 05.06.2020 n. 3602).
Non ritiene il Collegio che l’art. 23 del disciplinare di gara possa interpretarsi nel senso di vincolare il RUP ad avvalersi esclusivamente della Commissione per la verifica dell’offerta anomala, atteso che la norma precisa che il RUP si avvale della Commissione “se ritenuto necessario”.
La norma diversamente interpretata restringerebbe illegittimamente i poteri istruttori del RUP.
3.1. - Neppure può sostenersi fondatamente che l’aver preso atto delle risultanze del parere tecnico da parte del RUP equivalga a spogliarsi della propria competenza o recepirne acriticamente le conclusioni: il RUP ha manifestato di condividere le valutazioni tecniche del consulente e, a tal fine, non si richiede una diffusa motivazione, che sarebbe, viceversa, necessaria, secondo le regole generali, ove il parere tecnico acquisito venisse disatteso (C.d.S. Sez. III, 20.05.2020, n. 3207).
D’altra parte, come rileva anche il primo giudice, l’acquisizione di parere tecnico presuppone una specifica competenza i cui esiti, salvo macroscopiche illogicità o errori, non si vede come potrebbero essere disattesi dal Responsabile del procedimento che tali specifiche competenze ammette di non possedere per il fatto stesso di risolversi ad avvalersi di un esperto.
Va, peraltro, osservato che il consulente esterno è stato nominato in seconda battuta, a seguito della richiesta di seconde giustificazioni il 09.06.2020 esclusivamente sul costo della manodopera; mentre in una fase precedente le giustificazioni prodotte in data 28.05.2020 erano state esaminate dal RUP, che ha ritenuto di dover approfondire esclusivamente l’ulteriore aspetto del costo della manodopera (cfr verbale n. 12 del 19.05.2020 e nota del 05.06.2020 del RUP All 1 prodotto dall’Azienda in I grado).
E’ inammissibile per genericità e difetto di interesse, peraltro, la censura concernente la mancata esternazione dei criteri che hanno presieduto alla scelta del professionista incaricato, che è avvenuta in assenza di risorse interne dotate di adeguata competenza tecnica ed è caduta su commercialista e consulente del lavoro, sicuramente competente a svolgere le valutazioni in materia di costo del lavoro, le uniche valutazioni “delegate” dal RUP con la nota del 05.06.2020, come emerge dal testo della stessa relazione tecnica.

maggio 2021

APPALTI: Effetti delle esclusioni sul ricalcolo della soglia di anomalia nel modulo di inversione procedimentale.
Il TAR Brescia, con riferimento al problema di stabilire se nelle procedure di gara che adottano il modello della inversione procedimentale le eventuali esclusioni, disposte all’esito verifica dei requisiti di partecipazione dei concorrenti, debbano o meno comportare il ricalcolo della soglia di anomalia afferma il seguente principio di diritto:
<<nelle procedure di gara da aggiudicarsi secondo il criterio del minor prezzo e che si svolgono secondo il modulo dell’inversione procedimentale di cui all’art. 133, comma 8, d.lgs. 50/2016 -previsto per gli appalti nei settori speciali, ma esteso in via sperimentale e provvisoria, fino al 31.12.2021, anche ai settori ordinari– la soglia di anomalia deve essere calcolata, una sola volta, subito dopo l’apertura delle offerte.
Qualora, in esito alla fase conclusiva della verifica dei requisiti di partecipazione, si ravvisino i presupposti per disporre l’esclusione di uno o più concorrenti, la stazione appaltante procede allo scorrimento della graduatoria e alla verifica della documentazione amministrativa del secondo classificato, mantenendo ferma la soglia di anomalia>>
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.05.2021 n. 476 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
4. Nel merito.
4.1. Peraltro, per completezza –ma fermo il rilievo della inammissibilità– il ricorso è pure infondato nel merito.
4.2. L'art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che “ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte”.
4.3. Tale norma introduce la regola della c.d. “immodificabilità della graduatoria” e della “irrilevanza delle sopravvenienze” verificatesi, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione delle offerte, includendo in quest’ultima anche le ammissioni e le esclusioni disposte in esito ad eventuale soccorso istruttorio.
4.4. Secondo la giurisprudenza (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 14.10.2020, n. 6221; Cons. Stato, sez. V, 02.09.2019, n. 6013), la regola della irrilevanza delle sopravvenienze obbedisce alla duplice e concorrente finalità:
   a) di garantire, per un verso, continuità alla gara e stabilità ai suoi esiti, onde impedire che la stazione appaltante debba retrocedere il procedimento;
   b) di impedire, o comunque vanificare, in prospettiva antielusiva, la promozione di controversie meramente speculative e strumentali da parte di concorrenti non utilmente collocatisi in graduatoria.
4.5. Di recente la giurisprudenza si è interrogata su come si applichi il predetto principio nel caso di procedure di gara svolte secondo il modulo della c.d. “inversione procedimentale” di cui all’art. 133, comma 8, del d.lgs. 50/2016, ossia procedendo prima all’esame delle offerte e solo successivamente alla verifica dei requisiti di partecipazione degli offerenti (normalmente limitata al solo soggetto risultato aggiudicatario, ma con ampia facoltà per la stazioni appaltanti di ampliare discrezionalmente tale verifica ad altri partecipanti, eventualmente individuati a campione).
4.6. In particolare, l’art. 133, comma 8, citato prevede che “Nelle procedure aperte, gli enti aggiudicatori possono decidere che le offerte saranno esaminate prima della verifica dell'idoneità degli offerenti. Tale facoltà può essere esercitata se specificamente prevista nel bando di gara o nell'avviso con cui si indice la gara. Se si avvalgono di tale possibilità, le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la verifica dell'assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato a un offerente che avrebbe dovuto essere escluso a norma dell'articolo 136 o che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall'amministrazione aggiudicatrice”.
4.7. Incidentalmente va osservato che tale norma, dettata specificamente per gli appalti nei “settori speciali”, è stata successivamente estesa in via sperimentale e transitoria anche ai “settori ordinari”, dapprima fino al 31.12.2020 (in forza della L. 55 del 14.06.2019) e poi fino al 31.12.2021 (ai sensi dell’art. 8, comma 7, lett. c), del D.L. n. 76 del 16.07.2020, convertito con modificazioni dalla L. 11.09.2020 n. 120).
4.8. Dal momento che nelle procedure di gara che adottano il modello della inversione procedimentale la verifica dei requisiti di partecipazione dei concorrenti avviene dopo l’esame delle offerte, può accadere che in esito a tale verifica, o in esito all’eventuale soccorso istruttorio esercitato dalla stazione appaltante, uno o più concorrenti siano esclusi. Di qui il problema di stabilire se tali esclusioni debbano o meno comportare il ricalcolo della soglia di anomalia.
4.9. In favore della soluzione affermativa deporrebbero due argomenti, entrambi sostenuti nella controversia in esame dalla parte ricorrente:
   1) con un primo argomento si sostiene che, dal momento che il principio della invarianza della soglia di anomalia di cui all’art. 95, comma 15, del d.lgs. 50/2016 opera “successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte”, e dal momento che tale fase include anche le ammissioni e le esclusioni disposte in esito all’eventuale soccorso istruttorio, analogamente, nelle gare svolte secondo il modulo dell’inversione procedimentale, le esclusioni disposte in sede di verifica dei requisiti e di eventuale soccorso istruttorio, verificandosi ancora nell’ambito della fase di ammissione delle offerte, dovrebbero necessariamente comportare il ricalcolo della soglia di anomalia;
   2) con un secondo argomento, si sostiene che la necessità di procedere al ricalcolo della soglia di anomalia a seguito della esclusione di offerte presentate da concorrenti rivelatisi, all’esito della procedura di gara, privi di requisiti di partecipazione, risponderebbe all’esigenza di evitare che il calcolo della soglia di anomalia sia inquinato da offerte che non avrebbero dovuto partecipare alla gara in quanto carenti di requisiti di partecipazione.
4.10. Gli argomenti appena esposti non convincono il Collegio, alla luce di due preminenti considerazioni, avallate da recente giurisprudenza:
   1) innanzitutto, nelle gare svolte secondo il modulo della inversione procedimentale, l’eventuale ricalcolo della soglia di anomalia a seguito della esclusione di uno o più concorrenti in esito alla verifica dei requisiti di partecipazione (o all’eventuale soccorso istruttorio), determinerebbe una retrocessione della procedura di gara ad una fase antecedente, e quindi un appesantimento della gara, in aperto contrasto con le finalità di semplificazione procedimentale che stanno alla base dell’introduzione di tale modulo procedimentale;
   2) in secondo luogo, diversamente da quanto accade nelle procedure di gara svolte secondo il modulo procedimentale “ordinario”, in quelle svolte secondo il modulo della “inversione procedimentale” di cui all’art. 133, comma 6, d.lgs. 50/2016, la verifica dei requisiti di partecipazione si svolge “a buste aperte” e ciò comporta che, se in esito a tale fase fosse previsto l’obbligo della stazione appaltante di procedere al ricalcolo della soglia di anomalia, la procedura di gara resterebbe esposta al pericolo di condotte strumentali dei concorrenti sottoposti a verifica, i quali, divenendo rilevanti ai fini del calcolo della soglia di anomalia -e quindi, in definitiva, ai fini dell’esito della gara- a seconda che comprovino o meno il possesso dei requisiti di partecipazione, potrebbero essere indotti a porre in essere comportamenti fraudolenti (concordati o eterodiretti) a beneficio di altri concorrenti, con un effetto di radicale turbativa della procedura concorsuale e di violazione dei principi di trasparenza, libera concorrenza e par condicio dei concorrenti.
4.11. Quest’ultimo argomento è stato approfondito di recente, in modo significativo, da TAR Bari, nella sentenza della prima Sezione n. 1631 del 15.12.2020, nella quale si individuano, a titolo esemplificativo, alcune delle possibili condotte fraudolente a cui potrebbe condurre l’affermazione del principio invocato dall’odierna parte ricorrente: “Si pensi, ad esempio [si afferma in sentenza] ad un’intenzionale incompletezza o irregolarità di talune offerte già in sede di prima partecipazione, ovvero ad un intenzionale rifiuto di produrre la documentazione richiesta a seguito di soccorso istruttorio nel corso della procedura: tutte ipotesi in cui la platea degli offerenti finirebbe per essere modificata, con automatici riflessi sul calcolo della soglia”.
4.12. D’altra parte, va anche osservato che l’esigenza addotta dalla parte ricorrente -e, più in generale, dai fautori della tesi qui avversata- che la soglia di anomalia sia calcolata depurandola dalle offerte prive di requisiti di partecipazione, non potrebbe comunque essere soddisfatta nelle procedure di gara svolte secondo il criterio della inversione procedimentale, dal momento che in questa peculiare tipologia di procedimento la verifica finale dei requisiti non viene condotta su tutti i partecipanti, ma soltanto sul concorrente aggiudicatario o, al massimo, come nel caso di specie, su un campione di concorrenti, a seconda di quanto previsto nella legge di gara; e ciò comporta che, quand’anche la soglia di anomalia fosse ricalcolata all’esito della fase conclusiva di verifica dei requisiti, non potrebbe mai aversi la certezza che la determinazione di tale soglia non sia rimasta comunque influenzata dalle offerte presentate da altri concorrenti, anch’essi privi di requisiti, ma non sottoposti a verifica.
4.13. Va poi considerato che proprio l’esigenza di impedire turbative delle gare “a buste aperte” ha condotto il legislatore a non convertire in legge l’art. 36, comma 5, del d.lgs. 50/2016 (introdotto dal D.L. n. 32 del 18.04.2019, c.d. Decreto Sblocca Cantieri), il quale aveva introdotto il modulo (facoltativo) della inversione procedimentale anche per i contratti sotto soglia per i “settori ordinari”, prevedendo che in esito alla verifica dei requisiti di partecipazione la stazione appaltante avrebbe potuto “procede(re) eventualmente a ricalcolare la soglia di anomalia di cui all’art. 97”.
4.13.1. La norma è stata abrogata anche a seguito dei rilievi critici formulati dall’Autorità Nazionale Anticorruzione nel documento di analisi sul testo del decreto legge n. 32/2019 “Sblocca Cantieri” (“Prime valutazioni di impatto sul sistema degli appalti pubblici”, par. 2), ulteriormente ribaditi in sede di audizione del 31.07.2020 al Decreto legge n. 76/2020 “Semplificazioni”; in particolare, l’Autorità aveva rilevato che “L’inversione procedimentale, oltre a non essere coerente con un sistema di aggiudicazione al prezzo più basso con esclusione automatica delle offerte anomale che calcola la soglia di anomalia sulla base delle offerte ammesse, implica l’appesantimento procedurale del secondo calcolo della soglia di anomalia, favorisce l’aumento del contenzioso e lascia margini per manovre in grado di condizionare gli esiti dell’affidamento, in sede di soccorso istruttorio, da parte di operatori economici non utilmente collocati in graduatoria e soggetti al controllo dei requisiti”.
4.13.2. La legge di conversione n. 55 del 14.06.2019, nell’abrogare l’art. 36, comma 5, introdotto dal Decreto Sblocca Cantieri, ha esteso ai “settori ordinari” in via sperimentale e transitoria (fino al 31.12.2020, poi prorogato al 31.12.2021) l’utilizzabilità del modulo della inversione procedimentale previsto dall’art. 133, comma 8, per i “settori speciali”, contestualmente modificando quest’ultimo comma con l’espunzione della prevista eventualità del ricalcolo della soglia di anomalia in esito alla fase di verifica dei requisiti, e ciò in considerazione della particolarità della procedura caratterizzata, appunto, dalla posticipazione della fase di ammissione/regolarizzazione a offerte già note da parte del seggio di gara (l’argomento è stato valorizzato in modo particolare da TAR Bologna, I, n. 857 del 28.12.2020, a sostegno della tesi qui condivisa).
4.13.3. Va altresì considerato che proprio i dubbi interpretativi correlati alle norme in questione hanno indotto verosimilmente la Provincia di Brescia a precisare nei documenti di gara in che modo sarebbe stato applicato, nella procedura de qua, il modulo della inversione procedimentale, e cioè, in particolare, mantenendo invariata la soglia di anomalia anche nell’eventualità della esclusione di uno o più concorrenti in esito alla fase conclusiva di verifica dei requisiti. E tale previsione, dirimente ai fini del giudicare, non è stata impugnata.
5. In definitiva, alla luce di tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per mancata impugnazione di previsione vincolante del bando di bara; peraltro, nel merito, e fermo il rilievo della inammissibilità, il ricorso sarebbe comunque infondato nel merito alla luce del seguente principio di diritto: “nelle procedure di gara da aggiudicarsi secondo il criterio del minor prezzo e che si svolgono secondo il modulo dell’inversione procedimentale di cui all’art. 133, comma 8, d.lgs. 50/2016 -previsto per gli appalti nei settori speciali, ma esteso in via sperimentale e provvisoria, fino al 31.12.2021, anche ai settori ordinari– la soglia di anomalia deve essere calcolata, una sola volta, subito dopo l’apertura delle offerte; qualora, in esito alla fase conclusiva della verifica dei requisiti di partecipazione, si ravvisino i presupposti per disporre l’esclusione di uno o più concorrenti, la stazione appaltante procede allo scorrimento della graduatoria e alla verifica della documentazione amministrativa del secondo classificato, mantenendo ferma la soglia di anomalia”.

APPALTIVerifica dell'anomalia, il Rup non è obbligato a confutare ogni chiarimento a sostengo dell'offerta.
La stazione appaltante non è obbligata a far precedere l'esclusione dell'impresa, per rilevata anomalia dell'offerta, da alcun preavviso, né a far corrispondere una ragione/giustificazione ad ogni elemento fornito dall'appaltatore.

In questo senso si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 03.05.2021 n. 3472.
La verifica dell'anomalia
Il giudice di Palazzo Spada ha chiarito la natura istruttoria della verifica della congruità dell'offerta che non impone, in particolare il comma 5 dell'articolo 97 del Codice, una articolazione per cui a ogni giustificazione prodotta debba corrispondere un riscontro/giudizio della stazione appaltante.
Nel giudizio, l'appellante, dolendosi della sentenza di primo grado (Tar Basilicata, sentenza n. 169/2020), qualificava come insufficiente il contraddittorio procedimentale con il Rup della stazione appaltante.
Il responsabile unico, secondo la censura, non avrebbe sollevato «criticità e rilievi sulle giustificazioni rese dall'impresa né sugli elementi posti poi a base del provvedimento di esclusione».
Il procedimento di verifica, ha rammentato la sentenza, disciplinato con l'articolo 97 del Codice non prevede una scansione rigida del contraddittorio relativo, né prevede «predeterminate e vincolanti scansioni procedimentali, limitandosi» a fissare al comma 5, «un'unica richiesta di chiarimenti (…), con un termine di risposta non inferiore a quindici giorni, così delineando un procedimento monofasico e non più trifasico (giustificativi, chiarimenti, contraddittorio) come nella precedente disciplina».
La procedura, a ben vedere, si sostanzia in un momento di richiesta delle giustificazioni a cui corrisponde la fase di analisi/verifica del Rup a cui può far seguito, ma si tratta di momento solo eventuale, una o più richieste di delucidazioni e/o integrazioni senza che il procedimento si debba estendere all'infinito.
Si tratta, pertanto, di una fase istruttoria, molto simile a quella che il responsabile del procedimento conduce, più in generale, ai sensi dell'articolo 6 della legge 241/1990. Nella verifica della potenziale anomalia, però, non è imposta alcuna necessità di confutare le deduzioni dell'impresa in maniera chirurgica/analitica.
La sentenza
Secondo il giudice «è sufficiente a fondare il giudizio finale di incongruità una motivazione che renda nella sostanza percepibile il percorso logico sotteso» al mancato accoglimento esternando «le ragioni di inidoneità degli argomenti spesi dall'interessata a superare le criticità dell'offerta».
In questo caso, il sub-procedimento di verifica si era, comunque, articolato in più fasi: in particolare, a una prima richiesta di chiarimenti avanzata dal Rup ha fatto seguito un ulteriore invito a fornire integrazioni e un'ulteriore richiesta di chiarimenti, in relazione a specifici profili, fino al momento dell'audizione dei rappresentanti dell'impresa a conclusione del procedimento.
È stata considerata irrilevante, quindi, la riflessione dell'appellante secondo cui il «Rup avrebbe basato l'esclusione su profili di incongruità dell'offerta che non erano stati preventivamente portati all'attenzione della stessa».
Nel procedimento di verifica, infatti, il legislatore non ha previsto l'obbligo della stazione appaltante di far precedere l'esclusione per incongruità dell'offerta da un preavviso all'interessato. Questo perché nella verifica in parola il contraddittorio procedimentale ha funzione meramente istruttoria, consentendo alla stazione appaltante di acquisire ogni elemento utile alla miglior valutazione dei dati contenuti nell'offerta al fine di acclarare se questa sia effettivamente sostenibile e, «quindi, consenta di realizzare l'interesse pubblico inerente al contratto da aggiudicare, ma non è preordinato a risolvere in via anticipata un contrasto tra differenti posizioni (Consiglio di Stato n. 3508/2020)».
Lo stesso principio del contraddittorio procedimentale, conclude la sentenza, «non comporta, tuttavia, un vincolo assoluto di piena corrispondenza tra giustificazioni richieste e ragioni di anomalia dell'offerta».
Solamente nel caso in cui la stazione appaltante non possa sciogliere i dubbi in ordine all'attendibilità dell'offerta soggetta a verifica di anomalia «e lo richiedano le circostanze concrete (per incompletezza delle giustificazioni fornite o perché residuano ancora profili controversi o incerti), è necessario esperire ulteriori fasi del contraddittorio procedimentale» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 24.05.2021).
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SENTENZA
6.2. Va premesso che il vigente art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016 non articola il contraddittorio inerente alla valutazione di anomalia secondo rigide, predeterminate e vincolanti scansioni procedimentali, limitandosi a prevedere, al comma 5, un’unica richiesta di chiarimenti da parte della Stazione appaltante, con un termine di risposta non inferiore a quindici giorni, così delineando un procedimento monofasico e non più trifasico (giustificativi, chiarimenti, contraddittorio) come nella precedente disciplina.
6.3. Sovvengono poi al riguardo i consolidati principi giurisprudenziali secondo cui nel procedimento di verifica dell’anomalia non vi è necessità di un’analitica confutazione delle deduzioni opposte dall’impresa, ma è sufficiente a fondare il giudizio finale di incongruità una motivazione che renda nella sostanza percepibile il percorso logico sotteso al loro mancato accoglimento ed esterni le ragioni di inidoneità degli argomenti spesi dall’interessata a superare le criticità dell’offerta (Cons. Stato, Sez. V, 05.09.2014, n. 4516 e Cons. Stato, Sez. V, 02.07.2012, n. 3850).
6.4. Alla luce dei riportati principi non ricorre qui alcuna violazione del contradditorio procedimentale: esso è stato pienamente rispettato; ma le giustificazioni fornite dalla concorrente non sono state ritenute appropriate.
Nella fattispecie in esame il sub-procedimento di verifica di anomalia si è, infatti, articolato in più fasi: in particolare, ad una prima richiesta di chiarimenti avanzata dal RUP in data 13.03.2018 è seguito un ulteriore invito a fornire integrazioni pervenuto a Co. in data 12.04.2018, un’ulteriore richiesta di chiarimenti, in relazione a specifici profili, in data 07.09.2018, fino all'audizione dei rappresentanti dell'impresa a conclusione del procedimento.
A fronte di tali evidenze procedimentali non è revocabile in dubbio che Co. sia stata posta nelle condizioni di dimostrare la sostenibilità e plausibilità dell’offerta: difatti, alle originarie giustificazioni del 07.12.2016 sono seguite quelle del 27.03.2018 ed infine quelle del 12.09.2018.
Con riferimento ai giustificativi prodotti, la stazione appaltante ha poi, di volta in volta, disposto, ove necessario, i dovuti approfondimenti (come nel caso dei costi della manodopera), chiedendo alla concorrente specifici chiarimenti e documentazione a comprova degli scostamenti tra i dati riportati nelle tabelle ministeriali e i costi dichiarati da Co..
La durata, la complessità e l'articolazione del procedimento di verifica, nelle fasi e scansioni sopra riportate, rappresentano sicuri e ragionevoli indici dell’adeguatezza dell'istruttoria svolta e della effettiva valutazione della osservazioni e delle deduzioni dell’impresa partecipante, in ciò compendiandosi l'effettività del contraddittorio procedimentale che, come detto, non implica la puntuale confutazione di tutte le osservazioni svolte dagli interessati.
6.5. Con il mezzo in esame, l’odierna appellante si duole, inoltre, che il RUP avrebbe basato l’esclusione su profili di incongruità dell’offerta che non erano stati preventivamente portati all’attenzione della stessa Co., lamentando poi che in tale errore sarebbe incorso lo stesso verificatore.
6.6. Anche tali doglianze non possono trovare accoglimento.
6.7. Il contraddittorio procedimentale ex articolo 97 del D.lgs. 50/2016 non può estendersi ad libitum e, soprattutto, come chiarito dalla giurisprudenza, la stazione appaltante non è obbligata, ricevuti i chiarimenti richiesti, a far precedere l’esclusione per incongruità dell’offerta da un relativo preavviso all’interessato: ciò in quanto nella verifica di anomalia il contraddittorio procedimentale ha funzione meramente istruttoria, consentendo alla stazione appaltante di acquisire ogni elemento utile alla miglior valutazione dei dati contenuti nell’offerta al fine di acclarare se questa sia effettivamente sostenibile e, quindi, consenta di realizzare l’interesse pubblico inerente al contratto da aggiudicare, ma non è preordinato a risolvere in via anticipata un contrasto tra differenti posizioni (cfr. in termini Cons. Stato, Sez. V, 04.06.2020, n. 3508).
Nel subprocedimento di verifica dell’anomalia è assicurata così al concorrente la possibilità di illustrare la sostenibilità economica della propria offerta; il principio del contraddittorio procedimentale non comporta, tuttavia, un vincolo assoluto di piena corrispondenza tra giustificazioni richieste e ragioni di anomalia dell’offerta.
Come chiarito inoltre dalla giurisprudenza, solo laddove la stazione appaltante non possa sciogliere i dubbi in ordine all’attendibilità dell’offerta soggetta a verifica di anomalia e lo richiedano le circostanze concrete (per incompletezza delle giustificazioni fornite o perché residuano ancora profili controversi o incerti), è necessario esperire ulteriori fasi del contraddittorio procedimentale (cfr. in termini Cons. Stato, sez. V, 28.01.2019, 690).
6.7. Ne segue che, nella gara per cui è causa, il RUP, ritenuta l’anomalia dell’offerta sulla base degli elementi acquisiti nel corso del sub-procedimento di verifica di congruità ed inidonee le giustificazioni prodotte dalla concorrente a dimostrare la complessiva sostenibilità dell’offerta, non era tenuto ad avviare alcuna ulteriore interlocuzione procedimentale per acquisire nuovi chiarimenti.
6.8. Spetta, infatti, all’offerente fornire nell’ambito del contraddittorio procedimentale le prove documentali a supporto della asserita sostenibilità della sua offerta ai sensi dell’articolo 97, comma 5, del D.lgs. 50/2016 che prevede l’esclusione dell'offerta “se la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti”.
...
7.8. Non è invero superfluo rammentare che, per pacifica giurisprudenza, il procedimento di verifica dell'anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la relativa valutazione di congruità ha natura globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo (tra tante, III, 29.01.2019, n. 726; V, 23.01.2018, n. 430; 30.10.2017, n. 4978) e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che la manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell’operato renda palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta (ex multis, Cons. Stato, V, 17.05.2018 n. 2953; 24.08.2018 n. 5047; III, 18.09.2018 n. 5444; V, 23.01.2018, n. 230).
Sempre in tema, è acquisito il principio secondo cui il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza e adeguatezza dell’istruttoria, senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, ciò rappresentando un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione (ex multis, Cons. Stato, V, 22.12.2014, n. 6231; 18.02.2013, n. 974; 19.11.2012, n. 5846; 23.07.2012, n. 4206; 11.05.2012, n. 2732).
Insomma, la verifica mira “a garantire e tutelare l’interesse pubblico concretamente perseguito dall’amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell’esecuzione dell’appalto, così che l’esclusione dalla gara dell’offerente per l’anomalia della sua offerta è l’effetto della valutazione (operata dall’amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere” (C. Stato, V, n. 230 del 2018, cit.).
...
8.2. Per costante giurisprudenza, che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità, i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali non costituiscono un limite inderogabile, ma rappresentano pur sempre un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, di modo che l’eventuale scostamento da tali parametri delle relative voci di costo, pur non legittimando ex se un giudizio di anomalia, può essere accettato sempre che risulti puntualmente e rigorosamente giustificato (Cons. Stato, Sez. III, 14.05.2018, n. 2867; Cons. Stato, Sez. V, 18.12.2017, n. 5939; Cons. St., sez. V, 09.04.2015, n. 1813).
Il limite all’ammissibilità di siffatti scostamenti (nel rispetto dei minimi retributivi stabiliti in sede di contrattazione collettiva) riveste, dunque, carattere “giustificativo”: le discordanze dalle predette tabelle debbono essere perciò giustificate sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa ed accompagnate da significativi ed univoci dati probatori, al di là di generiche affermazioni dell’impresa; se, infatti, l’aggiudicataria è in linea generale gravata dell’onere di giustificare i costi proposti (essendo a tal fine ammessa a fornire spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell’offerta ed anche su voci non direttamente indicate dalla stazione appaltante come incongrue, come chiarito da Cons. Stato, Ad. Plen, 29.11.2012, n. 36), a maggior ragione tale prova puntuale e rigorosa è richiesta quando il costo del lavoro non è coincidente con quello medio tabellare (Cons. Stato, Sez. V, 30.11.2020, n. 7554).
Anche l’eventuale riferimento a valutazioni statistiche ed analisi aziendali, che evidenzino una particolare organizzazione imprenditoriale a giustificazione di tali scostamenti, vanno documentate e comprovate dall’offerente e la relativa valutazione tecnico-discrezionale al riguardo è rimessa alla Stazione appaltante.
...
9.2. Le argomentazioni dell’appellante, incentrate sulla congruità di specifiche e parcellizzate voci dell’offerta o sulla generale ammissibilità della modifica dei giustificativi in corso di gara, con il solo limite della complessiva attendibilità dell’offerta presentata, non scalfiscono il corretto ragionamento dell’impugnata sentenza: a questo è infatti sotteso il fondamentale principio per cui il giudizio di anomalia ha natura globale e sintetica e “può essere fondato anche sull'inattendibilità di singole voci di costo dell'offerta che, tuttavia, per la loro importanza ed incidenza, rendano l'intera operazione economica implausibile e, per l'effetto, insuscettibile di accettazione da parte dell'Amministrazione, in quanto insidiata da indici strutturali di carente affidabilità” (Cons. Stato, Sez. V, 09.04.2015, n. 1813; Cons. Stato, Sez. V, 15.11.2012, n. 5703; Cons. Stato, Sez. V, 28.10.2010, n. 7631).
9.3. Il sub-procedimento di giustificazione dell'offerta anomala non è volto, infatti, a consentire aggiustamenti dell'offerta in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile (ex multis: Cons. Stato, Sez. V, 31.08.2017, n. 4146; Cons. Stato, Sez. V, 23.06.2016 n. 2811; Cons. Stato, Sez. VI, 20.09.2013, n. 4676; Cons. Stato, Sez. V, 02.07.2012, n. 3850; Cons. Stato, Sez. VI, 07.02.2012, n. 636), non essendo possibile in sede di giustificazioni rimodulare apoditticamente le voci di costo, senza alcuna motivazione, al solo scopo di "far quadrare i conti", ossia di assicurarsi che il prezzo complessivo offerto resti immutato e si superino le contestazioni sollevate dalla stazione appaltante su alcune voci di costo (Cons. Stato, Sez. V, 12.03.2018, n. 1541; Cons. Stato, 30.08.2018, n. 5088).
9.4. Alla luce dei richiamati principi, se è vero che deve distinguersi tra il contenuto (immodificabile) della proposta contrattuale, affidata all’offerta economica, e le giustificazioni della struttura dei costi (motivatamente e ragionevolmente rimodulabili in sede di verifica di anomalia), il Collegio rileva come nella fattispecie non ricorra la seconda ipotesi indicata: ed infatti Co. non solo ha rideterminato i propri costi (con specifico riferimento all’equilibrio tra i fattori che contribuiscono a comporre il costo del lavoro), ma ha mutato, nei giustificativi di volta in volta presentati, anche il numero delle risorse impiegate, le modalità di assolvimento degli obblighi discendenti dal rispetto della clausola sociale e (di riflesso) la definizione dello stesso margine d’utile, modificando così la composizione e la struttura dell’offerta e alterandone, in definitiva, l’equilibrio economico.
10. In conclusione, la sentenza di primo grado correttamente ha ritenuto che il verificatore non si è soffermato su aspetti differenti dell’offerta rispetto a quelli vagliati dalla Stazione appaltante e che si sia attenuto ai dati esposti nell’offerta e nella verifica di anomalia; su queste premesse, bene la sentenza ha ritenuto irrilevanti le integrazioni alle valutazioni di anomalia raggiunte dalla Stazione appaltante con ulteriori elementi, poiché ciò che rileva è il riscontro dell’attendibilità del giudizio di incongruità dell’offerta di Co. formulato dall’Amministrazione aggiudicatrice (motivato sulla mancanza di appropriate giustificazioni quanto alle riscontrate considerevoli discordanze dai valori tabellari), che è oggetto delle contestazioni dell’originaria ricorrente.
Tale giudizio, alla luce delle risultanze di causa, non è inficiato da profili di illogicità, irragionevolezza e macroscopica erroneità che ne consentono il sindacato giurisdizionale (cfr. ex multis, C.d.S., sez. III, 09.12.2015, n. 5597; id. sez. IV, 04.06.2013, n. 3059; id., sez. V, 06.05.2015, n. 2274; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29.11.2012, n. 36 che ha ispirato il sopra indicato orientamento giurisprudenziale): nel caso di specie, la valutazione di congruità dell’offerta è stata invero effettuata con particolare accuratezza, come emerge dalla ricostruzione in fatto del subprocedimento di verifica dell’anomalia nelle sue fasi e articolazioni, e anche la motivazione di non congruità è stata particolarmente attenta e analitica, ad ulteriore garanzia della serietà ed affidabilità della valutazione dell’anomalia esplicata dalla Stazione appaltante.

aprile 2021

APPALTI: Sul c.d. principio di invarianza con riferimento al calcolo delle medie e alla individuazione della soglia di anomalia.
Il TAR Milano, con riferimento al c.d. principio di invarianza di cui all’art. 95, comma 15, del codice dei contratti pubblici, in forza del quale: «Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte», precisa che:
<<La norma, che ricalca analoga previsione dell’abrogato art. 38-bis del D.Lgs. n. 163/2006, ha dato luogo ad un ampio dibattito in giurisprudenza, anche se allo stato è possibile pervenire alle seguenti conclusioni.
La “variazione” cui si riferisce il comma 15 può consistere anche in un provvedimento amministrativo di autotutela e non solo in una decisione giurisdizionale, come risulta dall’uso della locuzione “anche”.

Il principio di invarianza trova applicazione non solo a fronte dell’avvenuta individuazione della soglia di anomalia delle offerte, ma anche in tutti i differenti casi di “calcolo di medie nella procedura”.
A tale soluzione si perviene in primo luogo dal dato letterale del comma 15, che distingue il “calcolo di medie” dalla “soglia di anomalia”, impiegando la locuzione “né”>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 30.04.2021 n. 1080 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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4.1.1 La doglianza, per quanto suggestiva e ben argomentata dai pur abili difensori di -OMISSIS-, non convince il Collegio.
La lettera di invito, al paragrafo 3.1.1 (cfr. il doc. 2 del resistente, pag. 32) prevede, per il calcolo del punteggio dell’offerta tecnica, che ciascun commissario attribuisca ad ogni elemento qualitativo un coefficiente variabile da zero ad uno secondo un giudizio graduale, che parte da “offerta inadeguata” (zero) per giungere fino a “offerta eccellente” (uno).
In seguito la commissione avrebbe determinato la “media provvisoria” per ogni sub-criterio e trasformato la suddetta media provvisoria in “media definitiva”, riportando ad uno quella più alta e proporzionando a quest’ultima tutte le altre.
L’offerta economica deve invece valutarsi (paragrafo 3.2 della lettera di invito) attribuendo a ciascun elemento economico un coefficiente variabile da zero ad uno, mentre l’attribuzione del punteggio finale prevede l’utilizzo del c.d. metodo aggregativo compensatore, di cui al paragrafo 3.4 della lettera di invito.
Quest’ultima non prevede però nulla per l’ipotesi, come quella di cui è causa, in cui sia annullata l’aggiudicazione definitiva, con conseguente esclusione dell’impresa prima classificata; in particolare la citata legge di gara non impone una seconda ed ulteriore riparametrazione (ex art. 3.1.1 della lettera di invito) per situazioni come quelle di cui al presente contenzioso (si ricordi che l’interpretazione della lex specialis di gara segue le regole ermeneutiche di cui agli articoli 1362 e seguente del codice civile, dando quindi innanzi tutto priorità al «senso letterale delle parole»).
Di fronte all’avvenuto annullamento dell’affidamento ad -OMISSIS-, la stazione appaltante ha quindi dato applicazione alla previsione dell’art. 95, comma 15, del codice sul c.d. principio di invarianza, comma in forza del quale: «Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte».
La norma, che ricalca analoga previsione dell’abrogato art. 38-bis del D.Lgs. n. 163/2006, ha dato luogo ad un ampio dibattito in giurisprudenza, anche se allo stato è possibile pervenire alle seguenti conclusioni.
La “variazione” cui si riferisce il comma 15 può consistere anche in un provvedimento amministrativo di autotutela e non solo in una decisione giurisdizionale, come risulta dall’uso della locuzione “anche”.
Nella presente fattispecie la variazione è intervenuta nel 2020 e quindi dopo l’aggiudicazione definitiva del 2019, per cui deve reputarsi senz’altro conclusa la “fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte” di cui parla la norma (secondo un diffuso indirizzo esegetico, infatti, il principio di invarianza si applica solo dal momento dell’aggiudicazione definitiva, cfr., fra le tante, TAR Sicilia, Catania, Sez. I, n. 3077/2019).
Il principio di invarianza trova applicazione non solo a fronte dell’avvenuta individuazione della soglia di anomalia delle offerte, ma anche in tutti i differenti casi di “calcolo di medie nella procedura”. A tale soluzione si perviene in primo luogo dal dato letterale del comma 15, che distingue il “calcolo di medie” dalla “soglia di anomalia”, impiegando la locuzione “”.
Anche la giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente estende l’applicazione del comma 15 alle ipotesi, diverse da quella della fissazione della soglia di anomalia, nelle quali si faccia in ogni modo questione di “calcolo di medie”.
Sul punto si veda, in primis, la recente sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 2257/2020, secondo cui «la regola è destinata a trovare applicazione non soltanto in presenza di criteri di aggiudicazione automatici, come quello del “minor prezzo”, per i quali sia previsto, anche ai fini della determinazione della soglia di anomalia, il “calcolo di medie” (cfr. art. 97 del Codice), ma anche nelle ipotesi di criteri rimessi alla valutazione discrezionale della commissione valutatrice, come nel caso della “offerta economicamente più vantaggiosa”, le quante volte (come nel caso che debba procedersi, in base al disciplinare di gara, secondo il metodo del c.d. confronto a coppie) la formazione della graduatoria sia condizionata dal meccanismo di “normalizzazione” del punteggio conseguito da ciascun concorrente, attraverso il confronto parametrico con quello dell’offerta migliore, che è alterato dalla modifica della platea dei concorrenti da confrontare attraverso la rideterminazione di valori medi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.07.2019, n. 4789)».
Si badi che, nel caso deciso dal Consiglio di Stato, il metodo di valutazione delle offerte era, come nella presente fattispecie, quello “aggregativo-compensatore” (cfr. il punto 4.1 della sentenza citata).
In maniera significativa, la menzionata sentenza del giudice amministrativo d’appello conclude che: «Si tratta, perciò, di fattispecie in cui è destinata ad operare, in base alle riassunte premesse, la regola della “cristallizzazione delle medie”, non solo ai (meri) fini della determinazione della soglia di anomalia (cfr. art. 97 del Codice), ma anche ai (più comprensivi) fini del divieto di regressione procedimentale, che implica, secondo vale ribadire, l’immodificabilità della graduatoria anche all’esito della estromissione di uno dei concorrenti la cui offerta aveva concorso alla elaborazione dei punteggi».
Anche la giurisprudenza del TAR Lombardia è orientata nel senso che la regola dell’invarianza vale in ogni ipotesi di “calcolo di medie”, e non solo ai limitati fini della fissazione della soglia di anomalia.
Sulla questione preme rinviare dapprima alla pronuncia di questa Sezione n. 2461/2020 –a quanto consta, non appellata– che ha deciso una controversia nella quale un’impresa, non ammessa alla valutazione dell’offerta economica per insufficiente punteggio ottenuto in quella tecnica, chiedeva l’ammissione alla procedura di gara a seguito dell’intervenuto annullamento dell’aggiudicazione nei confronti della prima classificata, invocando a proprio vantaggio un nuovo calcolo di medie.
Anche la sentenza della Sezione I di questo TAR n. 799/2019, al punto 3.3.1, distingue chiaramente, quanto all’applicazione del principio di invarianza, il “calcolo di medie” nella procedura dalla individuazione della “soglia di anomalia”.
A diversa conclusione non induce la lettura della sentenza citata dalla difesa di -OMISSIS- nel corso della discussione all’udienza del 21.04.2020, vale a dire la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 4664/2018.
In tale pronuncia, infatti, il giudice d’appello ha escluso l’applicazione del comma 15 in quanto la formula prevista dalla legge di gara per l’attribuzione del punteggio non prevedeva “valori medi” da tenere fermi (si veda il punto 7.1 della sentenza), sicché non poteva avere rilevanza il principio ivi in discussione, fermo restando che nella stessa sentenza (si veda pag. 7) è affermato che la norma del comma 15 riguarda il «ricalcolo di medie aritmetiche o la rideterminazione di soglie di anomalia» (si noti l’uso della congiunzione disgiuntiva “o”), come del resto affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa.
A ciò si aggiunga che anche la recente deliberazione di ANAC n. 155 del 24.02.2021 ammette l’applicazione dell’art. 95, comma 15, in caso di utilizzo del metodo aggregativo compensatore.
In definitiva l’Amministrazione risulta avere rispettato la norme del codice dei contratti di cui è causa; infatti, a fronte del silenzio della lettera di invito –che non prevede una nuova riparametrazione in caso di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione o comunque in ipotesi di variazione della graduatoria– l’Amministrazione ha dato lineare applicazione al principio di invarianza, posto che –giova ripeterlo– il metodo di aggiudicazione della lettera di invito (ex art. 3.1.1 succitato), prevede in più occasioni il “calcolo di medie”.
Neppure -OMISSIS- potrebbe lamentare la violazione del proprio diritto di difesa, considerato che l’art. 95, comma 15, come messo in luce più volte dalla giurisprudenza (si veda ancora, fra le tante, la già citata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2257/2020), vuole esclusivamente evitare impugnazioni meramente strumentali ed una inutile proliferazione del contenzioso, a favore invece del regolare svolgimento e della celerità delle procedure di gara, in attuazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 della Costituzione).
Ad -OMISSIS- non è stato certo impedito di contestare l’esito della presente gara; quel che viene precluso dall’art. 95, comma 15, è la possibilità di ottenere l’aggiudicazione per così dire “per saltum”, cioè mediante un calcolo matematico conseguente all’estromissione di un partecipante, nel caso di specie l’operatore aggiudicatario della procedura.

APPALTI: L'affidamento diretto, anche qualora preceduto dall'acquisizione di preventivi, è una modalità di affidamento autonoma, distinta sia dalla procedura negoziata sia dalle procedure ordinarie, ed è caratterizzata dalla informalità.
  
L'affidamento diretto, anche qualora preceduto dall'acquisizione di preventivi, è una modalità di affidamento autonoma, distinta sia dalla procedura negoziata sia dalle procedure ordinarie, ed è caratterizzata dalla informalità. Tale procedura non è sottoposta alle singole disposizioni del Codice dei contratti (d.lgs. n. 50/2016), ma deve in ogni caso garantire il rispetto dei principi di cui agli artt. 30, c. 1, 34 e 42 del Codice, nonché del principio di rotazione.
Le singole disposizioni del Codice devono ritenersi applicabili solo se espressive di principi generali o se espressamente richiamate negli atti di gara in ragione di un auto vincolo della stazione appaltante.
  
L'affidamento diretto è una procedura informale per la quale il legislatore ha evitato di imporre una precisa sequenza procedimentale, consentendo alle stazioni appaltanti di adattarne lo svolgimento alle caratteristiche dell'appalto, in base al principio di proporzionalità.
Nel caso di specie, inerente l'affidamento diretto del servizio di gestione del Palazzetto dello Sport comunale, pertanto, il parziale scostamento dalla sequenza ordinaria -avviso, manifestazione di interesse, preventivo- posto in essere dal Comune, in ragione dell'urgenza di garantire la continuità del servizio, non può in alcun modo ritenersi idoneo a superare la chiara scelta circa la procedura da applicare, compiuta negli atti di indizione dell'affidamento: il Comune ha infatti espressamente precisato anche nell'avviso che si trattava di affidamento diretto.
La richiesta dei preventivi costituisce la garanzia minima del principio di concorrenza imposta dal legislatore, mentre le stazioni appaltanti hanno in ogni caso il potere-dovere di svolgere la procedura in modo da assicurare il rispetto dei principi generali in materia di procedure ad evidenza pubblica, tenendo conto delle specificità dell'affidamento.
Le stazioni appaltanti possono in definitiva introdurre forme di garanzia della concorrenza ulteriori rispetto alla mera richiesta di preventivi, senza con ciò vincolarsi all'applicazione integrale della disciplina relativa alle procedure ordinarie e senza incorrere in una violazione del principio di tipicità delle procedure. Ciò a fortiori allorché si tratti - come nel caso di specie- di un affidamento di indubbio rilievo per la collettività di riferimento.
In questo senso la scelta del Comune di consentire a tutti gli operatori interessati di presentare direttamente un'offerta subito dopo la pubblicazione dell'avviso, senza attendere la richiesta del preventivo, e predeterminando gli elementi e i sub elementi di valutazione delle medesime offerte, risulta una legittima misura di rafforzamento della concorrenza e non una violazione del principio di tipicità delle procedure di scelta del contraente
(TAR Veneto, Sez. I, sentenza 27.04.2021 n. 542 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Al riguardo si legga anche:
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Appalti: se l'affidamento diretto è gestito con criteri di gara non è più un affidamento diretto. Gli errori gravi del Tar Veneto (06.05.2021 - link a https://luigioliveri.blogspot.com).

APPALTIL’affidamento diretto, anche qualora preceduto dall’acquisizione di preventivi, è una modalità di affidamento autonoma, distinta sia dalla procedura negoziata sia dalle procedure ordinarie, ed è caratterizzata dalla informalità.
Tale procedura non è sottoposta alle singole disposizioni del Codice, ma deve in ogni caso garantire il rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42 del Codice, nonché del principio di rotazione.
Le singole disposizioni del Codice devono ritenersi applicabili solo se espressive di principi generali o se espressamente richiamate negli atti di gara in ragione di un auto vincolo della stazione appaltante.

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Il parziale scostamento dalla sequenza ordinaria -avviso, manifestazione di interesse, preventivo– posto in essere dal Comune, in ragione dell’urgenza di garantire la continuità del servizio, non può in alcun modo ritenersi idoneo a superare la chiara scelta circa la procedura da applicare, compiuta negli atti di indizione dell’affidamento: come si è detto il Comune ha espressamente precisato anche nell’avviso che si trattava di affidamento diretto.
Invero, l’affidamento diretto è una procedura informale per la quale il legislatore ha evitato di imporre una precisa sequenza procedimentale, consentendo alle stazioni appaltanti di adattarne lo svolgimento alle caratteristiche dell’appalto, in base al principio di proporzionalità.
La richiesta dei preventivi costituisce la garanzia minima del principio di concorrenza imposta dal legislatore, mentre le stazioni appaltanti hanno in ogni caso il potere-dovere di svolgere la procedura in modo da assicurare il rispetto dei principi generali in materia di procedure ad evidenza pubblica, tenendo conto delle specificità dell’affidamento.
Le stazioni appaltanti possono in definitiva introdurre forme di garanzia della concorrenza ulteriori rispetto alla mera richiesta di preventivi, senza con ciò vincolarsi all’applicazione integrale della disciplina relativa alle procedure ordinarie e senza incorrere in una violazione del principio di tipicità delle procedure.
Ciò a fortiori allorché si tratti –come nel caso in esame- di un affidamento di indubbio rilievo per la collettività di riferimento.
In questo senso la scelta del Comune di consentire a tutti gli operatori interessati di presentare direttamente un’offerta subito dopo la pubblicazione dell’avviso, senza attendere la richiesta del preventivo, e predeterminando gli elementi e i sub-elementi di valutazione delle medesime offerte, risulta una legittima misura di rafforzamento della concorrenza e non una violazione del principio di tipicità delle procedure di scelta del contraente.
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Dal disposto dell’art. 95 del Codice appalti emerge che la predeterminazione dei punteggi e dei sub-punteggi non costituisce un principio generale inderogabile.
In base all’art. 95, comma 9, infatti, le stazioni appaltanti, quando ritengono la ponderazione non possibile per ragioni oggettive, indicano nel bando di gara l'ordine decrescente di importanza dei criteri.

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2. Il primo, il secondo e il terzo motivo di impugnazione sono tuttavia infondati in quanto tutti basati su di un presupposto non condivisibile, ossia che nella fattispecie si tratti di una procedura aperta.
2.1. Come invece chiarito dalla determinazione a contrarre del 15.07.2020 e dall’“Avviso di indagine di mercato telematica finalizzato alla valutazione di offerte per l’affidamento diretto del servizio di gestione del Palazzetto comunale dello sport Sant’Anna” nel caso in esame si trattava di un “affidamento diretto ai sensi dell'art. 36, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016”.
In particolare il Comune ha qualificato la fattispecie come affidamento di servizio sociale, privo di rilevanza economica, di valore (€ 330.000,00) inferiore alla soglia di € 750.000,00 prevista dall’art. 35 del d.lgs. n. 50 del 2016 per tale tipologia di rapporti, e ha quindi applicato l’art. 36, comma 2, lett. b), del Codice dei contratti pubblici, al tempo vigente (15.07.2020).
E l’art. 36, comma 2, lett. b), del Codice nel testo modificato dal cd. “Decreto Sblocca cantieri”, in vigore sino al 17.07.2020 (data di entrata in vigore del d.l. n. 76 del 2020 c.d. “Decreto Semplificazioni”), stabiliva che “le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all'articolo 35, secondo le seguenti modalità: …omissis … b) per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all'articolo 35 per le forniture e i servizi, mediante affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti, per i lavori, e, per i servizi e le forniture, di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti”.
2.2. L’affidamento diretto, anche qualora preceduto dall’acquisizione di preventivi, è una modalità di affidamento autonoma, distinta sia dalla procedura negoziata sia dalle procedure ordinarie, ed è caratterizzata dalla informalità.
Tale procedura non è sottoposta alle singole disposizioni del Codice, ma deve in ogni caso garantire il rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42 del Codice, nonché del principio di rotazione.
Le singole disposizioni del Codice devono ritenersi applicabili solo se espressive di principi generali o se espressamente richiamate negli atti di gara in ragione di un auto vincolo della stazione appaltante.
2.3. Nel ricorso la ricorrente non ha contestato che si tratti di servizio sociale privo di rilevanza economica. Pertanto non vi è questione circa l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 36, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 50 del 2016.
La ricorrente sostiene invece che il Comune si sarebbe auto vincolato ad applicare le disposizioni relative alle procedure ordinarie e quindi le singole disposizioni del Codice in quanto nell’avviso ha richiesto agli operatori economici di presentare subito l’offerta –non la manifestazione di interesse– in tal mondo seguendo lo schema della procedura aperta.
2.4. Tale conclusione non risulta tuttavia condivisibile.
Il parziale scostamento dalla sequenza ordinaria -avviso, manifestazione di interesse, preventivo– posto in essere dal Comune, in ragione dell’urgenza di garantire la continuità del servizio, non può in alcun modo ritenersi idoneo a superare la chiara scelta circa la procedura da applicare, compiuta negli atti di indizione dell’affidamento: come si è detto il Comune ha espressamente precisato anche nell’avviso che si trattava di affidamento diretto.
2.4. Invero l’affidamento diretto è una procedura informale per la quale il legislatore ha evitato di imporre una precisa sequenza procedimentale, consentendo alle stazioni appaltanti di adattarne lo svolgimento alle caratteristiche dell’appalto, in base al principio di proporzionalità.
La richiesta dei preventivi costituisce la garanzia minima del principio di concorrenza imposta dal legislatore, mentre le stazioni appaltanti hanno in ogni caso il potere-dovere di svolgere la procedura in modo da assicurare il rispetto dei principi generali in materia di procedure ad evidenza pubblica, tenendo conto delle specificità dell’affidamento.
Le stazioni appaltanti possono in definitiva introdurre forme di garanzia della concorrenza ulteriori rispetto alla mera richiesta di preventivi, senza con ciò vincolarsi all’applicazione integrale della disciplina relativa alle procedure ordinarie e senza incorrere in una violazione del principio di tipicità delle procedure.
Ciò a fortiori allorché si tratti –come nel caso in esame- di un affidamento di indubbio rilievo per la collettività di riferimento.
In questo senso la scelta del Comune di consentire a tutti gli operatori interessati di presentare direttamente un’offerta subito dopo la pubblicazione dell’avviso, senza attendere la richiesta del preventivo, e predeterminando gli elementi e i sub-elementi di valutazione delle medesime offerte, risulta una legittima misura di rafforzamento della concorrenza e non una violazione del principio di tipicità delle procedure di scelta del contraente.
2.5. Fermo quanto sopra le censure proposte dalla ricorrente impongono di valutare se le singole disposizioni del Codice che si assumono violate siano o meno espressive di principi generali.
3. Infondato è il primo motivo di ricorso con cui la ricorrente lamenta la mancata predeterminazione nell’avviso della ponderazione relativa a ciascun elemento e sub-elemento di valutazione delle offerte.
3.1. Dallo stesso disposto dell’art. 95 del Codice emerge che la predeterminazione dei punteggi e dei sub-punteggi non costituisce un principio generale inderogabile.
In base all’art. 95, comma 9, infatti, le stazioni appaltanti, quando ritengono la ponderazione non possibile per ragioni oggettive, indicano nel bando di gara l'ordine decrescente di importanza dei criteri. E nel caso di specie il Comune ha effettivamente individuato nell’avviso gli elementi e i sub elementi di valutazione “in ordine di importanza”.
Il principio generale concernente la predeterminazione dei criteri di valutazione delle offerte, desumibile dall’art. 95 del Codice, è stato in definitiva rispettato (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 27.04.2021 n. 542 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’istituzione di una commissione giudicatrice per la valutazione dei progetti non può ritenersi un principio generale di applicazione necessaria alle ipotesi di affidamento diretto.
La ratio di semplificazione chiaramente espressa dal legislatore con l’introduzione dell’affidamento diretto sarebbe in radice compromessa qualora si imponesse in ogni caso la nomina di una commissione giudicatrice.
Peraltro l’art. 77 non rientra tra le norme, espressamente indicate dall’art. 142, comma 5-bis, come applicabili alle procedure di affidamento dei servizi sociali.
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4. Infondati sono il secondo ed il terzo motivo di ricorso con cui la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 77 del d.lgs. n. 50 del 2016 in quanto i progetti sarebbero stati valutati dal RUP anziché da una Commissione e il RUP avrebbe sottoscritto la determina a contrarre.
4.1. L’istituzione di una commissione giudicatrice per la valutazione dei progetti non può ritenersi un principio generale di applicazione necessaria alle ipotesi di affidamento diretto.
La ratio di semplificazione chiaramente espressa dal legislatore con l’introduzione dell’affidamento diretto sarebbe in radice compromessa qualora si imponesse in ogni caso la nomina di una commissione giudicatrice. Peraltro l’art. 77 non rientra tra le norme, espressamente indicate dall’art. 142, comma 5-bis, come applicabili alle procedure di affidamento dei servizi sociali (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 27.04.2021 n. 542 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAlla Corte costituzionale l’ambito temporale di applicazione della disciplina più favorevole sulla escussione della cauzione provvisoria prestata dagli operatori economici che partecipino ad una gara pubblica.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Cauzione – Cauzione provvisoria - Disciplina ex artt. 93, comma 6, e 216 d.lgs. n. 50 del 2016 – Escussione – Ambito temporale di applicazione – Violazione artt. 3 e 117, comma primo, Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza.
E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, che disciplina la cauzione provvisoria prestata dagli operatori economici che partecipino ad una gara, nel combinato disposto con l’art. 216, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, per contrasto con gli artt. 3 e 117, comma primo, (quest’ultimo in relazione all’art. 49, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) Cost., che precludono l’applicabilità della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta -introdotta dal nuovo Codice dei contratti, rispetto alla disciplina previgente del Codice approvato con d.lgs. n. 163 del 2016- che prevede l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica– in quanto già in vigore al momento dell’adozione del provvedimento di escussione della garanzia provvisoria (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che l’art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016 circoscrive la possibilità, per la stazione appaltante, di escutere la garanzia nei soli confronti dell’aggiudicatario (recte, “affidatario”), nei casi specifici ivi contemplati. L’escussione della garanzia provvisoria ha carattere latamente sanzionatorio, che costituisce conseguenza ex lege dell’esclusione per riscontrato difetto dei requisiti da dichiarare.
Ai sensi dell’art. 216 del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016 le disposizioni contemplate nel Codice si applicano “alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”. Manca, invece, una disposizione espressa che, in particolare, estenda l’applicazione della disciplina di cui al comma 6 dell’art. 93 cit. anche alle procedure di gara i cui bandi o avvisi siano stati sì pubblicati in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ma relativamente alle quali l’amministrazione si sia determinata ad escutere la cauzione prestata da uno dei partecipanti alla gara non aggiudicatario in un momento successivo all’entrata in vigore dello stesso.
Ha ancora ricordato la Sezione che come ancora di recente evidenziato da Corte Cost. 21.03.2019, n. 63, il principio della retroattività della lex mitior in “materia penale” è fondato tanto sull’art. 3 Cost., quanto sull’art. 117, primo comma, Cost., eventuali deroghe a tale principio dovendo superare un vaglio positivo di ragionevolezza in relazione alla necessità di tutelare controinteressi di rango costituzionale.
Il principio in questione deve ritenersi applicabile anche alle sanzioni di carattere amministrativo che abbiano natura “punitiva”.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 236 del 2011, n. 215 del 2008 e n. 393 del 2006), la regola della retroattività della lex mitior in materia penale non è riconducibile alla sfera di tutela dell’art. 25, secondo comma, Cost., che sancisce piuttosto il principio –apparentemente antinomico– secondo cui “[n]essuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Tale principio deve, invero, essere interpretato nel senso di vietare l’applicazione retroattiva delle sole leggi penali che stabiliscano nuove incriminazioni, ovvero che aggravino il trattamento sanzionatorio già previsto per un reato, non ostando così a una possibile applicazione retroattiva di leggi che, all’opposto, aboliscano precedenti incriminazioni ovvero attenuino il trattamento sanzionatorio già previsto per un reato.
Cionondimeno, la regola dell’applicazione retroattiva della lex mitior in materia penale –sancita, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, del Codice penale– non è sprovvista di fondamento costituzionale: fondamento che la costante giurisprudenza della Corte ravvisa anzitutto nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., “che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice” (sentenza n. 394 del 2006). Ciò in quanto, in via generale, “[n]on sarebbe ragionevole punire (o continuare a punire più gravemente) una persona per un fatto che, secondo la legge posteriore, chiunque altro può impunemente commettere (o per il quale è prevista una pena più lieve)” (sentenza n. 236 del 2011).
La riconduzione della retroattività della lex mitior in materia penale all’alveo dell’art. 3 Cost. anziché a quello dell’art. 25, secondo comma, Cost., segna però anche il limite della garanzia costituzionale della quale la regola in parola costituisce espressione. Mentre, infatti, l’irretroattività in peius della legge penale costituisce un valore assoluto e inderogabile, la regola della retroattività in mitius della delle disposizioni sanzionatorie “è suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli” (sentenza n. 236 del 2011).
Il criterio di valutazione della legittimità di eventuali deroghe legislative alla retroattività della lex mitior in materia sanzionatoria, alla stregua dell’art. 3 Cost., è stato in particolare analizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 393 del 2006, ove si osserva, tra l’altro, che “la retroattività in mitius della legge penale è ormai affermata non solo, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2 cod. pen., ma trova ampi riconoscimenti nel diritto internazionale e nel diritto dell’Unione europea. La retroattività della lex mitior in materia penale è in particolare enunciata tanto dall’art. 15, comma 1, terzo periodo, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, concluso a New York il 16.12.1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25.10.1977, n. 881; quanto dall’art. 49, paragrafo 1, terzo periodo, CDFUE”.
Ne consegue che il valore tutelato dal principio in parola “può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo”, con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma più favorevole deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole (sentenza n. 393 del 2006).
Ha ancora affermato la Sezione che l’escussione della garanzia in parola non può essere considerata una misura meramente ripristinatoria dello status quo ante, né ha natura risarcitoria (o anche solo indennitaria), né mira semplicemente alla prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore economico. Si tratta, piuttosto, di una sanzione dall’elevata carica afflittiva che, in assenza di una specifica finalità indennitaria (propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario) o risarcitoria, “si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente comune anche alle pene in senso stretto” (Corte cost., n. 63 del 2019).
In ragione dei rilievi che precedono dovrebbe quindi concludere per l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che precludono l’applicabilità della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta –la quale prevede l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica– se già in vigore al momento dell’adozione del provvedimento di escussione della garanzia provvisoria (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 26.04.2021 n. 3299 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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ORDINANZA
Il Collegio, a fronte delle risultanze di causa, ritiene sussistere i presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza per rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6 (Garanzie per la partecipazione alla procedura), nel combinato disposto con l’art. 216 (Disposizioni transitorie e di coordinamento) del d.lgs. 18.04.2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) per contrasto con gli artt. 3 e 117 comma primo (quest’ultimo in relazione all’art. 49, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) della Costituzione.
In base all’art. 93, comma 6 citato, la cd. “garanzia provvisoria” prestata dagli operatori economici che partecipino ad una gara “[…] copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l'aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all'affidatario o all'adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 06.09.2011, n. 159; la garanzia è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto”. Tale garanzia viene obbligatoriamente posta a corredo dell’offerta e –come precisa il primo comma della medesima disposizione– è “pari al 2 per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione”.
La norma è dunque chiara nel circoscrivere la possibilità, per la stazione appaltante, di escutere detta garanzia nei soli confronti dell’aggiudicatario (recte, “affidatario”), nei casi specifici ivi contemplati.
Ai sensi dell’art. 216 del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016, peraltro, le disposizioni contemplate nel vigente Codice dei contratti pubblici si applicano “alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.
Non consta al Collegio che nel predetto corpo normativo vi sia una disposizione espressa che, in particolare, estenda l’applicazione della disciplina di cui al comma sesto dell’art. 93 cit. anche alle procedure di gara i cui bandi o avvisi siano stati sì pubblicati in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ma relativamente alle quali l’amministrazione si sia determinata ad escutere la cauzione prestata da uno dei partecipanti alla gara non aggiudicatario in un momento successivo all’entrata in vigore dello stesso.
Nel caso di specie, come già anticipato, la procedura di gara era soggetta alla disciplina di cui al d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in particolare –per quanto riguarda la questione qui controversa– agli artt. 48 e 75.
Ai sensi della prima norma (comma primo), “Le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Le stazioni appaltanti, in sede di controllo, verificano il possesso del requisito di qualificazione per eseguire lavori attraverso il casellario informatico di cui all'articolo 7, comma 10, ovvero attraverso il sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i contratti affidati a contraente generale; per i fornitori e per i prestatori di servizi la verifica del possesso del requisito di cui all'articolo 42, comma 1, lettera a), del presente codice è effettuata tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 6-bis del presente Codice. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 6, comma 11. L'Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento”.
A sua volta l’art. 75 al comma primo prevede che “L’offerta è corredata da una garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente […]”, di seguito precisando, al comma 6, che “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”.
La prima disposizione (art. 48) si riferisce all’ipotesi di un controllo a campione che abbia sortito esito negativo circa il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa (ossia dei c.d. “requisiti speciali”) dichiarati dal concorrente all’atto dell’offerta.
La seconda previsione (art. 75) concerne invece il caso del contratto che non venga sottoscritto per fatto dell’aggiudicatario.
Come esposto in precedenza, dopo aver escluso il raggruppamento facente capo al Consorzio Leonardo Servizi e Lavori da una gara per l’affidamento di servizi integrati, gestionali ed operativi, Consip s.p.a. provvedeva altresì ad escutere la cauzione provvisoria da questi prestata non solo per l’unico Lotto (il n. 6) nel quale il detto operatore economico era risultato primo in graduatoria e quindi aggiudicatario, ma anche –in un secondo momento– per tutti quelli per i quali lo stesso aveva presentato un’offerta (ossia i Lotti 1, 7 e 10), nonostante il detto Rti non fosse risultato, in relazione a questi ultimi, né aggiudicatario né –in ipotesi– secondo graduato. Ciò in pacifica applicazione dell’art. 48 d.lgs. n. 163 del 2006, che non distingue a tal fine tra aggiudicatari e semplici partecipanti alla gara come invece fa il sopravvenuto art. 93, comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Ritiene il Collegio, alla luce delle risultanze di causa, di dover confermare la natura anche sanzionatoria dell’istituto dell’escussione della garanzia provvisoria, per come disciplinato dal d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile alla concreta vicenda controversa, in coerenza con i propri precedenti arresti dai quali non vi è evidente ragione di discostarsi, nel caso di specie.
Va in primo luogo richiamata la decisione dell’Adunanza plenaria 04.10.2005, n. 8 di questo Consiglio, che ha tra l’altro affermato che la cauzione provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione indennitaria), può svolgere altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti.
La successiva decisione 10.12.2014, n. 34 dell’Adunanza plenaria faceva salvo tale presupposto, nel dichiarare che “E’ legittima la clausola, contenuta in atti di indizione di procedure di affidamento di appalti pubblici, che preveda l’escussione della cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non risultate aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici”.
In termini più generali (ex multis, Cons. Stato, V, 27.06.2017, n. 3701; V, 19.04.2017, n. 1818; IV, 19.11.2015, n. 5280; IV, 09.06.2015, n. 2829; V, 10.09.2012, n. 4778), l’incameramento della cauzione va considerata una misura a carattere latamente sanzionatorio, che costituisce conseguenza ex lege dell’esclusione per riscontrato difetto dei requisiti da dichiarare ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.
Sempre secondo Cons. Stato, Ad. plen. n. 34 del 2014, la cauzione provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione indennitaria, ipotesi che nel caso di specie non rileva), svolge altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti.
L’escussione della cauzione provvisoria assumerebbe quindi anche la funzione di una sanzione amministrativa, seppure non in senso proprio.
Tale conclusione è stata poi ribadita da Cons. Stato, V, 10.04.2018, n. 2181, “in considerazione della natura sanzionatoria e afflittiva della determinazione relativa all’incameramento della cauzione”.
Come ancora di recente evidenziato da Corte Cost. 21.03.2019, n. 63, il principio della retroattività della lex mitior in “materia penale” è fondato tanto sull’art. 3 Cost., quanto sull’art. 117, primo comma, Cost., eventuali deroghe a tale principio dovendo superare un vaglio positivo di ragionevolezza in relazione alla necessità di tutelare controinteressi di rango costituzionale.
Il principio in questione deve ritenersi applicabile anche alle sanzioni di carattere amministrativo che abbiano natura “punitiva”.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 236 del 2011, n. 215 del 2008 e n. 393 del 2006), la regola della retroattività della lex mitior in materia penale non è riconducibile alla sfera di tutela dell’art. 25, secondo comma, Cost., che sancisce piuttosto il principio –apparentemente antinomico– secondo cui “[n]essuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Tale principio deve, invero, essere interpretato nel senso di vietare l’applicazione retroattiva delle sole leggi penali che stabiliscano nuove incriminazioni, ovvero che aggravino il trattamento sanzionatorio già previsto per un reato, non ostando così a una possibile applicazione retroattiva di leggi che, all’opposto, aboliscano precedenti incriminazioni ovvero attenuino il trattamento sanzionatorio già previsto per un reato.
Cionondimeno, la regola dell’applicazione retroattiva della lex mitior in materia penale –sancita, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, del Codice penale– non è sprovvista di fondamento costituzionale: fondamento che la costante giurisprudenza della Corte ravvisa anzitutto nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., “che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice” (sentenza n. 394 del 2006). Ciò in quanto, in via generale, “[n]on sarebbe ragionevole punire (o continuare a punire più gravemente) una persona per un fatto che, secondo la legge posteriore, chiunque altro può impunemente commettere (o per il quale è prevista una pena più lieve)” (sentenza n. 236 del 2011).
La riconduzione della retroattività della lex mitior in materia penale all’alveo dell’art. 3 Cost. anziché a quello dell’art. 25, secondo comma, Cost., segna però anche il limite della garanzia costituzionale della quale la regola in parola costituisce espressione. Mentre, infatti, l’irretroattività in peius della legge penale costituisce un valore assoluto e inderogabile, la regola della retroattività in mitius della delle disposizioni sanzionatorie “è suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli” (sentenza n. 236 del 2011).
Il criterio di valutazione della legittimità di eventuali deroghe legislative alla retroattività della lex mitior in materia sanzionatoria, alla stregua dell’art. 3 Cost., è stato in particolare analizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 393 del 2006, ove si osserva, tra l’altro, che “la retroattività in mitius della legge penale è ormai affermata non solo, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2 cod. pen., ma trova ampi riconoscimenti nel diritto internazionale e nel diritto dell’Unione europea. La retroattività della lex mitior in materia penale è in particolare enunciata tanto dall’art. 15, comma 1, terzo periodo, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, concluso a New York il 16.12.1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25.10.1977, n. 881; quanto dall’art. 49, paragrafo 1, terzo periodo, CDFUE”.
Ne consegue che il valore tutelato dal principio in parola “può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo”, con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma più favorevole deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole (sentenza n. 393 del 2006).
La giurisprudenza costituzionale è giunta ad assegnare al principio della retroattività della lex mitior in “materia penale” un duplice, e concorrente, fondamento: da un lato, il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nel cui alveo peraltro la sentenza n. 393 del 2006, in epoca immediatamente precedente alle sentenze “gemelle” n. 348 e n. 349 del 2007, aveva già fatto confluire gli obblighi internazionali derivanti dall’art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e dall’art. 49, paragrafo 1, CDFUE, considerati in quell’occasione come criteri interpretativi (sentenza n. 15 del 1996) delle stesse garanzie costituzionali; dall’altro quello –di origine internazionale, ma avente ora ingresso nel nostro ordinamento attraverso l’art. 117, primo comma, Cost.– riconducibile all’art. 7 CEDU, nella lettura offertane dalla giurisprudenza di Strasburgo, nonché alle altre norme del diritto internazionale dei diritti umani vincolanti per l’Italia che enunciano il medesimo principio, tra cui gli artt. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e 49, paragrafo 1, CDFUE, quest’ultimo rilevante nel nostro ordinamento anche ai sensi dell’art. 11 Cost.
Ratio della garanzia in questione è, sostanzialmente, il diritto dell’autore del comportamento sanzionato ad essere giudicato in base all’apprezzamento attuale dell’ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato, anziché in base all’apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento della sua commissione.
L’eventualità ed il limite in cui il principio della retroattività della lex mitior sia applicabile anche alle misure sanzionatorie di carattere amministrativo è questione esaminata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 193 del 2016.
In tale occasione è stato rilevato come la giurisprudenza CEDU non abbia “mai avuto ad oggetto il sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie, ed in particolare quelle che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche “punitive” alla luce dell’ordinamento convenzionale”.
Rispetto però a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità “punitiva”, il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della “materia penale” –ivi compreso quello di retroattività della lex mitior– non potrà che estendersi anche a tali sanzioni.
L’estensione del principio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni di carattere amministrativo aventi natura e funzione “punitiva” è, del resto, conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla base dell’art. 3 Cost., in ordine alle sanzioni propriamente penali: “laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura “punitiva”, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare nei confronti di costui tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento. E ciò salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo «vaglio positivo di ragionevolezza», al cui metro debbono essere in linea generale valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale” (Corte cost. sentenza n. 63 del 2019).
Nel caso di specie, ritiene il Collegio che il regime di escussione della garanzia provvisoria previsto a suo tempo dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 possa integrare, alla luce del richiamato consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, una forma di sanzione di carattere punitivo a carico dell’operatore economico che abbia fornito dichiarazioni rimaste poi senza riscontro, sanzione peraltro abbandonata dalla normativa sopravvenuta.
Non sembra revocabile in dubbio che la misura sanzionatoria amministrativa prevista dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 abbia natura punitiva e soggiaccia pertanto alle garanzie che la Costituzione ed il diritto internazionale assicurano alla materia, ivi compresa la garanzia della retroattività della lex mitior.
L’escussione della garanzia in parola, infatti, non può essere considerata una misura meramente ripristinatoria dello status quo ante, né ha natura risarcitoria (o anche solo indennitaria), né mira semplicemente alla prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore economico. Si tratta, piuttosto, di una sanzione dall’elevata carica afflittiva (nel caso di specie, all’incirca due milioni di euro), che in assenza di una specifica finalità indennitaria (propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario) o risarcitoria, “si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente comune anche alle pene in senso stretto” (Corte cost., n. 63 del 2019).
In ragione dei rilievi che precedono dovrebbe quindi concludere per l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che precludono l’applicabilità, al caso di specie, della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta –la quale prevede l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica– in quanto già in vigore al momento dell’adozione, da parte di Consip s.p.a., del provvedimento di escussione della garanzia provvisoria.
Pertanto, poiché la presente controversia non può essere definita indipendentemente dalla risoluzione delle delineate questioni di legittimità costituzionale, ostando ad una diretta applicazione giudiziale dello ius superveniens la previsione espressa di cui all’art. 216 del d.lgs. n. 50 del 2016, il giudizio va sospeso e vanno rimesse alla Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 09.02.1948, n. 1 e dell’art. 23 l. 11.03.1953, n. 87, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, nel combinato disposto dell’art. 216 del medesimo decreto, per contrasto con agli artt. 3 e 117 Cost.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 09.02.1948, n. 1, e 23 della legge 11.03.1953, n. 87,
dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 117 comma primo della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale, nei termini di cui in motivazione, dell’art. 93, comma 6, nel combinato disposto con il successivo art. 216, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
Sospende il giudizio in corso e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti e sia comunicata al Presidente del Consiglio dei Ministri (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 26.04.2021 n. 3299 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Consiglio di Stato, affidamento diretto emergenziale senza vincoli particolari. I soggetti esclusi dalla selezione non possono contestare le valutazioni effettuate dall'amministrazione
Con l'affidamento diretto la stazione appaltante rimane libera di negoziare la prestazione con l'appaltatore che offre il miglior prezzo senza particolari vincoli motivazionali.

In questo senso, in sintesi, il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 23.04.2021 n. 3287.
La vicenda
La sentenza ha analizzato l'ambito di azione della stazione appaltante nel momento in cui si cimentasse con l'utilizzo della procedura dell'affidamento diretto, nel caso trattato, "emergenziale" come previsto dall'articolo 1, comma 2, lett. a), della legge 120/2020.
In primo grado (Tar Liguria, Genova, sentenza n. 66/2021) l'intento della stazione appaltante di procedere con l'affidamento diretto mediante «confronto» tra più preventivi è stato considerato come diretto a innestare un autentico procedimento di gara (sia pur semplificato) con conseguente esigenza di rispettare il corredo minimo di principi declinati nell'articolo 30 del codice dei contratti. Il primo giudice, quindi, ha annullato la gara per pretesa difformità del prodotto fornito rispetto alle richiese della stazione appaltante che, in realtà, nel procedimento si era riservata la possibilità di una negoziazione ad hoc.
Di diverso avviso si è dimostrato il Consiglio di Stato considerato che, fin dalla legge di gara, la stazione appaltante, specificando che intendeva operare con l'affidamento diretto, ha esplicitato chiaramente la volontà di una successiva negoziazione con il concorrente con preventivo maggiormente conveniente.
La sentenza
Il giudice di Palazzo Spada ha rammentato che la fattispecie dell'affidamento diretto, anche nella sua attuale configurazione prevista dalla legge 120/2020, è una procedura di affidamento totalmente svincolata dalla necessità di consultare più preventivi. Del resto, si legge in sentenza, la stessa Anac ha posto la possibilità di confronto, qualificandola come best practice, nelle linee guida n. 4, come ipotesi di chiusura del micro sistema normativo che consente al Rup di individuare il potenziale affidatario secondo un'ampia valutazione tecnica e con indagini meramente informali (ad esempio la consultazione di banche dati).
Non solo, il giudice ha proseguito annotando che è lo stesso codice dei contratti (articolo 32) che consente ulteriori semplificazioni nell'affidamento diretto ammettendolo anche con il cosiddetto atto unico (un'unica determina di affidamento non preceduta dalla determina a contrarre).
Stesse indicazioni reiterate nella legge 120/2020 il cui comma 3 dell'articolo 1 ha puntualizzato che «Gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell'articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016».
Da qui, con indicazione utile ai Rup delle stazioni appaltanti, la sottolineatura sulla motivazione della scelta dell'affidatario.
Il Collegio ha rammentato che si deve all'Anac la puntualizazione secondo cui negli affidamenti diretti nel sotto soglia comunitaria è del tutto sufficiente che la stazione appaltante motivi in merito alla scelta dell'affidatario, «dando dettagliatamente conto del possesso da parte dell'operatore economico selezionato dei requisiti richiesti nella determina a contrarre o nell'atto a essa equivalente, della rispondenza di quanto offerto all'interesse pubblico che la stazione appaltante deve soddisfare, di eventuali caratteristiche migliorative offerte dall'affidatario, della congruità del prezzo in rapporto alla qualità della prestazione, nonché del rispetto del principio di rotazione» (Linee guida Anac n. 4, paragrafo 4.3.1).
L'epilogo, pertanto, è che con la decisione di procedere mediante affidamento diretto (foss'anche nelle fattispecie di cui alla lettera b), comma 2 dell'articolo 36, oggi derogabile) l'innesto della possibilità di consultare più preventivi non impedisce la successiva negoziazione con l'appaltatore che abbia presentato un preventivo ritenuto congruo da parte della stazione appaltante.
Il procedimento dell'affidamento diretto, pur con previa richiesta di preventivi, in modo oggi anche rafforzato a causa «dell'emergenza sanitaria in atto», tiene libera l'amministrazione aggiudicatrice «di individuare il prodotto più rispondente alle proprie esigenze» sempre che di ciò si dia «chiaramente atto nel provvedimento di affidamento».
La decisione, quindi, di procedimentalizzare l'affidamento diretto con la richiesta di preventivi e il loro «confronto», ha concluso il giudice, «non trasforma l'affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall'amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 10.05.2021).

APPALTIAffidamento diretto anche con i preventivi. Non diventa una gara se si chiedono.
La richiesta di preventivi non trasforma un affidamento diretto in una gara.
Lo ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 23.04.2021 n. 3287 rispetto ad una procedura di affidamento diretto nella quale erano stati richiesti preventivi.
Si eccepiva, in sede di appello, che vi sarebbe stata una vera e propria gara; nel caso specifico è stata prevista la previa valutazione di tre preventivi (per i lavori) e la consultazione di cinque operatori economici, per le forniture e i servizi.
I giudici di Palazzo Spada preliminarmente hanno chiarito che negli affidamenti diretti ordinari sotto soglia, mentre l'art. 36, comma 2, lett. a), del Codice dei contratti, così come modificato dal d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto Sblocca cantieri), non richiede nemmeno «la consultazione di due o più operatori economici», la successiva lett. b), pur essa modificata dal decreto del 2019, ha trasformato la precedente procedura negoziata in affidamento diretto per i lavori di importo pari o superiore a 40mila euro e inferiore a 150mila euro, nonché per le forniture e i servizi di importo inferiore alle soglie europee di cui all'articolo 35.
Per il Consiglio di Stato non c'è dubbio che si tratti di un affidamento diretto sotto soglia, caratterizzato da modalità ulteriormente semplificate rispetto a quelle disciplinate in via ordinaria dal Codice dei contratti, in ragione dell'emergenza sanitaria in atto. Per questi motivi «l'amministrazione era quindi libera di individuare il prodotto più rispondente alle proprie esigenze, cosa di cui essa ha peraltro dato chiaramente atto nel provvedimento di affidamento».
Nella sentenza, a differenza di quanto ritenuto dal Tar, si è affermato che «la mera procedimentalizzazione dell'affidamento diretto, mediante l'acquisizione di una pluralità di preventivi e l'indicazione dei criteri per la selezione degli operatori (procedimentalizzazione che, peraltro, corrisponde alle previsioni contenute nelle Linee guida n. 4 per tutti gli affidamenti diretti; cfr. il par. 4.1.2 sull'avvio della procedura), non trasforma l'affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall'amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze
» (articolo ItaliaOggi del 30.04.2021).
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SENTENZA
6. L’appello è fondato.
Al riguardo, si osserva quanto segue.
7. In primo luogo, occorre qualificare la fattispecie di affidamento di cui trattasi.
La stazione appaltante ha fatto applicazione della modalità disciplinata dall’art. 1, comma 2, lett. a), del d.l. n. 76 del 2020, nella versione vigente prima della conversione avvenuta con legge n. 120 del 2020, il quale, in deroga all’art. 36, comma 2 del Codice dei contratti pubblici, ha consentito alle amministrazioni aggiudicatrici di procedere tramite affidamento diretto per “lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 150.000 euro” (la legge di conversione ha portato tale soglia per i servizi e le forniture ad euro 75.000).
E’ opportuno rammentare che, negli affidamenti diretti ordinari sotto soglia, mentre l’art. 36, comma 2, lett. a), del Codice dei contratti, così come modificato dal d.l. n. 32 del 2019 (c.d. “Sblocca–cantieri”), non richiede nemmeno “la consultazione di due o più operatori economici”, la successiva lett. b), pur essa modificata dal decreto del 2019, ha trasformato la precedente procedura negoziata in affidamento diretto per i lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro, nonché per le forniture e i servizi di importo inferiore alle soglie europee di cui all’articolo 35.
Anche in questa ipotesi è stata peraltro confermata l’applicazione del principio di rotazione mentre è stata prevista la previa valutazione di tre preventivi (per i lavori) e la consultazione di cinque operatori economici, per le forniture e i servizi.
In tutte le ipotesi di affidamento diretto, comunque, le tuttora efficaci Linee Guida n. 4 dell’ANAC (non essendo stato ancora emanato il Regolamento Unico previsto dall’art. 216, comma 29–octies del Codice dei contratti, inserito dal decreto “Sblocca cantieri”) raccomandano quale “best practice” il confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più operatori economici.
Inoltre, secondo l’art. 32, comma 2, lett. a), del Codice dei contratti, “[...]Nella procedura di cui all'articolo 36, comma 2, lett. a) e b), la stazione appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato, l’oggetto dell’affidamento, l'importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti”.
La stessa modalità è richiamata dall’art. 1, comma 3, del d.l. n. 76 del 2020 per gli affidamenti diretti sotto soglia, disciplinati dal medesimo decreto, in cui il procedimento sia stato avviato entro il 31.12.2021 (“Gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell'articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016”).
Ai fini degli affidamenti diretti sotto soglia (anche nella disciplina ordinariamente applicabile recata dal Codice dei contratti), è dunque sufficiente che la stazione appaltante motivi in merito alla scelta dell’affidatario, “dando dettagliatamente conto del possesso da parte dell’operatore economico selezionato dei requisiti richiesti nella determina a contrarre o nell’atto ad essa equivalente, della rispondenza di quanto offerto all’interesse pubblico che la stazione appaltante deve soddisfare, di eventuali caratteristiche migliorative offerte dall’affidatario, della congruità del prezzo in rapporto alla qualità della prestazione, nonché del rispetto del principio di rotazione” (Linee Guida ANAC n. 4, par. 4.3.1).
7.1. Nel caso di specie, dalla richiesta di preventivo si evince che la stazione appaltante:
   - aveva espressamente precisato che avrebbe proceduto all’affidamento “a seguito del confronto dei preventivi ricevuti sulla base della convenienza economica per AMIU” (pag. 1);
   - sebbene avesse indicato che “L’aggiudicazione avverrà ai sensi dell’art. 95, comma 4, D.lgs 50/2016 a favore del concorrente che avrà proposto il maggior ribasso unico percentuale [...], si era comunque espressamente riservata la possibilità di “avviare eventuali negoziazioni con uno o più degli operatori economici interpellati ritenuti idonei all’esecuzione della prestazione richiesta, senza alcun vincolo in ordine alla scelta finale” (pag. 13).
Nella determina di affidamento, l’Amministrazione ha poi dato atto di avere provveduto a richiedere le schede tecniche e i campioni all’operatore economico che ha presentato il maggior ribasso percentuale e di avere ritenuto non conformi alle proprie esigenze alcuni dei prodotti offerti dall’odierna appellante (in particolare, le “palette per la raccolta”), rinviando quindi ad una successiva ricerca di mercato l’acquisto dei prodotti in questione (pag. 2).
Per il resto il preventivo presentato è stato ritenuto “congruo, sulla base dell’economicità evidenziata dal confronto con affidamenti analoghi effettuati in passato”.
7.2. Attese le caratteristiche del procedimento di acquisto concretamente posto in essere -ovvero un affidamento diretto sotto– soglia, caratterizzato da modalità ulteriormente semplificate rispetto a quelle disciplinate in via ordinaria dal Codice dei contratti, in ragione dell’emergenza sanitaria in atto - l’Amministrazione era quindi libera di individuare il prodotto più rispondente alle proprie esigenze, cosa di cui essa ha peraltro dato chiaramente atto nel provvedimento di affidamento.
A differenza di quanto ritenuto dal TAR, inoltre, la mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori (procedimentalizzazione che, peraltro, corrisponde alle previsioni contenute nelle Linee Guida n. 4 per tutti gli affidamenti diretti; cfr. il par. 4.1.2 sull’avvio della procedura), non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall’Amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze.
7.3. Ad ogni buon conto, deve altresì convenirsi con l’appellante che in nessuna parte della richiesta di preventivo sono state dettagliatamente indicate le specifiche tecniche dei “360 attacchi a scatto in plastica con peso non superiore a 300 gr comprese le viti e le brugole necessarie per fissare le scope di setola al manico”, in maniera tale da poter far ritenere con certezza che AMIU necessitasse di dispositivi di tipo automatico, corrispondenti alla tipologia brevettata dalla società appellata.
In sostanza -attesa la valenza generale del principio di equivalenza– dagli atti del procedimento non risulta alcun elemento dal quale sia possibile inferire che la difformità dell’offerta dell’appellante, rispetto ad alcune delle caratteristiche richieste da AMIU, si sia risolta in un vero e proprio “aliud pro alio”, tale da giustificarne l’esclusione dall’(ipotetica) selezione.
Questo rigido automatismo, rilevante anche in assenza di una espressa comminatoria escludente, opera nel solo caso in cui le specifiche tecniche previste nella ‘legge di gara’ consentano di ricostruire con esattezza il prodotto richiesto dall’Amministrazione e quindi di individuare in maniera analitica ed inequivoca determinate caratteristiche tecniche come indefettibili.
Tuttavia, ove questa certezza non vi sia e sussista al contrario un margine di ambiguità circa l’effettiva portata delle clausole del bando, riprende vigore il principio residuale, che impone di preferire l’interpretazione della lex specialis maggiormente rispettosa del principio del favor partecipationis e dell’interesse al più ampio confronto concorrenziale, oltre che della tassatività -intesa anche nel senso di tipicità ed inequivocabilità- delle cause di esclusione (Cons. Stato, sez. III, 14.05.2020, n. 3084).
8. In definitiva, per quanto appena argomentato, l’appello deve essere accolto.

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVICompatibilità della disciplina dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011 con i principi costituzionali ed unionali.
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Informativa antimafia – Disciplina - Compatibilità con i principi costituzionali ed unionali
La disciplina dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011 in materia di informativa antimafia non si pone in contrasto con i principi costituzionali ed eurounitari (1).
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   (1) La Sezione ha premesso di non ignorare che voci fortemente critiche si sono alzate rispetto alla presunta indeterminatezza dei presupposti normativi che legittimano l’emissione dell’informazione antimafia, soprattutto dopo la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23.02.2017, riguardante le misure di prevenzione personali, e taluni autori, nel preconizzare l’“onda lunga” di questa pronuncia anche nella contigua materia della documentazione antimafia, hanno fatto rilevare come anche l’informazione antimafia generica, nelle ipotesi dell’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011 (accertamenti disposti dal Prefetto da compiersi anche avvalendosi dei poteri di accesso), sconterebbe un deficit di tipicità non dissimile da quello che, secondo i giudici di Strasburgo, affligge l’art. 1, lett. a) e b), del medesimo d.lgs. n. 159 del 2011.
Si è osservato che l’assoluta indeterminatezza delle condizioni che possono consentire al Prefetto di emettere una informazione antimafia “generica”, in tali ipotesi di non meglio determinati accertamenti disposti dal Prefetto, apparirebbe poco sostenibile in un ordinamento democratico che rifugga dagli antichi spettri del diritto di polizia o dalle “pene” del sospetto e voglia ancorare qualsiasi provvedimento restrittivo di diritti fondamentali a basi legali precise e predeterminate.
L’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011 –ma con un ragionamento applicabile anche alla seconda parte dell’art. 91, comma 6, dello stesso Codice, laddove si riferisce a non meglio precisati “concreti elementi”– non contemplerebbe, secondo tale tesi, alcun parametro oggettivo, anche il più indeterminato, che possa in qualche modo definire il margine di apprezzamento discrezionale del Prefetto, rendendo del tutto imprevedibile la possibile adozione della misura.
La Sezione ha ritenuto, alla stregua di quanto già affermato dalla Sezione (05.09.2019, n. 6105), che questa tesi non possa essere seguita e che, ferma restando ovviamente, se del caso, ogni competenza del giudice europeo per l’applicazione del diritto convenzionale e, rispettivamente, della Corte costituzionale per l’applicazione delle disposizioni costituzionali, non sia prospettabile alcuna violazione dell’art. 1, Protocollo 1 addizionale, Cedu, con riferimento al diritto di proprietà, e, per il tramite di tale parametro interposto, nessuna violazione dell’art. 117 Cost. per la mancanza di una adeguata base legale atta ad evitare provvedimenti arbitrari.
Anche gli accertamenti disposti dal Prefetto, nella stessa provincia in cui ha sede l’impresa o in altra, sono finalizzati, infatti, a ricercare elementi dai quali possa desumersi, ai sensi dell’art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (v. anche art. 91, comma 4), “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate” e tali tentativi, per la loro stessa natura, possono essere desunti da situazioni fattuali difficilmente enunciabili a priori in modo tassativo.
Nella stessa sentenza sopra ricordata, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rammentato, in via generale, che “mentre la certezza è altamente auspicabile, può portare come strascico una eccessiva rigidità e la legge deve essere in grado di tenere il passo con il mutare delle circostanze”, conseguendone che “molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la cui interpretazione e applicazione sono questioni di pratica” (§ 107), e ha precisato altresì che “una legge che conferisce una discrezionalità deve indicare la portata di tale discrezionalità” (§ 108).
Ora, non si può negare che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, come si è visto, abbia fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” [quelli dell'art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f)], ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica.
L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.
Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 30.11.2017, dep. 04.01.2018, n. 111).
Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a verificare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame.
Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio.
La funzione di “frontiera avanzata” svolta dall’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi.
Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella citata sentenza, consiste anzitutto nel “tenere il passo con il mutare delle circostanze” secondo una nozione di legittimità sostanziale.
Ma, come è stato recentemente osservato anche dalla giurisprudenza penale, il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte europea in generale compatibile con la normativa convenzionale poiché “il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una ‘condizione’ personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale” (Cass. pen., sez. II, 09.07.2018, n. 30974).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha così enucleato –in modo sistematico a partire dalla sentenza n. 1743 del 03.05.2016 e con uno sforzo ‘tassativizzante’– le situazioni indiziarie, tratte dalle indicazioni legislative o dalla casistica giurisprudenziale, che possono costituire altrettanti ‘indici’ o ‘spie’ dell’infiltrazione mafiosa, non senza precisare che esse, per la loro stessa necessaria formulazione aperta, costituiscono un catalogo aperto e non già un numerus clausus in modo da poter consentire all’ordinamento di poter contrastare efficacemente l’infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa via via che essa assume forme sempre nuove e sempre mutevoli.
Basti qui ricordare a mo’ di esempio, nell’ambito di questa ormai consolidata e pur sempre perfettibile tipizzazione giurisprudenziale, le seguenti ipotesi, molte delle quali tipizzate, peraltro, in forma precisa e vincolata dal legislatore stesso:
   a) i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;
   b) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa, nelle multiformi espressioni con le quali la continua evoluzione dei metodi mafiosi si manifesta;
   c) la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011;
   d) i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”, in cui il ricambio generazionale mai sfugge al “controllo immanente” della figura del patriarca, capofamiglia, ecc., a seconda dei casi;
   e) i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;
   f) le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa;
   g) le vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa, incluse le situazioni, recentemente evidenziate in pronunzie di questa Sezione, in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne, o simili, antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa;
   h) la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”;
   i) l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.
Come condivisibilmente affermato nella sentenza 05.09.2019, n. 6105, deve essere riaffermato, e con forza, che il sistema della prevenzione amministrativa antimafia non costituisce e non può costituire, in uno Stato di diritto democratico, un diritto della paura, perché deve rispettare l’irrinunciabile principio di legalità, non solo in senso formale ma anche sostanziale, sicché il giudice amministrativo, chiamato a sindacare il corretto esercizio del potere prefettizio nel prevenire l’infiltrazione mafiosa, deve farsi attento custode delle irrinunciabili condizioni di tassatività sostanziale e di tassatività processuale di questo potere per una tutela giurisdizionale piena ed effettiva di diritti aventi rango costituzionale, come quello della libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.), nel necessario, ovvio, bilanciamento con l’altrettanto irrinunciabile, vitale, interesse dello Stato a contrastare l’insidia delle mafie.
La libertà “dalla paura”, obiettivo al quale devono tendere gli Stati democratici, si realizza anche, e in parte rilevante, smantellando le reti e le gabbie che le mafie costruiscono, a scapito dei cittadini, delle imprese e talora anche degli organi elettivi delle amministrazioni locali, imponendo la legge del potere criminale sul potere democratico, garantito e, insieme, incarnato dalla legge dello Stato, per perseguire fini illeciti e conseguire illeciti profitti.
Al delicato bilanciamento raggiunto dall’interpretazione di questo Consiglio di Stato non osta nemmeno l’orientamento assunto dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 24 del 27.02.2019 e n. 195 del 24.07.2019, orientamento di cui, per la sua importanza sistematica anche nella materia della documentazione antimafia, occorre dare qui conto.
Come ha ben posto in rilievo la Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, infatti, allorché si versi –come nel caso di specie– al di fuori della materia penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base “dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione”.
Essenziale –nell’ottica costituzionale così come in quella convenzionale (Corte europea dei diritti dell’uomo, sez. V, 26.11.2011, Gochev c. Bulgaria; id., sez. I, 04.06.2002, Olivieiria c. Paesi Bassi; id. 20.05.2010, Lelas c. Croazia)– è, infatti, che tale interpretazione giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa.
Nel caso di specie, non si può dubitare che l’interpretazione giurisprudenziale tassativizzante, a partire dalla sentenza n. 1743 del 03.05.2016, consenta ragionevolmente di prevedere l’applicazione della misura interdittiva in presenza delle due forme di contiguità, compiacente o soggiacente, dell’impresa ad influenze mafiose, allorquando, cioè, un operatore economico si lasci condizionare dalla minaccia mafiosa e si lasci imporre le condizioni (e/o le persone, le imprese e/o le logiche) da questa volute o, per altro verso, decida di scendere consapevolmente a patti con la mafia nella prospettiva di un qualsivoglia vantaggio per la propria attività.
Né elementi di segno diverso sul piano della tassatività sostanziale, per di più, si traggono dalla ancor più recente sentenza n. 195 del 24.07.2019, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale l’art. 28, comma 1, d.l. n. 113 del 2018, che aveva inserito il comma 7-bis nell’art. 143 del T.U.E.L., laddove la Corte costituzionale ha rilevato che, mentre per l’attivazione del potere di scioglimento del Consiglio comunale o provinciale occorre che gli elementi in ordine a collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso, raggiungano un livello di coerenza e significatività tali da poterli qualificare come “concreti, univoci e rilevanti” (art. 143, comma 1, del T.U.E.L.), invece, quanto alle “condotte illecite gravi e reiterate”, di cui al comma 7-bis censurato avanti alla Corte, è sufficiente che risultino mere “situazioni sintomatiche”, sicché il presupposto positivo del potere sostitutivo prefettizio “è disegnato dalla disposizione censurata in termini vaghi, ampiamente discrezionali e certamente assai meno definiti di quelli del potere governativo di scioglimento dei Consigli comunali e provinciali, pur essendo il primo agganciato a quest’ultimo come occasionale appendice procedimentale”.
Non è questo il caso, invece, dell’informazione antimafia, anche quella emessa ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), d.lgs. n. 159 del 2011, poiché gli elementi di collegamento con la criminalità organizzata di tipo mafioso devono essere sempre concreti, univoci e rilevanti, come la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente chiarito. Anzi proprio la sentenza n. 195 del 24.07.2019 della Corte costituzionale sembra confermare sul piano sistematico, a contrario, che l’infiltrazione mafiosa ben possa fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti, dotati di coerenza e significatività, quali enucleati dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sì che venga soddisfatto il principio, fondamentale in ogni Stato di diritto come il nostro, secondo cui ogni potere amministrativo deve essere “determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa”, per usare le parole della Corte costituzionale (sent. n. 195 del 24.07.2019, appena citata, che richiama la sentenza n. 115 del 07.04.2011 della stessa Corte costituzionale sull’art. 54, comma 4, del T.U.E.L.)
Ritiene questo Collegio che, alla luce di quanto si è chiarito, siano così soddisfatte le condizioni di tassatività sostanziale, richieste dal diritto convenzionale e dal diritto costituzionale interno, e indefettibili anche per la delicatissima materia delle informazioni antimafia a tutela di diritti fondamentali, come la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte costituzionale nella propria costante giurisprudenza ribadiscono. La tassatività sostanziale, come appena ricordato nella citazione della giurisprudenza costituzionale, ben si concilia con la definita (dalla stessa Corte costituzionale) “elasticità della copertura legislativa”, giacché, come sopra detto, nella prevenzione antimafia lo Stato deve assumere almeno la stessa flessibilità nelle azioni e la stessa rapida adattabilità nei metodi, che le mafie dimostrano nel contesto attuale.
Parimenti la Sezione ha ritenuto che il criterio del “più probabile che non” soddisfi, a sua volta, le indeclinabili condizioni di tassatività processuale, pure menzionate dalla Corte costituzionale nella già richiamata sentenza n. 24 del 27.02.2019, afferenti alle modalità di accertamento probatorio in giudizio e, cioè, al quomodo della prova e “riconducibili a differenti parametri costituzionali e convenzionali […] tra cui, in particolare, il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e il diritto a un ‘giusto processo’ ai sensi, assieme, dell’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU […] di fondamentale importanza al fine di assicurare la legittimità costituzionale del sistema delle misure di prevenzione” (Corte cost. 27.02.2019, n. 24).
Lo standard probatorio sotteso alla regola del “più probabile che non”, nel richiedere la verifica della c.d. probabilità cruciale, impone infatti di ritenere, sul piano della tassatività processuale, più probabile l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa rispetto a “tutte le altre messe insieme”, nell’apprezzamento degli elementi indiziari posti a base del provvedimento prefettizio, che attingono perciò una soglia di coerenza e significatività dotata di una credibilità razionale superiore a qualsivoglia altra alternativa spiegazione logica, laddove l’esistenza di spiegazioni divergenti, fornite di un qualche elemento concreto, implicherebbe un ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 26.09.2017, n. 4483), non richiedendosi infatti, in questa materia, l’accertamento di una responsabilità che superi qualsivoglia ragionevole dubbio, tipico delle istanze penali, né potendo quindi traslarsi ad essa, impropriamente, le categorie tipiche del diritto e del processo penale, che ne frustrerebbero irrimediabilmente la funzione preventiva.
Per queste ragioni la Sezione ha ribadito il proprio orientamento, già riaffermato nella sentenza n. 758 del 30.01.2019, senza dover rimettere la questione di legittimità costituzionale e comunitaria degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, per violazione degli artt. 1 Prot. add. CEDU, art. 2 Prot. nn. 4 e 6 CEDU e degli artt. 3, 24, 41, 42, 97 e 111 Cost..
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, va del resto qui ricordato, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale” (Cons. St., sez. III, 26.09.2017, n. 4483).
E questo Consiglio ha già esaurientemente illustrato nella già richiamata sentenza n. 758 del 2019, alle cui argomentazioni tutte qui ci si richiama, le ragioni per le quali a questa materia, sul piano della c.d. tassatività processuale, non è legittimo applicare le regole probatorie del giudizio penale, dove ben altri e differenti sono i beni di rilievo costituzionali a venire in gioco, e in particolare i criterî di accertamento, propri del giudizio dibattimentale, e la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, tipica inferenza logica che, se applicata al diritto della prevenzione, imporrebbe alla pubblica amministrazione una probatio diabolica, come si è osservato in dottrina, in quanto, se intesa in senso assoluto, richiederebbe di falsificare ogni ipotesi contraria e, se intesa in senso relativo (secondo il modello dell’abduzione pura, che implica l’assunzione di una ipotesi che va corroborata alla luce degli specifici riscontri probatori), richiederebbe alla pubblica amministrazione uno sforzo istruttorio sproporzionato rispetto alla finalità del suo potere e ai mezzi di cui è dotata per esercitarlo.
Le preoccupazioni, espresse dalla dottrina e da una parte minoritaria della giurisprudenza amministrativa, circa la tenuta costituzionale della prevenzione antimafia sono agevolmente superabili, per gli argomenti già esposti in merito all’istituto dell’informazione antimafia, ma anche ricorrendo al criterio dell’interpretazione sistematica, cui il giudice ben può ricorrere per valutare i profili applicativi e interpretativi di un istituto, esaminandone la coerenza con il sistema normativo in cui esso è inserito.
Ed allora, per la materia in esame, non può sfuggire come il codice antimafia abbia, al suo interno, principi ed istituti –ancorché diversi dalla interdittiva antimafia– che sono posti a presidio di un ragionevole contemperamento tra l’interesse generale prioritario alla prevenzione contro la mafia e il diritto di ciascun imprenditore alla tutela costituzionale di cui all’art. 41 Cost., appunto con i limiti che spetta al legislatore stabilire.
L’istituto della gestione con controllo giudiziale di cui all’art. 34-bis del codice antimafia, introdotto dall’art. 11, l. n. 161 del 2017, dimostra in particolare come il legislatore abbia ben considerato ipotesi in cui –pur in presenza di una informazione antimafia– l’interesse alla sopravvivenza di una impresa può essere tutelato accordando una “occasione” per rimuovere entro un periodo temporale breve, grazie appunto al controllo giudiziale sulla gestione aziendale, la contaminazione mafiosa che il provvedimento interdittivo aveva rilevato. E non a caso l’effetto sulla informazione antimafia non è certo caducante, giacché il giudice ordinario, che non ha potere di sindacarne la legittimità, determina solo la sospensione dell’effetto interdittivo dell’impresa per tutto il periodo della amministrazione controllata.
Il legislatore, quindi, ha stabilito:
   a) che l’informazione antimafia è meramente sospesa nei suoi effetti, fermo restando il sindacato del giudice amministrativo, che parimenti resta sospeso, potendo riprendere il procedimento dopo la conclusione del periodo fissato dal giudice ordinario;
   b) che, ove la contaminazione mafiosa sia ritenuta occasionale e quindi rimovibile in tempi brevi, la tutela costituzionale dell’impresa può essere garantita, seppure sotto il controllo del giudice cui spetterà valutare se durante il periodo stabilito –di solito uno o due anni– le infiltrazioni siano state tutte rimosse, anche attraverso riscontrabili modifiche nella compagine e nel “portafoglio contratti” della società.
Questa ulteriore riflessione vale in modo compiuto a sgombrare il campo da dubbi relativi alla sistematica condizione di equilibrio e contemperamento realizzata dal codice antimafia con riguardo a interessi e diritti meritevoli di indubbia considerazione.
La Sezione ha escluso peraltro l’esistenza di un obbligo di rimessione alla Corte di giustizia nella presente sede d’appello, per essere questo Consiglio di Stato giudice di ultima istanza per gli effetti dell’obbligo di rimessione alla Corte europea sancito dall’art. 267, comma 3, TFUE. Tale obbligo, infatti, non sussiste nelle ipotesi in cui la questione sollevata sia identica ad altra sollevata in relazione ad analoga fattispecie già decisa in via pregiudiziale della Corte, o la giurisprudenza costante della Corte risolva il punto di diritto controverso, indipendentemente dalla natura del procedimento in cui tale giurisprudenza si sia formata (c.d. teoria dell’acte éclairé); ipotesi, quest’ultima, che, alla luce della sopra riportata giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, appare ricorrere nel caso di specie (Cons. St., sez. III, 03.04.2019, n. 2212) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.04.2021 n. 3182 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIGiudice competente a decidere la controversia avente ad oggetto i rapporti di dare-avere in caso di risoluzione anticipata di una concessione di pubblico servizio.
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Giurisdizione – Concessione amministrativa – Concessione di pubblico servizio - Risoluzione anticipata - Rapporti di dare-avere – Controversia – Giurisdizione giudice ordinario.
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto i rapporti di dare-avere tra una società e un Comune a seguito della risoluzione anticipata della concessione di pubblico servizio relativa all’espletamento di un servizio idrico, nel caso in cui occorra valutare il valore patrimoniale di quanto richiesto dall’appellante come rimborso per gli investimenti posti in essere (1).
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   (1) Ha chiarito il C.g.a. che ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. la giurisdizione esclusiva comprende le controversie in materia di pubblici servizi (nella quale è ricompreso il servizio idrico), escluse quelle concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore.
La disposizione è stata interpretata, anche per differenza con la previsione di giurisdizione esclusiva in materia di affidamenti di lavori, servizi e forniture di cui alla successiva lett. e), n. 1, il cui oggetto è espressamente limitato alla procedura di affidamento, come comprensiva delle controversie insorte anche in fase esecutiva. La giurisprudenza tradizionale formatasi sull’art. 5, l. 06.12.1971, n. 1034, in tema di concessioni di beni o di servizi, riproposta, quanto ai servizi pubblici, con l’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a è nel senso che la giurisdizione amministrativa riguardi tendenzialmente tutta la fase esecutiva del rapporto, a eccezione soltanto delle controversie di contenuto meramente patrimoniale, senza alcuna implicazione sul contenuto della concessione (ss. uu. 04.08.2018, n. 20682 e 26.09.2017, n. 22357).
Nel caso all’esame del C.g.a. l’appellante ha chiesto il pagamento in proprio favore di una somma a saldo degli investimenti non ammortizzati per impianti, macchinari e manutenzione straordinaria, per effetto dell’anticipato scioglimento della concessione per la gestione del servizio idrico comunale alla stessa affidato con convenzione.
La controversia attiene all’applicabilità dell’art. 14 della convenzione del 1992, in base al quale “quando, per qualsivoglia ragione, avverrà la risoluzione del presente contratto, il Comune o l’eventuale ditta subentrante rileverà dalla Società tutte le attrezzature, i materiali, gli apparecchi e gli impianti di proprietà della società stessa, il corrispettivo di quanto sopra sarà determinato con stima da farsi in contraddittorio in base al suo valore industriale al momento del trapasso della gestione. Il Comune –o l’eventuale Ditta subentrante– si farà carico degli oneri connessi ad eventuali finanziamenti ancora in essere per i beni ad esso trasferiti”.
La pretesa sostanziale non implica lo scrutinio dell’esercizio del potere pubblico, essendo limitata a stabilire la debenza, anche in punto di quantum, della somma azionata. La circostanza è resa evidente dalla formulazione della clausola convenzionale, che rimanda a una stima da effettuarsi sulla base del valore industriale dell’intervento effettuato. Si tratta quindi di valutare il valore patrimoniale di quanto richiesto dall’appellante come rimborso per gli investimenti posti in essere, così rientrando nelle controversie concernenti “indennità, canoni e altri corrispettivi” devolute alla giurisdizione del g.o., non venendo in rilievo quel potere pubblico che è sotteso alla scelta legislativa sulla giurisdizione esclusiva del g.a.
La previsione della giurisdizione esclusiva del g.a. si legittima infatti, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, in riferimento alle materie nelle quali vi è esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, di un potere pubblico (Corte cost. 06.07.2004, n. 204 e 11.05.2006, n. 191), così escludendo i “meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio” (Corte cost. 15.07.2016, n. 179).
Anche considerando che il Comune ha contestato la debenza delle somme in ragione della mancanza di autorizzazione preventiva rispetto agli investimenti di cui alla pretesa della curatela fallimentare, la circostanza rileva al più in punto di qualificazione dell’azione in termini di arricchimento senza causa, non essendo quindi determinante al fine di radicare la giurisdizione presso questo Giudice (CGARS, sentenza 19.04.2021 n. 328 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
11. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto che la fattispecie non rientri tra quelle devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all’art. 133 c.p.a., ritenendo altresì che la controversia involga una concessione di pubblico servizio e non una concessione di beni pubblici.
11.1. Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. la giurisdizione esclusiva comprende le controversie in materia di pubblici servizi (nella quale è ricompreso il servizio idrico di cui alla presente controversia), escluse quelle concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore.
La disposizione è stata interpretata, anche per differenza con la previsione di giurisdizione esclusiva in materia di affidamenti di lavori, servizi e forniture di cui alla successiva lett. e), n. 1, il cui oggetto è espressamente limitato alla procedura di affidamento, come comprensiva delle controversie insorte anche in fase esecutiva. La giurisprudenza tradizionale formatasi sulla legge 06.12.1971, n. 1034, art. 5, in tema di concessioni di beni o di servizi, riproposta, quanto ai servizi pubblici, con l’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a è nel senso che la giurisdizione amministrativa riguardi tendenzialmente tutta la fase esecutiva del rapporto, a eccezione soltanto delle controversie di contenuto meramente patrimoniale, senza alcuna implicazione sul contenuto della concessione (ss. uu. 04.08.2018, n. 20682 e 26.09.2017, n. 22357).
Nel caso di specie l’appellante chiede il pagamento in proprio favore della somma di euro 5.955.208,84, oltre IVA ed oltre interessi, a saldo degli investimenti non ammortizzati per impianti, macchinari e manutenzione straordinaria, per effetto dell’anticipato scioglimento della concessione per la gestione del servizio idrico comunale alla stessa affidato giusta convenzione del 3.1.1992.
La controversia attiene all’applicabilità dell’art. 14 della convenzione del 1992, in base al quale “quando, per qualsivoglia ragione, avverrà la risoluzione del presente contratto, il Comune o l’eventuale ditta subentrante rileverà dalla Società tutte le attrezzature, i materiali, gli apparecchi e gli impianti di proprietà della società stessa, il corrispettivo di quanto sopra sarà determinato con stima da farsi in contraddittorio in base al suo valore industriale al momento del trapasso della gestione.
Il Comune –o l’eventuale Ditta subentrante– si farà carico degli oneri connessi ad eventuali finanziamenti ancora in essere per i beni ad esso trasferiti
”.
La pretesa sostanziale non implica lo scrutinio dell’esercizio del potere pubblico, essendo limitata a stabilire la debenza, anche in punto di quantum, della somma azionata. La circostanza è resa evidente dalla formulazione della clausola convenzionale, che rimanda a una stima da effettuarsi sulla base del valore industriale dell’intervento effettuato.
Si tratta quindi di valutare il valore patrimoniale di quanto richiesto dall’appellante come rimborso per gli investimenti posti in essere, così rientrando nelle controversie concernenti “indennità, canoni e altri corrispettivi” devolute alla giurisdizione del g.o., non venendo in rilievo quel potere pubblico che è sotteso alla scelta legislativa sulla giurisdizione esclusiva del g.a.
La previsione della giurisdizione esclusiva del g.a. si legittima infatti, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, in riferimento alle materie nelle quali vi è esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, di un potere pubblico (Corte cost. 06.07.2004, n. 204 e 11.05.2006, n. 191), così escludendo i “meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio” (Corte cost. 15.07.2016, n. 179).
Anche considerando che il Comune ha contestato la debenza delle somme in ragione della mancanza di autorizzazione preventiva rispetto agli investimenti di cui alla pretesa della curatela fallimentare, la circostanza rileva al più in punto di qualificazione dell’azione in termini di arricchimento senza causa, non essendo quindi determinante al fine di radicare la giurisdizione presso questo Giudice.
Né può influire sulla giurisdizione il principio della ragionevole durata del processo.
11.2. Il motivo di appello non è quindi fondato (CGARS, sentenza 19.04.2021 n. 328 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ai sensi dell'art. 31, co. 3, del d.lgs. n. 50 del 2016: "Il RUP, ex lege 07.08.1990, n. 241, svolge tutti i compiti relativi alle procedure di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione previste dal presente codice, che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti".
La norma invero attribuisce al R.U.P. lo svolgimento dei "compiti", rimarcando dunque il ruolo centrale -di ausilio istruttorio e non solo- che l'organo in questione riveste nell'ambito delle procedure di gara, mentre la commissione giudicatrice è organo straordinario deputato ad un'attività di giudizio "consistente nella" e "limitata alla" "valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico in qualità di organo straordinario e temporaneo della stazione appaltante con funzioni istruttorie.
Ne deriva la competenza generale del R.u.p. a svolgere tutti i compiti (id est, ad adottare tutti gli atti della procedura), non soltanto operazioni di carattere materiale, ma anche attività giuridica esternata in veri e propri atti.
Il precedente richiamato, dopo aver ricordato che "è stata ritenuta la competenza del R.u.p. all'adozione del provvedimento di esclusione dalla procedura di gara degli operatori economici", ha altresì evidenziato che, sul piano del diritto positivo, con riferimento al provvedimento di esclusione dalla procedura, l'art. 80 individua nella "stazione appaltante" il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento di esclusione dell'operatore economico.
Quindi, la competenza all'esternazione dell'atto va ravvisata in capo all'organo della stazione appaltante che, istituzionalmente, assume la posizione apicale (sia in base ai principi del diritto societario che in base ai principi del diritto amministrativo, competente ad esprimere ed esternare la volontà dell'ente è l'organo di vertice).
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Come pacifico in giurisprudenza (per tutte si veda Consiglio di Stato sez. IV, 09/07/2020, n. 4401), ai sensi dell'art. 31, co. 3, del d.lgs. n. 50 del 2016: "Il RUP, ai sensi della legge 07.08.1990, n. 241, svolge tutti i compiti relativi alle procedure di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione previste dal presente codice, che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti". La norma invero attribuisce al R.U.P. lo svolgimento dei "compiti", rimarcando dunque il ruolo centrale -di ausilio istruttorio e non solo- che l'organo in questione riveste nell'ambito delle procedure di gara, mentre la commissione giudicatrice è organo straordinario deputato ad un'attività di giudizio "consistente nella" e "limitata alla" "valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico in qualità di organo straordinario e temporaneo della stazione appaltante con funzioni istruttorie.
Come chiarito dalla giurisprudenza, ne deriva la competenza generale del R.u.p. a svolgere tutti i compiti (id est, ad adottare tutti gli atti della procedura), non soltanto operazioni di carattere materiale, ma anche attività giuridica esternata in veri e propri atti (Cons. Stato, Sez. V, 12.02.2020 n. 1104).
Il precedente richiamato, dopo aver ricordato che "è stata ritenuta la competenza del R.u.p. all'adozione del provvedimento di esclusione dalla procedura di gara degli operatori economici (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13.09.2018, n. 5371; III, 19.06.2017, n. 2983; V, 06.05.2015, n. 2274; V, 21.11.2014, n. 5760)", ha altresì evidenziato che, sul piano del diritto positivo, con riferimento al provvedimento di esclusione dalla procedura, l'art. 80 individua nella "stazione appaltante" il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento di esclusione dell'operatore economico.
Quindi, la competenza all'esternazione dell'atto va ravvisata in capo all'organo della stazione appaltante che, istituzionalmente, assume la posizione apicale (sia in base ai principi del diritto societario che in base ai principi del diritto amministrativo, competente ad esprimere ed esternare la volontà dell'ente è l'organo di vertice)
(CGARS, sentenza 19.04.2021 n. 326 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIEffetti dell’esclusione dalla gara di un’offerta ritenuta anomala.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerte anomale – Esclusione – Conseguenza.
L’annullamento del provvedimento di esclusione dalla gara di un’offerta ritenuta anomala non comporta l’obbligo per la stazione appaltante, prima di procedere all’aggiudicazione, di operare una nuova valutazione di anomalia, ove la pronuncia caducatoria non comporti –come nel caso di specie- margini per la riedizione del potere, fondandosi sull’accertamento della sostenibilità economica di tale offerta (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che il giudicato che, accogliendo il ricorso contro il provvedimento di esclusione per anomalia dell’offerta, accerti la congruità dell’offerta medesima in punto di sostenibilità economica della stessa, preclude la proposizione, all’esito di un nuovo provvedimento di aggiudicazione non preceduto da nuova valutazione di congruità, di motivi di ricorso che censurano l’aggiudicazione per ritenuta anomalia della relativa offerta (anche in ragione del carattere globale ed onnicomprensivo di tale giudizio) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14.04.2021 n. 3085 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIPartecipazione dei privati al procedimento prodromico alla conclusione dell’accordo di programma finalizzato all’attuazione di opere pubbliche.
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Opere pubbliche - Accordi di programma – Art. 34 T.u.e.l. - Partecipazione di privati – Esclusione.
Ai sensi dell’art. 34 T.u.e.l. non è prevista la partecipazione dei privati al procedimento prodromico alla conclusione dell’accordo di programma, mentre gli enti che vi partecipano sono liberi di aderire fino alla conclusione dell’accordo; conseguentemente deve escludersi che si configuri una situazione di affidamento in capo al privato interessato in via di fatto alla conclusione dell’accordo, specie quando gli effetti di tale accordo consistano, nella sostanza, nell’esercizio di poteri attinenti alla pianificazione del territorio (1).
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   (1) La Sezione ha premesso che l’accordo di programma costituisce una species del più ampio genus degli accordi di programmazione negoziata (Cons. Stato, sez. IV, 20.07.2018, n. 4413) e, in linea ancora più generale, dell’istituto degli accordi fra amministrazioni di cui all’art. 15, l. n. 241 del 1990, che ne scandisce la disciplina residuale, per quanto non espressamente previsto in quella speciale dell’art. 34, d.lgs. n. 267 del 2000 (Cons. Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948; sez. IV, 25.06.2013, n. 3458; sez. IV, 24.10.2012, n. 5450).
Secondo l’interpretazione che viene data della disciplina generale che regge il suddetto istituto, quest’ultimo costituisce un modulo di semplificazione procedimentale finalizzato alla definizione e all’attuazione di opere, interventi o programmi di intervento, che implica l’azione integrata di più amministrazioni, di modo che con la sottoscrizione dell’accordo, queste assumono pari dignità in ragione della coessenzialità dell’apporto di ciascuna di esse (Cons. Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948; sez. IV, 20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 02.03.2011, n. 1339; sez. IV, 06.12.1999, n. 2067; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 21.11.2005, n. 6467).
Esso, dunque, non è non è qualificabile alla stregua di un qualsiasi contratto civilistico o negozio stipulato in base al codice civile (Cons. Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948).
Tale consenso si forma progressivamente attraverso fasi successive, che, a partire dalla fase della “promozione” dell’accordo sono normalmente scandite da atti o deliberazioni degli organi degli enti e delle amministrazioni interessati e si perfeziona con la conclusione (ossia con la sottoscrizione) dell’accordo di programma, che può dirsi così completo e perfetto (Cons. Stato, sez. IV, 20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 17.06.2003, n. 3403).
Segnatamente, l’accordo di programma, secondo l’interpretazione che viene data della disciplina che regge il suddetto istituto (l’art. 34, d.l.gs n. 267 del 2000) implica il consenso unanime delle amministrazioni che tale accordo stipulano per attuare un’opera o un progetto (Cons. Stato, sez. IV, 20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 17.06.2003, n. 3403; sez. IV, 01.08.2001, n. 4206).
Ha ancora chiarito la Sezione che sono tassativi i casi in cui è consentito riconoscere una situazione di affidamento giuridicamente rilevante in sede di pianificazione del territorio; in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono date:
   a) dal superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
   b) da convenzioni di lottizzazione e accordi di diritto privato intercorsi fra il comune e i proprietari delle aree;
   c) da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di titoli edilizi o di silenzio rifiuto su una domanda di rilascio di un titolo;
   d) dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.04.2021 n. 2999 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
29. Il primo motivo di appello è infondato.
29.1. Giova ribadire che, secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio, l’accordo di programma costituisce una species del più ampio genus degli accordi di programmazione negoziata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20.07.2018, n. 4413) e, in linea ancora più generale, dell’istituto degli accordi fra amministrazioni di cui all’art. 15 legge n. 241 del 1990, che ne scandisce la disciplina residuale, per quanto non espressamente previsto in quella speciale dell’art. 34 d.lgs. n. 267 del 2000 (Cons. Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948; sez. IV, 25.06.2013, n. 3458; sez. IV, 24.10.2012, n. 5450).
29.1.1. Secondo l’interpretazione che viene data della disciplina generale che regge il suddetto istituto, quest’ultimo costituisce un modulo di semplificazione procedimentale finalizzato alla definizione e all’attuazione di opere, interventi o programmi di intervento, che implica l’azione integrata di più amministrazioni, di modo che con la sottoscrizione dell’accordo, queste assumono pari dignità in ragione della coessenzialità dell’apporto di ciascuna di esse (Cons. Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948; sez. IV, 20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 02.03.2011, n. 1339; sez. IV, 06.12.1999, n. 2067; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 21.11.2005, n. 6467).
Esso, dunque, non è non è qualificabile alla stregua di un qualsiasi contratto civilistico o negozio stipulato in base al codice civile (Cons. Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948).
29.1.2. Tale consenso si forma progressivamente attraverso fasi successive, che, a partire dalla fase della “promozione” dell’accordo sono normalmente scandite da atti o deliberazioni degli organi degli enti e delle amministrazioni interessati e si perfeziona con la conclusione (ossia con la sottoscrizione) dell’accordo di programma, che può dirsi così completo e perfetto (Cons. Stato, sez. IV, 20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 17.06.2003, n. 3403).
29.1.3. Segnatamente, l’accordo di programma, secondo l’interpretazione che viene data della disciplina che regge il suddetto istituto (l’art. 34 del d.l.gs n. 267 del 2000) implica il consenso unanime delle amministrazioni che tale accordo stipulano per attuare un’opera o un progetto (Cons. Stato, sez. IV, 20.07.2018, n. 4413; sez. IV, 28.04.2006, n. 2411; sez. IV, 17.06.2003, n. 3403; sez. IV, 01.08.2001, n. 4206).
29.1.4. Con specifico riferimento alla deduzione relativa alla circostanza che il ripensamento del Comune avrebbe frustrato l’attività amministrativa fino a quel momento compiuta, il Collegio evidenzia che, in base ai principi enunciati nel tempo dalla giurisprudenza di questo Consiglio e poc’anzi ribaditi, contrariamente a quanto affermato dalla società, non può dubitarsi che ciascun ente rimane libero di addivenire o meno alla conclusione dell’accordo di programma.
29.2. Le amministrazioni che hanno intrapreso le attività preordinate alla conclusione di un accordo di programma possono sempre, nell’esercizio delle loro prerogative istituzionali, rivalutare l’opportunità di giungere al suo perfezionamento, specialmente allorché si verifichino delle sopravvenienze in fatto, come nel caso di specie (la sopravvenuta chiusura dello stabilimento del Gres e l’opportunità di recuperare tale area, piuttosto che occupare altro suolo inedificato).
29.3. Può affermarsi, dunque, che, sino a quando l’accordo di programma non si è perfezionato -e impregiudicata ogni statuizione, da parte del Collegio, sui poteri degli enti in caso di sua conclusione, non costituendo tale questione oggetto del presente giudizio (ancorché su questo aspetto, in senso favorevole al potere di recesso, si vedano Cons. Stato, sez. IV, 09.03.2021, n. 1948; sez. V, 24.10.2000, n. 5710)- gli enti che hanno intrapreso le attività necessarie per valutarne l’opportunità, il contenuto e quant’altro occorra per giungere alla sua conclusione, rimangono pienamente legittimati ad interrompere tali attività e, conseguenzialmente, possono liberamente sottrarsi alla sua conclusione.
29.4. Non sussiste, dunque, alcuna illegittimità degli atti con i quali tale volontà è stata manifestata dal Comune di Sorisole.
29.5. Si puntualizza che eventuali profili di illegittimità della nota del Sindaco del Comune, per incompetenza dell’organo, rimangono superati dalla successiva adozione della deliberazione, da parte del Consiglio comunale, che ha manifestato, motivatamente, un intento pressoché identico a quello previamente espresso dalla nota sindacale.
Un simile atto consiliare varrebbe dunque come convalida dell’atto precedente o, comunque, come atto autonomamente lesivo della posizione della società appellante (sicché un’eventuale pronuncia di annullamento del primo atto non sortirebbe alcun risultato pratico favorevole per l’impresa).
29.6. Il primo motivo di appello va pertanto respinto.
30. Parimenti infondato è il secondo motivo di appello, con il quale si lamenta, in sintesi, la lesione del legittimo affidamento riposto dalla società nella conclusione dell’accordo e il mancato risarcimento dei danni che ne sarebbero scaturiti.
31. Invero, le deduzioni dell’appellante poggiano su un fondamento che questo Collegio non condivide e, anzi, ritiene manifestamente infondato.
31.1. Non sussiste, infatti, alcun affidamento che possa qualificarsi come “legittimo”, se rapportato sia alla natura, sia alle caratteristiche dell’istituto dell’accordo di programma, sia, infine, all’iter procedimentale che è stato effettivamente intrapreso e svolto nella vicenda in esame.
31.1.1. Quanto al primo aspetto, va rimarcato come l’accordo previsto e disciplinato dall’art. 34 del T.u.e.l. costituisce un’ipotesi di amministrazione negoziata, con il quale più amministrazioni competenti in procedimenti pluristrutturati o che comunque interessano il territorio di più Comuni concordano le linee di azione per la realizzazione di una determinata opera.
31.1.2. Per tale tipologia di accordi non è prevista la partecipazione dei privati, i quali dunque rispetto a tutta l’attività ivi svolta non possono che considerarsi terzi.
31.1.3. Già tale constatazione è sufficiente ad evidenziare come nessun legittimo affidamento può sorgere rispetto ad un’attività che non coinvolge in maniera diretta e da un punto di vista prettamente giuridico la parte privata, in base all’ovvia considerazione, costituente un caposaldo dell’ordinamento giuridico, che “res inter alios acta neque prodest neque nocet”.
31.2. Questa Sezione, inoltre, ha avuto modo di sottolineare (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 03.11.2016, n. 4599; sez. IV, 05.09.2016, n. 3806; sez. IV, 25.05.2016 n. 2221; sez. IV, 10.05.2012 n. 2710), che l’esercizio del potere di pianificazione urbanistica del territorio è attribuito ai Comuni; a questi ultimi, non soltanto compete l’individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale (ed in particolare la possibilità e limiti edificatori delle stesse), ma, in termini più generali, è attribuita, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, la possibilità di realizzare anche finalità economico–sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18.08.2017, n. 4037).
31.2.1. A fronte di un’ampia discrezionalità e latitudine del potere di governo del territorio, conferito alla gestione comunale, risulta arduo, nella maggioranza dei casi, configurare, in capo al privato, un affidamento definibile come “legittimo”, ossia basato non su una mera aspettativa di fatto, ma su circostanze che oggettivamente, univocamente e incontrastabilmente conducano, ragionevolmente e secondo una valutazione rigorosa, a intravedere la futura concessione del bene della vita.
32.2.2. Nel caso in esame, mancano indici concreti, conducenti e concordanti di una simile evenienza.
32.2.3. Si consideri che, come segnalato dal Comune, non vi sono evidenze, in base agli atti del procedimento, che l’attività preordinata all’accordo fosse in uno stadio molto avanzato e questo fosse in procinto di essere concluso, cosicché, persino laddove si volesse adoperare, come mero espediente di ragionamento e per assurdo, la categoria civilistica del recesso dalle trattative precontrattuali (art. 1337 c.c.), comunque non potrebbe dirsi sorto quell’affidamento legittimo che giustifica e sorregge la richiesta del risarcimento per responsabilità precontrattuale.
33. Si rimarca, infine, che, in consonanza a quanto sinora evidenziato, si è avuto modo di sottolineare, anche di recente, l’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni nelle scelte urbanistiche che coinvolgono il loro territorio (cfr. Corte cost., 21.12.2020, n. 276).
33.1. Ove si opinasse, come lascia intendere la società, che tali scelte possono essere foriere di responsabilità (salvo casi eccezionali), si menomerebbe di fatto una prerogativa che invece è riconosciuta all’ente di diritto.
33.2. Tali conclusioni sono coerenti coi principi sviluppati dalla costante giurisprudenza circa la tassatività dei casi in cui è consentito riconoscere una situazione di affidamento giuridicamente rilevante in sede di pianificazione del territorio (in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono date dal superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree, dalla lesione dell'affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di titoli edilizi o di silenzio rifiuto su una domanda di rilascio di un titolo e, infine, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo, cfr. fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 18.08.2017, n. 4037; 18.11.2013, n. 5453).
34. Il secondo motivo di appello va pertanto respinto.
35. In conclusione, alla luce delle motivazioni suesposte, l’appello va respinto.
36.
Quanto alle spese del giudizio, Il Collegio rileva, inoltre, che l’infondatezza del ricorso in appello si fonda su ragioni manifeste in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 12.04.2018, n. 2205; sez. IV, 28.12.2016, n. 5497, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione), conformemente ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. VI, n. 11939 del 2017; n. 22150 del 2016).
36.1.
A tanto consegue il pagamento della sanzione nella misura di € 4.000 per l’appellante (cfr. sul punto, fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n. 2205 del 2018; n. 2116 del 2018; n. 364 del 2017; cui si rinvia a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.).
36.2. La condanna dell’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lett. a) e d), della legge 24.03.2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28.12.2015, n. 208.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello n.r.g. 4334 del 2014, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado con diversa motivazione.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune di Sorisole, delle spese del giudizio di appello che liquida in euro 15.000,00 (quindicimila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., al pagamento della somma di € 4.000,00 (quattromila/00) da versare secondo le modalità di cui all’art. 15 disp. att. c.p.a., mandando alla Segreteria per i conseguenti adempimenti (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.04.2021 n. 2999 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - INCENTIVO FUNZIONI TECNICHECorte Conti, quadro economico integrabile con incentivi per funzioni tecniche non previsti ma con motivazione rafforzata.
La Corte dei conti, sezione Emilia Romagna affronta, con il parere 13.04.2021 n. 56, una questione abbastanza frequente nella gestione degli appalti ovvero la possibilità di riconoscere gli incentivi per funzioni tecniche (articolo 113 del Codice) non previsti nel quadro economico dell'acquisizione.
In particolare, il sindaco di un Comune emiliano ha posto al collegio il quesito sulla possibilità di riconoscere gli incentivi «se, per le forniture di beni e servizi, non siano stati inizialmente previsti nel quadro economico iniziale dell'appalto ma vengano previsti solo attraverso provvedimento successivo».
Le condizioni indispensabili per riconoscere l'incentivo
Prima di fornire il riscontro, in delibera si rammentano quelle che sono le condizioni minime imprescindibile per legittimare l'incentivo, in dettaglio si precisa la necessità:
   a) che la stazione appaltante si sia dotata dell'apposito regolamento interno. Si tratta, sottolinea la sezione, di una condizione «essenziale ai fini del legittimo riparto tra gli aventi diritto delle risorse accantonate sul fondo e sede idonea per circoscrivere dettagliatamene le condizioni alle quali gli incentivi possono essere erogati»;
   b) che le risorse finanziarie del fondo costituito ai sensi dell'articolo 113, comma 2, del Codice dei contratti siano chiaramente ripartite, per ciascuna opera, lavoro, servizio e fornitura, «con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale»;
   c) che l'impegno di spesa, conseguente, sia assunto a valere sulle risorse stanziate nel quadro economico dell'appalto, «attraverso la costituzione di un apposito fondo vincolato non superiore al 2% dell'importo dei lavori posti a base di gara»;
   d) quindi, secondo un controllo che compete anche in fase di erogazione dell'incentivo a cura del responsabile del servizio del personale o della contabilità, che «l'incentivo spettante al singolo dipendente non ecceda il tetto annuo lordo del 50% del trattamento economico complessivo».
In relazione, poi, agli appalti di servizi e forniture, si impone l'ulteriore condizione imprescindibile ovvero che risulti, formalmente, «nominato il direttore dell'esecuzione».
Si deve trattare, pertanto, di appalto di importo pari/superiore ai 500mila euro o di particolare complessità o tale da giustificare l'intervento, in fase esecutiva, di diverse professionalità (in questo senso le linee guida Anac n. 3)
Il fondo appositamente dedicato presuppone, a propria volta, «che gli oneri inerenti alle attività elencate al comma 1 dell'art. 113 abbiano trovato adeguata copertura nel bilancio dell'ente attraverso appositi stanziamenti».
Il riscontro
Nel riscontrare il quesito, la sezione rammenta il precedente della sezione della Puglia (
parere 18.07.2014 n. 133) che ha escluso una programmazione postuma degli incentivi e quindi l'impossibilità di modificare i quadri economici visto che il compenso per funzioni tecniche deve avere una adeguata copertura finanziaria nella programmazione di spesa finalizzato all'acquisizione.
In maniera, maggiormente, pragmatica però la sezione emiliana, invece, non esclude la possibilità di una previsione/programmazione postuma dell'incentivo e quindi di «successiva inclusione nel quadro economico» purché ricorrano sia le condizioni generali predette e sempre che ciò non determini un aggravio/incremento di costo per la stazione appaltante. Considerato, infatti, che la finalità fondante gli incentivi è «quella di accrescere l'efficienza della spesa attraverso il risparmio che deriva dal ricorso a professionalità interne per lo svolgimento di attività funzionali alla realizzazione di appalti, in circostanze che altrimenti richiederebbero il ricorso a professionisti esterni, con possibili aggravi di costi per il bilancio dell'ente interessato».
L'inciso ultimo, ovvero l'esigenza di non incrementare/aggravare i costi induce, quindi, a ritenere che è possibile una programmazione postuma sugli incentivi ma solamente se rimangono risorse nell'ambito del quadro economico definito. Ad esempio, per economie risultati dall'aggiudicazione.
La necessità di una motivazione rafforzata
Ad epilogo del riscontro, la sezione annota che, in ogni caso, una programmazione postuma degli incentivi rappresenta una anomalia che potrebbe/dovrebbe essere determinata solamente da fatti sopravvenuti ed imprevedibili. In difetto non potrebbe non ravvisarsi un difetto di programmazione che, di per sé, dovrebbe contraddire la stessa spettanza degli incentivi.
In dettaglio, sul punto, in delibera si legge che nel caso di specie «occorre tuttavia rilevare l'anomalia di una iscrizione solo successiva della voce di costo legata agli incentivi nel quadro economico, la quale, se non giustificata da fatti sopravvenuti e non prevedibili utilizzando l'ordinaria diligenza, potrebbe essere sintomatica di un difetto di programmazione». E in tema si richiama il precedente parere 19.03.2019 n. 25 della Sezione regionale di controllo per il Piemonte, «sulla centralità del momento programmatorio, volto a definire i bisogni della collettività, ad approntare le necessarie misure per soddisfarli ed a consentire la verifica della congruità, proporzionalità, dell'efficienza dei risultati raggiunti».
Per effetto di quanto, una modifica postuma del quadro economico, al fine di inserire la voce di costo relativa agli incentivi «dovrà essere sostenuta da un obbligo di motivazione rafforzata dei relativi provvedimenti, che dia conto della finalizzazione all'interesse pubblico». Motivazione che garantisce «il rispetto del principio costituzionale del buon andamento, secondo un principio già espresso da questa Sezione in relazione all'incentivabilità di funzioni tecniche svolte per la realizzazione di appalti non inseriti nella programmazione, al ricorrere di circostanze eccezionali ed imprevedibili (
parere 10.02.2021 n. 11)» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 22.07.2021).

APPALTIVerifica di congruità del costo della manodopera di cui all’art. 97, comma 10, del Codice dei contratti pubblici.
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Contratti della pubblica amministrazione – Offerta - Costo della manodopera - Art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 – Verifica di congruità – Contenuti - Parametro ANCE – Utilizzabilità ex se – Esclusione.
Ai fini della verifica della congruità dell’offerta presentata in sede di gara non assume rilevanza il parametro ANCE che, se può costituire un utile riferimento per corroborare le valutazioni di congruità del costo del lavoro, quale canone riferito a dati generali e aggregati (percentuale generale del costo del lavoro per singola tipologia di lavorazione), non può costituire unico fondamento dell’analisi condotta dalla Stazione appaltante (1).
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   (1) La verifica del costo della manodopera di cui all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 mira ad accertare la congruità del valore dichiarato non sulla base dell’affermato rispetto delle garanzie retributive dei lavoratori, ma delle caratteristiche specifiche dell’impresa e dell’offerta, considerando in concreto il numero di lavoratori impiegati per l’esecuzione delle opere previste in contratto, distinti per inquadramento e ore di utilizzo, al fine di determinare il costo orario delle maestranze destinate all’esecuzione dell’appalto e verificare così il rispetto dei parametri salariali di riferimento indicati nelle tabelle ministeriali di cui all’art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50/2016, richiamato dall’art. 97, comma 5, lett. d), del medesimo decreto (disposizione questa a cui fa rinvio l’art. 95, comma 10, ai fini della verifica del costo della manodopera condotta contestualmente o separatamente da una verifica di congruità complessiva dell’offerta).
Come nella verifica di anomalia, devono essere forniti alla Stazione appaltante tutti gli elementi necessari alla ricostruzione del costo della manodopera sopportato dall’impresa per l’esecuzione di quanto proposto con l’offerta prodotta in gara, eventualmente anche non strettamente relativi a tale costo ma utili alla ricostruzione dello stesso.
Tale analisi non può limitarsi semplicemente alla verifica dell’incidenza percentuale del costo complessivo della manodopera sulle singole lavorazioni, confrontandola con quella riscontrabile nell’ambito del mercato di riferimento, ma deve andare a considerare anche le particolarità della singola impresa e della singola offerta al fine di accertare che il costo complessivamente indicato inglobi effettivamente trattamenti salariali non inferiori ai minimi previsti per i singoli lavoratori impiegati.
Non può pertanto assumere rilevanza il parametro ANCE che, se può costituire un utile riferimento per corroborare le valutazioni di congruità del costo del lavoro, quale canone riferito a dati generali e aggregati (percentuale generale del costo del lavoro per singola tipologia di lavorazione), non può costituire unico fondamento dell’analisi condotta dalla Stazione appaltante. Il documento ANCE è infatti legato alla finalità di contrastare il lavoro sommerso e irregolare e reca indici meramente convenzionali per una verifica ex post della incidenza del costo del lavoro sul valore dell’opera, indici che non possono essere “utilizzati ad altri fini o comunque quali indicatori per i prezzi degli appalti” (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 08.04.2021 n. 867 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI Sulla funzione dell'istituto dei prezzari regionali.
  
Sull'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare i prezziari regionali.
   Il fondamento dell'istituto dei prezzari regionali rinviene in una duplice esigenza.
Da un lato
la funzione dell'istituto è quella, nell'interesse precipuo delle Stazioni Appaltanti e della collettività, di assicurare la serietà dell'offerta e la qualità delle prestazioni finali rese dall'operatore economico selezionato, evitando che la previsione di importi di base eccessivamente bassi impedisca di formulare offerte di sufficiente pregio tecnico (come comprovato dalla collocazione della disciplina sotto l'art. 23 del D.Lgs. n. 50 del 2016 in tema di "Livelli della progettazione per gli appalti, per le concessioni di lavori nonché per i servizi").
Dall'altro
, l'istituto dei prezzari regionali ha funzione di regolare il mercato delle opere pubbliche e di prevenirne le storture. L'impiego di parametri eccessivamente bassi (o, viceversa troppo elevati), comunque non in linea con le caratteristiche reali del settore imprenditoriale (come declinate in concreto con riguardo ad un dato territorio ed uno specifico frangente temporale), è in grado, infatti, di alterare il gioco della concorrenza ed impedire l'accesso al mercato in condizioni di parità. Questi ultimi sono valori a carattere sovraindividuale e di primaria importanza nell'ottica dello stesso Codice dei Contratti Pubblici e del diritto dell'Unione.
È, quindi, di tutta evidenza che la previsione di prezzari regionali operi nell'interesse precipuo degli operatori economici del settore operanti sul mercato, non tanto uti singuli, quanto come categoria unitaria.
La previsione in seno alla lex specialis di gara di una base d'asta non rispettosa dei valori stabiliti nel prezzario regionale ex art. art. 23, c. 16, 3° periodo, del D.Lgs. n. 50 del 2016 è circostanza che, nella prospettiva ex ante che deve caratterizzare la verifica in ordine alla sussistenza delle condizioni dell'azione, impedisce la formulazione di un'offerta seria da parte degli operatori economici interessati.
Ne discende che non può ragionevolmente pretendersi dagli stessi, ai soli fini del possesso della legittimazione ad agire in giudizio con l'impugnazione del Bando di gara, la presentazione di una domanda di partecipazione alla procedura di affidamento. Quest'ultimo si tramuterebbe, infatti, in un inutile adempimento formale, privo di qualsivoglia valenza sul piano sostanziale.
  
Il chiaro tenore dell'art. 23, c. 16, 3° periodo, del D.Lgs. n. 50 del 2016, secondo il quale "Per i contratti relativi a lavori il costo dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni è determinato sulla base dei prezzari regionali aggiornati annualmente", spinge a ritenere che le Stazioni Appaltanti siano tenute a fare puntuale applicazione dei prezzari regionali.
La previsione in parola non si esprime, infatti, in termini di mera possibilità (come accade aliunde ove si dice che la P.A. "può") ma pone un vero e proprio obbligo in tal senso. Del resto, anche a ritenere che il prezzario regionale non abbia valore "tout court" vincolante ma costituisca la base di partenza per l'elaborazione delle voci di costo della singola procedura, deve nondimeno ritenersi che in caso di eventuale scostamento da detti parametri di riferimento, la stazione appaltante sia tenuta a darne analitica motivazione (in questo senso cfr. anche la delibera A.N.A.C. n. 768 del 04.09.2019).
Ciò è vieppiù necessario ove tale scostamento sia particolarmente sensibile non potendosi tollerare una determinazione del prezzo a base d'asta completamente arbitraria in quanto priva del necessario apparato giustificativo
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 06.04.2021 n. 497 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

marzo 2021

APPALTIControinteressati nel rito appalti – Appalto integrato con progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori e progettista privo di requisiti.
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Processo amministrativo – Rito appalti – Controinteressato – Concorrente primo in graduatoria - Aggiudicazione non decretata – Non è controinteressato.
  
Contratti della Pubblica amministrazione – Progettazione - Appalto integrato - Progettista esterno sprovvisto di requisiti – Esclusione dalla gara – Condizione.
  
Prima della formale aggiudicazione della gara il primo graduato all’esito della procedura non riveste la qualifica di controinteressato, al quale il ricorso deve essere notificato (1).
  
Nell’appalto integrato, che comprende progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori, ai sensi dell’art. 59, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, è possibile la estromissione del soggetto sprovvisto del requisito e la sua eventuale sostituzione con altro soggetto che, viceversa, sia in possesso di tutti i requisiti di ordine generale, salvo il caso in cui il progettista esterno all’impresa si associ con quest’ultima ai fini della progettazione ma soprattutto ai fini dell’offerta, vale a dire si qualifica come offerente (2).
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   (1) Ha ricordato il C.g.a. che il concorrente primo in graduatoria, in assenza di un provvedimento di aggiudicazione, non rivestiva una posizione di controinteressato in senso tecnico.
Le gare di appalto, come tutte le procedure concorsuali, si caratterizzano per la loro articolazione in due fasi: la fase di ammissione alla procedura e la fase di svolgimento della gara vera e propria.
Nella fase di ammissione, il candidato è titolare di un interesse legittimo “strumentale” alla partecipazione, per cui vanta un interesse legittimo oppositivo alla esclusione, rispetto al quale non sussistono interessi qualificati di altri concorrenti a meno che non sia medio tempore intervenuta l’aggiudicazione in loro favore.
La fase di svolgimento della gara, invece, si contraddistingue per la scarsità dei beni della vita ai quali i concorrenti ammessi aspirano.
In particolare, nelle gare di appalto, il “bene della vita”, costituito dall’aggiudicazione, è unico, per cui, mentre nell’ammissione può essere eventualmente soddisfatto l’interesse legittimo “strumentale” di ogni candidato, in esito allo svolgimento della gara può essere soddisfatto uno e uno solo interesse legittimo “finale” ad ottenere l’affidamento dell’appalto.
La vicenda contenziosa all’esame attiene alla fase dell’ammissione, in quanto, sebbene la gara si sia svolta e sia stata formata la graduatoria, la stazione appaltante non ha ancora proceduto all’aggiudicazione ed ha escluso dalla procedura le prime due classificate.
In altri termini, non rileva la circostanza che la gara, al momento di proposizione del ricorso, è già stata espletata, con la formazione della relativa graduatoria.
   (2) Ha ricordato il C.g.a. l’appalto in discorso è un appalto integrato comprende progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori, ai sensi dell’art. 59, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici.
L’appalto integrato è caratterizzato dal fatto che l’oggetto negoziale è unico, nel senso che non vi è una doppia gara, una per la progettazione, l’altra per l’esecuzione dei lavori, ma un’unica gara, con un unico aggiudicatario, che diviene il solo contraente della stazione appaltante per tutte le prestazioni pattuite.
Il comma 1-bis dell’art. 59, d.lgs. n. 50 del 2016, in proposito, stabilisce che “le stazioni appaltanti possono ricorrere all’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori sulla base del progetto definitivo dell’amministrazione aggiudicatrice nei casi in cui l’elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell’appalto sia nettamente prevalente rispetto all’importo complessivo dei lavori” e specifica che “i requisiti minimi per lo svolgimento della progettazione oggetto del contratto sono previsti nei documenti di gara nel rispetto del presente codice e del regolamento di cui all’articolo 216, comma 27-octies; detti requisiti sono posseduti dalle imprese attestate per prestazioni di sola costruzione attraverso un progettista ‘raggruppato’ o ‘indicato’ in sede di offerta, in grado di dimostrarli, scelto tra i soggetti di cui all’articolo 46, comma”.
Una previsione sostanzialmente simile era contenuta nell’art. 53, comma 3, del previgente d.lgs. n. 163 del 2006.
Il progettista, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, quindi, può essere individuato e coinvolto in tre modi: a) mandante in raggruppamento temporaneo “eterogeneo” con gli operatori economici che partecipano per l’appalto o alla concessione dei lavori e, in tal caso, assume anche la qualifica di offerente; b) indicato ma estraneo all’offerente (cfr. sul tema Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 09.07.2020, n. 13), cosiddetto ausiliario che presta un “avvalimento atipico”; c) appartenente allo staff tecnico dell’offerente che concorre per i lavori, a tale scopo contrattualizzato da quest’ultimo operatore economico; in tal caso, lo staff tecnico può essere costituito anche da più professionisti contrattualizzati individualmente in quanto assunti a tempo indeterminato e a tempo pieno, quindi integrati nell’impresa con un rapporto diretto.
Se lo staff tecnico dell’impresa non ha i requisiti tecnico-professionali per la progettazione, l’impresa concorrente deve ricorrere a una delle fattispecie sub a) o sub b).
Nella specie l’art. 10 del disciplinare di gara, coerentemente con la descritta normativa, ha disposto che i soggetti in possesso di attestazione SOA per la sola costruzione, ai sensi dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016, devono alternativamente: indicare, in sede di offerta, un progettista, sia esso persona fisica o giuridica, qualificato per l’attività di progettazione, in possesso dei requisiti progettuali e di regolare abilitazione professionale ad operare nello Stato italiano, al quale saranno affidate in subappalto le attività di progettazione (Progettista “indicato”); associare, quale mandante di raggruppamento temporaneo di tipo verticale assegnatario della progettazione, uno dei soggetti elencati all’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 e s.m.i., in possesso dei requisiti progettuali di cui al successivo punto 10.2 (Progettista “associato”).
Il citato art. 10, inoltre, dispone che non è ammessa, pena l’esclusione, la partecipazione alla gara di quei concorrenti che si avvalgono di progettisti “indicati” o “associati” per i quali sussistono le cause ostative alla partecipazione indicate nel paragrafo (vale a dire, i motivi di esclusione di cui all’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 13 del 09.07.2020, ha chiarito che la posizione giuridica del “progettista indicato” dall’impresa che ha formulato l’offerta, è quella di un prestatore d’opera professionale che non entra a far parte della struttura societaria che si avvale della sua opera, e men che meno rientra nella struttura societaria
Il concorrente ed il “progettista indicato” rimangono due soggetti distinti, che svolgono funzioni differenti, con conseguente diversa distribuzione delle responsabilità.
Con la decisione n. 13 del 2020, l’Adunanza Plenaria, pertanto, confermando la posizione maggioritaria della giurisprudenza, ha affermato che il progettista “indicato” va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo, sicché non rientra nella figura del concorrente e, infatti, ha espresso il seguente principio di diritto: “il progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia dell’articolo 53, comma [3], del decreto legislativo n. 163 del 2006, va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo. Pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da quella dell’Unione europea. Sicché non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione che esso è riservato all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti pubblici, ora abrogato e sostituito dal decreto legislativo n. 50 del 2016, che espressamente lo vieta”.
Ha aggiunto la Sezione che accertata l’assenza di uno dei requisiti generali nel progettista indicato, l’offerente debba essere automaticamente escluso, come avvenuto nel caso di specie, ovvero sia possibile la estromissione del soggetto sprovvisto del requisito e la sua eventuale sostituzione con altro soggetto che, viceversa, sia in possesso di tutti i requisiti di ordine generale.
La qualificazione del progettista indicato come di un soggetto diverso dai concorrenti alla procedura determina che in caso di raggruppamento di progettisti -quantomeno nelle ipotesi in cui il soggetto da estromettere non sia stato determinante per la costituzione del raggruppamento, avendo contribuito in modo essenziale a “portare” i requisiti di qualificazione necessari alla partecipazione- il concorrente non possa essere per ciò solo escluso a seguito dell’accertata carenza di un requisito di carattere generale del progettista indicato, essendo consentita la sua estromissione, nel caso di specie dal RTP dei progettisti, e la sua sostituzione.
In altri termini, non essendo un offerente, ma un collaboratore (o, più propriamente, un ausiliario) del concorrente, deve ritenersi possibile la estromissione e l’eventuale sostituzione del progettista indicato con altro professionista, non incorrendosi in una ipotesi di modificazione dell’offerta, né di modificazione soggettiva del concorrente.
Un trattamento diverso, invece, deve essere riservato al caso nel quale il progettista esterno all’impresa si associa con quest’ultima ai fini della progettazione ma soprattutto ai fini dell’offerta, vale a dire si qualifica come offerente.
La differenza si rivela evidente, poiché, trattandosi di offerente, il progettista “associato”, non solo, al pari del progettista “indicato”, è coinvolto direttamente dai motivi di esclusione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti pubblici ma, a differenza del progettista “indicato”, è decisamente arduo ritenere che possa essere estromesso o sostituito, in quanto ciò determinerebbe una modificazione dell’offerta e dell’offerente, per cui la sua esclusione è destinata a riflettersi, travolgendolo, sull’intero raggruppamento temporaneo tra l’impresa e il progettista.
D’altra parte, deve ritenersi che escludere in via automatica il concorrente per una carenza riscontrata in capo ad un soggetto allo stesso estraneo costituisce un esito contrario ai principi comunitari di cui all’art. 57, comma 3, della Direttiva UE 2014/24, ed in particolare a quello di proporzionalità (cfr. in proposito, sia pure in tema di subappalto, Corte di giustizia dell’Unione Europea 30.01.2020, in causa C-395/2019).
Nel caso sottoposto all’esame del C.g.a. la clausola della lex specialis, facendo riferimento anche ai progettisti “indicati”, ha chiaramente disposto l’esclusione per fattispecie come quelle in esame, né tale clausola è stata oggetto di impugnazione.
Tuttavia, l’esclusione dalla gara per inosservanza delle previsioni della lex specialis può essere disposta solo ove tali previsioni siano poste a tutela di un interesse pubblico effettivo e rilevante, sicché, nell’ottica di favorire la realizzazione delle finalità sottese alla normativa in materia, attraverso il fondamentale canone del favor partecipationis è in atto un processo di dequotazione delle carenze formali o, comunque, superabili che precludono l’accesso alla gara, di cui sono testimoni, in particolare, l’introduzione del principio di tassatività delle fonti delle cause di esclusione e l’ampliamento del c.d. soccorso istruttorio.
Il principio della tassatività delle fonti delle cause di esclusione, in origine introdotto, attraverso il comma 1-bis dell’art. 46, d.lgs. n. 163 del 2016, dal d.l. n. 70 del 2011, è ora contenuto nell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, il quale, nella parte finale, sancisce che “I bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
Ora, non c’è dubbio che la causa di esclusione di cui all’art. 10 del disciplinare sia correttamente mutuata dall’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, che disciplina per l’appunto i motivi di esclusione dalle gare pubbliche. Tuttavia, il detto art. 80 si riferisce alla “esclusione di un operatore economico dalla partecipazione”, sicché si riferisce agli offerenti, vale a dire alle imprese concorrenti, laddove, come si è illustrato, il progettista “indicato” non è un offerente, perché costituisce un soggetto affatto diverso dal concorrente, per cui non può ritenersi che la disposizione di legge si riferisca anche ai progettisti “indicati”.
Ne consegue che, a prescindere dalla mancata impugnazione, la clausola deve essere dichiarata nulla, perché contiene una causa di esclusione non prevista dal codice dei contratti pubblici o da altra disposizione di legge (
CGARS, sentenza 31.03.2021 n. 276 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Principio dell’unicità dell’offerta.
L’art. 32, comma 4, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50 che stabilisce che ciascun concorrente non può presentare più di un’offerta.
l principio di unicità dell’offerta, che impone agli operatori economici di presentare una sola proposta tecnica e una sola proposta economica, al fine di conferire all’offerta un contenuto certo ed univoco, è posto a presidio:
   - da un lato– del buon andamento, dell’economicità e della certezza dell’azione amministrativa, per evitare che la stazione appaltante sia costretta a valutare plurime offerte provenienti dal medesimo operatore economico, tra loro incompatibili, e che perciò venga ostacolata nell’attività di individuazione della migliore offerta, e
   - dall’altro– a tutela della par condicio dei concorrenti, poiché la pluralità delle proposte attribuirebbe all’operatore economico maggiori possibilità di ottenere l’aggiudicazione o comunque di ridurre il rischio di vedersi collocato in posizione deteriore, a scapito dei concorrenti fedeli che hanno presentato una sola e univoca proposta corrispondente alla prestazione oggetto dell’appalto, alla quale affidare la loro unica ed esclusiva chance di aggiudicazione.
La presentazione di un’unica offerta capace di conseguire l'aggiudicazione, infatti, è il frutto di un’attività di elaborazione nella quale ogni impresa affronta il rischio di una scelta di ordine tecnico, che la stazione appaltante rimette alle imprese del settore, ma che comporta una obiettiva limitazione delle possibilità di vittoria.
Alla luce di quanto sopra, dunque, la possibilità di presentare una pluralità di offerte o offerte alternative, comportando l’opportunità di sfruttare una pluralità di opzioni, non potrebbe mai essere accordata o riservata ad una sola impresa concorrente, ma dovrebbe comunque essere garantita a tutte le partecipanti in nome della par condicio e, pertanto, prevista e regolata nella lex specialis
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4. Sulla questione oggetto del presente giudizio, l’articolo 32, comma 4, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50, prevede che “ciascun concorrente non può presentare più di un’offerta”.
Il principio di unicità dell’offerta, che impone agli operatori economici di presentare una sola proposta tecnica e una sola proposta economica, al fine di conferire all’offerta un contenuto certo ed univoco, è posto a presidio –da un lato– del buon andamento, dell’economicità e della certezza dell’azione amministrativa, per evitare che la stazione appaltante sia costretta a valutare plurime offerte provenienti dal medesimo operatore economico, tra loro incompatibili, e che perciò venga ostacolata nell’attività di individuazione della migliore offerta, e –dall’altro– a tutela della par condicio dei concorrenti, poiché la pluralità delle proposte attribuirebbe all’operatore economico maggiori possibilità di ottenere l’aggiudicazione o comunque di ridurre il rischio di vedersi collocato in posizione deteriore, a scapito dei concorrenti fedeli che hanno presentato una sola e univoca proposta corrispondente alla prestazione oggetto dell’appalto, alla quale affidare la loro unica ed esclusiva chance di aggiudicazione.
La presentazione di un’unica offerta capace di conseguire l'aggiudicazione, infatti, è il frutto di un’attività di elaborazione nella quale ogni impresa affronta il rischio di una scelta di ordine tecnico, che la stazione appaltante rimette alle imprese del settore, ma che comporta una obiettiva limitazione delle possibilità di vittoria (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 14.09.2010, n. 6695; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 25.05.2020, n. 928; TAR Piemonte, Sez. I, 11.02.2019, n. 193).
Alla luce di quanto sopra, dunque, la possibilità di presentare una pluralità di offerte o offerte alternative, comportando l’opportunità di sfruttare una pluralità di opzioni, non potrebbe mai essere accordata o riservata ad una sola impresa concorrente, ma dovrebbe comunque essere garantita a tutte le partecipanti in nome della par condicio e, pertanto, prevista e regolata nella lex specialis (cfr. TAR Lombardia, Milano, n. 928/2020 cit.) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.03.2021 n. 836 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Correzioni di errori materiali da parte della commissione di gara.
Il TAR Brescia precisa che la circostanza che siano note le offerte economiche non costituisce un ostacolo per la commissione per correggere i propri errori, in quanto la stazione appaltante può correggere i propri errori fino al momento dell’aggiudicazione.
Occorre naturalmente evitare che nella correzione si insinuino elementi discrezionali sospettabili di avere finalità ulteriori, come, ad esempio, l’alterazione dei rapporti tra le offerte tecniche o il ridimensionamento del peso delle offerte economiche; la condizione che garantisce dal rischio e dal sospetto di manipolazioni è costituita dal fatto che la commissione giudicatrice operi per addizione o sottrazione di punteggio nel rispetto dello schema decisorio stabilito in precedenza.
L’intervento correttivo deve, quindi, svolgersi secondo parametri oggettivi che abbiano un sicuro ancoraggio nella lex specialis e nelle scelte di metodo adottate ex ante dalla commissione giudicatrice, oltre che nelle regole della materia note a tutti gli operatori economici
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 29.03.2021 n. 302 - commento tratto da h
ttps://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
Sul riesame delle offerte
27. Dopo l’inutile attesa dell’integrazione documentale, appare corretta la decisione del RUP e della Centrale Unica di Committenza di riconvocare la commissione giudicatrice per adeguare i punteggi alle reali caratteristiche dell’offerta della ricorrente.
28. La circostanza che fossero ormai note le offerte economiche non costituisce un ostacolo, in quanto la stazione appaltante può correggere i propri errori fino al momento dell’aggiudicazione (v. CS Sez. III 28.09.2020 n. 5711).
Occorre naturalmente evitare che nella correzione si insinuino elementi discrezionali sospettabili di avere finalità ulteriori, come ad esempio l’alterazione dei rapporti tra le offerte tecniche o il ridimensionamento del peso delle offerte economiche. La condizione che garantisce dal rischio e dal sospetto di manipolazioni è costituita dal fatto che la commissione giudicatrice operi per addizione o sottrazione di punteggio nel rispetto dello schema decisorio stabilito in precedenza.
29. L’intervento correttivo deve quindi svolgersi secondo parametri oggettivi, che abbiano un sicuro ancoraggio nella lex specialis e nelle scelte di metodo adottate ex ante dalla commissione giudicatrice, oltre che nelle regole della materia note a tutti gli operatori economici.

APPALTIAmmissibilità dell’avvalimento premiale.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Avvalimento premiale – Ammissibilità.
L’istituto dell’avvalimento rileva non solo ai fini della qualificazione ma anche per la valutazione dell’offerta (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che la problematica dell’avvalimento c.d. premiale (che evoca, in buona sostanza, la praticabilità del suo utilizzato anche ai fini del riconoscimento di un punteggio maggiore nella valutazione dell'offerta tecnica, ove essa sia formulata tenendo in considerazione le competenze, risorse e capacità effettivamente trasferite all’operatore economico ausiliato) ha diviso la giurisprudenza del giudice amministrativo.
Invero a fronte di un orientamento sostanzialmente favorevole e prima facie generalizzante (che muove dalla considerazione che ciò che è oggetto del contratto di avvalimento entri a fare organicamente parte della complessiva offerta presentata dalla concorrente: C.g.a. 15.04.2016, n. 109), si trova affermato un avviso apparentemente preclusivo (da ultimo ribadito –peraltro, con riferimento ad una fattispecie in cui l’ausiliata era già in possesso, in proprio, dei requisiti di partecipazione– da Cons. Stato, sez. V, 16.03.2020, n. 1881) ed uno in certo senso intermedio, che lo esclude nei casi in cui l’elemento di valutazione dell’offerta consista in un requisito soggettivo o curriculare, ammettendolo per i requisiti speciali.
Ad avviso della Sezione, però, si tratti di un contrasto piuttosto apparente che reale.
Come è noto, la funzione essenziale dell’istituto è quella di legittimare, nella prospettiva proconcorrenziale del favor partecipationis, l’ampliamento della platea dei potenziali concorrenti alle procedure evidenziali, attraverso l’abilitazione all’accesso di operatori economici che, pur privi dei necessari requisiti, dei mezzi e delle risorse richieste dalla legge di gara, siano in grado di acquisirli grazie all’apporto collaborativo di soggetti terzi, che ne garantiscano la messa a disposizione per la durata del contratto.
La complessiva logica ‘economica’ sottesa al meccanismo partecipativo si traduce, sul piano ‘giuridico’, nella valorizzazione –in un contesto negoziale trilaterale, operante sia sul piano interno dei “legami” (peraltro formalmente non tipizzati) tra la concorrente ausiliata e l’impresa ausiliaria che sul piano esterno dei rapporti con la stazione appaltante (cfr. art. 89, comma 1 d.lgs. n. 50/2016, che pretende la formalizzazione di apposita dichiarazione promissoria impegnativa indirizzata ad utramque)– di una effettiva ‘messa a disposizione’ di risorse di carattere economico, finanziario tecnico o professionale (corrispondenti al c.d. requisiti speciali, di ordine oggettivo, concretanti criteri di selezione delle offerte, ex art. 83 d.lgs. cit.) che, ferma restando la formale imputazione della esecuzione (cfr. art. 89, comma 8), giustifica (anche laddove l’ausiliaria non assuma, come pure è astrattamente possibile, il ruolo di impresa associata o subappaltatrice: cfr., rispettivamente, art. 89, commi 1 e 8) la responsabilità solidale per l’esatto adempimento (cfr. art. 89, comma 5).
Per tal via, la (concreta) funzione dell’avvalimento (che ne fonda e, ad un tempo, ne limita la meritevolezza sul piano civilistico dei programmati assetti negoziali e la legittimità sul piano pubblicistico della dinamica procedimentale evidenziale) si specifica in relazione alla sua chiarita attitudine a dotare un operatore economico (che ne fosse privo) dei requisiti economico-finanziari, delle risorse professionali e dei mezzi tecnici “necessari per partecipare ad una procedura di gara”.
Sta in ciò (di là dalla distinzione tra avvalimento operativo ed avvalimento tutorio, rispettivamente operanti sul piano della prestazione divisata o della mera funzione di garanzia della serietà e qualità dell’offerta) il fondamento, diffusamente ribadito in giurisprudenza (cfr., da ultimo, la ricordata Cons. Stato n. 1881 del 2020), del divieto dell’avvalimento (meramente) premiale, il cui scopo (che trasmoda in alterazione, piuttosto che di implementazione, della logica concorrenziale) sia, cioè, esclusivamente quello di conseguire (non sussistendo alcuna concreta necessità dell’incremento delle risorse) una migliore valutazione dell’offerta.
Appare, in altri termini, dirimente la circostanza che il ricorso all’istituto operi a favore di un operatore che, in difetto, sarebbe effettivamente privo dei requisiti di partecipazione (alla cui acquisizione è, per tal via, concretamente funzionale l’apporto operativo dell’impresa ausiliaria) ovvero di chi –potendo senz’altro concorrere, avendone mezzi e requisiti– miri esclusivamente a alla (maggior) valorizzazione della (propria) proposta negoziale: nel qual caso la preclusione deve essere, propter tenorem rationis, correlata all’abuso di avvalimento, che lo trasforma, di fatto, in un mero escamotage per incrementare il punteggio ad una offerta cui nulla ha concretamente da aggiungere la partecipazione ausiliaria.
Con più lungo discorso, appare del tutto fisiologica l’eventualità che l’operatore economico concorrente ricorra all’avvalimento al fine di conseguire requisiti di cui è carente e, nello strutturare e formulare la propria offerta tecnica, contempli nell’ambito della stessa anche beni prodotti o forniti dall’impresa ausiliaria ovvero mezzi, attrezzature, risorse e personale messi a disposizione da quest’ultima: nel qual caso è evidente che i termini dell’offerta negoziale devono poter essere valutati ed apprezzati in quanto tali, con l’attribuzione dei relativi punteggi, nella prospettiva di una effettiva messa a disposizione della stazione appaltante all’esito dell’aggiudicazione e dell’affidamento del contratto.
Deve, per contro, ritenersi precluso che il concorrente si avvantaggi, rispetto agli altri, delle esperienze pregresse dell’ausiliaria, ovvero di titoli o di attributi spettanti a quest’ultima (che, in quanto tali, non qualifichino operativamente ed integrativamente il tenore dell’offerta e non siano, perciò, oggetto di una prospettica e specifica attività esecutiva): ciò che, appunto, deve segnatamente dirsi nella ipotesi in cui il concorrente possegga già, in proprio, le risorse necessarie per l’esecuzione della commessa e ricorra all’ausilio all’esclusivo (ed evidentemente immeritevole) fine di conseguire un mero punteggio incrementale, cui non corrisponderebbe una reale ed effettiva qualificazione della proposta.
Del resto, a diversamente opinare, non solo si negherebbe la stessa ratio proconcorrenziale dell’istituto, ma si finirebbe per contraddire il canone di par condicio dei competitori, per i quali non sussistono, sul piano generale, preclusioni di sorta alla possibilità di indicare, nell’offerta, beni prodotti da altre imprese ovvero mezzi, personale e risorse, la cui disponibilità fosse acquisita in forza di contratti di subappalto o di subfornitura o di qualunque altro tipo di contratto idoneo.
In questo senso, anzi, trova piena giustificazione la generità tipologica che connota, per espressa opzione positiva, l’avvalimento, il cui tratto essenziale (fatto palese dalla evidente labilità connotativa della relativa formula linguistica) è proprio quello della irrilevanza, per la stazione appaltante, della natura dei rapporti sottostanti tra il concorrente ausiliato e l’impresa ausiliaria, in quanto ciò che occorre accertare è solo che il primo dimostri di poter disporre, a qualsiasi titolo, dei mezzi della seconda.
Se così è, l’avvalimento rileva non solo soli ai fini della qualificazione ma anche per la valutazione dell’offerta (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.03.2021 n. 2526 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Regolarità fiscale e contributiva dei partecipanti alle gare pubbliche.
Il TAR Milano aderisce all’indirizzo giurisprudenziale sull’interpretazione dell’art. 80, comma 4, del Codice dei contratti pubblici in ordine alla regolarità fiscale e contributiva dei partecipanti alle gare pubbliche, secondo cui l’impresa deve essere in regola con i propri obblighi fiscali sin dal momento di presentazione dell’offerta, non essendo consentite regolarizzazioni postume della propria posizione (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 24.03.2021 n. 764 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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2. La tesi di parte esponente, per quanto suggestiva e ben argomentata, non convince il Collegio.
In via preliminare, pare utile richiamare il pacifico indirizzo della giurisprudenza amministrativa sull’interpretazione dell’art. 80, comma 4, del Codice -in ordine alla regolarità fiscale e contributiva dei partecipanti alle gare pubbliche- secondo cui l’impresa deve essere in regola con i propri obblighi fiscali sin dal momento di presentazione dell’offerta, non essendo consentite regolarizzazioni postume della propria posizione; sul punto sia consentito il rinvio, fra le tante, alle sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, n. 6760/2020, che recita: «La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è costante e pacifica nel senso dell’inammissibilità di regolarizzazioni postume di irregolarità previdenziali ed assistenziali (ex multis, III Sezione, sentenza n. 5034/2017).
Si è, in particolare, posto in evidenza che "La citata sentenza Cons. Stato, Ad. plen., n. 6/2016 ha confermato l'indirizzo per cui non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, perché l'impresa dev'essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali e assistenziali fin dalla presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva: principio già espresso da Cons. Stato, Ad. plen., 04.05.2012, n. 8, non superato dall'art. 31, comma 8, d.l. 21.06.2013, n. 69, Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, convertito dalla l. 09.08.2013, n. 98, relativa al c.d. "preavviso di DURC negativo".
Infine, "nelle gare di appalto per l'aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all'aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell'esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità" (Cons. Stato, Adunanza Plenaria 20.07.2015 n. 8)" (Consiglio di Stato Sezione V 19.02.2019, n. 1141)
» (sul punto, anche TAR Veneto, Sez. I, n. 378/2021, con la giurisprudenza ivi richiamata).

APPALTIObblighi dichiarativi del concorrente ad una gara pubblica in caso di “grave illecito professionale” e titolarità della quota “sovrana” del capitale sociale.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Per omessa dichiarazione ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 – Socio titolare di quota “sovrana” del capitale sociale – Obbligo.
Ai fini degli obblighi dichiarativi del concorrente ad una gara pubblica in caso di “grave illecito professionale”, considerata la centralità dell’assemblea e delle sue decisioni rispetto alle vicissitudini societarie, la titolarità della quota “sovrana” del capitale sociale risulta essere certamente influente, soprattutto nel caso in cui la quota di partecipazione sia di oltre 2/3 del capitale sociale.
Pertanto, è facoltà della stazione appaltante desumere il compimento di “gravi illeciti” da ogni vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico -da intendersi complessivamente inteso, dunque anche in conseguenza degli illeciti del socio sovrano- di cui sia accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (1).

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   (1) Ha chiarito la Sezione che, quanto all’asserita “tassatività” dei reati elencati nell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, vale il generale principio (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22.10.2018, n. 6016) per cui tra le condanne rilevanti ai sensi del comma 3 del citato art. 80, ai fini dell’esclusione dalla gara vanno incluse non solo quelle specificamente elencate ai commi 1 e 2, ma anche quelle comunque incidenti, ai sensi del comma 5, sull’affidabilità dell’impresa.
Non è possibile distinguere concettualmente l’impresa quale “entità giuridica” - “operatore economico” di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 dai soggetti (aventi cariche gestorie) di cui all’art. 80, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016 per il cui tramite, in ragione delle loro funzioni di amministrazione e controllo, essa concretamente opera. Diversamente opinando si addiverrebbe all’effetto aberrante di escludere la rilevanza di qualsiasi sentenza di condanna ai fini della valutazione di affidabilità sottesa al precetto dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, posto che la responsabilità penale riguarda le sole persone fisiche e non le imprese. Pertanto, le figure gestorie la cui attività rileva ai fini di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 non possono non essere le stesse individuate dall’art. 80, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016.
La Sezione ha aggiunto che non è possibile distinguere tra la condotta riprovevole del socio persona fisica e quella integerrima della società non coglie nel segno. Invero, quando l’illecito professionale è consequenziale a una condanna penale (pur non passata in giudicato) la valutazione di inaffidabilità morale è effettuata a carico dell’ente in virtù di una fictio iuris, essendo essa indirizzata in realtà verso coloro che ne hanno la direzione o sono capaci di orientarne le scelte, come certamente accade in ipotesi di socio “sovrano” di maggioranza (pur cessato, come nel caso di specie, nell’anno antecedente la pubblicazione del bando per cui è causa, e quindi comunque rientrante nella elencazione di soggetti muniti di cariche gestorie ex art. 80, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016).
Le Linee Guida dell’ANAC del 2016 (revisionate nel 2017) da un lato hanno rimarcato il carattere meramente esemplificativo e non tassativo dell’elencazione contenuta nelle stesse Linee Guida in ordine alla individuazione del concetto di grave illecito professionale ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 e la connotazione di clausola aperta propria del “grave illecito professionale” di cui al citato comma 5, lett. c) (cfr. par. II delle stesse Linee Guida) che può comprendere sia le condanne non definitive per le fattispecie di reato di cui al comma 1, sia le condanne (anche non definitive) per fattispecie di reato diverse da quelle tassativamente indicate al comma 1, dall’altro lato, al par. III, hanno rilevato che “I gravi illeciti professionali assumono rilevanza ai fini dell’esclusione dalla gara quando sono riferiti direttamente all’operatore economico o ai soggetti individuati dall’art. 80, comma 3 e comma 5, del Codice), e quindi con una affermazione perfettamente in linea con la giurisprudenza amministrativa prevalente. Come chiarito dal giudice di appello (Cons. Stato, sez. IV, 31.12.2020, n. 8563) “l’art. 80, comma 5, lett. c) - ora lett. c-bis), d.lgs. n. 50 del 2016, allorché fa riferimento alla nozione di “grave illecito professionale”, costituisce una norma tendenzialmente “aperta”, che introduce una clausola generale, che dà rilievo ad ogni possibile accadimento idoneo a incidere sull’affidabilità del concorrente, purché esso abbia attinenza con la vita professionale dell’impresa”.
Con riferimento poi alla titolarità di una quota maggioritaria del capitale sociale da parte di un socio, ha affermato la Sezione che anche a voler ammettere che la gestione “diretta” dell’impresa sia rimessa all’organo amministrativo, l’ultima parola spetterebbe in ogni caso all’assemblea, in quanto è proprio alla competenza generale dell’assemblea -si noti, il solo organo chiamato a rappresentare la collettività dei soci- che la legge a monte (artt. 2364 e ss. cod. civ.) e i singoli statuti societari a valle rimettono tutta una serie di determinazioni nient’affatto marginali rispetto alla vita della società e all’economia della sua gestione. Si tratta, infatti, di uno degli organi sociali fondamentali.
​​​​​​Peraltro, è bene osservare che l’organo amministrativo “dipende” proprio dall’assemblea dei soci, alla quale sola spetta deliberare su nomina e revoca degli amministratori -così come, del resto, anche di tutte le altre cariche sociali- nonché sulla loro responsabilità, ai sensi degli artt. 2364 e 2479 cod. civ..
L’assemblea dei soci rivestire dunque un ruolo determinante nella gestione dell’impresa.
Dunque, considerata la centralità dell’assemblea e delle sue decisioni rispetto alle vicissitudini societarie, va da sé che la titolarità della quota “sovrana” del capitale sociale risulta tutt’altro che ininfluente. Tale conclusione tanto più in caso di possesso di un rilevante pacchetto azionario.
Stanti i quorum richiesti dagli artt. 2368, 2479 e 2479-bis cod. civ. il 74% delle azioni equivale ad avere un potere decisionale in assemblea (ordinaria e straordinaria) pressoché illimitato ed incondizionato.
È ritenuto “socio sovrano” il socio persona fisica o società che detiene la larga maggioranza del capitale di una società; dunque il socio che in una società in cui vige il principio maggioritario, avendo il dominio dell’assemblea ordinaria e straordinaria, ha il potere di nomina esclusiva degli amministratori e dei sindaci e può decidere le modifiche dell’atto costitutivo e determinare le decisioni più rilevanti. Svolge, quindi, per effetto della propria partecipazione di maggioranza, un ruolo dominante all’interno della compagine societaria, determinando e condizionando, con scelte personali, l’attività della società.
Il socio di società di capitali che partecipi al capitale sociale in una misura capace di assicurargli la maggioranza richiesta per la validità delle deliberazioni assembleari (in sede ordinaria e straordinaria), sicché, in concreto, dalla sua volontà finiscono per dipendere la nomina e la revoca degli amministratori, l’irrogazione delle sanzioni disciplinari, l’assunzione di lavoratori e il loro licenziamento, l’esercizio del potere direttivo e di controllo sul personale, si presenta come l’effettivo e solo titolare del potere gestionale, si da risultare vero e proprio “sovrano” della società stessa” (Cass. civ., sez. lavoro, 05.05.1998, n. 4532).
Il socio sovrano non si limita ad esercitare i diritti amministrativi e patrimoniali che derivano dalla sua partecipazione sociale, ma utilizza il potere in godimento per impartire direttive agli amministratori della società e, dunque, per esercitare il potere di governo della stessa.
Qualora dall’esercizio delle sue prerogative consegua una violazione dei principi del diritto societario o derivino danni alla società, la giurisprudenza ammette la possibilità di utilizzare l’art. 2497 cc., potendosi configurare la fattispecie di responsabilità da abuso della personalità giuridica che deriva dalla direzione unitaria della società, nonché l’art. 2476 c.c., fattispecie di responsabilità in cui incorre il soggetto che, con la sua azione dolosa o colposa, provoca danni nell’amministrazione della società.
Sono entrambe azioni di responsabilità risarcitoria per danni provocati alla società, non potendo al socio sovrano di una società di capitali essere imputata alcuna forma di responsabilità patrimoniale.
La circostanza che un socio disponga, direttamente e/o indirettamente -nella specie attraverso un’Anstalt dal medesimo fondata- dell’intero capitale sociale di una società di capitale, non comporta la confusione del patrimonio personale del primo con quello della seconda, e perciò i creditori dell’uno, pur se socio sovrano o tiranno, non possono aggredire i beni dell’altra, sottraendoli alla loro primaria funzione di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni sociali. Invece, proprio per rafforzare questa funzione, a norma dell’art. 2497 secondo comma, cod. civ., nella formulazione previgente a quella introdotta dall’art. 7 del DLG 03.03.1993 n. 88, nel caso di insolvenza di una società a responsabilità limitata, per le obbligazioni sorte nel periodo in cui le quote sociali siano appartenute ad un solo socio, questi ne rispondeva illimitatamente con il suo patrimonio” (Cass. Civ., sez. II, 16.11.2000, n. 14870).
È configurabile una holding di tipo personale allorquando una persona fisica, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie, svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle società medesime, non limitandosi, così, al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio … non sussiste incompatibilità tra la contemporanea sussistenza di un holder persona fisica e una società capogruppo delle società dirette dal primo: si tratta di una possibile coesistenza sia fenomenica (attenendo a due assetti organizzativi che possono emergere in fatto accanto alla regolazione formale dell’assetto giuridico-societario), sia giuridico-valoriale (ciascuna entità essendo esposta a regole di responsabilità proprie di comparti non di per sé sovrapponibili)” (Cass. Civ., sez. I, 27.01.2017, n. 5520).
Il socio sovrano può, dunque, esercitare, di fatto, l’amministrazione delle società del gruppo.
​​​​​​​In conclusione, nel caso in cui -come nella fattispecie in esame- il socio di maggioranza detenga oltre i 2/3 del capitale sociale, la “sovranità” può pacificamente ritenersi in re ipsa.
​​​​​​​Da tanto consegue che è sicuramente riconosciuta la facoltà della stazione appaltante di desumere il compimento di “gravi illeciti” da ogni vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico (qui da intendersi complessivamente inteso, dunque anche in conseguenza degli illeciti del socio sovrano) di cui sia accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 08.10.2020, n. 5967; id. 14.04.2020, n. 2389).
Spetta alla stazione appaltante, nell’esercizio di ampia discrezionalità, apprezzare autonomamente le pregresse vicende professionali dell’operatore economico, persino se non abbiano dato luogo ad un provvedimento di condanna in sede penale o civile, perché essa sola può fissare il “punto di rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente” (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2020, n. 4100; id. 06.04.2020, n. 2260; id. 17.09.2018, n. 5424; Cass. civ., Sez. Unite, 17.02.2012, n. 2312) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 24.03.2021 n. 495 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIConcessione servizio di distribuzione automatica di bevande e prodotti alimentari preconfezionati e obbligo di indicazione separata di costi di manodopera e di sicurezza.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Concessione – Concessione servizi - Servizio di distribuzione automatica di bevande e prodotti alimentari preconfezionati – Presso istituti scolastici - È concessione servizi ex art. 3, comma 1, lett. vv), d.lgs. n. 50 del 2016.
  
Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Indicazione separata dei costi di manodopera e degli oneri di salute e di sicurezza - Art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 – Concessione servizio di distribuzione automatica di bevande e prodotti alimentari preconfezionati – Inapplicabilità.
  
La gara bandita da un Istituto scolastico per l’affidamento in concessione del servizio di distribuzione automatica di bevande e prodotti alimentari preconfezionati presso le proprie sedi ha ad oggetto una “concessione di servizi” ex art. 3, comma 1, lett. vv), d.lgs. n. 50 del 2016, che l’Istituto scolastico intende affidare a terzi accompagnata da una concessione d’uso di spazio pubblico; infatti, anche a voler prescindere dalla espressa qualificazione di concessione di servizi fornita dalla stazione appaltante, l’oggetto della gara è costituito da un contratto a titolo oneroso con cui la stazione appaltante affida ad un operatore economico la gestione di un servizio riconoscendo a titolo di corrispettivo il diritto di gestire il servizio, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dello stesso, per cui l’oggetto della gara rientra esattamente nella definizione di concessione di servizi scolpita dal codice dei contratti pubblici (1).
  
L’obbligo di indicazione separata dei costi di manodopera e degli oneri di salute e di sicurezza -prevista dall’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 e astrattamente applicabile anche ai contratti di concessione ai sensi dell’art. 164, comma 2, dello stesso Codice, secondo cui alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di servizi si applicano “per quanto compatibili”, le disposizioni relative ai “criteri di aggiudicazione”– non si estende alla concessione del servizio di distribuzione automatica di bevande e prodotti alimentari preconfezionati, nella quale la componente “umana” del servizio assume rilievo minimo (2).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che per servizio di ristorazione mediante distributori automatici (servizio coincidente con quello oggetto della procedura di gara), si intende la gestione economico-funzionale del servizio di ristoro a mezzo di distributori automatici di alimenti, bevande e altri generi di conforto da collocarsi presso i locali dell’Istituzione; tale servizio comprende anche lo svolgimento di attività accessorie quali, a titolo esemplificativo, la consegna, l’installazione e la messa in esercizio dei distributori nonché la manutenzione.
In tal caso, così come nel più ampio servizio di ristorazione mediante bar, accanto all’affidamento del servizio, l’Istituzione concede al gestore l’utilizzo degli spazi interni necessari all’esercizio dell’attività (concessione di bene pubblico), con specifico riferimento alle aree nelle quali è ubicato il bar o. come nel caso di specie, sulle quali vengono installati i distributori. Il contratto di affidamento dei servizi in oggetto, secondo una consolidata giurisprudenza, si qualifica in termini di “concessione di servizi”, in quanto determina l’assunzione in capo all’affidatario del rischio operativo legato alla sua gestione (Cons. Stato, sez. III, 03.08.2020, n. 4910; id. 18.06.2020, n. 3905; id., sez. V, 28.03.2019, n. 2065; id., sez. III, 11.01.2018, n. 127; id., sez. VI, 16.07.2015, n. 3571; id. 14.10.2014, n. 5065).
Il rischio operativo si sostanzia essenzialmente in: rischio di domanda, in quanto il concessionario ottiene il proprio compenso non già dall’Istituzione ma dagli utenti che fruiscono del Servizio stesso (acquistando le bevande e gli alimenti offerti dal bar o dai distributori automatici), con conseguente rischio connesso alle possibili oscillazioni dei volumi di domanda; rischio di disponibilità, in quanto il concessionario deve gestire il servizio, garantendo i livelli prestazionali stabiliti nel contratto, trovando in caso contrario applicazione le penali pattuite nel contratto medesimo.
L’affidamento deve garantire la qualità, la continuità, l’accessibilità, la disponibilità e la completezza dei servizi, tenendo conto delle esigenze specifiche delle diverse categorie di utenti. Il concessionario di servizi può essere remunerato, a seconda delle specificità del singolo affidamento: dall’utenza; mediante canone o pagamento da parte dell’Amministrazione; mediante contributo pubblico; attraverso una remunerazioni in diritti.
Il concessionario è remunerato dall’utenza e tale forma di remunerazione si sostanzia nel cash flow derivante allo stesso dalla erogazione di servizi presso l’utenza (c.d. sfruttamento economico del servizio). Tale forma di remunerazione, che, in definitiva, deriva dalla vendita dei servizi resi al mercato, è infatti connaturata ai cc.dd. servizi caldi, nei quali si configura un rischio operativo in capo al privato sul lato della domanda, ai sensi di quanto previsto dall’art. 165, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016.
Il servizio in discorso ha indubbiamente una rilevanza pubblica, in quanto, pur estraneo alle funzioni istituzionale dell’Amministrazione aggiudicatrice, ne costituisce comunque un’utilità accessoria, in favore degli utenti del servizio pubblico scolastico, vale a dire dei docenti, del personale impiegatizio, degli studenti e dei visitatori, sicché può ritenersi strumentale alle esigenze connesse alla continuità della presenza in sede del personale, nonché degli utenti del vero e proprio servizio pubblico scolastico. In altri termini, la natura pubblica del servizio trova fondamento nella sua strumentalità allo svolgimento delle funzioni pubbliche istituzionali dell’Amministrazione scolastica.
   (2) Ad avviso del C.g.a. l’indicazione separata dei costi di manodopera e degli oneri di salute e di sicurezza si rivelerebbe un inutile e dannoso formalismo, in quanto lesivo del principio del favor partecipationis cui sono ispirate le procedure ad evidenza pubblica. La ratio dell’evidenza pubblica sia a livello nazionale che sovranazionale, infatti, è volta al migliore utilizzo possibile del danaro e degli altri beni della collettività e alla tutela della libertà di concorrenza tra le imprese. Di talché, il principio cardine delle gare pubbliche è quello del favor partecipationis, atteso che solo attraverso la più ampia possibile presentazione di offerte da parte degli operatori economici “qualificati” è possibile garantire, da un lato, che l’Amministrazione individui, tra i tanti, il “miglior contraente”, dall’altro, l’esplicazione di una piena ed effettiva concorrenza tra le imprese in un mercato libero (Cons. Stato, sez. IV, 19.02.2021, n. 1483).
Sulla base delle esposte considerazioni, l’inciso “per quanto compatibili” di cui all’art. 164, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 deve essere interpretato nel senso che non è compatibile con il sistema della scelta del contraente, disegnato in sede europea e nazionale, l’applicabilità dell’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 all’affidamento di una concessione di servizi in cui, come nel caso in esame, l’elemento della prestazione lavorativa risulti di scarsa incidenza.
Nella specie, la giurisprudenza è recentemente intervenuta per rilevare che, qualora si tratti di una concessione di servizi e non di un contratto passivo di appalto per lavori, servizi o forniture, la diversa struttura giuridica del negozio non comporta la dovuta applicazione della norma di cui al richiamato art. 95, comma 10, vista l’evidente differenza strutturale ed il peso economico assunto nei secondi dal costo del lavoro (Cons. Stato, V, 24.06.2020, n. 4034).
Nel caso di specie, in particolare, la componente “umana” del servizio assume rilievo minimo, riducendosi alle attività che richiedono la presenza fisica di prestatori di lavoro nell’adempimento degli obblighi relativi al rifornimento dei distributori automatici e sostituzione degli stessi in caso di guasti irreparabili, pulizia, rimozione giornaliera dei rifiuti e manutenzione ordinaria e straordinaria dei distributori e degli impianti, nonché pulizia delle aree antistanti), le quali, da considerare in relazione alla tipologia di servizio gestito, richiedono evidentemente una minima applicazione di personale.
L’incidenza delle prestazioni di lavoro, invece, potrebbe assumere maggiore consistenza nella diversa ipotesi di affidamento di “servizio di ristorazione mediante bar”, in cui sarebbe necessario prevedere la presenza di uno o più cuochi e di altro personale a carattere continuativo, ma nel “servizio di ristorazione mediante distributori automatici” è intuitivamente esiguo (
CGARS, sentenza 24.03.2021 n. 247 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
6. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto, per cui va confermato, sia pure con diversa motivazione, l’esito del giudizio di primo grado.
6.1 Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso avendo ritenuto non applicabile alla fattispecie la previsione di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016 in ragione del carattere attivo, e non passivo, del contratto prefigurato dal bando impugnato.
Il Collegio, sulla base di un diverso itinerario argomentativo, condivide la conclusione della non applicabilità al caso di specie del richiamato art. 95, comma 10.
6.2. Il contratto oggetto del bando non può essere qualificato sic et simpliciter come contratto attivo, ma costituisce una concessione di servizi, per cui, con riferimento alla qualificazione del rapporto, si rivela fondata la prima doglianza, la quale, però, come si vedrà infra, non è idonea a determinare di per sé l’accoglimento dell’appello.
La procedura di gara bandita dal Liceo Classico Em. di Agrigento ha ad oggetto “l’affidamento in concessione del servizio” di distribuzione automatica di bevande, calde e fredde, e prodotti alimentari preconfezionati, presso le sedi del Liceo.
Il servizio comprende le seguenti attività:
   - trasporto, installazione e messa in funzione dei distributori nelle sedi cui sono destinati, all’inizio del servizio o, nel corso del contratto, quando richiesto dall’Amministrazione;
   - gestione, rifornimento e manutenzione dei distributori per tutta la durata del contratto;
   - disinstallazione, rimozione e ritiro dei distributori al termine del servizio o, nel corso del contratto, quando richiesto dall’Amministrazione.
Le argomentazioni dell’appellante in merito sono persuasive, in quanto non si è in presenza di una mera locazione di spazi, ma di una concessione di servizi.
6.2.1. In linea generale, occorre considerare che, per servizio di ristorazione mediante distributori automatici (servizio coincidente con quello oggetto della procedura di gara), si intende la gestione economico-funzionale del servizio di ristoro a mezzo di distributori automatici di alimenti, bevande e altri generi di conforto da collocarsi presso i locali dell’Istituzione; tale servizio comprende anche lo svolgimento di attività accessorie quali, a titolo esemplificativo, la consegna, l’installazione e la messa in esercizio dei distributori nonché la manutenzione.
In tal caso, così come nel più ampio servizio di ristorazione mediante bar, accanto all’affidamento del servizio, l’Istituzione concede al gestore l’utilizzo degli spazi interni necessari all’esercizio dell’attività (concessione di bene pubblico), con specifico riferimento alle aree nelle quali è ubicato il bar o. come nel caso di specie, sulle quali vengono installati i distributori.
Il contratto di affidamento dei servizi in oggetto, secondo una consolidata giurisprudenza, si qualifica in termini di “concessione di servizi”, in quanto determina l’assunzione in capo all’affidatario del rischio operativo legato alla sua gestione (ex multis: Cons. Stato, III, 03.08.2020, n. 4910; Cons. Stato, III, 18.06.2020, n. 3905; Cons. Stato, VI, ordinanza 06.12.2019, n. 6073; Cons. Stato, V, 28.03.2019, n. 2065; Cons. Stato, III, 11.01.2018, n. 127; Cons. Stato, VI, 16.07.2015, n. 3571; Cons. Stato, VI, 14.10.2014, n. 5065).
Il rischio operativo si sostanzia essenzialmente in:
   - rischio di domanda, in quanto il concessionario ottiene il proprio compenso non già dall’Istituzione ma dagli utenti che fruiscono del Servizio stesso (acquistando le bevande e gli alimenti offerti dal bar o dai distributori automatici), con conseguente rischio connesso alle possibili oscillazioni dei volumi di domanda;
   - rischio di disponibilità, in quanto il concessionario deve gestire il servizio, garantendo i livelli prestazionali stabiliti nel contratto, trovando in caso contrario applicazione le penali pattuite nel contratto medesimo.
L’affidamento deve garantire la qualità, la continuità, l’accessibilità, la disponibilità e la completezza dei servizi, tenendo conto delle esigenze specifiche delle diverse categorie di utenti.
Il concessionario di servizi può essere remunerato, a seconda delle specificità del singolo affidamento: dall’utenza; mediante canone o pagamento da parte dell’Amministrazione; mediante contributo pubblico; attraverso una remunerazioni in diritti.
Nella fattispecie in esame, il concessionario è remunerato dall’utenza e tale forma di remunerazione si sostanzia nel cash flow derivante allo stesso dalla erogazione di servizi presso l’utenza (c.d. sfruttamento economico del servizio).
Tale forma di remunerazione, che, in definitiva, deriva dalla vendita dei servizi resi al mercato, è infatti connaturata ai cc.dd. servizi caldi, nei quali si configura un rischio operativo in capo al privato sul lato della domanda, ai sensi di quanto previsto dall’art. 165, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016.
6.2.2. Pertanto, il Collegio, sulla base delle descritte coordinate ermeneutiche, ritiene che la fattispecie contrattuale in esame possa qualificarsi come una concessione di servizi, che l’Istituto scolastico intende affidare a terzi, tramite installazione di distributori automatici di bevande e snack, accompagnata da una concessione d’uso di spazio pubblico (nell’ambito delle sedi del Liceo).
Infatti, anche a voler prescindere dalla espressa qualificazione di concessione di servizi fornita dalla stazione appaltante, l’oggetto della gara è costituito da un contratto a titolo oneroso con cui la stazione appaltante affida ad un operatore economico la gestione di un servizio riconoscendo a titolo di corrispettivo il diritto di gestire il servizio, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dello stesso, per cui l’oggetto della gara rientra esattamente nella definizione di concessione di servizi scolpita dal codice dei contratti pubblici all’art. 3, comma 1, lett. vv).
Il servizio in discorso ha indubbiamente una rilevanza pubblica, in quanto, pur estraneo alle funzioni istituzionale dell’Amministrazione aggiudicatrice, ne costituisce comunque un’utilità accessoria, in favore degli utenti del servizio pubblico scolastico, vale a dire dei docenti, del personale impiegatizio, degli studenti e dei visitatori, sicché può ritenersi strumentale alle esigenze connesse alla continuità della presenza in sede del personale, nonché degli utenti del vero e proprio servizio pubblico scolastico.
In altri termini, la natura pubblica del servizio trova fondamento nella sua strumentalità allo svolgimento delle funzioni pubbliche istituzionali dell’Amministrazione scolastica.
Il rilievo pubblico della prestazione è altresì attestato dal fatto che il bando prevede un prezzo massimo sui corrispettivi dei prodotti, premiando in sede di attribuzione di punteggio chi ne abbassa l’importo, riservando all’Amministrazione concedente compiti di vigilanza e controllo, stabilendo che il servizio abbia determinate caratteristiche qualitative e ponendo una consistente serie di obblighi a carico del contraente, tanto che il punto 2, comma 2, del bando prevede come, in caso di ripetute e gravi mancanze da parte dell’affidatario del servizio, espressamente contestate, il contratto potrà essere unilateralmente risolto dal Dirigente Scolastico per inadempienza.
La consolidata giurisprudenza, come già in precedenza evidenziato, qualifica in tal senso tale tipologia di rapporti contrattuali (ex multis: Cons. Stato, III, 14.10.2020; Cons. Stato, V, 28.03.2019, n. 2065; Cons. Stato, III, 11.01.2018, n. 127; Cons. Stato, III, 16.07.2015, n. 3571).
Da ultimo, sia pure in sede cautelare, è stata ritenuta corretta la qualificazione del contratto di gestione di un punto ristoro in termini di concessione o appalto di servizi, a seconda della traslazione o meno del rischio operativo (cfr. Cons. Stato, VI, ordinanza 06.12.2019, n. 6073)
Nel caso di specie, la traslazione del rischio operativo sul contraente induce a qualificare il contratto come di concessione di servizi.
6.3. Ciò nonostante, il Collegio ritiene non applicabile alla fattispecie la previsione di cui all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016, secondo cui, nell’offerta economica, l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a).
L’art. 164, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 dispone che “alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II del presente codice, relativamente … ai criteri di aggiudicazione …”.
La questione si pone, in quanto l’art. 95 disciplina i criteri di aggiudicazione dell’appalto, per cui la disposizione potrebbe essere teoricamente applicabile.
6.3.1. In limine, essendo stata la questione dibattuta tra le parti, occorre rilevare che l’art. 36, comma 2, lett. a) non assume rilievo nel caso di specie.
L’art. 36, comma 2, lett. a), infatti, si riferisce ad affidamenti di importo inferiore ad € 40.000, “mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta”.
Diversamente, il Liceo Classico Em. ha indetto una procedura di gara per l’affidamento in concessione del servizio, sicché l’ipotesi rientra nella lett. b), dell’art. 36, che non è contemplata dall’art. 95, comma 10, tra i casi di esclusione.
6.3.2. Tuttavia, il Collegio ritiene che, per differenti ragioni, la fattispecie non rientri nel perimetro applicativo dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016.
In primo luogo, l’art. 164, comma 2, del codice dei contratti pubblici dispone che alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di servizi si applicano “per quanto compatibili”, le disposizioni relative ai “criteri di aggiudicazione”.
Ora, se è vero che l’art. 95 detta la disciplina dei criteri di aggiudicazione, è altrettanto vero che il comma 10, nel disporre che, nell’offerta economica, l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, attiene ad un profilo non specificamente riferibile ai criteri di aggiudicazione, per cui l’inciso “per quanto compatibili” contenuto nell’art. 164, comma 2, deve essere interpretato con particolare cautela, tenendo anche conto dei principi alla base delle procedure ad evidenza pubblica.
In proposito, pur a fronte di pronunce che hanno sostenuto l’applicazione dell’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici alla concessione di servizi per la gestione di un punto ristoro (da ultimo, la richiamata ordinanza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n. 6073 del 2019), la giurisprudenza è recentemente intervenuta per rilevare che, qualora si tratti di una concessione di servizi e non di un contratto passivo di appalto per lavori, servizi o forniture, la diversa struttura giuridica del negozio non comporta la dovuta applicazione della norma di cui al richiamato art. 95, comma 10, vista l’evidente differenza strutturale ed il peso economico assunto nei secondi dal costo del lavoro (Cons. Stato, V, 24.06.2020, n. 4034).
Nel caso di specie, in particolare, la componente “umana” del servizio assume rilievo minimo, riducendosi alle attività che richiedono la presenza fisica di prestatori di lavoro nell’adempimento degli obblighi del contraente previsti dall’art. 11 del bando (rifornimento dei distributori automatici e sostituzione degli stessi in caso di guasti irreparabili, pulizia, rimozione giornaliera dei rifiuti e manutenzione ordinaria e straordinaria dei distributori e degli impianti, nonché pulizia delle aree antistanti), le quali, da considerare in relazione alla tipologia di servizio gestito, richiedono evidentemente una minima applicazione di personale.
L’incidenza delle prestazioni di lavoro, invece, potrebbe assumere maggiore consistenza nella diversa ipotesi di affidamento di “servizio di ristorazione mediante bar”, in cui sarebbe necessario prevedere la presenza di uno o più cuochi e di altro personale a carattere continuativo, ma nel “servizio di ristorazione mediante distributori automatici” è intuitivamente esiguo.
Pertanto, richiedere per la gestione di un servizio con tali caratteristiche l’indicazione separata dei costi di manodopera e degli oneri di salute e di sicurezza, si rivelerebbe un inutile e dannoso formalismo, in quanto lesivo del principio del favor partecipationis cui sono ispirate le procedure ad evidenza pubblica.
La ratio dell’evidenza pubblica sia a livello nazionale che sovranazionale, infatti, è volta al migliore utilizzo possibile del danaro e degli altri beni della collettività e alla tutela della libertà di concorrenza tra le imprese.
Di talché, il principio cardine delle gare pubbliche è quello del favor partecipationis, atteso che solo attraverso la più ampia possibile presentazione di offerte da parte degli operatori economici “qualificati” è possibile garantire, da un lato, che l’Amministrazione individui, tra i tanti, il “miglior contraente”, dall’altro, l’esplicazione di una piena ed effettiva concorrenza tra le imprese in un mercato libero (cfr. da ultimo, Cons. Stato, IV; 19.02.2021, n. 1483).
Sulla base delle esposte considerazioni, l’inciso “per quanto compatibili” di cui all’art. 164, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 deve essere interpretato nel senso che non è compatibile con il sistema della scelta del contraente, disegnato in sede europea e nazionale, l’applicabilità dell’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 all’affidamento di una concessione di servizi in cui, come nel caso in esame, l’elemento della prestazione lavorativa risulti di scarsa incidenza.
Ne consegue che l’appello proposto dalla Tr.Ve. s.r.l., pur fondato nel primo motivo, non può trovare accoglimento e deve essere respinto non sussistendo l’obbligo per i concorrenti della specifica indicazione dei costi di manodopera e degli oneri relativi alla sicurezza e alla sicurezza dei lavoratori, sicché l’aggiudicataria non avrebbe potuto essere legittimamente esclusa dalla gara.
6.4. Ad ogni buon conto, anche applicando alla fattispecie l’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici, l’esito della controversia non potrebbe essere differente, in quanto l’Amministrazione non avrebbe potuto escludere la St. s.r.l. dalla gara senza previamente procedere al soccorso istruttorio.
La V Sez. del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 6069 del 2018, ha rimesso all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni, oggetto di contrasti giurisprudenziali:
   - “se, per le gare bandite nella vigenza del d.lgs. n. 18.04.2016, n. 50, la mancata indicazione separata degli oneri di sicurezza aziendale determini immediatamente e incondizionatamente l’esclusione del concorrente, senza possibilità di soccorso istruttorio, anche quando non è in discussione l’adempimento da parte del concorrente degli obblighi di sicurezza, né il computo dei relativi oneri nella formulazione dell’offerta, né vengono in rilievo profili di anomalia dell’offerta, ma si contesta che l’offerta non specifica la quota di prezzo corrispondente ai predetti oneri;
   - se, ai fini della eventuale operosità del soccorso istruttorio, assuma rilievo la circostanza che la lex specialis richiami espressamente l’obbligo di dichiarare gli oneri di sicurezza
”.
L’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 8 del 2020, ha rappresentato che la soluzione del quesito interpretativo è stata poi data, in altra vicenda, dalla sentenza della Nona Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 02.05.2019, causa C-309/18, ritenuta esaustiva dal supremo consesso, con cui si è affermato: “I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice.”
La sentenza n. 8 del 2020 dell’Adunanza Plenaria ha ancora sottolineato che: “La stessa decisione della Corte è stata peraltro già impiegata come canone interpretativo per la soluzione di analoghe vicende, sia dalle Sezioni di questo Consiglio di Stato (si veda Cons. Stato, V, 24.01.2020, n. 604; id., V, 10.02.2020 n. 1008) che dal giudice di prime cure (TAR Lazio, 14.02.2020 n. 1994, data nel giudizio che aveva originato quella rimessione alla CGUE).
In queste occasioni, affermata la dichiarata compatibilità con il diritto europeo degli automatismi espulsivi conseguenti al mancato rispetto delle previsioni di cui all’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici, le questioni residue sono state rivolte unicamente a delineare la portata dell’eccezione alla regola dell’esclusione automatica, collegata all’accertamento in fatto della possibilità di indicare le voci stesse nei modelli predisposti dall’amministrazione
”.
L’Adunanza Plenaria, quindi, ha “ricordato che la citata sentenza della Nona Sezione, 02.05.2019, causa C-309/18, ha demandato al giudice del rinvio di verificare se nel caso di specie «fosse in effetti materialmente impossibile indicare i costi della manodopera conformemente all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici e valutare se, di conseguenza, tale documentazione generasse confusione in capo agli offerenti, nonostante il rinvio esplicito alle chiare disposizioni del succitato codice (punto 30), al fine di fare eventualmente applicazione del soccorso istruttorio”.
Nella fattispecie in esame, la documentazione di gara non prevedeva l’indicazione separata dei costi di manodopera e degli oneri aziendali relativi alla sicurezza e alla salute suoi luoghi di lavoro, per cui, anche ove si fosse ritenuta applicabile la norma di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016, l’Amministrazione concedente avrebbe dovuto applicare l’istituto del soccorso istruttorio, mentre non avrebbe potuto procedere alla diretta esclusione dell’operatore economico (
CGARS, sentenza 24.03.2021 n. 247 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla distinzione tra concessione di pubblico servizio e appalto di servizi.
Il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall'appalto di servizi per l'assunzione, da parte del concessionario, del rischio di domanda.
Invero, mentre l'appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest'ultimo grava interamente sull'appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l'utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione.
Essendo insito nel meccanismo causale della concessione che la fluttuazione della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in capo al concessionario, anzi costituisce il rischio principale assunto dal concessionario, perché possa farsi luogo a una revisione dei profili economici concordati con il concedente è necessaria la comprovata ricorrenza di eventi eccezionali e straordinari, oggettivamente esterni ed estranei al funzionamento del mercato di settore, non essendo invece sufficienti all'uopo mere fluttuazioni della domanda, dato fisiologico di ogni mercato, che l'operatore economico non può non considerare come aspetto caratterizzante, intrinseco ed ineliminabile del contesto in cui opera
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.03.2021 n. 2426 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIDistinzione tra concessione di pubblico servizio e appalto di servizi.
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Contratti della Pubblica amministrazione - Concessione – Differenza con l’appalto servizi – Individuazione.
Il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione, da parte del concessionario, del rischio di domanda, nel senso che mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sull’appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione (1).
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   (1) Data la premessa, la Sezione ha tratto la conseguenza che, essendo insito nel meccanismo causale della concessione che la fluttuazione della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in capo al concessionario (anzi costituisca il rischio principale assunto dal concessionario), affinché possa farsi luogo a una revisione dei profili economici concordati con il concedente è necessaria la comprovata ricorrenza di eventi eccezionali e straordinari, oggettivamente esterni ed estranei al funzionamento del mercato di settore, non essendo invece sufficienti all’uopo mere fluttuazioni della domanda, dato fisiologico di ogni mercato, che l’operatore economico non può non considerare come aspetto caratterizzante, intrinseco ed ineliminabile del contesto in cui opera (Cons. Stato, sez. IV, 19.08.2016, n. 3653) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.03.2021 n. 2426 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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6. In primo luogo, in termini generali il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi proprio per l’assunzione, da parte del concessionario, del rischio di domanda.
6.1. Invero, mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sull’appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione.
6.2. E’, dunque, insito nel meccanismo causale della concessione che la fluttuazione della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in capo al concessionario, anzi costituisca il rischio principale assunto dal concessionario.
6.3. Del resto, anche nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile nella vicenda ratione temporis, costante giurisprudenza aveva evidenziato che nelle concessioni di servizi vige il principio dell’ordinaria invariabilità del canone, con conseguente inapplicabilità dell’istituto della revisione dei prezzi, proprio invece degli appalti (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 27.03.2013, n. 1755).

APPALTI: Inadeguatezza della verifica di congruità dell’offerta e domanda di subentro nel contratto.
In caso di inadeguatezza della verifica di congruità per carenze istruttorie non può, quindi, essere disposta l’esclusione dell’offerta sospetta di anomalia, ma solo la regressione della procedura alla fase di verifica dell’anomalia.
Il giudice amministrativo non può sostituirsi all’amministrazione nel ritenere l’offerta complessivamente inattendibile, dovendo l'amministrazione provvedere alla riedizione del vaglio di sostenibilità.
Pertanto, non può essere accolta la domanda di subentro nel contratto, atteso che ciò presuppone il positivo superamento della verifica di anomalia dell’offerta presentata dalle stesse ricorrenti e che, preliminarmente, l’accoglimento del presente ricorso comporta l’obbligo per l’amministrazione di rinnovare la procedura con riferimento alla fase di valutazione della proposta tecnica e delle giustificazioni rese dalla controinteressata
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3) La fondatezza della domanda di annullamento impone di esaminare le domande dirette alla dichiarazione di inefficacia del contratto e al subentro nella gestione dell’appalto –quale risarcimento in forma specifica- presentate dalla ricorrente.
Non solo, la ricorrente propone, in via subordinata, una domanda di risarcimento del danno da perdita di chance.
Le domande sono infondate.
Una volta accertato che, tanto l’effettiva praticabilità del meccanismo delle sostituzioni, come indicato in offerta dall’aggiudicataria, quanto il rispetto degli orari di lavoro indicati dalla lex specialis, non sono stati correttamente verificati nella sede propria dalla stazione appaltante, va evidenziato che tale omissione non può essere “surrogata” da una verifica in sede giudiziale, tenuto conto dei limiti al sindacato giurisdizionale sulle valutazioni rimesse all’amministrazione in subiecta materia.
In caso di inadeguatezza della verifica di congruità per carenze istruttorie non può, quindi, essere disposta l’esclusione dell’offerta sospetta di anomalia, ma solo la regressione della procedura alla fase di verifica dell’anomalia (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30.03.2017, n. 1465; Consiglio di Stato, sez. IV, 13.04.2016, n. 1448; Cons. St., V, n. 4323/2003).
Il giudice amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 21.07.2017, n. 3623) non può sostituirsi all’amministrazione nel ritenere l’offerta complessivamente inattendibile, dovendo l'amministrazione provvedere alla riedizione del vaglio di sostenibilità.
Pertanto, non può essere accolta la domanda di subentro nel contratto, atteso che ciò presuppone il positivo superamento della verifica di anomalia dell’offerta presentata dalle stesse ricorrenti e che, preliminarmente, l’accoglimento del presente ricorso comporta l’obbligo per l’amministrazione di rinnovare la procedura con riferimento alla fase di valutazione della proposta tecnica e delle giustificazioni rese dalla controinteressata (cfr. sul punto già Tar Lombardia–Brescia, sez. I, 18.03.2019, n. 242).
Resta fermo che la riedizione dovrà avvenire alla luce delle statuizioni racchiuse nella presente sentenza, stante l’effetto conformativo da essa derivante.
Ne consegue che, allo stato, neppure sussistono i presupposti per pronunciare sull’efficacia del contratto.
Invero, la fattispecie in esame si inserisce nella previsione dell’art. 122 cpa, a mente del quale il giudice il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, con la precisazione che, a tale fine, deve tenere conto, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta.
Ora, nel caso in esame, non rientra nella sfera del potere giurisdizionale la valutazione dell’effettiva possibilità per la ricorrente di conseguire l’aggiudicazione, proprio in ragione dei vizi riscontrati e stante la necessità che sia la stazione appaltante a riesaminare la valutazione di congruità dell’offerta aggiudicataria e, in caso di esito negativo, a procedere ai controlli necessari in ordine all’offerta della seconda classificata.
Ne deriva l’insussistenza dei presupposti per dichiarare l’inefficacia del contratto ai sensi dell’art. 122 cpa (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.03.2021 n. 739 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI:  E' manifestamente irragionevole l'operato di una stazione appaltante che con un ragionamento formalistico e condotto in astratto ha reputato non integrata la fattispecie espulsiva dei gravi illeciti professionali sulla base della non definitività dei provvedimenti penali.
L'art. 80, co. 5, lett. c), D.Lgs.n.50/2016 costituisce norma di chiusura del sistema degli appalti in merito ai requisiti generali per l'ammissione alle gare, rientrando nella nozione di "grave illecito professionale" qualsivoglia illecito (civile, penale o amministrativo) in grado di influenzare il processo valutativo e decisionale della stazione appaltante.
Si tratta di una fattispecie che deroga al principio di tassatività delle cause di esclusione, in ragione della necessità di assicurare alla stazione appaltante la possibilità di valutare autonomamente, senza le rigidità proprie di tale principio (ad esempio, perché il precedente penale di regola richiede la definitività dell'accertamento, ex art. 80, co. 1, D.Lgs. n. 50/2016), l'eventuale compromissione del rapporto fiduciario a fronte di situazioni comunque implicanti la potenziale commissione di illeciti influenti sulla capacità dell'operatore economico selezionato di eseguire l'appalto in modo corretto, leale e trasparente.
Nel caso di specie, non v'è dubbio che, da un punto di vista oggettivo, le pendenze segnalate alla stazione appaltante rientrino potenzialmente nello spettro applicativo dei gravi illeciti professionali, concernendo, in particolar modo la sentenza sopravvenuta del Tribunale, ipotesi delittuosa afferente all'attività professionale degli interessati in un settore merceologicamente identico (per di più in relazione ad un pregresso procedimento selettivo ad evidenza pubblica).
Pertanto, è manifestamente irragionevole l'operato della stazione appaltante, nella misura in cui essa ha ritenuto, senza addurre ulteriori motivazioni o specifiche circostanze giuridico-fattuali (desunte primariamente dagli atti dei procedimenti penali e, soprattutto, dalla sentenza di condanna di recente emissione), che la mera assenza di definitività delle pendenze non concretizzasse gli estremi per ritenere compromesso il rapporto fiduciario, cui è sottesa la fattispecie espulsiva recata dall'art. 80, co. 5, lett. c), del Codice.
La scelta compiuta dalla stazione appaltante non solo è irragionevole perché rinuncia in pratica alla valutazione, in concreto, delle pendenze (di cui pure è venuta a conoscenza), attestandosi sul mero dato formale della non definitività, ma perché finisce per obliterare del tutto la differenza che continua a residuare fra fattispecie espulsiva automatica ex art. 80, co. 1 (che richiede il requisito della definitività della condanna, e che dispensa del tutto da qualsivoglia aleatorietà di valutazione) e quella dei gravi illeciti professionali ex art. 80, co. 5, lett. c), la quale, proprio perché ispirata alla ratio di tutelare la discrezionalità della stazione appaltante nella considerazione del rapporto fiduciario, non esclude a priori che pendenze non definitivamente accertate possano, in relazione al complesso degli elementi fattuali e procedimentali che si riscontrino, determinare, motivatamente, l'esclusione dalla gara
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 22.03.2021 n. 731 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIConsorzi stabili e consorziata non designata per l’esecuzione che perde i requisiti: pronuncia della Plenaria sulla equiparazione all’ausiliaria e sostituzione.
L’Adunanza plenaria si è espressa sulla perdita dei requisiti, nel consorzio stabile, da parte della consorziata non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori e dalla quale il consorzio ripeta la qualificazione: la consorziata, in ragione della sua natura, è equiparabile all’impresa ausiliaria nell’avvalimento e, dunque, è sostituibile. Una tale conclusione non dequota, peraltro, il principio di continuità del possesso dei requisiti il quale va confermato ma anche assoggettato ad una lettura in linea con la nuova disciplina eurounitaria di riferimento.
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Contratti pubblici – Consorzi stabili – Impresa consorziata non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori – Equiparabilità all’impresa ausiliaria – Sostituzione in caso di perdita dei requisiti.
La consorziata di un consorzio stabile, non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori, è equiparabile, ai fini dell’applicazione dell’art. 63 della direttiva n. 24/2014/UE e dell’art. 89, co. 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, all’impresa ausiliaria nell’avvalimento, sicché la perdita da parte della stessa del requisito impone alla stazione appaltante di ordinarne la sostituzione (1).
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   (1) I. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, alla quale il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con ordinanza 29.12.2020, n. 1211 (oggetto della News US in data 12.01.2021, a cui si rinvia per ogni ulteriore compiuto approfondimento) aveva deferito alcune questioni interpretative, con articolata motivazione ha affermato il principio di diritto secondo cui “La consorziata di un consorzio stabile, non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori, è equiparabile, ai fini dell’applicazione dell’art. 63 della direttiva n. 24/2014/UE e dell’art. 89, co. 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, all’impresa ausiliaria nell’avvalimento, sicché la perdita da parte della stessa del requisito impone alla stazione appaltante di ordinarne la sostituzione”.
Ciò non senza specificare che la sostituibilità della consorziata non dequota il principio di continuità nel possesso dei requisiti da leggersi, oggi, alla luce della nuova disciplina eurounitaria.
   II. – L’Adunanza plenaria giunge alla elaborazione della massima riportata sulla base del seguente percorso argomentativo:
      a) sulla configurazione del consorzio stabile previsto dall’art. 45, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 e differenze con il consorzio ordinario ex art. 2602 cod. civ.:
        a1) il consorzio ordinario pur essendo un autonomo centro di rapporti giuridici, non comporta l’assorbimento delle aziende consorziate in un organismo unitario costituente un’impresa collettiva, né esercita autonomamente e direttamente attività imprenditoriale. Esso si limita a disciplinare e coordinare, attraverso un’organizzazione comune, le azioni degli imprenditori riuniti (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. trib., 09.03.2020, n. 6569; Cass. civ., sez. I, 27.01.2014, n. 1636, in Foro it., 2014, I, 3576);
         a2) nel consorzio con attività esterna la struttura organizzativa provvede all’espletamento in comune di una o alcune funzioni (ad esempio, l’acquisto di beni strumentali o di materie prime, la distribuzione, la pubblicità, etc.), ma nemmeno in tale ipotesi il consorzio, nella sua disciplina civilistica, è dotato di una propria realtà aziendale;
         a3) ne discende che, ai fini della disciplina in materia di contratti pubblici, il consorzio ordinario:
I) è considerato un soggetto con identità plurisoggettiva, che opera in qualità di mandatario delle imprese della compagine;
II) partecipa alla gara per tutte le consorziate e si qualifica attraverso di esse, in quanto le stesse, nell’ipotesi di aggiudicazione, eseguiranno il servizio, rimanendo esclusa la possibilità di partecipare solo per conto di alcune di esse (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 06.10.2015, n. 4652, in Gazzetta forense, 2015, 5, 128, il quale ha statuito l’illegittimità della partecipazione di un consorzio ordinario che, pur riunendo due società, aveva dichiarato di gareggiare per conto di una sola di esse);
         a4) diversamente, i consorzi stabili a mente dell’art. 45, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016, sono costituiti “tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro” che “abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa”;
         a5) il riferimento aggiuntivo e qualificante alla “comune struttura di impresa” induce a ritenere che i partecipanti in questo caso danno vita ad una stabile struttura di impresa collettiva, la quale, oltre a presentare una propria soggettività giuridica con autonomia anche patrimoniale, rimane distinta e autonoma rispetto alle aziende dei singoli imprenditori ed è strutturata, quale azienda consortile, per eseguire, anche in proprio (ossia senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate), le prestazioni affidate a mezzo del contratto (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 13.10.2020, n. 6165);
         a6) proprio sulla base di questa impostazione, la giurisprudenza europea (Corte di giustizia UE, sez. IV, 23.12.2009, C-376/08, Serrantoni Srl, in Arch. giur. oo. pp., 2010, 217) è giunta ad ammettere la contemporanea partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e della consorziata, ove quest’ultima non sia stata designata per l’esecuzione del contratto e non abbia pertanto concordato la presentazione dell’offerta (Cons. Stato, sez. III, 04.02.2019, n. 865, in Appalti & Contratti, 2019, 3, 75);
      b) sul meccanismo di qualificazione c.d. alla “rinfusa”:
         b1) l’art. 31, comma 1, del d.lgs. n. 56 del 2017, vigente all’epoca dei fatti di causa, stabiliva che “I consorzi di cui agli articoli 45, comma 2, lett. c) e 46, comma 1, lett. f), al fine della qualificazione, possono utilizzare sia i requisiti di qualificazione maturati in proprio, sia quelli posseduti dalle singole imprese consorziate designate per l’esecuzione delle prestazioni, sia, mediante avvalimento, quelli delle singole imprese consorziate non designate per l’esecuzione del contratto. Con le linee guida dell’ANAC di cui all’articolo 84, comma 2, sono stabiliti, ai fini della qualificazione, i criteri per l’imputazione delle prestazioni eseguite al consorzio o ai singoli consorziati che eseguono le prestazioni”;
         b2) la disposizione ha avuto vigore sino al 2019, allorché l'art. 1, comma 20, lett. l), n. 1), del d.l. n. 32 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 55 del 2019, ha eliminato tale regola, ripristinando l’originaria e limitata perimetrazione del cd. cumulo alla rinfusa ai soli aspetti relativi alla “disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d'opera, nonché all'organico medio annuo”, i quali sono “computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”;
         b3) tale peculiare meccanismo (come si è detto, esteso all’epoca dei fatti di causa anche ai requisiti di qualificazione, ma oggi limitato ad attrezzature, mezzi d'opera e organico medio annuo) ha radici nella natura del consorzio stabile e si giustifica in ragione:
I) del patto consortile, comunque caratterizzato dalla causa mutualistica;
II) del rapporto duraturo ed improntato a stretta collaborazione tra le consorziate avente come fine “una comune struttura di impresa”;
      c) data tale impostazione su un piano generale, occorre distinguere –sempre in relazione al cumulo dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara– i diversi legami che si instaurano nell’ambito della gara, tra consorzio stabile e consorziate, a seconda se queste ultime siano o meno designate per l’esecuzione dei lavori:
         c1) all’esito di tale distinzione va rilevato che solo le consorziate designate per l’esecuzione dei lavori partecipano alla gara e concordano l’offerta, assumendo una responsabilità in solido con il consorzio stabile nei confronti della stazione appaltante (art. 47 comma 2 del codice dei contratti), mentre per le altre il consorzio si limita a mutuare, ex lege, i requisiti oggettivi, senza
che da ciò discenda un vincolo di responsabilità solidale per l’eventuale mancata o erronea esecuzione dell’appalto;
         c2) in quest’ultimo caso ci si trova al cospetto di un rapporto molto simile a quello dell’avvalimento, anche se, per certi versi, meno intenso:
I) da una parte, infatti, il consorziato presta i requisiti senza partecipare all’offerta, similmente all’impresa avvalsa (senza bisogno di dichiarazioni, soccorrendo la “comune struttura di impresa” e il disposto di legge);
II) dall’altra, pur facendo ciò, rimane esente da responsabilità (diversamente dall’impresa avvalsa: in altre parole si tratta di una forma di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità);
      d) conseguentemente, alla domanda se in presenza della lacuna normativa possa farsi applicazione, alla fattispecie, dell’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016, deve darsi risposta positiva:
         d1) a mente della predetta disposizione, infatti, la stazione appaltante (in luogo di disporre l’esclusione in cui inesorabilmente incorrerebbe un concorrente nell’ambito di un raggruppamento o di un consorzio ordinario o stabile) impone all'operatore economico di “sostituire” i soggetti di cui si avvale “che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione”;
         d2) conseguentemente, se è possibile, in via eccezionale, sostituire il soggetto legato da un rapporto di avvalimento, a fortiori dev’essere possibile sostituire il consorziato nei confronti del quale sussiste un vincolo che rispetto all’avvalimento è meno intenso;
      e) su tale opzione esegetica va, peraltro, detto che:
         e1) essa è confermata, per il caso del consorziato non designato per l’esecuzione, dall’ampia formulazione dell’art. 63 della direttiva n. 2014/24/UE, il quale, nel disciplinare l’avvalimento, vi ricomprende tutti i casi in cui un operatore economico, per un determinato appalto, fa “affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi”, senza dare rilevanza qualificante alla responsabilità solidale dei soggetti avvalsi: circostanza, quest’ultima, rimessa dalla direttiva all’eventuale decisione discrezionale dell’amministrazione aggiudicatrice (anche se poi effettivamente tradottasi in un precetto di legge in sede di recepimento con l’art. 89, comma 5, codice dei contratti);
         e2) non v’è, quindi, ragione, per riservare al consorzio che si avvale dei requisiti di un consorziato “non designato”, un trattamento diverso da quello riservato ad un qualunque partecipante, singolo o associato, che ricorre all’avvalimento: nell’uno, come nell’altro caso, in virtù dell’art. 89, comma 3, del codice dei contratti, ove il requisito “prestato” venga meno, l’impresa avvalsa potrà (id est: dovrà) essere sostituita;
      f) tali conclusioni non toccano la perdurante validità del principio di necessaria continuità nel possesso dei requisiti, affermato dall’Adunanza plenaria con sentenza 20.07.2015, n. 8 (in Urbanistica e appalti, 2016, 88, con nota di GIACALONE), né il più generale principio di immodificabilità soggettiva del concorrente (salvi i casi previsti della legge nel caso di raggruppamento temporaneo di imprese):
         f1) è vero che, nel caso deciso con la sentenza n. 8 del 2015, cit., la Plenaria lasciò intendere che l’affermato principio di continuità dovesse valere anche per l’impresa avvalsa, ma quel quadro normativo è mutato: l’art. 63 della direttiva n. 2014/24/UE oggi impone che qualora il soggetto avvalso che nelle more del procedimento di gara o durante l’esecuzione del contratto perda i requisiti, esso venga sostituito;
         f2) d’altronde, la sostituzione è lo strumento nuovo e alternativo – è stato definito “istituto del tutto innovativo” (Cons. Stato, sez. III, 25.11.2015, n. 5359, in Urbanistica e appalti, 2016, 696, con nota di MANZI; Nuovo dir. amm., 2016, 3, 80, con nota di URBANI; Corte di giustizia UE, 14.09.2017, C-223/16 Casertana costruzioni s.r.l., in Giur. it., 2017, 2458 con nota di GIUSTI e Urbanistica e appalti, 2018, 183, con nota di MANZI, nonché oggetto della News US in data 05.12.2017);
         f3) detto istituto restituisce al soggetto avvalso la sua vera natura di soggetto che presta i requisiti al concorrente, senza partecipare alla compagine e all’offerta da questa formulata e risponde alla superiore esigenza –strumentale a stimolare il ricorso all'avvalimento– di evitare l'esclusione del concorrente, singolo o associato, per ragioni a lui non direttamente riconducibili o imputabili;
         f4) di tale mutato quadro ha dato di recente atto l’ordinanza 20.03.2020, n. 2005 (oggetto della News US in data 31.03.2020, alla quale si rinvia per ogni ulteriore approfondimento), con la quale la terza sezione del Consiglio di Stato ha dubitato della compatibilità con il diritto UE della normativa interna in materia di avvalimento e cause di esclusione, nella parte in cui prevede che, in caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito processionale, la stazione appaltante debba sempre escludere l’operatore economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di indicare un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 18.03.2021 n. 5 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’Adunanza plenaria pronuncia sulla partecipazione alla gara di un consorzio stabile che ripeta la qualificazione da una consorziata non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Consorzi stabili – Qualificazione da una consorziata non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori – Natura della consorziata – Rimessione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
La consorziata di un consorzio stabile, non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori, è equiparabile, ai fini dell’applicazione dell’art. 63 della direttiva 24/2014/UE e dell’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016, all’impresa ausiliaria nell’avvalimento, sicché la perdita da parte della stessa del requisito impone alla stazione appaltante di ordinarne la sostituzione.
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   (1) La questione era stata rimessa da Cga, ord., 29.12.2020, n. 1211.
Ha chiarito l’Alto consesso che il consorzio ordinario di cui agli artt. 2602 e ss. c.c., pur essendo un autonomo centro di rapporti giuridici, non comporta l’assorbimento delle aziende consorziate in un organismo unitario costituente un’impresa collettiva, né esercita autonomamente e direttamente attività imprenditoriale, ma si limita a disciplinare e coordinare, attraverso un’organizzazione comune, le azioni degli imprenditori riuniti (Cass. civ., sez. trib., 09.03.2020, n. 6569; id., sez. I, 27.01.2014, n. 1636).
Nel consorzio con attività esterna la struttura organizzativa provvede all’espletamento in comune di una o alcune funzioni (ad esempio, l’acquisto di beni strumentali o di materie prime, la distribuzione, la pubblicità, etc.), ma nemmeno in tale ipotesi il consorzio, nella sua disciplina civilistica, è dotato di una propria realtà aziendale. Ne discende che, ai fini della disciplina in materia di contratti pubblici, il consorzio ordinario è considerato un soggetto con identità plurisoggettiva, che opera in qualità di mandatario delle imprese della compagine. Esso prende necessariamente parte alla gara per tutte le consorziate e si qualifica attraverso di esse, in quanto le stesse, nell’ipotesi di aggiudicazione, eseguiranno il servizio, rimanendo esclusa la possibilità di partecipare solo per conto di alcune associate (Cons. St., sez. V, 06.10.2015, n. 4652, il quale ha statuito l’illegittimità della partecipazione di un consorzio ordinario che, pur riunendo due società, aveva dichiarato di gareggiare per conto di una sola di esse).
Non è così per i consorzi stabili. Questi, a mente dell’art. 45, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, sono costituiti “tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro” che “abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa”.
È in particolare il riferimento aggiuntivo e qualificante alla “comune struttura di impresa” che induce ad approdare verso lidi ermeneutici diversi ed opposti rispetto a quanto visto per i consorzi ordinari. I partecipanti in questo caso danno infatti vita ad una stabile struttura di impresa collettiva, la quale, oltre a presentare una propria soggettività giuridica con autonomia anche patrimoniale, rimane distinta e autonoma rispetto alle aziende dei singoli imprenditori ed è strutturata, quale azienda consortile, per eseguire, anche in proprio (ossia senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate), le prestazioni affidate a mezzo del contratto (Cons. St., sez. VI, 13.10.2020, n. 6165).
Proprio sulla base di questa impostazione, la Corte di Giustizia UE (C-376/08, 23.12.2009) è giunta ad ammettere la contemporanea partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e della consorziata, ove quest’ultima non sia stata designata per l’esecuzione del contratto e non abbia pertanto concordato la presentazione dell’offerta (Cons. St., sez. III, 04.02.2019, n. 865).
Tanto chiarito sul versante della natura giuridica del consorzio stabile, giova fare un ulteriore cenno esplicativo al cd. meccanismo di qualificazione alla “rinfusa” che ha segnatamente caratterizzato la vicenda in causa.
Trattasi del portato dell’art. 31, comma 1, d.lgs. 19.04.2017, n. 56, vigente all’epoca dei fatti di causa, per il quale: “I consorzi di cui agli artt. 45, comma 2, lett. c) e 46, comma 1, lett. f), al fine della qualificazione, possono utilizzare sia i requisiti di qualificazione maturati in proprio, sia quelli posseduti dalle singole imprese consorziate designate per l’esecuzione delle prestazioni, sia, mediante avvalimento, quelli delle singole imprese consorziate non designate per l’esecuzione del contratto. Con le linee guida dell’Anac di cui all’art. 84, comma 2, sono stabiliti, ai fini della qualificazione, i criteri per l’imputazione delle prestazioni eseguite al consorzio o ai singoli consorziati che eseguono le prestazioni”.
La disposizione ha avuto vigore sino al 2019. L'art. 1, comma 20, lett. l), n. 1), d.l. 18.04.2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14.06.2019, n. 55, ha eliminato tale regola, ripristinando l’originaria e limitata perimetrazione del cd. cumulo alla rinfusa ai soli aspetti relativi alla “disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d'opera, nonché all'organico medio annuo”, i quali sono “computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.
Siffatto peculiare meccanismo (si ribadisce, esteso all’epoca dei fatti di causa anche ai requisiti di qualificazione, ma oggi limitato ad attrezzature, mezzi d'opera e organico medio annuo) ha radici nella natura del consorzio stabile e si giustifica in ragione: a) del patto consortile, comunque caratterizzato dalla causa mutualistica; b) del rapporto duraturo ed improntato a stretta collaborazione tra le consorziate avente come fine “una comune struttura di impresa”.
Quanto sopra, se è vero in via generale in relazione al cumulo di alcuni requisiti necessari alla partecipazione, necessita invece di un distinguo, ai diversi fini dei legami che si instaurano nell’ambito della gara, tra consorzio stabile e consorziate, a seconda se queste ultime siano o meno designate per l’esecuzione dei lavori.
Solo le consorziate designate per l’esecuzione dei lavori partecipano alla gara e concordano l’offerta, assumendo una responsabilità in solido con il consorzio stabile nei confronti della stazione appaltante (art. 47 comma 2, del codice dei contratti). Per le altre il consorzio si limita a mutuare, ex lege, i requisiti oggettivi, senza che da ciò discenda alcuna vincolo di responsabilità solidale per l’eventuale mancata o erronea esecuzione dell’appalto.
Si è dinanzi, in quest’ultimo caso, ad un rapporto molto simile a quello dell’avvalimento (non a caso espressamente denominato tale dalla vecchia versione dell’art. 47 comma 2, ratione temporis applicabile), anche se, per certi versi, meno intenso: da una parte, infatti, il consorziato presta i requisiti senza partecipare all’offerta, similmente all’impresa avvalsa (senza bisogno di dichiarazioni, soccorrendo la “comune struttura di impresa” e il disposto di legge), dall’altra, pur facendo ciò, rimane esente da responsabilità (diversamente dall’impresa avvalsa).
Una forma di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità dunque.
Questa constatazione, se intermediata attraverso l’elaborazione logica, è di per sé sufficiente a giustificare l’applicazione alla fattispecie in esame dell’art. 89, comma 3, del codice dei contratti.
A mente della disposizione citata, infatti la stazione appaltante (in luogo di disporre l’esclusione in cui inesorabilmente incorrerebbe un concorrente nell’ambito di un raggruppamento o di un consorzio ordinario o stabile) impone all'operatore economico di “sostituire” i soggetti di cui si avvale “che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione”. Ergo, se è possibile, in via eccezionale, sostituire il soggetto legato da un rapporto di avvalimento, a fortiori dev’essere possibile sostituire il consorziato nei confronti del quale sussiste un vincolo che rispetto all’avvalimento è meno intenso.
Del resto, che questa sia la soluzione per colmare la lacuna normativa esistente, ed evidenziata dall’ordinanza di rimessione, per il caso del consorziato non designato per l’esecuzione, trova piena conferma nell’ampia formulazione dell’art. 63 della direttiva 2014/24/UE, il quale, nel disciplinare l’avvalimento, vi ricomprende tutti i casi in cui un operatore economico, per un determinato appalto, fa “affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi”, senza dare rilevanza qualificante alla responsabilità solidale dei soggetti avvalsi. Circostanza, quest’ultima, rimessa piuttosto dalla direttiva all’eventuale decisione discrezionale dell’amministrazione aggiudicatrice (l’amministrazione aggiudicatrice “può esigere” che l’operatore economico e i soggetti di cui sopra siano solidalmente responsabili dell’esecuzione del contratto, recita l’art. 63 cit.), anche se poi tradottasi in un precetto di legge in sede di recepimento nell’ordinamento italiano (art. 89, comma 5, codice dei contratti).
Non v’è ragione, dunque, per riservare al consorzio che si avvale dei requisiti di un consorziato “non designato”, un trattamento diverso da quello riservato ad un qualunque partecipante, singolo o associato, che ricorre all’avvalimento. Nell’uno, come nell’altro caso, in virtù dell’art. 89, comma 3, del codice dei contratti, ove il requisito “prestato” venga meno, l’impresa avvalsa potrà, rectius, dovrà essere sostituita.
In risposta alle preoccupazioni manifestate dal Collegio rimettente, e al fine di garantire chiarezza e certezza al quadro esegetico complessivo, può aggiungersi che la chiave interpretativa innanzi delineata non tocca la perdurante validità del principio di necessaria continuità nel possesso dei requisiti, affermato dall’Adunanza Plenaria con sentenza 8/2015, né il più generale principio di immodificabilità soggettiva del concorrente (salvi i casi previsti della legge nel caso di raggruppamento temporaneo di imprese).
Con tale decisione l’Adunanza, ribadendo il portato della costante giurisprudenza antecedente, ha affermato il principio generale, secondo cui “il possesso dei requisiti di ammissione si impone a partire dall'atto di presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica”; chiarendo che “per esigenze di trasparenza e di certezza del diritto, che non collidono col pur rilevante principio del favor partecipationis, la verifica del possesso, da parte del soggetto concorrente (ancor prima che aggiudicatario), dei requisiti di partecipazione alla gara deve ritenersi immanente all’intero procedimento di evidenza pubblica, a prescindere dalla indicazione, da parte del legislatore, di specifiche fasi espressamente dedicate alla verifica stessa, quali quelle di cui all’art. 11, comma 8, ed all’art. 48, d.lgs. n. 163 del 2006”.
Trattasi di un principio del quale, a valle dell’Adunanza Plenaria citata, nessuno più dubita, e che merita piena adesione anche oggi, in questa sede.
E’ pur vero che, nel caso allora deciso, l’Adunanza si spinse a precisare che sussiste “sul piano dell’accertamento dei requisiti di ordine generale e tecnico-professionali ed economici, una totale equiparazione tra gli operatori economici offerenti in via diretta e gli operatori economici in rapporto di avvalimento e dunque, in definitiva, fra i primi e l’imprenditore, che preferisca seguire la via del possesso mediato ed indiretto dei requisiti di partecipazione ad una gara”, con ciò lasciando chiaramente intendere che l’affermato principio di continuità dovesse valere anche per l’impresa avvalsa.
Tuttavia detta ultima affermazione dev’essere letta nel quadro normativo, ratione temporis vigente, anche comunitario, che pacificamente escludeva la possibilità di una sostituzione dell’impresa rimasta priva di requisiti, a prescindere se essa fosse legata da un vincolo di associazione temporanea con l’aggiudicatario o da un più tenue rapporto di avvalimento (art. 44 della Dir. 31.03.2004, n. 2004/18/CE).
Quel quadro normativo è mutato, e per il tramite del più volte citato art. 63 della direttiva 2014/24/UE, esso oggi pacificamente impone che il soggetto avvalso che nelle more del procedimento di gara o durante l’esecuzione del contratto perda i requisiti, venga sostituito.
Dunque non v’è più motivo per discorrere, in relazione a tale peculiare fattispecie, di necessaria “continuità” nel possesso dei requisiti del concorrente che si avvale dell’apporto claudicante di terzi, a pena di esclusione.
La sostituzione è appunto lo strumento nuovo e alternativo che, alla luce del principio di proporzionalità, consente quella continuità predicata dall’Adunanza Plenaria nel 2015, in tutti i casi in cui il concorrente si avvalga dell’ausilio di operatore terzi. Trattasi di un "istituto del tutto innovativo", secondo la definizione datane dal Consiglio Stato (sez. III, n. 5359 del 2015) e dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea (C-223/16 del 14.09.2017, Casertana costruzioni s.r.l.).
Esso restituisce al soggetto avvalso la sua vera natura di soggetto che presta i requisiti al concorrente, senza partecipare alla compagine e all’offerta da questa formulata e risponde all'esigenza, stimata superiore, di evitare l'esclusione del concorrente, singolo o associato, per ragioni a lui non direttamente riconducibili o imputabili. Esigenza quest’ultima evidentemente strumentale a stimolare il ricorso all'avvalimento: il concorrente, infatti, può contare sul fatto che, nel caso in cui l'ausiliaria non presenti o perda i requisiti prescritti, potrà procedere alla sua sostituzione senza il rischio di essere, solo per questa circostanza, estromesso automaticamente dalla procedura selettiva (Cons. Stato, sez. V, n. 69 del 2019; id. 2527 del 2018; 1101 del 2018).
Di tale mutato quadro ha dato di recente atto l’ordinanza 20.03.2020, n. 2005, con la quale la terza sezione del Consiglio di Stato ha adito in via pregiudiziale la Corte di Giustizia dell’Unione europea proprio in relazione al meccanismo sostitutivo contemplato dall’art. 89, co. 3, del d.lgs. n. 50/2016, sostenendone la necessaria estensione, a termini del diritto dell’unione, a tutte le fattispecie di esclusione, a prescindere dai motivi (attualmente l’art. 89, comma 3, e la giurisprudenza escludono pacificamente che la sostituzione possa avvenire nel caso di dichiarazioni mendaci (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 18.03.2021 n. 5 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: APPALTI – Accordo quadro – Art. 3, c. 1, lett. iii), del d.lgs. n. 50/2016 – Accordo quadro – Nozione – Introduzione di clausole normative per i contratti da attivare tra le parti in un dato periodo.
L’art. 3, comma 1, lett. iii), del decreto legislativo 18.04.2016 n. 50 definisce l’accordo-quadro come l’accordo concluso tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, il cui scopo è proprio quello di stabilire clausole normative, in particolare per quanto riguarda i prezzi e, se del caso, le quantità previste, per i contratti d’attivare tra le parti in un dato periodo preso a riferimento.
Si tratta di un modulo procedurale (più tipico delle centrali di committenza) ammesso dalla disciplina di derivazione europea in materia di contratti pubblici, che permette anche di stabilire uno o più servizi fissi di base e di gestire, con flessibilità, l’attivazione di contratti o servizi opzionali a scelta
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 10.03.2021 n. 442 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI FORNITURE: APPALTI – Ordinamento penitenziario – Vitto e sopravvitto – Differenza – Prestazione del vitto ai detenuti – Contratto di appalto di servizi – Sopravvitto – Contratto di somministrazione – Differenze tra appalto e somministrazione.
Nell’ordinamento penitenziario, il “vitto” consiste nell’approvvigionamento a monte, nella fornitura delle derrate alimentari necessarie e nel confezionamento dei pasti giornalieri completi (colazione, pranzo e cena) ai detenuti.
Come in consimili fattispecie di appalti per la preparazione dei pasti aziendali o per collettività di utenti, la prestazione del vitto ai detenuti e internati (c.d. ristretti) integra un contratto di “appalto di servizi” (art. 1655 ss. del codice civile), in quanto, accanto alla somministrazione dei prodotti alimentari, v’è l’attività di lavorazione, mediante maestranze dedicate, consistente nella preparazione dei pasti giornalieri d’uso.
Al contrario, il “sopravvitto” si risolve nel mero contratto di “somministrazione” (artt. 1559 ss. del codice civile), in quanto consiste nella “fornitura periodica” di un insieme (prestabilito) di generi alimentari e vari beni di conforto (dunque non solo alimenti), acquistabili mediante contingentati fondi personali (c.d. peculio del “ristretto”), diretta a soddisfare l’interesse del somministrato, ossia dell’istituto di pena (e solo indirettamente del “ristretto”), il quale, nell’osservanza dell’ordinamento penitenziario, “può” autorizzare, nei prefissati limiti di genere e di spesa, la fornitura di alimenti di pronta consumazione o di beni di conforto in favore dei detenuti e internati c.d. “meritevoli”.
Il contratto di somministrazione, pur similare, si distingue dal contratto di appalto, perché ha per oggetto la prestazione di cose (art. 1559 del codice civile), ossia i soli generi di sopravvitto ammessi; mentre, oggetto dell’appalto è il compimento di un servizio predefinito (art. 1655 del codice civile), ossia l’attività di preparazione dei pasti del vitto, che va oltre la mera fornitura di alimenti.
La causa della somministrazione non è solo la prestazione di cose da consegnare, ma la ripetizione di queste prestazioni e, quindi, la periodicità della prestazione vale a contraddistinguerla anche rispetto al tipo giuridico della vendita. Nella somministrazione la cosa è negoziata come tale e non come risultante dall’attività altrui, attività che invece nell’appalto assume rilevanza, in quanto l’imprenditore mette a disposizione i propri mezzi e il proprio capitale per eseguire un servizio più ampio a favore del committente.

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APPALTI – Contratto di sopravvitto – Contenuto specifico.
Nel contratto di somministrazione, le parti possono omettere di specificare l’entità delle prestazioni. Infatti, l’art. 1560 del codice civile prevede una disciplina suppletiva, che richiama la nozione in sé indeterminata di “normale fabbisogno”, comunque derogabile dalle parti, le quali possono prevedere espressamente che il somministrato possa decidere di volta in volta la specificazione e il quantitativo delle cose prestabilite nel genere da ricevere, per cui viene ammessa (e pacificamente utilizzata nella prassi negoziale) la somministrazione con il patto o la clausola c.d. “a piacere” (o “a richiesta”, o “a discrezione”) del somministrato (Cass., sez. III civ., 20.10.1975 n. 3450; Tribunale di Milano 28.06.2011).
Il sopravvitto si atteggia dunque a contratto di somministrazione di cose, con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose (art. 1559 c.c.). Il sopravvitto costituisce mera attività di approvvigionamento di merci e consegna (ossia di stoccaggio e immagazzinamento) e non di vendita diretta alla libera utenza. E’ indi prevista la fruizione di un locale di “spaccio” adiacente o in prossimità al magazzino.
L’Amministrazione contraente, inoltre, come da capitolato prestazionale, laddove disponibili, concede in uso i locali per lo stoccaggio e il deposito delle merci e l’uso degli impianti e delle attrezzature eventualmente esistenti all’interno dei predetti locali (quali celle frigorifere e/o frigocongelatori).
Nella sostanza il contratto di somministrazione (accessorio) del c.d. sopravvitto è fatto oggetto di “concessione” all’aggiudicatario, con la clausola di esclusiva (dato che i detenuti non possono scegliere alternative al di fuori del carcere), rispetto al quale l’introito normale da attendersi è il prezzo del bene al minuto, che pur tiene in conto il c.d. ricarico dei costi di vendita.

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APPALTI – Vitto e sopravvitto – Remunerazione.
La remunerazione delle singole prestazioni dell’accessorio contratto di somministrazione del sopravvitto non comporta interferenza alcuna con la remunerazione del principale appalto di servizi del vitto. L’unico collegamento tra vitto e sopravvitto sta nella circostanza che l’operatore economico offerente viene informato circa la possibilità di conseguire tale ulteriore vantaggio, rispetto a profitti ricavabili dal solo appalto di vitto, considerando che non si tratta di allestire un –giammai consentibile– “supermercato” interno all’istituto di pena, bensì di utilizzare un locale adibito a “spaccio” adiacente al magazzino.
Tant’è che, alla stregua della lex specialis di gara, la normale remunerazione attesa per il sopravvitto consiste proprio nella differenza tra il prezzo del bene alla vendita “al minuto” e il costo del bene pagato invece all’approvvigionamento “all’ingrosso”, intrinsecamente variabile nel suo fatturato globale e nell’utile ritraibile in rapporto alle disponibilità finanziarie e al numero dei soggetti c.d. ristretti ammessi al sopravvitto
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 10.03.2021 n. 442 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTISecondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, le norme dell’evidenza pubblica non sono poste formalisticamente a presidio di un pericolo astratto, ma del concreto e regolare svolgimento delle operazioni di gara, che possono essere contestate e annullate solo laddove il ricorrente offra almeno un principio di prova dal quale si desuma in via indiziaria che l’operato della Commissione giudicatrice o abbia violato direttamente la legge o sia affetto da eccesso di potere in una delle sue figure sintomatiche.
«(Nel caso di specie) tale principio non è stato offerto dall’odierna appellante perché la circostanza che i singoli commissari abbiano espresso tutti lo stesso punteggio o un unico punteggio, come ormai afferma la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, non è ex se indice di illegittimità, per la stringente ragione che essa prova troppo, «non essendo nemmeno sufficientemente chiaro il punto di caduta di tale rilievo censoreo ben potendo spiegarsi la detta circostanza come una fisiologica evoluzione del confronto dialettico svoltosi in seno a tale organo».
Invero, «Non si può pertanto desumere, dal solo fatto che le valutazioni espresse da ciascuno dei commissari risultano omogenee, alcuna illegittimità delle stesse, né l’omologazione dei punteggi costituisce, per il legislatore, e per il bando della gara in esame, un sintomo certo di illegittimità».

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Nella seconda parte del terzo motivo (indicata come “III.II”), la società H. evidenzia che ognuno dei cinque membri della commissione di gara ha espresso il medesimo giudizio per ciascuna delle voci oggetto di valutazione discrezionale e per tutte le proposte tecniche esaminate (cfr. ancora il doc. 2 della ricorrente).
Secondo l’art. 13.4 del capitolato d’oneri relativo al punteggio tecnico (cfr. ancora il doc. 1 della controinteressata del 09.07.2019, pagina 50 di 67), ogni commissario attribuisce un giudizio per ogni aspetto qualitativo dell’offerta, da “Accettabile” a “Ottimo”, al quale corrisponde un coefficiente numerico da 0,25 a 1,00.
Orbene, a detta della ricorrente, la coincidenza dei giudizi dei commissari implicherebbe di per sé l’illegittimità dell’attribuzione del punteggio tecnico, che sarebbe il risultato di una decisione collegiale e non dell’apporto valutativo di ogni singolo membro della commissione.
La doglianza è priva di pregio, giacché, in assenza di prova diversa, la mera coincidenza dei giudizi individuali appare irrilevante, ben potendo la stessa essere la naturale conseguenza dell’orientamento di ogni commissario.
Sul punto la giurisprudenza amministrativa è pacifica; si vedano, in particolare, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 574/2021: «…come ha ben rilevato anche la sentenza impugnata, si deve tenere presente infatti il consolidato orientamento giurisprudenziale, di recente ribadito anche da questa Sezione, secondo cui le norme dell’evidenza pubblica non sono poste formalisticamente a presidio di un pericolo astratto, ma del concreto e regolare svolgimento delle operazioni di gara, che possono essere contestate e annullate solo laddove il ricorrente offra almeno un principio di prova dal quale si desuma in via indiziaria che l’operato della Commissione giudicatrice o abbia violato direttamente la legge o sia affetto da eccesso di potere in una delle sue figure sintomatiche.
5.6. Nel caso di specie tale principio non è stato offerto dall’odierna appellante perché la circostanza che i singoli commissari abbiano espresso tutti lo stesso punteggio o un unico punteggio, come ormai afferma la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, non è ex se indice di illegittimità, per la stringente ragione che essa prova troppo (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 06.11.2019, n. 7595; Cons. St., sez. V, 24.03.2014, n. 1428, Cons. St., sez. V, 17.12.2015, n. 517), «non essendo nemmeno sufficientemente chiaro il punto di caduta di tale rilievo censoreo ben potendo spiegarsi la detta circostanza come una fisiologica evoluzione del confronto dialettico svoltosi in seno a tale organo» (Cons. St., sez. III, 26.10.2020, n. 5130)»; oltre a Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1497/2021 e sez. III, sentenza n. 8295/2020, ed infine TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sentenza n. 529/2020, per cui: «Non si può pertanto desumere, dal solo fatto che le valutazioni espresse da ciascuno dei commissari risultano omogenee, alcuna illegittimità delle stesse, né l’omologazione dei punteggi costituisce, per il legislatore, e per il bando della gara in esame, un sintomo certo di illegittimità (TAR Lombardia–Milano, Sez. IV, n. 2437/2019; cfr., C.d.S., Sez. VI, n. 1887/2019; Id., Sez. III, n. 3994/2017 e n. 2682/2019)
».
Nel caso di specie l’esponente si è limitata ad evidenziare l’omogeneità dei giudizi, senza altro addurre o provare.
In conclusione, devono respingersi anche il terzo motivo e quindi l’intero ricorso
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 01.03.2021 n. 541 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2021

APPALTIEsclusione automatica «emergenziale», obbligatoria anche se non è prevista nella legge di gara.
Secondo il giudice capitolino, l'esclusione automatica semplificata «emergenziale» è obbligatoria anche se non è stata richiamata nella legge speciale. La norma introdotta dal Dl 76/2020 e dalla successiva legge di conversione 120/2020, al comma 3, dell'art. 1, applicabile alla procedura negoziata in caso di appalto al minor prezzo con soli 5 partecipanti (in luogo dei 10 previsti dal comma 8 dell'articolo 97 del Codice) è obbligatoria a differenza di quanto ha sostenuto il Tar Puglia nella sentenza n. 113/2021 (si veda NT+ Enti Locali & Edilizia del 29 gennaio).
In questo senso il TAR Lazio-Roma, Sez. I, con la sentenza 19.02.2021 n. 2104.
La vicenda
Una stazione appaltante avvedutasi del mancato adeguamento del sistema telematico alla nuove norme della legge 120/2020 ha effettuato una nuova seduta pubblica del seggio di gara «per il ricalcolo della soglia di anomalia».
Questo ha comportato che l'impresa risultata aggiudicataria, a seguito dell'annullamento dell'esito della competizione, è stata esclusa in quanto aveva presentato un'offerta anomala.
L'impresa ha presentato ricorso evidenziando come nella lettera di invito si disponesse per l'applicazione delle disposizioni contenute nell'articolo 97 senza alcun recepimento/menzione delle nuove norme e della "nuova" fattispecie semplificata dell'esclusione automatica.
La sentenza
Il giudice non ha condiviso le ragioni del ricorso ritenendo, come detto, l'esclusione automatica semplificata con soli 5 partecipanti alla competizione, come obbligatoria ed eterointegrativa della legge speciale che, con determina adottata entro il range temporale dell'emergenza (dal 17.07.2020 e fino al 31.12.2021), non ne menzionasse, eventualmente, l'applicazione.
Secondo il giudice, in sostanza, la norma emergenziale deve essere applicata a prescindere da ogni richiamo esplicito nella legge di gara vista la stretta correlazione con gli obiettivi della legge 120/2020, ovvero consentire l'avvio e l'incentivazione degli investimenti e la ripresa economica del Paese nel post Covid-19.
In modo chiaro, in sentenza, è annotato che «a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, (…) il meccanismo di esclusione automatica ivi configurato» nella norma, «opera obbligatoriamente, senza necessità di inserimento negli atti di indizione delle procedure stesse; in altri termini, esso non è oggetto di una facoltà liberamente esercitabile dalla stazione appaltante».
Che non si tratti di una mera facoltà lo si deve desumere, ha sottolineato il giudice capitolino, dal chiaro tenore letterale delle previsioni e, in via sistematica, «al favor per la procedura negoziata ricavabile» dall'articolo 1, comma 2, del Dl 76/2020 e successiva legge di conversione.
Dal micro apparato normativo delle disposizioni cosiddette di «semplificazione» emergerebbe pertanto una netta scelta del legislatore, non solo verso l'utilizzo di procedimenti di gara estremamente semplificati (l'affidamento diretto e la procedura negoziata) ma anche la constatazione che gli scopi/obiettivi di velocizzazione dei procedimenti di gara verrebbero frustrati se l'esclusione automatica dovesse intendersi come meramente discrezionale.
Da qui, quindi, l'affermazione per cui la previsione sulla esclusione automatica (articolo 1, comma 3, della legge 120/2020) non lascerebbe alcun «margine di scelta alla stazione appaltante, obbligata a procedere all'esclusione automatica […] pure in mancanza di enunciazione negli atti gara, trattandosi di una soluzione che oltre a non trovare riscontro nel dato letterale di legge, […] non risulterebbe nuovamente funzionale all'obiettivo di celerità delle procedure» (Tar Piemonte sentenza n. 736/2020, contra Tar Puglia, sentenza n. 113/2021).
La discrezionalità, inoltre, sull'applicazione o meno dell'esclusione automatica si potrebbe prestare a valutazioni di opportunità e quindi a inaccettabili condizionamenti del procedimento di assegnazione dell'appalto.
Stante la portata del contenzioso è bene, comunque, che i Rup delle stazioni appaltanti esplicitino chiaramente nella legge di gara, in realtà fin dalla determina a contrarre, l'applicazione della "nuova" fattispecie di esclusione automatica a 5 partecipanti alla procedura negoziata da aggiudicarsi al minor prezzo (articolo NT+Enti Locali & Edilizia dell'01.03.2021).
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SENTENZA
I) sul primo motivo:
   - che la ricorrente, estromessa dalla procedura a causa della riscontrata anomalia dell’offerta, censura la scelta della stazione appaltante di non aver tenuto conto dell’art. 24 della lettera di invito, a tenore del quale “La procedura di esclusione automatica delle offerte individuate come anomale, sempre che il numero delle stesse sia pari o superiore a dieci, è quella fissata ai sensi dell’art. 97, comma 8, del Codice”, per fare invece applicazione, nonostante il mancato recepimento da parte della lex specialis, dell’art. 1, co. 3, d.l. 16.07.2020, n. 76 (conv. con modif. dalla l. 11.09.2020, n. 120), con cui è stata dimezzata la soglia di operatività di detta procedura (da almeno dieci ad almeno “cinque offerte ammesse”);
   - che il motivo è infondato;
   - che ai sensi dell’art. 1, co. 3, d.l. cit., recante introduzione di una disciplina temporanea (efficace dal 17.07.2020, data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2020, fino al 31.12.2021) e derogatoria del d.lgs. n. 50/2016 per le finalità indicate in apertura del comma 1 (“incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici” e “far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19”), “Gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell’articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016. Per gli affidamenti di cui al comma 2, lett. b), le stazioni appaltanti, fermo restando quanto previsto dall’articolo 95, comma 3, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, nel rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento, procedono, a loro scelta, all’aggiudicazione dei relativi appalti, sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del prezzo più basso. Nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’articolo 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo n. 50 del 2016, anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque” (enf. agg.);
   - che, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, nelle procedure prese in considerazione da quest’ultima previsione il meccanismo di esclusione automatica ivi configurato opera obbligatoriamente, senza necessità di inserimento negli atti di indizione delle procedure stesse; in altri termini, esso non è oggetto di una facoltà liberamente esercitabile dalla stazione appaltante, come si desume dal chiaro tenore letterale della norma e, in via sistematica, dal favor per la procedura negoziata ricavabile dall’art. 1, co. 2, d.l. cit. (come rilevato dalla parte controinteressata, ipotizzare l’introduzione di una mera facoltà vanificherebbe lo scopo di semplificazione sotteso alla normativa in esame, posto che alla riduzione del numero di operatori invitati non conseguirebbe la possibilità di ricorrere a un automatismo per escludere le offerte anomale: la norma sarebbe, infatti, posta a tutela del duplice interesse a garantire l’affidabilità dei contraenti con la pubblica amministrazione e ad assicurare che tale affidabilità sia accertata “in tempi compatibili con un sollecito svolgimento della procedura di gara”; in questa ottica, non giova alla ricorrente invocare la circolare Mit del 18.11.2020, n. 45113, nella parte in cui afferma che per gli appalti sotto soglia “è stata ampliata la possibilità di esclusione automatica”, trattandosi di una precisazione che, se intesa nel senso voluto dalla ricorrente medesima, sarebbe da disapplicare);
   - che, pertanto, può convenirsi col rilievo della controinteressata circa l’eterointegrazione della lex specialis a opera del ridetto art. 1, co. 3, d.l. n. 76/2020 (per sua parte, l’amministrazione ha ricondotto a “mero errore di applicazione del sistema telematico” la mancata indicazione della clausola in questione nella lettera di invito, v. nota 28.01.2021, dep. 01.02.2021, dichiarando al contempo di avere adottato la medesima impostazione oggi in esame a “tutte le procedure espletate […] da novembre e dicembre 2020”; v. nota 21.01.2021, all. 2 amm.);
   - che questo indirizzo trova supporto in una condivisibile recente pronuncia, alla stregua della quale, in caso di procedura negoziata “in deroga” (ex art. 1 d.l. n. 76/2020), il tenore dell’art. 1, co. 3, d.l. cit. non lascia “margine di scelta alla stazione appaltante”, obbligata a procedere all’esclusione automatica (anche perché “se l’intero obiettivo della disciplina è quello di semplificare l’andamento delle gare […], l’esclusione automatica sottosoglia risulta certamente coerente con tale obiettivo”) pure in mancanza di enunciazione negli atti gara, trattandosi di una soluzione che “oltre a non trovare riscontro nel dato letterale di legge, che pare piuttosto idonea, ove necessario, ad eterointegrare la disciplina di gara, non risulterebbe nuovamente funzionale all’obiettivo di celerità delle procedure poiché inserirebbe una, ennesima, previsione di carattere facoltativo con onere di motivazione circa la scelta effettuata (esclusione automatica o meno) in un contesto di atti generali quali le leggi di gara, che fisiologicamente si presterebbe poi a contestazioni circa l’opportunità e/o la sufficiente giustificazione della scelta, con effetti nuovamente potenzialmente opposti al dichiarato fine di rendere celere ed automatico l’esito della procedura” (così Tar Piemonte 17.11.2020, n. 736; con riferimento, poi, alla sentenza Tar Puglia, Lecce, 22.01.2021, n. 113, richiamata dalla ricorrente, che afferma l’inoperatività dell’esclusione automatica se non prevista negli atti di indizione della gara, sulla base dei principi espressi da Corte giust. UE 02.06.2016, C-27/15, e 10.11.2016, C-162, si può osservare che, al netto dei dubbi circa la possibilità di riferire tali principi non solo a previsioni di natura escludente, e dunque aventi rilievo sulla platea dei partecipanti, ma a un meccanismo, peraltro automatico, di esclusione di offerte anomale, ossia presuntivamente inadeguate a garantire la corretta esecuzione dell’appalto, sta di fatto che nel caso in esame la lex specialis comunque ne prevedeva l’operatività, come si è visto; cfr. art. 24 lett. inv.);
II) sul secondo mezzo:
   - che la società ricorrente si duole, in via gradata, del fatto che l’annullamento in autotutela, intervenuto a offerte già note e non preceduto da alcuna valutazione sulla sussistenza di specifiche ragioni di interesse pubblico ex art. 21-nonies l. n. 241/1990, avrebbe dovuto riguardare (non già la sola aggiudicazione in suo favore, ma) tutti gli atti di gara, con conseguente necessità del rinnovo della procedura; tanto più alla luce del fatto che il vizio atterrebbe in primis alla lettera di invito (con sua propagazione agli atti successivi, aggiudicazione inclusa; la ricorrente ha precisato, sul punto, di voler censurare l’aggiudicazione disposta in favore della seconda classificata in un momento in cui già era noto il contenuto delle offerte economiche e dunque il nominativo del beneficiario finale, avendo a suo dire l’amministrazione effettuato una scelta secundum eventum, con asserita violazione dei canoni di imparzialità e par condicio; mem. 08.02.2021 ric., in replica all’obiezione della controinteressata sulla circostanza che il calcolo di anomalia non potrebbe che avvenire a offerte conosciute);
   - che va disatteso pure questo motivo, avuto riguardo al criterio di aggiudicazione indicato dalla lex specialis (prezzo più basso);
   - che l’automatismo con il quale opera tale criterio (e la “cristallizzazione” delle offerte presentate dai concorrenti) impedisce di ravvisare le dedotte violazioni della regola della par condicio, essendo quest’ultimo canone di norma riferibile ad attività valutative delle pubbliche amministrazioni, caratterizzate da esercizio di discrezionalità (pure tecnica), e non anche a un’attività vincolata quale quella diretta all’individuazione dell’offerta non anomala recante il maggior ribasso, rispetto alla quale ordinariamente (e quantomeno agli odierni fini) non rileva l’identità degli eventuali beneficiari;
   - che, venendo oggi in rilievo questa seconda attività, non si ravvisano i vizi prospettati dalla ricorrente (la quale, peraltro, nemmeno adduce elementi tali da far percepire aspetti di arbitrarietà nella condotta della stazione appaltante);
   - che, sotto altro profilo, risultano chiaramente esposte le ragioni della determinazione tutoria (l’interesse pubblico è evidentemente collegato alla necessità di individuare il “giusto” contraente dell’amministrazione);

APPALTIForniture, in fase esecutiva verifica specifiche tecniche. Prevalenza bando di gara su capitolato.
In una gara d'appalto pubblico per una fornitura standardizzata, a differenza della verifica delle condizioni di capacità e di idoneità soggettiva dei concorrenti da effettuarsi prima del contratto, la verifica delle specifiche tecniche va svolta in sede esecutiva, con la produzione e/o l'acquisizione dei beni dopo la stipula del contratto.

Lo ha precisato il TAR dell'Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, con la sentenza 08.02.2021 n. 88 rispetto ad una controversia nella quale era stato chiesto l'annullamento degli atti di gara nella parte in cui dovesse esser interpretata come tale da imporre alla stazione appaltante di procedere alla fase di verifica sui campioni nella fase di esecuzione e non prima della stipulazione del contratto.
Per i giudici, ai sensi dell'art. 32, comma 7, del Codice appalti, l'aggiudicazione diventa efficace dopo la verifica del possesso dei requisiti, da intendersi come requisiti generali o morali (art. 80 del codice) o speciali (art. 83 del codice) posseduti dal concorrente. È noto, infatti, hanno ricordato i giudici che i requisiti di partecipazione fanno esclusivo riferimento a condizioni di capacità e idoneità degli offerenti mentre i criteri di valutazione a elementi specifici dell'offerta (e non degli offerenti) in relazione al progetto da realizzare (a tale riguardo nella sentenza si richiama il precedente del Consiglio di stato sez. III, dell'11.03.2019, n. 1635).
Ciò premesso, ha affermato il Tar, nessuna norma del vigente codice appalti prevede invece una fase di verifica sulle specifiche tecniche ovvero su campioni rappresentativi del prodotto offerto, si che tale verifica può e deve svolgersi di norma, salvo diversa previsione degli atti di gara, in sede esecutiva.
Nel caso di specie, secondo il disciplinare, la verifica prevista prima della stipulazione ha carattere orientativo e non sostitutiva di quella da effettuarsi in sede esecutiva, conformemente all'esaminata necessità di consentire al concorrente la produzione o l'acquisizione dei beni soltanto dopo la stipulazione del contratto, specie ove l'appalto abbia poi ad oggetto prodotti standardizzati (articolo ItaliaOggi del 12.02.2021).

gennaio 2021

APPALTI- l’offerta economica dell’aggiudicataria indica espressamente l’importo relativo al costo della manodopera, risultando quindi conforme alle prescrizioni di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016, il quale impone ai concorrenti di indicare nell’offerta economica i propri costi per la manodopera e gli oneri aziendali per la sicurezza;
   - la mancata allegazione all’offerta della tabella recante la scomposizione dei costi del personale non si pone in contrasto con la norma sopra richiamata, né risulta sanzionata con l’esclusione dalla lex specialis;
   - contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, integrano elementi essenziali dell’offerta economica l’indicazione del prezzo complessivo proposto per l’adempimento delle obbligazioni nascenti dallo stipulando contratto e la separata indicazione dei costi della manodopera, ma non la tabella in questione, contenente dati che potevano risultare utili ai fini della valutazione circa la congruità delle offerte e il rispetto dei minimi salariali e che, per tale ragione, poteva legittimamente essere richiesta dalla stazione appaltante anche ad integrazione della documentazione già prodotta, come avvenuto nella fattispecie.
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2.1. Con riguardo al primo motivo del ricorso introduttivo, come integrato dal quarto motivo aggiunto, è sufficiente rilevare che:
   - l’offerta economica dell’aggiudicataria indica espressamente l’importo relativo al costo della manodopera (v. doc. 4 di GSA), risultando quindi conforme alle prescrizioni di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016, il quale impone ai concorrenti di indicare nell’offerta economica i propri costi per la manodopera e gli oneri aziendali per la sicurezza;
   - la mancata allegazione all’offerta della tabella recante la scomposizione dei costi del personale non si pone in contrasto con la norma sopra richiamata, né risulta sanzionata con l’esclusione dalla lex specialis;
   - contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, integrano elementi essenziali dell’offerta economica l’indicazione del prezzo complessivo proposto per l’adempimento delle obbligazioni nascenti dallo stipulando contratto e la separata indicazione dei costi della manodopera (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, n. 661/2019), ma non la tabella in questione, contenente dati che potevano risultare utili ai fini della valutazione circa la congruità delle offerte e il rispetto dei minimi salariali e che, per tale ragione, poteva legittimamente essere richiesta dalla stazione appaltante anche ad integrazione della documentazione già prodotta, come avvenuto nella fattispecie;
   - peraltro, le censure dedotte con il quarto motivo aggiunto sono tardive e come tali irricevibili, poiché i motivi aggiunti sono stati notificati il 12.03.2020, mentre il documento trasmesso da GSA alla stazione appaltante in data 29.11.2019 -sul quale le nuove doglianze si fondano- è stato conosciuto dalla ricorrente fin dal 03.02.2020, in quanto depositato in giudizio in quella data dalla controinteressata (v. doc. n. 6), sicché le censure avrebbero dovuto essere proposte entro il 04.03.2020;
   - i motivi in esame, pertanto, sono infondati e vanno respinti, potendosi prescindere dalla disamina delle ulteriori eccezioni processuali (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 04.01.2021 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: - in presenza di due concorrenti, la stazione appaltante non è tenuta ad attivare il procedimento di anomalia dell’offerta, in quanto, ai sensi dell’art. 97, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016, alla verifica di congruità si procede, sempre che l’offerta superi i quattro quinti dei punti massimi assegnabili per la qualità e per il prezzo, purché “il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a tre”;
   - ai sensi dell’art. 97, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, la determinazione dell’Amministrazione di procedere alla verifica di anomalia dell’offerta, nei casi in cui ciò non sia espressamente previsto dalla norma, è del tutto facoltativa, ha natura spiccatamente discrezionale e non è soggetta alla sindacabilità del giudice amministrativo se non per le ipotesi di manifesta illogicità e irragionevolezza: si tratta, in altri termini, di valutazione ampiamente discrezionale, che non richiede un’espressa motivazione e che risulta sindacabile soltanto in caso di macroscopica irragionevolezza o illogicità;
   - gli “elementi specifici” posti a base delle doglianze in esame sono frutto di una ricostruzione quantomeno opinabile di parte ricorrente, attraverso la quale vengono aggiunti in maniera apodittica all’offerta di G. maggiori costi della manodopera, costi di reperibilità, costi per premi di formazione, costi della sicurezza aziendale, costi per migliorie delle attrezzature e costi generali, senza che tali costi vengano affatto calibrati in relazione alla concreta organizzazione aziendale della controinteressata;
   - la ricorrente, nella sostanza, non offre elementi concreti e documentalmente fondati da cui poter desumere che l’offerta di G. sia insostenibile e che la stazione appaltante, di conseguenza, abbia illegittimamente omesso di sottoporla a verifica di anomalia;
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2.2. Con riferimento al secondo motivo del ricorso introduttivo e al quinto motivo aggiunto, è sufficiente rilevare che:
   - in presenza di due concorrenti, come nella fattispecie di cui è causa, la stazione appaltante non è tenuta ad attivare il procedimento di anomalia dell’offerta, in quanto, ai sensi dell’art. 97, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016, alla verifica di congruità si procede, sempre che l’offerta superi i quattro quinti dei punti massimi assegnabili per la qualità e per il prezzo, purché “il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a tre”;
   - ai sensi dell’art. 97, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, la determinazione dell’Amministrazione di procedere alla verifica di anomalia dell’offerta, nei casi in cui ciò non sia espressamente previsto dalla norma, è del tutto facoltativa, ha natura spiccatamente discrezionale e non è soggetta alla sindacabilità del giudice amministrativo se non per le ipotesi di manifesta illogicità e irragionevolezza (ex multis, C.d.S., Sez. V, n. 3833/2019): si tratta, in altri termini, di valutazione ampiamente discrezionale, che non richiede un’espressa motivazione e che risulta sindacabile soltanto in caso di macroscopica irragionevolezza o illogicità (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, n. 2048/2017);
   - gli “elementi specifici” posti a base delle doglianze in esame sono frutto di una ricostruzione quantomeno opinabile di parte ricorrente, attraverso la quale vengono aggiunti in maniera apodittica all’offerta di G. maggiori costi della manodopera, costi di reperibilità, costi per premi di formazione, costi della sicurezza aziendale, costi per migliorie delle attrezzature e costi generali, senza che tali costi vengano affatto calibrati in relazione alla concreta organizzazione aziendale della controinteressata;
   - la ricorrente, nella sostanza, non offre elementi concreti e documentalmente fondati da cui poter desumere che l’offerta di G. sia insostenibile e che la stazione appaltante, di conseguenza, abbia illegittimamente omesso di sottoporla a verifica di anomalia;
   - peraltro, le censure dedotte con il quinto motivo aggiunto sono tardive e come tali irricevibili, per le stesse ragioni già esposte in relazione al quarto motivo aggiunto, cui si rinvia;
   - i motivi in questione, pertanto, sono infondati e vanno respinti, potendosi prescindere dall’esame delle ulteriori eccezioni processuali (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 04.01.2021 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Numero massimo di pagine utilizzabile per elaborare una offerta tecnica.
Il TAR Milano:
   - dopo aver preso atto che il disciplinare di gara stabiliva che “Il numero massimo di pagine utilizzabile per l’elaborazione dell’offerta tecnica è di complessive 10 pagine (pari a 20 facciate), con interlinea almeno ‘1.5 righe’ e dimensioni carattere almeno “12 Times New Roman”. Le pagine eccedenti non verranno prese in considerazione dalla Commissione Giudicatrice…” e che il controinteressato, nella redazione dell’offerta, ha utilizzato il carattere “12 Times New Roman”, ma ha comunque ridotto la spaziatura del carattere in maniera tale da comprimere notevolmente il testo in senso orizzontale, in guisa tale da “raddoppiare” sostanzialmente il contenuto della propria offerta tecnica;
   - precisa che le su indicate prescrizioni della lex specialis, in ossequio ai principi di certezza e di par condicio, non possono che essere interpretate nel senso di consentire l’utilizzo del carattere “12 Times New Roman” soltanto nelle dimensioni standard, senza possibilità di alterazioni del carattere stesso attraverso il ricorso a funzioni riduttive della spaziatura, come quella adoperata dalla controinteressata, altrimenti dandosi la stura ad applicazioni della legge di gara suscettibili di vanificarne la ratio, ispirata ad evidenti esigenze di sintesi, con inevitabile violazione dei surricordati principi di certezza e par condicio;
   - aggiunge che, in altri termini, una parte consistente dell’offerta tecnica in questione, di fatto, eccede i limiti dimensionali stabiliti dalla legge di gara, e in quest’ottica la stazione appaltante, anziché valutare l’offerta de qua nella sua interezza avrebbe dovuto prendere in considerazione soltanto la parte di essa che, nel rispetto dei requisiti stabiliti dal disciplinare (ossia senza operare alcuna riduzione della spaziatura del carattere rispetto a quella standard), poteva trovare spazio nel numero massimo di 10 pagine (pari a 20 facciate);
   - conclude, pertanto, che il motivo di censura va accolto e da ciò discende l’obbligo per la stazione appaltante di operare una nuova valutazione dell’offerta tecnica del controinteressato, tenendo conto dei rilievi sopra svolti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 04.01.2021 n. 9 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
2.3. Venendo al terzo motivo del ricorso introduttivo, integrato dal sesto motivo aggiunto, risulta dirimente, ai fini dell’accoglimento del gravame, la censura, dedotta con la prima parte del sesto motivo aggiunto, con cui la ricorrente lamenta che GSA ha superato il limite dimensionale dell’offerta stabilito dalla lex specialis.
2.3.1. Al riguardo, va preliminarmente respinta l’eccezione di tardività sollevata dalla controinteressata.
Sul punto, è sufficiente osservare che, contrariamente a quanto asserito da G., El. S.r.l. ha potuto avere contezza della dimensione complessiva dell’offerta tecnica della prima –ed è stata quindi posta in grado di formulare compiutamente la censura in esame- soltanto a seguito dell’ostensione integrale dell’offerta tecnica stessa, avvenuta solo con la produzione in giudizio del 14.02.2020 da parte dell’Amministrazione.
L’eccezione di tardività, per ciò solo, va respinta.
2.3.2. Venendo al merito, la censura è fondata, atteso che:
   - ai sensi dell’articolo 13, lett. b), del Disciplinare di gara (rubricato “documentazione tecnica”) “…Il numero massimo di pagine utilizzabile per l’elaborazione dell’offerta tecnica è di complessive 10 pagine (pari a 20 facciate), con interlinea almeno ‘1.5 righe’ e dimensioni carattere almeno “12 Times New Roman”. Le pagine eccedenti non verranno prese in considerazione dalla Commissione Giudicatrice…”;
   - GSA, nella redazione dell’offerta, ha utilizzato il carattere “12 Times New Roman”, ma ha comunque ridotto la spaziatura del carattere in maniera tale da comprimere notevolmente il testo in senso orizzontale, in guisa tale da “raddoppiare” sostanzialmente il contenuto della propria offerta tecnica, come dimostrato dalle allegazioni di parte ricorrente, sotto questo profilo incontestate dalla controinteressata;
   - le su indicate prescrizioni della lex specialis, in ossequio ai principi di certezza e di par condicio, non possono che essere interpretate nel senso di consentire l’utilizzo del carattere “12 Times New Roman” soltanto nelle dimensioni standard, senza possibilità di alterazioni del carattere stesso attraverso il ricorso a funzioni riduttive della spaziatura, come quella adoperata da G., altrimenti dandosi la stura ad applicazioni della legge di gara suscettibili di vanificarne la ratio, ispirata ad evidenti esigenze di sintesi, con inevitabile violazione dei su ricordati principi di certezza e par condicio;
   - in altri termini, una parte consistente dell’offerta tecnica di G., di fatto, eccede i limiti dimensionali stabiliti dalla legge di gara, e in quest’ottica la stazione appaltante, anziché valutare l’offerta de qua nella sua interezza, come avvenuto nella fattispecie, avrebbe dovuto prendere in considerazione soltanto la parte di essa che, nel rispetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 13, lett. b), del Disciplinare –ossia senza operare alcuna riduzione della spaziatura del carattere rispetto a quella standard-, poteva trovare spazio nel numero massimo di 10 pagine (pari a 20 facciate);
   - il sesto motivo aggiunto, pertanto, va accolto e da ciò discende l’obbligo per la stazione appaltante di operare una nuova valutazione dell’offerta tecnica di G., tenendo conto dei rilievi sopra svolti, restando conseguentemente assorbito ogni altro profilo di censura contenuto nel motivo in esame e nel terzo motivo del ricorso introduttivo.

anno 2020
dicembre 2020

APPALTILa giurisprudenza ammette la modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l’entità originaria dell’offerta economica, nel rispetto del principio dell’immodificabilità, che presiede la logica della par condicio tra i competitori.
Può talora non essere agevole enucleare il punctum individuationis dell’offerta e dunque la configurabilità della sua modificazione, a fronte di una valutazione di complessiva attendibilità dell’offerta, che ammette anche delle compensazioni tra sovrastime e sottostime di talune voci dell’offerta economica.
Tale ragionamento incontra però non solo il limite del divieto di una radicale modificazione della composizione dell’offerta che ne alteri l’equilibrio economico, allocando diversamente voci di costo nella sola fase delle giustificazioni, ma anche il limite della revisione della voce degli oneri di sicurezza aziendale, che, quale elemento costitutivo dell’offerta, esige una separata identificabilità ed una rigida inalterabilità, a presidio degli interessi pubblici sottesi alla relativa disciplina legislativa.
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2.2. - Nel merito, al fine di valutare la fondatezza dell’assunto della modifica in sede di giustificativi dell’offerta, occorre valutare gli specifici elementi oggetto di contestazione.
Può esaminarsi dapprima il tema degli oneri di sicurezza aziendali, in relazione ai quali l’assunto dell’appellante è che sono stati computati tra le spese generali e quantificati in euro 20.500,00, a fronte di un’indicazione in sede di offerta di euro 27.827,48; l’importo di euro 17.608,31 riguarderebbe invece gli oneri indiretti di sicurezza.
Quale che sia la più corretta ricostruzione, è indubitabile una differenza quanto meno di circa settemila euro, che risulta rilevante di per sé al fine di dimostrare che è stata operata una non consentita modifica dell’offerta.
La giurisprudenza ammette la modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo, non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di diritto, ma anche al fine di porre rimedio ad originari e comprovati errori di calcolo, sempre che resti ferma l’entità originaria dell’offerta economica, nel rispetto del principio dell’immodificabilità, che presiede la logica della par condicio tra i competitori (Cons. Stato, V, 16.03.2020, n. 1873).
Può talora non essere agevole enucleare il punctum individuationis dell’offerta e dunque la configurabilità della sua modificazione, a fronte di una valutazione di complessiva attendibilità dell’offerta, che ammette anche delle compensazioni tra sovrastime e sottostime di talune voci dell’offerta economica. Tale ragionamento incontra però non solo il limite del divieto di una radicale modificazione della composizione dell’offerta che ne alteri l’equilibrio economico, allocando diversamente voci di costo nella sola fase delle giustificazioni, ma anche il limite della revisione della voce degli oneri di sicurezza aziendale, che, quale elemento costitutivo dell’offerta, esige una separata identificabilità ed una rigida inalterabilità, a presidio degli interessi pubblici sottesi alla relativa disciplina legislativa (in termini Cons. Stato, V, 24.04.2017, n. 1896).
Avrebbe dunque dovuto essere rilevata, nella fattispecie controversa, da parte della stazione appaltante, in sede di verifica di anomalia, la modifica, da parte del consorzio Po., degli oneri di sicurezza aziendali, come peraltro espressamente richiesto dall’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.12.2020 n. 7943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl c.d. principio di separazione tra offerta tecnica ed offerta economica, denominato anche come divieto di commistione, risponde alla finalità di garantire la segretezza dell’offerta economica ed è perciò funzionale ad evitare che l’offerta tecnica contenga elementi che consentano di ricostruire, nel caso concreto, l’entità dell’offerta economica.
In tale prospettiva, il divieto di commistione è posto a garanzia dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, sub specie della trasparenza e della par condicio tra i concorrenti; ciò in quanto la conoscenza di elementi economici dell’offerta da parte della Commissione può essere di per sé potenzialmente idonea a determinare un condizionamento anche in astratto, alterandone la serenità ed imparzialità valutativa.
Occorre ancora aggiungere come la clausola del disciplinare di gara che vieti espressamente l’indicazione di elementi economici nell’offerta tecnica non viola il principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, poiché essa non fa che corroborare il divieto di commistione tra offerta tecnica ed offerta economica già insito nel sistema, a presidio, tra l’altro, del principio dell’autonomia dell’apprezzamento discrezionale della prima rispetto a quello della seconda, il cui rispetto è garantito dall’anteriorità della prima valutazione e dalla necessità che dall’offerta tecnica esulino elementi e valori propri dell’offerta economica.

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5. - L’ultimo motivo riproposto dal Po. deduce che l’offerta tecnica di Ca., nel “quadro di raffronto (senza prezzi)”, reca, al contrario, l’indicazione dei prezzi, in violazione di quanto prescritto a pena di esclusione dal disciplinare di gara con riferimento alla busta “B”, punto n. 4, e del principio di separazione tra offerta tecnica ed offerta economica, nonché di garanzia della segretezza dell’offerta economica.
Il motivo è fondato.
Eccepisce Ca. che i valori contestati sono quelli riferiti ai sei criteri costituenti le migliori offerte e sono riportati nel loro valore complessivo, in quanto tali appartengono all’offerta tecnica e sono inidonei a rilevare il contenuto del ribasso dell’offerta economica (contenuto nella busta “C”), e dunque ad influenzare la decisione della Commissione.
Ora, il c.d. principio di separazione tra offerta tecnica ed offerta economica, denominato anche come divieto di commistione, risponde alla finalità di garantire la segretezza dell’offerta economica ed è perciò funzionale ad evitare che l’offerta tecnica contenga elementi che consentano di ricostruire, nel caso concreto, l’entità dell’offerta economica. In tale prospettiva, il divieto di commistione è posto a garanzia dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, sub specie della trasparenza e della par condicio tra i concorrenti; ciò in quanto la conoscenza di elementi economici dell’offerta da parte della Commissione può essere di per sé potenzialmente idonea a determinare un condizionamento anche in astratto, alterandone la serenità ed imparzialità valutativa (Cons. Stato, V, 19.10.2020, n. 6308; V, 29.04.2020, n. 2732).
Anche a seguire la tesi di Ca. in ordine all’irrilevanza dei valori ai fini della conoscenza dell’offerta economica, non può peraltro tacersi che il disciplinare, alla pagina 12, punto 4, espressamente prevede, in tema di requisiti della busta “B”-offerta tecnica, il «quadro di raffronto (senza prezzi) per articoli e quantità tra il progetto posto a base di gara e il progetto integrato con le proposte migliorative formulate in sede di presentazione dell’offerta, senza fare alcun riferimento ai relativi prezzi, né unitari, né totali, pena l’esclusione dalla procedura di gara».
Anche ad intendere il divieto di commistione in senso relativo, la circostanza, sussistente nella fattispecie in esame, che nella lex specialis sia presente una clausola specifica e perentoria, con esplicito divieto di qualsiasi indicazione (diretta e/o indiretta) di carattere economico, porta a ritenere che la stazione appaltante intendesse raggiungere una finalità ulteriore, vietando l’indicazione, nelle offerte tecniche dei concorrenti, di “qualsiasi” dato economico, anche non rilevante ai fini dell’individuazione del contenuto dell’offerta economica.
Occorre ancora aggiungere come la clausola del disciplinare di gara che vieti espressamente l’indicazione di elementi economici nell’offerta tecnica non viola il principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, poiché essa non fa che corroborare il divieto di commistione tra offerta tecnica ed offerta economica già insito nel sistema, a presidio, tra l’altro, del principio dell’autonomia dell’apprezzamento discrezionale della prima rispetto a quello della seconda, il cui rispetto è garantito dall’anteriorità della prima valutazione e dalla necessità che dall’offerta tecnica esulino elementi e valori propri dell’offerta economica (Cons. Stato, V, 14.12.2018, n. 7057)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.12.2020 n. 7943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non è ravvisabile l’elemento soggettivo della fattispecie del conflitto di interesse, che, a norma dell’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, riguarda il personale della stazione appaltante che interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione potendone influenzare il risultato. Tanto che la norma prevede specifici obblighi per il personale della stazione appaltante onde prevenire il conflitto di interessi; la previsione dell’esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. d), dello stesso corpus legislativo è dunque una norma di chiusura che va però collocata e presuppone il contesto soggettivo ora ricordato.
Difetta altresì l’elemento oggettivo del conflitto di interessi, come dimostra la circostanza che alcuna norma o clausola della lex specialis preclude la partecipazione alla gara dell’operatore che ha eseguito il precedente appalto di lavori interessante lo stesso immobile.
La giurisprudenza ha escluso l’applicabilità della norma sul conflitto di interessi anche nell’ipotesi di partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica di una società partecipata dalla stazione appaltante, benché si tratti di evenienza che può avere un impatto potenzialmente maggiore sul piano dell’imparzialità e della trasparenza.
In ogni caso, pur essendo quella sul conflitto di interessi una norma di pericolo, la sussistenza della fattispecie deve essere verificata in concreto sulla base di prove specifiche.

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9. - Il secondo motivo riproposto dal R.T.I. Ca. è incentrato sulla posizione di indebito vantaggio competitivo in cui si troverebbe l’impresa esecutrice designata dal consorzio Po. (la società T.), in quanto attuale affidataria dell’appalto dei lavori (primo stralcio funzionale) presso il medesimo edificio, condizione che le avrebbe consentito di acquisire informazioni strategiche sia per la formulazione dell’offerta tecnica “a misura”, sia per conseguire un risparmio di spesa così modulando un adeguato ribasso nell’offerta; tale condizione ne imponeva l’esclusione dalla gara ai sensi degli artt. 67 e 80, comma 5, lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016, al fine di reintegrare la par condicio, o quanto meno occorreva l’azzeramento del punteggio tecnico attribuitogli onde sanare il conflitto di interessi.
Il motivo è infondato.
Non è infatti ravvisabile l’elemento soggettivo della fattispecie del conflitto di interesse, che, a norma dell’art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, riguarda il personale della stazione appaltante che interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione potendone influenzare il risultato. Tanto che la norma prevede specifici obblighi per il personale della stazione appaltante onde prevenire il conflitto di interessi; la previsione dell’esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. d), dello stesso corpus legislativo è dunque una norma di chiusura (Cons. Stato, III, 20.08.2020, n. 5151) che va però collocata e presuppone il contesto soggettivo ora ricordato.
Difetta altresì l’elemento oggettivo del conflitto di interessi, come dimostra la circostanza che alcuna norma o clausola della lex specialis preclude la partecipazione alla gara dell’operatore che ha eseguito il precedente appalto di lavori interessante lo stesso immobile.
La giurisprudenza ha escluso l’applicabilità della norma sul conflitto di interessi anche nell’ipotesi di partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica di una società partecipata dalla stazione appaltante, benché si tratti di evenienza che può avere un impatto potenzialmente maggiore sul piano dell’imparzialità e della trasparenza (Cons. Stato, V, 07.09.2020, n. 5370).
In ogni caso, pur essendo quella sul conflitto di interessi una norma di pericolo, la sussistenza della fattispecie deve essere verificata in concreto sulla base di prove specifiche (Cons. Stato, V, 17.04.2019, n. 2511) che, nel caso di specie, mancano, potendo, in senso contrario, assumere valore anche la considerazione che il consorzio Po., che si assume avere fruito di un vantaggio competitivo e di un’asimmetria informativa, ha conseguito un punteggio tecnico inferiore a Ca.
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.12.2020 n. 7943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La sentenza ha correttamente evidenziato come sia la norma (l'art. 31 d.lgs. 50/2016), che le (vincolanti) Linee Guida A.N.A.C. n. 3 del 2016 (punto 5.3) prevedono come mera eventualità il supporto della commissione al R.U.P..
Si tratta, dunque, di una facoltà che può essere esercitata dalla stazione appaltante, anche su richiesta del R.U.P., ma il cui mancato esercizio non è profilo di illegittimità, e neppure richiede una specifica motivazione (al contrario, verosimilmente, dovendo essere motivata la delega della verifica dell’anomalia ad altro organo, come pure una maggiore strutturazione dell’istruttoria finalizzata alla stessa verifica con la nomina di una commissione tecnica o mediante avvalimento degli uffici tecnici dell’amministrazione).
Al riguardo, giova ricordare che la giurisprudenza costante afferma che il subprocedimento di anomalia dell’offerta è di competenza del R.U.P. e non della commissione di gara, le cui incombenze si esauriscono con la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico.

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14. - Con il secondo motivo (mantenendo la scansione dell’appello, ovvio essendo peraltro che l’istanza di decisione in via preliminare non costituisce censura in senso proprio) il raggruppamento appellante critica la statuizione che ha ritenuto competente il R.U.P. nella valutazione dell’anomalia dell’offerta; deduce in particolare che è in contestazione la competenza esclusiva del R.U.P. in materia, consentendo l’art. 31, commi 7 e 9, del d.lgs. n. 50 del 2016 l’affiancamento di una struttura tecnica e, se del caso, della commissione al R.U.P. in caso di particolare complessità tecnica dell’appalto.
Il motivo è infondato.
La sentenza ha correttamente evidenziato come sia la norma (il citato art. 31), che le (vincolanti) Linee Guida A.N.A.C. n. 3 del 2016 (punto 5.3) prevedono come mera eventualità il supporto della commissione al R.U.P.; si tratta dunque di una facoltà che può essere esercitata dalla stazione appaltante, anche su richiesta del R.U.P., ma il cui mancato esercizio non è profilo di illegittimità, e neppure richiede una specifica motivazione (al contrario, verosimilmente, dovendo essere motivata la delega della verifica dell’anomalia ad altro organo, come pure una maggiore strutturazione dell’istruttoria finalizzata alla stessa verifica con la nomina di una commissione tecnica o mediante avvalimento degli uffici tecnici dell’amministrazione).
Al riguardo, giova ricordare che la giurisprudenza costante afferma che il subprocedimento di anomalia dell’offerta è di competenza del R.U.P. e non della commissione di gara, le cui incombenze si esauriscono con la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 09.03.2020, n. 1655; III, 05.02.2019, n. 869).
Nel caso di specie peraltro la commissione di gara ha approvato, nella seduta del 20.05.2019, le conclusioni del R.U.P.
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.12.2020 n. 7943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2020

APPALTIConsiglio Stato su Asmel: non è centrale committenza, non può fare accordi-convenzioni per Comuni e non può riversare sui concorrenti i costi delle piattaforme.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 03.11.2020 n. 6787, con cui ASMEL consortile si costituiva in giudizio contro l’ANAC per la riforma della sentenza del TAR Regione Lombardia, sez. II, 03.02.2020, n. 240 ha chiarito che per poter acquisire la qualificazione di centrale di committenza occorre l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori (ad esclusione di Consip e centrali di committenza regionali che lo sono di diritto) tenuto dall’ANAC la quale verificherà i requisiti.
Il Collegio ha quindi sostenuto la tesi dell’ANAC con la quale è stato affermato che “per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore occorre che il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del dl n. 179/2012 convertito in legge n. 221/2012, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori”. L’iscrizione al predetto elenco è disciplinata dall’ art. 9 del dl n. 66/2014 convertito in legge n. 89/2014.
L’iscrizione, pertanto, è condizione necessaria per stipulare le convenzioni quadro che sono oggetto del bando di gara indetto da ASMEL Consortile (quale centrale di committenza) e impugnato dall’ANAC col ricorso in primo grado.
In conclusione, il Consiglio di Stato afferma che né la Asmel Consortile s.c. a r.l. (che, come veduto, ha indetto la procedura di gara spendendo la qualifica di centrale di committenza), né Asmel Associazione (indicata nel bando come stazione appaltante), possono essere qualificate come centrali di committenza o soggetti aggregatori, non risultando iscritte all’anzidetto elenco ed essendo insufficiente, a tali fini, la loro iscrizione all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (30.11.2020 - commento tratto da e link a www.anci.it).
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SENTENZA
9. - Con il secondo motivo, l’appello critica la sentenza per aver affermato che Asmel non ha i requisiti per esplicare il ruolo di stazione appaltante e di centrale di committenza, non essendo un’amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. i), del Codice dei contratti pubblici.
9.1. - Sotto un primo profilo, riprendendo in parte i rilievi basati sull’insussistenza dei presupposti legittimanti l’esercizio dell’azione ai sensi dell’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici, l’appello sottolinea che la sentenza avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il motivo, in quanto il potere di azione conferito all’Anac consentirebbe di impugnare atti specifici emanati da una qualunque stazione appaltante, ma non potrebbe «contestare in giudizio la qualificazione della stessa a indire una procedura ad evidenza pubblica, come è avvenuto nel caso di specie, altrimenti vi sarebbe un difetto di legittimazione processuale dell’ANAC, che non può censurare atti che non promanino da stazioni appaltanti» (p. 12 dell’appello).
9.2. - Inoltre, posto che Asmel Associazione è iscritta all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti istituita presso l’Anac (condizione sufficiente, ad avviso dell’appellante, per legittimarla ad operare come centrale di committenza), se l’Autorità avesse voluto contestare tale qualifica, avrebbe dovuto avviare un apposito procedimento di ritiro in autotutela della predetta iscrizione, ma non servirsi della peculiare legittimazione attiva attribuita dall’art. 211 per ottenere il medesimo risultato.
10. – Le questioni sono manifestamente infondate, ove si tenga conto (con riferimento alla prima) che, come si è già veduto, il potere di azione in giustizia attribuito all’Anac è per prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici, con particolare riferimento all’impugnazione dei bandi e degli altri atti generali, in relazione a «gravi violazioni» del Codice dei contratti pubblici, per cui sarebbe irragionevole un’interpretazione limitante tale potere dell’Anac proprio quando il vizio di legittimità investa lo stesso presupposto legittimante l’indizione della gara; quanto al secondo rilievo, l’Anac non ha contestato l’iscrizione di Asmel all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (come si vedrà meglio nell’esame degli ulteriori profili del secondo motivo d’appello), per cui non era necessario avviare un procedimento in autotutela.
11. – Proseguendo nell’esposizione del secondo motivo d’appello, l’appello sottolinea come la qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel, e la sua legittimazione alla indizione della procedura di gara per conto degli enti locali associati, derivi dall’essere un’associazione tra amministrazioni aggiudicatrici (rappresentate dai piccoli comuni associati) e, a sua volta, amministrazione aggiudicatrice per l’art. 3, comma 1, lett. a), del Codice dei contratti pubblici (che definisce «amministrazioni aggiudicatrici», le «amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti»).
La Asmel Associazione, inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, avrebbe tutti i requisiti dell’organismo di diritto pubblico, per cui, anche sotto questo profilo, dovrebbe essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice. Diversamente da quanto affermato dalla sentenza, l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico in capo ad Asmel Associazione non comporta il conferimento di funzioni pubblicistiche, dagli enti pubblici soci alla stessa Asmel, ma è lo strumento per consentire ai medesimi enti soci di raggiungere l’obiettivo della centralizzazione delle commesse pubbliche degli enti locali di minor dimensione.
12. - In via subordinata, l’appellante impugna il capo della sentenza che ha implicitamente riconosciuto la giurisdizione amministrativa, posto che, una volta escluso che Asmel Associazione potesse essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice, il Tribunale amministrativo avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, essendo dirimente, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), del Codice del processo amministrativo, la qualificazione soggettiva di “amministrazione aggiudicatrice” per ritenere la giurisdizione esclusiva sulle controversie relative a procedure di affidamento di contratti pubblici.
13. - Le censure così sintetizzate sono infondate.
13.1. - In punto di fatto, occorre precisare che la procedura di gara per cui è controversia è stata indetta da Asmel Consortile S.C. a r.l. nella asserita qualità di centrale di committenza.
13.2. - Secondo l’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, «se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia», come nel caso di specie, tra le diverse modalità consentite per l’acquisizione di beni, servizi o lavori, è previsto il ricorso a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati.
13.3. - Peraltro,
come ben rilevato dall’Anac, per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori (inizialmente istituito presso l’AVCP e attualmente compreso nelle competenze dell’Anac, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, secondo cui «E' istituito, presso l'Autorità, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l'elenco dei soggetti aggregatori»).
L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 (Acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento) del decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23.06.2014, n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza, diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole regioni, devono richiedere all’Anac l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26, comma 1, della legge 23.12.1999, n. 488 […]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.); vale a dire, per stipulare le convenzioni quadro che sono oggetto del bando di gara indetto da Asmel Consortile (quale centrale di committenza) e impugnato dall’Anac col ricorso in primo grado.
13.4. -
Che le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza siano diverse, lo si ricava, anzitutto, dalla lettera dell’art. 9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l’elenco dei soggetti aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1 dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito dell’Anagrafe unica […]»).
In secondo luogo,
la distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza regionali, iscritti di diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2 dell’art. 9 cit.il carattere di stabilità dell'attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda»), come precisati nel d.P.C.M. 11.11.2014 (adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti, la cui verifica è riservata all’Anac.
13.5. - La soluzione trova conferma anche nell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, che ha introdotto un nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, non ancora entrato in vigore, basato sull’istituzione di «un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza», cui possono accedere gli operatori economici in possesso dei requisiti descritti ai commi 3 e 4 dell’art. 38. Anche secondo quest’ultima disposizione, dell’elenco fanno distintamente parte le stazioni appaltanti, le centrali di committenza e i soggetti aggregatori che conseguano la qualificazione rilasciata dall’Autorità.
13.6. - Il trattamento normativo differenziato opera, infine, anche nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 216, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede che «[f]ino alla data di entrata in vigore del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all'articolo 38, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante l'iscrizione all'anagrafe di cui all'articolo 33-ter del decreto-legge 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012, n. 221». Gli effetti (provvisori) della qualificazione (e in particolare la possibilità di pretendere dall’Anac il rilascio del «codice identificativo della gara (CIG)» necessario per l’effettuazione delle procedure di gara: art. 38, comma 8) si producono, infatti, solo per le stazioni appaltanti, in quanto siano iscritte all’anagrafe unica; non per le centrali di committenza e i soggetti aggregatori (per i quali, come si è veduto, è necessario –sulla base dell’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014 cit.– anche l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori).
13.7. - In conclusione,
né la Asmel Consortile s.c. a r.l. (che, come veduto, ha indetto la procedura di gara spendendo la qualifica di centrale di committenza), né Asmel Associazione (indicata nel bando come stazione appaltante), possono essere qualificate come centrali di committenza o soggetti aggregatori, non risultando iscritte all’anzidetto elenco ed essendo insufficiente, a tali fini, la loro iscrizione all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti.
14. - Per completezza di analisi, occorre altresì rilevare che
l’Autorità, con deliberazione n. 32 del 30.04.2015, ha espressamente negato che Asmel Consortile sia in possesso dei requisiti soggettivi e organizzativi necessari per l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori di cui all'art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014, e, conseguentemente, ha escluso il presupposto di legittimazione per espletare attività di intermediazione negli acquisti pubblici.
Avverso detta deliberazione, Asmel ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo per il Lazio, che lo ha respinto con sentenza 22.02.2016, n. 2339.
In sede di appello della sentenza, il Consiglio di Stato (con ordinanza di questa V Sezione, 03.01.2019, n. 68), in via pregiudiziale, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’U.E. alcuni quesiti (riferiti, per quanto concerne il diritto nazionale, all’art. 33 [Appalti pubblici e accordi quadro stipulati da centrali di committenza], comma 3-bis, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, applicabile ratione temporis alla materia delle modalità con le quali i comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori beni e servizi).
In particolare, la Sezione ha chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulle seguenti questioni pregiudiziali:
   - «se osta al diritto comunitario, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che limita l’autonomia dei comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza a due soli modelli organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero il consorzio tra comuni da costituire»;
   - «se osta al diritto comunitario, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che, letto in combinato disposto con l’art. 3, comma 25, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in relazione al modello organizzativo dei consorzi di comuni, esclude la possibilità di costituire figure di diritto privato quali, ad es., il consorzio di diritto comune con la partecipazione anche di soggetti privati»;
   - infine, «se osta al diritto comunitario e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3bis, che, ove interpretato nel senso di consentire ai consorzi di comuni che siano centrali di committenza di operare in un territorio corrispondente a quello dei comuni aderenti unitariamente considerato, e, dunque, al massimo, all’ambito provinciale, limita l’ambito di operatività delle predette centrali di committenza».
La Corte di Giustizia dell’U.E., con sentenza Sez. II, 04.06.2020, in C-3/19, ha chiarito che il diritto euro-unitario, alla luce dei principi di principi di libera prestazione dei servizi e di massima apertura alla concorrenza delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, non osta «a una disposizione di diritto nazionale che limita l’autonomia organizzativa dei piccoli enti locali di fare ricorso a una centrale di committenza a soli due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di soggetti o di imprese private», né «a una disposizione di diritto nazionale che limita l’ambito di operatività delle centrali di committenza istituite da enti locali al territorio di tali enti locali».
Nella pendenza della vicenda contenziosa riferita, ai fini della controversia in esame
è rilevante rimarcare, nondimeno, che Asmel Consortile mai ha acquisito l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori o delle centrali di committenza.
...
18. - Con il terzo motivo, l’appellante critica la sentenza per aver accolto il secondo motivo di impugnazione proposto dall’Anac, sull’illegittimità del punto 3.2.5 del disciplinare di gara che –in asserito contrasto con l’art. 23 della Costituzione e l’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici- imponeva di corredare l’offerta con un atto unilaterale d’obbligo, con cui i concorrenti si obbligavano a versare ad Asmel Associazione un corrispettivo di € 80.000,00, nell’ipotesi di aggiudicazione della gara.
Ad avviso dell’appellante, il corrispettivo si giustificherebbe per le attività svolte in veste di stazione appaltante e di centrale di committenza; e troverebbe copertura legislativa nell’art. 16-bis del r.d. 18.11.1923, n. 2440, secondo cui, nei contratti con la pubblica amministrazione, sono poste a carico del contraente privato le spese contrattuali.
18.1. - Il motivo è infondato.
18.2. - Come ben rilevato dal giudice di prime cure, la clausola della lex specialis comporta la violazione dell’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici (ai cui sensi: «
[è] fatto divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell'aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione delle piattaforme di cui all'articolo 58», inserito dall'art. 28, comma 1, del d.lgs. 19.04.2017, n. 56), norma che preclude alle stazioni appaltanti di riversare i costi derivanti dall’utilizzo delle piattaforme telematiche di negoziazione, non solo nei confronti dei concorrenti ma anche dell’eventuale aggiudicatario.
L’invocazione dell’art. 16-bis del r.d. n. 2440 del 1923 non merita di essere condivisa, posto che quest’ultima norma ha riguardo alle spese per la stipula e la registrazione dei contratti, mentre l’art. 41, comma 2-bis, ha un oggetto diverso e specificamente riferito ai costi di gestione delle piattaforme telematiche.
18.3. - Nemmeno può essere utilmente richiamata, sul punto, la recente pronuncia di questa V Sezione (19.05.2020, n. 3173), che ha rilevato l’inammissibilità del motivo sollevato da un operatore economico che non ha partecipato alla procedura di gara, dal momento che l’obbligo graverebbe esclusivamente sull’aggiudicatario. Nella controversia qui in esame non si pone una questione di difetto di interesse a ricorrere, posto che –come già rilevato– l’interesse sotteso al ricorso in primo grado dell’Anac tende alla tutela della legalità nelle procedure di gara e, quindi, può essere fatto valere anche prima della conclusione e dell’aggiudicazione della gara.
19. - L’annullamento del bando e degli altri atti di gara impugnati con il ricorso dell’Anac, per i vizi fin qui accertati, comporta anche l’assorbimento del terzo motivo del ricorso introduttivo (essenzialmente incentrato sulla violazione dell’art. 83 del Codice dei contratti pubblici, per aver previsto, nel disciplinare di gara, requisiti economico-finanziari e di esperienza professionale del tutto sproporzionati rispetto all’oggetto del contratto) e del quarto motivo (illegittimità del bando di gara per aver fissato un termine per il ricevimento delle offerte inferiore a quello minimo stabilito dall’art. 60, comma 1, del Codice dei contratti pubblici), riproposti dall’appellata Anac ai sensi dell’art. 101, comma 2, del Codice del processo amministrativo, posto che dall’eventuale accoglimento non conseguirebbe alcuna ulteriore utilità giuridica per la ricorrente.
20. – L’appello, in conclusione, va respinto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.11.2020 n. 6787 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Pronuncia Cds anche su requisiti delle centrali di committenza. L'Asmel non può chiedere rimborsi agli aggiudicatari.
Per essere qualificati come centrale di committenza occorre essere iscritti sia all'anagrafe unica delle stazioni appaltanti, sia all'elenco dei soggetti aggregatori dell'Anac; è vietato chiedere ai concorrenti o all'aggiudicatario rimborsi per costi di gestione delle gare.

Lo ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. V con la sentenza 03.11.2020 n. 6787 su una vicenda, oggetto di un contenzioso che dura da quale tempo, sulla qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel per una gara per la stipula di convenzioni quadro per l'acquisizione di forniture a favore di pubbliche amministrazioni.
Nel ricorso presentato a Anac si eccepiva anche l'illegittimità del bando di gara nella parte in cui imponeva ai concorrenti, per poter partecipare alla procedura, il pagamento del costo del servizio svolto da Asmel Consortile quale centrale di committenza per conto degli enti locali.
In merito al primo aspetto, il collegio giudicante ha abbracciato in toto la tesi dell'Anac, ribaltando il giudizio di primo grado: «Come ben rilevato dall'Anac, per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo iscritto all'anagrafe unica delle stazioni appaltanti ( art. 33-Ter istituita dall'art. 33-ter del decreto-legge 179/2012), ma anche all'elenco dei soggetti aggregatori (art. 213, comma 16, del codice appalti). Infatti, le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza sono diverse, si legge nella sentenza, e ciò si ricava anzitutto dalla lettera dell'art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l'elenco dei soggetti aggregatori dall'anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1 dell'art. 9 istituisce l'elenco «nell'ambito dell'anagrafe unica»).
Pertanto, né la Asmel Consortile s.c. a r.l. (che ha indetto la procedura di gara spendendo la qualifica di centrale di committenza), né Asmel associazione (indicata nel bando come stazione appaltante), possono essere qualificate come centrali di committenza o soggetti aggregatori, non risultando iscritte all'anzidetto elenco ed essendo insufficiente, a tali fini, la loro iscrizione all'anagrafe unica delle stazioni appaltanti.
Rispetto al secondo punto (obbligo di versare ad Asmel associazione un corrispettivo di 80mila euro nell'ipotesi di aggiudicazione della gara), troverebbe copertura legislativa nell'art. 16-bis del r.d. 18.11.1923, n. 2440, secondo cui, nei contratti con la pubblica amministrazione, sono poste a carico del contraente privato le spese contrattuali, il Consiglio di stato si è espresso negativamente.
In particolare, i giudici hanno precisato che la previsione è in violazione dell'art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici che fa divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell'aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione delle piattaforme di cui all'articolo 58
», precludendo alle stazioni appaltanti di riversare i costi derivanti dall'utilizzo delle piattaforme telematiche di negoziazione, non solo nei confronti dei concorrenti ma anche dell'eventuale aggiudicatario.
Infine, ha rilevato il collegio che l'art. 16-bis del r.d. n. 2440 del 1923 ha un oggetto diverso e specificamente non riferito ai costi di gestione delle piattaforme telematiche
(articolo ItaliaOggi del 13.11.2020).

settembre 2020

APPALTI: Offerta pari a euro zero.
L’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2017/2365 della Commissione, del 18.12.2017, deve essere interpretato nel senso che esso non costituisce un fondamento giuridico per il rigetto dell’offerta di un offerente nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il solo motivo che il prezzo proposto nell’offerta è di EUR 0.
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Sulle questioni pregiudiziali
20 Si deve constatare, in via preliminare, che l’importo dell’appalto di cui trattasi nel procedimento principale è inferiore alla soglia di EUR 144 000 di cui all’articolo 4, lettera b), della direttiva 2014/24, cosicché tale appalto non rientra nell’ambito di applicazione di quest’ultima. Tuttavia, come indica il giudice del rinvio, nel recepire le disposizioni di detta direttiva nell’ordinamento nazionale, il legislatore sloveno ha ripreso, all’articolo 2, paragrafo 1, dello ZJN, la definizione del termine «appalto pubblico» che figura all’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della medesima direttiva, cosicché tale definizione è applicabile a qualsiasi appalto pubblico disciplinato dallo ZJN, indipendentemente dal suo importo.
21 Orbene, secondo una giurisprudenza costante, un’interpretazione da parte della Corte di disposizioni del diritto dell’Unione in situazioni non rientranti nell’ambito di applicazione di queste ultime si giustifica quando tali disposizioni sono state rese applicabili a siffatte situazioni dal diritto nazionale in modo diretto e incondizionato, al fine di assicurare un trattamento identico a dette situazioni e a quelle rientranti nell’ambito di applicazione di dette disposizioni (v., in tal senso, sentenze del 18.10.1990, Dzodzi, C‑297/88 e C‑197/89, EU:C:1990:360, punti 36, 37 e 41, nonché del 24.10.2019, Belgische Staat, C‑469/18 e C‑470/18, EU:C:2019:895, punto 23).
22 Pertanto, occorre rispondere alle questioni sollevate.
23 Si deve considerare che, con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2014/24 debba essere interpretato nel senso che esso costituisce un fondamento giuridico per il rigetto dell’offerta di un offerente nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il solo motivo che, poiché il prezzo proposto è pari a EUR 0, l’amministrazione aggiudicatrice non fornirebbe alcun corrispettivo finanziario, mentre tale offerente, con l’esecuzione di detto contratto, otterrebbe unicamente l’accesso ad un nuovo mercato e a referenze che potrebbe far valere nell’ambito di successive gare d’appalto.
24 Va ricordato, in proposito, che l’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2014/24 definisce gli «appalti pubblici» come «contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi».
25 Secondo la giurisprudenza della Corte, dal senso giuridico abituale dei termini «a titolo oneroso» risulta che questi ultimi designano un contratto mediante il quale ciascuna delle parti si impegna ad effettuare una prestazione quale corrispettivo di un’altra prestazione (v., in tal senso, sentenza del 18.10.2018, IBA Molecular Italy, C‑606/17, EU:C:2018:843, punto 28). Il carattere sinallagmatico del contratto rappresenta quindi una caratteristica essenziale di un appalto pubblico (v., in tal senso, sentenze del 21.12.2016, Remondis, C‑51/15, EU:C:2016:985, punto 43; del 28.05.2020, Informatikgesellschaft für Software-Entwicklung, C‑796/18, EU:C:2020:395, punto 40, e del 18.06.2020, Porin kaupunki, C‑328/19, EU:C:2020:483, punto 47).
26 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 47 delle sue conclusioni, anche se detto corrispettivo non deve necessariamente consistere nel versamento di una somma di denaro, cosicché la prestazione può essere retribuita con altre forme di corrispettivi, come il rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio pattuito (v., in particolare, sentenze del 19.12.2012, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e a., C‑159/11, EU:C:2012:817, punto 29; del 13.06.2013, Piepenbrock, C‑386/11, EU:C:2013:385, punto 31, nonché del 18.10.2018, IBA Molecular Italy, C‑606/17, EU:C:2018:843, punto 29), ciò non toglie che il carattere sinallagmatico di un contratto di appalto pubblico comporta necessariamente la creazione di obblighi giuridicamente vincolanti per ciascuna delle parti del contratto, la cui esecuzione deve poter essere esigibile in sede giurisdizionale (v., in tal senso, sentenza del 25.03.2010, Helmut Müller, C‑451/08, EU:C:2010:168, punti da 60 a 62).
27 Ne consegue che un contratto con il quale un’amministrazione aggiudicatrice non è giuridicamente tenuta a fornire alcuna prestazione quale corrispettivo di quella che la sua controparte si è impegnata a realizzare non rientra nella nozione di «contratto a titolo oneroso» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2014/24.
28 Il fatto, menzionato dal giudice del rinvio e inerente a qualsiasi procedura di appalto pubblico, che l’ottenimento di tale contratto possa avere un valore economico per l’offerente, nella misura in cui esso gli conferirebbe l’accesso ad un nuovo mercato o gli consentirebbe di ottenere referenze, è troppo aleatorio e, di conseguenza, non può essere sufficiente, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi da 63 a 66 delle sue conclusioni, per qualificare tale contratto come «contratto a titolo oneroso».
29 Tuttavia, si deve constatare che l’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2014/24 si limita a definire la nozione di «appalti pubblici» al fine di determinare l’applicabilità di tale direttiva. Infatti, come risulta dall’articolo 1, paragrafo 1, di detta direttiva, quest’ultima si applica unicamente agli «appalti pubblici», ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 1, punto 5, il cui valore stimato raggiunga o superi le soglie di cui all’articolo 4 della direttiva medesima.
30 Ne consegue che l’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2014/24 non può costituire un fondamento giuridico per il rigetto di un’offerta che proponga un prezzo di EUR 0. Pertanto, tale disposizione non consente il rigetto automatico di un’offerta presentata nell’ambito di un appalto pubblico, quale un’offerta al prezzo di EUR 0, con cui un operatore proponga di fornire all’amministrazione aggiudicatrice, senza esigere alcun corrispettivo, i lavori, le forniture o i servizi che quest’ultima intende acquisire.
31 In tali circostanze, poiché un’offerta al prezzo di EUR 0 può essere qualificata come offerta anormalmente bassa, ai sensi dell’articolo 69 della direttiva 2014/24, qualora un’amministrazione aggiudicatrice si trovi di fronte ad un’offerta del genere, essa deve seguire la procedura prevista in detta disposizione, chiedendo all’offerente spiegazioni in merito all’importo dell’offerta. Infatti, dalla logica sottesa all’articolo 69 della direttiva 2014/24 risulta che un’offerta non può automaticamente essere respinta per il solo motivo che il prezzo proposto è di EUR 0.
32 Pertanto, dal paragrafo 1 di detto articolo emerge che, qualora un’offerta appaia anormalmente bassa, le amministrazioni aggiudicatrici richiedono all’offerente di fornire spiegazioni in merito al prezzo o ai costi proposti in quest’ultima, le quali possono riguardare, in particolare, gli elementi di cui al paragrafo 2 di detto articolo. Tali spiegazioni contribuiscono quindi alla valutazione dell’affidabilità dell’offerta e consentirebbero di dimostrare che, sebbene l’offerente proponga un prezzo di EUR 0, l’offerta di cui trattasi non inciderà sulla corretta esecuzione dell’appalto.
33 Infatti, conformemente al paragrafo 3 dello stesso articolo, l’amministrazione aggiudicatrice deve valutare le informazioni fornite consultando l’offerente e può respingere tale offerta solo se gli elementi di prova forniti non giustificano sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti.
34 Inoltre, la valutazione di tali informazioni deve essere effettuata nel rispetto dei principi di parità e di non discriminazione tra gli offerenti, nonché di trasparenza e di proporzionalità, che l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta a rispettare ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, della direttiva 2014/24.
35 Pertanto, l’argomento di un offerente che abbia presentato un’offerta al prezzo di EUR 0, secondo cui il prezzo proposto nella sua offerta si spiega con il fatto che tale offerente intende ottenere l’accesso ad un nuovo mercato o a referenze qualora detta offerta venga accettata, deve essere valutato nel contesto di un’eventuale applicazione dell’articolo 69 della direttiva 2014/24.
36 Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che esso non costituisce un fondamento giuridico per il rigetto dell’offerta di un offerente nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il solo motivo che il prezzo proposto nell’offerta è di EUR 0.
Sulle spese
37 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
L’articolo 2, paragrafo 1, punto 5, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2017/2365 della Commissione, del 18.12.2017, deve essere interpretato nel senso che esso non costituisce un fondamento giuridico per il rigetto dell’offerta di un offerente nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il solo motivo che il prezzo proposto nell’offerta è di EUR 0 (Corte di Giustizia UE, Sez. IV, sentenza 10.09.2020 - causa C-367/19
).

APPALTILa pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la Pubblica Amministrazione.
Domanda
Al fine di verificare la moralità di un operatore ai sensi dell’art. 80, co. 1, del codice dei contratti, è sufficiente accertare l’insussistenza di uno dei delitti elencati al citato comma?
Risposta
L’art. 80, co. 1, del d.lgs. 50/2016, individua una serie di delitti in presenza dei quali l’esclusione dell’operatore economico costituisce un atto dovuto, salvo i casi elencati al comma 3 del citato articolo (depenalizzazione del reato, riabilitazione, estinzione della pena accessoria o della condanna, completa effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata nei confronti dei cessati dalla carica), o a seguito di adozione di misure di self cleaning di cui al co. 7, dell’art. 80, oppure per la decorrenza del termine della pena accessoria dell’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione.
Per completezza si riportano di seguito i delitti di cui al comma 1:
   a) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416 (Associazione per delinquere), 416-bis (Associazione di tipo mafioso) del codice penale ovvero delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’art. 74 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del decreto del Presidente della Repubblica 09.10.1990, n. 309, dall’articolo 291-quater (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) del decreto del Presidente della Repubblica 23.01.1973, n. 43 e dall’articolo 260 (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, in quanto riconducibili alla partecipazione a un’organizzazione criminale, quale definita all’articolo 2 della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio;
   b) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 317 (Concussione), 318 (Corruzione per l’esercizio della funzione), 319 (Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319-ter (Corruzione in atti giudiziari), 319-quater (Induzione indebita a dare o promettere utilità), 320 (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio), 321 (Pene per il corruttore), 322 (Istigazione alla corruzione), 322-bis (Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri), 346-bis (Traffico di influenze illecite), 353 (Turbata libertà degli incanti), 353-bis (Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), 354 (Astensione dagli incanti), 355 (Inadempimento di contratti di pubbliche forniture) e 356 (Frode nelle pubbliche forniture) del codice penale nonché all’art. 2635 (Corruzione tra privati) del codice civile;
   c) frode ai sensi dell’articolo 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee;
   d) delitti, consumati o tentati, commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, e di eversione dell’ordine costituzionale reati terroristici o reati connessi alle attività terroristiche;
   e) delitti di cui agli articoli 648-bis (Riciclaggio), 648-ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e 648-ter.1 (Auto riciclaggio) del codice penale, riciclaggio di proventi di attività criminose o finanziamento del terrorismo, quali definiti all’articolo 1 del decreto legislativo 22.06.2007, n. 109 e successive modificazioni;
   f) sfruttamento del lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani definite con il decreto legislativo 04.03.2014, n. 24;
   g) ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Con riferimento al quesito in premessa, e sulla base della disposizione sopra evidenziata, non è sufficiente verificare la presenza nel certificato del casellario giudiziale di uno dei delitti di cui all’art. 80, co. 1, lettere da a) a f), ma occorre accertare l’assenza di differenti fattispecie delittuose rispetto a quelle tassativamente elencate, che hanno comportato l’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione
Dal documento acquisito tramite AVCPass o altri canali tradizionali occorre pertanto accertare la natura della fattispecie delittuosa, la pena principale e la sua durata, nonché l’eventuale pena accessoria e la sua durata (il tempo in cui l’operatore deve rimanere fuori dalle gare) (09.09.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI SERVIZILa distinzione tra concessione e appalto di servizi si fonda sull’ormai consolidato criterio dell’assunzione del rischio operativo e delle modalità di remunerazione degli investimenti del contraente privato.
La concessione di servizi instaura infatti un rapporto a titolo oneroso che prevede, quale corrispettivo per le prestazioni rese dal privato, il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione del servizio.
Nel caso dell’appalto di servizi, invece, non vi è trasferimento del rischio operativo al contraente privato, che ottiene la remunerazione delle prestazioni rese mediante il corrispettivo versato dalla stazione appaltante.

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7. – Le società ricorrenti deducono, con il primo motivo di ricorso, che gli atti appena citati sarebbero illegittimi per violazione delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici in materia di concessioni.
7.1. – Secondo le ricorrenti, il Comune di Narni, con gli atti impugnati, avrebbe violato le disposizioni contenute negli artt. 169 e 175 del d.lgs. n. 50/2016, perché avrebbe irragionevolmente consentito un subentro soltanto parziale (in relazione al solo canile sanitario) di Do.Ho. nella concessione già rilasciata a Do.Pa. e, comunque, avrebbe violato la regola che vuole che la durata delle concessioni debba consentire al concessionario, sulla base di criteri di ragionevolezza, il recupero degli investimenti e la remunerazione del capitale investito.
7.2. – Il motivo è infondato, per l’assorbente ragione che non risulta dagli atti di causa che tra il Comune e Marchegiani o i suoi aventi causa si sia mai instaurato, per lo svolgimento del servizio di ricovero, custodia e mantenimento di cani randagi, un rapporto di concessione.
7.3. – Deve ricordarsi che la distinzione tra concessione e appalto di servizi si fonda sull’ormai consolidato criterio dell’assunzione del rischio operativo e delle modalità di remunerazione degli investimenti del contraente privato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 04.05.2020, n. 2810).
La concessione di servizi instaura infatti un rapporto a titolo oneroso che prevede, quale corrispettivo per le prestazioni rese dal privato, il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione del servizio.
Nel caso dell’appalto di servizi, invece, non vi è trasferimento del rischio operativo al contraente privato, che ottiene la remunerazione delle prestazioni rese mediante il corrispettivo versato dalla stazione appaltante
(TAR Umbria, sentenza 08.09.2020 n. 405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’art. 36, c. 2, lett. a), del Codice dei contratti pubblici stabilisce espressamente, per gli affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, la possibilità per la stazione appaltante di ricorrere all’«affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici».
Per consolidata giurisprudenza, il ricorso all’affidamento diretto ut supra, fermo restando il rispetto dell’importo soglia ivi indicato, non necessita di particolari formalità, né è richiesta specifica motivazione con riguardo alla ricorrenza di condizioni di urgenza o necessità.

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8.4. – Sotto altro profilo, le società ricorrenti censurano le modalità seguite dal Comune di Terni per l’affidamento del servizio presso il nuovo canile comunale di San Crispino.
In particolare, le ricorrenti deducono che detto affidamento sarebbe illegittimo perché non preceduto da una pubblica gara e perché l’indagine di mercato svolta dal Comune è stata limitata a due soli soggetti e non ha visto il coinvolgimento di Do.Ho..
Il Comune di Narnia e la società cooperativa B+ sostengono la piena legittimità dell’operato dell’Amministrazione sulla base dell’art. 36, c. 2, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016.
Ciò detto, le doglianze di Do.Pa. e Do.Ho. sono infondate.
L’art. 36, c. 2, lett. a), del Codice dei contratti pubblici stabilisce espressamente, per gli affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, la possibilità per la stazione appaltante di ricorrere all’«affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici».
Nel caso di specie, è pacifico ed incontestato che, con determinazione dirigenziale n. 176 del 30.04.2020, il servizio di pulizia, cura e somministrazione pasti per il canile rifugio San Crispino, meglio dettagliato nelle richieste di preventivo inviate dall’Area servizi finanziari del Comune di Narni, è stato affidato a B+, peraltro dopo l’esame di due preventivi, per un importo inferiore alla soglia dei 40.000,00 euro al netto dell’IVA.
Tanto è stato disposto in conformità a quanto stabilito dal Consiglio comunale con la delibera n. 31 del 2020, con la quale era stato deciso di procedere all’espletamento di una procedura di affidamento diretto, per il tempo stimato di 5 mesi, nel rispetto del codice degli appalti pubblici in merito alle soglie comunitarie previa verifica della congruità del costo.
Peraltro, per consolidata giurisprudenza, il ricorso all’affidamento diretto di cui all’art. 36, c. 2, lett. a), d.lgs. n. 50/2016, fermo restando il rispetto dell’importo soglia ivi indicato, non necessita di particolari formalità, né è richiesta specifica motivazione con riguardo alla ricorrenza di condizioni di urgenza o necessità (cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. III, 13.03.2020, n. 326; TAR Molise, sez. I, 14.09.2018, n. 533).
Né le società ricorrenti hanno dedotto la violazione, da parte del Comune di Narni, dei principi di cui agli artt. 30, c. 1, 34 e 42 del d.lgs. n. 50/2016, richiamati dal comma 1 dell’art. 36.
Anzi, come rilevato dalle parti resistenti, l’eventuale coinvolgimento delle ricorrenti nelle consultazioni preordinate all’affidamento diretto del servizio di cui si discute avrebbe dovuto essere valutato con particolare cautela da parte dell’Amministrazione comunale, stante la necessità del rispetto del principio di rotazione sia degli inviti che degli affidamenti, con particolare riguardo proprio agli affidamenti diretti, in considerazione nell’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente, la cui posizione di vantaggio deriva dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento.
Ciò vale anche per Do.Ho., società cooperativa costituita nel novembre 2019 proprio in vista dell’affitto del ramo di azienda relativo al canile di Schifanoia da parte di Do.Pa., stipulato il 27.12.2019
(TAR Umbria, sentenza 08.09.2020 n. 405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1.- Appalti pubblici – bando – modifiche alla lex di gara – pubblicazione di un nuovo bando – necessità – limiti.
Così come le variazioni apportate in relazione alle cause d’esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c, c-bis) e c-ter), d.lgs. n. 50 del 2016 e corrispondenti dichiarazioni, anche quelle relative all’applicazione della clausola sociale si risolvono in mere modifiche della lex specialis tali da implicare -ai sensi dell’art. 73, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016- il differimento del termine per la presentazione delle offerte, non già la pubblicazione di un nuovo bando di gara e la soggezione al termine di cui all’art. 60 d.lgs. n. 50 del 2016 (massima free tratta da www.giustamm.it).
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3. Col secondo motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui afferma che le modifiche apportate dalla stazione appaltante in relazione alla clausola sociale non presentavano un contenuto tale da imporre la pubblicazione ex novo del bando nel rispetto del termine di cui all’art. 60 d.lgs. n. 50 del 2016.
3.1. Il motivo non è condivisibile.
3.1.1. Così come le variazioni apportate in relazione alle cause d’esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c, c-bis) e c-ter), d.lgs. n. 50 del 2016 e corrispondenti dichiarazioni (cfr. retro, sub § 2.1.1), anche quelle relative all’applicazione della clausola sociale si risolvono in mere modifiche della lex specialis tali da implicare -ai sensi dell’art. 73, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016- il (già visto) differimento del termine per la presentazione delle offerte, non già la pubblicazione di un nuovo bando di gara e la soggezione al termine di cui all’art. 60 d.lgs. n. 50 del 2016.
In particolare, le variazioni concernenti la clausola sociale riguardano la presentazione di un progetto di assorbimento del personale (su cui v. infra, sub § 5.1.1) che ben rientra fra le «modifiche significative ai documenti di gara» (art. 79, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016) comportanti la «proroga [… de]i termini per la ricezione delle offerte».
In senso inverso non vale il principio affermato dalla Corte di giustizia con sentenza del 18.09.2019 (causa C-526/2017), secondo cui in caso di significative modifiche apportate al contratto occorre provvedere alla nuova pubblicazione del bando. Il principio riguarda infatti tutt’altra ipotesi, coincidente con la modifica del contenuto di un affidamento già in essere (si trattava, in specie, della proroga della durata di una concessione autostradale) risolventesi in un revisione sostanziale del contratto in assenza di gara.
Nel caso in esame, invece, la modifica riguarda i documenti di gara, implicando il solo effetto di dover assicurare un’adeguata tempistica per la presentazione delle offerte agli operatori economici ai sensi dell’art. 79, comma 3 e 4, d.lgs. n. 50 del 2016.
Non rileva al riguardo neanche il richiamo al considerando n. 81 della direttiva 2014/24/UE, che si limita a stabilire il principio -cui lo stesso art. 79, comma 3 e 4, d.lgs. n. 50 del 2016 s’ispira- di prevedere una proroga del termine per la presentazione delle offerte in caso di «modifiche significative» apportate ai documenti di gara, a meno che siano talmente consistenti da consentire l’ammissione di candidati diversi, risultando tali da rendere «sostanzialmente diversa la natura dell’appalto o dell’accordo quadro rispetto a quella inizialmente figurante nei documenti di gara».
Come già posto in risalto, nel caso di specie non ricorrono modifiche -in relazione al richiamo delle cause escludenti ex art. 80, comma 5, lett. c), c-bis) e c-ter), d.lgs. n. 50 del 2016 e relative dichiarazioni degli operatori, nonché alla richiesta di un progetto di assorbimento del personale- d’entità e oggetto tali da rendere necessaria la pubblicazione d’un nuovo bando o il rispetto del termine ex art. 60 d.lgs. n. 50 del 2016 (v., al riguardo, anche infra, sub § 5.1.1).
Di qui l’infondatezza della doglianza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.09.2020 n. 5338 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

agosto 2020

APPALTIL’Adunanza plenaria pronuncia sugli obblighi dichiarativi ex art. 80, comma 5, lett. c) e b-bis), d.lgs. n. 50 del 2016 e sulle false dichiarazioni.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – False informazione rese dal concorrente – Espulsione automatica - Esclusione.
La falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lett. c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al d.lgs. 18.04.2016, n. 50.
In conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo.
Alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico.
La lett. f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lett. c) [ora c-bis)] della medesima disposizione (1).

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   (1) La questione era stata rimessa all’Adunanza plenaria dalla sez. V con ord. 09.04.2020, n. 2332.
Ha chiarito l’Alto Consesso che all’ipotesi prevista dalla falsità dichiarativa (o documentale) di cui alla lettera f-bis) quella relativa alle «informazioni false o fuorvianti» ha un elemento specializzante, dato dalla loro idoneità a «influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» della stazione appaltante. Ai fini dell’esclusione non è dunque sufficiente che l’informazione sia falsa ma anche che la stessa sia diretta ed in grado di sviare l’amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura di gara.
Coerentemente con tale elemento strutturale, la fattispecie equipara inoltre all’informazione falsa quella fuorviante, ovvero rilevante nella sua «attitudine decettiva, di “influenza indebita”», secondo la definizione datane dall’ordinanza di rimessione, ovvero di informazione potenzialmente incidente sulle decisioni della stazione appaltante, e che rispetto all’ipotesi della falsità può essere distinta per il maggior grado di aderenza al vero.
La ragione della descritta equiparazione si può desumere dalle considerazioni svolte in precedenza e cioè dal fatto che le informazioni sono strumentali rispetto ai provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativamente alla procedura di gara, i quali sono a loro volta emessi non solo sulla base dell’accertamento di presupposti di fatto ma anche di valutazioni di carattere giuridico, opinabili tanto per quest’ultima quanto per l’operatore economico che le abbia fornite.
Ne segue che, in presenza di un margine di apprezzamento discrezionale, la demarcazione tra informazione contraria al vero e informazione ad essa non rispondente ma comunque in grado di sviare la valutazione della stazione appaltante diviene da un lato difficile, con rischi di aggravio della procedura di gara e di proliferazione del contenzioso ad essa relativo, e dall’altro lato irrilevante rispetto al disvalore della fattispecie, consistente nella comune attitudine di entrambe le informazioni a sviare l’operato della medesima amministrazione.
Nella medesima direzione si spiega la circostanza che l’art. 80, comma 5, lett. c) [ora c-bis)] d.lgs. n. 50 del 2016 preveda anche «l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione», quale ulteriore fattispecie di grave illecito professionale, a completamento e chiusura di quella precedente, ma rispetto a questa tipizzata in termini più ampi, con il riferimento al «corretto svolgimento della procedura di selezione», ed in cui il disvalore si polarizza sull’«elemento normativo della fattispecie» (così l’ordinanza di rimessione), ovvero sul carattere doveroso dell’informazione.
L’ipotesi presuppone un obbligo il cui assolvimento è necessario perché la competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento giustifica invece l’esclusione. Rispetto alle esigenze di trasparenza che si pongono tra i preminenti valori giuridici che presiedono alle procedure di affidamento di contratti pubblici (art. 30, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016), l’obbligo dovrebbe essere previsto a livello normativo o dall’amministrazione, attraverso le norme speciali regolatrici della gara.
Nondimeno, come ricordato dalla Sezione rimettente, deve darsi atto che è consolidato presso la giurisprudenza il convincimento secondo cui l’art. 80, comma 5, lett. c) [ora lett. c-bis)], è una norma di chiusura in grado di comprendere tutti i fatti anche non predeterminabili ex ante, ma in concreto comunque incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico, donde il carattere esemplificativo delle ipotesi previste nelle linee-guida emanate in materia dall’ANAC, ai sensi del comma 13 del medesimo art. 80 (linee-guida n. 6 del 2016; al riguardo si rinvia al parere reso dalla commissione speciale di questo Consiglio di Stato appositamente costituita sull’ultimo aggiornamento alle più volte richiamate linee-guida: parere del 13.11.2018, n. 2616; § 7.1; cfr. inoltre: Cons. Stato, V, 05.05.2020, n. 2850, 12.03.2020, n. 1774, 12.04.2019, n. 2407, 12.02.2020, n. 1071; VI, 04.06.2019, n. 3755).
Sennonché in tanto una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può essere ammessa, in quanto si tratti di casi evidentemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono configurabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso.
L’elemento comune alle fattispecie dell’omissione dichiarativa ora esaminata con quella relativa alle informazioni false o fuorvianti suscettibili di incidere sulle decisioni dell’amministrazione concernenti l’ammissione, la selezione o l’aggiudicazione, è dato dal fatto che in nessuna di queste fattispecie si ha l’automatismo espulsivo proprio del falso dichiarativo di cui alla lettera f-bis).
Infatti, tanto «il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione», quanto «l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione» sono considerati dalla lettera c) quali «gravi illeciti professionali» in grado di incidere sull’«integrità o affidabilità» dell’operatore economico.
E’ pertanto indispensabile una valutazione in concreto della stazione appaltante, come per tutte le altre ipotesi previste dalla medesima lettera c) [ed ora articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater), per effetto delle modifiche da ultimo introdotte dalla legge decreto-legge 18.04.2019, n. 32 - Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici; convertito dalla l. 14.06.2019, n. 55].
Nel contesto di questa valutazione l’amministrazione dovrà pertanto stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità.
Qualora sia mancata, una simile valutazione non può essere rimessa al giudice amministrativo. Osta a ciò, nel caso in cui tale valutazione sia mancata, il principio di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo (secondo cui il giudice non può pronunciare «con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati»).
Laddove invece svolta, operano per essa i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale in cui l’amministrazione sola è chiamata a fissare «il punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente» [Cassazione, sezioni unite civili, nella sentenza del 17.02.2012, n. 2312, che ha annullato per eccesso di potere giurisdizionale una sentenza di questo Consiglio di Stato che aveva a sua volta ritenuto illegittimo il giudizio di affidabilità professionale espresso dall’amministrazione in relazione all’allora vigente art. 38, comma 1, lett. f), dell’abrogato codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12.04.2006, n. 163]; limiti che non escludono in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma che impongono al giudice una valutazione della correttezza dell’esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata dall’amministrazione.
Il sistema così descritto ha carattere completo e coerente con la causa di esclusione “facoltativa” prevista a livello sovranazionale, consistente nella commissione di «gravi illeciti professionali» tali da mettere in dubbio l’integrità dell’operatore economico e da dimostrare con «mezzi adeguati», ai sensi dell’art. 57, par. 4, lett. c), della direttiva 2014/24/UE del 26.02.2014, poi attuata con il codice dei contratti pubblici attualmente vigente.
Nondimeno, su di esso è intervenuto il sopra menzionato “correttivo”, di cui al d.lgs. 19.04.2017, n. 56, con l’aggiunta all’art. 80, comma 5, del codice della lettera f-bis), e dunque della causa di esclusione relativa all’operatore economico che presenti nella procedura di gara (o negli affidamenti di subappalti; ipotesi che qui non rileva) «documentazione o dichiarazioni non veritiere». Non «informazioni» dunque, come invece previsto dalla lettera c), ma documenti o dichiarazioni.
Al riguardo, è innanzitutto da escludere che i diversi termini impiegati rivestano una rilevanza pratica, poiché documenti e dichiarazioni sono comunque veicolo di informazioni che l’operatore economico è tenuto a dare alla stazione appaltante e che quest’ultima a sua volta deve discrezionalmente valutare per assumere le proprie determinazioni nella procedura di gara. Affermata dunque un’identità di oggetto tra le lettere c) e f-bis) in esame, dall’esame dei rispettivi elementi strutturali si ricava anche una parziale sovrapposizione di ambiti di applicazione, derivante dal fatto che entrambe fanno riferimento a ipotesi di falso.
Per dirimere il conflitto di norme potenzialmente concorrenti sovviene allora il criterio di specialità (art. 15 delle preleggi), in applicazione del quale deve attribuirsi prevalenza alla lettera c), sulla base dell’elemento specializzante consistente nel fatto che le informazioni false, al pari di quelle fuorvianti, sono finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante «sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» e concretamente idonee ad influenzarle.
Per effetto di quanto ora considerato, diversamente da quanto finora affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, l’ambito di applicazione della lettera f-bis) viene giocoforza a restringersi alle ipotesi -di non agevole verificazione- in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità, e non siano finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativi all’ammissione, la valutazione delle offerte o l’aggiudicazione dei partecipanti alla gara o comunque relativa al corretto svolgimento di quest’ultima, secondo quanto previsto dalla lettera c) (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 28.08.2020 n. 16 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appalti, l'irrisolta ed eterna questione della partecipazione del Rup alle commissioni giudicatrici (27.08.2020 - link a https://luigioliveri.blogspot.com).

APPALTIAppalti: ad affidare in via diretta, con estesissime deroghe e saltando adempimenti, anche di trasparenza, sono buoni tutti. Non serve a questo un Commissario (26.08.2020 - link a https://luigioliveri.blogspot.com).

APPALTIIl dominus del procedimento di gara: il RUP (26.08.2020 - link a www.mauriziolucca.com).
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La Sez. II del TAR Sicilia, Palermo, con la sentenza 30.07.2020 n. 1673, celebra le capacità e i poteri del responsabile unico del procedimento (RUP), titolare di una competenza che si estende sino all’adozione dei provvedimenti di esclusione dei concorrenti, nel procedimento di individuazione del contraente: l’anima che regge l’intero apparato pubblico delle gare in qualità di dominus (...continua).

APPALTISulla ammissibilità, o meno, che un unico soggetto rivesta la qualifica di RUP, di componente della commissione di gara, nonché di soggetto proponente l'indizione della gara e della nomina dei componenti della commissione di gara (e, quindi, anche di se stesso quale dirigente della stazione appaltante).
L’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016, nella sua versione ante correttivo del 2017, è stato interpretato dalla giurisprudenza prevalente e condivisibile «in continuità con l’indirizzo formatosi sul codice antevigente, giungendo così a concludere che, nelle procedure di evidenza pubblica, il ruolo di RUP può coincidere con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice, a meno che non sussista la concreta dimostrazione dell'incompatibilità tra i due ruoli, desumibile da una qualche comprovata ragione di interferenza e di condizionamento tra gli stessi», ritenendo quale decisivo elemento esegetico in tal senso l'«indicazione successivamente fornita dal legislatore, il quale, integrando il disposto dell’art. 77 comma 4, ha escluso ogni effetto di automatica incompatibilità conseguente al cumulo delle funzioni, rimettendo all'amministrazione la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti affinché il RUP possa legittimamente far parte della commissione gara».
Sicché, alla stregua dell’interpretazione giurisprudenziale preferibile dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016 già emersa con riferimento al testo antecedente al correttivo del 2017 e, a fortiori, a seguito del correttivo normativo del 2017 -che, quasi recependo la predetta esegesi della disposizione della prima versione dell’art. 77, ha integrato il disposto dell’art. 77, comma 4, escludendo ogni effetto di automatica incompatibilità conseguente al cumulo delle funzioni e rimettendo all’amministrazione la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti affinché il R.U.P. possa legittimamente far parte della commissione gara- deve ritenersi che il R.U.P. possa essere nominato membro della Commissione di gara, salva la prova di concreti ed effettivi condizionamenti (sul piano pratico); prova che non può desumersi ex se dalla mera commistione di funzioni svolte dallo stesso soggetto nelle fasi della predisposizione della legge di gara e della sua concreta applicazione che porterebbe ad una interpretazione sostanzialmente abrogante della seconda parte dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm..
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1. - Con il primo motivo di gravame, parte ricorrente contesta (sotto i profili della violazione dell’art. 77 D.Lgs. n. 50/2016 e ss.mm., dell’eccesso di potere (sviamento), della violazione dei principi di trasparenza, pubblicità, concorrenza e parità di trattamento) che “Gli atti della procedura di gara sono ab imis invalidi” poiché “Nella fattispecie è infatti avvenuto che uno stesso soggetto e, cioè, il dirigente Ing. Gi.Ia., ha rivestito la qualifica di responsabile unico del procedimento, di componente della commissione di gara, nonché di soggetto proponente l'indizione della gara e della nomina dei componenti della commissione di gara (e, quindi, anche di se stesso), nonché dirigente della stazione appaltante”, evidenziando che, nella fattispecie, il predetto dirigente «ha concretamente predisposto la documentazione di gara e, cioè, il bando, il capitolato, il disciplinare, proponendo al dirigente responsabile della Centrale Unica di Committenza e, cioè, a se stesso, di approvare la lex spexialis».
Il motivo è infondato.
1.1. - La gara è soggetta alle disposizioni dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016 e ss.mm. (come modificato dal D.Lgs. 19.04.2017, n. 56) che, nella sua versione originaria, disponeva: «I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta».
Con successiva modifica introdotta in sede di correttivo dall’art. 46, comma 1, lett. d), D.Lgs n. 56/2017, il comma 4 del predetto art. 77 del D.Lgs. 50/2016 è stato arricchito di un’ulteriore disposizione, ai sensi della quale: «La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura».
L’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016, nella sua versione ante correttivo del 2017, è stato interpretato dalla giurisprudenza prevalente e condivisibile «in continuità con l’indirizzo formatosi sul codice antevigente, giungendo così a concludere che, nelle procedure di evidenza pubblica, il ruolo di RUP può coincidere con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice, a meno che non sussista la concreta dimostrazione dell'incompatibilità tra i due ruoli, desumibile da una qualche comprovata ragione di interferenza e di condizionamento tra gli stessi (TAR Veneto, sez. I, 07.07.2017, n. 660; TAR Lecce, sez. I, 12.01.2018, n. 24; TAR Bologna, sez. II, 25.01.2018, n. 87; TAR Umbria, sez. I, 30.03.2018, n. 192)» (Consiglio di Stato, Sezione III, 26.10.2018, n. 6082, richiamata anche da Consiglio di Stato, Sezione V, 27/02/2019, n. 1387), ritenendo quale decisivo elemento esegetico in tal senso l'«indicazione successivamente fornita dal legislatore, il quale, integrando il disposto dell’art. 77 comma 4, ha escluso ogni effetto di automatica incompatibilità conseguente al cumulo delle funzioni, rimettendo all'amministrazione la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti affinché il RUP possa legittimamente far parte della commissione gara» (Consiglio di Stato, Sezione III, 26.10.2018, n. 6082, cit.).
Sicché, come già rilevato nell’ordinanza cautelare n. 727 del 19/12/2019 di questa Sezione, alla stregua dell’interpretazione giurisprudenziale preferibile dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016 già emersa con riferimento al testo antecedente al correttivo del 2017 e, a fortiori, a seguito del correttivo normativo del 2017 -che, quasi recependo la predetta esegesi della disposizione della prima versione dell’art. 77, ha integrato il disposto dell’art. 77, comma 4, escludendo ogni effetto di automatica incompatibilità conseguente al cumulo delle funzioni e rimettendo all’amministrazione la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti affinché il R.U.P. possa legittimamente far parte della commissione gara- deve ritenersi che il R.U.P. possa essere nominato membro della Commissione di gara, salva la prova (inesistente nella fattispecie de qua) di concreti ed effettivi condizionamenti (sul piano pratico); prova che non può desumersi ex se dalla mera commistione di funzioni svolte dallo stesso soggetto nelle fasi della predisposizione della legge di gara e della sua concreta applicazione, come in tesi di parte ricorrente, che porterebbe ad una interpretazione sostanzialmente abrogante della seconda parte dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm..
1.2. - Né, per quanto sopra detto, può essere condivisa la tesi di parte ricorrente, così come precisata nella memoria di replica del 28/02/2020, secondo cui “La norma prevede due distinte ipotesi. La valutazione concreta è riferita alle funzioni di RUP quale componente della commissione. Ma la prima parte della norma sembra porre una incompatibilità correlata ad una mera commistione di funzioni (I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta)”, in quanto le due disposizioni normative non possono -evidentemente- essere interpretate in maniera atomistica, ma debbono essere interpretate in maniera coordinata, in favore di un lettura non seccamente preclusiva del cumulo di funzioni, ma che richiede una valutazione dell’incompatibilità sul piano concreto e di volta in volta, nonché la prova di concreti ed effettivi condizionamenti (mancante nella fattispecie), anche perché, diversamente opinando, si finirebbe con l’azzerare (come per una specie di interpretazione abrogante) la portata normativa della seconda parte dell’art. 77, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm., introdotta dal correttivo del 2017, attesa la pluralità di funzioni e competenze, sia sotto il profilo tecnico che amministrativo, che l’art. 31 del D.Lgs. 50/2016 attribuisce al R.U.P. in quanto Responsabile Unico ope legis anche della procedura di gara (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 24.08.2020 n. 949 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’invocato (e consolidato) principio giurisprudenziale in base al quale la valutazione della congruità dell’offerta ha carattere globale e sintetico -non potendo riguardare in maniera “parcellizzata” le singole voci di costo-, correttamente inteso, sta (proprio) a significare che tale valutazione non può (ovviamente) prescindere dall’analisi dei singoli elementi e delle singole voci di prezzo (non già isolatamente considerate, ma) in quanto tutte insieme (logicamente) concorrenti alla formazione del costo totale offerto, (analisi) non fine a se stessa né tesa ad una mera “caccia all’errore”, bensì funzionale proprio (specialmente allorquando si perviene ad un giudizio “finale” di non congruità, che, appunto, “postula una motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole all’offerente” alla (derivante) valutazione della proposta complessivamente considerata, onde apprezzarne l’affidabilità e l’attendibilità nel suo insieme per la corretta esecuzione dell’appalto.
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Il giudizio sull’anomalia delle offerte presentate in una gara è ampiamente discrezionale ed espressione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza.
In particolare, il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni dell’amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non può invece procedere ad un’autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, che costituirebbe un’inammissibile invasione della sfera propria della P.A. e tale sindacato rimane limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto.
L’esame delle giustificazioni, il giudizio di anomalia o di incongruità dell'offerta costituiscono sempre espressione di discrezionalità tecnica di esclusiva pertinenza dell’Amministrazione ed esulano dalla competenza del giudice amministrativo, che può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi e plateali errori di valutazione abnormi o inficiati da errori di fatto; giammai il giudice amministrativo può sostituire il proprio giudizio a quello dell'amministrazione e procedere ad una autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci.

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2. - Con gli altri cinque motivi di ricorso, parte ricorrente -essenzialmente- contesta (sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 97 D.Lgs. n. 50/2016, della violazione della lex specialis di gara e dell’eccesso di potere per sviamento, evidenti erroneità e travisamento dei presupposti ed illogicità manifesta) sia la verifica della congruità dell’offerta della ricorrente svolta dalla Stazione Appaltante ai sensi dell’art. 97, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016, perché (asseritamente) «svolta attraverso una minuziosa e capziosa analisi di ciascun elemento dell’offerta, in totale assenza di una valutazione globale e sintetica» dell’offerta medesima «con il chiaro intento della “caccia all’errore”», sia, nel merito, il giudizio di anomalia dell’offerta della ricorrente formulato dalla stazione appaltante resistente, all’esito del sub procedimento di verifica di anomalia dell’offerta svoltosi ai sensi dell’art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016 e ss.mm., perché (asseritamente) «inficiato da macroscopica irrazionalità», analiticamente censurando ciascuna delle argomentazioni poste a base del provvedimento di esclusione impugnato (1. Costo del Personale, 2. Orario di lavoro del Coordinatore del servizio, 3. Costo impiego automezzi, 4. Miglioria n. 2: fornitura di un mezzo a propulsione totalmente elettrica, 5. Miglioria n. 5: Spalatura neve dai viali di accesso alle strutture, 6. Miglioria n. 9: Implementazione e gestione dell'anagrafica tecnica, 7. Miglioria n. 12: Servizio di sportello al cittadino, 8. Costi manodopera per attività svolta nel giorno di domenica e nei festivi, 9. Approvvigionamento materiali per manutenzione edili).
Tutte le predette censure sono infondate.
2.1. - Osserva, innanzitutto, la Sezione che «l’invocato (e consolidato) principio giurisprudenziale in base al quale la valutazione della congruità dell’offerta ha carattere globale e sintetico -non potendo riguardare in maniera “parcellizzata” le singole voci di costo-, correttamente inteso, sta (proprio) a significare che tale valutazione non può (ovviamente) prescindere dall’analisi dei singoli elementi e delle singole voci di prezzo (non già isolatamente considerate, ma) in quanto tutte insieme (logicamente) concorrenti alla formazione del costo totale offerto, (analisi) non fine a se stessa né tesa ad una mera “caccia all’errore”, bensì funzionale proprio (specialmente allorquando si perviene ad un giudizio “finale” di non congruità, che, appunto, “postula una motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole all’offerente” - ex multis, Consiglio di Stato, V, 17.01.2014, n. 162) alla (derivante) valutazione della proposta complessivamente considerata, onde apprezzarne l’affidabilità e l’attendibilità nel suo insieme per la corretta esecuzione dell’appalto» (TAR Puglia, Lecce, Sezione III, 16/11/2017, n. 1819).
Orbene, nel caso di specie -premesso che, con nota prot. 2728/C.U.C. del 27/09/2019 (recante in oggetto “PROCEDURA APERTA PER L’AFFIDAMENTO DI SERVIZI INTEGRATI PER LA GESTIONE IN GLOBAL SERVICE DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE DEL COMUNE DI MASSAFRA LOTTO 1 – Edifici e Cimitero (CIG: 7942487B9B). Art. 97, comma 1, del D.lgs. 50/2016. Richiesta spiegazioni sul prezzo e sui costi proposti nell’offerta”), il R.U.P. richiedeva alla odierna ricorrente gli opportuni elementi giustificativi della congruità dell'offerta presentata, in relazione a tutte le componenti che concorrono alla formazione del prezzo finale offerto ed, anche, in relazione alle migliorie ed agli incrementi occupazionali indicati nell'offerta tecnica presentata (evidenziando che, ai sensi e per gli effetti dell'art. art. 97, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016, “dall'esame dell'offerta presentata, sono emersi i seguenti elementi anomali sotto il profilo economico: - il ribasso offerto risulta notevolmente più elevato (più che doppio) rispetto al ribasso medio offerto dai partecipanti alla gara; - il valore del costo del personale indicato in sede di offerta economica risulta inferiore a quello determinato dalla Stazione Appaltante in sede di gara, a fronte peraltro di un incremento della consistenza del personale previsto dal piano di assorbimento prodotto in sede di gara”) e che, con nota acquisita con prot. 2925/C.U.C. del 12.10.2019 la Società ricorrente presentava le proprie giustificazioni relative all'offerta presentata- la serietà della proposta risulta valutata nel suo complesso (pervenendo al contestato giudizio finale di incongruità), con riferimento “a tutte le componenti che concorrono alla formazione del prezzo finale offerto ed, anche, in relazione alle migliorie ed agli incrementi occupazionali indicati nell’offerta tecnica presentata” in relazione all’incidenza delle stesse sull’offerta nel suo insieme (e non già avulse da questa), ritenendo, la stessa “carente per quanto attiene congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità e quindi, nel suo complesso, non attendibile in vista della corretta esecuzione dell'appalto” (come risulta dalla nota prot. n. 3083/C.U.C. del 25.10.2019 di “Comunicazione di avvio del procedimento di esclusione dell'offerta dalla gara ai sensi del comma 5 dell'art. 97 del D.lgs 50/2016” e dalla ivi allegata Relazione Congiunta R.U.P./Commissione di gara del 23/10/2019, nonché dalla determina prot. n. 3306 del 15.11.2019 di “Comunicazione di esclusione dell'offerta dalla gara ai sensi del comma 5 dell'art. 97 del D.lgs 50/2016”, che, a seguito dell’esame delle controdeduzioni scritte svolte dalla Società ricorrente, acquisite con prot. 3282/C.U.C. del 13/11/2019, ha disposto l'esclusione dell'offerta presentata dalla odierna ricorrente, ai sensi del comma 5 dell'art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016, sulla base delle motivazioni di cui alla Relazione Congiunta R.U.P./Commissione di gara del 23.10.2019, nonché di quanto riportato nello stesso provvedimento di esclusione).
2.2. - In ordine, poi, al limite del sindacato giurisdizionale nella materia de qua, appare opportuno richiamare il condivisibile e “consolidato orientamento (ex plurimis, Consiglio Stato, V, 24.08.2018, n. 5047) secondo cui il giudizio sull’anomalia delle offerte presentate in una gara è ampiamente discrezionale ed espressione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza.
In particolare, il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni dell’amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non può invece procedere ad un’autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, che costituirebbe un’inammissibile invasione della sfera propria della P.A. e tale sindacato rimane limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto.
L’esame delle giustificazioni, il giudizio di anomalia o di incongruità dell'offerta costituiscono sempre espressione di discrezionalità tecnica di esclusiva pertinenza dell’Amministrazione ed esulano dalla competenza del giudice amministrativo, che può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi e plateali errori di valutazione abnormi o inficiati da errori di fatto; giammai il giudice amministrativo può sostituire il proprio giudizio a quello dell'amministrazione e procedere ad una autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci
” (Consiglio di Stato, Sezione V, 05/02/2019, n. 881; nello stesso senso, Consiglio di Stato, Sezione V, 21/11/2017, n. 5387) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 24.08.2020 n. 949 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIVa dimostrato nel concreto l’interesse difensivo all’accesso dell’offerta tecnica (22.08.2020 - link a www.mauriziolucca.com).
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La V Sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 21.08.2020 n. 5167 (estensore Fantini) declara la piena legittimità del diniego opposto ad una actio ad exhibendum all’offerta tecnica in mancanza di un requisito, di stretta necessità, manifestato dal concorrente alla procedura di scelta del contraente. (...continua).

APPALTI: 1.- Appalti pubblici –art. 177 Cod. Appalti Pubblici - Anac – Linee Guida - ratio e portata.
L’art. 177 del codice degli Appalti Pubblici (in tema di soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture) è stato oggetto di una pluralità di interventi di modifica ed integrazione [artt. 1, comma 568, lett. a) e lett. b), della legge 27.12.2017, n. 205; art. 1, comma 20, lett. bb), del decreto legge 18.04.2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla legge 14.06.2019, n. 55; art. 1, comma 9 bis del decreto legge 30.12.2019, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 28.02.2020, n. 8].
L’A.N.A.C. ha dato applicazione alla previsione del terzo comma dell’art. 177, comma 3, del codice dei contratti pubblici, come successivamente modificato ed integrato, approvando con deliberazione n. 614 del 04.07.2018 le Linee Guida n. 11.
Esse sono articolate in due parti:
   - la parte I, di natura dichiaratamente interpretativa, resa ai sensi dell’art. 213, comma 2, del codice dei contratti pubblici, al fine di favorire la corretta e omogenea applicazione della normativa, e quindi di carattere non vincolante, contiene indicazioni su «Ambito di applicazione dell’articolo 177 del codice dei contratti pubblici» (par. 1); «I contratti assoggettati alle previsioni dell’articolo 177 del codice dei contratti pubblici» (par. 2); «Ambito temporale di applicazione dell’articolo 177 del codice dei contratti pubblici» (par. 3);
   - la parte II contiene indicazioni operative rese ai sensi dell’art. 177, comma 3 del codice dei contratti pubblici, di carattere dichiaratamente vincolante, concernenti la «Situazione di squilibrio e quantificazione della penale» (par. 4); gli «Obblighi di pubblicazione» (par. 5) e le «Attività di verifica» (par. 6).
Sebbene formalmente le Linee Guida predette siano articolate in due parti, tuttavia esse nel complesso costituiscono dal punto di vista logico e sistematico un corpus regolatorio unico, in cui la parte I (di natura dichiaratamente interpretativa) è finalizzata ad individuare il corretto ambito di applicazione dell’art. 177, su cui sono destinate ad incidere le indicazioni contenute nella seconda parte.
La descritta unicità dell’atto regolatorio fa sì che la distinzione fra la natura interpretativa e non vincolante della parte I e quella prescrittiva e vincolante della parte II receda nell’apprezzamento della portata immediata e direttamente lesiva –e quindi impugnabile in sede giurisdizionale amministrativa– delle Linee Guida nel loro complesso.
A tal fine va ribadito, in linea generale, che l’atto programmatorio, pianificatorio, a contenuto generale o regolamentare (categoria in cui possono annoverarsi latu sensu anche le linee guida vincolanti), non è di per sé impugnabile se non in una con l’atto applicativo che ne abbia in concreto reso attuale la lesione nella sfera giuridica di un determinato soggetto, ciò anche in ragione del fatto che solo a seguito di tale atto applicativo può acquisirsi la pena conoscenza e percezione della prescrizione generale pregiudizievole per l’interessato.
Tuttavia è stata riconosciuta l’impugnabilità degli atti anche generali o regolamentari aventi portata immediatamente prescrittiva ovvero che vincolino la successiva attività amministrativa di guisa che il successivo atto si atteggi quale atto meramente dichiarativo o ricognitivo
(massima free tratta da www.giustamm.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza non definitiva 19.08.2020 n. 5097 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTIAlla Corte costituzionale l’affidamento di una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Concessione - Soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture - In essere all’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici – Affidamento di una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro – Artt. 1, comma 1, lett. iii), l. n. 11 del 2016, e dell’art. 177, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 – Violazione artt. 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2, Cost. - Rilevanza e non manifestamente infondatezza
É rilevante e non manifestamente infondata la questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2, Cost., dell’art. 1, comma 1, lett. iii), l. 28.01.2016, n. 11, e dell’art. 177, comma 1, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, nella parte in cui stabiliscono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere all’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea, di affidare una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale e per la salvaguardia delle professionalità, prevedendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house di cui all’art. 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato (1).
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   1) Ha chiarito la Sezione che l’obbligo di dismissione totalitaria previsto dalle disposizioni di legge censurate, ancorché finalizzato a sanare l’originaria violazione dei principi comunitari di libera concorrenza consumatasi in occasione dell’affidamento senza gara della concessione, si traduce per un verso in un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l’attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno, secondo le disposizioni di legge all’epoca vigenti; e per altro verso va a snaturare il ruolo del privato concessionario, ridotto ad articolazione operativa degli enti concedenti, rispetto alla sua funzione di soggetto proposto dall’amministrazione all’esercizio di attività di interesse pubblico.
Nel perseguimento di legittimi obiettivi riconducibili ad imperativi di matrice euro-unitaria il legislatore sembra così avere totalmente pretermesso le contrapposte esigenze di tutela della libertà di impresa ai sensi del sopra citato art. 41 della Costituzione e di mantenimento della funzionalità complessiva della concessione, altre volte invece considerate in funzione limitatrice degli obblighi di dismissione a carico del concessionario senza gara (si rinvia ai sopra citati artt. 146 e 253, comma 25, del previgente codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12.04.2006, n. 163).
Le considerazioni ora svolte inducono a ritenere non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità degli artt. 1, comma 1, lett. iii), della legge delega e 177, comma 1, del codice dei contratti pubblici anche con riguardo all’art. 3, comma 2, Cost., sotto il profilo della ragionevolezza.
L’obbligo di dismissione totalitaria dei lavori, servizi e forniture relativi ad una concessione affidata senza gara sembra infatti eccedere i pur ampi limiti con cui la discrezionalità legislativa può essere esercitata in riferimento al sovraordinato parametro di costituzionalità ora richiamato, a causa delle conseguenze sopra descritte. Al medesimo riguardo va aggiunto che rispetto all’integrale esecuzione della concessione è apprezzabile un affidamento del privato affidatario che non può essere ritenuto irragionevole o colpevole, tenuto conto della validità del titolo costitutivo all’epoca della sua formazione e dunque dell’inesistenza di cause –anche occulte– di contrarietà delle stesse all’ordinamento interno (cause che diversamente avrebbero potuto legittimare l’annullamento, la risoluzione o la riduzione della durata della concessione).
La scelta legislativa, pur legittimamente orientata a rimuovere rendite di posizione, non appare pertanto equilibrata rispetto alle contrapposte e altrettanto legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività economica in corso di svolgimento, con l’inerente realizzazione degli equilibri economico–finanziari su cui erano stati pianificati i relativi investimenti; e di mantenimento delle conoscenze strategiche, tecniche e tecnologiche acquisite e la professionalità acquisite, rilevanti anche sotto il profilo dell’interesse pubblico.
Ancora sotto il profilo della ragionevolezza può essere evidenziato il fatto che l’obbligo di dismissione di cui si discute riguarda indistintamente i concessionari titolari di affidamento senza gara, indipendentemente dalla effettiva dimensione della struttura imprenditoriale che gestisce la concessione, dall’oggetto e dall’importanza del settore strategico cui si riferisce la concessione, oltre che dal suo valore economico e dal fatto che il contratto di concessione fosse ancora in vigore al momento dell’entrata in vigore dell’art. 177, d.lgs. n. 50 del 2016, ovvero se la concessione fosse scaduta e che versasse in una situazione di proroga, di fatto o meno.
Per le medesime considerazioni le questioni di legittimità costituzionale appaiono non manifestamente infondate in relazione all’art. 97, comma 2, della Costituzione, dal momento che le concessioni cui si riferisce l’obbligo di dismissione totalitaria concernono servizi pubblici essenziali, evidentemente rispondenti a bisogni fondamentali della collettività ed affidati a concessionari privati per l’incapacità strutturale delle amministrazioni pubbliche di gestirli in modo efficiente ed efficace.
Ciò posto la norma delegante e delegata non risultano contenere alcuna considerazione circa gli effetti di tale obbligo di dismissione sull’efficiente svolgimento di tali servizi pubblici essenziali e sulle possibili ricadute sull’utenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza non definitiva 19.08.2020 n. 5097 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Impianti di illuminazione pubblica, affidamento diretto e violazione della concorrenza (17.08.2020 - link a www.mauriziolucca.com).
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La Sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 23.07.2020 n. 4715 (est. Cons. Maggio), si sofferma sugli affidamenti mediante procedura negoziata senza pubblicazione del bando, e sulla pretesa aspettativa di acquisire i lavori senza gara in ragione di un diritto di esclusiva tecnica inesistente, a fronte della realizzazione di “efficientemente energetico” dell’illuminazione pubblica (in parte di proprietà privata dell’operatore esecutore dei lavori). (...continua).

APPALTI: 1.- Appalti pubblici – lex specialis – requisiti richiesti – interpretazione.
Il sol fatto che la lex specialis di gara qualifichi espressamente alcuni requisiti come “minimi” ed “obbligatori” comporta per conseguenzialità logica che gli stessi siano da considerarsi imprescindibili, ossia essenziali: diversamente argomentando, sulla base di considerazioni prettamente formali si finirebbe per tacitamente abolire proprio il carattere loro intrinseco della obbligatorietà, che verrebbe a tal punto privato di sanzione e così ridotto a formula di mero stile (massima free tratta da www.giustamm.it).
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10. Con il secondo motivo di gravame l’appellante censura il rigetto della doglianza concernente la sua esclusione dalla gara per la asserita (ma insussistente) violazione delle cause di esclusione previste dalla legge di gara e del principio di tassatività delle cause di esclusione.
Il tribunale ha rilevato che “la stazione appaltante conserva in ogni modo il potere di disporre l’esclusione delle offerte tecniche che di fatto non rispettano i requisiti minimi previsti dalla legge di gara, in quanto tali offerte configurano la presentazione di un prodotto che, ponendosi al di sotto degli “standard” minimi chiesti dall’amministrazione, realizza un vero e proprio “aliud pro alio”.
La giurisprudenza appare infatti concorde nel ritenere che la radicale mancanza di livelli essenziali dell’offerta tecnica non permette la valutazione della stessa ed impone l’esclusione del concorrente per la sostanziale inidoneità dello stesso nei termini richiesti dalla stazione appaltante. [...] Non è necessario neppure che la sanzione espulsiva sia espressamente prevista dalla legge di gara [...] essendo sufficiente il riscontro della difformità dell’offerta rispetto alle specifiche tecniche richieste dalla lex specialis, che abbiano per l’Amministrazione un valore essenziale
”.
Secondo l’appellante, la mancata indicazione dei requisiti minimi non rientrava tra le cause di esclusione, in quanto l’art. 6 della richiesta di offerta disponeva infatti l’esclusione solo nel caso di offerte:
   a) “non complete”, ossia carenti degli elementi oggetto di valutazione previsti nel CTO;
   b) “non conformi” ossia difformi rispetto alle previsioni del CTO. In definitiva, ad avviso dell’appellante, l’esclusione poteva conseguire solo per i requisiti minimi che fossero stati qualificati come essenziali, laddove la lex specialis non indicava quali fossero detti requisiti minimi.
Neppure questo motivo può trovare accoglimento.
10.1. Innanzitutto il sol fatto che la lex specialis di gara qualifichi espressamente i requisiti in questione come “minimi” ed “obbligatori” comporta per mera conseguenzialità logica che gli stessi siano da considerarsi imprescindibili, ossia essenziali: diversamente argomentando, sulla base di considerazioni prettamente formali si finirebbe per tacitamente abolire proprio il carattere loro intrinseco della obbligatorietà, che verrebbe a tal punto privato di sanzione e così ridotto a formula di mero stile.
Come già correttamente rilevato dal primo giudice, trattandosi di requisiti minimi ed indispensabili che connotano l’oggetto della prestazione (ossia le sue caratteristiche strutturali), “le caratteristiche minime essenziali devono essere possedute al momento della presentazione dell’offerta, non essendo ammissibile che possa trovare accettazione da parte dell’amministrazione un bene privo di tali caratteristiche, con l’impegno dell’offerente ad apportare gli adeguamenti necessari dopo l’eventuale aggiudicazione o prima dell’esecuzione del contratto”.
Deve al riguardo trovare applicazione l’indirizzo giurisprudenziale, coerente con la regola di cui all’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, a mente del quale “le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell'invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all'impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite” (in termini Cons. Stato, III, 15.02.2019, n. 1071).
In ragione di ciò deve concludersi che la carenza nell’offerta dei cd. “requisiti di minima” individuati dalla lex specialis si configura come mancanza di una “condizione di partecipazione” oggettiva, riferita alla necessaria qualità della prestazione e non ai requisiti dell’offerente ed è quindi idonea a determinare l’esclusione dalla gara secondo le indicazioni espresse dalla stazione appaltante.
Non sarebbe stata quindi neppure ammissibile una qualche “sanatoria postuma” dell’offerta difforme quanto ad elementi essenziali, come tale riconducibile ad un aliud pro alio ( Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.08.2020, n. 4996 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Contratto di avvalimento e adeguatezza della dichiarazione rilasciata dalla ausiliaria in ordine al requisito prestato e alle risorse messe a disposizione.
Il TAR Milano con riferimento alla adeguatezza della dichiarazione ex art. 89, comma 1, del d.lgs. 50/2016 rilasciata dalla ausiliaria in ordine al requisito prestato e alle risorse messe a disposizione, osserva che:
   «- l’istituto dell’avvalimento è finalizzato a garantire la massima partecipazione alle gare pubbliche, consentendo alle imprese non munite dei requisiti partecipativi, di giovarsi delle capacità tecniche ed economico-finanziarie di altre imprese;
   - il principio generale che permea l’istituto è quello secondo cui, ai fini della partecipazione alle procedure concorsuali, il concorrente, per dimostrare le capacità tecniche, finanziarie ed economiche, nonché il possesso dei mezzi necessari all’esecuzione dell’appalto e richiesti dal relativo bando, è abilitato a fare riferimento alla capacità e ai mezzi di uno o più soggetti diversi, ai quali può ricorrere tramite la stipulazione di un apposito contratto di avvalimento;
   - di tale ratio occorre tenere conto, laddove si tratti di interpretare il contenuto delle complessive dichiarazioni negoziali che compongono l’avvalimento;
   - l’art. 89 del d.l.vo 2016 n. 50, in sostanziale continuità con la disciplina dettata dal d.l.vo 2006 n. 163, prevede che l’operatore economico, singolo o in raggruppamento, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi;
   - la norma precisa, da un lato, che l’operatore economico che vuole avvalersi delle capacità di altri soggetti allega, oltre all’eventuale attestazione SOA dell’impresa ausiliaria, una dichiarazione sottoscritta dalla stessa attestante il possesso da parte di quest’ultima dei requisiti generali di cui all’articolo 80, nonché il possesso dei requisiti tecnici e delle risorse oggetto di avvalimento, dall’altro, che l’operatore stesso dimostra alla stazione appaltante che disporrà dei mezzi necessari mediante presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente;
   - e ancora, il concorrente deve allegare alla domanda di partecipazione il contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto; “a tal fine, il contratto di avvalimento contiene, a pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione dall’impresa ausiliaria”;
   - in ordine al contenuto dei contratti di avvalimento, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere indispensabile la specificazione delle risorse e dei mezzi aziendali messi a disposizione dell’impresa concorrente, al precipuo fine di rendere concreto e verificabile dalla stazione appaltante la natura e la consistenza degli elementi messi a disposizione, poiché l’avvalimento non consiste nel “prestito” di un mero valore astratto;
   - l’avvalimento non deve risolversi nel prestito di un valore teorico o astratto, ma è necessario che dal contratto risulti chiaramente l’impegno dell’impresa ausiliaria a prestare specifiche risorse, sicché risulta “insufficiente allo scopo la sola e tautologica riproduzione, nel testo dei contratti di avvalimento, della formula legislativa della messa a disposizione delle "risorse necessarie di cui è carente il concorrente", o espressioni equivalenti”;
   - è dunque necessario che il contratto descriva, a seconda dei casi, i mezzi, il personale, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali che concernono la qualità o la capacità messa a disposizione, in dipendenza dell’oggetto dell’appalto (giur cit.);
   - l’esigenza di specificità non sottende un vuoto formalismo, ma è funzionale a consentire all’amministrazione di verificare che la sinergia aziendale, realizzata con l’avvalimento, sia effettiva ed idonea a consentire la regolare esecuzione del contratto d’appalto, e non già limitata ad un mero impegno cartolare, che in alcuni casi potrebbe essere preordinato ad eludere le norme generali o di lex specialis sui requisiti di partecipazione a procedure di affidamento di appalti pubblici;
   - del resto, il regime di responsabilità, che riguarda anche la ditta avvalsa e non solo il concorrente, può operare in concreto soltanto se viene specificamente indicata la prestazione cui tale responsabilità si riferisce. Non è possibile postulare un inadempimento contrattuale e la conseguente responsabilità di un soggetto il cui obbligo è stato genericamente dedotto in contratto. In altri termini, la genericità dell’impegno assunto impedisce, come affermato dalla giurisprudenza ricordata, alla stazione appaltante di far valere in via immediata la responsabilità dell’ausiliaria, la quale, per andare esente da responsabilità, potrebbe limitarsi ad indicare proprio la mancanza di una specifica violazione contrattuale;
   - in tale contesto, resta ferma l’indispensabilità della dichiarazione resa dall’ausiliario alla stazione appaltante, con la quale si obbliga a mettere a disposizione del concorrente i requisiti e le risorse di cui quest’ultimo è carente;
- invero, il contratto di avvalimento è fonte per l’ausiliario di obblighi nei confronti del solo concorrente e non della stazione appaltante (in questi termini, con riguardo al previgente codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante una disciplina in continuità normativa con quella del codice oggi in vigore: Cons. Stato, V, 01.08.2018, n. 4765);
   - emerge così la rilevanza sul piano sostanziale della dichiarazione di impegno previsto dall’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, atteso che, anche a voler ragionare in termini di contratto a favore di terzo, di cui agli artt. 1411 – 1413 c.c., resta fermo che, seppure l’effetto tipico della stipulazione a favore del terzo è l’acquisto immediato da parte di quest’ultimo del diritto nascente dal contratto, nondimeno la medesima stipulazione può “essere revocata o modificata dallo stipulante, finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente di volerne profittare”, ex art. 1411, comma 2, c.c.;
   - inoltre, in base all’art. 1413 c.c. il promittente, rectius nel caso di avvalimento il concorrente ausiliato “può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto”;
   - ne consegue che lo specifico impegno assunto dall’ausiliario nell’ambito del contratto di avvalimento a favore della stazione appaltante non è equivalente ad una dichiarazione diretta a quest’ultima, la quale ai sensi dell’art. 1334 c.c. produce effetto dal momento in cui perviene a conoscenza della persona alla quale è destinata e diviene così irretrattabile, oltre che insuscettibile di essere paralizzata da eccezioni legate a rapporti con altri soggetti;
   - del resto, la genericità dei contratti di avvalimento o la radicale mancanza delle dichiarazioni obbligatorie non è superabile invocando il c.d. soccorso istruttorio, poiché non si tratta di una mera irregolarità formale o documentale, ma di una lacuna relativa ad un elemento essenziale concernente la dimostrazione di un requisito di capacità »
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 04.08.2020 n. 1527 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
6.2) Sono infondate anche le censure sollevate avverso l’ammissione alla gara di De.Im. srl, in ragione della ritenuta genericità della dichiarazione ex art. 89, comma 1, del d.lvo 50/2016 rilasciata dalla ausiliaria Te. Srl in ordine al requisito prestato e alle risorse messe a disposizione.
Vale precisare che C. ha interesse a contestare la posizione di De.Im. srl, seconda classificata, nonostante le censure rivolte avverso l’aggiudicazione ad A2a siano infondate, come già evidenziato.
Ciò in quanto la possibilità per lo stesso operatore di aggiudicarsi uno solo dei due Lotti da assegnare, unitamente al fatto che CPL, terza classificata in entrambi i lotti, abbia impugnato entrambe le aggiudicazioni, rendono attuale e concreto l’interesse di CPL stessa a posizionarsi al secondo posto della graduatoria, contestando l’ammissione di De.Im. che la precede immediatamente, giacché in caso di fondatezza dell’impugnazione si troverebbe collocata al secondo posto, con possibilità di conseguire l’aggiudicazione, qualora il vincolo di aggiudicazione provocasse in concreto lo scorrimento della graduatoria.

Nel caso in esame, De.Im. ha fatto ricorso all’istituto dell’avvalimento per sopperire alla carenza del requisito di capacità economica e finanziaria di cui al par. 6.2 lett. b) del disciplinare: “b) Fatturato globale medio annuo, riferito agli ultimi n. 3 esercizi finanziari disponibili, pari al doppio dell’importo a base di gara per ciascun lotto oggetto di partecipazione (per ciascuna tipologia di servizio ricompreso in appalto, in misura proporzionale sull’importo totale), non inferiore rispettivamente: 1 LOTTO 1: € 1.934.550,00 IVA esclusa; 2 LOTTO 2: € 1.303.681,66 IVA esclusa”.
C. censura l’inadeguatezza della dichiarazione ex art. 89, comma 1, del d.lvo 50/2016 rilasciata dalla ausiliaria Te. Srl in ordine al requisito prestato e alle risorse messe a disposizione.
In particolare, sarebbe del tutto generica la dichiarazione di impegno a mettere a disposizione, per tutta la durata dell’appalto, le risorse necessarie di cui è carente il concorrente.
La censura non può essere condivisa.
In particolare, il Tribunale osserva che:
   - l’istituto dell’avvalimento è finalizzato a garantire la massima partecipazione alle gare pubbliche, consentendo alle imprese non munite dei requisiti partecipativi, di giovarsi delle capacità tecniche ed economico-finanziarie di altre imprese;
   - il principio generale che permea l’istituto è quello secondo cui, ai fini della partecipazione alle procedure concorsuali, il concorrente, per dimostrare le capacità tecniche, finanziarie ed economiche, nonché il possesso dei mezzi necessari all’esecuzione dell’appalto e richiesti dal relativo bando, è abilitato a fare riferimento alla capacità e ai mezzi di uno o più soggetti diversi, ai quali può ricorrere tramite la stipulazione di un apposito contratto di avvalimento (tra le tante Consiglio di Stato, sez. V, 19.05.2015, n. 2547; Consiglio di Stato, sez. V, 13.03.2014, n. 1251);
   - di tale ratio occorre tenere conto, laddove si tratti di interpretare il contenuto delle complessive dichiarazioni negoziali che compongono l’avvalimento;
   - l’art. 89 del d.l.vo 2016 n. 50, in sostanziale continuità con la disciplina dettata dal d.l.vo 2006 n. 163, prevede che l’operatore economico, singolo o in raggruppamento, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi;
   - la norma precisa, da un lato, che l’operatore economico che vuole avvalersi delle capacità di altri soggetti allega, oltre all’eventuale attestazione SOA dell’impresa ausiliaria, una dichiarazione sottoscritta dalla stessa attestante il possesso da parte di quest’ultima dei requisiti generali di cui all’articolo 80, nonché il possesso dei requisiti tecnici e delle risorse oggetto di avvalimento, dall’altro, che l’operatore stesso dimostra alla stazione appaltante che disporrà dei mezzi necessari mediante presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente;
   - e ancora, il concorrente deve allegare alla domanda di partecipazione il contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto; “a tal fine, il contratto di avvalimento contiene, a pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione dall’impresa ausiliaria”;
   - in ordine al contenuto dei contratti di avvalimento, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere indispensabile la specificazione delle risorse e dei mezzi aziendali messi a disposizione dell’impresa concorrente, al precipuo fine di rendere concreto e verificabile dalla stazione appaltante la natura e la consistenza degli elementi messi a disposizione, poiché l’avvalimento non consiste nel “prestito” di un mero valore astratto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 08.05.2014, n. 2365);
   - l’avvalimento non deve risolversi nel prestito di un valore teorico o astratto, ma è necessario che dal contratto risulti chiaramente l’impegno dell’impresa ausiliaria a prestare specifiche risorse, sicché risulta “insufficiente allo scopo la sola e tautologica riproduzione, nel testo dei contratti di avvalimento, della formula legislativa della messa a disposizione delle "risorse necessarie di cui è carente il concorrente", o espressioni equivalenti” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 25.02.2014, n. 887; Consiglio di Stato, sez. III, 07.04.2014, n. 1636; Consiglio di Stato, sez. IV, 16.01.2014, n. 135; Consiglio di Stato, sez. V, 27.04.2015, n. 2063);
   - è dunque necessario che il contratto descriva, a seconda dei casi, i mezzi, il personale, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali che concernono la qualità o la capacità messa a disposizione, in dipendenza dell’oggetto dell’appalto (giur cit.);
   - l’esigenza di specificità non sottende un vuoto formalismo, ma è funzionale a consentire all’amministrazione di verificare che la sinergia aziendale, realizzata con l’avvalimento, sia effettiva ed idonea a consentire la regolare esecuzione del contratto d’appalto, e non già limitata ad un mero impegno cartolare, che in alcuni casi potrebbe essere preordinato ad eludere le norme generali o di lex specialis sui requisiti di partecipazione a procedure di affidamento di appalti pubblici (Consiglio di Stato, sez. V, 23.10.2014, n. 5244);
   - del resto, il regime di responsabilità, che riguarda anche la ditta avvalsa e non solo il concorrente, può operare in concreto soltanto se viene specificamente indicata la prestazione cui tale responsabilità si riferisce. Non è possibile postulare un inadempimento contrattuale e la conseguente responsabilità di un soggetto il cui obbligo è stato genericamente dedotto in contratto. In altri termini, la genericità dell’impegno assunto impedisce, come affermato dalla giurisprudenza ricordata, alla stazione appaltante di far valere in via immediata la responsabilità dell’ausiliaria, la quale, per andare esente da responsabilità, potrebbe limitarsi ad indicare proprio la mancanza di una specifica violazione contrattuale (sul punto testualmente Consiglio di Stato, sez. VI, 08.05.2014, n. 2365);
   - in tale contesto, resta ferma l’indispensabilità della dichiarazione resa dall’ausiliario alla stazione appaltante, con la quale si obbliga a mettere a disposizione del concorrente i requisiti e le risorse di cui quest’ultimo è carente;
   - invero, il contratto di avvalimento è fonte per l’ausiliario di obblighi nei confronti del solo concorrente e non della stazione appaltante (in questi termini, con riguardo al previgente codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante una disciplina in continuità normativa con quella del codice oggi in vigore: Cons. Stato, V, 01.08.2018, n. 4765);
   - emerge così la rilevanza sul piano sostanziale della dichiarazione di impegno previsto dall’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, atteso che, anche a voler ragionare in termini di contratto a favore di terzo, di cui agli artt. 1411–1413 c.c., resta fermo che, seppure l’effetto tipico della stipulazione a favore del terzo è l’acquisto immediato da parte di quest’ultimo del diritto nascente dal contratto, nondimeno la medesima stipulazione può “essere revocata o modificata dallo stipulante, finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente di volerne profittare”, ex art. 1411, comma 2, c.c.;
   - inoltre, in base all’art. 1413 c.c. il promittente, rectius nel caso di avvalimento il concorrente ausiliato “può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto”;
   - ne consegue che lo specifico impegno assunto dall’ausiliario nell’ambito del contratto di avvalimento a favore della stazione appaltante non è equivalente ad una dichiarazione diretta a quest’ultima, la quale ai sensi dell’art. 1334 c.c. produce effetto dal momento in cui perviene a conoscenza della persona alla quale è destinata e diviene così irretrattabile, oltre che insuscettibile di essere paralizzata da eccezioni legate a rapporti con altri soggetti (cfr. in argomento di recente, Consiglio di Stato, sez. V, 22.10.2019, n. 7188; Consiglio di Stato sez. V, 04.06.2020, n. 3506);
   - del resto, la genericità dei contratti di avvalimento o la radicale mancanza delle dichiarazioni obbligatorie non è superabile invocando il c.d. soccorso istruttorio, poiché non si tratta di una mera irregolarità formale o documentale, ma di una lacuna relativa ad un elemento essenziale concernente la dimostrazione di un requisito di capacità (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 19.06.2017, n. 2985; Tar Lombardia Milano, sez. IV, 22.01.2018, n. 157);
   - nondimeno, le considerazioni sinora svolte non conducono a ritenere nullo l’avvalimento attivato da De.Im. srl, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente principale;
   - invero, la questione controversa non attiene alla radicale mancanza della dichiarazione di impegno da parte dell’ausiliaria, incontestatamente presentata nel caso in esame, ma alla possibilità di determinarne il contenuto, che secondo C. sarebbe del tutto generico;
   - la tesi della ricorrente non può essere condivisa, perché si basa su un’interpretazione atomistica della dichiarazione di impegno assunta dalla ausiliaria, avulsa dal contesto dell’operazione complessiva di avvalimento, ossia senza tenere conto del contenuto del contratto di avvalimento;
   - la dichiarazione dell’ausiliaria Te. srl reca, in intestazione, un inequivoco riferimento alla gara e al lotto cui si riferisce e nel contesto documentale in cui si colloca, relativo alla complessiva operazione di avvalimento attivata da De.Im. srl, si coordina con il contratto di avvalimento;
   - si tratta di documenti negoziali oggettivamente collegati, perché tesi a realizzare un unico e specifico programma negoziale, che giustifica anche sul piano causale l’intera operazione, compresa la dichiarazione di impegno resa alla stazione appaltante;
   - il contratto di avvalimento reca la minuziosa indicazione delle risorse umane e materiali messe a disposizione da Te. Srl e ciò consente di ritenere adeguatamente dettagliato l’oggetto dell’avvalimento stesso, anche per ciò che attiene al contenuto della dichiarazione d’obbligo resa dall’ausiliaria alla stazione appaltante;
   - l’art. 3 del contratto di avvalimento indica, da un lato, le risorse relative all’organizzazione aziendale messe a disposizione, ai fini della formazione e, successivamente, dell’esecuzione del contratto, precisando le modalità di intervento di tali risorse di personale, dall’altro, i mezzi, gli strumenti e le risorse tecniche messe a disposizione;
   - il contenuto del contratto di avvalimento si riverbera sul contenuto effettivo della dichiarazione di impegno resa dall’ausiliaria alla stazione appaltante, secondo i criteri che presiedono all’interpretazione necessariamente coordinata delle dichiarazioni negoziali collegate, sicché la stessa dichiarazione resa dall’ausiliaria presenta un contenuto specifico e non generico, con conseguente infondatezza della censura in esame;
   - né, del resto, è condivisibile la tesi secondo la quale il contratto di avvalimento non sarebbe riconducibile al paradigma di riferimento per carenza di onerosità;
   - sul punto è sufficiente osservare che l’art. 4 del contratto reca l’indicazione puntuale dei parametri cui dovrà essere commisurato il corrispettivo, in dipendenza dell’effettiva necessità di provvedere alla messa a disposizione di risorse umane e materiali e dell’entità delle risorse concretamente fornite, sicché per tale profilo l’oggetto del contratto è coerente con il paradigma normativo civilistico, trattandosi di un compenso determinabile sulla base di parametri inequivoci.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza dei motivi aggiunti dedotti da C.

APPALTI: Offerta non conforme alle specifiche tecniche.
Nelle gare pubbliche l'offerta non conforme alle specifiche tecniche fissate nel bando di gara concretizza un'ipotesi di aliud pro alio, la quale non può che determinare l'esclusione dalla gara dell’offerente anche in assenza di un'espressa previsione in tal senso nella medesima legge di gara
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Il ricorso è fondato.
Va premesso che con la lettera di invito all’art. 5 l’Azienda ha espressamente richiesto che la strumentazione analitica offerta dall’impresa partecipante alla gara fosse “in grado di identificare in modo specifico e distinto le [varianti emoglobiniche] HbS, HbC, HbD e HbE”.
E’ stato altresì espressamente indicato che “l’aggiudicazione sarà, per lotto unico, a favore della ditta che avrà presentato l’offerta al minor prezzo rispetto alla base d’asta” “previa verifica che quanto offerto corrisponda alle caratteristiche chieste”.
La richiesta dell’Azienda non è suscettibile di equivoci, essendo chiara nell’indicare una strumentazione in grado di identificare direttamente le singole varianti emoglobiniche in modo distinto.
Ciò posto, non è contestato che la strumentazione offerta dalla controinteressata aggiudicataria non risponda ai requisiti richiesti.
Vi è infatti la piena consapevolezza da parte dell’Azienda che la strumentazione offerta dalla controinteressata non consenta una identificazione diretta e distinta anche della variante emoglobinica E, così come richiesto in sede di lettera di invito.
La stazione appaltante, nella relazione del 03.09.2019, redatta in sede di procedimento apertosi a seguito dell’istanza di autotutela della ricorrente, ha dichiarato che “per quanto riguarda la questione strettamente tecnica dalle nostre statistiche emerge che, nell’ultimo anno, abbiamo riscontrato un solo caso di emoglobina E. A questo proposito la Ditta TO. nel referto segnala il “sospetto di emoglobina E”, mentre la Ditta BI. presenta un’indicazione indiretta facendo ricadere l’eventuale presenza di Emoglobina E all’interno di un’altra frazione da cui poi si dovrà estrapolare il valore. Tuttavia vista la scarsa incidenza nelle nostre statistiche di questa frazione anche l’utilizzo di una valutazione indiretta come quella della BI. ci è sembrata accettabile. Per questi motivi abbiamo deciso di considerare equivalenti le offerte”.
A fronte della pacifica ammissione che la strumentazione offerta dalla controinteressata non risponde alla caratteristiche indicate nella lettera di invito, l’ulteriore passaggio argomentativo della stazione appaltante si presenta del tutto incoerente.
Ne consegue un’evidente violazione del divieto di modificare o integrare la lex specialis di gara, che è stata di fatto disapplicata.
Non è affatto condivisibile la deduzione della difesa dell’Azienda secondo cui entrambe le strumentazioni proposte dalle concorrenti sarebbero idonee a soddisfare le esigenze di carattere pubblico della Azienda Sanitaria.
In realtà la stazione appaltante ha formulato una proposta contenente una precisa ed inequivoca indicazione circa la strumentazione richiesta, poi totalmente disattesa in corso di gara.
Nelle gare pubbliche l'offerta non conforme alle specifiche tecniche fissate nel bando di gara concretizza un'ipotesi di aliud pro alio, la quale non può che determinare l'esclusione dalla gara dell’offerente anche in assenza di un'espressa previsione in tal senso nella medesima legge di gara (TAR Torino, sez. I, 19.03.2020, n. 201; TAR Latina, sez. I, 04.11.2019, n. 642) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.08.2020 n. 1512 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa verifica dell’anomalia dell’offerta è finalizzata ad accertare la serietà e l’affidabilità della stessa sulla base di una valutazione, ad opera della stazione appaltante, che ha natura globale e sintetica, nel senso che mira non già a ricercare inesattezze delle singole voci di costo, bensì ad accertare se l’offerta stessa, nel suo complesso, dia garanzia di una corretta esecuzione dell’appalto.
Ciò in quanto la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e, dunque, su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo pertanto impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto, ma risultando sufficiente che l’offerta medesima si presenti ex ante ragionevole ed attendibile.
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P
oiché l’affidabilità dell’offerta va valutata nell’insieme, è pacifica la possibilità di operare compensazioni tra voci sottostimate, anche riguardanti il costo della manodopera, e poste maggiormente capienti, nonché, segnatamente, di assorbire oneri aziendali aventi un impatto limitato nella quota per imprevisti delle spese generali e persino nell’utile d’impresa.
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In linea generale, il ricorso all’istituto del lavoro supplementare per abbattere i costi della manodopera è pienamente legittimo, sempre che sia contenuto in una percentuale limitata. L’eventuale rifiuto del lavoratore riguarda infatti un profilo attinente ai rapporti interni tra datore e lavoratore, senza intaccare la significatività dell’impegno giuridico assunto dall’impresa nei confronti del committente.
Nel caso di specie, nell’offerta del R.T.I. aggiudicatario le ore supplementari per le sostituzioni rappresentano poco meno del 6,5% del monte ore effettivo totale (per l’esattezza, 14.102,33 su 220.611,21 ore operative).
Si tratta, quindi, di una percentuale alquanto contenuta e, come tale, sicuramente ammissibile
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Secondo il pacifico indirizzo pretorio, un’offerta non può ritenersi anomala per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato calcolato secondo importi inferiori a quelli stimati nelle tabelle predisposte dal Ministero del Lavoro ai sensi dell’art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50/2016.
Nelle suddette tabelle, infatti, il costo orario della manodopera viene elaborato su basi statistiche considerando, tra l’altro, le ore mediamente lavorate, che scaturiscono detraendo dalle ore contrattuali annue le ore non lavorate, le quali sono in parte predeterminabili in misura fissa (ferie, riduzioni di orario contrattuale, festività) e in parte suscettibili di variazioni (malattia e infortunio, maternità, assemblee e permessi sindacali, diritto allo studio, formazione professionale).
Poiché le tabelle ministeriali non possono considerare l’incidenza reale di questi ultimi fattori, come pure di eventuali agevolazioni di cui goda in concreto il datore di lavoro (in ragione della natura giuridica dell’azienda e delle tipologie contrattuali utilizzate), i valori tabellari del costo medio del lavoro non hanno carattere cogente ed inderogabile, ma costituiscono un semplice parametro di riferimento, con funzione indicativa, da cui è possibile discostarsi in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione imprenditoriale in grado di giustificare la sostenibilità di oneri inferiori (fermo restando il necessario rispetto dei minimi salariali retributivi).
Ne discende che, perché possa dubitarsi della congruità dell’offerta, occorre che lo scostamento dalle tabelle ministeriali sia considerevole e palesemente ingiustificato
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Occorre premettere che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la verifica dell’anomalia dell’offerta è finalizzata ad accertare la serietà e l’affidabilità della stessa sulla base di una valutazione, ad opera della stazione appaltante, che ha natura globale e sintetica, nel senso che mira non già a ricercare inesattezze delle singole voci di costo, bensì ad accertare se l’offerta stessa, nel suo complesso, dia garanzia di una corretta esecuzione dell’appalto (in tal senso cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 02.07.2020, n. 4272; Cons. St., sez. IV, 04.06.2020, n. 3528; Cons. St., sez. III, 20.05.2020, n. 3207; Cons. St., sez. V, 30.12.2019, n. 8909; Cons. St., sez. V, 26.06.2019, n. 4400; Cons. St., sez. V, 28.01.2019, n. 690; Cons. St., sez. V, 26.11.2018, n. 6689).
Ciò in quanto la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e, dunque, su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo pertanto impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto, ma risultando sufficiente che l’offerta medesima si presenti ex ante ragionevole ed attendibile (Cons. St., sez. V, 08.06.2018, n. 3480).
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Infatti, poiché l’affidabilità dell’offerta va valutata nell’insieme, è pacifica la possibilità di operare compensazioni tra voci sottostimate, anche riguardanti il costo della manodopera, e poste maggiormente capienti (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 30.06.2020, n. 4140; Cons. St., sez. V, 16.01.2020, n. 389; Cons. St., sez. V, 08.06.2018, n. 3480, cit.), nonché, segnatamente, di assorbire oneri aziendali aventi un impatto limitato nella quota per imprevisti delle spese generali e persino nell’utile d’impresa (in tal senso, ex aliis, Cons. St., sez. III, 20.11.2019, n. 7927; TAR Sardegna, sez. I, 29.01.2020, n. 68).
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5. Id. censura l’ipotesi delle società vincitrici di utilizzare il lavoro supplementare per sostituire il personale adibito stabilmente al servizio nelle ore di assenza non programmabili, così ottenendo, grazie al costo orario sensibilmente inferiore, un risparmio di € 93.335,89.
Sostiene in particolare che il lavoratore part-time potrebbe rifiutarsi di svolgere le ore supplementari e che il R.T.I. Fidente non avrebbe dimostrato il necessario presupposto della preesistenza del rapporto lavorativo a tempo parziale degli addetti titolari.
La doglianza è infondata.
5.1. In linea generale, come sancito da costante giurisprudenza, il ricorso all’istituto del lavoro supplementare per abbattere i costi della manodopera è pienamente legittimo, sempre che sia contenuto in una percentuale limitata. L’eventuale rifiuto del lavoratore riguarda infatti un profilo attinente ai rapporti interni tra datore e lavoratore, senza intaccare la significatività dell’impegno giuridico assunto dall’impresa nei confronti del committente (in tal senso cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 08.05.2020, n. 2900; Cons. St., sez. VI, 04.12.2019, n. 8303; Cons. St., sez. VI, 30.05.2018, n. 3244; TAR Lazio, Roma, sez. III-bis, 03.05.2018, n. 4966).
Nel caso dell’offerta del R.T.I. aggiudicatario le ore supplementari per le sostituzioni rappresentano poco meno del 6,5% del monte ore effettivo totale (per l’esattezza, 14.102,33 su 220.611,21 ore operative: cfr. giustificazioni Fi. in data 13.02.2020).
Si tratta, quindi, di una percentuale alquanto contenuta e, come tale, sicuramente ammissibile (si vedano, ad esempio, Cons. St., sez. V, 08.05.2020, n. 2900, cit., e Cons. St., sez. VI, 30.05.2018, n. 3244, cit., che hanno ritenuto compatibile il lavoro supplementare per il 19% e per il 14,4% delle ore complessive).
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6. Infine, Id. censura la congruità dell’offerta vincitrice per avere considerato costi della manodopera più bassi di quelli risultanti dalla tabella ministeriale. In particolare, la deducente contesta la validità dell’argomentazione del raggruppamento vincitore di poter contare su di un tasso di assenteismo minore rispetto alla media di settore sia per assemblee e permessi sindacali (due ore annue anziché dieci), sia per il diritto allo studio (un’ora all’anno anziché nove).
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Secondo il pacifico indirizzo pretorio, un’offerta non può ritenersi anomala per il solo fatto che il costo del lavoro sia stato calcolato secondo importi inferiori a quelli stimati nelle tabelle predisposte dal Ministero del Lavoro ai sensi dell’art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50/2016.
Nelle suddette tabelle, infatti, il costo orario della manodopera viene elaborato su basi statistiche considerando, tra l’altro, le ore mediamente lavorate, che scaturiscono detraendo dalle ore contrattuali annue le ore non lavorate, le quali sono in parte predeterminabili in misura fissa (ferie, riduzioni di orario contrattuale, festività) e in parte suscettibili di variazioni (malattia e infortunio, maternità, assemblee e permessi sindacali, diritto allo studio, formazione professionale).
Poiché le tabelle ministeriali non possono considerare l’incidenza reale di questi ultimi fattori, come pure di eventuali agevolazioni di cui goda in concreto il datore di lavoro (in ragione della natura giuridica dell’azienda e delle tipologie contrattuali utilizzate), i valori tabellari del costo medio del lavoro non hanno carattere cogente ed inderogabile, ma costituiscono un semplice parametro di riferimento, con funzione indicativa, da cui è possibile discostarsi in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione imprenditoriale in grado di giustificare la sostenibilità di oneri inferiori (fermo restando il necessario rispetto dei minimi salariali retributivi).
Ne discende che, perché possa dubitarsi della congruità dell’offerta, occorre che lo scostamento dalle tabelle ministeriali sia considerevole e palesemente ingiustificato (in tal senso cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 09.06.2020, n. 3694, cit.; Cons. St., sez. VI, 30.01.2020, n. 788; Cons. St., sez. VI, 04.12.2019, n. 8303, cit.; Cons. St., sez. V, 29.07.2019, n. 5353; Cons. St., sez. V, 18.02.2019, n. 1097; Cons. St., sez. III, 18.01.2018, n. 324; Cons. St., sez. III, 21.07.2017, n. 3623; TAR Campania, Napoli, sez. I, 29.05.2020, n. 2074; TAR Sardegna, sez. I, 29.01.2020, n. 68, cit.) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 03.08.2020 n. 550 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Bando di gara – Impugnazione – Clausole immediatamente escludenti – Diritto eurounitario – Conformità – Decisioni amministrazioni – Oggetto ricorso efficace e rapido.
L’art. 120 c.p.a. nel prevedere l’onere di immediata impugnazione del bando o avviso di gara solo se autonomamente lesivi riconosce un interesse a ricorrere contro la lex specialis solamente nell’ipotesi in cui la stessa presenti clausole immediatamente escludenti.
Tra queste ultime non rientrano solo quelle che stabiliscono i requisiti di ammissione alla gara ma anche quelle impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati ai fini della partecipazione o che la rendono difficoltosa o impossibile, che contengono disposizioni abnormi o irragionevoli che rendono impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara ovvero che prevedono abbreviazioni irragionevoli di termini per la presentazione dell’offerta, che pongano condizioni negoziali che rendono il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente incongruente, che impongano obblighi contra ius, ovvero presentino gravi carenze nell’indicazione dei dati essenziali per la formulazione dell’offerta o formule matematiche del tutto errate oppure non specifichino i costi della sicurezza non soggetti a ribasso.
A contrario devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo le clausole che non rivestono portata escludente, come ad esempio, il metodo di gara, il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia
(Cons. St., Ad. Plen., sent. n. 4/2018).
La tesi appena esposta risulta essere conforme anche al diritto eurounitario, precisamente all’art. 1 della Direttiva n. n. 89/665/CE la quale obbliga gli Stati membri ad assicurare che le decisioni assunte dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, comunque il diritto di azione deve essere riconosciuto a chi sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione» del diritto dell’Unione in materia di appalti
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 03.08.2020 n. 34 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Confronto a coppie – Scarto significativo tra i punteggi attribuiti alle singole offerte – Valutazione soggettiva e opinabile circa le soluzioni offerte.
In caso di confronto a coppie, un punteggio alto testimonia l’elevato gradimento del seggio di gara per le soluzioni proposte da un candidato rispetto a quelle formulate dagli altri, laddove una valutazione bassa è, specularmente, conseguenza della scarsa attrattività tecnico-qualitativa della proposta del concorrente non in sé e per sé, ma rispetto a quelle degli altri partecipanti.
E' pertanto chiara l’ampia discrezionalità sottesa a tali manifestazioni di giudizio dei commissari, che non scrutinano il possesso dei requisiti minimi di partecipazione (presupposto per l’ammissione al confronto) ma, al contrario, esprimono una valutazione, necessariamente soggettiva e opinabile, circa le diverse soluzioni tecniche offerte.
Uno scarto significativo tra i punteggi attribuiti alle singole offerte dei concorrenti alla gara non implica quindi ex se illogicità o erroneità delle valutazioni svolte dai commissari
(Tar Veneto 14.02.2020 n. 158).

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Commissione – Competenze dei membri – Aree tematiche omogenee.
Il Codice degli appalti non richiede una perfetta corrispondenza tra la competenza dei membri della Commissione, anche cumulativamente considerata, e i diversi ambiti materiali che concorrono all’integrazione del complessivo oggetto del contratto.
La Commissione di gara deve essere composta da esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto, nel senso che la competenza ed esperienza richieste ai commissari deve essere riferita ad aree tematiche omogenee, e non anche alle singole e specifiche attività oggetto dell’appalto
(Cons. Stato III, 28.06.2019 n. 4458)
(TAR Marche, sentenza 01.08.2020 n. 497 - link a www.ambientediritto.it).

luglio 2020

APPALTIRapporto fra la disciplina delle limitate deroghe alle esclusioni per insolvenza e la disciplina della riduzione della compagine di una ATI sovrabbondante.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Raggruppamento temporaneo di impresa – Ati sovrabbondante – Uscita dal raggruppamento di una impresa per eventi sopravvenuti alla presentazione dell’offerta - Ridistribuzione quote – Possibilità - Limiti.
Una volta consentita la modifica riduttiva della compagine del raggruppamento c.d. abbondante nei casi previsti dai commi 17 ss. dell’art. 48, d.lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm.ii., sorge l’esigenza –logica prima ancora che giuridica– di attribuire la quota dell’impresa uscita dal raggruppamento a quelle superstiti.
In altri termini, la facoltà di riduzione del raggruppamento nei casi previsti dalla legge –connotati dal carattere oggettivo e imprevedibile degli eventi sopravvenuti alla presentazione dell’offerta, legittimanti la modifica– comporta la necessità di redistribuire le quote.
Ed infatti, i commi 17 e 19 dell’art. 48, nella versione applicabile ratione temporis, non prevedono affatto che la quota della nuova mandataria debba esattamente corrispondere a quella precedente, ma richiedono unicamente che l’operatore economico subentrante abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori oggetto dell’appalto.
Opinando diversamente, le quote di qualificazione e di esecuzione della mandataria originaria e di quella subentrante (originaria mandante) dovrebbero essere identiche sin dall’origine (ossia, sin dalla presentazione dell’offerta), il che condurrebbe sostanzialmente ad un’inammissibile interpretatio abrogans della disciplina che ammette le modifiche soggettive, di fatto imponendo in via cautelativa la costituzione di raggruppamenti sovrabbondanti e così immobilizzando inutilmente (e dunque irragionevolmente) i fattori produttivi aziendali di molte imprese.
Resta, naturalmente, ferma la necessità del possesso, in capo alla mandataria, dei requisiti di qualificazione richiesti nel bando per l’impresa singola (1).

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   (1) Ricorda la Sezione che l’art. 48, commi 17, 19 e 19-ter, d.lgs. n. 50 del 2016 dispone che, in deroga alla regola generale dell’immodificabilità del raggruppamento temporaneo rispetto alla composizione risultante dall’impegno presentato in sede di offerta (art. 48, comma 9), è consentita al raggruppamento aggiudicatario la possibilità di modificare la propria composizione in conseguenza di un evento che privi l’impresa mandataria della capacità di contrarre con la pubblica amministrazione.
Precisa che il divieto di modifica per mancanza di requisiti in funzione anti-elusiva si riferisce alle ipotesi nelle quali la carenza dei requisiti risale al momento della presentazione dell’offerta, e quindi ai casi in cui i requisiti manca(va)no ab origine, non invece anche alle ipotesi in cui la carenza dei requisiti sia sopravvenuta alla domanda di partecipazione, nelle quali ai sensi dei commi 17 (per il mandatario) e 18 (per il mandante) è consentita la modifica in riduzione della compagine del raggruppamento (Cons. Stato, sez. III, 02.04.2020, n. 2245).
A questo proposito deve distinguersi nettamente l’istituto –avente più rigidi limiti– della deroga all’esclusione per sopravvenuta mancanza di requisiti, dall’istituto della riduzione dell’ATI sovrabbondante.
Nel primo caso infatti il raggruppamento ottiene di continuare ad avere un rapporto giuridico con l’amministrazione pur in presenza di situazioni riportabili all’insolvenza, nel secondo caso invece l’impresa incorsa in situazione riportabile all’insolvenza viene esclusa dall’ATI ed il rapporto giuridico può continuare, come si vedrà, se i membri residui del raggruppamento continuino ad avere i requisiti necessari per eseguire l’opera.
L’elusione, quale limite della modifica in riduzione, va quindi apprezzata in ragione del motivo posto alla base dell’operazione riduttiva e del tempo di emersione del relativo motivo: infatti, l’esercizio della facoltà non deve configurarsi come strumentale a sanare ex post una situazione di preclusione all’ammissione alla procedura riguardante il soggetto uscente/recedente sussistente al momento dell’offerta, a pena di violazione della par condicio tra i concorrenti. Qualora invece l’uscita della mandataria dal raggruppamento sia sopravvenuta all’aggiudicazione definitiva, dunque successivamente alla valutazione delle offerte di tutte le imprese concorrenti nel rispetto dei criteri fissati dal bando e della par condicio, le sopravvenute esigenze organizzative –tra le quali rientrano i casi in cui una delle imprese raggruppate sia colpita da un evento non volontario, quali (tra l’altro) l’apertura di una procedura concorsuale (ivi compreso il concordato preventivo) per effetto di una sopravvenuta situazione di insolvenza o di crisi aziendale implicante la perdita del requisito generale di cui all’art. 80, comma 5, lettera b), d.lgs. n. 50 del 2016– consentono la modificazione soggettiva.
Infine, la disposizione contenuta nel comma 19-ter [aggiunto dall’art. 32, comma 1, lett. h), d.lgs. 19.04.2017, n. 56] estende espressamente la possibilità di modifica soggettiva per le ragioni indicate dai commi 17, 18 e 19 –ivi limitata alla fase dell’esecuzione del contratto– anche alla fase di gara.
La ratio che sorregge la sopra riportata disciplina estensiva delle deroghe al principio dell’immodificabilità della composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari sancito dall’art. 48, comma 9, d.lgs. n. 50 del 2016 è costituita sia dall’incentivazione della libera concorrenza e della massima partecipazione sia dall’esigenza di garantire, per quanto possibile, la stabilizzazione dell’offerta risultata migliore nell’interesse pubblico della qualità delle opere, nonché, nella fase dell’esecuzione, la continuità e tempestività dei lavori (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.07.2020 n. 4858 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIUn operatore economico che aspiri all’aggiudicazione di un contratto con l’Amministrazione ha legittimazione ed interesse ad impugnare l’avvenuta proroga del contratto in essere, anche tenuto conto che una proroga illegittima è equiparata all’affidamento senza una procedura competitiva, pacificamente impugnabile dagli operatori del settore che lamentino un pregiudizio derivante proprio dalla mancata messa a gara.
Sul punto si richiama quanto evidenziato dal TAR Campania: “Peraltro all'affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui, ad un affidamento con gara, segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario; le proroghe dei contratti affidati con gara, infatti, sono consentite se già previste ab origine e comunque entro termini determinati, mentre, una volta che il contratto scada e si proceda ad una proroga non prevista originariamente, o oltre i limiti temporali consentiti, la stessa proroga deve essere equiparata ad un affidamento senza gara”.
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Sulla proroga del contratto di recente è stato che “In linea generale, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, il ricorso alla proroga tecnica costituisce un'ipotesi del tutto eccezionale, utilizzabile solo qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi concorrenziali".
Più nello specifico, è stato precisato che “Per ciò che concerne la cd "proroga tecnica", preme evidenziare l'orientamento restrittivo dell'Autorità (cfr. Delibere nn. 6/2013 e 1/2014) e della consolidata giurisprudenza, che ammettono la proroga tecnica solo in via del tutto eccezionale, poiché costituisce una violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, enunciati nel previgente codice dei contratti al comma 1 dell'art. 2 [oggi art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016]. La proroga, nell'unico caso oggi ammesso, ha carattere di temporaneità e rappresenta uno strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da un vincolo contrattuale ad un altro, come chiarito dall'Autorità con parere AG 38/2013: la proroga "è teorizzabile ancorandola al principio di continuità dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall'Amministrazione) vi sia l'effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente".
"Una volta scaduto il contratto, l'Amministrazione, qualora abbia ancora necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve -tempestivamente- bandire una nuova gara, al fine di portarla a termine prima della naturale scadenza del risalente contratto, in quanto, in tema di proroga (o rinnovo) dei contratti pubblici non vi è alcuno spazio per l'autonomia contrattuale delle parti”.
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La ricorrente nel gravame precisa di essere un’impresa (una delle sole quattro) che produce e commercializza adalimumab in Italia, di essere stata ammessa al sistema dinamico di che trattasi e di far valere il proprio interesse pretensivo a partecipare e ad eventualmente aggiudicarsi la fornitura di adalimumab per il secondo semestre del 2019.
Sul punto, il Collegio si limita ad evidenziare che un operatore economico che aspiri all’aggiudicazione di un contratto con l’Amministrazione ha legittimazione ed interesse ad impugnare l’avvenuta proroga del contratto in essere, anche tenuto conto che una proroga illegittima è equiparata all’affidamento senza una procedura competitiva, pacificamente impugnabile dagli operatori del settore che lamentino un pregiudizio derivante proprio dalla mancata messa a gara.
Sul punto si richiama quanto evidenziato dal TAR Campania “Peraltro all'affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui, ad un affidamento con gara, segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario; le proroghe dei contratti affidati con gara, infatti, sono consentite se già previste ab origine e comunque entro termini determinati, mentre, una volta che il contratto scada e si proceda ad una proroga non prevista originariamente, o oltre i limiti temporali consentiti, la stessa proroga deve essere equiparata ad un affidamento senza gara” (TAR Campania-Napoli, sez. V, 20.06.2018, n. 4109).
Anche tale eccezione pertanto non può essere accolta.
4. - Il contenuto della nota della S.C.R. prot. n. 12405 del 21.12.2018 indirizzata ad Am. S.r.l., dalla quale emerge chiaramente che, nel caso in esame, la motivazione della proroga non è stata quella di garantire la continuità della fornitura nelle more dell’espletamento di un appalto specifico, ma che il contratto è stato prorogato a causa dell’“andamento dei quantitativi ad oggi ordinati del farmaco in oggetto, prevedendo una stima in diminuzione rispetto ai fabbisogni indicati nel 3° Appalto Specifico (SDA 06-2018)” consente altresì di valutare la legittimità o meno dell’operato della S.C.R. alla luce delle censure dedotte dalla ricorrente.
La ricorrente nel gravame, in estrema sintesi, sostiene che la trattativa privata diretta senza pubblicazione del bando al di fuori dei casi previsti dalla legge sia illegittimità perché vanifica l’esigenza di rispettare la par condicio fra tutti i possibili offerenti e che nel caso in esame non sussistevano le condizioni nelle quali la legge (art. 63 del decreto legislativo n. 50 del 2016) consente di concludere un contratto pubblico more privatorum.
Inoltre, la ricorrente sostiene che l’affidamento ad Am. non sia neppure una proroga lecita del contratto aggiudicato attraverso il terzo appalto specifico in quanto nel caso in esame mancherebbero anche le condizioni di cui all’art. 106 del decreto legislativo n. 50 del 2016.
Infine, la ricorrente sostiene che la “proroga” è tecnicamente un rinnovo o comunque una variazione del contratto avvenuta al di fuori delle condizioni previste dall’art. 106 del decreto legislativo n. 50 del 2016 poiché essa sarebbe scaturita da una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, dato che mezz’ora dopo la comunicazione della proroga, con la nota prot. n. 12413 di pari data (21.12.2018) la Stazione appaltante aveva richiesto alla società fornitrice di rinegoziare il prezzo di aggiudicazione.
Ebbene, come giàevidenziato, l’art. 106, comma 11 del decreto legislativo n. 50 del 2016 consente la modifica della durata del contratto alle seguenti condizioni: 1) esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione; 2) se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga; 3) solo per il tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l'individuazione di un nuovo contraente.
In conformità a quanto previsto dall’art. 106, nella lettera invito si legge “Su comunicazione scritta di S.C.R. Piemonte, la Convenzione inoltre, ai sensi dell'art. 106, comma 11, del D.Lgs 50/2016 e s.m.i., potrà essere prorogata fino ad un massimo di ulteriori 6 (sei) mesi agli stessi patti -o più favorevoli- prezzi e condizioni per garantire la continuità della fornitura, nelle more dell’espletamento di un appalto specifico”.
Come emerge dalla parte in fatto di questo sentenza, analoga previsione è contenuta nel capitolato e nel disciplinare del Sistema Dinamico di acquisizione.
Alla luce di quanto sopra si deve ritenere infondata anche l’ulteriore eccezione sollevata dalla S.C.R. secondo la quale il ricorso sarebbe inammissibile poiché la ricorrente non aveva impugnato gli atti di gara che prevedevano espressamente la possibilità di prorogare il contratto.
Invero, ciò che contesta la ricorrente non è la proroga in sé, ma il fatto che la proroga non sia stata disposta per l’unica ragione prevista e ammessa sia dall’art. 106 del decreto legislativo n. 50 del 2016, sia dagli stessi atti di gara, e cioè “per garantire la continuità della fornitura, nelle more dell’espletamento di un appalto specifico”.
Contrariamente a quanto disposto all’art. 106 e nella lettera invito, nel caso in esame, dalla nota sopra citata, emerge chiaramente che la proroga di che trattasi non è stata disposta “per il tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l'individuazione di un nuovo contraente”, ma è stata disposta a causa dell’“andamento dei quantitativi ad oggi ordinati del farmaco in oggetto, prevedendo una stima in diminuzione rispetto ai fabbisogni indicati nel 3° Appalto Specifico (SDA 06-2018)”.
Inoltre, la proroga ad Am. è stata decisa prima della scadenza naturale del contratto (già a dicembre 2018) quando vi era tutto il tempo per pubblicare ed aggiudicare un nuovo appalto specifico.
Sulla proroga del contratto di recente è stato osservato quanto segue “In linea generale, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, il ricorso alla proroga tecnica costituisce un'ipotesi del tutto eccezionale, utilizzabile solo qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi concorrenziali" (Cons. Stato, sez. V, 23.09.2019, n. 6326; sul punto anche TAR Toscana-Firenze, sez. I, 04.02.2020, n. 158).
Più nello specifico, è stato precisato che “Per ciò che concerne la cd "proroga tecnica", preme evidenziare l'orientamento restrittivo dell'Autorità (cfr. Delibere nn. 6/2013 e 1/2014) e della consolidata giurisprudenza, che ammettono la proroga tecnica solo in via del tutto eccezionale, poiché costituisce una violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, enunciati nel previgente codice dei contratti al comma 1 dell'art. 2 [oggi art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016]. La proroga, nell'unico caso oggi ammesso, ha carattere di temporaneità e rappresenta uno strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da un vincolo contrattuale ad un altro, come chiarito dall'Autorità con parere AG 38/2013: la proroga "è teorizzabile ancorandola al principio di continuità dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall'Amministrazione) vi sia l'effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente" (CdS, sez. V, sent. 11.05.2009, n. 2882).
"Una volta scaduto il contratto, l'Amministrazione, qualora abbia ancora necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve -tempestivamente- bandire una nuova gara (cfr. CdS n. 3391/2008), al fine di portarla a termine prima della naturale scadenza del risalente contratto, in quanto, in tema di proroga (o rinnovo) dei contratti pubblici non vi è alcuno spazio per l'autonomia contrattuale delle parti” (TAR Campania-Napoli, sez. V, 18.04.2020, n. 1392) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 30.07.2020 n. 496 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Limiti al subappalto: il Consiglio di Stato recepisce la sentenza del 27.11.2019 della Corte UE.
È illegittimo limitare al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi e al 20% la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione.
Con la sentenza 27.11.2019, causa C-402/18, la sezione V della Corte di giustizia europea ha precisato che la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretata nel senso che: essa osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita al 30% la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi; essa osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione.
Lo ha ricordato la VI Sez. del Consiglio di Stato nella sentenza 29.07.2020 n. 4832 che, di fatto, chiude la diatriba all'origine del noto pronunciamento della Corte UE.
La sentenza di Palazzo Spada fa riferimento all’art. 118 del vecchio Codice Appalti del 2006, articolo le cui disposizioni sono state riprese nell'ambito dei commi 2 e 14 dell'articolo 105 del nuovo Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50/2016).
La sentenza del Consiglio di Stato pubblicata ieri ribadisce che la sentenza 27.11.2019 della Corte UE “ha affermato che la direttiva n. 2004/18/CE, in materia di appalti pubblici, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale –quale l’art. 118 del codice del 2006- che limita al trenta per cento la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi e al venti per cento la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione.
Di conseguenza, non risulta applicabile, in quanto contraria al diritto europeo, la disciplina di cui all’art. 118 cit., posto a base di entrambe le prime censure accolte dal TAR sotto i predetti profili. Una volta ammesso il ricorso al subappalto oltre il predetto limite legislativo, da disapplicare, non residua alcuna concreta censura in ordine alla presunta anomalia dell’offerta, attesa la ammissibilità dell’affidamento in subappalto alle previste cooperative
” (commento tratto da www.casaeclima.com).
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SENTENZA
1. La presente controversia ha ad oggetto l’aggiudicazione adottata a conclusione della procedura aperta per “l’affidamento del servizio di pulizia da espletarsi nei locali in uso dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza presso la città Universitaria e le sedi esterne”, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la durata di 5 anni.
2. Con la sentenza impugnata il Tar Lazio ha accolto il ricorso della parte seconda classificata, condividendo due delle censure dedotte avverso l’offerta della odierna parte appellante.
In particolare venivano accolti i motivi n. 1 e n. 2 del ricorso (quest’ultimo da leggere anche in relazione al motivo n. 5 di cui all’atto per motivi aggiunti): in primo luogo per l’assenza di una attendibile disamina in concreto relativa alle caratteristiche che avrebbe avuto il massiccio ricorso, mediante subappalto, alle cooperative sociali di tipo B, il quale costituisce elemento imprescindibile dell’offerta aggiudicataria che le ha permesso di giustificare l’elevato ribasso che è riuscita ad offrire; in secondo luogo per la riconosciuta violazione dell’art. 118, comma 4°, d.lgs. 163/2006 in quanto la le prestazioni lavorative affidate in subappalto vengono retribuite con corrispettivi ribassati di oltre il venti per cento (29,9 %) rispetto a quelli praticati dal medesimo RTI nei confronti dei propri dipendenti diretti
3. Al riguardo assume rilievo dirimente, in termini di fondatezza del primo motivo di appello principale, l’esito del rinvio pregiudiziale, disposto da questa sezione quale giudice di ultime cure.
3.1 Infatti, la sentenza 27.11.2019 ha affermato che la direttiva n. 2004/18/CE, in materia di appalti pubblici, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale –quale l’art. 118 del codice del 2006- che limita al trenta per cento la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi e al venti per cento la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione
3.2 Di conseguenza, non risulta applicabile, in quanto contraria al diritto europeo, la disciplina di cui all’art. 118 cit., posto a base di entrambe le prime censure accolte dal Tar sotto i predetti profili. Una volta ammesso il ricorso al subappalto oltre il predetto limite legislativo, da disapplicare, non residua alcuna concreta censura in ordine alla presunta anomalia dell’offerta, attesa la ammissibilità dell’affidamento in subappalto alle previste cooperative.

APPALTI: Avvalimento in caso di istanza di concordato.
Soltanto l’impresa già ammessa al concordato non ha bisogno di avvalimento (così il comma 5 dell’art. 110 dlgs 50/2016), che invece appare necessario non solo in caso di deposito dell’istanza di concordato prima della partecipazione, ma anche qualora l’istanza sia presentata nel corso della procedura di gara e financo dopo l’aggiudicazione.
Non si ravvisano, infatti, differenze fra le citate situazioni tali da giustificare la possibilità di non utilizzare nel caso di specie l’avvalimento, che risponde invece ad esigenze di tutela della serietà dell’offerta e quindi di garanzia dell’affidabilità del contraente della pubblica amministrazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 29.07.2020 n. 1462 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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Resta ferma, in ogni modo, la parte di motivazione autonoma del provvedimento di revoca concernente la disciplina della partecipazione alle gare pubbliche delle imprese richiedenti l’ammissione al concordato preventivo ed è sull’interpretazione di tale disciplina che si indirizzano le doglianze del ricorso.
Appare quindi necessario riassumere, seppure per sommi capi, la normativa applicabile alla presente fattispecie, nella quale il bando di gara è stato pubblicato il 13.11.2019 (cfr. il doc. 6 della ricorrente).
L’art. 80, comma 5, lett. b), del codice impone l’esclusione dalle gare pubbliche delle imprese sottoposte a fallimento, liquidazione coatta o concordato preventivo, anche se è in corso il relativo procedimento, fermo restando quanto previsto dall’art. 110 del medesimo codice e dall’art. 186-bis della legge fallimentare.
L’art. 110 del codice ivi applicabile è quello risultante dalle modifiche introdotte dal decreto legge (DL) n. 32/2019 convertito con legge n. 55/2019 (c.d. sblocca cantieri), posto che il bando è stato pubblicato successivamente all’entrata in vigore della suddetta riforma.
L’eventuale omessa indicazione di tale norma nel testo vigente, da parte dei documenti di gara (bando e disciplinare), appare irrilevante, posto che l’articolo di legge citato trova in ogni modo applicazione in virtù del principio di eterointegrazione della lex specialis da parte delle norme di legge ordinaria, secondo il meccanismo dell’art. 1374 del codice civile.
L’art. 110 comma 4 prevede l’applicazione dell’art. 186-bis alle imprese che hanno presentato la domanda di cui all’art. 161 della LF, anche se ai sensi del sesto comma dell’articolo stesso; inoltre per la partecipazione alle pubbliche gare, nel periodo intercorrente fra il deposito della citata domanda ed il deposito del decreto di ammissione al concordato di cui all’art. 163 della LF, «è sempre necessario l’avvalimento dei requisiti di un altro soggetto» (così testualmente l’art. 110, comma 4).
L’avvalimento non è necessario per le imprese ammesse al concordato preventivo (così il comma 5 dell’art. 110).
L’art. 186-bis citato, riguardante il concordato con continuità aziendale (vale a dire quello che prevede la prosecuzione dell’attività di impresa oppure la cessione o il conferimento dell’azienda in esercizio), dispone che i contratti pubblici in corso di esecuzione non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura di concordato e che, dopo il deposito della domanda ex art. 161, la partecipazione alle gare pubbliche deve essere autorizzata dal tribunale.
Il concordato con continuità aziendale è contrapposto al c.d. concordato in bianco, vale a dire quello di cui al sesto comma dell’art. 161, in cui l’impresa deposita l’istanza di ammissione riservandosi in seguito la produzione dei documenti contabili e aziendali previsti dai commi secondo e terzo dell’art. 161 medesimo.
Dalla lettura coordinata delle succitate norme risulta con sufficiente chiarezza che un’impresa che ha depositato domanda di concordato preventivo, anche “in bianco”, può prendere parte ad una pubblica gara, purché autorizzata dal tribunale e munita dell’avvalimento di altro soggetto, non essendo più necessario l’avvalimento solo dopo l’adozione del decreto di ammissione al concordato.
Si tratta, evidentemente, di una disciplina in qualche modo di compromesso, dovendosi contemperare due differenti esigenze; da una parte l’interesse prioritario dell’amministrazione ad ottenere prontamente ed efficacemente la prestazione oggetto dell’appalto o della concessione e dall’altra l’interesse dell’impresa richiedente il concordato a continuare la propria attività, a garanzia dei propri creditori e per la salvaguardia del patrimonio aziendale e dei lavoratori occupati.
Su tale questione la Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 85 del 07.05.2020, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale del sesto comma dell’art. 186-bis sopra citato, ha dapprima ribadito (punto 5.1 della narrativa in “Diritto”), la necessità di «tutelare l'interesse pubblico al corretto e puntuale adempimento delle prestazioni oggetto del contratto», confermando altresì che la regola generale è quella per cui «chi è soggetto a procedure concorsuali non può partecipare alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici», sicché, nelle conclusioni della Corte, la partecipazione alle gare consentita all’impresa in concordato ai sensi dell’art. 186-bis rappresenta comunque una deroga alla regola generale, deroga introdotta allo scopo di «consentire eccezionalmente alle imprese che si trovino in questa condizione di acquisire commesse pubbliche e garantire così una migliore soddisfazione dei creditori» (si veda sempre il citato punto 5.1).
Dalla suddetta pronuncia della Corte Costituzionale si desume con certezza che la regola generale è quella dell’esclusione dalla partecipazione alle gare pubbliche per gli operatori coinvolti in procedure concorsuali, mentre le differenti ipotesi legislative (come l’art. 186-bis, ad esempio), costituiscono in ogni modo eccezioni, seppure giustificate dalla necessità di tutela dell’impresa in difficoltà economiche e finanziarie.
Lo scrivente collegio non può evidentemente prescindere, per la soluzione delle questioni giuridiche di cui è causa, dalle conclusioni cui è pervenuto il Giudice delle leggi.
La ricorrente ha presentato domanda di concordato dopo l’aggiudicazione -seppure dopo solo quattordici giorni, come ammesso a pag. 7 del ricorso– sicché, secondo la tesi sostenuta nel gravame, -OMISSIS- potrebbe mantenere l’aggiudicazione e stipulare il relativo contratto senza necessità di munirsi di avvalimento, posto che tale obbligo è espressamente previsto dal citato art. 110 solo in caso di partecipazione alla gara dopo il deposito dell’istanza di concordato.
Quanto all’autorizzazione da parte del giudice civile, continua poi l’esponente, la stessa potrebbe anche sopravvenire dopo l’aggiudicazione, trattandosi di un elemento integrativo dell’efficacia di quest’ultima.
L’argomentazione di parte ricorrente, per quanto suggestiva, non sfugge però ad una declaratoria di infondatezza.
Infatti, se è pur vero che il nuovo testo dell’art. 110, quale risultante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 55/2019, vuole favorire la partecipazione alle gare delle imprese richiedenti l’ammissione al concordato, anche in bianco, parimenti tale possibilità viene per così dire assistita da una serie di rigorosi requisiti, volti a garantire che l’amministrazione, in caso di aggiudicazione, possa ottenere l’esatto adempimento della prestazione contrattuale (esigenza questa di primario interesse pubblico, secondo la citata sentenza n. 85/2020 della Corte Costituzionale).
Soltanto l’impresa già ammessa al concordato non ha bisogno di avvalimento (così il comma 5 dell’art. 110), che invece appare necessario non solo in caso di deposito dell’istanza di concordato prima della partecipazione, ma anche qualora l’istanza sia presentata nel corso della procedura di gara e financo dopo l’aggiudicazione.
Non si ravvisano, infatti, differenze fra le citate situazioni tali da giustificare la possibilità di non utilizzare nel caso di specie l’avvalimento, che risponde invece ad esigenze di tutela della serietà dell’offerta e quindi di garanzia dell’affidabilità del contraente della pubblica amministrazione.
A ciò si aggiunga che, a volere seguire fino in fondo la prospettazione di parte ricorrente, sarebbero favoriti facili fenomeni di elusione dell’art. 110, comma 4, potendo un’impresa in oggettive difficoltà economiche partecipare alla gara con un’offerta apparentemente vantaggiosa per l’appaltante, salvo poi presentare immediatamente dopo l’aggiudicazione domanda di concordato, non assistita però né dall’autorizzazione del giudice civile né –soprattutto- dall’avvalimento dei requisiti.
Nel caso di specie non solo l’avvalimento non è mai stato ottenuto, ma neppure risulta rilasciata formale autorizzazione da parte del competente tribunale che, anzi, risulta avere respinto una domanda in tal senso (cfr. il doc. 26 della ricorrente).
La pur abile difesa di -OMISSIS- sostiene che il provvedimento di revoca, così come adottato, finirebbe di fatto per introdurre una causa di esclusione dalle gare non prevista dalla legge, in violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 83, comma 8, del codice dei contratti pubblici.
In realtà, la stazione appaltante si è limita ad accertare la mancanza di un requisito di partecipazione di cui all’art. 80, comma 5, del codice, sicché si è determinata nel senso dell’esclusione in applicazione del comma 5, lett. b), dell’articolo da ultimo citato.
Neppure potrebbe configurarsi una sorta di soccorso istruttorio di cui all’art. 83, comma 9, del codice, trattandosi della mancanza di un requisito essenziale ex art. 80 menzionato e non della carenza di un elemento formale della domanda oppure della semplice assenza di una dichiarazione da rendersi in sede di gara.
In conclusione, l’intero ricorso principale deve respingersi.

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl DURC dopo il decreto semplificazioni.
Domanda
È possibile richiamare la normativa che prevede la conservazione della validità dei documenti scaduti nel periodo compreso tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020, per i successivi novanta giorni alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, anche con riferimento al DURC, ai fini dell’aggiudicazione di un appalto?
Risposta
Con la pubblicazione del d.l. 19.05.2020 n. 34, ed in particolare con l’art. 81, co. 1, viene modificato l’art. 103, co. 2, primo periodo, del d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27, in materia di sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi, con l’inserimento di una disposizione specifica relativa ai DURC, che si riporta in grassetto: “Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza,
ad eccezione dei documenti unici di regolarità̀ contributiva in scadenza tra il 31.01.2020 ed il 15.04.2020, che conservano validità̀ sino al 15.06.2020”.
In sede di conversione del decreto, con la legge 17.07.2020 n. 77, il sopra citato comma 1 dell’art. 81, viene soppresso, e per l’effetto, come indicato anche sui siti dell’Inail e dell’Inps, i durc con scadenza compresa tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020 conservano la loro validità fino al 29.10.2020.
Disposizione che tuttavia non si applica, ai sensi dell’art. 8, co. 10, del d.l. 16.07.2020 n. 76 c.d. “decreto semplificazioni” nel caso di verifiche dell’operatore aggiudicatario di un appalto o per la stipula del contratto [1].
Al momento sia l’Inail che l’Inps hanno riportato sui loro siti esclusivamente un comunicato sulle diverse e vigenti disposizioni normative con riferimento ai DURC, ma non hanno ancora emanato circolari operative sulle differenti modalità di consultazione e/o richiesta degli stessi, in base alle specifiche funzioni della certificazione.
È opportuno tuttavia segnalare che in questo periodo con riferimento alla visualizzazione e rilascio dei DURC, i due siti, quello dell’Inail e quello dell’Inps, non sono allineati, tanto che alcuni certificati sono visualizzabili in un sito ma non nell’altro. In attesa che venga risolto il problema, per evitare ritardi nell’efficacia dell’aggiudicazione e/o stipula dei contratti, si consiglia una doppia consultazione.
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[1] L’art. 8, co. 10. d.l. 76/2020 In ogni caso in cui per la selezione del contraente o per la stipulazione del contratto relativamente a lavori, servizi o forniture previsti o in qualunque modo disciplinati dal presente decreto, è richiesto di produrre documenti unici di regolarità contributiva di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30.01.2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 01.06.2015, ovvero di indicare, dichiarare o autocertificare la regolarità contributiva ovvero il possesso dei predetti documenti unici, non si applicano le disposizioni dell’articolo 103, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 2020, relative alla proroga oltre la data del 31.07.2020 della validità dei documenti unici di regolarità contributiva in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020 (29.07.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIConseguenza delle omesse dichiarazioni di risultanze penali da parte del concorrente alla gara pubblica.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Omessa dichiarazione risultanze penali – É causa di esclusione
La nuova formulazione dell’art. 80, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 ha reso l’omessa dichiarazione causa di esclusione autonoma rispetto alla valutazione della gravità dell’illecito professionale da parte della stazione appaltante; ne consegue che, in difetto di residua discrezionalità amministrativa, l’effetto esclusivo deve essere rilevato e dichiarato dal giudice amministrativo, senza rinvio all’amministrazione (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che una volta accertato che il concorrente alla gara pubblica ha mancato al dovere di comunicare le risultanze penali sorti la esclusione automatica dalla procedura, ovvero se residuino poteri di apprezzamento in capo alla stazione appaltante.
Come è noto, nella vigenza del precedente testo dell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, la giurisprudenza ha chiarito che l’esclusione automatica si ha per la sola ipotesi di dichiarazione falsa, ovvero che rappresenti una circostanza diversa dal vero, mentre si ha omissione quando l’operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come grave illecito professionale (Cons. Stato, n. 8906 del 2019).
Ad oggi, l’omissione costituisce in sé causa di esclusione, ai sensi della lett. c-bis del comma 5, ed è perciò distinta dall’apprezzamento discrezionale della p.a. in tema di grave illecito professionale, ora oggetto della lett. c (per quanto, naturalmente, ad essere dichiarati debbono essere fatti anche attinenti a tale profilo).
Al pari della dichiarazione falsa, perciò, (dalla quale continua a restare separata nel testo dell’art. 80, perché solo quest’ultima comporta la segnalazione all’ANAC di cui al comma 12) anche l’omessa dichiarazione, nei casi in cui cada su fatti che senza dubbio alcuno avrebbero dovuto essere portati a conoscenza della stazione appaltante (come nell’ipotesi dei procedimenti penali), determina l’obbligo di escludere la concorrente dalla gara. La stazione appaltante non è più chiamata a dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico ha commesso un grave illecito professionale omettendo la dichiarazione, ma, piuttosto, a prendere atto della omissione in sé.
Tale affermazione è conforme al nuovo tenore letterale dell’art. 80, che pone sul medesimo piano dichiarazioni false e omesse, quali motivi di esclusione, in accordo con l’art. 57, paragrafo 4, lett. h), della direttiva 2014/24/UE.
Va aggiunto che, nella sostanza, può essere assai più grave, sul piano dell’affidabilità del concorrente, l’omissione di una dichiarazione avente ad oggetto un fatto di grande significato (ad esempio, una recente condanna penale), che non la falsità di un’attestazione vertente su un fatto minore: il più recente orientamento giurisprudenziale, che esclude la rilevanza del cd. falso innocuo, può rendere tale divario particolarmente ampio.
Non può poi sfuggire che, continuando ad affermare la necessità che l’amministrazione rivaluti in concreto la pertinenza dei fatti omessi, si incentiva la scorrettezza professionale dei partecipanti alla gara, che possono essere indotti a tacere circostanze di grande importanza. Difatti, il solo effetto di ciò, ai fini della gara, sarebbe che, nel caso in cui esse emergessero per altra via, la stazione appaltante sarebbe chiamata a esprimere il medesimo giudizio che avrebbe dovuto compiere, ove la dichiarazione vi fosse stata.
Ciò detto, posto che in base al nuovo testo dell’art. 80 l’esclusione per dichiarazione omissiva va disposta quando non siano stati segnalati fatti che in linea astratta sarebbero stati pertinenti, il giudice amministrativo che conosca di una controversia legata a tale profilo, nel risolverla nel senso che sussistesse l’obbligo dichiarativo, con ciò accerta la astratta pertinenza del fatto, rispetto alla quale non residua alcun potere discrezionale in capo alla stazione appaltante.
In altri termini: venuto meno il collegamento con il profilo connesso alla valutazione discrezionale della p.a. in ordine al grave illecito professionale, l’omissione rileva in sé quale causa escludente. Se necessaria alla luce della astratta pertinenza dei fatti (profilo su cui può pronunciarsi il giudice a seguito di ricorso), la stazione appaltante non avrebbe che da replicare tale conclusione (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 28.07.2020 n. 8821 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Principio di rotazione in caso di sondaggio di mercato.
Il TAR Milano ritiene che vada rispettato il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti, imposto dall’articolo 36, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, nei servizi di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35, anche nel caso di un sondaggio di mercato avviato da un comune, attraverso la piattaforma telematica Sintel della Regione Lombardia, indirizzato a tutti gli operatori economici e prodormico all’affidamento diretto del servizio di gestione della biblioteca comunale, ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lett. a), del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 (TAR Lombardia- Milano, Sez. I, sentenza 27.07.2020 n. 1446 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
2. Il Collegio ritiene di dover trattare congiuntamente il primo e il terzo motivo di ricorso, in quanto attengono entrambi all’applicabilità del principio di rotazione degli affidamenti nella presente fattispecie.
Essi sono fondati.
2.1. L’articolo 36, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, dispone che <<L’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 avvengono nel rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42, nonché del rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti e in modo da assicurare l’effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese>>.
La disposizione disciplina le modalità di affidamento dei contratti, come quello in oggetto, di valore inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, senza tuttavia delimitarne con esattezza il perimetro applicativo, alla cui individuazione soccorrono le linee guida dell’Anac indicate al successivo comma 7.
Le linee guida dell’A.n.a.c. n. 4 del 26.10.2016, aggiornate in data 10.07.2019, prevedono eccezioni tassative alla regola del principio di rotazione, il quale non si applica ove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato e in presenza di una particolare struttura del mercato ovvero in assenza di alternative.
Per gli affidamenti di importo inferiore ai 40.000 euro, l’articolo 36, comma 2, lett. a), ha previsto la possibilità di procedere all’affidamento diretto, rimettendo alla stazione appaltante la scelta di ricorrere eventualmente alla <<previa consultazione di due o più operatori economici>> mediante l’esperimento di un’indagine preliminare di natura meramente esplorativa e funzionale ad assicurare il rispetto dei principi di cui all’articolo 30 e delle regole di concorrenza.
Il sondaggio di mercato avviato dal Comune di Vittuone in data 18.12.2019, non impugnato in questa sede, manifesta appunto la scelta dello stesso, confermata nelle memorie depositate nel presente giudizio, di procedere ad una consultazione di mercato, indirizzata a tutti gli operatori economici, prodromica all’affidamento diretto.
Per tale ragione non può trovare accoglimento la tesi prospettata dalla cooperativa controinteressata, per cui nel caso di specie non si applicherebbe il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti in quanto il Comune si sarebbe rivolto al mercato mediante l’indizione di una procedura aperta.
La natura del sondaggio di mera indagine esplorativa, prodromica all’affidamento diretto, si evince dal contenuto dello stesso ed in particolare:
   a) dalla espressa previsione che l’avviso esplorativo non è in alcun modo vincolante per il Comune e non può essere interpretato come avviso o bando;
   b) dalla mancata previsione di un criterio oggettivo per la selezione delle offerte che funga da limite alla amplissima discrezionalità della stazione appaltante nell’affidamento dei contratti sottosoglia.
2.2. Affermata la doverosa applicazione del principio di rotazione alla fattispecie in oggetto, il Collegio ritiene che la motivazione contenuta nel provvedimento di aggiudicazione impugnato, in ordine alla mancata applicazione del principio di rotazione, non sia sufficiente a comprovare l’eccezionalità della situazione di mercato o la mancanza di alternative nell’affidamento del servizio.
La giurisprudenza esige un onere motivazionale assai stringente per giustificare l’eccezionale affidamento del servizio al gestore uscente di un servizio rientrante nello stesso settore merceologico, allo scopo di evitare il consolidamento di rapporti contrattuali con determinate imprese.
Il Collegio ritiene che il Comune di Vittuone non abbia evaso detto onere motivazionale.
Risulta infatti, dal sondaggio conclusosi con la presentazione dei preventivi e dei moduli allegati, che nel mercato di riferimento vi fosse almeno un altro operatore economico in grado di offrire la medesima qualità professionale nello svolgimento di servizi analoghi e a condizioni economiche, sia pur di poco, migliori di quelle prospettate dal gestore uscente.
Pertanto l’affidamento del servizio alla C.a. e b., effettuato in ragione del grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale e della competitività del prezzo offerto rispetto alla media dei prezzi praticati nel settore di mercato di riferimento, ove non sia accompagnata ad un’effettiva assenza di alternative o ad una particolare conformazione del mercato, si pone in contrasto con la stessa ratio del principio di rotazione, che è quella di garantire la distribuzione delle opportunità di affidamento dei contratti pubblici anche ad altri operatori economici, in particolare alle microimprese.
Il Collegio ritiene che la motivazione dell’affidamento alla C.a. e b., in ragione della sua maggiore esperienza nel settore, non sia neppure proporzionata al tipo di servizio da affidare: entrambi gli operatori economici interessati hanno infatti dimostrato, mediante l’allegazione del modulo dei servizi analoghi prestati negli ultimi tre anni, di avere i requisisti di capacità tecnico-professionale necessari per l’espletamento dello specifico servizio, il quale, pur essendo caratterizzato da un’alta intensità della manodopera, non richiede specifiche competenze ulteriori, desumibili dai curricula dei dipendenti allegati dall’aggiudicataria.
La stazione appaltante ha esternato l’esigenza di avvalersi di operatori economici dotati di una specifica capacità tecnico professionale per cui l’introduzione di un elemento ultroneo e non proporzionato all’oggetto del servizio da affidare non è sufficiente ad integrare lo stringente onere motivazionale sull’esclusione dell’applicazione del principio di rotazione negli affidamenti in favore del precedente affidatario diretto del servizio.
Il principio di rotazione è stato infatti introdotto per mitigare gli effetti anticoncorrenziali collegati al riconoscimento del principio di economicità dell’azione della stazione appaltante e non può essere esautorato se non a fronte di eccezionali situazioni tassative, quali il ricorso al mercato, la diversità del servizio da affidare o la presenza di indicatori oggettivi che siano comunque in grado di contenere la amplissima discrezionalità rimessa alla stazione appaltante.
In applicazione del principio di rotazione la stazione appaltante, una volta accertato che nel mercato di riferimento era presente un altro operatore, parimenti qualificato allo svolgimento del medesimo servizio, non avrebbe dovuto tenere in considerazione il preventivo presentato dal precedente affidatario e avrebbe dovuto procedere oltre.
L’aggiudicazione del servizio di biblioteca alla C.a. e b. è dunque illegittima per violazione del principio di rotazione negli affidamenti e deve essere perciò annullata.
3. L’accoglimento del primo motivo nonché l’accoglimento del terzo motivo del ricorso rendono superflua la trattazione del secondo motivo di ricorso, il quale attiene alla fase di valutazione delle offerte e deve pertanto ritenersi assorbito.
Il Collegio deve tuttavia evidenziare che, come pure affermato dallo stesso Comune di Vittuone, il sondaggio di mercato del 18.12.2019 non è un bando di gara ma un atto endoprocedimentale, che esprime un’esigenza meramente conoscitiva della stazione appaltante ed equivale ad una determinazione a contrarre.
Esso pertanto non è in grado di prevedere clausole automaticamente escludenti per gli operatori economici e non comporta dunque alcun onere di immediata impugnativa.
Il motivo di ricorso deve tuttavia ritenersi infondato in quanto il sondaggio di mercato contiene i criteri per l’individuazione degli operatori economici ma non quelli per la selezione delle offerte, per cui non è dato ravvisare la violazione del divieto di commistione tra requisiti di partecipazione e requisiti di qualificazione invocato dalla società ricorrente.
4. In conclusione il primo e il terzo motivo di ricorso devono essere accolti e, per l’effetto, deve essere annullata l’aggiudicazione del servizio di biblioteca alla C.a. e b..
5. Il Collegio, in considerazione della circostanza che l’aggiudicazione annullata è avvenuta all’esito di un affidamento diretto e non di una procedura di gara non può tuttavia disporre l’affidamento del servizio alla società ricorrente mediante subentro nel contratto, in quanto il Comune di Vittuone non si è obbligato a stipulare il contratto con gli operatori economici che abbiano presentato un valido preventivo.
Dall’accoglimento del ricorso discende dunque solo il divieto di affidare il contratto alla C.a. e b., in virtù della doverosa applicazione del principio di rotazione negli affidamenti dei contratti c.d. sottosoglia ma non anche quello di affidarlo alla società ricorrente, restando pur sempre salvo il potere della stazione appaltante di procedere all’affidamento diretto del servizio o di ricorrere al mercato, nell’uno e nell’altro caso esplicitandone le motivazioni.

APPALTI - LAVORI PUBBLICI: Controllo della commissione nella fase di ammissione degli operatori nella finanza di progetto di iniziativa pubblica.
La giurisprudenza ha chiarito che “Nell’affrontare la questione dei margini di derogabilità o modificabilità delle previsioni tecniche contenute nella lex specialis la giurisprudenza ha posto in risalto che “è stato precisato che ‘…in sede di gara d’appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall’Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante (…)’”.
In tale prospettiva “le proposte migliorative consistono pertanto in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
In definitiva, solo allorché la modifica progettuale sia ricompresa entro i margini di discrezionalità riconosciuti all’operatore, ovvero sia espressamente prevista dalla lex specialis, può essere legittimamente apportata dal concorrente; diversamente, si sarà in presenza d’una inammissibile difformità dalle previsioni di gara, con conseguente esclusione dell’offerta per integrato aliud pro alio.
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Dal quadro normativo relativo ai vari livelli della progettazione nella finanza di progetto ad iniziativa pubblica, si desume che nella fase di ammissione dei progetti alla gara … il controllo della commissione di gara dev’essere limitato ai profili di macroscopica differenza tra il progetto definitivo presentato ed il progetto di fattibilità, non potendo essa sostituirsi agli organi competenti all’approvazione del progetto ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. 50/2016.
Questi ultimi intervengono solo dopo la nomina del promotore, ai sensi dell’art. 183, c. 10, del d.lgs. 50/2016, mentre il compito della commissione di gara è quello di individuare l’offerta più vantaggiosa, secondo i criteri previsti dal bando di gara e gli aspetti relativi alla qualità del progetto definitivo presentato (in tal senso art. 183, c. 5, del d.lgs. 50/2016)
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3.1 Con riferimento al primo motivo occorre premettere che l’art. 2 del Progetto di fattibilità, recante i criteri progettuali generali, prevede che “ogni impresa concorrente alla gara d’appalto può progettare, costruire e organizzare il centro cottura nella modalità più confacente alla propria metodologia di lavoro”, ma “attenendosi … alle specifiche tecniche dimensionali dei locali ad uso cucina centralizzata” e alla “condizione necessaria nella formulazione del progetto” del “rispetto di tutte le normative vigenti e delle indicazioni dettate dal progetto di fattibilità approvato dall’Amministrazione Comunale, da considerarsi, unitamente ai suoi allegati, parte integrante del presente Capitolato”.
A sua volta l’art. 8 prevede che “il Concessionario potrà, in sede di progetto-offerta, proporre soluzioni costruttive e funzionali conseguenti a scelte organizzative migliorative dei contenuti base del presente capitolato”.
In merito la giurisprudenza (Con. Stato, V, 12/05/2020 n. 2969) ha chiarito che “Nell’affrontare la questione dei margini di derogabilità o modificabilità delle previsioni tecniche contenute nella lex specialis la giurisprudenza ha posto in risalto che “è stato precisato (da ultimo Cons. Stato, sez. V, 03.05.2019, n. 2873) che ‘…in sede di gara d’appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall’Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante (…)’” (Cons. Stato, V, 08.10.2019, n. 6793; 17.01.2018, n. 269 e 270; VI, 19.06.2017, n. 2969; CGA, 30.04.2018, n. 251).
In tale prospettiva “le proposte migliorative consistono pertanto in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste” (Cons. Stato, n. 6793 del 2019, cit.; Id., V, 14.09.2018, n. 5388).
In definitiva, solo allorché la modifica progettuale sia ricompresa entro i margini di discrezionalità riconosciuti all’operatore, ovvero sia espressamente prevista dalla lex specialis, può essere legittimamente apportata dal concorrente; diversamente, si sarà in presenza d’una inammissibile difformità dalle previsioni di gara, con conseguente esclusione dell’offerta per integrato aliud pro alio.
A ciò si aggiunge che nella finanza di progetto su iniziativa pubblica a gara unica disciplinata dall’art. 183, commi da 1 a 14, del d.lgs. 50/2016 è previsto dal comma 3 che l'amministrazione aggiudicatrice ha la possibilità di richiedere al promotore prescelto, di cui al comma 10, lettera b), di apportare al progetto definitivo, da questi presentato, le modifiche eventualmente intervenute in fase di approvazione del progetto….., e che, in tal caso, la concessione è aggiudicata al promotore solo successivamente all'accettazione, da parte di quest'ultimo, delle modifiche progettuali nonché del conseguente eventuale adeguamento del piano economico-finanziario. Inoltre l’art. 183, comma 10, lettera c), del d.lgs. 50/2016 prevede che, in fase di approvazione del progetto definitivo presentato dal promotore, «è onere del promotore procedere alle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’approvazione del progetto, nonché a tutti gli adempimenti di legge anche ai fini della valutazione di impatto ambientale, senza che ciò comporti alcun compenso aggiuntivo, né incremento delle spese sostenute per la predisposizione delle offerte nel piano finanziario».
Dal quadro normativo relativo ai vari livelli della progettazione nella finanza di progetto ad iniziativa pubblica, si desume che nella fase di ammissione dei progetti alla gara, che è l’oggetto precipuo del presente ricorso, il controllo della commissione di gara dev’essere limitato ai profili di macroscopica differenza tra il progetto definitivo presentato ed il progetto di fattibilità, non potendo essa sostituirsi agli organi competenti all’approvazione del progetto ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. 50/2016.
Questi ultimi intervengono solo dopo la nomina del promotore, ai sensi dell’art. 183, c. 10, del d.lgs. 50/2016, mentre il compito della commissione di gara è quello di individuare l’offerta più vantaggiosa, secondo i criteri previsti dal bando di gara e gli aspetti relativi alla qualità del progetto definitivo presentato (in tal senso art. 183, c. 5, del d.lgs. 50/2016) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 24.07.2020 n. 1441 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Esclusione del concorrente per essersi avvalso dei requisiti di soggetto dichiarato fallito prima del termine di scadenza della presentazione delle offerte.
Il TAR Milano, a fronte di una contestazione volta a censurare l’ammissione della aggiudicataria per essersi avvalsa dei requisiti di altro soggetto dichiarato fallito prima del termine di scadenza della presentazione delle offerte, osserva che:
   ● «che, secondo un orientamento giurisprudenziale, poiché l’affittuario subentra nei rapporti attivi e passivi dell’impresa concedente, la responsabilità per fatto di soggetto giuridico terzo a cui soggiace il concorrente, trova risposta nel principio ubi commoda, ibi incommoda. Conseguentemente, chi si avvale dei requisiti di terzi sul piano della partecipazione a gare pubbliche, risente delle conseguenze, sullo stesso piano, delle eventuali responsabilità. Altro orientamento tende invece a valorizzare la disciplina del Codice dei Contratti pubblici (artt. 110 c .3 e 4 161) e della legge fallimentare (186-bis R.D. 16.03.1942, n. 267), nella parte in cui prevedono, a determinate condizioni, la possibilità che anche l’impresa soggetta a fallimento partecipi alle gare, ritenendo che, in mancanza di un’espressa disposizione, non sia possibile adottare un’interpretazione che estenda l’operatività dell’esclusione ad ipotesi non espressamente previste, in aderenza al principio di tassatività di cui all’art. 83, c. 8, del Codice dei Contratti. Anche quest’ultimo orientamento, richiede tuttavia che il concorrente fornisca la prova di una cesura tra le due gestioni, tale da dimostrare la sua completa disponibilità del compendio aziendale».
Il TAR ha quindi annullato l’ammissione della controinteressata alla procedura, atteso che nel caso di specie, la stazione appaltante non aveva proceduto ad effettuare alcuna verifica in merito, ciò che sarebbe stato invece necessario, considerato tra l’altro che le due società esercitavano attività identiche, i relativi amministratori avevano il medesimo cognome, e che la sentenza di fallimento ha evidenziato “reiterati inadempimenti al pagamento dei tributi”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.07.2020 n. 1416 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
II.2) Osserva il Collegio che, secondo un orientamento giurisprudenziale, poiché l’affittuario subentra nei rapporti attivi e passivi dell’impresa concedente, la responsabilità per fatto di soggetto giuridico terzo a cui soggiace il concorrente, trova risposta nel principio ubi commoda, ibi incommoda.
Conseguentemente, chi si avvale dei requisiti di terzi sul piano della partecipazione a gare pubbliche, risente delle conseguenze, sullo stesso piano, delle eventuali responsabilità (C.S., Sez. V, 05.11.2014, n. 5470, Sez. III, 12.12.2018, n. 7022).
Altro orientamento tende invece a valorizzare la disciplina del Codice dei Contratti pubblici (artt. 110, c .3 e 4, 161) e della legge fallimentare (186-bis R.D. 16.03.1942, n. 267), nella parte in cui prevedono, a determinate condizioni, la possibilità che anche l’impresa soggetta a fallimento partecipi alle gare, ritenendo che, in mancanza di un’espressa disposizione, non sia possibile adottare un’interpretazione che estenda l’operatività dell’esclusione ad ipotesi non espressamente previste, in aderenza al principio di tassatività di cui all’art. 83, c. 8, del Codice dei Contratti (TAR Campania, Sez. IV, 26.11.2019 n. 5585).
II.3) Anche quest’ultimo orientamento, richiede tuttavia che il concorrente fornisca la prova di una cesura tra le due gestioni, tale da dimostrare la sua completa disponibilità del compendio aziendale.
Nel caso di specie, la stazione appaltante non ha tuttavia proceduto ad effettuare alcuna verifica in merito, ciò che sarebbe stato invece necessario, considerato tra l’altro che le due società esercitano attività identiche, i relativi amministratori hanno il medesimo cognome, e che la sentenza di fallimento ha evidenziato “reiterati inadempimenti al pagamento dei tributi”, pari a circa 280.000 euro, di cui 41.000 già iscritti a ruolo.
La stessa controinteressata dà atto di come la giurisprudenza amministrativa abbia escluso i concorrenti in considerazione della continuità imprenditoriale tra affittante ed affittuario, “allorquando tra le due entità non risultassero intercorrere né una reale ed effettiva cesura, né chiari fenomeni di dissociazione”, affermando che “nel caso di specie non esiste nessuna contiguità tra affittante ed affittuario”, ciò che tuttavia non è stato minimamente accertato da parte della stazione appaltante.
Secondo quest’ultima, “manca nel ricorso il benché minimo principio di prova in ordine alla sussistenza di un’effettiva continuità imprenditoriale dal punto di vista soggettivo tra l’affittante e l’affittuaria partecipante alla gara, che possa giustificare una sanzione espulsiva per condotte ascrivibili all’affittante”, ciò che tuttavia avrebbe dovuto essere accertato dalla stazione appaltante, in sede procedimentale (v. C.S., Sez. V, n. 5470/2014 cit.), secondo cui la continuità imprenditoriale tra l'affittuario e l'affittante risulta insita in re ipsa nello stesso trasferimento della disponibilità economica di una parte dell'azienda ad altra impresa, giuridicamente qualificabile come affitto, ad eccezione della sola ipotesi in cui il cessionario abbia fornito la prova di una completa cesura tra le gestioni.
In conclusione, il ricorso principale va pertanto accolto, dovendosi conseguentemente annullare l’ammissione della controinteressata alla procedura, da cui consegue che il ricorso proposto con i motivi aggiunti, con cui l’istante ha censurato il giudizio di anomalia dell’offerta, conseguente all’aggiudicazione, diviene improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse.

APPALTICommissione giudicatrice – Adempimenti per la nomina.
Domanda
In una procedura di gara con offerta economicamente più vantaggiosa, per una corretta nomina della commissione giudicatrice è sufficiente che il Responsabile adotti il provvedimento di nomina, previa acquisizione dei soli curriculum, e successiva pubblicazione dei citati atti su Amministrazione trasparente, nella sezione Bandi – composizione della commissione giudicatrice e curricula, oppure occorre acquisire ulteriore documentazione?
Risposta
La nomina della commissione giudicatrice in una procedura di gara è possibile definirla come una fase dell’affidamento che richiede diversi adempimenti e verifiche. Piuttosto corpose
[1] sono le disposizioni che disciplinano la costituzione della commissione, così come numerose le pronunce giurisprudenziali sulla legittimità della nomina e sull’operato di questo collegio.
In attesa di un definitivo superamento, almeno si auspica, dell’art. 77, co. 3, del codice, che riguarda la scelta dei commissari fra gli esperti iscritti all’albo istituito presso ANAC (norma sospesa fino al 31.12.2020), al momento, ai sensi dell’art. 216, co. 12, del d.lgs. 50/2016, la commissione giudicatrice deve essere nominata dall’organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante.
Questa fase di individuazione dei commissari, non si esaurisce tuttavia nel solo provvedimento di costituzione e pubblicazione dei curricula, ma presuppone ulteriori diversi adempimenti che si differenziano a seconda che i commissari siano scelti all’interno della Stazione Appaltante, ovvero all’esterno della stessa, e in quest’ultimo caso distinguendo le ipotesi di soggetti dipendenti pubblici piuttosto che liberi professionisti/altro:
Si riportano di seguito i principali adempimenti che riguardano la nomina della Commissione giudicatrice:
   • richiesta di autorizzazione alla pubblica amministrazione di appartenenza nel caso di commissario esterno all’ente dipendente di una pubblica amministrazione;
   • acquisizione dichiarazione ex art. 53, co. 7 e 10, del d.lgs. 165/2001 della pubblica amministrazione di appartenenza nel caso di commissario esterno all’ente;
   • acquisizione dichiarazione ex art. 15, co. 1, del d.lgs. 33/2013 nel caso di commissario esterno NON dipendente di una pubblica amministrazione (tale dichiarazione deve essere trasmessa all’ufficio interno competente alla pubblicazione dei dati in Amministrazione trasparente, sotto-sezione collaboratori e consulenti, anche tramite il link ipertestuale del sistema PerlaPa)
   • acquisizione dei Curriculum da pubblicarsi in Amministrazione trasparente, sotto sezione Bandi di gara e contratti – composizione della commissione giudicatrice e curricula, nonché sul Sistema Contratti Pubblici del Ministero/Osservatorio regionale;
   • attestazione da parte del Responsabile che procede alla nomina dell’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni anche potenziali di conflitto di interesse ai sensi dell’art. 53, co. 14, del d.lgs. 165/2001 (da trasmettere all’ufficio interno competente alla pubblicazione dei dati in Amministrazione trasparente, sotto-sezione collaboratori e consulenti, anche tramite il link ipertestuale del sistema PerlaPa);
   • acquisizione dichiarazione inesistenza cause di esclusione di cui ai punti 3.1 e ss. delle linee guida n. 5, e cause di incompatibilità di cui ai cc. 4, 5 e 6 dell’art. 77, del d.lgs. 50/2016 e contestuale accettazione incarico, previa determinazione del compenso nel caso di commissario esterno;
   • acquisizione dichiarazione inesistenza cause di incompatibilità di cui al co. 6 dell’art. 77, del d.lgs. 50/2016 del segretario verbalizzante;
   • adozione del provvedimento di nomina della Commissione giudicatrice da pubblicarsi in Amministrazione trasparente, sotto sezione Bandi di gara e contratti – composizione della commissione giudicatrice e curricula, nonché sul Sistema Contratti Pubblici del Ministero/Osservatorio regionale;
   • verifica a campione delle dichiarazioni.
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[1] Regolamento interno della stazione appaltante; Linee guida ANAC n. 5 “Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici” (cfr. art. 1, co. 1. lett.. c) del d.l. n. 32/2019 convertito in L. 14.06.2019 n. 55 che sospende l’applicazione dell’art. 77, co. 3, relativo all’obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti iscritti all’Albo fino al 31.12.2020); D.M. 12.02.2018 “Determinazione della tariffa di iscrizione componenti delle commissioni giudicatrici e relativi compensi” (Annullato dal TAR Lazio, sez. I, sent. 31.05.2019 n. 6926); Linee guida ANAC n. 15 “Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici”; Delibera ANAC n. 25 del 15.01.2020 “Indicazioni per la gestione di situazioni di conflitto di interesse a carico dei componenti delle commissioni di gara per l’affidamento di contratti pubblici”; art. 15, co. 1, del d.lgs. 33/2013; art. 29 del d.lgs. 50/2016 (22.07.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIIn tema di false dichiarazioni rese dall'operatore economico nell'ambito delle gare di appalto, va precisato che il concetto di "falso", nell'ordinamento vigente, si desume dal codice penale, nel senso di attività o dichiarazione consapevolmente rivolta a fornire una rappresentazione non veritiera. Dunque, il falso non può essere meramente colposo, ma deve essere doloso.
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7. L’appello è infondato e non merita di essere accolto.
7.1. Quanto al valore dell’inadempimento dell’appellata in relazione al precedente contratto deve evidenziarsi come il giudice di prime cure abbia ritenuto correttamente trattarsi non di una grave inadempienza che avrebbe potuto portare alla risoluzione del contratto, ma al più ad una mancanza che avrebbe comportato l’applicazione di una penale.
Questa valutazione appare corretta alla luce dell’art. 15 del capitolato speciale d’appalto, secondo il quale per manchevolezze e deficienze nella qualità del servizio è facoltà dell’Amministrazione applicare una penale, che verrà quantificata dal Direttore dell’esecuzione del contratto, discrezionalmente ed insindacabilmente, in base alla gravità e alla durata dell’inadempienza, nonché ai disagi arrecati e/o all’entità delle conseguenze derivanti.
Lo stesso art. 15 nel determinare l’ammontare delle penali prevede espressamente alla lett. b): “una penale di € 2.000,00 cadauna per le prime due contestazioni formali, nel caso di mancata sostituzione di un operatore risultato non idoneo e adeguato al servizio…”.
La questione, peraltro, non risulta approfonditamente trattata dall’appellante, che pone l’accento sulla necessità di esclusione per la presunta falsità delle dichiarazioni rilasciate dall’appellata.
Ora, in disparte la questione relativa alla corretta indicazione della norma di riferimento sollevata dall’appellata, deve rilevarsi che la risposta fornita dall’appellata nella nota del 23.01.2019 non ha capacità di indurre in inganno la stazione appaltante, considerato che quanto dichiarato risponde al vero, ossia lo svolgimento del pregresso servizio avveniva con personale non formato in prevenzione incendi e primo soccorso e che una simile circostanza non risulta smentito fosse stato, sia pure erroneamente, condiviso con la stessa amministrazione. Quello che difetta in definitiva è quell’immutatio veri potenzialmente in grado di incidere sul processo decisionale della stazione appaltante, che aveva al contrario tutti gli elementi per valutare se l’adempimento da parte dell’appellata fosse corretto o meno. Da qui si desume come non si sia in presenza di una “falsa dichiarazione”.
Del resto questo Consiglio (Cons. St., 12.05.2020, n. 2976) ha già avuto modo di precisare che: “In tema di false dichiarazioni rese dall'operatore economico nell'ambito delle gare di appalto, va precisato che il concetto di "falso", nell'ordinamento vigente, si desume dal codice penale, nel senso di attività o dichiarazione consapevolmente rivolta a fornire una rappresentazione non veritiera. Dunque, il falso non può essere meramente colposo, ma deve essere doloso.”.
Nella fattispecie non può a tal riguardo ritenersi irrilevante il comportamento serbato dalla stessa amministrazione, che ha avvalorato nel corso dell’esecuzione del contratto quanto rappresentato dall’appellata.
La pronuncia di prime cure, nella misura in cui la stessa risulta contestata in secondo grado, merita, pertanto, merita conferma per ciò che concerne la reiezione del ricorso incidentale (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 21.07.2020 n. 4660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDivieto di offerte in aumento nelle gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Offerte in aumento - Aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa - Art. 59, comma 4, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 – Divieto.
Nelle gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa principio del divieto delle offerte in aumento trova espressa previsione nella disposizione dell’art. 59, comma 4, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, con la quale il legislatore ha recepito l’orientamento della giurisprudenza che aveva affermato, sotto il vigore del precedente testo del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, la sussistenza, in via implicita, del predetto divieto (1).
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   (1) Cons. Stato, sez. III, 29.05.2017, n. 2542.
La Sezione ha chiarito che l’art. 59, d.lgs. n. 50 del 2016 in parola non va tuttavia interpretato in modo formale ed isolato, ma in modo sostanziale e sistematico, tenendo conto della peculiarità del caso concreto (ossia delle caratteristiche della gara e del criterio di aggiudicazione prescelto).
Nell’art. 59 l’espressione “offerte” è declinata al plurale, anziché al singolare (come in altre previsioni del codice), il che lascia intendere come essa si riferisca non solo al “prezzo” della complessiva offerta della prestazione oggetto di gara, ma altresì ai “prezzi” posti “a base di gara” delle singole prestazioni di cui si compone l’appalto secondo le valutazioni espresse dall’amministrazione nell’esercizio della propria autonomia negoziale.
La portata dell’art. 59 va inoltre definita alla luce dei principi di imparzialità dell’azione amministrativa e di tutela della par condicio dei concorrenti che, in virtù dell’influenza del diritto europeo, devono essere garantiti in via prioritaria nelle procedure ad evidenza pubblica.
Le gare che prevedono il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa si risolvono nella scelta dell’offerta che si presenta come la migliore sotto il profilo tecnico e che, al contempo, si contraddistingue per offrire il prezzo più basso. Tale criterio di scelta realizza una doppia competizione tra gli operatori sia sotto profilo tecnico che economico, con una preponderante prevalenza per la componente tecnica poiché il punteggio complessivo da attribuire all’offerta deve prevedere “un tetto massimo per il punteggio economico entro il limite del 30 per cento”.
Come ricordato, i criteri di aggiudicazione “garantiscono la possibilità di una concorrenza effettiva” e la stazione appaltante, “al fine di assicurare l'effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo […] individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici” (art. 95, commi 1 e 10-bis, d.lgs. n. 50 del 2016).
La stazione appaltante è, pertanto, chiamata ad individuare prima e applicare dopo i criteri di aggiudicazione in modo coerente con il fine di garantire un “confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici” dell’offerta. In questo contesto, l’importo a base d’asta gioca un ruolo fondamentale per il regolare svolgimento del “confronto concorrenziale sui profili tecnici” poiché esso fissa il limite estremo al di sopra del quale non è possibile offrire e quindi, specularmente, fissa il limite all’interno del quale dovrà svolgersi la competizione in relazione alla componente tecnica.
Una volta stabilita la soglia massima di offerta per una data prestazione o servizio (ossia il prezzo che l’amministrazione è disposta a corrispondere), i concorrenti sono consapevoli che non saranno presi in considerazione in relazione a quella specifica prestazione o servizio (che in senso generico possono essere definiti “prodotti”) offerte che presentano un costo superiore a quello di soglia massima. La previa fissazione di una soglia massima di offerta impone allora agli operatori di calibrare le proprie offerte tecniche in relazione al costo economico che dovranno sostenere per i “prodotti” da offrire e che sarà poi remunerato dalla stazione appaltante a seguito dell’aggiudicazione.
Proprio nelle gare da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, dove la componente tecnica assume un peso relativo maggiore rispetto a quella economica, il valore tecnico del “prodotto” è strettamente parametrato al prezzo offerto. Il rigoroso rispetto della soglia massima di offerta, che l’amministrazione può decidere di porre “a base di gara”, consente che il confronto concorrenziale si svolga in modo effettivo ed imparziale; diversamente, il superamento della soglia si risolve nella inesorabile violazione del principio di imparzialità e di tutela della par condicio, alterando di fatto il confronto concorrenziale “sui profili tecnici” dell’offerta oppure favorendo comportamenti opportunistici dei concorrenti che potrebbero fare affidamento su condotte amministrative non rispettose degli auto-vincoli posti in gara oppure ancora agevolando comportamenti ondivaghi della commissione esaminatrice destinati a refluire in esiti difformi tra loro.
In questo caso, il concorrente che -eludendo le disposizioni di gara- riesce ad offrire un “prodotto” superiore dal punto di vista tecnico, verrà di fatto avvantaggiato dalla commissione in sede di valutazione della componente tecnica, ricevendo così, per questa componente, un punteggio superiore a scapito degli operatori rispettosi della legge di gara.
Il mancato rispetto della soglia massima di offerta consentirà, infatti, al concorrente di mettere a disposizione della stazione appaltante un “prodotto” ad un prezzo superiore alla soglia e quindi verosimilmente un “prodotto” superiore (anche) dal punto di vista tecnico rispetto ad un omologo “prodotto” che, avendo un costo inferiore, è obiettivamente posizionato in un segmento di mercato meno performante (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 20.07.2020 n. 8462 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: Il principio di equivalenza delle specifiche tecniche applicabile indipendentemente dalle previsioni della lex specialis.
A
llorché le offerte devono recare per la loro idoneità elementi corrispondenti a specifiche tecniche, il legislatore ha inteso introdurre il criterio dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi deve essere una conformità formale ma sostanziale con le specifiche tecniche, in modo che le stesse vengano comunque soddisfatte, con la conseguenza che, in attuazione del principio comunitario della massima concorrenza –finalizzata a che la ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente non debba comportare ostacoli non giustificati da reali esigenze tecniche–, i concorrenti possono sempre dimostrare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto e che il riferimento negli atti di gara a specifiche certificazioni o caratteristiche tecniche non consente alla stazione appaltante di escludere un concorrente respingendo l’offerta che possieda una certificazione equivalente o rechi caratteristiche tecniche perfettamente corrispondenti allo specifico standard voluto.
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Il principio di equivalenza trova applicazione indipendentemente da espressi richiami nella lex specialis di gara, vertendosi in tal caso in una delle ipotesi di eterointegrazione di quest’ultima da parte della normativa primaria, considerato che l’art. 68 del Codice dei contratti pubblici rappresenta una norma a generale attitudine imperativa.
Corollario del procedimento di eterointegrazione è l’assenza di un onere di immediata impugnazione del bando in capo all’operatore che intende beneficiarne, visto che, nel caso in cui la Stazione appaltante ometta di inserire nella disciplina di gara un contenuto previsto come obbligatorio dall’ordinamento giuridico, soccorre al riguardo il suddetto meccanismo di integrazione automatica
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.07.2020 n. 1386 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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3. Quanto alla parte del ricorso riferita all’impugnazione delle risultanze della gara riguardanti il lotto 10 (relativo alla fornitura di “artroprotesi primaria non cementata – conservazione di collo”), la stessa è fondata.
3.1. La ricorrente sostiene che la mancata attribuzione al prodotto dalla stessa offerto del punteggio legato al possesso di una certificazione equivalente al rating ODEP le avrebbe illegittimamente impedito il superamento –nel lotto 10– della soglia di sbarramento di 40 punti (si ipotizza, in caso contrario, l’attribuzione di almeno 60,50 punti da riparametrarsi).
L’ODEP è un database nel quale, su espressa richiesta dei produttori, vengono registrati e quindi certificati i dispositivi protesici che garantiscono un elevato livello qualitativo; la Stazione appaltante ha ritenuto che il possesso del rating ODEP fosse assolutamente rilevante, al punto da riconoscere per questo l’assegnazione della metà dei punti qualità (40 su 80 totali), da correlare altresì alla previsione di una soglia di sbarramento fissata a 40 punti, al di sotto della quale sarebbe stata impedita l’ammissione alla fase di apertura dell’offerta economica.
Peraltro, nell’ambito dei chiarimenti resi, la Stazione appaltante ha precisato che, con riguardo al rating ODEP, «L’OE può sempre far riferimento al principio di equivalenza come indicato all’art. 68 del DLgs 50/2016. Secondo quanto già precisato dal Capitolato tecnico, in tal caso, occorre addurre debite evidenze che supportino l’equivalenza tecnica proposta. In ogni caso è sempre in capo alla commissione accettare o rigettare detta equivalenza» (risposta al chiarimento 35: all. 13 al ricorso).
Tuttavia, in sede di valutazione delle offerte, la Commissione non ha affatto proceduto a verificare l’equivalenza del prodotto offerto dalla ricorrente rispetto a quelli muniti di rating ODEP, evidenziando che risulta «pacifico che la classificazione [ODEP] abbia un valore oggettivo. Laddove si considerasse la possibilità di equipollenza fra letteratura ed ODEP, la Commissione dovrebbe procedere con un esame soggettivo della letteratura per attribuire un punteggio tecnico, secondo un metodo “discrezionale” strettamente cucito sulla protesi del concorrente. Si tratterebbe così di un esame parziale dei dati scientifici rispetto alla più complessa analisi che ODEP conduce. La valutazione peraltro non passerebbe attraverso un preciso standard o una precisa tabulazione di fattori operata al pari per tutte le protesi, ma sarebbe operata solo in relazione alla protesi offerta. In conclusione, la Commissione per confermare l’equivalenza della letteratura ad ODEP dovrebbe operare una valutazione analoga a quella che ODEP fa dei dati scientifici per inserire una protesi nei propri registri. La Commissione ritiene improbabile ed impossibile procedere con una siffatta valutazione in quanto –come detto- potrebbe operare solo una analisi strettamente soggettivata, non disponendo della tabulazione predefinita rispetto alla quale pesare i dati messi a disposizione dal concorrente. Si tratterebbe dunque di una valutazione non solidamente strutturata per validare la vita e la durata di un impianto. Dunque, si ritiene impossibile che ODEP sia surrogabile dalla letteratura» (verbale n. 9: all. 7 al ricorso).
Il rifiuto della Commissione di procedere alla verifica di equivalenza, prescindendo dalla letteratura e dagli elementi offerti dalla ricorrente al fine di supportare il predetto giudizio di equivalenza (per il lotto 10, all. 14 al ricorso), si pone in diretta violazione dell’art. 68 del D.Lgs. n. 50 del 2016, che garantisce agli operatori economici la possibilità di dimostrare, nel corso della procedura, l’equivalenza del prodotto offerto rispetto ad un altro munito di specifiche caratteristiche tecniche o di certificazioni.
In tal senso, la giurisprudenza ha evidenziato che, «allorché le offerte devono recare per la loro idoneità elementi corrispondenti a specifiche tecniche, il legislatore ha inteso introdurre il criterio dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi deve essere una conformità formale ma sostanziale con le specifiche tecniche, in modo che le stesse vengano comunque soddisfatte, con la conseguenza che, in attuazione del principio comunitario della massima concorrenza –finalizzata a che la ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente non debba comportare ostacoli non giustificati da reali esigenze tecniche–, i concorrenti possono sempre dimostrare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto e che il riferimento negli atti di gara a specifiche certificazioni o caratteristiche tecniche non consente alla stazione appaltante di escludere un concorrente respingendo l’offerta che possieda una certificazione equivalente o rechi caratteristiche tecniche perfettamente corrispondenti allo specifico standard voluto (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. III, 28.06.2019 n. 4459)» (TAR Lombardia, Milano, II, 16.09.2019, n. 1991; con riguardo al rating ODEP, anche 30.09.2019, n. 2058).
Va, da ultimo, sottolineato come il principio di equivalenza trovi applicazione indipendentemente da espressi richiami nella lex specialis di gara, vertendosi in tal caso in una delle ipotesi di eterointegrazione di quest’ultima da parte della normativa primaria, considerato che l’art. 68 del Codice dei contratti pubblici rappresenta una norma a generale attitudine imperativa (in tal senso, Consiglio di Stato, III, 18.09.2019, n. 6212; 27.11.2018, n. 6721; TAR Lombardia, Milano, II, 23.10.2019, n. 2215); corollario del procedimento di eterointegrazione è l’assenza di un onere di immediata impugnazione del bando in capo all’operatore che intende beneficiarne, visto che, nel caso in cui la Stazione appaltante ometta di inserire nella disciplina di gara un contenuto previsto come obbligatorio dall’ordinamento giuridico, soccorre al riguardo il suddetto meccanismo di integrazione automatica (Consiglio di Stato, III, 18.07.2017, n. 3541).
3.2. A ciò consegue l’illegittimità dell’esclusione della ricorrente Ad.Or. dalla procedura relativa al lotto 10 (“artroprotesi primaria non cementata – conservazione di collo”), in quanto la Commissione non ha proceduto alla valutazione dell’equivalenza del prodotto offerto dalla stessa rispetto ai prodotti muniti del rating ODEP.
3.3. In conseguenza di ciò, la Stazione appaltante, per il tramite di una Commissione in diversa composizione –al fine di garantire il rispetto del principio di imparzialità e la par condicio tra i concorrenti (cfr. C.G.A.R.S., 18.09.2019, n. 823; Consiglio di Stato, III, 15.11.2018, n. 6439; TAR Lombardia, Milano, II, 28.02.2020, n. 399)–, dovrà provvedere a vagliare l’asserita equivalenza del prodotto offerto dalla ricorrente nel lotto 10, sulla base della documentazione che quest’ultima ha prodotto in sede di gara, e ad assumere le conseguenti determinazioni.
La parziale rinnovazione della procedura selettiva soddisfa pienamente la pretesa della ricorrente ed esonera il Collegio dal provvedere sulla domanda di “dichiarazione di inefficacia della Convenzione di Accordo quadro e degli appalti specifici medio tempore stipulati”, giacché –al di fuori delle ipotesi di violazioni più gravi in materia di aggiudicazione degli appalti contemplate dall’art. 121 cod. proc. amm.– è consentito al giudice disporre l’inefficacia del contratto stipulato all’esito di un procedimento illegittimo “nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara” (art. 122 cod. proc. amm.), nell’assunto per cui, se l’accertamento dell’oggettiva illegittimità determina il travolgimento (totale o parziale) della procedura di gara e il conseguente obbligo di rinnovarne le fasi, non si porrà neppure in via di principio la questione se consentire il subentro da parte del ricorrente vittorioso, la cui posizione in gara potrebbe essere comunque compromessa dal travolgimento della gara (o di una sua fase), non consentendo il subentro (Consiglio di Stato, V, 21.08.2017, n. 4050).

APPALTIPubblicità legale e amministrazione trasparente.
Domanda
Per il raggiungimento delle finalità previste dalla pubblicità legale di bandi o avvisi è sufficiente pubblicare nella sezione “Amministrazione trasparente” ed in particolare nelle varie sotto-sezioni individuate in base alla tipologia di prestazione?
Risposta
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 14.03.2013 n. 33 “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazione”, ed in particolare dell’art. 37 si sono delineati due sistemi diversi di pubblicità in materia di contratti pubblici di appalti e concessioni. Uno che attiene agli obblighi di pubblicità legale, ed un altro legato al concetto di trasparenza quale strumento di controllo da parte dei cittadini sull’attività amministrativa e sull’utilizzo corretto delle risorse pubbliche, anche quale misura di prevenzione della corruzione.
Tale articolo va collegato con le disposizioni codicistiche e con il decreto del MIT del 02.12.2016 “Definizione degli indirizzi generali di pubblicazione degli avvisi e dei bandi di cui gara di cui agli artt. 70, 71 e 98 del d.lgs. 50/2016”, operazione non particolarmente semplice per il difetto di coordinamento di alcune disposizioni.
Nello specifico gli artt. 72, 73 e 98 del d.lgs. 50/2016 riguardano quella forma di pubblicità che possiamo definire indispensabile per la validità stessa delle procedure, essendo finalizzata a rendere le gare conoscibili e accessibili per l’attuazione di quell’imprescindibile principio comunitario in materia di appalti e concessioni, ossia la libera concorrenza.
Affinché tale forma di pubblicità produca gli ulteriori effetti giuridici che gli sono propri, e quindi in base al valore delle procedure, la decorrenza ad esempio dei termini per la partecipazione, nonché quelli relativi all’impugnazione dei bandi di gara e/o avvisi, si ritiene che gli stessi debbano essere pubblicati sul profilo committente, nella sezione dedicata, denominata Bandi di gara, direttamente raggiungibile dalla home page, con funzione appunto di albo on-line (cfr. art. 4 del d.P.C.M. del 26.04.2011 “Pubblicazione nei siti web di atti e provvedimenti su procedure ad evidenza pubblica o di bilanci”).
Il richiamo al profilo committente, come sezione diversa rispetto all’Amministrazione trasparente, di cui ovviamente si consiglia un link di collegamento per evidenti ragioni di semplificazione, sembra ricavarsi anche da una lettura combinata degli artt. 73, co. 4, 36, co. 9, del d.lgs. 50/2016, art. 2, co. 1 del D.M. 02.12.2016.
In “Amministrazione trasparente” vengono poi pubblicate sia le informazioni in formato tabellare di cui all’art. 1, co. 32, della l. 190/2012, nonché tutte quelle previste dallo stesso codice dei contratti ed in particolare dall’art. 29, come specificate nella delibera ANAC n. 1310 del 28.12.2016 “Prime linee guida recanti indicazione sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato da d.lgs. 97/2016”. Elenco che richiama anche la pubblicazione di bandi, avvisi ed esiti, seppur per finalità diverse.
Probabilmente la volontà del legislatore era quella di attribuire all’“Amministrazione trasparente” la doppia funzione di pubblicità legale e di informazione generale, tanto che molte amministrazioni hanno eliminato la sezione dedicata di cui al sopra citato d.P.C.M. 26.04.2011.
Tuttavia, in assenza di un chiarimento a livello prudenziale si consiglia di mantenere separate le due sezioni prevedendo nell’home page sia quella denominata “Bandi di gara” ove pubblicare tutti i bandi, gli avvisi e gli esiti, con un link diretto all’“Amministrazione trasparente” e alle varie sotto-sezioni di riferimento (15.07.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIPrincipio di invarianza della soglia di anomalia delle offerte e delle medie delle procedure.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerte anomale – Principio di invarianza della soglia di anomalia e delle medie delle procedure – Concorrente soggetto a riserva di verifica dei requisiti – Inapplicabilità.
Il principio d’invarianza della soglia di anomalia delle offerte e delle medie delle procedure, sancito dall’art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50 del 2016 non trova applicazione con riferimento ad assetti non definitivi, soggetti a riserva di verifica dei requisiti da parte delle stazioni appaltanti (1).
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   (1) Ha chiarito il Tar che il principio d’invarianza della soglia di anomalia delle offerte e delle medie delle procedure, sancito dall’art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50 del 2016 (secondo cui ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte) è inteso a salvaguardare e rendere prioritario l’interesse delle amministrazioni alla continuità degli assetti giuridico/economici da esse stesse costituiti, quale espressione del principio di efficienza dell’azione pubblica, con l’escludere che mutamenti nella compagine concorrenziale delle procedure di appalto possano rimettere in discussione paradigmi definiti e consolidati dalla chiusura di alcuna delle fasi di gara, con riguardo alla determinazione della soglia di anomalia o al calcolo delle medie per i punteggi attribuiti alle offerte.
Ma per le stesse logiche deve essere escluso che detto principio trovi applicazione con riferimento ad assetti non definitivi, soggetti a riserva di verifica dei requisiti da parte delle stazioni appaltanti.
Come nelle fattispecie di aggiudicazione provvisoria, laddove la gara non è definitivamente conclusa e la definitiva aggiudicazione è subordinata all’accertamento dei requisiti dichiarati dalle imprese concorrenti sia per l’ammissione in gara che per le offerte. In queste circostanze non sono apprezzabili interessi delle stazioni appaltanti alla continuità delle scelte operate, le quali sono per volontà delle stesse amministrazioni soggette alla riserva delle verifiche.
Consegue che sia la soglia di anomalia che le medie possono, e debbono, essere rimodulate all’esito degli accertamenti compiuti qualora conclusi dall’esclusione della compagine imprenditoriale aggiudicataria in via provvisoria, per accertata assenza di requisiti soggettivi o dell’offerta (TAR Lazio-Latina, sentenza 13.07.2020 n. 269 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITUREImputazione a bilancio delle fatture per conguaglio di utenze: il recente parere della corte dei conti valdostana.
Domanda
A fine maggio ho ricevuto alcune fatture per conguagli delle utenze di luce e acqua relative al 2019. Non avendo conservato alcun residuo passivo a consuntivo, è possibile impegnarle sul 2020?
Risposta
Il tema posto dal lettore si presenta con una certa frequenza agli uffici finanziari e agli uffici tecnici dei comuni e meriterebbe un più ampio approfondimento. Molto spesso le fatture a conguaglio delle utenze pervengono nell’anno successivo a quello di riferimento. Come comportarsi allora?
Su di esso le sezioni regionali della Corte dei conti sono intervenute più volte in passato. Di recente lo ha fatto la sezione Valle d’Aosta con il parere 24.04.2020 n. 4 in risposta ad un quesito posto dal comune di Saint-Vincent.
Il quesito posto atteneva a fatture relative a consumi dell’anno 2019 per le quali non è stato possibile assumere il relativo impegno di spesa nel corso dell’anno passato. Va evidenziato che in esso non si precisava se le fatture fossero state emesse nel 2020 o nel 2019. La sezione regionale afferma che quelle per utenze sono il tipico esempio di spese a carattere continuativo, per le quali la somma da pagare non è determinata, bensì solo genericamente determinabile a priori.
Il relativo impegno di spesa è pertanto inevitabilmente presunto. Qualora poi, nel corso dell’esercizio emergano maggiori somme dovute rispetto a quelle impegnate, l’ordinamento contabile prevede appositi strumenti di copertura, quali la variazione di bilancio (art. 175 TUEL) o il prelevamento dal fondo di riserva (artt. 166 e 176 TUEL), di competenza, rispettivamente, dell’organo consiliare e dell’organo esecutivo dell’ente locale.
Per la sezione valdostana siamo in presenza di un debito fuori bilancio riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL. Diversamente, sostiene la Corte, verrebbe disatteso il principio per il quale gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste il previo impegno contabile, registrato sul competente programma del bilancio di previsione e la relativa attestazione di copertura finanziaria.
Il bilancio di previsione è triennale ed autorizzatorio e, come tale costituisce “(…) limite, partitamente per ciascuno degli esercizi considerati, ai relativi impegni e pagamenti (…)”. Non è possibile, conclude la Corte, “(…) allocare le maggiori somme maturate nel corso dell’esercizio finanziario di competenza su impegni di spesa relativi a programmi di bilancio di anni successivi (…)”.
Il parere sopra illustrato è tranchant e non lascia dubbi, né alternative. Esso si pone però in netto contrasto con un parere reso nel 2015 dalla sezione Lombardia a fronte di analogo quesito. Con proprio parere 23.02.2015 n. 82 essa era giunta a conclusioni diametralmente opposte e ben più condivisibili.
Dopo un’interessante disamina degli strumenti del ‘debito fuori bilancio’ e delle ‘passività pregresse’, nonché delle distinte nozioni di ‘competenza finanziaria’ e di ‘competenza economica’ che, afferma la Corte, “(…) tendono a disallinearsi, vale a dire [che] l’imputazione temporale di un costo è di norma diversa da quella che caratterizza l’esigibilità del credito da parte del creditore (…)”, giunge alle seguenti conclusioni: “(…) appare evidente che il debito in questione, relativo a conguagli per il consumo di energia elettrica in esercizi finanziari differenti, è per competenza finanziaria riferibile solo all’anno delle liquidazione degli importi; pertanto, l’imputazione al bilancio non può che avvenire nell’anno della comunicazione della fattura con la procedura ordinaria di spesa (art. 191 TUEL) mediante integrazione dell’impegno di spesa sino alla concorrenza del dovuto e, in caso di incapienza dei capitoli, mediante le necessarie variazioni di bilancio, sotto il controllo e il giudizio dell’organo deputato ad autorizzare e controllare la spesa, vale a dire il Consiglio comunale. Nel caso in cui, invece, al reperimento della fattura non sia seguito nello stesso anno regolare impegno e correlativa formazione di residui per gli anni successivi, esso costituirà debito fuori bilancio, riconoscibile nei termini e alle condizioni di cui all’art. 194 TUEL (…)”.
Concludendo, il recente parere della sezione valdostana appare essere assai più rigido di quello un po’ più datato, ma sicuramente più condivisile, della sezione lombarda. Ancora una volta, sarebbe auspicabile un orientamento univoco, che senz’altro darebbe maggiori certezze agli amministratori e ai funzionari degli enti locali (13.07.2020 - link a www.publika.it).

APPALTILa possibilità di formulare offerte integrative del progetto organizzativo a base d'asta è espressamente riconosciuta dall'art. 95, comma 14, lett. a), del d.lgs. 50/2016, il vigente Codice dei contratti pubblici, sicché, anche nel caso in cui le varianti non siano ammesse dalla lex specialis, è tuttavia da considerarsi comunque possibile per i partecipanti presentare proposte, soluzioni ovvero variazioni migliorative.
Al riguardo, il punctum dolens della questione richiede di delimitare esattamente la differenza tra le varianti ammissibili solo negli stretti limiti della disposizione richiamata e di quelle ad essa correlate, e i miglioramenti dell'offerta, sempre proponibili dai concorrenti.
In questo senso, in una gara d'appalto, costituiscono proposte migliorative le precisazioni, le integrazioni e gli adattamenti che siano elaborati allo scopo di rendere il progetto prescelto meglio rispondente alle esigenze proprie della Stazione appaltante, sempre che non vengano modificati ed alterati i caratteri essenziali delle prestazioni richieste, in quanto ciò implicherebbe una totale divergenza con radicale discostamento dall'oggetto della gara stessa.
Per distinguersi tra varianti (non consentite) e migliorie (consentite), il Consiglio di Stato ha chiarito che “…in sede di gara d'appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando di gara e l'individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia consentito”.
Ne consegue che “le proposte migliorative consistono pertanto in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell'opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
E’ stato anche precisato che “…la valutazione delle offerte tecniche come pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante costituisce espressione di un'ampia discrezionalità tecnica, con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da irragionevolezza manifesta”.
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2.1.- Giova premettere che, secondo affermata e condivisa giurisprudenza, la possibilità di formulare offerte integrative del progetto organizzativo a base d'asta è espressamente riconosciuta dall'art. 95, comma 14, lett. a), del d.lgs. 50/2016, il vigente Codice dei contratti pubblici, sicché, anche nel caso in cui le varianti non siano ammesse dalla lex specialis, è tuttavia da considerarsi comunque possibile per i partecipanti presentare proposte, soluzioni ovvero variazioni migliorative.
Al riguardo, il punctum dolens della questione richiede di delimitare esattamente la differenza tra le varianti ammissibili solo negli stretti limiti della disposizione richiamata e di quelle ad essa correlate, e i miglioramenti dell'offerta, sempre proponibili dai concorrenti.
In questo senso, in una gara d'appalto, costituiscono proposte migliorative le precisazioni, le integrazioni e gli adattamenti che siano elaborati allo scopo di rendere il progetto prescelto meglio rispondente alle esigenze proprie della Stazione appaltante, sempre che non vengano modificati ed alterati i caratteri essenziali delle prestazioni richieste, in quanto ciò implicherebbe una totale divergenza con radicale discostamento dall'oggetto della gara stessa (cfr. questa Sezione, 14.11.2019, n. 5366; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 22.05.2019, n. 146).
2.2.- Per distinguersi tra varianti (non consentite) e migliorie (consentite), il Consiglio di Stato ha chiarito che “…in sede di gara d'appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando di gara e l'individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia consentito” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 24.10.2013, n. 5160; Idem, 20.02.2014, n. 819; Idem, sez. VI, 19.06.2017, n. 2969; Idem, sez. III, 19.12.2017, n. 5967; Idem, sez. V, 18.02.2019, n. 1097; Idem, 15.01.2019, n. 374; per una disamina tra varianti migliorative e varianti non conformi al progetto posto a base di gara cfr: Cons. di Stato, V, 26.10.2018, n. 6121; sulla non fattibilità tecnica della soluzione progettuale dell'offerente a causa della previsioni di varianti non consentite: Cons. di Stato, V, 18.03.2019, n. 1749).
2.3.- Ne consegue che “le proposte migliorative consistono pertanto in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell'opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
E’ stato anche precisato che “…la valutazione delle offerte tecniche come pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante costituisce espressione di un'ampia discrezionalità tecnica (Cons. Stato, sez. V, 14.05.2018, n. 2853), con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da irragionevolezza manifesta (Cons. Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072; 14.11.2017, n. 5258)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 10.07.2020 n. 3006 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa possibilità di formulare offerte integrative del progetto organizzativo a base d'asta è espressamente riconosciuta dall'art. 95, comma 14, lett. a), del d.lgs. 50/2016, il vigente Codice dei contratti pubblici, sicché, anche nel caso in cui le varianti non siano ammesse dalla lex specialis, è tuttavia da considerarsi comunque possibile per i partecipanti presentare proposte, soluzioni ovvero variazioni migliorative.
Al riguardo, il punctum dolens della questione richiede di delimitare esattamente la differenza tra le varianti ammissibili solo negli stretti limiti della disposizione richiamata e di quelle ad essa correlate, e i miglioramenti dell'offerta, sempre proponibili dai concorrenti.
In questo senso, in una gara d'appalto, costituiscono proposte migliorative le precisazioni, le integrazioni e gli adattamenti che siano elaborati allo scopo di rendere il progetto prescelto meglio rispondente alle esigenze proprie della Stazione appaltante, sempre che non vengano modificati ed alterati i caratteri essenziali delle prestazioni richieste, in quanto ciò implicherebbe una totale divergenza con radicale discostamento dall'oggetto della gara stessa.
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Per distinguersi tra varianti (non consentite) e migliorie (consentite), il Consiglio di Stato ha chiarito che “…in sede di gara d'appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando di gara e l'individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia consentito”.
Ne consegue che “le proposte migliorative consistono pertanto in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell'opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
E’ stato anche precisato che “…la valutazione delle offerte tecniche come pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante costituisce espressione di un'ampia discrezionalità tecnica, con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da irragionevolezza manifesta”.
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2.1.- Giova premettere che, secondo affermata e condivisa giurisprudenza, la possibilità di formulare offerte integrative del progetto organizzativo a base d'asta è espressamente riconosciuta dall'art. 95, comma 14, lett. a), del d.lgs. 50/2016, il vigente Codice dei contratti pubblici, sicché, anche nel caso in cui le varianti non siano ammesse dalla lex specialis, è tuttavia da considerarsi comunque possibile per i partecipanti presentare proposte, soluzioni ovvero variazioni migliorative.
Al riguardo, il punctum dolens della questione richiede di delimitare esattamente la differenza tra le varianti ammissibili solo negli stretti limiti della disposizione richiamata e di quelle ad essa correlate, e i miglioramenti dell'offerta, sempre proponibili dai concorrenti.
In questo senso, in una gara d'appalto, costituiscono proposte migliorative le precisazioni, le integrazioni e gli adattamenti che siano elaborati allo scopo di rendere il progetto prescelto meglio rispondente alle esigenze proprie della Stazione appaltante, sempre che non vengano modificati ed alterati i caratteri essenziali delle prestazioni richieste, in quanto ciò implicherebbe una totale divergenza con radicale discostamento dall'oggetto della gara stessa (cfr. questa Sezione, 14.11.2019, n. 5366; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 22.05.2019, n. 146).
2.2.- Per distinguersi tra varianti (non consentite) e migliorie (consentite), il Consiglio di Stato ha chiarito che “…in sede di gara d'appalto e allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando di gara e l'individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia consentito” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 24.10.2013, n. 5160; Idem, 20.02.2014, n. 819; Idem, sez. VI, 19.06.2017, n. 2969; Idem, sez. III, 19.12.2017, n. 5967; Idem, sez. V, 18.02.2019, n. 1097; Idem, 15.01.2019, n. 374; per una disamina tra varianti migliorative e varianti non conformi al progetto posto a base di gara cfr: Cons. di Stato, V, 26.10.2018, n. 6121; sulla non fattibilità tecnica della soluzione progettuale dell'offerente a causa della previsioni di varianti non consentite: Cons. di Stato, V, 18.03.2019, n. 1749).
2.3.- Ne consegue che “le proposte migliorative consistono pertanto in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell'opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste”.
E’ stato anche precisato che “…la valutazione delle offerte tecniche come pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante costituisce espressione di un'ampia discrezionalità tecnica (Cons. Stato, sez. V, 14.05.2018, n. 2853), con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da irragionevolezza manifesta (Cons. Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072; 14.11.2017, n. 5258)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 10.07.2020 n. 3006  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In linea di principio, la valutazione delle offerte nonché l'attribuzione dei punteggi da parte della commissione giudicatrice rientrano nell'ampia discrezionalità tecnica riconosciutale, tale per cui, fatto salvo il limite dell’abnormità della scelta tecnica, di norma sono inammissibili le censure che toccano il merito di valutazioni per loro natura opinabili, perché sollecitano il giudice amministrativo ad esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei casi tassativi sanciti dall'art. 134 c.p.a..
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5.- Infondato è il terzo motivo.
It.Ap. in sostanza riformula la censura relativa al criterio C1 in considerazione del fatto che l’aggiudicataria Tr.To. avrebbe presentato un’offerta tecnica redatta da un architetto, a suo avviso, soggetto privo delle specifiche competenze, così non potendo conseguire il punteggio attribuito dalla Commissione.
Contrariamente agli assunti della ricorrente principale, dalla relazione tecnica, depositata ali atti della causa, si evince la correttezza dell’offerta proposta da Tr.To. e si individuano le ragioni che hanno indotto la Commissione giudicatrice ad attribuire alla stessa quel punteggio, stante l’apprezzamento delle migliorie.
D’altronde, la ricorrente It.Ap. non sostiene in definitiva che la proposta di Tr.To. costituirebbe una variante non consentita ovvero che il progetto proposto sarebbe irrealizzabile, quanto piuttosto si sofferma su soluzioni nella stessa presenti le quali, a suo avviso, avrebbero peggiorato il progetto quanto meno per il profilo della sicurezza pubblica, non essendo supportato da adeguati approfondimenti da parte di tecnico abilitato.
In realtà, per le ragioni sopra ampiamente illustrate, le modifiche proposte da Tr.To. intervengono su inconvenienti, non insormontabili, presenti nel progetto esecutivo della Stazione appaltante ed ai quali l’aggiudicataria ha ovviato col ricorso a soluzioni migliorative e di adattamento. Tali soluzioni sono state valutate positivamente dalla Commissione di gara secondo parametri di discrezionalità tecnica non sindacabili in questa sede, in quanto supportati da logicità e ragionevolezza.
Sul punto è utile richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza, secondo cui, in linea di principio, la valutazione delle offerte nonché l'attribuzione dei punteggi da parte della commissione giudicatrice rientrano nell'ampia discrezionalità tecnica riconosciutale, tale per cui, fatto salvo il limite dell’abnormità della scelta tecnica, di norma sono inammissibili le censure che toccano il merito di valutazioni per loro natura opinabili, perché sollecitano il giudice amministrativo ad esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei casi tassativi sanciti dall'art. 134 c.p.a. (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 10.07.2019, n. 4865)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 10.07.2020 n. 3006  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICompetenza ad escludere dalla gara qualora la stazione appaltante sia un organismo di diritto pubblico avente la forma della società per azioni.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara - Stazione appaltante - Organismo di diritto pubblico avente la forma della società per azioni – Competenza – Individuazione.
Ai sensi dell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, sussiste in capo alla “stazione appaltante” la competenza ad adottare il provvedimento di esclusione dell’operatore economico” (1).
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   (1) Ha precisato la Sezione che qualora la “stazione appaltante” sia un organismo di diritto pubblico avente la forma della società per azioni, la competenza all’adozione del provvedimento di esclusione dalla gara sussiste, oltre che in capo al Rup, anche in capo all’organo della stazione appaltante che, istituzionalmente, assume la posizione apicale.
Sia in base ai principi del diritto societario (qualora la stazione appaltante sia una società per azioni) sia in base ai principi del diritto amministrativo (in caso di organismo di diritto pubblico, altrimenti non sarebbe tenuta al rispetto delle norme sull’evidenza pubblica) competente ad esternare la volontà dell’ente è l’organo di vertice, ossia l’amministratore delegato-organo apicale dell’ente (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.07.2020 n. 4401 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
11.2. Il terzo motivo dell’originario ricorso di primo grado è infondato.
11.2.1. Alla luce della documentazione versata in atti, si evince, infatti, che il R.U.P. ha proceduto ad istruire e disporre l’esclusione della ricorrente in prime cure e che l’amministratore delegato della So. s.p.a. ha solo esternato la volontà dell’ente in conformità alla disciplina di settore.
11.2.2. Invero, ai sensi dell’art. 31, co. 3, del d.lgs. n. 50 del 2016: “Il RUP, ai sensi della legge 07.08.1990, n. 241, svolge tutti i compiti relativi alle procedure di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione previste dal presente codice, che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti”.
Il dato normativo, che pure potrebbe indurre, ad una prima lettura, all’accoglimento della censura, dispone, in realtà, in senso contrario all’accoglimento della tesi difensiva ad essa sottesa.
La norma invero attribuisce al R.U.P. lo svolgimento dei “compiti”, rimarcando dunque il ruolo centrale - di ausilio istruttorio e non solo - che l’organo in questione riveste nell’ambito delle procedure di gara.
11.2.3. Com’è stato recentemente chiarito da un precedente di questo Consiglio “l’art. 31, comma 5, d.lgs. n. 50 cit. riconosce, infatti, la competenza generale del R.u.p. a svolgere tutti i compiti (id est, ad adottare tutti gli atti della procedura)…”, evidenziando, dunque, la possibilità che questi non compia soltanto operazioni di carattere materiale, ma svolga anche attività giuridica esternata in veri e propri atti (Cons. Stato, Sez. V, 12.02.2020 n. 1104).
Tuttavia, proprio il precedente richiamato, dopo aver ricordato che “è stata ritenuta la competenza del R.u.p. all’adozione del provvedimento di esclusione dalla procedura di gara degli operatori economici (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13.09.2018, n. 5371; III, 19.06.2017, n. 2983; V, 06.05.2015, n. 2274; V, 21.11.2014, n. 5760)”, da parte del giudice amministrativo, ha altresì evidenziato che, sul piano del diritto positivo, con riferimento al provvedimento di esclusione dalla procedura, l’art. 80 applicabile al caso da decidere “individua nella “stazione appaltante” il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento di esclusione dell’operatore economico”.
Ebbene, il riferimento alla “stazione appaltante”, contemplata dalla norma nella sua “unitarietà” (non venendo indicato puntualmente questo o quell’organo) consente di affermare che non contrasti con l’orientamento sopra richiamato ravvisare la competenza all’esternazione dell’atto scrutinato anche in capo all’organo della stazione appaltante che, istituzionalmente, assume la posizione apicale.
Sia in base ai principi del diritto societario (So. è, per l’appunto, una società per azioni) sia in base ai principi del diritto amministrativo (So. è qualificabile come organismo di diritto pubblico, altrimenti non sarebbe tenuta al rispetto delle norme sull’evidenza pubblica) competente ad esprimere ed esternare la volontà dell’ente è l’organo di vertice, ossia l’amministratore delegato-organo apicale dell’ente, cosicché il precetto dell’art. 80, che imputa la decisione sull’esclusione dei partecipanti alla gara “alla stazione appaltante” può dirsi pienamente rispettato.
11.2.4. La soluzione proposta, peraltro, non contrasta con il su richiamato orientamento, poiché esso si riferisce, specificamente, alla diversa questione della competenza all’adozione del provvedimento di esclusione fra R.U.P., quale organo ordinario della stazione appaltante con competenza estesa e residuale su tutti gli aspetti della gara, e commissione giudicatrice, quale organo straordinario e deputata ad un’attività di giudizio “consistente nella” e “limitata alla” “valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico in qualità di organo straordinario e temporaneo della stazione appaltante con funzioni istruttorie” e, quindi, a specifici compiti, non certo di rappresentanza dell’ente.
11.2.5. In definitiva, il suesposto motivo di ricorso deve essere respinto.

APPALTIIn tema di margine di utile e fissazione di soglie nella legge speciale di gara.
Domanda
Nella predisposizione di alcuni appalti di servizi, come RUP, mi sto ponendo la questione sul margine di utile spesso oggetto di contestazione che in passato ha determinato frequenti richieste di accesso dei vari concorrenti.
A questo punto, volevo capire se nella legge speciale di gara (nelle lettere di invito, per essere più chiaro), potevo inserire un margine minimo di utile e se ciò sia corretto.
Risposta
La questione del margine dell’utile, evidentemente, rappresenta uno degli aspetti più delicati nella analisi/scomposizione dell’offerta soprattutto, poi, in fase di verifica della potenziale anomalia considerato che i vari concorrenti (ed in particolare quelli ben posizionati nella gradutatoria finale) possono presentare richieste di accesso agli atti per verificare la “credibilità/congruità/sostenibilità” della proposta tecnico/economica dell’aggiudicatario.
Venendo poi alla possibilità (o meno) del RUP di prevedere già in fase di gara una percentuale di utile minimo indispensabile (che le varie proposte economiche già debbano assicurare), pare di poter esprimere immediatamente un parere negativo: non è possibile procedere con la fissazione formale dell’utile minimo.
Però, a corredo, occorre fare un ulteriore ragionamento. E’ chiaro che nel momento in cui il RUP procede con la “costruzione” della base d’asta, un margine di utile deve pur prevederlo o meglio deve prevedere, al netto dei vari costi, un minimo di margine di utilità per chi partecipa alla gara visto che non sono nè serie né ammissibili partecipazione in perdita. Anzi, queste sono sicuramente da respingere visto l’insidia costituita dall’ottenimento di prestazioni assolutamente inaccettabili da parte della stazione appaltante (prestazioni scadenti sotto vari profili).
Quindi, se nella costruzione della base d’asta il RUP deve tener conto di un vantaggio economico (che costituisce anche incentivo a partecipare alla competizione), è altrettanto vero che non può porre dei limiti visto che la partecipazione può essere utile ed opportuna all’appaltatore anche per il curriculum derivante dalla partecipazione alla competizione.
Tale considerazione è stata di recente ribadita dal Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza del 25.06.2020 n. 4090 in relazione alla dinamiche che il RUP deve presidiare nella verifica della congruità dell’offerta.
Il giudice di Palazzo Spada, ossequiando l’orientamento consolidato, ha evidenziato che secondo le stabili indicazioni giurisprudenziali (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 269 del 17.01.2018), “al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico”.
Paradossalmente un limite generico può essere individuato nell’utile pari a zero: circostanza questa che solleciterà l’adeguata verifica di congruità fermo restando che solo l’aggiudicazione di offerta in perdita deve essere considerata assolutamente patologica ed in quanto tale inaccettabile (08.07.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Contenuto del contratto di avvalimento.
Secondo l’art. 89 del d.lgs. 50/2016 “il concorrente allega, altresì, alla domanda di partecipazione in originale o copia autentica il contratto in virtù del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto. A tal fine, il contratto di avvalimento contiene, a pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione dall'impresa ausiliaria”.
Con tale norma il Codice dei Contratti ha introdotto una forma di nullità di protezione dei requisiti di ‘forma-contenuto’ del contratto di avvalimento, che invece mancava nella disciplina precedente, la quale si limitava a presidiare il principio di determinabilità del contenuto del contratto di avvalimento, affermando che il contratto di avvalimento debba riportare “in modo compiuto, esplicito ed esauriente (…) le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico” (v. art. 88 del d.P.R. 207 del 2010).
Tale norma viene quindi a definire in modo specifico l’oggetto del contratto di avvalimento che consiste nei requisiti forniti e nelle risorse messe a disposizione dall'impresa ausiliaria
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 06.07.2020 n. 1288 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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Al fine di addivenire alla corretta interpretazione del contratto, occorre precisare che secondo l’art. 89 del d.lgs. 50/2016 “il concorrente allega, altresì, alla domanda di partecipazione in originale o copia autentica il contratto in virtù del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto. A tal fine, il contratto di avvalimento contiene, a pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione dall'impresa ausiliaria”.
Con tale norma il Codice dei Contratti ha introdotto una forma di nullità di protezione dei requisiti di ‘forma-contenuto’ del contratto di avvalimento, che invece mancava nella disciplina precedente, la quale si limitava a presidiare il principio di determinabilità del contenuto del contratto di avvalimento, affermando che il contratto di avvalimento debba riportare “in modo compiuto, esplicito ed esauriente (…) le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico” (v. art. 88 del d.P.R. 207 del 2010).
Tale norma viene quindi a definire in modo specifico l’oggetto del contratto di avvalimento che consiste nei requisiti forniti e nelle risorse messe a disposizione dall'impresa ausiliaria.
Venendo al contratto di avvalimento oggetto del giudizio, ad una prima indicazione generica dell’oggetto, contenuta nel punto 1), il contratto di avvalimento fa seguire una indicazione specifica dei requisiti prestati dall’ausiliaria che limita l’oggetto dell’avvalimento ad un Direttore Tecnico e relativo Know How aziendale che, alla luce della nuova norma, costituisce l’oggetto specifico del contratto.
Né, d’altro canto, potrebbe ritenersi che la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione abbia un valore meramente esemplificativo, prevalendo, come nell’interpretazione dell’amministrazione, la clausola generale che prevede il prestito di “tutte le risorse relative, nessuna esclusa, tali da consentire la regolare e completa esecuzione dell’appalto”.
Se infatti la clausola generale prevalesse sull’indicazione delle risorse messe a disposizione dall'impresa ausiliaria si finirebbe per rendere indeterminato il contenuto del contratto e privare di qualsiasi significato l’obbligo di specificazione previsto dalla norma. Così facendo in sostanza la specificazione produrrebbe l’unico effetto di limitare il controllo della stazione appaltante sull’effettività del prestito di attività e/o di mezzi di un’impresa in favore dell’altra e lascerebbe nell’incertezza l’individuazione dei reali confini dell’avvalimento.
Passando ora alla valutazione in merito all’adeguatezza dei requisiti prestati, occorre rammentare che, con riguardo alla possibilità per l’operatore economico di ricorrere all’istituto dell’avvalimento per sopperire alla mancanza della certificazione di qualità richiesta ai fini della partecipazione alle gare, la giurisprudenza ne ha confermato l’ammissibilità, inquadrandolo nell’ambito dell’avvalimento operativo e valorizzandolo in presenza di una serie di condizioni.
Infatti, sebbene formalmente il prestito della certificazione di qualità costituisca un requisito generale di partecipazione alla gara, tale certificazione attesta un requisito tecnico–professionale attinente all’organizzazione che connota l’avvalimento in senso operativo e non invece di garanzia. Così, con riferimento all’avvalimento della certificazione di qualità, la giurisprudenza della V Sezione del Consiglio di Stato ha evidenziato (cfr. 27/07/2017, n. 3710) che, quando oggetto dell'avvalimento è la certificazione di qualità di cui la concorrente è priva, occorre, ai fini dell'idoneità del contratto, che l'ausiliaria metta a disposizione dell'ausiliata l'intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse, che, complessivamente considerata, le ha consentito di acquisire la certificazione di qualità da mettere a disposizione (così 23.02.2017, n. 852; nonché 12.05.2017, n. 2225, con considerazioni riferite al prestito dell'attestazione S.O.A., che valgono a maggior ragione per il prestito della certificazione di qualità) (così da ultimo Cons. Stato, V, 08/10/2018 n. 5765; idem 17/05/2018 n. 2953).
Venendo al caso di specie, sebbene il sindacato del giudice amministrativo in merito all’adeguatezza delle risorse prestate con il contratto di avvalimento sia sicuramente limitato ad un controllo estrinseco, trattandosi di un giudizio che ha per oggetto la discrezionalità tecnica dell’amministrazione, occorre riconoscere che il prestito di un Direttore Tecnico, qualunque sia la sua competenza, e relativo Know How aziendale, non soddisfa all’evidenza il requisito dell’adeguatezza del prestito dei requisiti, in quanto del tutto scisso dai fattori della produzione e da tutte le risorse, che, complessivamente considerate, hanno consentito all’ausiliaria di acquisire la certificazione di qualità da mettere a disposizione dell’ausiliata.
Ne deriva l’invalidità del contratto di avvalimento e l’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento degli atti impugnati.

APPALTILa Plenaria interviene sul tema del dies a quo per la impugnazione degli atti di gara.
La Adunanza plenaria del Consiglio di Stato risolve diversi quesiti interpretativi, a loro tempo formulati dalla quinta sezione, diretti a chiarire la disciplina della decorrenza dei termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione e degli atti di gara nel c.d. rito appalti.
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Giustizia amministrativa – Appalti – Impugnazione degli atti di gara – Dies a quo –Pubblicazione sul profilo del committente – Comunicazione d’ufficio – Comunicazione su richiesta – Accesso agli atti.
L’Adunanza Plenaria afferma i seguenti principi di diritto:
   “a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
   b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri, consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un ricorso principale;
   c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la ‘dilazione temporale’ quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
   d) la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione;
   e) sono idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati” (1).

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   (1) I. – L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato interviene sul delicato tema del dies a quo per la impugnazione di atti di procedure di gara sottoposte al c.d. “rito appalti“, in particolare si sofferma sul termine per impugnare l’atto finale della procedura di gara (aggiudicazione).
Due sono i principi che spesso entrano in conflitto per la risoluzione di una siffatta problematica: da un lato la speditezza e la celerità delle procedure di evidenza pubblica; dall’altro lato l’effettività e la pienezza della tutela giurisdizionale.
Il Consiglio di Stato, nel privilegiare la tesi sostanzialista in base alla quale per impugnare un atto bisogna prima conoscerne il contenuto minimo: da un lato prende atto che i meccanismi informativi e di conoscibilità del decreto legislativo n. 50 del 2016 sono in realtà mutati rispetto a quelli del decreto legislativo n. 163 del 2006; dall’altro lato cerca di dare un nuovo assetto alla configurazione del momento –o meglio dei diversi “momenti”– in cui scatta un siffatto onere impugnatorio.
   II. – I fatti posti alla base della decisione possono essere così riassunti:
      a) il G.S.E. (Gestore dei servizi energetici) avviava una procedura di gara per l’aggiudicazione del servizio di pulizia presso gli uffici del proprio gruppo societario.
In esito alla procedura stessa, la seconda classificata proponeva ricorso in quanto la aggiudicataria del servizio non avrebbe avuto diritto alla attribuzione di due ulteriori punti, con riguardo al punteggio dell’offerta tecnica, per il criterio di valutazione concernente la “rumorosità degli aspirapolveri” (il suddetto punteggio aggiuntivo era previsto per attrezzature con potenza sonora inferiore a 60 decibel, laddove il prodotto offerto dalla controinteressata avrebbe avuto al contrario una potenza di 70 decibel).
Il ricorso veniva dichiarato irricevibile in primo grado in quanto l’atto di aggiudicazione sarebbe stato pubblicato sul profilo del committente in data 29.10.2018, per essere poi comunicato via PEC alla ricorrente in data 06.11.2018 e da quest’ultima impugnato il 06.12.2018.
Il Tar per il Lazio reputava in altre parole che il termine di 30 giorni per l’impugnazione decorresse, nel caso di specie, dal momento della pubblicazione dell’atto di aggiudicazione sul profilo del committente (29.10.2018) e non dalla comunicazione individuale del medesimo provvedimento (06.11.2018);
      b) investito dell’appello, il Consiglio di Stato (sez. V, ordinanza 02.04.2020, n. 2215, oggetto della News US n. 48 del 15.04.2020 ed alla quale si rinvia per ogni approfondimento in dottrina e in giurisprudenza) ha deferito i seguenti quesiti alla Adunanza plenaria:
         b1) se il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
         b2) se le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da considerare patologica –con le ovvie conseguenze anche ai soli fini di eventuali responsabilità erariale– della omessa o incompleta pubblicazione prevista dal già citato articolo 29;
         b3) se la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia giammai idonea a far slittare il termine per la impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, che decorre dalla pubblicazione ex art. 29 ovvero negli altri casi patologici dalla comunicazione ex art. 76, e legittima soltanto la eventuale proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se essa comporti la dilazione temporale almeno con particolare riferimento al caso in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero dalle giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
         b4) se dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex art. 78 del d.lgs. n. 50 del 2016) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi (di conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
         b5) se in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016 debba considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde;
         b6) se idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione debbano considerare quelle forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla procedura di gara.
   III. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria, dopo aver ricostruito la vicenda processuale, ha osservato quanto segue:
      c) sulla corretta individuazione del dies a quo per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione si confrontano due tesi: un primo tradizionale orientamento (formalista) che si basa sulla conoscenza degli elementi essenziali del provvedimento (avvenuta aggiudicazione e nominativo aggiudicatario); un secondo più recente orientamento (sostanzialista) che si incentra invece sulla nozione di comunicazione completa ed esaustiva dell’aggiudicazione, contenente ossia –quanto meno– le ragioni di preferenza e le caratteristiche fondamentali dell’offerta del soggetto aggiudicatario. Ciò allo scopo di poter esercitare consapevolmente un’azione giurisdizionale;
      d) la sentenza in rassegna sembra propendere per questa seconda tesi (sostanzialista) basata sulla conoscenza o meglio sulla conoscibilità dei potenziali vizi. Non basta infatti il mero “sacrificio” (mancata aggiudicazione dell’appalto, che può ben avvenire iure) ma serve anche una prospettiva di “lesione” della sfera soggettiva dell’interessato. Ciò anche allo scopo di controbilanciare il breve termine di 30 giorni per impugnare gli atti di gara.
Di qui l’esigenza di acquisire un quid minimum informativo, ossia una “relazione sintetica dei motivi pertinenti” posti alla base del provvedimento lesivo, prima di poter decidere se avviare o meno una iniziativa giurisdizionale si questo tipo.
Occorre in altre parole una certa conoscenza circa le possibili violazioni della normativa sugli appalti prima di intraprendere un ricorso giurisdizionale;
      e) una simile impostazione è andata via via affermandosi anche per il deciso indirizzo che la giurisprudenza eurounitaria ha progressivamente impresso, in questa stessa direzione, sulla base dei principi qui sinteticamente riportati:
         e1) la fissazione di brevi e perentori termini di ricorso consentono di realizzare l’obiettivo di celerità perseguito dalla direttiva 89/665;
         e2) la direttiva 89/665/CEE (c.d. Direttiva Ricorsi) esige che il termine per proporre un ricorso in materia di aggiudicazione di appalti pubblici “decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della violazione stessa” (principio di effettività della tutela giurisdizionale);
         e3) ed infatti: “Solamente dopo essere venuto a conoscenza dei motivi per i quali è stato escluso dalla procedura di aggiudicazione di un appalto, il candidato o l'offerente interessato potrà formarsi un'idea precisa in ordine all'eventuale esistenza di una violazione delle disposizioni in materia di appalti pubblici e sull'opportunità di proporre ricorso";
         e4) i provvedimenti impugnati debbono dunque essere “accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell'Unione dagli stessi lamentata”;
         e5) qualora le disposizioni nazionali non si attengano a tale principio, “il giudice nazionale sarebbe tenuto a disapplicarle, al fine di applicare integralmente il diritto comunitario e di proteggere i diritti che questo attribuisce ai singoli”;
         e6) in questa direzione, il giudice stesso dovrebbe provvedere a prorogare il termine di impugnazione (proroga iussu iudicis del termine di impugnazione);
         e7) la possibilità di proporre motivi aggiunti “non costituisce sempre un’alternativa valida di tutela valida effettiva”. Ciò in quanto gli offerenti sarebbero in tal caso “costretti a impugnare in abstracto la decisione di aggiudicazione dell'appalto, senza conoscere, in quel momento, i motivi che giustificano tale ricorso”.
Aggiunge l’Adunanza plenaria, a tale specifico riguardo, che il ricorso originario “al buio” conterrebbe tra l’altro, proprio in questa direzione, motivi generici costantemente suscettibili di inammissibilità ai sensi dell’art. 40, comma 1, lettera c), c.p.a.;
         e8) va al riguardo precisato che: i principi sub lettere e1) ed e4) sono contenuti nell’ordinanza 14.02.2019, sez. IV, in causa C–54/18, Cooperativa Animazione Valdocco (in Foro it., 2019, IV, 431, con nota di CONDORELLI; Urbanistica e appalti, 2019, 175, con nota di GROSSI; Giur. it., 2019, 1168, con nota di GALLO; Rass. avv. Stato, 2018, fasc. 4, 27; Riv. giur. edilizia, 2019, I, 276: Riv. giur. edilizia, 2019, I, 485, con nota di TAGLIANETTI; Foro amm., 2019, 187; nonché oggetto della News US, n. 26 del 25.02.2019), adottata in materia di rito super accelerato, poi frutto di abrogazione per mano del decreto-legge n. 32 del 2019.
Si vedano al riguardo le considerazioni C.E. GALLO, Rito superspeciale nei contratti pubblici - La compatibilità europea del rito superspeciale in materia di contratti pubblici, in Giur. It., 2019, 5, 1168, cit. Secondo l’autore tale decisione potrà in ogni caso avere “effetti dirompenti”, per quanto attiene all’orientamento sostanzialista, anche sul resto dell’ordinamento.
I principi sub lettere e2), e3), e5) ed e6) sono in particolare contenuti nella sentenza 28.01.2010, sez. III, in causa C-406/08, Uniplex, cit. La “relazione sintetica dei motivi pertinenti”, dopotutto, è prevista proprio dall’art. 2-quater della direttiva 89/665/CE. Il principio di cui alla lettera e7) è specificamente contenuto nella sentenza 08.05.2014, sez. V, in causa C-161/13, Idrodinamica Spurgo (in www.curia.europa.eu, 2014; Giurisdiz. amm., 2013, ant., 961; Urbanistica e appalti, 2014, 1021, con nota di DE NICTOLIS; Nuovo notiziario giur., 2015, 205, con nota di BARBIERI);
         e9) la Corte di giustizia UE ha dunque nel tempo sposato la tesi per cui è essenziale conoscere i motivi della decisione onde poterne valutare, in concreto, il relativo contenuto.
Tali motivi debbono essere conosciuti prima della proposizione del ricorso proprio al fine di decidere, in radice, se proporre o meno lo stesso;
      f) su questa falsa riga si è così affermato l’orientamento della c.d. “dilazione temporale”. Decisivo, in questo senso, si è rivelato il ruolo dell’istituto dell’accesso semplificato ed accelerato di cui all’art. 79, comma 5-quater, ratione temporis vigente ed in base al quale l’interessato, una volta ricevuta la comunicazione di aggiudicazione in favore di altro offerente poteva avere accesso, nel termine massimo di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione stessa, a tutti gli atti della procedura di gara senza richiesta espressa e senza formalità.
A quel dato momento (dieci giorni dalla comunicazione) per effetto della predetta procedura di accesso semplificato ed accelerato si sarebbe dovuta infatti consolidare una certa “presunzione di conoscenza integrale” degli atti di gara, sì da poter far utilmente scattare il termine decadenziale di 30 giorni a tal fine prescritto. Pertanto, qualora la presunta violazione di disposizioni comunitarie e nazionali non sia direttamente percepibile dal contenuto della comunicazione d’ufficio ex art. 79, commi 2 e 5, del vecchio Codice dei contratti (disposizione, questa, ora trasfusa entro certi limiti nell’art. 76 nuovo Codice), il termine di 30 giorni dovrebbe essere incrementato di un numero di giorni pari a quelli necessari per avere accesso, su richiesta di parte, agli ulteriori atti della procedura secondo quanto previsto dal predetto art. 79, comma 5-quater. Di qui la nuova configurazione di un termine di decorrenza pari a complessivi 40 giorni (10 giorni per la “conoscenza integrale”, quanto meno presunta, degli atti di gara + 30 per la predisposizione del ricorso) a decorrere dalla comunicazione individuale d’ufficio ex art. 79, commi 2 e 5, del vecchio Codice dei contratti. Si trattava –evidenzia la plenaria– di un “articolato, ma consolidato, quadro normativo e giurisprudenziale”;
      g) quanto poi alle novità introdotte con il decreto legislativo n. 50 del 2016, la stessa Adunanza plenaria:
         g1) rileva un difetto di coordinamento tra il decreto legislativo n. 50 del 2016 e l’art. 120 c.p.a., il quale contiene ancora i riferimenti alle comunicazioni –ai fini del decorso del termine di impugnativa– di cui all’art. 79 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (vecchio codice dei contratti);
         g2) afferma che la “dilazione temporale”, come già del resto anticipato da parte della giurisprudenza, viene incrementata da 10 a 15 giorni (ossia il tempo necessario per acquisire ulteriore eventuale documentazione mediante accesso informale “su richiesta” ai sensi dell’art. 76, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016);
         g3) evidenzia in ogni caso come l’attuale art. 76, pur condividendo stessa materia, ratio e finalità (informazioni ai concorrenti) dell’art. 79 vecchio codice, denoti rispetto a quest’ultimo una portata precettiva di minore impatto.
Più in particolare:
− con riguardo alle comunicazioni “su istanza di parte”, l’art. 76 nuovo Codice non replica la disposizione contenuta nel comma 5-quater dell’art. 79 vecchio Codice (accesso semplificato ed accelerato);
− con riguardo alle comunicazioni “d’ufficio”, poi, mentre l’art. 79 (commi 2 e 5) prevedeva in automatico la disponibilità di caratteristiche e vantaggi dell’offerta selezionata (ossia ciò che ad oggi si può ottenere solo con la richiesta di parte ai sensi dell’art, 76, comma 2) ed in ogni caso, ossia in sostituzione di una relazione sui predetti vantaggi e caratteristiche dell’offerta, la disponibilità dei verbali della commissione di gara, con l’art. 76 le stesse comunicazioni d’ufficio (comma 5) prevedono soltanto la avvenuta aggiudicazione della commessa;
         g4) l’articolato ma consolidato quadro normativo e giurisprudenziale rischia dunque di essere indebolito dal nuovo sistema delineato dal codice del 2016;
         g5) dal minore bagaglio informativo di cui al vigente art. 76 scaturisce l’esigenza di dare maggiore importanza al momento della pubblicazione on-line (ossia sul “profilo del committente”) quale nuovo ed ulteriore dies a quo;
         g6) il venir meno del comma 5-quater dell’art. 79 (accesso semplificato ed accelerato) potrebbe ora essere comunque compensato attraverso il ricorso all’accesso informale di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 184 del 2006;
         g7) resta fermo che, dinanzi a persistenti comportamenti dilatori della PA circa la esibizione di tutta la documentazione di gara, il termine di decorrenza sarà soggetto ad inevitabili slittamenti (dilazione temporale);
      h) nel dare di fatto risposta positiva pressoché a tutti i quesiti formulati dalla sezione rimettente, la Adunanza plenaria propone nella sostanza un sistema “a gradini” in base al quale:
         h1) il primo dies a quo è costituito dalla generale pubblicazione on-line di tutti gli atti di gara (ivi ricompresi verbali della commissione di gara e valutazioni delle offerte da parte della commissione stessa). Importante risulterà la diligenza delle imprese nel controllare periodicamente tale pubblicazione, la quale dovrà in ogni caso costantemente riportare la data di pubblicazione;
         h2) un secondo dies a quo è poi rappresentato dalla comunicazione “d’ufficio” nonché “su richiesta” ai sensi dell’art. 76 del codice dei contratti. Qualora tali comunicazioni contengano informazioni ulteriori rispetto alla pubblicazione generale, ciò potrà dare luogo non solo a motivi aggiunti (non si specifica se in 15 o in 30 giorni) ma anche ad un ricorso principale, qualora dagli atti sino a quel momento pubblicati non emergano già possibili violazioni della normativa sugli appalti;
         h3) l’istituto dell’accesso agli atti (da esercitare anche in forma semplificata ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 184 del 2006) innesca un possibile terzo dies a quo, qualora in seguito alla relativa ostensione di ulteriori informazioni l’impresa non aggiudicataria venga a conoscenza di altri possibili vizi, in particolare di quelli derivanti dalla valutazione dell’offerta tecnica nonché dalle giustificazioni poste alla base del giudizio di anomalia dell’offerta stessa;
         h4) sono infine ammesse peculiari forme di comunicazione e di informazione individuate dal bando di gara (ed accettate dai concorrenti) quali mezzi idonei ad individuare ulteriori termini di decorrenza.
   IV. – Si segnala per completezza quanto segue:
      i) per comodità espositiva va riportata la normativa vigente la quale prevede, in particolare:
         i1) all’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016, nel fissare i principi di trasparenza cui devono essere improntate le procedure di affidamento degli appalti pubblici, che: “Tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l’affidamento di appalti di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessione, compresi quelli tra enti nell’ambito del settore pubblico di cui all’articolo 5, alla composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti ove non considerati riservati ai sensi dell’articolo 53 ovvero secretati ai sensi dell’articolo 162, devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione “Amministrazione trasparente”, con l’applicazione delle disposizioni di cui decreto legislativo 14.03.2013, n. 33”, aggiungendo che “Fatti salvi gli atti a cui si applica l’articolo 73, comma 5, i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente”;
         i2) all’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016 che: “Le stazioni appaltanti, nel rispetto delle specifiche modalità di pubblicazione stabilite dal presente codice, informano tempestivamente ciascun candidato e ciascun offerente delle decisioni adottate riguardo alla conclusione di un accordo quadro, all’aggiudicazione di un appalto o all’ammissione di un sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi dell’eventuale decisione di non concludere un accordo quadro o di non aggiudicare un appalto per il quale è stata indetta una gara o di riavviare la procedura o di non attuare un sistema dinamico di acquisizione”’, e al secondo comma: “Su richiesta scritta dell’offerente e del candidato interessato, l’amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta: a) ad ogni offerente, i motivi del rigetto della sua offerta, inclusi, per i casi di cui all’articolo 68, commi 7 e 8, i motivi della decisione di non equivalenza o della decisione secondo cui i lavori, le forniture o i servizi non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti funzionali; a-bis) ad ogni candidato escluso, i motivi del rigetto ella sua domanda di partecipazione; b) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o delle parti dell’accordo quadro; c) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, lo svolgimento e l’andamento delle negoziazioni e del dialogo con gli con gli offerenti”.
Il successivo comma 5 dispone che: “le stazioni appaltanti comunicano d’ufficio immediatamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni: a) l’aggiudicazione, all’aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione o sono in termini per presentare impugnazione, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera d’invito, se tali impugnazioni non siano state respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva; b) l’esclusione ai candidati e agli offerenti esclusi; c) la decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, a tutti i candidati; d) la data di stipula del contratto con l’aggiudicazione, ai soggetti di cui alla lettera a) del presente comma”.
Infine, il sesto comma 6 dell’articolo in esame precisa che: “Le comunicazioni di cui al comma 5 sono fatte mediante posta elettronica certificata o strumento analoga negli Stati membri. Le comunicazioni di cui al comma 5, lettera a) e b), indicano la data di scadenza del termine dilatorio per la stipulazione del contratto”;
         i3) all’art. 120, comma 5, c.p.a., che: “Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale e incidentale e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale, e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”;
         i4) il codice del 2016, a differenza di quello del 2006, prevede non solo l’obbligo generalizzato di pubblicazione sul profilo del committente di tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatari delle procedure di affidamento degli appalti pubblici, ma anche che, fatti salvi gli atti a cui si applica l’art. 73, comma 5, “i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente”;
      j) inopinatamente il legislatore non ha ancora coordinato e aggiornato la disciplina contenuta nell’art. 120 c.p.a. al nuovo codice dei contratti pubblici del 2016, ingenerando una situazione di grave confusione. Né l’art. 4, comma 4, dello schema di decreto-legge recante “Semplificazione del Sistema Italia” (Consiglio dei ministri del 07.07.2020), appositamente dedicato alle modifiche del citato art. 120 c.p.a., sembra recare alcunché a tale specifico riguardo;
      k) sulla decorrenza del termine per impugnare i provvedimenti delle procedure di affidamento di appalti pubblici si vedano:
         k1) da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 01.07.2020, n. 4225, secondo cui, qualora l’impresa terza classificata intenda sollevare vizi che, se accolti, finirebbero per travolgere l’intera procedura di gara con conseguente rinnovazione della medesima, il dies a quo scatta comunque dalla comunicazione di aggiudicazione.
Ed infatti, evidenzia il Consiglio di Stato: “In tal modo, ed è questo che maggiormente rileva nella fattispecie in esame, è stata riaffermata la giuridica rilevanza di interessi legittimi “eterogenei” nello svolgimento delle gare pubbliche di appalto, essendo stato ritenuto meritevole di tutela sia l’interesse legittimo “finale” ad ottenere l’aggiudicazione dell’appalto, sia l’interesse legittimo “strumentale” alla partecipazione ad un eventuale procedimento di gara rinnovato e ciò in quanto l’amministrazione aggiudicatrice potrebbe prendere la decisione di annullare gli atti del procedimento e di avviare un nuovo procedimento di affidamento dell’appalto”.
Ed ancora che: “Ne consegue … che la Te. s.r.l. avrebbe avuto in ogni caso interesse sin da subito a contestare l’aggiudicazione in favore della Un.Se. s.r.l. a tutela del suo interesse legittimo “strumentale” alla possibile rinnovazione della gara”;
         k2) in generale, sul rapporto con la regola della piena conoscenza dell’atto prevista dall’art. 41 c.p.a., si veda Cons. Stato, sez. III, 14.06.2017, n. 2925 (in Foro amm., 2017, 1227), secondo cui:
- “Nel processo amministrativo il termine per impugnare i provvedimenti adottati nelle procedure di affidamento di contratti pubblici decorre, in base alla regola generale fissata dall'art. 41 2° comma, c.p.a., dalla notificazione, comunicazione, o piena conoscenza dell'atto, e ciò anche in mancanza delle particolari forme di comunicazione di detti provvedimenti ai sensi dell'art. 79, d.leg. 12.04.2006, n. 163, perché tale circostanza non impedisce che la conoscenza degli stessi, cui comunque l'art. 120, c.p.a. fa riferimento testuale, sia acquisita con altre forme; in sostanza il cit. art. 120, 5° comma, cpa, non prevedendo forme di comunicazione esclusive e «tassative», non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, con riferimento alla possibilità che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita conforme diverse da quelle del cit. art. 79”;
         k3) nel senso che ai fini della decorrenza del termine sia necessario che l’interessato conosca gli elementi tecnici dell’offerta e gli atti di gara si vedano: Cons. giust. amm. reg. sic., 08.06.2017, n. 274 (in Foro amm., 2017, 1339), secondo cui “La decorrenza del termine di impugnazione dalla ricezione della comunicazione dell'aggiudicazione è una norma processuale, stabilita dall'art. 120, 5° comma, c.p.a., che nessuna legge di gara può disattendere, non essendo la materia nella disponibilità delle stazioni appaltanti, pertanto, una clausola del bando che prevedesse un diverso termine dovrebbe dichiararsi radicalmente nulla, per difetto assoluto di attribuzione, ai sensi dell’art. 21-septies della l. n. 241 del 1990”;
- Cons. Stato, sez. V, 27.04.2017, n. 1953 (in Foro amm., 2017, 845), secondo cui “Nelle gare pubbliche, ai sensi dell'art. 79, comma 5 e 5-bis, d.leg. 12.04.2006, n. 163, il termine per l'impugnativa avverso l'aggiudicazione non decorre prima che la comunicazione di questa sia fatta secondo le inderogabili forme del 5° comma bis, e cioè con il corredo della relativa motivazione, a sua volta espressa attraverso gli elementi di cui al 2° comma lett. c)”;
- Cons. Stato, sez. V, 13.02.2017, n. 592 (in Foro amm., 2017, 306; Appalti & Contratti, 2017, fasc. 3, 88), secondo cui “In base al combinato disposto dell'art. 79, 5º e 5º comma bis, d.leg. 12.04.2006 n. 163, nelle gare pubbliche il termine per l'impugnativa avverso l'aggiudicazione non decorre dalla comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione di cui al succitato 5º comma, lett. a), bensì dal momento in cui, ai sensi del successivo 5º comma bis, la stazione appaltante comunica in modo pieno la motivazione dell'aggiudicazione e, in particolare, gli elementi di cui al 2º comma, lett. c); ciò comporta che per un verso le concorrenti lese dall'aggiudicazione vengono onerate del compito di proporre impugnativa entro un termine particolarmente breve (pari ad appena trenta giorni) mentre per altro verso il termine a quo per l'impugnativa viene fatto decorrere dal momento in cui le stesse dispongono di informazioni adeguatamente dettagliate in ordine alle caratteristiche dell'offerta dell'aggiudicataria, e ciò all'evidente fine di evitare che le imprese, lese dall'aggiudicazione, si trovino in condizione di dover impugnare un provvedimento di aggiudicazione del quale non conoscano le caratteristiche effettive e in relazione al quale non siano in grado di articolare difese compiute”;
- Cons. Stato, sez. V, 23.11.2016, n. 4916 (in Appalti & Contratti, 2016, fasc. 12, 97); Cons. Stato, sez. V, 03.02.2016, n. 408 (in Foro amm., 2016, 309), secondo cui “In materia di appalti pubblici, ai sensi dell'art. 120, 5º comma, c.p.a., il ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione definitiva di regola deve essere proposto nel termine di trenta giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 79 d.leg. 12.04.2006 n. 163, accompagnata dal provvedimento e dalla relativa motivazione contenente almeno gli elementi di cui al 2º comma, lett. c), dello stesso art. 79; di conseguenza, nel caso di comunicazione incompleta, la conoscenza utile ai fini della decorrenza del termine, coincide con la cognizione, acquisita in sede di accesso, degli elementi oggetto della comunicazione dell'art. 79, senza che sia necessaria l'estrazione delle relative copie”;
         k4) sempre nel c.d. “rito appalti”, nel senso della decorrenza del termine per impugnare dalla comunicazione si veda Cons. Stato, sez. IV, 20.01.2015, n. 143 (in Foro it., 2015, III, 65, con nota di TRAVI, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti; Riv. neldiritto, 2015, 837, con nota di PINCINI; Riv. trim. appalti, 2015, 299, con nota di BARBIERI; Guida al dir., 2015, fasc. 7, 82, con nota di MASARACCHIA; Foro amm., 2015, 1935, con nota di PEIRONE; Giornale dir. amm., 2016, 78 (m), con nota di BARMANN), secondo cui, tra l’altro: “È tardivo il ricorso proposto contro l'aggiudicazione di un appalto, che si assume essere stata viziata da condotte penalmente rilevanti, se sia intervenuto dopo la decorrenza del termine di trenta giorni dall'aggiudicazione, e cioè solo nel momento in cui è stata data notizia delle indagini penali”.
La quarta sezione applica pedissequamente l’indirizzo secondo cui il termine per il ricorso decorre dalla c.d. piena conoscenza dell’atto impugnato e la conoscenza successiva del vizio dell’atto può solo giustificare la presentazione dei c.d. motivi aggiunti. Per un’analisi critica di questo indirizzo, cfr. RAIMONDI, La «piena conoscenza» ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, relazione al convegno «Il cittadino e la pubblica amministrazione» (Giornate di studi in onore di Guido Corso, Palermo 12-13.12.2014), che ha rilevato come le conclusioni della giurisprudenza siano incoerenti con la garanzia costituzionale del diritto d’azione e, nella misura in cui imporrebbero di proporre un ricorso «al buio», non fondato sulla possibilità di dedurre censure effettive, risultino in contrasto con altri principî basilari del processo amministrativo;
         k5) sulla decorrenza del termine in caso di accesso agli atti in relazione all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006 si vedano, tra le altre: Cons. Stato, 27.04.2017, n. 1953, cit.; Cons. Stato, sez. V, 13.02.2017, n. 592, cit.; Cons. Stato, sez. V, 23.02.2015, n. 864 (in Appalti & Contratti, 2015, fasc. 3, 76); Cons. Stato, sez. III, 28.08.2014, n. 4432 (in Appalti & Contratti, 2014, fasc. 9, 70), secondo cui “Va condiviso il principio interpretativo, sostenuto dal consiglio di stato, sez. VI, nell'ord. n. 790 dell'11.02.2013, secondo cui il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione, di cui al 2º e 5º comma dell'art. 79, d.leg. n. 163/2006, ma può essere «incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità (laddove questi non fossero oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione e -comunque- entro il limite dei dieci giorni che il richiamato 5º comma quater fissa per esperire la particolare forma di accesso -semplificato ed accelerato- ivi disciplinata»”;
         k6) sulla decorrenza del termine in caso di rifiuto della p.a. di consentire l’accesso, si vedano, tra le altre: Cons. Stato, sez. III, 21.03.2016, n. 1143 (in Foro amm., 2016, 560), secondo cui:
- “Nelle pubbliche gare d'appalto il c.d. termine breve per l'impugnazione degli atti e/o provvedimenti che non siano stati trasmessi unitamente alla comunicazione della decisione di aggiudicazione e che costituiscono oggetto dell'accesso (id est: degli atti non immediatamente conosciuti in occasione della comunicazione dell'intervenuta aggiudicazione) può essere incrementato, al massimo, di dieci giorni fermo restando che se la p.a. rifiuta illegittimamente di consentire l'accesso, il termine non inizia a decorrere, gli atti non visionati non si consolidano ed il potere di impugnare, dell'interessato pregiudicato da tale condotta amministrativa, non si consuma”;
- Cons. Stato, sez. V, 07.09.2015, n. 4144 (in Appalti & Contratti, 2015, fasc. 9, 72); Cons. Stato, sez. V, 06.05.2015, n. 2274 (in Guida al dir., 2015, fasc. 24, 86, con nota di MASARACCHIA), secondo cui: “Nella materia degli appalti pubblici, nel caso in cui il concorrente escluso proponga ricorso avverso il provvedimento di esclusione, egli è poi onerato di proporre il ricorso per motivi aggiunti (per denunciare vizi già maturati al tempo in cui l'atto in questione è stato adottato) entro l'ulteriore termine di trenta giorni che decorre dal momento in cui ha avuto piena conoscenza degli altri atti endoprocedimentali dai quali si possono desumere le ulteriori doglianze e comunque non oltre il termine di quaranta giorni dalla comunicazione del provvedimento di esclusione; quest'ultimo termine si ottiene sommando quello di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento di esclusione nel quale è consentito l'accesso semplificato e accelerato agli atti ai sensi dell'art. 79, 5º comma quater, d.leg. 163/2006, sempre che l'amministrazione ovviamente ottemperi tempestivamente all'istanza di accesso; analoga disciplina si applica, a fortiori, per l'ipotesi di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione”;
- Cons. Stato, sez. III, 07.01.2015, n. 25 (in Urbanistica e appalti, 2015, 1059, con nota di TIMO; Giur. it., 2015, 698, con nota di SCOCA; Ragiusan, 2015, fasc. 374, 95); Cons. Stato, sez. V, 13.03.2014, n. 1250 (in Foro amm., 2014, 818).
Sulla conferma di tale orientamento anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ritenendosi che il rinvio, tuttora contenuto nell’art. 120, comma 5, c.p.a., all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006 sia da intendersi, a seguito dell’abrogazione di quest’ultimo, al primo, si vedano: Cons. Stato, sez. V, 10.06.2019, n. 3879 (in Appalti & Contratti, 2019, fasc. 7, 66); Cons. Stato, sez. V, 27.11.2018, n. 6725 (in Foro amm., 2018, 1938);
         k7) sempre con riferimento al rapporto tra diritto di accesso e termine per impugnare gli atti della procedura di gara, con riferimento al codice del 2016 e, precisamente, nel senso che il diverso tenore letterale delle due disposizioni (art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006 e art. 76 d.lgs. n. 50 del 2016) comporti che la dilazione temporale debba essere ragionevolmente intesa in quindici giorni, termine previsto dall’art. 76, comma 2, per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato si vedano: Cons. Stato, sez. V, 20.09.2019, n. 6251 (in Guida al dir., 2019, fasc. 42, 98, con nota di PONTE; Comuni d'Italia, 2019, fasc. 9, 77; Gazzetta forense, 2019, 805), secondo cui:
- “Ai sensi dell'art. 120 c.p.a., ai fini della decorrenza del termine per impugnare gli atti di gara la stazione appaltante non è più obbligata, nella comunicazione d'ufficio dell'avvenuta aggiudicazione, a esporre le ragioni di preferenza dell'offerta aggiudicata, ovvero, in alternativa, ad allegare i verbali della procedura; tuttavia, il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione”;
- Cons. Stato, sez. V, 13.08.2019, n. 5717 (in Appalti & Contratti, 2019, fasc. 9, 82), secondo cui “Secondo i principi di effettività della tutela giurisdizionale, così come enucleati anche dalla giurisprudenza della corte di giustizia dell'Unione europea, qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente di consentire l'accesso (ovvero, in qualunque modo tenga una condotta di carattere dilatorio), il potere d'impugnare non si consuma con il decorso del termine di legge, ma è incrementato del numero di giorni necessari per poter acquisire i documenti stessi, così che il termine di trenta giorni per l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione, ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla comunicazione”;
         k8) sulla ampiezza del termine per impugnare ulteriori atti mediante motivi aggiunti si veda: Tar Puglia, Lecce, ordinanza, 02.03.2020, n. 297 (oggetto della News US, n. 30 del 16.03.2020 ed alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali), che ha sollevato q.l.c. dell’art. 120, comma 5, c.p.a., nella parte in cui fa decorrere, per il rito appalti, il termine di trenta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti dalla ricezione della comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 79 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, per contrasto con il diritto di difesa e con il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost. Alla citata News US si rinvia, in particolare: per l’analisi della dottrina al § d); per la giurisprudenza sulla decorrenza del termine per impugnare gli atti di gara della stazione appaltante anche in caso di proposizione di istanza di accesso al § e); per la giurisprudenza sulla decorrenza del termine per impugnare gli atti nel c.d. rito appalti e nel processo amministrativo in generale ai §§ f), g), h); per l’analisi della dottrina e della giurisprudenza sulla disciplina dei motivi aggiunti nel c.p.a. al § i).
Per una impostazione difforme da quella seguita nella rimessione in oggetto si veda, infine: R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni, Bologna, 2020, 2105 ss.;
         k9) sulla decorrenza del termine: in caso di invio della comunicazione al domicilio o all’indirizzo di posta elettronica indicato negli atti di gara (da intendersi come ragionevole presunzione non solo dell’avvenuta conoscenza da parte del destinatario di quegli atti e del loro contenuto, ma anche del fatto che tale conoscenza si sia verificata direttamente in capo alla parte e non al suo difensore) Cons. Stato, sez. V, 22.05.2015, n. 2570 (in Foro amm., 2015, 1418); sulla inidoneità, ai fini della decorrenza del termine, della pubblicazione della delibera di aggiudicazione all’albo pretorio, Cons. Stato, sez. V, 23.11.2016, n. 4916 (in Appalti & Contratti, 2016, fasc. 12, 97);
      l) nella giurisprudenza europea, sulla decorrenza del termine in relazione alla conoscenza o alla conoscibilità della violazione di disposizioni si veda, più in particolare:
         l1) Corte di giustizia UE, 14.02.2019, C-54/18, Soc. coop. animaz. Valdocco, cit. nonché oggetto della citata News US, n. 26 del 25.02.2019 (si veda spec. § o), secondo cui, tra l’altro:
- “La direttiva 89/665/Cee del consiglio, 21.12.1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2014/23/Ue del parlamento europeo e del consiglio, 26.02.2014, e in particolare i suoi art. 1 e 2-quater, letti alla luce dell'art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di trenta giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell'Unione dagli stessi lamentata”;
- “La direttiva 89/665/Cee, come modificata dalla direttiva 2014/23/Ue, e in particolare i suoi art. 1 e 2-quater, letti alla luce dell'art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che, in mancanza di ricorso contro i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione degli offerenti alla partecipazione alle procedure di appalto pubblico entro un termine di decadenza di trenta giorni dalla loro comunicazione, agli interessati sia preclusa la facoltà di eccepire l'illegittimità di tali provvedimenti nell'ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi, in particolare avverso le decisioni di aggiudicazione, purché tale decadenza sia opponibile ai suddetti interessati solo a condizione che essi siano venuti o potessero venire a conoscenza, tramite detta comunicazione, dell'illegittimità dagli stessi lamentata”;
         l2) Corte di giustizia UE, sez. V, 12.03.2015, C-538/13, eVigilio Ltd (in Urbanistica e appalti, 2015, 893, con nota di VIVANI; Guida al dir., 2015, fasc. 16, 92 (m), con nota di PONTE; Nuovo notiziario giur., 2016, 615, con nota di BARBIERI) secondo cui solo nel caso in cui il concorrente si sia trovato nella impossibilità di presentare un ricorso avverso le condizioni di gara perché queste ultime erano incomprensibili, gli è consentito di proporre ricorso nei termini perentori fissati per la impugnazione della aggiudicazione;
         l3) Corte di giustizia UE, 08.05.2014, C-161/13 (in Giurisdiz. amm., 2013, ant., 961; Urbanistica e appalti, 2014, 1021, con nota di DE NICTOLIS; Nuovo notiziario giur., 2015, 205, con nota di BARBIERI), secondo cui “Gli art. 1, par. 1 e 3, nonché 2-bis, par. 2, ultimo comma, direttiva 92/13/Cee del Consiglio, del 25.02.1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11.12.2007, devono essere interpretati nel senso che il termine per la proposizione di un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione di un appalto deve iniziare nuovamente a decorrere qualora sia intervenuta una nuova decisione dell'amministrazione aggiudicatrice, adottata dopo tale decisione di aggiudicazione ma prima della firma del contratto e che possa incidere sulla legittimità di detta decisione di attribuzione; tale termine inizia a decorrere dalla comunicazione agli offerenti della decisione successiva o, in assenza di detta comunicazione, dal momento in cui questi ultimi ne hanno avuto conoscenza; nel caso in cui un offerente abbia conoscenza, dopo la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, di un'irregolarità asseritamente commessa prima della decisione di aggiudicazione di un appalto, il diritto di ricorso contro tale decisione gli è garantito soltanto entro tale termine, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto, conformemente al diritto dell'Unione” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 02.07.2020 n. 12 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: Partecipazione alla gara di concorrente non produttore del bene oggetto della fornitura.
A fronte di una richiesta di esclusione da una gara per la violazione del disposto di cui all’art. 105, comma 1, del D.Lgs. n. 50 del 2016 (“I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice di norma eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto”), il TAR Milano ritiene la pretesa infondata, atteso che l’oggetto della procedura di gara è la fornitura di macchinari, risultando viceversa del tutto irrilevante, a tal fine, l’individuazione del soggetto che li fabbrica o li produce.
Precisa il TAR al riguardo che «secondo una condivisibile giurisprudenza, in assenza di una specifica clausola contenuta nel bando di gara, non può ritenersi illegittima l’ammissione alla gara di un concorrente non produttore di un bene oggetto della fornitura pubblica, né può ipotizzarsi la realizzazione di un sostanziale subappalto in favore del medesimo produttore da parte dell’aggiudicatario, considerato che è sufficiente che il partecipante abbia la materiale e giuridica disponibilità del prodotto, restando estraneo alle relative obbligazioni contrattuali il produttore dei beni»
(TAR Lombardia- Milano, Sez. II, sentenza 01.07.2020 n. 1266 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
Secondo la ricorrente, la circostanza che l’aggiudicataria non produca i beni oggetto della fornitura –ovvero le apparecchiature monomarca “EDS – CB Standard C3” per il controllo dei bagagli a mano dei passeggeri– avrebbe dovuto determinare l’esclusione della stessa dalla gara per la violazione del disposto di cui all’art. 105, comma 1, del D.Lgs. n. 50 del 2016 (“I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice di norma eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto”).
La pretesa appare del tutto infondata, atteso che l’oggetto della procedura di gara è la fornitura dei macchinari richiesti, risultando viceversa del tutto irrilevante, a tal fine, l’individuazione del soggetto che li fabbrica o li produce.
Difatti, secondo una condivisibile giurisprudenza, in assenza di una specifica clausola contenuta nel bando di gara, non può ritenersi illegittima l’ammissione alla gara di un concorrente non produttore di un bene oggetto della fornitura pubblica, né può ipotizzarsi la realizzazione di un sostanziale subappalto in favore del medesimo produttore da parte dell’aggiudicatario, considerato che è sufficiente che il partecipante abbia la materiale e giuridica disponibilità del prodotto, restando estraneo alle relative obbligazioni contrattuali il produttore dei beni (TAR Lombardia, Milano, IV, 27.10.2016, n. 1977; altresì TAR Lazio, Roma, I-bis, 20.02.2018, n. 1956; per un caso in cui anche il prodotto realizzato e brevettato da un operatore può far parte della fornitura offerta da altro soggetto concorrente nella medesima gara, Consiglio di Stato, III, 07.03.2019, n. 1577).

APPALTISecondo la consolidata giurisprudenza, il giudizio circa l’anomalia o l’incongruità dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale e, quindi, non può essere esteso ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci.
Inoltre il richiamato procedimento di verifica dell’anomalia non è finalizzato ad individuare specifiche e singole inesattezze nella formulazione dell’offerta ma, piuttosto, ad accertare in concreto che la proposta contrattuale risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto.

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4.1. Il motivo è infondato.
Occorre premettere che, secondo la consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, il giudizio circa l’anomalia o l’incongruità dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale e, quindi, non può essere esteso ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci.
Inoltre il richiamato procedimento di verifica dell’anomalia non è finalizzato ad individuare specifiche e singole inesattezze nella formulazione dell’offerta ma, piuttosto, ad accertare in concreto che la proposta contrattuale risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto (cfr. Consiglio di Stato, III, 25.06.2020, n. 4090; V, 27.01.2020, n. 680; 08.03.2018, n. 1494; 13.02.2017, n. 607; 17.11.2016, n. 4755; 17.03.2015, n. 1369)
(TAR Lombardia- Milano, Sez. II, sentenza 01.07.2020 n. 1266 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il gravame proposto avverso l’aggiudicazione di un appalto pubblico, qualora sia in contestazione la correttezza dei punteggi assegnati ai concorrenti, deve essere sorretto, per essere ritenuto ammissibile, dall’interesse alla riedizione dell’attività valutativa da parte del seggio di gara;
L’interesse idoneo a sorreggere l’impugnazione ex art. 35, comma 1, lett. b), Cod. proc. amm, va dimostrato dal ricorrente fornendo la c.d. prova di resistenza, cioè la prova che, in difetto dell’illegittimità lamentata, il ricorrente avrebbe sicuramente vinto la gara.

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6.1. La censura è inammissibile per carenza di interesse.
In esito allo svolgimento della gara, la ricorrente ha ottenuto un punteggio complessivo (offerta tecnica e offerta economica) pari a 82,63 punti, mentre l’aggiudicataria Sm.De. ha conseguito un totale 91,22 punti, con una differenza di oltre 8 punti.
Per mezzo della presente censura la ricorrente contesta l’attribuzione, in relazione alla voce “Relazione tecnica complessiva – varie ed eventuali”, di un punteggio massimo di 2 punti, che le concorrenti hanno ottenuto e che essa invece non ha conseguito (ottenendo 0,5 punti).
Appare del tutto evidente che anche laddove alla ricorrente fosse attribuito il massimo punteggio richiesto (2) e all’aggiudicataria fosse, in ipotesi, attribuito un punteggio pari a zero, comunque rimarrebbe un divario tale che non consentirebbe di colmare la differenza –si ripete, superiore ad 8 punti– registratasi tra le offerte delle due concorrenti (pure ricomprendendovi, gli ulteriori 2,5 punti indicati al precedente punto 4.5).
Ciò appare coerente con un condivisibile orientamento giurisprudenziale, secondo il quale “il gravame proposto avverso l’aggiudicazione di un appalto pubblico, qualora sia in contestazione la correttezza dei punteggi assegnati ai concorrenti, deve essere sorretto, per essere ritenuto ammissibile, dall’interesse alla riedizione dell’attività valutativa da parte del seggio di gara; l’interesse idoneo a sorreggere l’impugnazione ex art. 35, comma 1, lett. b), Cod. proc. amm, va dimostrato dal ricorrente fornendo la c.d. prova di resistenza, cioè la prova che, in difetto dell’illegittimità lamentata, il ricorrente avrebbe sicuramente vinto la gara” (cfr. Consiglio di Stato, V, 17.03.2020, n. 1916; 26.04.2018, n. 2534; III, 17.12.2015, n. 5717)
(TAR Lombardia- Milano, Sez. II, sentenza 01.07.2020 n. 1266 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICosto della manodopera e piattaforma Mepa.
Domanda
E’ possibile richiedere in una RDO su Mepa l’indicazione obbligatoria da parte dell’operatore economico dei costi sulla manodopera di cui all’art. 95, co. 10, del d.lgs. 50/2016 direttamente in piattaforma, senza prevedere un allegato all’offerta economica?
Risposta
Sulla mancata indicazione dei costi della manodopera in sede di offerta economica ai sensi dell’art. 95, co. 10, del d.lgs. 50/2016, la recente giurisprudenza si è pronunciata in modo differente, sulla base delle diverse modalità di costruzione della gara nelle piattaforme telematiche, nonché del contenuto stesso della lex specialis.
Indipendentemente dall’esito delle decisioni, quello che rileva è il richiamo nelle varie pronunce alla decisione del giudice comunitario del 02.05.2019 C-309/18, che con riferimento allo specifico obbligo di indicazione dei costi della manodopera ha ritenuto “che i principi di certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previsti dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione (sul punto tale obbligo discende chiaramente dal combinato disposto degli artt. 95, co. 10 e 89, co. 9, del d.lgs. 50/2016). Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Fatta questa opportuna premessa, si riportano i passaggi da seguire in sede di costruzione di una RDO su Mepa per consentire agli operatori l’inserimento del proprio costo della manodoepra direttamente in piattaforma, in alternativa all’allegato all’offerta economica, ovviamente per quelle procedure di appalto diverse dalle forniture senza posa in opera, dai servizi di natura intellettuale e dagli affidamenti ai sensi dell’art. 36, co. 2, lett. a).
(... continua) (01.07.2020 - link a www.publika.it).

giugno 2020

APPALTIPer consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, nelle gare pubbliche la funzione della sottoscrizione della documentazione e dell’offerta è quella di renderla riferibile al presentatore dell’offerta, vincolandolo all’impegno assunto.
In altri termini, la sottoscrizione delle offerte di gara -normativamente imposta, a pena di esclusione- è preordinata a garantire l’effettiva riferibilità al proponente, la serietà del formalizzato impegno e l’assunzione della relativa responsabilità.
Invero, la garanzia di una sicura provenienza dell'offerta riposa in modo imprescindibile sulla sottoscrizione del documento contenente tale manifestazione di volontà, poiché con essa l'impresa partecipante fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, vincolandosi alla stessa ed assumendo le conseguenti responsabilità.

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Fermo quanto detto sopra, ben conosce il Collegio l’orientamento giurisprudenziale in base al quale qualora il progetto rappresenti elemento costitutivo dell'offerta tecnica, il difetto di sottoscrizione da parte del tecnico abilitato priva di giuridica rilevanza il medesimo e si traduce anche nella mancanza di un elemento essenziale dell'offerta, con conseguente legittimità dell'esclusione del concorrente che abbia prodotto l'offerta tecnica carente e della corrispondente clausola espulsiva della lex specialis di gara, meramente esplicativa di una delle ipotesi di esclusione tassativamente delineate dalla disciplina legale.
Ritiene il Collegio che, tuttavia, detto orientamento non possa trovare applicazione al caso in esame.
In primo luogo, giova evidenziare che nel sistema codicistico la sottoscrizione delle offerte è adempimento che viene richiesto all’operatore economico (e che, dunque, viene materialmente posto in essere dal soggetto munito del potere di rappresentanza).
Tanto si ricava, in particolare, dall’art. 48, comma 8, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 secondo cui l'offerta deve essere sottoscritta da tutti gli operatori economici che costituiranno i raggruppamenti temporanei o i consorzi ordinari di concorrenti.
Del resto, l’art. 3, comma 1, lett. cc), del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 definisce «offerente» l'operatore economico che ha presentato un'offerta.
La giurisprudenza ha inoltre evidenziato che ove la finalità della sottoscrizione della documentazione e dell'offerta (che, si ribadisce, è quella di renderla riferibile al presentatore, vincolandolo all'impegno assunto) risulti in concreto conseguita, con salvaguardia del sotteso interesse dell'Amministrazione, non vi è spazio per interpretazioni puramente formali delle prescrizioni di gara.
In particolare, è stata esclusa l’irrilevanza giuridica, e quindi l’inammissibilità, di offerte prive di sottoscrizione (o con la sottoscrizione solo di alcuni dei soggetti dell’atto) quando, in base alle circostanze concrete, l’offerta risultava con assoluta certezza riconducibile e imputabile a un determinato soggetto o operatore economico; il difetto strutturale dell’atto è stato, in tali casi, superato alla luce della funzione dell’atto nell’ambito della procedura di gara, da individuarsi nell’interesse dell’Amministrazione a non escludere un concorrente che è identificabile con assoluta certezza sulla base di altri elementi comunque acquisiti alla procedura.
Deve poi evidenziarsi che, con riferimento alla disciplina antevigente, la giurisprudenza –in relazione ad una fattispecie caratterizzata dalla mancanza di firma dei progettisti- ebbe a mettere in risalto il fatto che uno “specifico onere di sottoscrizione degli elaborati compresi nell’offerta tecnica non è previsto da alcuna specifica disposizione normativa vigente in materia di appalti pubblici”.
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Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’avversata previsione della lex specialis –recante una espressa e diretta comminatoria di esclusione per il mero difetto di sottoscrizione di un documento costitutivo dell’offerta tecnica da parte di un tecnico (geologo iscritto al relativo albo)– risulta irragionevole e sproporzionata rispetto al fine perseguito.
Ed invero, l’esigenza sottesa alla previsione che impone la sottoscrizione del documento in questione, id est che l’offerta tecnica sia redatta e fatta propria, oltre che dal concorrente, da un professionista abilitato, a garanzia della bontà e correttezza tecnica delle soluzioni individuate, che si riverbereranno, in caso di aggiudicazione, sulla esecuzione del servizio, ben può essere soddisfatta comminando l’esclusione dell’operatore economico non per il mero estrinseco -e per molti versi accidentale- difetto di sottoscrizione del documento medesimo ma all’esito dell’accertamento che il documento in questione non sia effettivamente stato elaborato da un tecnico abilitato.
Segnatamente, ben potrebbe la stazione appaltante -in caso di difetto originario di sottoscrizione- prevedere l’assegnazione di un breve termine perentorio al concorrente per comprovare (anche attraverso una dichiarazione resa dal tecnico interessato) la “paternità” del progetto tecnico o documento equivalente presentato in gara, adottando la statuizione espulsiva -in via eventuale- solo all’esito di tale interpello, potendo tale meccanismo trovare fondamento nella previsione racchiusa nell’art. 30, comma 1, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 secondo cui l’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni ai sensi del presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza.
Quanto sopra a maggior ragione in quelle fattispecie caratterizzate dal fatto che:
   - l’offerta tecnica risulta univocamente riconducibile all’operatore economico (in forza della sottoscrizione da parte del legale rappresentante), che ne ha assunto la responsabilità (come nel caso in esame);
   - la documentazione prodotta in gara dall’operatore economico consente di ricavare il nominativo del tecnico abilitato (come nella fattispecie in esame, ove nel documento di gara unico europeo -pag. 13- nonché nella relazione tecnica illustrativa -pag. 7- della società ricorrente è chiaramente indicato il nominativo del geologo e la relativa iscrizione all’albo professionale).
Orbene, in base al principio di proporzionalità, gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenta una scelta tra più opzioni, l’Amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi da realizzare, sicché la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da perseguire e una valutazione della portata restrittiva e della necessità delle misure che si possono prendere.
Il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, compreso tra i principi dell'ordinamento comunitario, ma già insito nella Costituzione, quale corollario del principio di buona amministrazione, ex art. 97 Cost., ed espressamente richiamato, in particolare, dagli artt. 4 e 30, comma 1, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 – impone di verificare:
   a) l'idoneità della misura, cioè il rapporto tra il mezzo adoperato e l'obiettivo avuto di mira, sicché l'esercizio del potere è legittimo se la soluzione adottata consente di raggiungere l'obiettivo;
   b) la sua necessarietà, ossia l'assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo, tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo, sicché la scelta tra tutti i mezzi in astratto idonei deve cadere su quello che comporti il minor sacrificio del soggetto;
   c) l'adeguatezza della misura, ossia la tollerabilità della restrizione che comporta per il privato, sicché l'esercizio del potere, pur se idoneo e necessario, è legittimo soltanto se riflette una ragionevole ponderazione degli interessi in gioco.
Nel caso che occupa l’impugnata prescrizione della lex specialis in uno all’avversato provvedimento di esclusione finiscono per dar vita ad una non proporzionata ed irragionevole restrizione della concorrenza in applicazione di un rigido formalismo non necessario e non adeguato al perseguimento di interessi meritevoli di tutela.
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5. Il ricorso è fondato ai sensi e nei termini in appresso specificati.
5.1. In primo luogo merita di essere evidenziato che –per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale- nelle gare pubbliche la funzione della sottoscrizione della documentazione e dell’offerta è quella di renderla riferibile al presentatore dell’offerta, vincolandolo all’impegno assunto (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24.05.2017, n. 2452: TAR Puglia, Bari, sez. un., 07.09.2018, n. 1212).
In altri termini, la sottoscrizione delle offerte di gara -normativamente imposta, a pena di esclusione- è preordinata a garantire l’effettiva riferibilità al proponente, la serietà del formalizzato impegno e l’assunzione della relativa responsabilità (cfr. TAR Marche, sez. I, 26.02.2020, n. 142; cfr. anche TAR Toscana, sez. III, 05.03.2020, n. 279 secondo cui la garanzia di una sicura provenienza dell'offerta riposa in modo imprescindibile sulla sottoscrizione del documento contenente tale manifestazione di volontà, poiché con essa l'impresa partecipante fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, vincolandosi alla stessa ed assumendo le conseguenti responsabilità).
5.2. Nel caso in esame, la lex specialis (art. 16 del bando di gara), nel definire il contenuto della busta “B” -Offerta tecnica- che a pena di esclusione doveva contenere (in sintesi) la documentazione sintetica di un numero massimo di tre servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria relativi ad interventi ritenuti dal concorrente significativi della capacità a realizzare la prestazione sotto il profilo tecnico, la relazione tecnica illustrativa sulle caratteristiche metodologiche dell’offerta e modalità di svolgimento delle prestazioni oggetto dell’incarico ed il programma di indagine e relazione di accompagnamento di cui al criterio B3 del capitolo 18 - stabilisce che i sopra richiamati documenti costituenti l’offerta tecnica dovevano essere sottoscritti, a pena di esclusione, dall’operatore economico e da tecnico abilitato all’esercizio della professione di Ingegnere e iscritto al relativo Albo professionale sezione A e, limitatamente al programma di indagine e relazione di accompagnamento, anche da geologo iscritto al relativo albo professionale, sempre a pena di esclusione.
Ciò premesso, non è seriamente dubitabile (e, soprattutto, non è contestato dall’Amministrazione resistente) che l’offerta tecnica presentata dalla società ricorrente è univocamente riconducibile alla stessa concorrente, in quanto recante la sottoscrizione del legale rappresentante.
5.3. Fermo quanto detto sopra, ben conosce il Collegio l’orientamento giurisprudenziale in base al quale qualora il progetto rappresenti elemento costitutivo dell'offerta tecnica, il difetto di sottoscrizione da parte del tecnico abilitato priva di giuridica rilevanza il medesimo e si traduce anche nella mancanza di un elemento essenziale dell'offerta, con conseguente legittimità dell'esclusione del concorrente che abbia prodotto l'offerta tecnica carente e della corrispondente clausola espulsiva della lex specialis di gara, meramente esplicativa di una delle ipotesi di esclusione tassativamente delineate dalla disciplina legale.
Ritiene il Collegio che, tuttavia, detto orientamento non possa trovare applicazione al caso in esame.
In primo luogo, giova evidenziare che nel sistema codicistico la sottoscrizione delle offerte è adempimento che viene richiesto all’operatore economico (e che, dunque, viene materialmente posto in essere dal soggetto munito del potere di rappresentanza).
Tanto si ricava, in particolare, dall’art. 48, comma 8, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 secondo cui l'offerta deve essere sottoscritta da tutti gli operatori economici che costituiranno i raggruppamenti temporanei o i consorzi ordinari di concorrenti.
Del resto, l’art. 3, comma 1, lett. cc), del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 definisce «offerente» l'operatore economico che ha presentato un'offerta.
La giurisprudenza ha inoltre evidenziato che ove la finalità della sottoscrizione della documentazione e dell'offerta (che, si ribadisce, è quella di renderla riferibile al presentatore, vincolandolo all'impegno assunto) risulti in concreto conseguita, con salvaguardia del sotteso interesse dell'Amministrazione, non vi è spazio per interpretazioni puramente formali delle prescrizioni di gara (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 13.11.2019, n. 1903).
In particolare, è stata esclusa l’irrilevanza giuridica, e quindi l’inammissibilità, di offerte prive di sottoscrizione (o con la sottoscrizione solo di alcuni dei soggetti dell’atto) quando, in base alle circostanze concrete, l’offerta risultava con assoluta certezza riconducibile e imputabile a un determinato soggetto o operatore economico; il difetto strutturale dell’atto è stato, in tali casi, superato alla luce della funzione dell’atto nell’ambito della procedura di gara, da individuarsi nell’interesse dell’Amministrazione a non escludere un concorrente che è identificabile con assoluta certezza sulla base di altri elementi comunque acquisiti alla procedura (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III-bis, 03.12.2019, n. 13812).
Deve poi evidenziarsi che, con riferimento alla disciplina antevigente, la giurisprudenza –in relazione ad una fattispecie caratterizzata dalla mancanza di firma dei progettisti- ebbe a mettere in risalto il fatto che uno “specifico onere di sottoscrizione degli elaborati compresi nell’offerta tecnica non è previsto da alcuna specifica disposizione normativa vigente in materia di appalti pubblici” (TAR Marche, sez. I, 24.07.2015, n. 602).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’avversata previsione della lex specialis –recante una espressa e diretta comminatoria di esclusione per il mero difetto di sottoscrizione di un documento costitutivo dell’offerta tecnica da parte di un tecnico (geologo iscritto al relativo albo)– risulta irragionevole e sproporzionata, come contestato dalla società ricorrente, rispetto al fine perseguito.
Ed invero, l’esigenza -ben rappresentata dalla difesa erariale- sottesa alla previsione che impone la sottoscrizione del documento in questione, id est che l’offerta tecnica sia redatta e fatta propria, oltre che dal concorrente, da un professionista abilitato, a garanzia della bontà e correttezza tecnica delle soluzioni individuate, che si riverbereranno, in caso di aggiudicazione, sulla esecuzione del servizio (cfr. pag. 3 della memoria depositata in data 5 giugno 2020), ben può essere soddisfatta comminando l’esclusione dell’operatore economico non per il mero estrinseco -e per molti versi accidentale- difetto di sottoscrizione del documento medesimo ma all’esito dell’accertamento che il documento in questione non sia effettivamente stato elaborato da un tecnico abilitato.
Segnatamente, ben potrebbe la stazione appaltante -in caso di difetto originario di sottoscrizione- prevedere l’assegnazione di un breve termine perentorio al concorrente per comprovare (anche attraverso una dichiarazione resa dal tecnico interessato) la “paternità” del progetto tecnico o documento equivalente presentato in gara, adottando la statuizione espulsiva -in via eventuale- solo all’esito di tale interpello, potendo tale meccanismo trovare fondamento nella previsione racchiusa nell’art. 30, comma 1, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 secondo cui l’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni ai sensi del presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza.
Quanto sopra a maggior ragione in quelle fattispecie caratterizzate dal fatto che:
   - l’offerta tecnica risulta univocamente riconducibile all’operatore economico (in forza della sottoscrizione da parte del legale rappresentante), che ne ha assunto la responsabilità (come nel caso in esame);
   - la documentazione prodotta in gara dall’operatore economico consente di ricavare il nominativo del tecnico abilitato (come nella fattispecie in esame, ove nel documento di gara unico europeo -pag. 13- nonché nella relazione tecnica illustrativa -pag. 7- della società ricorrente è chiaramente indicato il nominativo del geologo e la relativa iscrizione all’albo professionale).
Orbene, in base al principio di proporzionalità, gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenta una scelta tra più opzioni, l’Amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi da realizzare, sicché la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da perseguire e una valutazione della portata restrittiva e della necessità delle misure che si possono prendere.
Il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, compreso tra i principi dell'ordinamento comunitario, ma già insito nella Costituzione, quale corollario del principio di buona amministrazione, ex art. 97 Cost., ed espressamente richiamato, in particolare, dagli artt. 4 e 30, comma 1, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 – impone di verificare:
   a) l'idoneità della misura, cioè il rapporto tra il mezzo adoperato e l'obiettivo avuto di mira, sicché l'esercizio del potere è legittimo se la soluzione adottata consente di raggiungere l'obiettivo;
   b) la sua necessarietà, ossia l'assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo, tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo, sicché la scelta tra tutti i mezzi in astratto idonei deve cadere su quello che comporti il minor sacrificio del soggetto;
   c) l'adeguatezza della misura, ossia la tollerabilità della restrizione che comporta per il privato, sicché l'esercizio del potere, pur se idoneo e necessario, è legittimo soltanto se riflette una ragionevole ponderazione degli interessi in gioco (cfr. Cons. Stato, sez. III, 26.06.2019, n. 4403).
Nel caso che occupa l’impugnata prescrizione della lex specialis in uno all’avversato provvedimento di esclusione finiscono per dar vita ad una non proporzionata ed irragionevole restrizione della concorrenza in applicazione di un rigido formalismo non necessario e non adeguato al perseguimento di interessi meritevoli di tutela.
6. In conclusione, il ricorso merita di essere accolto, quanto alla domanda caducatoria avanzata -per le ragioni sopra specificate- con conseguente annullamento del verbale n. 4 del 19.05.2020 nella parte in cui la commissione ha proposto l’esclusione della Li.Pr. S.r.l., della nota prot. n. 695 del 22.05.2020 di esclusione della stessa dalla procedura e del bando di gara nella parte in cui all’art. 16 prevede a pena di esclusione la sottoscrizione dell’elaborato “programma di indagine e relazione di accompagnamento” da parte del geologo (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 29.06.2020 n. 1566 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Dal 1° luglio scatta l’obbligo di inserire nei mandati di pagamento (OPI) la scadenza delle fatture.
Domanda
Se non ricordo male, sul finire del 2019 si parlava di nuovi adempimenti nel corso del 2020 a carico dei comuni per i mandati di pagamento di fatture elettroniche.
Di cosa si tratta? Mi potete aiutare?
Risposta
La novità oggetto del quesito è quella prevista dall’art. 50, comma 3, del d.l. n. 124/2019, come modificato dall’art. 1, comma 855, della legge n. 160/2019. Vediamo di cosa si tratta.
Tale norma prevede che: “Entro il 01.07.2020 le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31.12.2009, n. 196, che si avvalgono dell’Ordinativo Informatico di Pagamento (OPI) (…), sono tenute ad inserire nello stesso Ordinativo la data di scadenza della fattura. Conseguentemente, a decorrere dalla suddetta data, per le medesime amministrazioni viene meno l’obbligo di comunicazione mensile di cui all’articolo 7-bis, comma 4, del decreto-legge 08.04.2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.06.2013, n. 64”.
Quindi il nuovo obbligo, che decorre dal prossimo primo luglio (termine così anticipato dalla Legge di bilancio 2020 in luogo del precedente termine inizialmente fissato dal decreto legge n. 124/2019 al 01/01/2021), è proprio quello di inserire nei mandati di pagamento la data di scadenza delle fatture pagate. Essa dovrà essere inserita nel campo «data_scadenza_pagam_siope» del file XML dell’ordinativo di pagamento informatico.
Le software house che forniscono i gestionali della contabilità ai comuni dovrebbero essersi già adeguate da tempo, visto che la norma risale allo scorso anno, prevedendone l’automatismo. L’unica attività da svolgere in questi giorni è verificare se tale adeguamento sia già stato effettuato oppure no. In quest’ultimo caso si dovrà sollecitare la propria ditta fornitrice del software affinché vi provveda con la massima celerità. La data di scadenza viene ricavata dalla fattura elettronica che l’ente riceve dal fornitore attraverso lo SDI.
D’ora in poi, e ancora più che in passato, diviene fondamentale verificarne la correttezza da parte degli uffici ragioneria. Sono infatti frequenti i casi in cui la data di scadenza indicata in fattura dalla ditta creditrice non rispetti il dettato normativo di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 231/2002 (ovvero, di norma: trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura).
Spesso infatti essa coincide con la data di emissione della stessa fattura che, talora, è addirittura antecedente alla stessa data di ricezione da parte dell’ente destinatario. In tali casi è necessario modificarla manualmente all’interno del proprio gestionale in modo che essa venga correttamente riportata sull’OPI all’atto del suo pagamento. Viceversa, all’interno della PCC rimarrebbe la data di scadenza errata, a cui erroneamente potrà corrispondere un pagamento tardivo da parte dell’ente.
Ciò produrrebbe riflessi negativi sull’indicatore di tempestività dei pagamenti dei propri debiti commerciali, con importanti conseguenze in vista dell’avvio –dal 2021– della disciplina del nuovo Fondo garanzia pagamento debiti commerciali (FGDC) di cui ai commi 859 e seguenti della L. 145/2018. Ricordiamo infatti che quest’ultima obbliga gli enti che sono in ritardo nel pagamento dei propri debiti commerciali ad accantonare somme in tale Fondo. L’importo dell’accantonamento è crescente al crescere del ritardo con cui vengono pagate le fatture rispetto ai termini di legge stabiliti dall’art. 4 del d.lgs. 231/2002.
La stessa norma contenuta nel d.l. 124/2019 prevede inoltre che sempre a partire dal 01.07.2020 venga meno l’obbligo di comunicazione mensile di cui all’art. 7-bis, comma 4 del d.l. 35/2013. Di cosa si trattava?
Tale norma si riferiva all’obbligo per le amministrazioni pubbliche di comunicare entro il 15 di ciascun mese alla stessa PCC i dati relativi ai debiti non estinti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazioni, forniture e appalti e obbligazioni relative a prestazioni professionali, per i quali, nel mese precedente, fosse stato superato il termine di decorrenza degli interessi moratori di cui all’articolo 4 del suddetto d.lgs. 231/2002.
La ragione di tale abrogazione è evidente: visto che d’ora in poi la PCC ‘vede’ in autonomia la scadenza delle fatture, non avrà più bisogno che sia l’ente a comunicarle i pagamenti tardivi. Questi ultimi emergeranno automaticamente dal semplice confronto fra la data di scadenza della fattura e la data di emissione del mandato di pagamento (29.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIConsorzio e consorziate – onere di dichiarazione requisiti generali.
Domanda
Nel caso di consorzio di produzione e lavoro costituito a norma della legge 25.06.1909 n. 422 di cui all’art. 45, co. 2, lett. b), del d.lgs. 50/2016, in sede di gara è necessario richiedere e verificare i requisiti generali di tutte le consorziate, ancorché non indicate quali esecutrici della prestazione?
Risposta
I consorzi di cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25.06.1909 n. 422 si presentano come organismi con scopo mutualistico che acquisiscono appalti per conto delle consorziate, a cui forniscono un supporto tecnico oltre che economico. In particolare ai citati consorzi è consentita la partecipazione alle procedure di affidamento ai sensi dell’art. 45, co. 2, lett. b), del d.lgs. 50/2016, con indicazione in sede di offerta delle consorziate per le quali concorrono (art. 48, co. 7, del d.lgs. 50/2016).
La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi più volte sulla qualificazione del consorzio, come autonomo soggetto distinto dalle consorziate che lo compongono, orientamento sintetizzato da ultimo nella sentenza del C.d.S. 14.04.2020 n. 2387, che nel richiamare la propria decisione n. 6632 del 23.11.2018 ha rilevato:
   • che detti consorzi partecipano alla procedura di gara utilizzando requisiti loro propri, e nell’ambito di questi, facendo valere i mezzi nella disponibilità delle cooperative che costituiscono articolazioni organiche del soggetto collettivo, e cioè i suoi interna corporis;
   • ciò significa che il rapporto organico che lega le cooperative consorziate, ivi compresa quella incaricata dell’esecuzione dei lavori, è tale che l’attività compiuta dalle consorziate è imputata unicamente al consorzio;
   • il concorrente è quindi solo il consorzio, mentre non assumono tale veste le sue consorziate, nemmeno quella designata per l’esecuzione della commessa.
Il Consiglio di Stato ha dato una definizione del rapporto organico esistente tra il consorzio e le singole consorziate, quale situazione che non comporta un assorbimento della soggettività delle stesse, ma mero modello organizzativo che regola, per il caso di specie, la loro partecipazione alle procedure di gara.
In particolare il soggetto che presenta offerta è solo il consorzio di cooperative di produzione e lavoro, e non le consorziate, neppure quelle indicate per l’esecuzione delle prestazioni. Consorzio che ai sensi dell’art. 47, co. 1, del d.lgs. 50/2016 deve comprovare il possesso dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria secondo le modalità previste dal codice, nonché i requisiti generali di cui all’art. 80. Tale dichiarazione deve essere resa anche dalla/e consorziata/e esecutrice/i quale diretta conseguenza dell’esecuzione, proprio per evitare che l’ente collettivo diventi uno strumento di copertura per la partecipazione di soggetti privi dei requisiti generali di cui all’art. 80 del codice.
Pertanto, sulla base di questa condividibile sentenza non è necessario in sede di gara, richiedere e verificare il possesso dei requisiti generali in capo alle consorziate non esecutrici (24.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Verifiche dei requisiti speciali tramite AVCPass.
Domanda
Al fine di verificare l’operatore economico aggiudicatario, in particolare per i requisiti generali, ricorro all’AVCPass.
È possibile utilizzare tale sistema anche per l’acquisizione d’ufficio dell’attestazione di regolare esecuzione di un servizio prestato presso altra pubblica amministrazione e dichiarato in sede di gara?
Risposta
L’AVCPass è uno strumento che attraverso un sistema di cooperazione applicativa con gli enti certificanti, consente alle pubbliche amministrazioni di acquisire i certificati a comprova del possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario dichiarati in sede di gara, ai fini della successiva stipula di un contratto pubblico.
Il presupposto affinché il RUP possa procedere alle verifiche attraverso questa modalità è la richiesta del CIG mediante SIMOG, nonché la specificazione in sede di definizione dello stesso, che trattasi appunto di una procedura non esclusa dall’acquisizione obbligatoria dei requisiti ai fini dell’AVCpass.
Si precisa che la richiesta del CIG nella forma del SIMOG è possibile anche per importi inferiori ad euro 40.000,00; modalità tra l’altro suggerita per ogni affidamento di valore superiore ad € 5.000,00, in ragione della tempestività del rilascio di alcuni dei certificati da richiedersi a comprova dei requisiti dichiarati in sede di gara.
È consigliato, inoltre, l’utilizzo dell’AVCPass anche per l’acquisizione d’ufficio dell’attestazione e/o certificazione o mera dichiarazione di regolare esecuzione di un servizio prestato presso una pubblica amministrazione, proprio per la pronta collaborazione degli enti coinvolti a fronte di una richiesta presentata per il tramite dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Da un punto di vista operativo sul portale dell’ANAC, anche in assenza della specifica riga relativa al requisito di ordine speciale-tecnico-professionale, è sempre possibile inviare una pec verso ente non in cooperazione (nello specifico un’altra pubblica amministrazione), selezionando una riga qualsiasi dei requisiti di ordine generale (cfr. immagine).

Quindi:

   • AVANTI
   • ALTRI DOCUMENTI
   • Ricercare nelle pagine a video la riga NON CLASSIFICATO – PEC VERSO ENTE NON IN COOPERAZIONE e selezionarla  (cfr. immagine)

   • AVANTI
   • Completare gli spazi indicando l’indirizzo pec del destinatario, l’indirizzo pec del richiedente , l’indirizzo pec a cui inviare la risposta, l’oggetto della richiesta e il testo della richiesta
   • Invia Richiesta  (cfr. immagine) (17.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIQuesto Comune, in data 10.05.2020, ha verificato ai sensi dell'art. 48-bis, D.P.R. 29.09.1973, n. 602 l'inadempienza di una ditta creditrice dell'Ente al momento dell'emissione di un mandato di pagamento dell'importo imponibile di euro 7.900.
Non avendo a tutt'oggi ricevuto alcuna notifica di pignoramento dall'agente della riscossione, a seguito dell'inadempienza, ci chiediamo come sia necessario procedere in tale situazione?

Come giustamente segnalato nel quesito proposto, l'art. 153, D.L. 19.05.2020, n. 34 (pubblicato in pari data sul supplemento ordinario n. 21 della Gazzetta Ufficiale n. 128) c.d. "Decreto rilancio" ha testualmente previsto che "nel periodo di sospensione di cui all'articolo 68, commi 1 e 2-bis, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27 non si applicano le disposizioni dell'articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602".
Tale disposizione implica pertanto due diverse disposizioni:
   • per tutte le Pubbliche Amministrazioni, la sospensione dall'08.03. al 31.08.2020, delle verifiche di inadempienza da effettuarsi, ai sensi dell'art. 48-bis, D.P.R. 29.09.1973, n. 602, prima di disporre pagamenti -a qualunque titolo- di importo superiore a cinquemila euro;
   • la sospensione decorre dal 21.02.2020 per i soli contribuenti che, alla medesima data, avevano la residenza, la sede legale o la sede operativa nei comuni della c.d. "zona rossa" (allegato 1 DPCM 01.03.2020).
Lo stesso art. 153, nel secondo periodo, disciplina che "Le verifiche eventualmente già effettuate, anche in data antecedente a tale periodo, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, per le quali l'agente della riscossione non ha notificato l'ordine di versamento previsto dall'articolo 72-bis, del medesimo decreto restano prive di qualunque effetto e le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, nonché le società a prevalente partecipazione pubblica, procedono al pagamento a favore del beneficiario".
L'espressione letterale che prevede che "l'inadempimento resti privo di qualunque effetto se l'Agente di riscossione non ha notificato l'ordine di pagamento" comporta pertanto che tale sospensione si applichi anche a tutte le verifiche già effettuate nelle settimane passate e per cui, nonostante sul sistema di verifica risulti "un blocco" derivante dall'inadempimento, questo non debba essere considerato se, alla data di entrata in vigore del citato D.L. 19.05.2020, n. 34 (19.05.2020) l'Agente della riscossione non abbia notificato all'amministrazione procedente l'ordine di versamento della somma dovuta in luogo del pagamento in favore della ditta creditrice.
Per tutto quanto sopra esposto, si può affermare che nel caso di cui trattasi, l'Amministrazione potrà procedere all'emissione del mandato di pagamento in favore della ditta creditrice in quanto quest'ultima, seppur risultata inadempiente alla verifica di cui all'art. 48-bis, D.P.R. 29.09.1973, n. 602, l'Agente della riscossione non ha notificato l'ordine di pagamento entro la data di entrata in vigore della disposizione richiamata introdotta dal D.L. "Rilancio" (19 maggio u.s.).
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 29.09.1973, n. 602, art. 48-bis - D.L. 17.03.2020, n. 18, art. 68 - L. 24.04.2020, n. 27 - D.L. 19.05.2020 n. 34, art. 153
(17.06.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTIDies a quo per la proposizione del ricorso in materia di procedure di affidamento.
Pur nella consapevolezza di un quadro giurisprudenziale non univoco, il Collegio ritiene di dare continuità all’orientamento fatto proprio anche dalla Sezione che muove dai seguenti principi:
   a) “in caso di comunicazione dell'aggiudicazione che non specifichi le ragioni di preferenza dell'offerta dell'aggiudicataria (o non sia accompagnata dall'allegazione dei verbali di gara), e comunque, in ogni caso in cui si renda indispensabile conoscere gli elementi tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario per aver chiare le ragioni di preferenza, l'impresa concorrente può richiedere di accedere agli atti della procedura”;
   b) alla luce dell'insegnamento della Corte di Giustizia dell'Unione europea (specialmente con la sentenza 08.05.2014 nella causa C-161/13 Idrodinamica Spurgo secondo cui “ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni” e “una possibilità, come quella prevista dall' articolo 43 del D.Lgs. n. 104 del 2010, di sollevare “motivi aggiunti” nell'ambito di un ricorso iniziale proposto nei termini contro la decisione di aggiudicazione dell'appalto non costituisce sempre un'alternativa valida di tutela giurisdizionale effettiva. Infatti, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, gli offerenti sarebbero costretti a impugnare in abstracto la decisione di aggiudicazione dell'appalto, senza conoscere, in quel momento, i motivi che giustificano tale ricorso”) “il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione;
   c) “la dilazione temporale, che prima era fissata nei dieci giorni previsti per l'accesso informale ai documenti di gara dall'art. 79, comma 5-quater, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento, può ora ragionevolmente essere fissata nei quindici giorni previsti dal richiamato comma 2 dell'art. 76 D.Lgs. n. 50 del 2016 per la comunicazione delle ragioni dell'aggiudicazione su istanza dell'interessato”;
   d) “qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente l'accesso, o tenga comportamenti dilatori che non consentano l'immediata conoscenza degli atti di gara, il termine non inizia a decorrere e il potere di impugnare dall'interessato pregiudicato da tale condotta amministrativa non si “consuma”; in questo caso il termine di impugnazione comincia a decorrere solo a partire dal momento in cui l'interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura";
   e) “la comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione imposta dall'art. 76, comma 5, D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, non è surrogabile da altre forme di pubblicità legali, quali, in particolare, la pubblicazione del provvedimento all'albo pretorio della stazione appaltante per l'espresso riferimento dell'art. 120, comma 5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della comunicazione”, ovvero ad una precisa modalità informativa del concorrente”;
   f) “anche indipendentemente dal formale inoltro della comunicazione dell'art. 76, comma 5, D.Lgs. n. 50 del 2016 cit., per la regola generale di cui all'art. 41, comma 2, Cod. proc. amm., il termine decorre dal momento in cui il concorrente abbia acquisito "piena conoscenza" dell'aggiudicazione, del suo concreto contenuto dispositivo e della sua effettiva lesività, pur se non si accompagnata dall'acquisizione di tutti gli atti del procedimento”.
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Dai principi elaborati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e, in particolare, dall’insegnamento proveniente dalla Corte di Giustizia, deve ritenersi che il termine decorra dal momento della conoscenza del provvedimento che si realizza con l’accesso agli atti da parte dell’operatore interessato.
Laddove siano posti in essere comportamenti dilatori o sia negata indebitamente l’ostensione degli atti si determina, quindi, una sospensione nel decorso del termine di impugnazione di durata non necessariamente pari ai 15 giorni di cui all’articolo 76 del D.lgs. n. 50/2016 dovendosi, in tal caso, verificare, piuttosto, la vicenda concreta relativa all’accesso e la celere messa a disposizione degli atti. Diversamente opinando, si costringerebbe, in ogni caso (e, quindi, anche dopo il decorso dei 15 giorni di cui all’articolo 76 del D.Lgs. n. 50/2016) l’operatore economico a ricorrere “al buio” e, quindi, “a guisa di un mero azzardo”.
Una situazione alla quale non può ovviare, come ritenuto dalla Corte di Giustizia, la sola possibilità di articolare motivi aggiunti che non sempre garantisce una tutela effettiva. Inoltre, non può omettersi di considerare come le condotte dilatorie dell’Amministrazione non possano ripercuotersi su un bene come la giurisdizione che, anche in considerazione della crescente domanda di giustizia e della nuova panoplia di rimedi garantiti dal codice del processo amministrativo, costituisce una risorsa limitata, come tale da destinare ai bisogni effettivi di tutela e non da inflazionarsi attraverso interpretazioni del dato normativo che impongano al privato di proporre un ricorso giurisdizionale senza avere l’esatta cognizione dell’illegittimità della lesione alla propria sfera giuridica.
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16.2. La questione relativa al dies a quo dal quale far decorrere il termine per la proposizione del ricorso in materia di procedure di affidamento risulta oggetto di una travagliata elaborazione giurisprudenziale che non sembra giunta ad un definitivo punto di approdo.
Lo testimonia la recente ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato di alcuni dei profili di maggior rilevanza del tema in esame (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 02.04.2020, n. 2215).
16.3. Pur nella consapevolezza di un quadro giurisprudenziale non univoco, il Collegio ritiene di dare continuità all’orientamento fatto proprio anche dalla Sezione (cfr., ex multis, TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 07.02.2020, n. 272) che muove dai seguenti principi:
   a) “in caso di comunicazione dell'aggiudicazione che non specifichi le ragioni di preferenza dell'offerta dell'aggiudicataria (o non sia accompagnata dall'allegazione dei verbali di gara), e comunque, in ogni caso in cui si renda indispensabile conoscere gli elementi tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario per aver chiare le ragioni di preferenza, l'impresa concorrente può richiedere di accedere agli atti della procedura”;
   b) alla luce dell'insegnamento della Corte di Giustizia dell'Unione europea (specialmente con la sentenza 08.05.2014 nella causa C-161/13 Idrodinamica Spurgo secondo cui “ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni” e “una possibilità, come quella prevista dall' articolo 43 del D.Lgs. n. 104 del 2010, di sollevare “motivi aggiunti” nell'ambito di un ricorso iniziale proposto nei termini contro la decisione di aggiudicazione dell'appalto non costituisce sempre un'alternativa valida di tutela giurisdizionale effettiva. Infatti, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, gli offerenti sarebbero costretti a impugnare in abstracto la decisione di aggiudicazione dell'appalto, senza conoscere, in quel momento, i motivi che giustificano tale ricorso”) “il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.09.2019, n. 6064; V, 13.02.2017, n. 592; V, 10.02.2015, n. 864)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 28.10.2019, n. 7387);
   c) “la dilazione temporale, che prima era fissata nei dieci giorni previsti per l'accesso informale ai documenti di gara dall'art. 79, comma 5-quater, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento, può ora ragionevolmente essere fissata nei quindici giorni previsti dal richiamato comma 2 dell'art. 76 D.Lgs. n. 50 del 2016 per la comunicazione delle ragioni dell'aggiudicazione su istanza dell'interessato” (v. ancora, Consiglio di Stato, Sez. V, 28.10.2019, n. 7387);
   d) “qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente l'accesso, o tenga comportamenti dilatori che non consentano l'immediata conoscenza degli atti di gara, il termine non inizia a decorrere e il potere di impugnare dall'interessato pregiudicato da tale condotta amministrativa non si “consuma”; in questo caso il termine di impugnazione comincia a decorrere solo a partire dal momento in cui l'interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura (cfr. Cons. Stato, sez. III, 06.03.2019, n. 1540; III, 22.07.2016, n. 3308; V, 07.09.2015, n. 4144; III, 10.11.2011, n. 5121)”;
   e) “la comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione imposta dall'art. 76, comma 5, D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, non è surrogabile da altre forme di pubblicità legali, quali, in particolare, la pubblicazione del provvedimento all'albo pretorio della stazione appaltante per l'espresso riferimento dell'art. 120, comma 5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della comunicazione”, ovvero ad una precisa modalità informativa del concorrente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25.07.2019, n. 5257; V, 23.07.2018, n. 4442; V, 23.11.2016, n. 4916)”;
   f) “anche indipendentemente dal formale inoltro della comunicazione dell'art. 76, comma 5, D.Lgs. n. 50 del 2016 cit., per la regola generale di cui all'art. 41, comma 2, Cod. proc. amm., il termine decorre dal momento in cui il concorrente abbia acquisito "piena conoscenza" dell'aggiudicazione, del suo concreto contenuto dispositivo e della sua effettiva lesività, pur se non si accompagnata dall'acquisizione di tutti gli atti del procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23.08.2019, n. 5813; V, 23.07.2018, n. 4442; V, 2017, n. 1953)” (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, Sez. V, 28.10.2019, n. 7387)
16.4. Dai principi elaborati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e, in particolare, dall’insegnamento proveniente dalla Corte di Giustizia, deve ritenersi che il termine decorra dal momento della conoscenza del provvedimento che si realizza con l’accesso agli atti da parte dell’operatore interessato.
Laddove siano posti in essere comportamenti dilatori o sia negata indebitamente l’ostensione degli atti si determina, quindi, una sospensione nel decorso del termine di impugnazione di durata non necessariamente pari ai 15 giorni di cui all’articolo 76 del D.lgs. n. 50/2016 dovendosi, in tal caso, verificare, piuttosto, la vicenda concreta relativa all’accesso e la celere messa a disposizione degli atti. Diversamente opinando, si costringerebbe, in ogni caso (e, quindi, anche dopo il decorso dei 15 giorni di cui all’articolo 76 del D.Lgs. n. 50/2016) l’operatore economico a ricorrere “al buio” e, quindi, “a guisa di un mero azzardo” (TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. I, 15.01.2019, n. 71).
Una situazione alla quale non può ovviare, come ritenuto dalla Corte di Giustizia, la sola possibilità di articolare motivi aggiunti che non sempre garantisce una tutela effettiva. Inoltre, non può omettersi di considerare come le condotte dilatorie dell’Amministrazione non possano ripercuotersi su un bene come la giurisdizione che, anche in considerazione della crescente domanda di giustizia e della nuova panoplia di rimedi garantiti dal codice del processo amministrativo, costituisce una risorsa limitata (cfr., ex multis, Cassazione civile Sezione lavoro, 19.02.2020, n. 4181), come tale da destinare ai bisogni effettivi di tutela e non da inflazionarsi attraverso interpretazioni del dato normativo che impongano al privato di proporre un ricorso giurisdizionale senza avere l’esatta cognizione dell’illegittimità della lesione alla propria sfera giuridica
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.06.2020 n. 1046 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Come osservato dalla giurisprudenza, “nel processo amministrativo impugnatorio la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi-motivi si correlino strettamente a quest'ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l'abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo”.
Nel processo amministrativo, quindi, il ricorso cumulativo, pur non essendo precluso in astratto ha, comunque, carattere eccezionale, che si giustifica se ricorre una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad una stessa ed unica sequenza procedimentale o iscrivibili all'interno della medesima azione amministrativa.
Si ritiene, quindi, che la cumulabilità delle impugnative imponga che tra gli atti gravati debba potersi rintracciare una ragione comune per cui, anche se appartengono a procedimenti diversi, sono fra loro comunque collegati in un rapporto di presupposizione o di consequenzialità o comunque di connessione.
In sostanza, il cumulo delle cause, richiede un collegamento tra gli atti di tipo procedimentale tanto da determinare un quadro unitariamente lesivo degli interessi del ricorrente (come nel caso dell’impugnazione congiunta dell’atto presupposto e di quello conseguenziale), ovvero è possibile quando gli atti si fondano su identici presupposti e le censure proposte implicano la soluzione di identiche questioni (come, ad esempio, nel caso di impugnazione di diversi dinieghi in materia urbanistica fondati sull’interpretazione delle stesse norme del piano regolatore generale). Devono ritenersi invece preclusi i ricorsi cumulativi quando danno origine a controversie del tutto differenti, prive di qualunque collegamento tra loro.
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Con specifico riferimento alle gare pubbliche la giurisprudenza amministrativa ritiene che, nel caso di presentazione di offerte per più lotti, l'impugnazione possa essere proposta con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto.
Si tratta di un orientamento che viene, in sostanza, “codificato” nella previsione di cui all’articolo 120, comma 11-bis, c.p.a, introdotto dall'articolo 204, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 18.04.2016, n. 50.
Secondo tale orientamento “l'ammissibilità del ricorso cumulativo degli atti di gara pubblica resta subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni; in questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta”.
Il cumulo di azioni è, quindi, ammissibile solo a condizione che le domande si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell'ambito del medesimo rapporto o di un'unica sequenza procedimentale.
In quest’ultimo caso, infatti, si ricade nell’ipotesi generale nella quale gli atti –sebbene formalmente distinti– si fondano sui medesimi presupposti e le censure dedotte nei loro confronti sono le stesse: in tale situazione, infatti, la diversità degli atti è meramente nominalistica in quanto hanno tutti il medesimo contenuto dispositivo, fondandosi sui medesimi presupposti.
La ricostruzione operata dalla giurisprudenza sin qui richiamata non pone, inoltre, problemi di compatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione europea.
Infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione europea afferma: “l’articolo 1 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, nonché i principi di equivalenza ed effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi”.
Inoltre, secondo la Corte, “l’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza ed effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici”. Tale insegnamento della Corte risulta valevole anche nel caso all’attenzione del Collegio in quanto la decisione risulta fondata sui medesimi principi su cui il legislatore europeo codifica le direttive in materia di appalti attualmente vigenti.

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19. Prima di procedere alla disamina nel merito di tale motivo si deve verificare, tuttavia, la fondatezza dell’eccezione in ordine al ricorso per motivi aggiunti ove sono articolate una serie di censure relative alle offerte tecniche della controinteressata presentate in relazione ai lotti 1, 2 e 3.
19.1. Sul punto il Collegio ritiene opportuno, prima di procedere all’interpretazione della previsione di cui all’articolo 120, comma 11-bis, c.p.a., richiamare i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa in tema di ricorso cumulativo.
19.2. Come osservato dalla giurisprudenza, “nel processo amministrativo impugnatorio la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi-motivi si correlino strettamente a quest'ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l'abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo (Consiglio di Stato, Ad. plen., 27.04.2015, n. 5; altresì, IV, 26.08.2014, n. 4277; V, 27.01.2014, n. 398; V, 14.12.2011, n. 6537)” (Consiglio di Stato, Sez. III, 03.07.2019, n. 4569).
Nel processo amministrativo, quindi, il ricorso cumulativo, pur non essendo precluso in astratto ha, comunque, carattere eccezionale, che si giustifica se ricorre una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad una stessa ed unica sequenza procedimentale o iscrivibili all'interno della medesima azione amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, 16.04.2019, n. 2481; Consiglio di Stato, Sez. III, 07.12.2015 n. 5547; Consiglio di Stato, Sez. IV, 18.03.2010 n. 1617).
Si ritiene, quindi, che la cumulabilità delle impugnative imponga che tra gli atti gravati debba potersi rintracciare una ragione comune per cui, anche se appartengono a procedimenti diversi, sono fra loro comunque collegati in un rapporto di presupposizione o di consequenzialità o comunque di connessione (Consiglio di Stato, Sez. V, 14.03.2019, n. 1687).
In sostanza, il cumulo delle cause, richiede un collegamento tra gli atti di tipo procedimentale tanto da determinare un quadro unitariamente lesivo degli interessi del ricorrente (come nel caso dell’impugnazione congiunta dell’atto presupposto e di quello conseguenziale), ovvero è possibile quando gli atti si fondano su identici presupposti e le censure proposte implicano la soluzione di identiche questioni (come, ad esempio, nel caso di impugnazione di diversi dinieghi in materia urbanistica fondati sull’interpretazione delle stesse norme del piano regolatore generale). Devono ritenersi invece preclusi i ricorsi cumulativi quando danno origine a controversie del tutto differenti, prive di qualunque collegamento tra loro.
19.3. Con specifico riferimento alle gare pubbliche la giurisprudenza amministrativa ritiene che, nel caso di presentazione di offerte per più lotti, l'impugnazione possa essere proposta con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto (Consiglio di Stato, Sez. V, 08.02.2019, n. 948; Consiglio di Stato, Sez. III, 17.09.2018, n. 5434).
19.4. Si tratta di un orientamento che viene, in sostanza, “codificato” nella previsione di cui all’articolo 120, comma 11-bis, c.p.a, introdotto dall'articolo 204, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, (Consiglio di Stato, Sez. III, 04.02.2016, n. 449; Consiglio di Stato, Sez. V, 26.06.2015, n. 3241).
Secondo tale orientamento “l'ammissibilità del ricorso cumulativo degli atti di gara pubblica resta subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni; in questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta” (Consiglio di Stato, Sez. III, 03.07.2019, n. 4569).
19.5. Il cumulo di azioni è, quindi, ammissibile solo a condizione che le domande si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell'ambito del medesimo rapporto o di un'unica sequenza procedimentale (Consiglio di Stato, Sez. III, 15.05.2018, n. 2892).
In quest’ultimo caso, infatti, si ricade nell’ipotesi generale nella quale gli atti –sebbene formalmente distinti– si fondano sui medesimi presupposti e le censure dedotte nei loro confronti sono le stesse: in tale situazione, infatti, la diversità degli atti è meramente nominalistica in quanto hanno tutti il medesimo contenuto dispositivo, fondandosi sui medesimi presupposti.
19.6. La ricostruzione operata dalla giurisprudenza sin qui richiamata non pone, inoltre, problemi di compatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione europea. Infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 06.10.2015 resa nella causa C-61/14, afferma: “l’articolo 1 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, nonché i principi di equivalenza ed effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi”.
Inoltre, secondo la Corte, “l’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza ed effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici”. Tale insegnamento della Corte risulta valevole anche nel caso all’attenzione del Collegio in quanto la decisione risulta fondata sui medesimi principi su cui il legislatore europeo codifica le direttive in materia di appalti attualmente vigenti (cfr., Consiglio di Stato, Sez. III, 03.07.2019, n. 4569)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.06.2020 n. 1046 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Secondo la costante giurisprudenza del giudice amministrativo le offerte migliorative consistono in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti a diverse soluzioni.
Ne deriva che possono essere considerate proposte migliorative tutte quelle precisazioni, integrazioni e migliorie che sono finalizzate a rendere il progetto prescelto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza, tuttavia, alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste e che, invece, non sono ammesse tutte quelle varianti progettuali che, traducendosi in una diversa ideazione dell’oggetto del contratto, alternativa rispetto al disegno progettuale originario, diano luogo ad uno stravolgimento di quest’ultimo.
Inoltre, nell’ambito della gara da aggiudicarsi col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è lasciato ampio margine di discrezionalità alla commissione giudicatrice, anche quanto alla valutazione delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta e la sua efficienza nonché quanto alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante.

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25.2. La censura è infondata.
25.3. Secondo la costante giurisprudenza del giudice amministrativo le offerte migliorative consistono in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti a diverse soluzioni (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, Sez., V, 20.02.2014, n. 819; Id., 07.07.2014, n. 3435; Id., Sez. VI, 19.06.2017, n. 2969; Id., Sez. V, 14.05.2018, n. 2853; Id., Sez. V, 18.02.2019, n. 1097; Id., Sez. V, 15.01.2019, n. 374).
Ne deriva che possono essere considerate proposte migliorative tutte quelle precisazioni, integrazioni e migliorie che sono finalizzate a rendere il progetto prescelto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza, tuttavia, alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, 16.04.2014, n. 1923) e che, invece, non sono ammesse tutte quelle varianti progettuali che, traducendosi in una diversa ideazione dell’oggetto del contratto, alternativa rispetto al disegno progettuale originario, diano luogo ad uno stravolgimento di quest’ultimo (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 07.11.2014, n. 5497).
25.4. Inoltre, nell’ambito della gara da aggiudicarsi col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è lasciato ampio margine di discrezionalità alla commissione giudicatrice (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 11.12.2015, n. 5655), anche quanto alla valutazione delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta e la sua efficienza nonché quanto alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.06.2020 n. 1046 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAlla Corte di Giustizia Ue la questione del frazionamento dei requisiti di partecipazione nel subappalto necessario.
Il Consiglio di Stato rimette alla Corte di giustizia UE la questione se sia possibile frazionare i requisiti di partecipazione tra più imprese in presenza di qualificazione obbligatoria per opere scorporabili e specialistiche, allorché il soggetto partecipante sia in possesso della sola qualificazione per la categoria “prevalente” (ma non anche per quella “scorporabile”) e debba dunque ricorrere al subappalto “necessario” (o “qualificante”).
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Contratti pubblici – Subappalto – Qualificazione obbligatoria in categorie scorporabili – Frazionamento del requisito di partecipazione tra più imprese subappaltatrici – Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE
É rimessa alla Corte di giustizia Ue la questione se gli artt. 63 e 71 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26.02.2014, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), ostino ad una interpretazione della normativa nazionale italiana in materia di subappalto necessario secondo la quale il concorrente sprovvisto della qualificazione obbligatoria in una o più categorie scorporabili non può integrare il requisito mancante facendo ricorso a più imprese subappaltatrici, ovvero cumulando gli importi per i quali queste ultime risultano qualificate (1).

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   (1) I. – Il Consiglio di Stato rimette alla Corte di giustizia UE la questione se, in tema di subappalto “necessario” o “qualificante” (laddove ossia si tratti di opere scorporabili, rispetto alla prestazione principale, ma di alta specializzazione e dunque non altrimenti eseguibili, sic et simpliciter, dalla impresa aggiudicatrice che non sia in possesso della necessaria specifica qualificazione), i requisiti possano essere frazionati tra l’impresa aggiudicatrice stessa ed altri subappaltatori eventualmente indicati in sede di gara.
   II. – La vicenda può essere così sintetizzata: veniva indetto appalto per la realizzazione dell’ospedale “San Cataldo” di Taranto. Si contestava ai fini che qui interessano il possesso del requisito di qualificazione in capo alla aggiudicataria. Detto requisito riguardava in particolare opere di alta specializzazione scorporabili dalla prestazione principale ma comunque soggette a “qualificazione obbligatoria”. Esse non potevano infatti essere direttamente eseguite dalla aggiudicataria poiché quest’ultima risultava, sì, in possesso del requisito di qualificazione per la prestazione “prevalente” ma non anche per quella “scorporabile”: di qui l’inevitabile ricorso al subappalto c.d. “qualificante” o “necessario”.
Si trattava in particolare di lavori riconducibili alla categoria OS 18-B (componenti per facciate continue), classe V (importo pari ad oltre 3 milioni 799 mila euro). La ricorrente stessa era in possesso della categoria OS 18-B ma di classe III (importo pari ad 1 milione 33 mila euro). Onde raggiungere utilmente la necessaria quota prevista per la classe V si faceva dunque applicazione del c.d. “frazionamento del requisito”, indicando a tal fine altre tre imprese subappaltatrici, tutte appartenenti alla stessa categoria OS 18-B e rispettivamente munite, le prime due, di classe III-bis (1,5 milioni di euro) e la terza di classe I (258 mila euro).
Attraverso la sommatoria degli importi riconducibili a ciascuna delle classi possedute, l’aggiudicataria riusciva dunque a raggiungere la quota prevista per la classe V della suddetta categoria. Il meccanismo descritto (“frazionamento del requisito tra più imprese”) non veniva tuttavia ritenuto legittimo dal Tar per la Puglia, sezione di Lecce, sez. II, con sentenza n. 1915 del 2019.
La sentenza veniva appellata davanti al Consiglio di Stato il quale, con l’ordinanza in rassegna, decideva allora di rimettere la questione all’esame della Corte di giustizia UE.
   III. – Questo il ragionamento seguito dal Consiglio di Stato:
      a) i requisiti di partecipazione nel settore dei lavori pubblici seguono un doppio binario:
         a1) quello del sistema di qualificazione generale secondo cui a ciascuna impresa viene rilasciata una attestazione (SOA) sulla base di categorie di lavori generali (OG) e specialistiche (OS) a loro volta suddivise in crescenti classi di importo economico;
         a2) quello più specifico delle singole stazioni appaltanti le quali sono tenute ad indicare, nei relativi bandi, la categoria di lavori “prevalente” (quella ossia che caratterizza l’intervento da realizzare) e la categoria di lavori “scorporabili” (quelli ossia che non caratterizzano l’intervento da realizzare ma che raggiungono un importo superiore al 10% dell’appalto o comunque oltrepassano i 150 mila euro);
      b) ebbene:
         b1) per principio generale l’impresa concorrente in possesso della qualificazione per la categoria “prevalente” può direttamente eseguire anche i lavori riconducibili alla categoria “scorporabile”, qualora questi ultimi non abbiano carattere specialistico. In questa ipotesi il ricorso al subappalto è sì possibile ma comunque eventuale o facoltativo;
         b2) qualora invece le lavorazioni “scorporabili” abbiano carattere specialistico (come nel caso di specie) la qualificazione assume carattere “obbligatorio”. Le ipotesi sono a questo punto due:
− l’impresa concorrente è in possesso di entrambe le qualificazioni (categoria prevalente e scorporabile) ed allora può autonomamente procedere (ferma la facoltà di ricorrere comunque al subappalto);
− l’impresa concorrente non è in possesso della qualificazione per le opere scorporabili specialistiche (o comunque lo è ma fino ad un certo punto, ossia per un certo importo) ed allora il subappalto diviene “necessario” (o “qualificante”);
      c) il caso di specie riguarda un’opera scorporabile a qualificazione obbligatoria (in quanto trattasi di lavori specialistici riconducibili a “componenti per facciate continue”). La concorrente era in possesso sì della categoria (OS 18-B) ma non anche della classe V (pari ad oltre 3 milioni 799 mila euro), essendo munita della sola classe III (1 milione 33 mila euro).
Di qui la applicazione del c.d. “subappalto necessario” (ciò che non ha l’impresa concorrente debbono averlo altri soggetti appositamente indicati). A tale istituto si è fatto tuttavia ricorso non attraverso la indicazione di un solo subappaltatore in possesso dell’intero requisito (OS 18-B di classe V) ma attraverso l’indicazione di altri tre soggetti (subappaltatori) in possesso della stessa categoria e muniti di classe anche qui inferiore (III-bis, di importo pari ad 1,5 milioni di euro, nonché I, di importo pari a 258 mila euro).
Il passo successivo è dunque stato quello di procedere alla sommatoria dei 4 requisiti (ossia la classe III della impresa concorrente e quelle possedute dalle imprese subappaltatrici) onde raggiungere la quota richiesta per la classe V: è il fenomeno del c.d. “frazionamento del requisito” (oppure, correlativamente, della “sommatoria degli importi” per i quali risultano qualificati i vari soggetti rispettivamente partecipanti e indicati quali subappaltatori);
      d) il Consiglio di Stato ritiene tutto sommato percorribile una simile opzione sulla base delle seguenti considerazioni:
         d1) il “subappalto necessario” non trova una sua specifica regolamentazione nel contesto del decreto legislativo n. 50 del 2016 (codice dei contratti);
         d2) un divieto espresso di frazionamento del subappalto (e dunque del mancante o incompleto requisito di partecipazione) sussiste a livello normativo (art. 105, comma 5, del decreto legislativo n. 50 del 2016) soltanto per opere super specialistiche che superino il 10% dell’importo dell’appalto, non anche per quelle meramente specialistiche o comunque inferiori, come nel caso di specie, alla suddetta quota del 10%;
         d3) al di fuori dell’ipotesi sub d2) non sussiste dunque un divieto espresso per il “cumulo dei requisiti di più operatori”;
         d4) l’orientamento del legislatore e della giurisprudenza comunitaria è anzi quello di favorire il più possibile la “facoltà di un’impresa di fare affidamento sulle capacità altrui attraverso un rapporto di subappalto”. Ciò proprio nell’obiettivo della massima apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza, a vantaggio non solo delle piccole e medie imprese ma anche delle stesse amministrazioni aggiudicatrici;
         d5) ora, è ben vero che la normativa italiana è stata via via particolarmente restrittiva nei confronti del subappalto (per il pericolo da infiltrazioni mafiose o comunque per le cattive prestazioni sul piano della qualità esecutiva) ma è anche vero che le ultime direttive europee in materia di appalti hanno intensificato sia il sistema di verifica preventiva sui subappaltatori indicati sia il meccanismo di responsabilità di questi ultimi nei confronti della medesima stazione appaltante;
         d6) a ciò si aggiunga che, se si accetta l’idea che tra “avvalimento” e “subappalto necessario” le ontologiche differenze tra i due istituti tendono di molto ad attenuarsi (si veda soprattutto le verifica preventiva dei soggetti indicati nel subappalto necessario, tanto che si parla in questi casi anche di “avvalimento sostanziale”), nessun particolare ostacolo dovrebbe allora porsi per riconoscere il descritto meccanismo del “frazionamento del requisito” anche per il subappalto necessario, atteso che una simile facoltà è espressamente ammessa per l’avvalimento dall’art. 89, comma 6, del decreto legislativo n. 50 del 2016, nella parte in cui si disciplina “l’avvalimento di più imprese ausiliarie”;
         d7) per tutte le ragioni sopra partitamente descritte [d1) – d6)], si ritiene dunque che anche per il “subappalto necessario” possa valere “un principio generale di frazionabilità del requisito qualificante”;
         d8) unica condizione sarebbe quella di dimostrare alla stazione appaltante la “capacità” e la “idoneità” dei soggetti indicati nonché la “disponibilità” effettiva dei mezzi necessari alla corretta ed integrale esecuzione della commessa;
         d9) sarebbe inoltre fatta salva la sussistenza di eccezionali circostanze tali da indurre la stazione appaltante a limitare l’esecuzione di talune prestazioni ad un solo operatore oppure ad un ristretto numero di soggetti;
         d10) nei termini anzidetti il Consiglio di Stato ha dunque ritenuto di porre il quesito di cui in massima alla Corte di giustizia UE.
   IV. – Si segnala per completezza quanto segue:
      e) in dottrina sul subappalto si veda:
         e1) con riferimento alla disciplina di cui all’art. 118 d.lgs. n. 163 del 2006: N. CENTOFANTI, M. FAVAGROSSA e P. CENTOFANTI, Il subappalto, Padova, 2012; A. GUARNIERI, D. TESSERA, commento all’art. 118, in Commentario al codice dei contratti pubblici, a cura di G. F. FERRARI, G. MORBIDELLI, Milano, 2013; A. DI RUZZA, C. LINDA, commento all’art. 118, in Codice dell'appalto pubblico, a cura di S. BACCARINI, G. CHINÈ, R. PROIETTI, Milano, 2015, 1366 ss.; C. SADILE, Il subappalto dei lavori pubblici, Milano, 2014; D. GALLI e C. GUCCIONE, Contratti pubblici: «avvalimento» e subappalto in Giornale dir. amm., 2015, 127;
         e2) con riferimento alla disciplina di cui all’art. 105 d.lgs. n. 50 del 2016: G. MANCINI, Brevi note sui limiti di ammissibilità del subappalto ai sensi dell'art. 105 del nuovo codice degli appalti in Riv. trim. appalti, 2016, 711; M. GENTILE, Il subappalto nel «nuovo» codice: aumentano limiti, vincoli e dubbi applicativi in Appalti & Contratti, 2016, 6, 43; R. DE NICTOLIS, I nuovi appalti pubblici, Bologna, 2017, 1488 ss.;
         e3) con riferimento alla disciplina successiva al correttivo al Codice dei contratti pubblici: M. GENTILE, Il correttivo allarga <con moderazione> le maglie del subappalto in Appalti & Contratti, 2017, 7, 15; G. BALOCCO, La riforma del subappalto e principio di concorrenza in Urbanistica e appalti, 2017, 621; G.A. GIUFFRE’, Le novità in tema di subappalto in Il correttivo al Codice dei contratti pubblici, a cura di M.A. SANDULLI, M. LIPARI, F. CARDARELLI, Milano, 2017, p. 331; M. CERUTI, Alcune brevi riflessioni in tema di subappalto fra tutela della concorrenza e prevenzione dell'illegalità, in Contratti Stato e enti pubbl., 2018, 3, pp. 39-52; D. PONTE, Subappalto: al 50% il limite dell'importo e abolita la terna (D.L. 18.04.2019 n. 32), in Guida al dir., 2019, 85-87;
         e4) sulla nuova disciplina del d.l. 18.04.2019, n. 32, “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” (cd. “Sblocca cantieri”), convertito con modificazioni in l. 14.06.2019, n. 55 (oggetto della News normativa, n. 74 del 10.07.2019, alla quale si rinvia per approfondimenti) si veda, in particolare, il contributo di DE NICTOLIS, Le novità sui contratti pubblici recate dal d.l. n. 32/2019, ivi richiamato:
I) il d.l. n. 32 del 2019 recava nella versione originaria un parziale adeguamento dell’art. 105 d.lgs. n. 50 del 2016 ai rilievi della Commissione europea in quanto modificava il limite generale del subappalto, innalzandolo dal trenta al cinquanta per cento dell’importo contrattuale;
II) non veniva accolto, invece, il rilievo della Commissione europea relativo al limite del subappalto per le opere di cui all’art. 89, comma 11 (art. 105, comma 5), ritenendosi tale limite giustificato dalla particolare natura delle prestazioni (secondo la Commissione europea sono
consentiti limiti quantitativi del subappalto giustificati dalla particolare natura della prestazione);
III) tali previsioni non sono state convertite in legge ma in sede di conversione, la l. n. 55 del 2019 ha operato sul subappalto un intervento transitorio, senza novellare il codice e limitandosi a sospendere l’efficacia di alcune norme e a derogarne altre, con conseguente individuazione del limite quantitativo del subappalto fissato nel quaranta per cento dell’importo complessivo del contratto fino al 31.12.2020;
         e5) sui limiti quantitativi e i requisiti soggettivi in materia di sub appalto: R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni, Bologna, 2020, 1342 ss.;
         e6) sulla compatibilità con il diritto europeo dei limiti al subappalto posti dalla legislazione italiana, spunti specifici sono infine offerti da M. MARTINELLI, La capacità economica e finanziaria, in Il nuovo diritto degli appalti pubblici a cura di R. GAROFOLI, M.A. SANDULLI, Milano, 2005, 633 (ove si evidenzia che “la giurisprudenza comunitaria appare orientata a riconoscere la possibilità di ricorrere al subappalto oltre i limiti eventualmente stabiliti dalla normativa interna, allorché i requisiti di capacità del terzo subappaltatore siano stati valutati in corso di gara dall’amministrazione aggiudicatrice…in tal caso, infatti, vi sono tutte le garanzie che l’appalto venga effettivamente eseguito da soggetti dotati di adeguata qualificazione”), M. E. COMBA, L'esecuzione delle opere pubbliche - Con cenni di diritto comparato, Torino, 2011, 61 ss., R. CARANTA, I contratti pubblici, Torino, 2012, 364, che, evidenziati i limiti al subappalto della legislazione italiana, stigmatizza che “si tratta di limiti tout court in contrasto con il diritto europeo”;
      f) quanto alla giurisprudenza europea in tema di subappalto si veda, più in generale:
         f1) Corte di giustizia UE, sez. V, 05.04.2017, C-298/2015, Borta UAB [in www.curia.europa.eu, 2017; Foro amm., 2017, 811 (m); Appalti & Contratti, 2017, fasc. 9, 76 (m)] secondo cui: “per gli appalti pubblici di rilievo transfrontaliero, anche se sotto la soglia di applicazione delle direttive europee, è interesse dell'Unione che l'apertura della procedura alla concorrenza sia la più ampia possibile, e il ricorso al subappalto, che può favorire l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce al perseguimento di tale obiettivo. Pertanto, una disposizione nazionale, che preveda che in caso di ricorso a subappaltatori per eseguire un appalto pubblico di lavori, l'aggiudicatario sia tenuto a realizzare l'opera principale, come descritta dall'amministrazione aggiudicatrice, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi”;
         f2) Corte di giustizia UE, sez. III, 14.07.2016, C-406/14 (in Foro it., 2016, IV, 389), secondo cui: “la direttiva 2004/18/Ce del parlamento europeo e del consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (Ce) 2083/2005 della commissione, del 19.12.2005, deve essere interpretata nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice non è autorizzata ad imporre, mediante una clausola del capitolato d’oneri di un appalto pubblico di lavori, che il futuro aggiudicatario esegua una determinata percentuale dei lavori oggetto di detto appalto avvalendosi di risorse proprie”;
         f3) Corte di giustizia UE, 14.01.2016, C-234/14 (in www.curia.europa.eu, 2016; Repertorio Foro it., 2016, voce Unione europea e Consiglio d'Europa, n. 1768), secondo cui: “Gli art. 47, par. 2, e 48, par. 3, direttiva 2004/18/Ce del parlamento europeo e del consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, devono essere interpretati nel senso che ostano a che un'amministrazione aggiudicatrice, nel capitolato d'oneri relativo ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, possa obbligare un offerente che faccia affidamento sulle capacità di altri soggetti, prima dell'aggiudicazione di detto appalto, a stipulare con questi ultimi un accordo di partenariato o a costituire con essi una snc.”;
         f4) Corte di giustizia UE, 10.10.2013, C-94/12 [in www.curia.europa.eu, 2013; Guida al dir., 2013, fasc. 43, 94, con nota di MASARACCHIA; Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 2630; Appalti & Contratti, 2013, fasc. 11, 84 (m), con nota di TRAMONTANA; Nuovo notiziario giur., 2014, 275; Urbanistica e appalti, 2014, 147, con nota di CARANTA; Giurisdiz. amm., 2013, III, 746], secondo cui: “Gli art. 47, par. 2, e 48, par. 3, direttiva 2004/18/Ce del parlamento europeo e del consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, letti in combinato disposto con l'art. 44, par. 2, della medesima direttiva, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione nazionale come quella in discussione nel procedimento principale, la quale vieta, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese”;
      g) sul progressivo allentamento delle rigorose maglie previste dalla disciplina nazionale per il sub appalto ad opera della Corte UE:
         g1) la prima pronunzia che si registra è quella della Corte di giustizia UE, sez. V, 26.09.2019, C-63/18, Vitali s.p.a. [in www.curia.europa.eu, 2019; Guida al dir., 2019, fasc. 43, 100 (m), con nota di PONTE; Gazzetta forense, 2019, 794, con nota di SPIZUOCO; Giur. it., 2020, 157 (m), con nota di GIUSTI, nonché oggetto della News US n. 105 del 14.10.2019 ed alla quale si rinvia per ogni approfondimento in dottrina e in giurisprudenza), con cui la Corte ha dichiarato che la normativa europea in materia di appalti pubblici deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi. Più in particolare, il ricorso al subappalto può favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
Per converso, una clausola che imponga limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta, sulla base ossia di una determinata percentuale dello stesso, si rivela incompatibile con tale direttiva. È ben vero, infatti, che i singoli Stati membri debbano verificare se i subappaltatori possano essere messi in relazione a fenomeni di organizzazione criminale, di corruzione o di frode, ma è anche vero, d’altro canto, che occorrono in tutti questi casi spazi per una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore.
E tanto anche in considerazione dei già numerosi istituti interdittivi, previsti dall’ordinamento italiano, espressamente finalizzati ad impedire l’accesso alle gare pubbliche per le imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese;
         g2) la successiva pronunzia è quella di cui alla Corte di giustizia UE, sez. V, 27.11.2019, C-402/18 – Tedeschi Srl e Consorzio Stabile Istant Service contro C.M. Service Srl e Università degli Studi di Roma La Sapienza (in Foro it., 2020, IV, 141, nonché oggetto della News US n. 131 del 10.12.2019 ed alla quale si rinvia per ogni approfondimento in dottrina e in giurisprudenza), con cui la Corte ha riaffermato la non conformità alla direttiva n. 2004/18/CE di una disciplina nazionale (nel caso di specie contenuta nell’art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006) nella parte in cui prevede il limite quantitativo del trenta per cento alle prestazioni subappaltabili, poiché quest’ultimo è ex se inidoneo al raggiungimento dello scopo di contrastare le infiltrazioni criminali nel sistema degli appalti pubblici. Riprese, in particolare, le stesse argomentazioni di cui alla richiamata sentenza della Corte di Giustizia UE 26.09.2019;
         g3) la validità del limite del 30%, per la parte di opera oggetto di subappalto, è stata tra l’altro oggetto di rilievo della Commissione europea, mediante la lettera di costituzione in mora 2018/2273 del 24.01.2019, con la quale è stato contestato, in relazione ad alcune disposizioni del codice, il non corretto recepimento delle direttive europee.
In particolare, ad avviso della Commissione: nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE non vi sono disposizioni che consentano un siffatto limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato; al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto, e pertanto un limite quantitativo al subappalto non può essere imposto in astratto, ma solo caso per caso in relazione alla particolare natura della prestazione da svolgere;
         g4) sul tema dei prezzi praticabili nei confronti del subappaltatore si veda ancora, con la quale è stata altresì dichiarata l’illegittimità della disciplina del Codice dei contratti (decreto legislativo n. 50 del 2016) nella parte in cui vieta che i prezzi applicabili alle prestazioni affidate in subappalto siano ridotti di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione in quanto si tratta di strumento che eccede rispetto alla necessità di assicurare la tutela salariale dei lavoratori impiegati nel subappalto.
Per la Corte, tale limite rende infatti meno allettante la possibilità di ricorrere al subappalto dal momento che limita l’eventuale vantaggio concorrenziale in termini di costi per il personale delle imprese subappaltatrici. Ciò si pone in contrasto con i principi di concorrenza e massima partecipazione e con lo scopo di agevolare l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
Un tale limite, prosegue ancora la Corte, eccede quanto necessario per assicurare ai lavoratori impiegati nell’ambito del subappalto la tutela salariale dal momento che non “lascia spazio ad una valutazione caso per caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dal momento che si applica indipendentemente da qualsiasi presa in considerazione della tutela sociale garantita dalle leggi, dai regolamenti e dai contratti collettivi applicabili ai lavoratori interessati” (punto 65);
         g5) sulla nuova disciplina di cui al decreto-legge n. 32 del 2019 si vedano ancora le considerazioni di cui alla lettera e4);
      h) sul “subappalto necessario” si veda, in particolare:
         h1) Cons. Stato, sez. V, 20.08.2019, n. 5745 [in Appalti & Contratti, 2019, fasc. 10, 104 (m)], secondo cui: “La giurisprudenza ha confermato che in sede di presentazione dell'offerta non è necessaria l'indicazione nominativa dell'impresa subappaltatrice anche in caso di subappalto necessario, e cioè allorché il concorrente non possieda la qualificazione nelle categorie scorporabili”;
         h2) Tar per il Lazio, sez. II, 06.03.2019, n. 3023 (in Foro amm., 2019, 560), secondo cui: “Dal 2° comma dell'art. 12 d.l. n. 47/2014 e dall'art. 92, 1° comma, d.p.r. n. 207/2010 (che, a norma degli art. 83, 2° comma, ultimo periodo e 214, 16° comma, d.leg. n. 50/2016, continua ad applicarsi fino all'adozione delle linee guida previste dal 2° comma, prima parte), scaturisce la regola generale per cui l'impresa singola che sia qualificata nella categoria prevalente per l'importo totale dei lavori può eseguire tutte le lavorazioni oggetto di affidamento ove copra con la qualifica prevalente i requisiti non posseduti nelle scorporabili, con l'eccezione secondo la quale, le categorie a qualificazione obbligatoria –tra cui è compresa la OS 28– non potendo essere eseguite direttamente dall'affidatario, qualificato solo per la categoria prevalente, devono essere subappaltate ad imprese munite di specifiche attestazioni”.
Ed ancora che: “Laddove l'art. 118, 2° comma, d.leg. n. 163/2006 ha catalogato i requisiti di validità del subappalto, ha evidentemente inteso circoscrivere, in maniera tassativa ed esaustiva, a quei presupposti (e solo a quelli) le condizioni di efficacia del subappalto, sicché ogni opzione ermeneutica che si risolvesse nell'aggiunta di un diverso ed ulteriore adempimento (rispetto a quelli ivi classificati come la richiesta indicazione del nome del subappaltatore) deve essere rifiutata in quanto finirebbe per far dire alla legge una cosa che la legge non dice (e che si presume non voleva dire); dall'esame della vigente normativa di riferimento può, in definitiva, identificarsi il paradigma (riferito all'azione amministrativa, ma anche al giudizio della sua legittimità) secondo cui l'indicazione del nome del subappaltatore non è obbligatoria all'atto dell'offerta, neanche nei casi in cui, ai fini dell'esecuzione delle lavorazioni relative a categorie scorporabili a qualificazione necessaria, risulti indispensabile il loro subappalto ad una impresa sprovvista delle relative qualificazioni (c.d. subappalto necessario)”.
Infine che: “Il subappalto necessario è contemplato da precise norme legislative e regolamentari, così da costituire un istituto di sicura applicabilità nelle gare a prescindere da qualsiasi espresso richiamo da parte dei bandi e in relazione al significato da attribuire alle dichiarazioni rese dalla ricorrente nella compilazione del modulo di partecipazione fornito dalla s.a. nella sua volontà di non fare affidamento sulle capacità di altri soggetti per soddisfare criteri di selezione agevolmente riconducibile alla semplice consapevolezza della società di poter concorrere autonomamente alla gara grazie alla sua qualificazione «sovrabbondante» nella categoria prevalente, salvo, poi, affidare concretamente in subappalto i lavori della scorporabile a soggetto specificamente qualificato, come dichiarato”;
         h3) Cons. Stato, Ad. plen., 02.11.2015, n. 9 (in Foro it., 2016, III, 65, con nota di CONDORELLI; Contratti Stato e enti pubbl., 2015, fasc. 4, 87, con nota di VESPIGNANI; Urbanistica e appalti, 2016, 167, con nota di GASTALDO LONGO, CANZONIERI; Giornale dir. amm., 2016, 365, con nota di GALLI, CAVINA; Nuovo dir. amm., 2016, 3, 53, con nota di NARDOCCI; Urbanistica e appalti, 2017, 456, con nota di SENATORE), il quale ha inteso risolvere il contrasto giurisprudenziale in tema di subappalto necessario, escludendo dunque l'obbligatorietà dell'indicazione del nominativo del subappaltatore già in sede di presentazione dell'offerta, anche “nell'ipotesi in cui il concorrente non possieda la qualificazione nelle categorie scorporabili” previste dall'art. 107, comma 2, d.P.R. n. 207 del 2010, che disciplina i requisiti di partecipazione alla gara;
         h4) Cons. Stato, sez. IV, 26.05.2014, n. 2675 (in Foro amm., 2014, 1419), secondo cui: “Nelle gare pubbliche, la mancata preventiva indicazione del nominativo del subappaltatore costituisce causa di legittima esclusione quando il concorrente è sfornito della qualificazione per le lavorazioni che ha dichiarato di voler subappaltare”;
         h5) Cons. Stato, sez. IV, 13.03.2014, n. 1224 (in Giurisdiz. amm., 2013, ant., 673; Urbanistica e appalti, 2014, 805, con nota di ACCARDI; Dir. e pratica amm., 2014, fasc. 6, 68 (m), con note di PORCU, ANGIONI), secondo cui: “L'affidamento in subappalto di cui all'art. 118, 2º comma, d.leg. 12.04.2006 n. 163 è inter alia subordinato alla condizione che, all'atto dell'offerta, i concorrenti abbiano indicato i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che intendono subappaltare o concedere in cottimo; la dichiarazione deve contenere anche l'indicazione del subappaltatore, unitamente alla dimostrazione del possesso, in capo a costui, dei requisiti di qualificazione, ogniqualvolta il ricorso al subappalto si renda necessario a cagione del mancato autonomo possesso, da parte del concorrente, dei necessari requisiti di qualificazione”;
      i) sul c.d. “requisito di punta” si veda, in particolare: Cons. Stato, sez. V, 02.02.2018, n. 678 (in Foro amm., 2018, 180), secondo cui: “L’avvalimento plurimo o frazionato non può essere consentito con riferimento al cd. requisito di punta, che deve essere necessariamente soddisfatto da una singola impresa, in quanto è espressione di una qualifica funzionale non frazionabile, perché attesta una esperienza qualificata nell'ambito dello specifico servizio oggetto della gara; il requisito di punta, in altri termini, proprio perché caratterizzante la qualità dell'impresa stessa, non può essere oggetto di frazionamento tra più soggetti, ma deve necessariamente essere posseduto in capo ad una singola impresa”;
      j) si veda infine la richiamata News US n. 105 del 14.10.2019 per gli approfondimenti ivi contenuti sul subappalto in generale, in tema di compatibilità con il diritto europeo dei limiti al subappalto posti dalla legislazione italiana [si vedano al riguardo i pareri resi dal Consiglio di Stato sul nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016) e sul correttivo allo stesso (d.lgs. n. 56 del 2017): nel parere n. 855/2016 il Consiglio di Stato aveva in particolare osservato, in relazione all’art. 105, che il legislatore nazionale potrebbe porre, in tema di subappalto, limiti di maggior rigore rispetto alle direttive europee, che non costituirebbero un ingiustificato goldplating, ma sarebbero giustificati da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro].
Si veda ancora, nella stessa News, il tema del riparto della competenza legislativa fra Stato e regioni, sempre avuto riguardo al subappalto (Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 10.06.2020 n. 3702 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIAlla Corte di Giustizia Ue la possibilità per il subappaltatore di integrare il requisito mancante della qualificazione obbligatoria in una o più categorie scorporabili.
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Contratti della Pubblica amministrazione - Subappalto – Qualificazione - Qualificazione obbligatoria in una o più categorie scorporabili – Requisito mancante – Integrazione - Ricorso a più imprese subappaltatrici – Rimessione alla Corte di Giustizia Ue.
É rimessa alla Corte di giustizia Ue la questione se gli artt. 63 e 71 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26.02.2014, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), ostino ad una interpretazione della normativa nazionale italiana in materia di subappalto necessario secondo la quale il concorrente sprovvisto della qualificazione obbligatoria in una o più categorie scorporabili non può integrare il requisito mancante facendo ricorso a più imprese subappaltatrici, ovvero cumulando gli importi per i quali queste ultime risultano qualificate (1).
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   (1) Ha ricordato la Sezione che la Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi sugli artt. 47 e 48 della previgente direttiva 2004/18/CE (per gli aspetti e le disposizioni che qui rilevano non contraddetta dalla successiva direttiva 2014/24/UE,) ha ripetutamente affermato:
   (i) il diritto di ciascun operatore di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti, “a prescindere dalla natura dei suoi legami con questi ultimi”, purché si dimostri all’amministrazione aggiudicatrice l’effettiva disponibilità dei mezzi necessari per eseguire l’appalto (cfr. CGUE, 10.10.2013, C 94/12, punti 29 - 35; CGUE, 14.01.2016, C-234/14, punti 23 e 28; CGUE, 14.07.2016, C 406/14, punto 33);
   (ii) la libertà dell’offerente di “..scegliere, da una parte, la natura giuridica dei legami che intende allacciare con gli altri soggetti sulle cui capacità egli fa affidamento ai fini dell'esecuzione di un determinato appalto e, dall'altra, le modalità di prova dell'esistenza di tali legami” (CGUE, 14.01.2016, C-234/14, punto 28);
   (iii) il generale principio di frazionabilità dei requisiti di partecipazione tra più imprese, suscettibile di deroga soltanto in presenza di comprovate circostanze eccezionali, ossia: “lavori che presentino peculiarità tali da richiedere una determinata capacità che non si può ottenere associando capacità inferiori di più operatori” e per i quali il livello minimo di capacità deve essere raggiunto da un operatore economico unico o, eventualmente, da un numero limitato di operatori economici (cfr. CGUE, 10.10.2013, C 94/12; CGUE, 14.07.2016, C 406/14).
Ancora più in dettaglio, la Corte di Giustizia:
   - nella sentenza C 94/12 (punto 31), per suffragare la portata generale del diritto dei concorrenti di fare affidamento sulle capacità di più operatori, ha rinviato alle norme sul subappalto, statuendo: “nel medesimo senso, l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva in parola autorizza i raggruppamenti di operatori economici a partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici senza prevedere limitazioni relative al cumulo di capacità, così come l’articolo 25 della stessa direttiva considera il ricorso a subappaltatori senza indicare limitazioni in proposito”;
   - nella sentenza C 406/14 (punto 33), resa in materia di subappalto, in maniera ancor più incisiva la Corte ha affermato che “l’articolo 48, paragrafo 3, di tale direttiva (n. 2004/18, n.d.r.) –prevedendo la facoltà per gli offerenti di provare che, facendo affidamento sulle capacità di soggetti terzi, essi soddisfano i livelli minimi di capacità tecniche e professionali stabiliti dall’amministrazione aggiudicatrice, a condizione di dimostrare che, qualora l’appalto venga loro aggiudicato, disporranno effettivamente delle risorse necessarie per la sua esecuzione, risorse che non appartengono loro personalmente– sancisce la possibilità per gli offerenti di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di un appalto, e ciò, in linea di principio, in modo illimitato”;
   - nella sentenza C 234/14 (punto 28), anche questa resa in materia di subappalto, la Corte ha ulteriormente precisato che “l'offerente rimane libero di scegliere, da una parte, la natura giuridica dei legami che intende allacciare con gli altri soggetti sulle cui capacità egli fa affidamento ai fini dell'esecuzione di un determinato appalto e, dall'altra, le modalità di prova dell'esistenza di tali legami”.
L’interpretazione di cui si è dato conto, per espressa affermazione della Corte di Giustizia, risponde all’obiettivo dell’apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, a vantaggio non soltanto degli operatori economici stabiliti negli Stati membri, ed in particolare delle piccole e medie imprese, ma anche delle stesse amministrazioni aggiudicatrici.
Si tratta di obiettivi propri della direttiva 2004/18/CE e rafforzati dalla direttiva 2014/24/UE (v. considerando 1, 41, 78, 100 e 105 della direttiva 2014/24).
Il fatto che essi siano stati ribaditi dalla Corte di Giustizia con riferimento a fattispecie riguardanti sia l’istituto dell’avvalimento che quello del subappalto, comprova che le pur obiettive differenze strutturali che intercorrono tra i due istituti (l’avvalimento rileva nella fase di implementazione dei requisiti di partecipazione ad una gara; il subappalto, posto "a valle" del contratto di appalto, attiene alla sua esecuzione) non elidono la loro comune connotazione quali moduli organizzativi alternativamente idonei a garantire l'ampliamento della possibilità di partecipazione alle gare anche a soggetti in apice sforniti dei requisiti di partecipazione (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 2675/2014 e n. 1224/2014; CGUE, 05.04.2017, C-298/15, punti 47 e ss.; CGUE, 14.01.2016, C-234/14, punto 28; CGUE, 10.10.2013, C 94/12, punto 31).
La Corte di Giustizia riconosce che il ricorso al subappalto, favorendo l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce, al pari dell’avvalimento, a realizzare l’obiettivo di rendere la concorrenza la più ampia possibile (CGUE, 26.09.2019, C-63/18, punto 27 e CGUE, 27.11.2019, C-402/18, punto 39).
Il confronto con l’istituto dell’avvalimento offre l’occasione, da un lato, per illustrare le possibili obiezioni all’estensione anche al subappalto del principio del frazionamento dei requisiti; e, dall’altro, per accennare alle ragioni che hanno alimentato la linea prudenziale storicamente adottata dal legislatore italiano nel dare ingresso al subappalto nel sistema degli appalti pubblici.
Sotto questo secondo aspetto rileva il fatto che il subappalto, confinato alla fase esecutiva dell’appalto e sottratto ai controlli amministrativi aventi sede nella procedura di gara:
   (i) si presta ad una possibile sostanziale elusione dei principi di aggiudicazione mediante gara e di incedibilità del contratto;
   (ii) costituisce un mezzo di possibile infiltrazione negli pubblici appalti della criminalità organizzata, la quale può sfruttare a suo vantaggio l’assenza di verifiche preliminari sull’identità dei subappaltatori proposti e sui requisiti di qualificazione generale e speciale di cui agli artt. 80 e 83, d.lgs. n. 50 del 2016;
   (iii) conosce una prassi applicativa talora problematica, poiché la tendenza dell’appaltatore a ricavare il suo maggior lucro sulla parte del contratto affidata al subappaltatore (tendenzialmente estranea ad ingerenze della stazione appaltante) produce riflessi negativi sulla corretta esecuzione dell’appalto, sulla qualità delle prestazioni rese e sul rispetto della normativa imperativa in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro.
Da questa serie di limiti disfunzionali (segnalati nei pareri n. 855/2016 e n. 782/2017 resi da questo Consiglio, rispettivamente, sul progetto di nuovo Codice dei contratti pubblici e sul decreto legislativo di correttivo al Codice) hanno tratto spunto le opzioni restrittive inserite nel vigente codice degli appalti, di recente e sotto diversi profili censurate dalla Corte di Giustizia (CGUE 26.09.2019, C-63/18; CGUE, 27.11.2019, C-402/18).
Il rischio al quale il subappalto sembra esporre l’integrità dei contratti pubblici e la loro immunità da infiltrazioni della criminalità è peraltro accresciuto da una reiterata impostazione normativa che, pur onerando il concorrente in gara della indicazione generalizzata, sin nell'atto dell'offerta, dei lavori o delle parti di opere che egli intende subappaltare (art. 105, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016), per il resto circoscrive a più limitate ipotesi l’obbligo di indicazione, già in sede di formulazione dell’offerta, del nominativo delle imprese subappaltatrici (art. 105, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016)
Le riportate ragioni di cautela (tutte presenti all’attenzione del legislatore comunitario, come chiaramente evincibile dalla lettura del considerando n. 105 della Dir. 2014/24/UE) rilevano in modo particolare nel caso del subappalto “necessario” proprio perché, mentre nell’ipotesi ordinaria del subappalto “facoltativo” l'appaltatore già possiede in proprio tutti i requisiti necessari per l'esecuzione dell'appalto, pur scegliendo, sulla base di una valutazione discrezionale e di mera opportunità economica, di subappaltare talune prestazioni ad un'altra impresa; viceversa, nel caso del subappalto “necessario” l'appaltatore difetta dei requisiti necessari per realizzare una o più prestazioni dell'appalto, motivo per cui è egli obbligato a subappaltarle ad un'impresa in possesso di quegli stessi requisiti.
In virtù di tale elemento caratterizzante, l’istituto in esame presenta evidenti similitudini con l'avvalimento. Un significativo tratto differenziale permane, tuttavia, in relazione al fatto che il subappaltatore esegue in proprio le opere affidategli, rispondendone esclusivamente nei confronti dell’impresa subappaltante, unica responsabile nei confronti della stazione appaltante; al contrario, nell’avvalimento l’ausiliario non è esecutore dell’opera (se non nei limiti fissati dall’art. 89, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016) e, tuttavia, consentendo al concorrente di integrare i requisiti mancanti necessari per la partecipazione alla gara, egli diviene parte sostanziale del contratto di appalto, assumendone insieme al concorrente principale la responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante (art. 89, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016).
Dunque, divergenze significative tra i due istituti (avvalimento e subappalto) si riscontrano in ordine al regime di responsabilità dell’impresa ausiliaria ed al suo ruolo nella esecuzione dell’appalto. Le stesse si attenuano, come si è visto, nel caso del subappalto “necessario” soggetto all’obbligo della contestuale indicazione in sede di gara sia delle attività per le quali si intende ricorrere al subappalto, sia del nominativo dei subappaltatori e dei relativi requisiti (ai sensi art. 105, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016), tanto da giustificarne la denominazione di "avvalimento sostanziale".
Si è già visto, infatti, che nel caso degli appalti sopra-soglia l’indicazione della terna dei subappaltatori è obbligatoria sin dalla formulazione dell’offerta (art. 105, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016), sicché la stazione appaltante ha modo di poter esperire in fase di gara i necessari controlli circa il possesso delle capacità tecnico - professionali e l’insussistenza delle cause di esclusione (artt. 80 e 83 e ss., d.lgs. n. 50 del 2016).
E’ lecito chiedersi, a questo punto, se le residuali differenze che pure in questa specifica ipotesi permangono tra i due istituti giustifichino un’impostazione divergente anche con riguardo alla possibilità di frazionamento dei requisiti tra più imprese ausiliarie.
Detta facoltà -non espressamente contemplata in materia di subappalto- è invece prevista dal vigente codice degli appalti in materia di avvalimento, in quanto l’attuale art. 89, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016, in linea con gli indirizzi espressi in tema dalla Corte di Giustizia, ammette “l’avvalimento di più imprese ausiliarie”.
Come già ricordato, tanto le più risalenti direttive, quanto quelle più attuali, non prevedono l’imposizione di limitazioni aprioristiche ed astratte al subappalto e ne sottolineano la funzione “positiva”, ricollegandolo ai già richiamati principi di parità di trattamento e non discriminazione nei confronti degli operatori economici, oltre che ai principi di libertà di stabilimento, libera circolazione delle merci e dei capitali, concorrenza e proporzionalità. A questa impostazione, la Dir. 2014/24/UE ha aggiunto indicazioni di maggior dettaglio, riconoscendo agli Stati membri la possibilità di ampliare i poteri di verifica e di controllo della stazione appaltante sui requisiti dei subappaltatori; e di rendere il subappaltatore direttamente responsabile verso la stazione appaltante, riconoscendogli al contempo il diritto ad essere retribuito direttamente da quest’ultima per le prestazioni rese (si vedano i paragrafi III, VI lett. a) e VII dell’art. 71 della Dir. 2014/24/UE).
Tali innovative disposizioni (solo in parte recepite dai commi 6 e 13 dell’art. 105, d.lgs. n. 50 del 2016) paiono corrispondere alle finalità di maggiore trasparenza e tutela giuslavoristica che in epoca precedente erano rimaste appannaggio specifico della normativa italiana.
In definitiva, la normativa comunitaria ammette la tendenziale completa e incondizionata subappaltabilità delle prestazioni dedotte nel contratto di appalto ed al contempo riconosce il pieno diritto del prestatore privo di determinati requisiti di poter fare ricorso alle capacità di terzi soggetti, ferma restando la speculare esigenza da parte della stazione appaltante di poter valutare la competenza, l’efficienza e l’affidabilità dei subappaltatori.
La decisione della Corte di Giustizia 14.07.2016, Wroclawl (causa C-406/14), resa in relazione alla Dir. 2004/18, ha giustappunto ritenuto che la possibilità per gli offerenti di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di un appalto è in linea di principio illimitata, ma ha anche specificato che, in via di eccezione, “conformemente all’articolo 25, primo comma, della direttiva 2004/18, l’amministrazione aggiudicatrice ha il diritto, per quanto riguarda l’esecuzione di parti essenziali dell’appalto, di vietare il ricorso a subappaltatori quando non sia stata in grado di verificare le loro capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione dell’aggiudicatario” (punto 33).
Al contempo, la decisione del 05.04.2017, C-298/15 (punto 55) -nel ribadire la necessità di ancorare proporzionalmente i divieti in materia di subappalto a considerazioni specifiche riferite, di volta in volta, al settore economico interessato dall'appalto di cui trattasi, alla natura dei lavori nonché alle qualifiche dei subappaltatori- ha avversato impostazioni di segno alternativo che dovessero fare ricorso a previsioni limitative di carattere generale e indifferenziato.
La Sezione coglie, dunque, nel contenuto delle direttive, come interpretate dalle richiamate pronunce Corte di Giustizia, una latitudine precettiva apparentemente estensibile ad ogni tipologia di rapporto ausiliario che consenta all’operatore in gara di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, “a prescindere dalla natura dei suoi legami con questi ultimi” ed anche nella forma del frazionamento o del “cumulo di capacità”.
Osserva anche che, nell’ipotesi del subappalto “necessario” viene a realizzarsi la possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di accertare la disponibilità (in capo al concorrente ed ai suoi subappaltatori) dei mezzi e dei requisiti necessari alla esecuzione dell’opera; e che, secondo quanto di recente precisato dalla stessa Corte, limitazioni al subappalto, ulteriori rispetto a quelle contemplate nella fonte comunitaria, non possono essere reputate coerenti o proporzionate agli obiettivi delle direttive comunitarie se l’ente aggiudicatore è in grado di verificare le identità e l’idoneità dei subappaltatori interessati e, quindi, è posto nella condizione di scongiurare il rischio di un ingresso opaco e non vigilato di terze imprese nella esecuzione dell’appalto (CGUE, 26.09.2019, C-63/18, punti 29 e 41-44; CGUE, 27.11.2019, C-402/18, punti 48 e 49).
Ancora più in generale, la Sezione rinviene negli orientamenti del giudice comunitario l’indicazione sintetica secondo la quale istituti espansivi della concorrenza (quali sono intesi l’avvalimento e il subappalto) possono tollerare limitazioni proporzionate e occasionali, non quindi generali e astratte, ma di volta in volta calibrate dall’amministrazione aggiudicatrice sulle peculiarità della singola gara ed in ragione degli eventuali fattori (il settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, la natura dei lavori, la tipologie di qualifiche richieste) che in essa concorrono a suggerire l’introduzione di specifiche condizioni restrittive.
Appare quindi plausibile concludere che, in applicazione di queste stesse indicazioni ermeneutiche, anche nel caso sin qui delineato (subappalto necessario, implicante l’obbligo di indicazione delle prestazioni da subappaltare e del nominativo dei subappaltatori) debba valere un principio generale di frazionabilità del requisito qualificante, suscettibile di motivata deroga nei casi in cui la stazione appaltante ritenga di individuare casi e limiti ostativi oltre i quali la sicurezza e la qualità dell’opera potrebbero essere messe a rischio dal meccanismo del frazionamento del requisito. In ipotesi siffatte la stessa stazione appaltante potrebbe dunque imporre, nella legge di gara, che il livello minimo della capacità in questione venga raggiunto da un unico operatore economico o, eventualmente, facendo riferimento ad un numero limitato di operatori economici.
È quanto avviene nella parallela materia dell’avvalimento, in presenza di determinati requisiti (cd. “di punta”) che si ritiene debbano essere soddisfatti da una singola impresa ausiliaria, in quanto espressione di qualifiche funzionali non frazionabili (v. Cons. Stato, sez. V, n. 678 del 2018).
La questione interpretativa pregiudiziale di seguito proposta risulta dirimente ai fini della decisione del ricorso.
Invero, qualora dovesse ritenersi che il diritto eurounitario non ammette preclusioni al frazionamento del requisito tra più subappaltatori ovvero tra questi e l’impresa concorrente, il giudizio a quo dovrebbe concludersi con una sentenza favorevole alla parte Rti Research e con la conseguente conferma della sua ammissione in gara.
Per contro, nel caso in cui si dovesse accogliere l’opzione contraria, il giudizio dovrebbe concludersi con una sentenza di conferma dell’annullamento dell’atto di ammissione.
Al contempo, la pronuncia parziale di questa sezione n. 3573 del 05.06.2020 lascia intatte, al momento, le chances di aggiudicazione del contratto in capo alla parte Rti Re., poiché non prefigura un esito vincolato della procedura di gara in favore della controparte De. (Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 10.06.2020 n. 3702 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIOmissione sottoscrizione digitale da parte della mandante.
Domanda
In sede di apertura di una gara telematica il documento d’offerta generato dal sistema Sintel Regione Lombardia non risulta firmato digitalmente dalla mandante di un operatore economico che partecipa in raggruppamento.
È corretto procedere all’esclusione del raggruppamento?
Risposta
La questione evidenziata nel quesito, in assenza di indicazioni precise sulla modalità di costruzione della procedura di gara, non è di facile soluzione, stante, tra l’altro, le differenti posizioni assunte dalla giurisprudenza.
Occorre in primo luogo fare una distinzione tra “offerta economica” in senso stretto e “documento d’offerta generato” da un sistema telematico.
Nel primo caso, ovvero offerta economica in senso stretto, si ritiene di aderire all’orientamento del C.d.S. sez. III, sent. n. 2542 del 25.05.2017 che, relativamente alla partecipazione da parte di un RTI da costituirsi, rileva come l’offerta debba essere sottoscritta digitalmente dai legali rappresentanti dei singoli operatori associati, pena la mancanza di un elemento essenziale dell’offerta stessa, non sanabile ex post a mezzo del c.d. soccorso istruttorio.
È opportuno evidenziare come sul punto la giurisprudenza non sia assolutamente unanime, consentendo talvolta la “soccorribilità” nel caso di carenza di sottoscrizione da parte della mandante. Trattasi, tuttavia, di procedure che richiamando situazioni caratterizzate da specificità particolari, non credo possano ritenersi tali da rappresentare massime giurisprudenziali di applicazione generale (cfr. TAR Toscana, Firenze sent. n. 288 del 06.03.2020, TAR Calabria, Catanzaro, sent. 836 del 07.05.2020).
Diverso è il caso dell’eventuale carenza di sottoscrizione del documento d’offerta generato in automatico dal sistema telematico. Per quanto riguarda il Mepa ad esempio, tralasciando la questione dell’eventuale raggruppamento, il TAR Calabria, Catanzaro sent. n. 08.11.2019 n. 458, ha ritenuto che la presentazione di un’offerta, firmata digitalmente, redatta senza utilizzare il file generato direttamente dal sistema telematico, ma mediante la compilazione di un proprio modello, non sia causa di esclusione, a nulla rilevando la mancata sottoscrizione e allegazione della bozza di offerta generata in automatico dallo strumento informatico.
Con riferimento al quesito in premessa, ed in particolare alla gestione della piattaforma Sintel, il RTI dovrà essere escluso qualora il documento offerta (generato dal sistema) costituisca l’unico atto in cui l’operatore economico fa proprie le dichiarazioni riportate a video, quali ad esempio offerta economica, costi della sicurezza interna e della manodopera ex art. 95, co. 10, del d.lgs. 50/2016. In questo caso, solo con la firma del documento d’offerta l’operatore assume la paternità delle dichiarazioni rese, come effettiva espressione di una manifestazione di volontà, e come tale da sottoscriversi digitalmente, a pena di esclusione, dalla capogruppo e delle mandanti.
Qualora invece il Documento d’offerta generato dal sistema sia meramente riepilogativo di dichiarazioni regolarmente presentate in altri step, ovvero nella Busta Amministrava, Busta Tecnica e Busta Economica, secondo il Tar Lombardia Milano sez. I 24.03.2020 n. 555, trattasi di una mera “formula di sintesi”, connessa alla peculiarità della procedura e che non integra e/o modifica o sostituisce la volontà negoziale dell’operatore economico, la cui irregolarità è meritevole di essere sanata tramite il soccorso istruttorio (10.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI SERVIZIAffitto di ramo d’azienda di durata inferiore rispetto alla durata dell’appalto aggiudicato.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di partecipazione - Fatturato specifico - Affitto di ramo d’azienda - Durata inferiore rispetto alla durata dell’appalto aggiudicato – Irrilevanza – Ratio.
Il requisito del fatturato specifico ottenuto nel triennio precedente alla pubblicazione del bando rileva ai fini dell’ammissione dei concorrenti alla procedura; sicché, dopo l’aggiudicazione, esso può anche venir meno (perché, per esempio, nell’anno successivo il fatturato è calato), senza che l’impresa patisca alcuna conseguenza rispetto all’esecuzione del contratto; ne consegue che non rileva, ai fini dell’aggiudicazione, che l’affitto di ramo d’azienda sia di durata inferiore rispetto alla durata dell’appalto aggiudicato (1).
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   (1) Ha affermato la Sezione che qualsiasi ulteriore valutazione in merito al contratto di affitto di ramo di azienda -attinente alla sua eventuale e futura fase esecutiva- non assume valenza ai fini della legittima partecipazione alla procedura di gara (Cons. St., sez. III, 06.11.2019, n. 7581).
Invero l'unica disposizione dedicata a disciplinare gli effetti del contratto d'affitto d'azienda sulla qualificazione dell'impresa affittuaria stabilisce, chiaramente ed espressamente, che quest'ultima "può avvalersi dei requisiti posseduti dall'impresa locatrice se il contratto di affitto abbia durata non inferiore a tre anni" (art. 76, comma 9, d.P.R. 05.10.2010, n. 207): “la formulazione testuale di tale disposizione impone una sua esegesi coerente con il dato testuale” (Cons. St., sez. III, 30.06.2016, n. 2952).
Essa fissa il punto di equilibrio individuato dal legislatore, nell’intento di coniugare il favor partecipationis, cui le direttive sono ispirate, e la tendenziale stabilità del requisito, così consentendo all’offerente di avvalersi dei requisiti posseduti dall'impresa locatrice solo se il contratto di affitto ha durata non inferiore a tre anni. Una volta soddisfatto tale requisito, non è consentito indagare oltre circa l’esatta corrispondenza tra durata dei due rapporti contratti (contratto di affitto e contratto di appalto).
Del resto, diversamente ragionando, se si desse un rilievo ultratriennale al requisito sol perché trattasi di un requisito mutuato dall’affittuario, allora dovrebbe darsi rilievo anche all’astratta possibilità della risoluzione del contratto d’affitto o altre eventuali e imprevedibili cause di estinzione, ossia a circostanze che, in realtà, il legislatore ha assorbito nella valutazione di sintesi cristallizzata nell’art. 76 cit. (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.06.2020 n. 3585 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTII costi del lavoro di cui qui si discute afferiscono ad interventi di miglioria (non inclusi, quindi, nel progetto posto a base di gara) e che gli stessi costi sono stati autonomamente considerati e contabilizzati ab initio, sia pure in una distinta parte dell’offerta (le spese generali).
Ebbene, la mancata inclusione nel costo complessivo della manodopera dei costi del lavoro relativi alle sole opere di miglioria ed il loro inserimento nelle spese attinenti alla realizzazione delle medesime, non appaiono violativi né delle indicazioni della lex specialis, né delle finalità dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016.
Nel caso di specie, la legge di gara non imponeva di indicare separatamente gli oneri della manodopera delle varianti migliorative nell’offerta economica, né di ricomprendere detti oneri nel valore indicato per l’esecuzione delle opere a base di gara.
La Corte europea di giustizia ha chiarito che la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, all’interno di un’offerta presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione automatica dell’impresa dalla gara, a meno che la stessa non sia stata indotta in errore dalla documentazione preparata dall’amministrazione.
Questo Consiglio di Stato (esaminando una analoga fattispecie di appalto da retribuire a corpo, nel quale era stata omessa la distinta indicazione dei costi di manodopera riferiti alle opere migliorative) si è a sua volta espresso nel senso di ritenere giustificata da legittimo affidamento l’omessa indicazione nell’offerta economica dei costi del lavoro relativi alla variante migliorativa, in assenza di specifiche prescrizioni nella legge di gara o nella relativa modulistica che potessero indurre a ravvisare un obbligo in senso contrario.
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Quanto all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016 -se la sua ratio è quella di consentire alla stazione appaltante, in un’ottica acceleratoria e di massima tutela e protezione dei lavoratori, di procedere alla verifica della congruità del costo della manodopera proposto dai concorrenti in base alle previsioni contenute nelle tabelle ministeriali e nei contratti collettivi applicabili- appare ragionevole ritenere che detta valutazione debba essere ragguagliata ai costi dalla stessa stazione appaltante preventivamente valutati e posti a base di gara per l’esecuzione del progetto, ovvero attraverso un confronto rapportato ad ordini di grandezza (i costi della manodopera dei diversi concorrenti e quelli stimati dall’amministrazione) tra di loro paragonabili, in quanto calibrati sulle medesime voci di costo. Le migliorie non rientrano fra le prestazioni necessarie che completano la commessa e che, pertanto, la stazione appaltante considera al fine di compiere la sua stima preventiva dei costi della manodopera.
Il fatto poi che l’art. 95, comma 10, imponga all’operatore di indicare nell'offerta economica “i propri costi della manodopera”, non risolve i dubbi concernenti la portata di tale indicazione, poiché non chiarisce se tale formulazione debba intendersi riferita anche alla componente dei costi relativi agli interventi “migliorativi”, da includersi necessariamente nella voce unitaria dei costi del lavoro dell’offerta economica.
Dunque, tanto la lex specialis, quanto la ratio dell’art. 95, comma 10, potevano legittimamente indurre a ritenere che gli oneri della manodopera per l’esecuzione degli interventi migliorativi, esclusi dal progetto a base di gara, non dovessero essere indicati specificatamente nel modulo dell’offerta economica.
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La stessa rigorosa giurisprudenza che individua il costo della manodopera quale elemento essenziale dell’offerta riconosce l’ammissibilità di “limitati aggiustamenti”, allorché gli stessi siano frutto di mero errore materiale, non rivelino carattere sostanziale o comunque costituiscano una mera “rimodulazione” degli oneri in precedenza stimati.
Vertendosi, peraltro, in materia di appalto da retribuire a corpo, la mancata specificazione del singolo elemento di prezzo non ha comunque potuto comportare alcuna alterazione della par condicio dei concorrenti, poiché detta tipologia di remunerazione viene determinata in una somma fissa ed invariabile, risultante dal ribasso offerto sull’importo a base d’asta, sicché elemento essenziale è solo tale importo finale, risultando irrilevanti le voci di costo che concorrono a formarlo.
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6. - Restano da esaminare gli ulteriori motivi del ricorso principale di primo grado respinti dal Tar e riproposti nell’appello del Rti Re. (n. 10349/2019).
6.1. - Con il secondo motivo di ricorso (il primo riguardava il diniego di accesso agli atti), il Rti Re. aveva contestato la violazione dell’art. 95, comma 10, del d.lgs n. 50/2016, in ragione del fatto che i costi della manodopera relativi alle migliorie proposte nell’ambito dell’offerta tecnica di De. sarebbero stati esplicitati dall’aggiudicataria solo in sede di verifica dell’anomalia, e non invece indicati nel modulo dell’offerta economica (alla voce “costi della manodopera”).
6.2. - Il Tar ha ritenuto la censura infondata sulla considerazione che: “L’esplicitazione dei costi della manodopera delle migliorie, posta in essere dalla concorrente in sede di Relazione integrativa di chiarimenti (mediante la produzione di singole schede per ogni lavorazione ricompresa nelle migliorie stesse, dalle quali la centrale di committenza riusciva a quantificare il costo imputabile alla manodopera), non configura una variazione dell’offerta.
Invero, detti costi risultavano già esposti ab origine dal RTI De., e in sede di chiarimenti venivano semplicemente evidenziati, ciò che non configura modifica dell’offerta stessa. Solo laddove gli stessi fossero stati inizialmente omessi, e poi (con i chiarimenti) inseriti, o variati nell’importo indicato, si sarebbe potuto parlare di modificazione, alla quale avrebbe potuto conseguire una variazione dell’equilibrio economico dell’offerta
”.
6.3. - Re. (al punto 3.1 del terzo motivo di appello) osserva che il Rti aggiudicatario ha indicato in sede di offerta economica un costo della manodopera di € 39.492.877,80 (ridotto rispetto al costo della manodopera indicato negli atti di gara in € 52.218.531,01), ed ha inserito nelle spese generali il costo delle migliorie (€ 2.056.627,92), comprensivo del relativo costo del lavoro (€ 446.123,16). Dunque, la mancata indicazione nell’offerta, sotto la voce costo della manodopera, del costo del lavoro relativo alle opere di miglioria, configurerebbe una violazione dell’art. 95, comma 10, poiché gli oneri complessivi della manodopera non sarebbero quelli esposti nell’offerta, pari ad € 39.492.877,80, bensì consisterebbero nel diverso importo, emerso solo in sede di giustificazioni, pari ad € 39.939.000,96 (€ 39.492.877,80 + € 446.123,16).
Ne risulterebbe, pertanto, un’inammissibile modifica di un elemento costitutivo dell’offerta economica.
6.4. - Il motivo non può essere condiviso.
La parte ricorrente intende attrarre la fattispecie all’esame nel genus casistico (certamente patologico) dell’omessa indicazione o della non consentita variazione del costo della manodopera. Manca, tuttavia, di considerare, il tratto peculiare che connota in senso distintivo il caso in oggetto dalle fattispecie chiamate a raffronto, ovvero il fatto che i costi del lavoro di cui qui si discute afferiscono ad interventi di miglioria (non inclusi, quindi, nel progetto posto a base di gara – v. art. 7 del disciplinare); e che gli stessi costi sono stati autonomamente considerati e contabilizzati da De. ab initio, sia pure in una distinta parte dell’offerta (le spese generali).
Ebbene, la mancata inclusione nel costo complessivo della manodopera dei costi del lavoro relativi alle sole opere di miglioria ed il loro inserimento nelle spese attinenti alla realizzazione delle medesime, non appaiono violativi né delle indicazioni della lex specialis, né delle finalità dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016.
6.4.I) Sotto il primo profilo, la legge di gara non imponeva di indicare separatamente gli oneri della manodopera delle varianti migliorative nell’offerta economica, né di ricomprendere detti oneri nel valore indicato per l’esecuzione delle opere a base di gara.
La Corte europea di giustizia con la sentenza emessa, il 02.05.2019, nella causa C-309/18, ha chiarito che la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, all’interno di un’offerta presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione automatica dell’impresa dalla gara, a meno che la stessa non sia stata indotta in errore dalla documentazione preparata dall’amministrazione.
Questo Consiglio di Stato (esaminando una analoga fattispecie di appalto da retribuire a corpo, nel quale era stata omessa la distinta indicazione dei costi di manodopera riferiti alle opere migliorative) si è a sua volta espresso nel senso di ritenere giustificata da legittimo affidamento l’omessa indicazione nell’offerta economica dei costi del lavoro relativi alla variante migliorativa, in assenza di specifiche prescrizioni nella legge di gara o nella relativa modulistica che potessero indurre a ravvisare un obbligo in senso contrario (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 2875/2019).
6.4.II) Quanto all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016 -se la sua ratio è quella di consentire alla stazione appaltante, in un’ottica acceleratoria e di massima tutela e protezione dei lavoratori, di procedere alla verifica della congruità del costo della manodopera proposto dai concorrenti in base alle previsioni contenute nelle tabelle ministeriali e nei contratti collettivi applicabili- appare ragionevole ritenere che detta valutazione debba essere ragguagliata ai costi dalla stessa stazione appaltante preventivamente valutati e posti a base di gara per l’esecuzione del progetto, ovvero attraverso un confronto rapportato ad ordini di grandezza (i costi della manodopera dei diversi concorrenti e quelli stimati dall’amministrazione) tra di loro paragonabili, in quanto calibrati sulle medesime voci di costo. Le migliorie non rientrano fra le prestazioni necessarie che completano la commessa e che, pertanto, la stazione appaltante considera al fine di compiere la sua stima preventiva dei costi della manodopera.
6.4.III) Il fatto poi che l’art. 95, comma 10, imponga all’operatore di indicare nell'offerta economica “i propri costi della manodopera”, non risolve i dubbi concernenti la portata di tale indicazione, poiché non chiarisce se tale formulazione debba intendersi riferita anche alla componente dei costi relativi agli interventi “migliorativi”, da includersi necessariamente nella voce unitaria dei costi del lavoro dell’offerta economica.
6.4.IV) Dunque, tanto la lex specialis, quanto la ratio dell’art. 95, comma 10, potevano legittimamente indurre a ritenere che gli oneri della manodopera per l’esecuzione degli interventi migliorativi, esclusi dal progetto a base di gara, non dovessero essere indicati specificatamente nel modulo dell’offerta economica.
6.4.V) Non induce a diverse conclusioni la giurisprudenza invocata dalla parte appellante, in quanto elaborata in relazione alle distinte fattispecie del concorrente “...che formuli un’offerta economica omettendo del tutto di specificare quali siano gli oneri connessi alle prestazioni lavorative” (così Cons. Stato, Ad. Plen. n. 3/2019 - § 3.4.5), o che ometta immotivatamente l’indicazione esplicita di una parte rilevante dei costi della manodopera (così nel caso esaminato da Tar Milano, sez. IV, n. 1955/2019); ovvero, ancora, che in sede di procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta attui una “evidente manipolazione dell’offerta economica” attraverso “una diversa ridistribuzione (composizione e ricomposizione) dei costi .. anche della mano d’opera che coinvolga importi, in valore assoluto ed in percentuale, rispetto al costo complessivo dell’offerta, di non poco rilievo” (Tar Napoli, sez. III, n. 4360/2019).
6.4.VI) Viceversa, la stessa rigorosa giurisprudenza che individua il costo della manodopera quale elemento essenziale dell’offerta riconosce l’ammissibilità di “limitati aggiustamenti”, allorché gli stessi siano frutto di mero errore materiale, non rivelino carattere sostanziale o comunque costituiscano una mera “rimodulazione” degli oneri in precedenza stimati (Cons. Stato, sez. V, nn. 8823/2019 e 2350/2020).
Fermo quanto già chiarito circa il legittimo affidamento che l’aggiudicataria può avere tratto dalle indicazioni della legge di gara, è ancora il caso di segnalare che, nella vicenda in esame, l’incongruenza contestata riguarda un importo (€ 446.123,16) pari ad appena l'1,13% del costo complessivo della manodopera, sicché, a tutto voler concedere, anche ove intesa come variazione dell’indicazione del costo del lavoro, si tratterebbe di un aggiustamento “limitato”, se ragguagliato ai valori della componente dell’offerta in questione.
Vertendosi, peraltro, in materia di appalto da retribuire a corpo, la mancata specificazione del singolo elemento di prezzo non ha comunque potuto comportare alcuna alterazione della par condicio dei concorrenti, poiché detta tipologia di remunerazione viene determinata in una somma fissa ed invariabile, risultante dal ribasso offerto sull’importo a base d’asta, sicché elemento essenziale è solo tale importo finale, risultando irrilevanti le voci di costo che concorrono a formarlo (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, n. 2057/2018 e 2875/2019).
Per le diverse ragioni sin qui illustrate, il motivo di appello va respinto (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.06.2020 n. 3573 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIEsclusione dalla gara per omessa dichiarazione rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Omessa dichiarazione rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta – Va esclusa.
L’omessa dichiarazione, da parte di una società concorrente ad una gara pubblica, del rinvio a giudizio del proprio legale rappresentante per bancarotta fraudolenta comporta l’esclusione della stessa dalla procedura, non avendo con tale condotta consentito alla stazione appaltante di valutare la rilevanza dei fatti sottesi al rinvio a giudizio sotto il profilo della sussistenza dell’illecito professionale nonché dell’integrità ed affidabilità dell’operatore (1).
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   (1) Ha ricordato la Sezione che secondo un orientamento giurisprudenziale l'eventuale rinvio a giudizio dell'amministratore di un operatore economico nonché l'applicazione di una misura cautelare per i medesimi reati, non costituirebbero adeguati mezzi di prova della commissione di un grave illecito professionale, che comporterebbe l'esclusione dalla gara ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, con la conseguenza che la loro omessa dichiarazione non configurerebbe la causa di esclusione dell'operatore ai sensi della successiva lett. c-bis (Tar Catanzaro, sez. I, 07.02.2019, n. 258).
La Sezione ritiene tuttavia preferibile l’opposto orientamento, in base al quale, anche oltre le ipotesi tipizzate dall'art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, sussiste in capo all’operatore un obbligo di dichiarare fatti ragionevolmente idonei a compromettere la professionalità e l’affidabilità.
In base a quest’ultimo preferibile indirizzo, il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale, al pari dell'adozione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico dell'amministratore della società interessata, ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che regolano l'aggiudicazione degli appalti pubblici, può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell'impresa (Cons. St., sez. V, 27.02.2019. n. 1367; Tar Veneto, sez. I, 13.01.2020, n. 39); sussistendo l'obbligo di dichiarare tutti i fatti rilevanti ai fini della moralità professionale delle imprese partecipanti, il partecipante non può non essere tenuto a dichiarare anche i rinvii a giudizio o misure restrittive, anche se non espressamente contemplati quali cause di esclusione dalle norme che regolano la aggiudicazione degli appalti pubblici, e anche a prescindere dalla sottoscrizione dei cd. “patti di integrità” (Tar Toscana, sez. I, 07.02.2020, n. 180; Tar Piemonte, sez. I, 23.08.2019, n. 959).
Insomma, «sussiste l'obbligo di dichiarare sempre e senza eccezioni le condanne (o anche solo le contestazioni) relative alle violazioni di norme riconducibili alla categoria in parola» (Cons. St., sez. V, 23.12.2019, n. 8711) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 03.06.2020 n. 632 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
3.1.1. Ciò premesso, la prima parte dell’art. 80, c. 4, D.Lgs. 2016 n. 50 prevede che «un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione».
Nel caso in esame sussiste il requisito della gravità della violazione nei confronti degli obblighi tributari, in quanto è ampiamente superata la soglia di euro 10.000 individuata dall'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis, DPR 602/1973. D’altra parte, con l’accordo conciliativo è stata pattuita solo la riduzione al 40% delle sanzioni, mentre è stato confermato l’importo della sorta capitale e degli interessi, e ciò a conferma della fondatezza della pretesa tributaria e dell’effettiva sussistenza del debito verso il fisco.
Sussiste anche il requisito del definitivo accertamento della violazione.
In punto di definitività della sanzione agli effetti dell’art. 80, c. 4, citato, la giurisprudenza ha affermato che «la regolarità fiscale delle imprese partecipanti ad appalti pubblici sussiste quando, alternativamente, a carico dell'impresa non risultino contestate violazioni tributarie mediante atti ormai definitivi per decorso del termine di impugnazione ovvero, in caso d'impugnazione, la relativa pronuncia giurisdizionale sia passata in giudicato. Pertanto, nel caso in cui l’atto di accertamento sia divenuto definitivo per l’infruttuoso decorso del termine di impugnazione oppure per passaggio in giudicato della sentenza, l’impresa che partecipi ad una procedura ad evidenza pubblica deve essere esclusa per il mancato rispetto del requisito della regolarità fiscale ex art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016. Il giudizio avverso la cartella di pagamento introduce una lite attinente alla fase della riscossione, ma non pregiudica la sussistenza del debito tributario sottostante. Infatti i tributi per quali è stata accertata l’inadempienza derivavano da atti non più soggetti a impugnazione e la cartella esattoriale può essere impugnata solo per vizi formali ad essa attinenti, ma non può più mettersi in discussione la debenza dei tributi ivi indicati perché sono iscritti a ruolo solo dopo la definitività degli stessi» (Cons. Stato, sez. V, 03/04/2018, n. 2049).
Infatti, «in sede di gara pubblica, ai fini del possesso dei requisiti previsti dall'art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, la definitività dell'accertamento tributario decorre non dalla notifica della cartella esattoriale -in sé, semplice atto con cui l'agente della riscossione chiede il pagamento di una somma di denaro per conto di un ente creditore, dopo aver informato il debitore che il detto ente ha provveduto all'iscrizione a ruolo di quanto indicato in un precedente avviso di accertamento- bensì dalla comunicazione di quest'ultimo; la cartella di pagamento (che infatti non è atto del titolare della pretesa tributaria, ma del soggetto incaricato della riscossione) costituisce solo uno strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale, cioè non possiede alcuna autonomia che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui l'obbligazione è stata enunciata, laddove è l'avviso di accertamento l'atto mediante il quale l'ente impositore notifica formalmente la pretesa tributaria al contribuente, a seguito di un'attività di controllo sostanziale» (Cons. Stato, sez. V, 14/12/2018, n. 7058).
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4.2. Ciò premesso, occorre tuttavia valutare se sussista un obbligo dichiarativo a carico dei partecipanti alla gara in ordine all'ipotesi di rinvio a giudizio a carico di amministratori e legali rappresentanti.
In linea generale, è dibattuto in giurisprudenza se i fatti idonei a pregiudicare la professionalità dell’operatore, anche se non tipizzati nell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016, debbano essere sempre dichiarati, a pena di automatica esclusione, oppure se viceversa, tale omissione dichiarativa non comporti l’automatico effetto escludente dalla gara, dovendo sempre e comunque rimettersi all’apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, ai fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente.
In ragione del contrasto registrato nel Consiglio di Stato tra tali due tesi, con l’ordinanza n. 2332 del 2020 della Sez. V la questione è stata rimessa all’Adunanza Plenaria, che dovrà pronunciarsi.
Tali due opposte tesi, di conseguenza, forniscono soluzioni diverse con riferimento al rilievo dell’omessa dichiarazione in merito a rinvii a giudizio.
Il Collegio non oblitera l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale secondo cui l'eventuale rinvio a giudizio dell'amministratore di un operatore economico nonché l'applicazione di una misura cautelare per i medesimi reati, non costituirebbero adeguati mezzi di prova della commissione di un grave illecito professionale, che comporterebbe l'esclusione dalla gara ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), del D.lgs. n. 50 del 2016, con la conseguenza che la loro omessa dichiarazione non configurerebbe la causa di esclusione dell'operatore ai sensi della successiva lett. c-bis (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 07.02.2019, n. 258).
Il Collegio ritiene tuttavia preferibile l’opposto orientamento, in base al quale, anche oltre le ipotesi tipizzate dall'art. 80, comma 5, lett. c), D.Lgs. n. 50/2016, sussiste in capo all’operatore un obbligo di dichiarare fatti ragionevolmente idonei a compromettere la professionalità e l’affidabilità.
In base a quest’ultimo preferibile indirizzo, il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale, al pari dell'adozione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico dell'amministratore della società interessata, ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che regolano l'aggiudicazione degli appalti pubblici, può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell'impresa (C.d.S., Sez. V, decisione n. 1367 del 27.02.2019; TAR Veneto, sez. I, 13/01/2020, n. 39); sussistendo l'obbligo di dichiarare tutti i fatti rilevanti ai fini della moralità professionale delle imprese partecipanti, il partecipante non può non essere tenuto a dichiarare anche i rinvii a giudizio o misure restrittive, anche se non espressamente contemplati quali cause di esclusione dalle norme che regolano la aggiudicazione degli appalti pubblici, e anche a prescindere dalla sottoscrizione dei cd. “patti di integrità” (TAR Toscana, Firenze, sez. I, 07/02/2020, n. 180; TAR Piemonte, sez. I, 23.08.2019, n. 959).
Insomma, «sussiste l'obbligo di dichiarare sempre e senza eccezioni le condanne (o anche solo le contestazioni) relative alle violazioni di norme riconducibili alla categoria in parola» (Cons. Stato sez. V, 23.12.2019, n. 8711).
Nello specifico, va affermata la sussistenza di un obbligo dell’impresa di dichiarare la sottoposizione a giudizio penale per un reato che può avere incidenza sulla affidabilità imprenditoriale e sulla professionalità. E’ evidente quindi che l'atipicità (sia pur nei limiti sopra descritti) dei fatti suscettibili di determinare l'inaffidabilità morale della partecipante, non essendo tipizzabile a priori, ne impedisce la traduzione in moduli prestampati e richiede, invece, uno sforzo informativo ulteriore da parte della partecipante che va apprezzato alla luce dei principi di correttezza e buona fede (cfr. TAR Toscana, sez. I, 09.01.2019, n. 53).
In particolare, nel caso in esame il reato per il quale è stato disposto il rinvio a giudizio è, tra i reati in materia economica e afferenti alla gestione di impresa, particolarmente grave, sia per la pena edittale, sia per le pene accessorie, consistenti nell’inabilitazione all’esercizio dell’impresa commerciale, nell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, e nell’incapacità di contrattare con la P.A. (l’art. 216 L. Fall., che prevede il reato di bancarotta fraudolenta, rinvia alle pene accessorie previste nel capo III, titolo II libro I del c.p., tra cui rientra l’art. 32-ter c.p. che disciplina la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la P.A.); ne discende che il reato di bancarotta fraudolenta rientra in astratto nell’autonoma previsione residuale escludente di cui all’art. 80, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 50/2016 («ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione»).
4.3. Ciò chiarito, e accertato che -OMISSIS-S.r.L. aveva l’obbligo di dichiarare che il proprio legale rappresentante avesse un giudizio penale pendente per bancarotta fraudolenta a seguito di rinvio a giudizio, occorre esaminare le conseguenze discendenti dall’omissione di tale informazione, e dalla dichiarazione racchiusa nella domanda di partecipazione alla gara (Modello A) in cui -OMISSIS-S.r.L. ha escluso di essersi resa colpevole di gravi illeciti professionali tali da renderne dubbia l’integrità ed affidabilità.
Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che la dichiarazione resa dall'operatore economico circa le pregresse vicende professionali suscettibili di integrare "gravi illeciti professionali" può essere "omessa" (quando l'operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come "grave illecito professionale"), "reticente" (quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell'ottica dell'affidabilità del concorrente) o "completamente falsa" (che consiste in una immutatio veri; ricorre, cioè, se l'operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero).
Il Collegio ritiene che la mancata indicazione nella domanda di partecipazione alla gara del rinvio a giudizio in questione e dei fatti allo stesso sottesi integra l’ipotesi di omessa dichiarazione.
In ordine alle conseguenze di tale omissione, occorre evidenziare che il reato di bancarotta fraudolenta è tra i più gravi reati che possano essere commessi nell’attività di impresa, tale da compromettere in modo radicale l’affidabilità dell’imprenditore, la tutela dei creditori, la garanzia di esecuzione del contratto, e in ultima analisi anche la professionalità.
Non dichiarando il citato rinvio a giudizio, -OMISSIS-S.r.L. ha omesso informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione [art. 80, c. 5, lett. c-bis), D.Lgs. n. 50/2016], non consentendo alla stazione appaltante di valutare la rilevanza dei fatti sottesi al rinvio a giudizio sotto il profilo della sussistenza dell’illecito professionale nonché dell’integrità ed affidabilità dell’operatore [art. 80, c. 5, lett. c), D.Lgs. n. 50/2016], soprattutto considerando che, per i motivi già illustrati, il reato per il quale è stato disposto il rinvio a giudizio è particolarmente pregnante ai fini della partecipazione alle pubbliche gare rientrando nell’ipotesi escludente dell’art. 80, c. 1, lett. g), D.Lgs. n. 50/2016, e potendo comportare, in caso di condanna definitiva, l’esclusione in qualsiasi momento della procedura ai sensi del comma 6 dell’art. 80 con conseguente pregiudizio per l’esecuzione dell’appalto.
La gravità del fatto contestato in sede penale, la sua immanenza all’attività di impresa, il rischio che tale condotta di reato possa compromettere l’affidabilità e l’esecuzione del contratto, sono tutti elementi che convincono dell’effetto automaticamente escludente dell’accertata omissione dichiarativa.
Per la gravità del fatto oggetto della dichiarazione omissiva, è violata la regola di correttezza professionale (cfr. art. 30, comma 1, D.Lgs. n. 50/2016), intorno alla quale si addensa e coagula la stessa dimensione di lealtà, affidabilità e credibilità dell’operatore professionale, essendo stato impedito alla stazione appaltante di elaborare –nella prospettiva del corretto svolgimento della procedura di selezione– le proprie decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione.
Il Collegio non ignora le critiche che alla tesi qui sposata sono rivolte da altro indirizzo del Consiglio di Stato (richiamato anche dalla citata ordinanza n. 2332/2020 di rimessione all’Adunanza Plenaria), secondo cui sostenere un generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un generale limite di operatività, «potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa» (Cons. Stato, Sez. V, 22.07.2019, n. 5171; Id., V, 03.09.2018, n. 5142).
Nel caso in esame però la soluzione adottata non è scalfita da tale critica.
In primo luogo, il fatto omesso non è certamente riconducibile a «vicende professionali (…) del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa». Infatti, come già evidenziato sopra, il reato di bancarotta fraudolenta, per il quale vi è stato il rinvio a giudizio e per l’accertamento del quale il processo è ancora pendente, è un reato gravissimo nell’ambito dell’esercizio dell’attività di impresa, tale da comportare pene accessorie che limitano l’esercizio dell’attività professionale e portano all’esclusione della capacità di contrattare con la P.A., ricadendo quindi nella previsione dell’art. 80, c. 1, lett. g), D.Lgs. n. 50/2016.
Ed è proprio in base a quest’ultima norma, e non già in base a una valutazione personale ed opinabile dell’interprete, che la fattispecie concreta in esame acquista rilievo fondamentale al fine di valutare la professionalità: se la legge stessa, nella citata lett. g), qualifica come tipicamente escludente la condanna definitiva per reati che comportano l’incapacità a contrattare con la P.A. (inclusa quindi la bancarotta fraudolenta), non può non assumere rilievo, ai fini del dovere dichiarativo, la circostanza del rinvio a giudizio per tale reato con processo ancora pendente, dato che il successivo sopraggiungere di un’eventuale condanna definitiva, anche in corso di esecuzione dell’appalto, comporterebbe il venir meno dei requisiti essenziali in capo all’operatore, con ricadute gravi anche sull’esecuzione del contratto (art. 80, c. 6, D.Lgs. n. 50/2016).
Né potrebbe sostenersi che tale rinvio a giudizio rientri tra «vicende professionali ampiamente datate»: anche se il rinvio a giudizio è stato disposto nel 2014, i suoi effetti sono perduranti e continuativi, in quanto il giudizio penale è ancora pendente, e potenzialmente idoneo a sfociare in una condanna definitiva per bancarotta fraudolenta, con i già descritti effetti sull’esecuzione del contratto.
Per tutti questi motivi il ricorso incidentale è accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati, e con conseguente esclusione di -OMISSIS-S.r.L. dalla gara.
4.3.1. Peraltro, anche qualora si accogliesse la soluzione secondo cui la dichiarazione di assenza di gravi illeciti professionali integri, a fronte di un rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta, una dichiarazione falsa, ugualmente e a maggior ragione il ricorso incidentale andrebbe accolto per violazione dell’art. 80, c. 5, lett. f-bis), D.Lgs. n. 50/2016; secondo tale indirizzo, infatti, nella fattispecie del citato art. 80, comma 5, lett. f-bis, l'esclusione dalla gara sarebbe atto automatico e vincolato, discendente direttamente dalla legge, giustificato dalla «mera omissione da parte dell'operatore economico» (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV, 25.02.2019, n. 1074).
4.4. In ultimo, non può essere accolto il rilievo di -OMISSIS-S.r.L., secondo cui la pendenza del giudizio penale in capo al proprio legale rappresentante non potrebbe fondare un giudizio di esclusione ai sensi dell'art. 80, comma 5, in quanto le cause di esclusione previste da tale norma dovrebbero riferirsi necessariamente solo all'operatore economico e non anche agli organi dello stesso; in particolare, -OMISSIS-S.r.L. ha rilevato che tale rinvio a giudizio scaturisce dalla pregressa attività professionale del proprio legale rappresentante (cioè l’attività di institore per una società sportiva), così che tale vicenda penale non sarebbe riferibile a -OMISSIS-S.r.L. e non potrebbe fondare un giudizio negativo sulla sua affidabilità imprenditoriale.
Tuttavia tale argomento di -OMISSIS-S.r.L. è destituito di fondamento.
Va infatti condiviso il principio espresso dalla giurisprudenza secondo cui le vicende penali del legale rappresentante (condanne, ma per analoghe ragioni anche per eventuali rinvii a giudizio o misure cautelari) rilevanti ai seni dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 per l’esclusione del concorrente, non possono che formalmente fare capo agli esponenti dell'impresa per mezzo dei quali la stessa agisce sul mercato o comunque tenuti, in ragione dei propri poteri di controllo, ad assicurare che la relativa attività si svolga nel rispetto delle norme di diritto vigenti (Cons. Stato, V, 12.03.2019, n. 1649).
In questi termini, non rileva la circostanza che le condanne siano state irrogate ad un soggetto per fatti ed in epoche in cui lo stesso era soggetto apicale di altra società, atteso che non è corretta la pretesa di -OMISSIS-S.r.L. di distinguere concettualmente l'impresa (in quanto tale, un'entità puramente giuridica) dai soggetti per il tramite dei quali, in ragione delle loro funzioni di amministrazione e controllo, la medesima impresa concretamente opera sul mercato. Ragionando diversamente, si arriverebbe al paradosso di escludere la rilevanza di qualsiasi sentenza di condanna e di qualsiasi vicenda penale (anche in termini di rinvio a giudizio o misura cautelare) ai fini della valutazione di affidabilità sottesa al precetto dell'art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, dal momento che nel vigente sistema normativo la responsabilità penale riguarda direttamente le sole persone fisiche e non anche le imprese (Cons. Stato, sez. V, 07/01/2020, n. 70).
Dunque deve considerarsi l'intera esperienza professionale dei soggetti apicali mediante i quali la società opera, atteso che sono necessariamente questi a determinare il concreto comportamento dell'impresa sul mercato, pena l'elusione delle finalità di tutela pubblicistica perseguite dalla norma di legge. Conferma di tale generale principio si evince nel più generale sistema tracciato dall'art. 80 D.Lgs. n. 50/2016, nel quale assumono rilievo anche le pregresse condanne riportate dai soggetti cessati dalla carica, tra i quali devono annoverarsi i vertici delle società dalle quali il concorrente ha acquisito complessi aziendali o rami d'azienda, sebbene gli stessi siano del tutto estranei alla governance societaria del concorrente medesimo (Cons. Stato, sez. V, 07/01/2020, n. 70).
4.5. Ne consegue che il ricorso incidentale è fondato e va pertanto accolto, assorbiti gli altri motivi del ricorso incidentale successivamente graduati, con annullamento degli atti impugnati, per quanto di ragione (nella parte in cui la ricorrente principale è stata illegittimamente ammessa alla procedura de qua).

APPALTIAppalti e diritto di accesso.
Domanda
Sono sempre numerosi i quesiti in tema di accesso agli atti della procedura di appalto, sia della fase pubblicistica sia della fase esecutiva (in quest’ultima l’istanza di accesso, normalmente, poggia sulla esigenza di consentire all’appaltatore, non aggiudicatario, di verificare se l’esecuzione del contratto avvenga o meno secondo quanto proposto in sede di offerta).
Appare opportuno, quindi, elaborare un “riscontro cumulativo” che riassume le varie istanze presentate soprattutto alla luce delle recenti indicazioni giurisprudenziali in tema di accesso.
Risposta
Al netto delle indicazioni contenute nella disciplina specifica in tema di accesso agli atti dell’appalto, come declinate nell’articolo 53 del Codice in cui si prevede la possibiltà di un differimento –nella fase di espletamento della gara fatti salvi gli atti già adottati, si pensi alla fase formale di verifica dei documenti-, l’accesso è generalmente consentito al netto degli aspetti afferenti i segreti commerciali/aziendali che, innanzi al ricorso devono comunque essere consentiti.
Il tema dell’accesso trova però una sua compiuta definizione con l’affermata ammissibiltà dell’applicazione dell’accesso civico generalizzato o universale agli atti dell’appalto (sia della fase pubblicistica sia della fase esecutiva) come chiarito dalla sentenza del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria n. 10/2020.
L’Adunanza Plenaria ha affermato il diritto ad ottenere gli atti della fase esecutiva del contratto ai fini (potenziali) della risoluzione del contratto e successivo scorrimento della graduatoria o riedizione della gara “purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale”.
In sostanza, che richiede gli atti deve avere già gli elementi per dimostrare che l’esecuzione non sta avvenendo secondo quanto stabilito con la proposta contrattuale aggiudicata.
Non solo, quindi, il RUP è tenuto a produrre gli atti richiesti –al netto di elementi afferenti ai segreti commerciali/aziendali ex art. 5-bis comma 2, lett. c) (che possono essere oscurati se il RUP ha effettivamente constatato che si tratta di dati che non possono essere “ostesi”)-, ma è tenuto ad interpretare l’eventuale nota generica, quanto a riferimento normativo richiamato, che si limitasse a richiedere atti e dati relativi agli appalti già espletati in senso “collaborativo” e non escludente. Nel senso che non può respingere l’istanza per i solo fatto che questa non contenga un preciso richiamo normativo. In questo caso il RUP andrà ad interpretare la richiesta alla luce delle varie disposizioni in tema e, soprattutto, alla luce dell’art. 5, comma 2, del decreto legislativo 33/2013 (e quindi sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato/universale).
È questo il caso recentemente affrontato dal Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, con la recentissima sentenza del 23.05.2020 n. 162.
Nella sentenza –a fronte di una istanza tesa ad ottenere dati e provvedimenti relativi all’invito degli appaltatori in procedure sotto i 40mila euro e nel sotto soglia con conseguente rigetto (errato) della stazione appaltante– si puntualizza che il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce un “autonomo diritto all’informazione” rappresentando quindi esso stesso un “bene alla vita accordato per la tutela nel senso più ampio e onnicomprensivo del termine e, dunque, non necessariamente ed esclusivamente in correlazione alla tutela giurisdizionale di diritti ed interessi giuridicamente rilevanti”.
Per effetto di quanto, l’istanza può trovare legittimazione anche nel fine “di assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa; tale diritto all’informazione, oltre ad essere funzionale alla tutela giurisdizionale, consente agli amministrati di orientare i propri comportamenti sul piano sostanziale per curare o difendere i loro interessi giuridici, con l’ulteriore conseguenza che il diritto stesso può essere esercitato in connessione ad un interesse giuridicamente rilevante, anche se non sia ancora attuale un giudizio nel cui corso debbano essere utilizzati gli atti così acquisiti”.
È bene ricordare che il ricorso in giudizio può essere finalizzato non solo ad ottenere una “giustizia”, per così dire, immediata con l’annullamento della procedura e l’eventuale subentro ma anche ad ottenere confermata una pretesa risarcitoria qualora emergesse che la stazione appaltante abbia agito contra ius (03.06.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI SERVIZIGiurisdizione del giudice amministrativo nella controversia sulla risoluzione del contratto per gravi inadempimenti.
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Giurisdizione – Contratti della Pubblica amministrazione – Concessione - Risoluzione del contratto per gravi inadempimenti – Impugnazione - Giurisdizione del giudice amministrativo.
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto la risoluzione del contratto per gravi inadempimenti del Concessionario comportante decisioni sulla durata o efficacia del rapporto concessorio (1).
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   (1) La Sezione ha ricordato che sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie, nell’ambito di quelle relative a concessioni di pubblici servizi, concernenti "indennità, canoni o altri corrispettivi" nelle quali venga in rilievo non l’esistenza od il contenuto della concessione o l’esercizio di poteri autoritativi della p.a. sul rapporto concessionario o sulla determinazione delle suddette controprestazioni (nel qual caso la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo), ma solo l’effettiva debenza dei corrispettivi stessi in favore del concessionario, secondo un rapporto paritario di contenuto meramente patrimoniale, nella contrapposizione delle situazioni giuridiche soggettive obbligo/pretesa (Cons. St., sez. III, 20.03.2019, n. 1839); quindi ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., devono intendersi devolute espressamente alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi ovvero relative a provvedimenti adottati dalla Pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio; da ciò consegue che le controversie relative alle vicende del rapporto concessorio, nelle ipotesi di concessione di servizio pubblico, rimangono nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche nella fase successiva alla stipula del contratto (Cons. St., sez. V, 18.12.2017, n. 5938).
La controversia in esame, relativa alla valutazione dell’inadempimento degli obblighi del concessionario, e comportante decisioni sulla durata o efficacia del rapporto concessorio, rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 01.06.2020 n. 621 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2020

APPALTI: Appalti pubblici – sistema del confronto a coppie – ratio e sindacabilità.
Il sistema del confronto a coppie è metodo di selezione, volto ad individuare l'offerta migliore in termini strettamente relativi, che si basa sull'attribuzione di punteggi espressione delle preferenze soggettive dei commissari: un punteggio alto testimonia l'elevato gradimento del seggio di gara per le soluzioni proposte da un candidato rispetto a quelle formulate dagli altri, laddove una valutazione bassa è, specularmente, conseguenza della scarsa attrattività tecnico-qualitativa della proposta del concorrente non in sé e per sé, ma rispetto a quelle degli altri partecipanti: è pertanto chiara l'ampia discrezionalità sottesa a tali manifestazioni di giudizio dei commissari, che non scrutinano il possesso dei requisiti minimi di partecipazione (presupposto per l'ammissione al confronto) ma, al contrario, esprimono una valutazione, necessariamente soggettiva e opinabile, circa le diverse soluzioni tecniche offerte.
In altre parole, la metodologia in questione non mira ad una ponderazione atomistica di ogni singola offerta rispetto a standard ideali, ma tende ad una graduazione comparativa delle varie proposte dei concorrenti mediante l'attribuzione di coefficienti numerici nell'ambito di ripetuti "confronti a due", di conseguenza il sindacato giurisdizionale incontra forti limitazioni, non potendo il giudice impingere in valutazioni di merito "ex lege" spettanti all'Amministrazione, salva la ricorrenza di un uso palesemente distorto, logicamente incongruo, macroscopicamente irrazionale del metodo in parola, che è, però, preciso onere dell'interessato allegare e dimostrare, evidenziando non già la mera (e fisiologica) non condivisibilità del giudizio comparativo, bensì la sua radicale ed intrinseca inattendibilità tecnica o la sua palese insostenibilità logica
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 29.05.2020 n. 3401 - massima free tratta da www.giustamm.it - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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7.2. Il costrutto giuridico dell’appellante non può essere condiviso dal Collegio.
7.3. Com’è noto, il sistema del confronto a coppie, utilizzato nel caso di specie dai commissari nella preliminare valutazione tecnico-qualitativa dell’offerta ed ottenuta dalla somma dei coefficienti di valore attribuiti da ciascuno di essi, è metodo di selezione, volto ad individuare l'offerta migliore in termini strettamente relativi, che si basa sull'attribuzione di punteggi espressione delle preferenze soggettive dei commissari: un punteggio alto testimonia l'elevato gradimento del seggio di gara per le soluzioni proposte da un candidato rispetto a quelle formulate dagli altri, laddove una valutazione bassa è, specularmente, conseguenza della scarsa attrattività tecnico-qualitativa della proposta del concorrente non in sé e per sé, ma rispetto a quelle degli altri partecipanti; è pertanto chiara l'ampia discrezionalità sottesa a tali manifestazioni di giudizio dei commissari, che non scrutinano il possesso dei requisiti minimi di partecipazione (presupposto per l'ammissione al confronto) ma, al contrario, esprimono una valutazione, necessariamente soggettiva e opinabile, circa le diverse soluzioni tecniche offerte; in altre parole la metodologia in questione non mira ad una ponderazione atomistica di ogni singola offerta rispetto a standard ideali, ma tende ad una graduazione comparativa delle varie proposte dei concorrenti mediante l'attribuzione di coefficienti numerici nell'ambito di ripetuti "confronti a due", di conseguenza il sindacato giurisdizionale incontra forti limitazioni, non potendo il giudice impingere in valutazioni di merito "ex lege" spettanti all'Amministrazione, salva la ricorrenza di un uso palesemente distorto, logicamente incongruo, macroscopicamente irrazionale del metodo in parola, che è, però, preciso onere dell'interessato allegare e dimostrare, evidenziando non già la mera (e fisiologica) non condivisibilità del giudizio comparativo, bensì la sua radicale ed intrinseca inattendibilità tecnica o la sua palese insostenibilità logica (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 03.02.2017, n. 476).
E’, poi, ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui se i criteri di valutazione sono adeguatamente dettagliati, il giudice amministrativo non può entrare nel merito dei singoli apprezzamenti effettuati dai commissari (ex multis Consiglio di Stato, Sez III del 25/06/2019 n. 4364; Consiglio di Stato, III, 01.06.2018, n. 3301; Consiglio di Stato sez. V, 27/12/2018, n. 7250).
Il sindacato del giudice, infatti, si arresta dinanzi alla rilevata correttezza dell’applicazione del metodo del confronto a coppie considerato che la motivazione delle valutazioni sugli elementi qualitativi risiede nelle stesse preferenze attribuite ai singoli elementi di valutazione considerati nei raffronti con gli stessi elementi delle altre offerte (sez. VI, 19/06/2017, n. 2969).

APPALTISulla natura del recesso ex art. 163, comma 7, del Codice dei Contratti.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Recesso – Recesso ex art. 163, comma 7, del Codice dei contratti pubblici - Natura – Individuazione.
Le procedure di affidamento d’urgenza ex art. 163 del Codice dei contratti pubblici non derogano rispetto al necessario possesso, da parte degli operatori, dei requisiti di ordine morale; in presenza di una verifica postuma negativa sui requisiti generali, l’amministrazione aziona il recesso previsto dal comma 7 dell’art. 163 che è rimedio ontologicamente differente rispetto al recesso ordinario civilistico ovvero a quello previsto dall’articolo 109 del Codice, posto che non inerisce ad un diritto potestativo privato di ripensamento, ma rinviene la sua giustificazione nell’accertamento autoritativo postumo di una causa di esclusione ex art. 80 del Codice (1)
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   (1) Da tale presupposto la Sezione ha fatto derivare da una parte, la sussistenza dell’adito Giudice Amministrativo sulle controversie in cui si contesta l'esercizio del rimedio, atteso che si tratta di un recesso fondato logicamente e causalmente su di un previo accertamento dell’illegittimità dell’aggiudicazione in favore dell’operatore (in coerenza con gli stessi principi della Adunanza Plenaria n. 14 del 2014, laddove eccettua dall’intervento ablativo sul rapporto conformato come diritto potestativo privatistico, le peculiari ipotesi in cui il recesso si fonda in modo vincolato su di un pregresso potere pubblicistico; v. recesso a seguito di interdittiva antimafia), dall’altra parte, la sostanziale vincolatezza dell’atto di autotutela de quo, solo apparentemente “interno” al contratto, ma invece incentrato sul rilevato vizio genetico dell’aggiudicazione, siccome disposta in favore di un soggetto privo dei requisiti morali.
L’annullamento dell’aggiudicazione non sostanzia, nel caso de quo, un provvedimento di secondo grado “puro”, bensì sottende la verifica negativa dei requisiti di moralità, che nella procedura d’urgenza viene semplicemente posticipata rispetto alla stipula dell’accordo quadro; con la conseguenza che non vi è luogo né per la valutazione dell’affidamento (giacché non vi è un precedente atto ampliativo sub specie di già avvenuto controllo dei requisiti, il quale abbia potuto ingenerare alcun affidamento nel privato), né per la tipica ponderazione comparativa degli interessi insita, di norma, nell’atto di secondo grado, né, ancora, per il rispetto del termine ragionevole; valendo piuttosto, nel caso de quo, il principio di “autoresponsabilità”, atteso che chi rende dichiarazioni non veritiere all’amministrazione attestando requisiti insussistenti, non può dolersi poi delle conseguenze che derivano dalle stesse, una volta scoperte in sede di controllo successivo.
Premesso che sulle questioni attinenti ai rapporti di dare/avere tra le parti, una volta esercitato il recesso de quo, vi è giurisdizione del G.O., il profilo economico dell’atto ablativo di cui si verte è regolato dall'art. 163, comma 7, in una logica “indennitaria”, riconoscendosi il pagamento all'operatore del solo valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese eventualmente già sostenute per l'esecuzione della parte rimanente, nei limiti delle utilità conseguite (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 28.05.2020 n. 5700 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl decreto rilancio e le disposizioni rilevanti in materia di appalti.
Domanda
Con riferimento al decreto rilancio, quali sono le principali disposizioni che presentano una certa rilevanza sui contratti pubblici?
Risposta
La c.d. fase di “rilancio” vede pubblicato nella G.U. n. 128/2020 il decreto legge n. 34 del 19.05.2020 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, composto da 266 articoli oltre che allegati (a cui seguiranno i conseguenti decreti attuativi). Provvedimento che nell’attuale stesura è entrato in vigore immediatamente, ma che potrà subire modifiche a seguito della successiva conversione in legge, entro i 60 giorni dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale.
L’impatto per i destinatari è sempre devastante, dato il profluvio di norme, spesso di difficile interpretazione oltre che applicazione. Per quanto attiene alle stazioni appaltanti di seguito si riportano alcune disposizioni che si ritiene possano avere una certa rilevanza sugli appalti pubblici:

Art. 65 Esonero temporaneo contribuiti ANAC
Si riporta il testo dell’articolo.
   “Le stazioni appaltanti e gli operatori economici sono esonerati dal versamento dei contributi di cui all’articolo 1, comma 65, della legge 23.12.2005, n. 266 all’Autorità nazionale anticorruzione, per tutte le procedure di gara avviate dalla data di entrata in vigore della presente norma e fino al 31.12.2020”.
Cfr. Comunicato del Presidente dell’ANAC del 20.05.2020:

Art. 81 Modifiche all’articolo 103 in materia di sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza (Validità del DURC)
Si riporta il testo dell’art. 103, co. 2, primo periodo, d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27, come modificato.
   “Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, ad eccezione dei documenti unici di regolarità̀ contributiva in scadenza tra il 31.01.2020 ed il 15.04.2020, che conservano validità̀ sino al 15.06.2020”.

Art. 109 Servizi delle pubbliche amministrazioni
   • L’art. 48 del d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27 (Prestazioni individuali domiciliari) viene sostituto.
   • All’articolo 92, comma 4-bis, primo periodo, del d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27 (Disposizioni in materia di trasporto) le parole: “e di trasporto scolastico” sono soppresse.

Art. 153 Sospensione delle verifiche ex art. 48-bis DPR n. 602 del 1973 (Verifiche sui pagamenti)
Si riporta il testo dell’articolo.
   1. Nel periodo di sospensione di cui all’articolo 68, commi 1 e 2-bis, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27 non si applicano le disposizioni dell’articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602. Le verifiche eventualmente già effettuate, anche in data antecedente a tale periodo, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, per le quali l’agente della riscossione non ha notificato l’ordine di versamento previsto dall’articolo n-bis, del medesimo decreto restano prive di qualunque effetto e le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, nonché le società a prevalente partecipazione pubblica, procedono al pagamento a favore del beneficiario.
   2. Agli oneri derivanti dal presente articolo valutati in 29, l milioni di euro per l’anno 2020 che aumentano, ai fini della compensazione degli effetti in termini di indebitamento netto e di fabbisogno in 88,4 milioni di euro, si provvede ai sensi dell’articolo 265.


Art. 207 – Disposizioni urgenti per la liquidità delle imprese appaltatrici (Anticipazione)
Si riporta il testo dell’articolo.
   1. In relazione alle procedure disciplinate dal decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, i cui bandi o avvisi, con i quali si indice una gara, sono già stati pubblicati alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, siano già stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi, ma non siano scaduti i relativi termini, e in ogni caso per le procedure disciplinate dal medesimo decreto legislativo avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 30.06.2021, l’importo dell’anticipazione prevista dall’articolo 35, comma 18, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, può essere incrementato fino al 30 per cento, nei limiti e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per ogni singolo intervento a disposizione della stazione appaltante.
   2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, l’anticipazione di cui al medesimo comma può essere riconosciuta, per un importo non superiore complessivamente al 30 per cento del prezzo e comunque nei limiti e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per ogni singolo intervento a disposizione della stazione appaltante, anche in favore degli appaltatori che hanno già usufruito di un’ anticipazione contrattualmente prevista ovvero che abbiano già dato inizio alla prestazione senza aver usufruito di anticipazione. Ai fini del riconoscimento dell’eventuale anticipazione, si applicano le previsioni di cui al secondo, al terzo, al quarto e al quinto periodo dell’articolo 35, comma 18, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 e la determinazione dell’importo massimo attribuibile viene effettuata dalla stazione appaltante tenendo conto delle eventuali somme già versate a tale titolo all’appaltatore
(27.05.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIIl computo metrico non estimativo costituisce elemento essenziale indefettibile dell’offerta tecnica.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Offerta tecnica - Computo metrico non estimativo – Natura – Elemento essenziale dell’offerta tecnica.
Il computo metrico non estimativo costituisce elemento “essenziale” dell’offerta tecnica in ipotesi di qualsivoglia tipologia di variante migliorativa apportata, la cui omessa produzione deve comportare l’esclusione dell’impresa partecipante (1).
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   (1) Il computo metrico non estimativo funge da capitolato tecnico, in cui vengono descritte puntualmente tutte le lavorazioni e le forniture offerte, soprattutto se il bando non richiede la consegna dell’elenco prezzi, per cui non si potrebbero evincere le lavorazioni da altri documenti tecnici né sarebbe possibile ricorrere al soccorso istruttorio, in quanto si andrebbe ad integrare un elemento essenziale dell’offerta tecnica incompleta (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 25.05.2020 n. 741 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
In ordine al carattere essenziale della produzione del computo metrico non estimativo, ha evidenziato TAR Puglia, Lecce n. 760/2018: «… La censura proposta nel ricorso principale deve essere accolta.
Infatti, la tesi sostenuta dalla controinteressata non è suffragata dal tenore letterale della lex specialis e, in particolare dall’art. 16 del disciplinare di gara secondo il quale “...La busta “B - Offerta tecnica” contiene, a pena di esclusione, e per ogni singola miglioria proposta, i seguenti documenti: ... c) computo metrico non estimativo (senza prezzi)...
».
Dalla lettura del suddetto alinea è evidente che la lex concorsualis ha previsto che i computi metrici non estimativi debbano assurgere ad elemento essenziale dell’offerta tecnica, contenente le quantità e dimensioni di tutte le migliorie proposte, nonché le modalità di svolgimento delle lavorazioni e delle forniture, con un grado di dettaglio pari a quello previsto dal Legislatore per la progettazione esecutiva, a mente dell’art. 23, comma 8, del D.Lgs. 50/2016.
Infatti, il computo metrico non estimativo, completo in ogni sua parte, è deputato ad integrare il Capitolato Speciale d’Appalto e costituisce parte integrante del Contratto d’appalto, vincolando l’impresa aggiudicatrice nell’esecuzione dei lavori e delle opere ivi puntualmente indicate, così come previsto dallo stesso Disciplinare di gara, ove viene precisato che “... le “proposte migliorative” costituiranno parte integrante del Contratto e del Capitolato Speciale di Appalto...”.
In sostanza, il computo metrico non estimativo funge da capitolato tecnico, in cui vengono descritte puntualmente tutte le lavorazioni e le forniture offerte, soprattutto in considerazione della circostanza che, nella specie, il bando non richiede la consegna dell’elenco prezzi, per cui non si potrebbero evincere le lavorazioni da altri documenti tecnici, né sarebbe possibile ricorrere al soccorso istruttorio, in quanto si andrebbe ad integrare un elemento essenziale dell’offerta tecnica incompleta».
In tal senso (i.e. carattere essenziale della produzione del computo metrico non estimativo) depone altresì TAR Puglia, Lecce n. 55/2020 sempre con riferimento all’ipotesi di un’offerta tecnica carente del suddetto computo, essendo stato ciò espressamente previsto a pena di esclusione dalla lex specialis di gara nella fattispecie oggetto di quel giudizio.
TAR Abruzzo, L’Aquila n. 175/2012 ha escluso -a fronte di una clausola della legge di gara che richiedeva la produzione a pena di esclusione del computo metrico- l’ammissibilità del soccorso istruttorio in caso di omessa produzione del computo metrico.
Analogamente si è pronunciato il TAR Campania, Salerno, nella sentenza n. 376/2020, secondo la quale “La essenzialità del computo metrico estimativo, comprensivo delle voci corrispondenti alle migliorie proposte, emerge, tra l’altro, da altre previsioni della lex specialis”.
Anche nella fattispecie in esame dalla lettura delle pagine 36 e 37 della lex specialis di gara è possibile desumere in modo chiaro che i computi metrici non estimativi costituiscano elemento essenziale dell’offerta tecnica contenente le quantità e dimensioni di tutte le migliorie proposte e che quindi la dizione “ove necessario” (a pag. 37 del disciplinare) si riferisca alla imprescindibilità (pena l’esclusione della gara ai sensi del penultimo periodo sempre a pag. 37 del disciplinare: “Il verificarsi di una delle condizioni di cui sopra comporta la non ammissibilità dell’offerta tecnica e l’esclusione del relativo offerente.”) dell’allegazione del menzionato computo metrico non estimativo all’offerta tecnica proprio in presenza di varianti (ovviamente quelle ammissibili) e di un concreto impatto delle stesse sui dati qualitativi e quantitativi dell’offerta, a prescindere dalla tipologia delle stesse, fattispecie appunto ricorrente nell’ipotesi in esame, peraltro neanche contestata dalla Stazione appaltante e dal RTI controinteressato.
Peraltro, nel senso della valenza escludente del difetto di un elemento essenziale dell’offerta (anche tecnica) deponeva il previgente art. 46, comma 1-bis, del decreto legislativa n. 163/2006 (“la stazione appaltante esclude i candidati concorrenti ... per difetto di altri elementi essenziali dell’offerta”).
Nel caso di specie si rileva che comunque la previsione del disciplinare a pag. 37 (“L’offerta tecnica, inoltre: … a2) ove necessario, deve essere corredata da un computo metrico (non estimativo) senza l’indicazione di prezzi unitari o di importi economici tali da rendere palese l’offerta economica, …”) si colloca tra due clausole di esclusione nell’ambito della medesima lettera I del disciplinare (“CONTENUTI DELL’OFFERTA TECNICA ED ECONOMICA”), una immediatamente precedente contemplata a pag. 36 (“A pena di esclusione, l’offerta tecnica dovrà inoltre rispettare le seguenti prescrizioni: …") e una immediatamente successiva alla fine di pag. 37 (“Il verificarsi di una delle condizioni di cui sopra comporta la non ammissibilità dell’offerta tecnica e l’esclusione del relativo offerente”), quest’ultima che può certamente riferirsi al precedente punto a2) rilevante nella fattispecie per cui è causa e determinare l’esclusione del RTI Conpat per omessa produzione del menzionato computo metrico non estimativo in uno alla sua offerta tecnica, contemplando la stessa -come visto- ben quattro proposte migliorative.
Va, altresì, evidenziato che secondo il citato punto a2) (pag. 37 del disciplinare) il computo metrico non estimativo dovrebbe riportare “solo le descrizioni dettagliate degli elementi che si discostano da quanto previsto dal progetto definitivo, con indicazione della collocazione fisica o in modo che si possa agevolmente comprendere la collocazione fisica di tali elementi rispetto allo stesso progetto definitivo”; inoltre, “il computo metrico deve essere redatto in coerenza con il progetto posto a base di gara e deve dare atto, con la pertinente descrizione: - delle voci ridotte nelle quantità o soppresse integralmente; - delle voci aumentate nelle quantità o delle nuove voci introdotte in aggiunta o in sostituzione di voci soppresse …”.
La conclusione che se ne trae è che la dizione “ove necessario” di cui al suddetto punto a2) fa esattamente riferimento alla necessità di produrre, in uno all’offerta tecnica, il computo metrico non estimativo (evidentemente a pena di esclusione) proprio nel caso in cui vi siano elementi che in qualche modo “si discostano da quanto previsto dal progetto definitivo”, la qual cosa si è appunto verificata nell’offerta tecnica di Co. per stessa ammissione della controinteressata, oltre che della Stazione appaltante.
Infine, va rammentato il principio di diritto di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6793/2019 secondo cui: «… deve rilevarsi che sia il computo metrico non estimativo che quello estimativo non costituivano, di per sé, secondo le specifiche disposizioni della legge di gara, elementi essenziali per l’ammissibilità e validità dell’offerta, essendo qualificati nell’un caso, quanto al computo metrico non estimativo, elementi illustrativi delle lavorazioni da eseguire e nell’altro, quanto al computo metrico estimativo, un semplice allegato all’offerta economica.
In virtù del principio della tassatività delle cause di esclusione (ed in mancanza di un’apposita clausola della legge di gara che ne prevedesse espressamente l’esclusione) l’eventuale imprecisa, irregolare, incompleta o lacunosa redazione degli atti in questione non avrebbe mai potuto determinare l’esclusione dalla gara, ma incidere eventualmente sulla valutazione dell’offerta tecnica o dare luogo ad una richiesta di chiarimenti da parte della stazione appaltante (in relazione alla eventuale valutazione di congruità dell’offerta economica). …
».
Ebbene nel caso di specie non solo il disciplinare di gara non contempla il computo metrico non estimativo quale mero elemento illustrativo delle lavorazioni da eseguire, diversamente dalla fattispecie oggetto del giudizio conclusosi con la sentenza del Consiglio di Stato n. 6793/2019, ma anzi dal chiaro tenore letterale delle pagine 36 e 37 del disciplinare emerge come il computo metrico non estimativo costituisse elemento certamente “essenziale” dell’offerta tecnica in ipotesi di qualsivoglia tipologia di variante migliorativa apportata, la cui omessa produzione avrebbe comportato l’esclusione dell’impresa partecipante, come appunto sarebbe dovuto accadere nel caso del RTI Co..
Infine, si rammenta che, come nella fattispecie oggetto della pronunzia del TAR Puglia, Lecce, n. 760/2018 (ove nel disciplinare di gara era precisato «... le “proposte migliorative” costituiranno parte integrante del Contratto e del Capitolato Speciale di Appalto ...» e che, conseguentemente, consente al Tribunale salentino di concludere nel senso del carattere -proprio del computo metrico non estimativo- di elemento essenziale dell’offerta tecnica), analogamente nel caso di specie il disciplinare a pag. 38 specifica che “In caso di aggiudicazione l’offerta tecnica sarà fisicamente allegata al contratto di appalto in maniera tale da costituirne parte integrante e sostanziale”, tenuto altresì conto che il computo metrico non estimativo -a sua volta- costituisce parte integrante del contratto, come risulta evidente dallo schema di contratto allegato agli atti di gara.
Pertanto, anche nel caso di specie si deve indubbiamente opinare nel senso che il computo metrico non estimativo, il quale ai sensi del punto a2) di pag. 37 del disciplinare deve indefettibilmente completare (a pena di esclusione) l’offerta tecnica in caso di miglioria ammissibile apportata, costituisca elemento essenziale indefettibile dell’offerta tecnica medesima.
In ordine alle argomentazioni spese sul punto dal RTI Co., si evidenzia quanto segue.
Nella memoria del 27.03.2020 (cfr. pag. 3) il RTI Co. sostiene che le migliorie indicate dalla stessa (quindi ammettendone l’esistenza) attengano unicamente alle spese generali e agli oneri indiretti dell’impresa, il che avrebbero escluso la necessità della produzione del computo metrico non estimativo.
E tuttavia -come sottolineato in precedenza- il tenore della lex specialis, oltre che la ratio della stessa disciplina, depongono nel senso che il computo metrico non estimativo -la cui struttura è desumibile da una sedimentata normativa (art. 119, comma 1, del d.p.r. 05.10.2010, n. 207; art. 90 del d.p.r. 21.12.1999, n. 554)- vada prodotto, in uno all’offerta tecnica, a pena di esclusione, in presenza di qualsivoglia modifica al progetto definitivo, a nulla rilevando la tipologia della modifica proposta.
Nella memoria del 17.04.2020 il RTI Co. muta percorso argomentativo e nella prospettazione fornita a pag. 6 della stessa memoria sostiene che l’allocuzione “ove necessario” contenuta nel disciplinare deve intendersi nel senso che il computo metrico è finalizzato ad “individuare quantitativamente la consistenza delle migliorie” senza avere rilevanza per la determinazione del prezzo e che, pertanto, la propria offerta, in base alla sua stessa interpretazione, sarebbe “priva di consistenza”. La difesa del raggruppamento controinteressato conferma che il computo ha “valore di mera traccia indicativa della modalità di formazione del prezzo globale”.
Dette argomentazione non sono condivisibili: se (come è) il computo ha valore e rilevanza (anche solo di traccia indicativa, come assume il RTI Co.) della modalità di formazione del prezzo, lo stesso computo è assolutamente necessario (si pensi all’ipotesi di documentare la congruità del prezzo globale durante la verifica di anomalia).
Neppure può convenirsi sull’affermazione del RTI (pag. 6 della memoria in esame) secondo cui “non può revocarsi in dubbio che la finalità di detto computo, così come inequivocamente prescritto in seno al disciplinare doveva essere, “ove necessario” solo quella di individuare quantitativamente la consistenza delle migliorie (e quindi il contenuto dell’offerta tecnica), senza che esso assumesse alcuna rilevanza in relazione alla determinazione del prezzo”.
È sufficiente qui rimarcare che tutte le modifiche al progetto a base di gara dovevano essere “quantificate” nel computo metrico da inserire nell’offerta tecnica e dovevano trovare riscontro economico anche nella lista delle categorie che costituiva l’offerta economica.
Infatti, come evidenziato dalla parte ricorrente a pag. 9 e ss. dell’atto introduttivo, la dedotta illegittimità è ancor più evidente ove si consideri che l’impianto logico-sistematico della disciplina di gara pone in continuità (nel segno della simmetria e identità di contenuti) l’offerta tecnica con quella economica.
In particolare, tutte le proposte migliorative che determinano modifiche al progetto posto a base di gara devono trovare riscontro, oltre che nei computi metrici allegati all’offerta tecnica, anche nell’offerta economica. In questa logica il computo metrico integra l’oggetto dell’impegno dell’aggiudicataria, concorrendo a parametrare l’esattezza della prestazione nel corso dell’appalto, come peraltro ricavabile dall’art. 32, comma 14-bis, del decreto legislativo n. 50/2016.
Infatti, il disciplinare di gara (sub II, pag. 38) prevede, a tal proposito, che “qualora il Concorrente proponga in Busta “B” (offerta tecnica), nei limiti e alle condizioni stabiliti dal presente Disciplinare, una o più soluzioni tecniche migliorative al Progetto Definitivo a base di gara, che comportino l’eliminazione, l’aggiunta o la sostituzione di lavorazioni previste nel Progetto Definitivo, l’elenco dei prezzi unitari (ovverosia la lista delle categorie di lavorazioni e forniture) deve essere da lui coerentemente adeguato …”.
In altri termini, la lex specialis ha posto in capo al concorrente l’obbligo di modificare la lista delle categorie e delle forniture (ovverosia l’offerta economica) nelle relative quantità, adeguando la stessa alla propria offerta tecnica.
Il RTI aggiudicatario si è sottratto anche a tale obbligo, omettendo di adeguare la propria lista delle categorie all’offerta tecnica modificata a seguito della modifica/integrazione delle quantità relative alle proprie proposte migliorative.
Alla luce di quanto innanzi, non essendovi corrispondenza tra l’offerta tecnica proposta (così come descritta nella relazione) e l’offerta economica, risulta evidente la sussistenza di una causa espulsiva.
Di qui un ulteriore profilo d’illegittimità della gravata aggiudicazione.
Ne discende l’accoglimento della domanda impugnatoria di cui al ricorso introduttivo, con consequenziale assorbimento di ogni altra doglianza e del ricorso per motivi aggiunti.

APPALTI: Le previsioni della lex specialis della gara costituiscano un vincolo per l’Amministrazione che le ha predisposte, in capo alla quale non sussiste alcun margine di discrezionalità circa la loro concreta attuazione, sicché “l’amministrazione che indice una procedura selettiva è vincolata al rispetto delle previsioni della lex specialis della procedura medesima, le cui prescrizioni risultano intangibili e non possono essere modificate o disapplicate, salvo naturalmente l’eventuale esercizio del potere di autotutela. La stazione appaltante non conserva perciò alcun margine di discrezionalità nella concreta attuazione delle prescrizioni di gara, né può disapplicarle, neppure nel caso in cui alcune di tali regole eventualmente risultino inopportunamente o incongruamente formulate, salva la possibilità di procedere all’annullamento ex officio delle stesse”.
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Preliminarmente, va rimarcato in linea generale che le previsioni della lex specialis della gara costituiscano un vincolo per l’Amministrazione che le ha predisposte, in capo alla quale non sussiste alcun margine di discrezionalità circa la loro concreta attuazione, sicché “l’amministrazione che indice una procedura selettiva è vincolata al rispetto delle previsioni della lex specialis della procedura medesima, le cui prescrizioni risultano intangibili e non possono essere modificate o disapplicate, salvo naturalmente l’eventuale esercizio del potere di autotutela. La stazione appaltante non conserva perciò alcun margine di discrezionalità nella concreta attuazione delle prescrizioni di gara, né può disapplicarle, neppure nel caso in cui alcune di tali regole eventualmente risultino inopportunamente o incongruamente formulate, salva la possibilità di procedere all’annullamento ex officio delle stesse (ex multis, Cons. Stato, VI, 21.01.2015, n. 215; V, 22.03.2016, n. 1173; sez. III, 13.01.2016, n. 74)” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 08.05.2019, n. 2991) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 25.05.2020 n. 741 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Trasporto scolastico e pagamento prestazioni non rese.
Domanda
In qualità di RUP e direttore dell’esecuzione dell’appalto relativo al servizio di trasporto scolastico a seguito dei vari provvedimenti ministeriali di contenimento dell’epidemia da Covid-19, ai sensi dell’art. 107 del d.lgs. 50/2016, ho disposto la sospensione del servizio da riattivarsi al termine dell’emergenza e secondo le modalità e condizioni che saranno disposte a livello statale. L’operatore ci chiede comunque il pagamento del corrispettivo nonostante il servizio non sia stato prestato.
È legittima la richiesta avanzata?
Risposta
La questione riportata nel quesito riguarda i commi da 4-bis a 4-quater del d.l. 17.03.2020 n. 18 c.d. “Cura Italia”, aggiunti nel corso dell’esame al Senato al fine di tutelare le società che svolgono i servizi di trasporto pubblico locale e regionale e di trasporto scolastico, per contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, e approvati in via definitiva dalla Camera nella seduta del 24.04.2020.
In particolare il comma 4-bis dell’art. 92 del d.l. 17.03.2020 n. 18, convertito in legge 24.04.2020 n. 27 stabilisce: “Al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e delle misure di contrasto alla diffusione del virus sui gestori di servizi di trasporto pubblico locale e regionale e di trasporto scolastico, non possono essere applicate dai committenti dei predetti servizi, anche laddove negozialmente previste, decurtazioni di corrispettivo, né sanzioni o penali in ragione delle minori corse effettuate o delle minori percorrenze realizzate a decorrere dal 23.02.2020 e fino al 31.12.2020”.
La disposizione si riferisce genericamente ai “gestori di servizi” prevedendo quindi un ambito di applicazione che prescinde dal sistema di esecuzione (appalto, concessione, in house).
Pertanto, sulla base della citata norma, non solo non possono essere applicate dai committenti, neppure se negozialmente previste, sanzioni o penali in ragione delle minori corse o minori percorrenze effettuate, ma i Comuni sono tenuti a corrispondere all’appaltatore quanto contrattualmente previsto per i servizi di trasporto scolastico, ancorché non realizzato per l’inevitabile sospensione della prestazione scolastica.
Tale obbligo di pagamento del corrispettivo non è immediatamente disponibile in quanto il comma 4-quater del citato articolo, subordina l’efficacia della disposizione normativa all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che prevede appunto che siano comunicati alla Commissione europea progetti diretti a istituire o modificare aiuti.
Tuttavia l’articolo 116, comma 1, lettera b), del nuovo decreto c.d. Rilancio, in procinto di essere pubblicato in gazzetta ufficiale, modifica il comma 4-bis sopra citato permettendo di fatto tali riduzioni con riferimento ai gestori del servizio di trasporto scolastico:
all’articolo 92, comma 4-bis, primo periodo, le parole: “e di trasporto scolastico” sono soppresse” (20.05.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIPresidente di commissione di gara e RUP.
Domanda
Nell’attuale situazione è configurabile la convivenza dei ruoli di RUP e presidente di commissione di gara? Si potrebbe avere una definitiva delucidazione del problema?
Risposta
La giurisprudenza è intervenuta –in particolare quella di primo grado– in numerose occasioni sul tema della compatibilità dei ruoli RUP/presidente di commissione di gara e della stessa possibilità, più in generale, del responsabile unico del procedimento di far parte della commissione di gara.
Occorre evidenziare che per effetto della recente legge 55/2019 (Sblocca Cantieri) l’operatività dell’Albo dei commissari (in realtà mai venuta in essere) è stata sospesa fino alla fine dell’anno (31/12/2020) e, soprattutto con l’ANCI, diverse sono le proposte di ulteriore proroga.
Tale sospensione abilita sicuramente la stazione appaltante alla nomina di commissari interni da inserire nel collegio. Anzi, si deve ritenere che prioritariamente il RUP (quale soggetto che predispone la proposta di nomina della commissione di gara) debba procedere con l’individuazione rivolgendo prioritaria attenzione ai funzionari della propria stazione appaltante per poi ampliare l’orizzonte delle verifiche a dipendenti degli enti limitrofi (con i quali si condivide l’adesione, ad esempio, ad una unione dei comuni), per proseguire con le verifiche nell’ambito di soggetti operanti nella pubblica amministrazione.
In sostanza, solo in via residuale (per appalti complessi) l’attenzione del RUP potrebbe essere rivolta a professionisti esterni sempre da nominare in modo trasparente ed oggettivo (magari con avviso pubblico e/o richiesta di almeno una terna di nominativi agli ordini su cui poi innestare il sorteggio).
In relazione alla partecipazione del RUP come componente e/o addirittura come presidente del collegio, si devono esprimere alcune perplessità.
Pur vero che dalla giurisprudenza emergono anche legittimazioni di tali modalità operative è altrettanto vero che l’ultimo orientamento, anche quello del Consiglio di Stato, si è espresso in senso contrario. Per semplificare, si può evidenziare che dalla complessiva giurisprudenza emergono orientamenti che ammettono tale prerogativa/possibilità ed orientamenti che la negano in modo assoluto.
Pertanto, si è indotti a ritenere che sia meglio evitare che il RUP venga individuato presidente del collegio (anche se dovesse coincidere con il dirigente/responsabile del servizio, rammentando che la funzione della presidenza è una funzione dirigenziale) per evitare a monte possibili contenziosi che, anche a prescindere dalla posizione espressa dal giudice, hanno l’effetto deleterio di ostacolare lo svolgimento fisiologico della procedura.
Pur vero che, con le censure il ricorrente deve dimostrare la concreta “incompatibilità” è altrettanto vero, però, che l’aver predisposto le regole della gara (o averle approvate come nel caso del dirigente/responsabile del servizio) viene considerata una incompatibilità (da ultimo si veda Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 17.04.2020 n. 2471 che afferma l’esistenza di un principio di terzietà nel procedimento amministrativo contrattuale).
Analoga considerazione deve essere espressa sulla partecipazione del responsabile unico (nonostante il comma 4 dell’articolo 77) è preferibile –almeno fino al consolidamento di un orientamento giurisprudenziale definitivo– che il RUP non faccia parte del collegio se non nel ruolo di segretario verbalizzante (13.05.2020 - link a www.publika.it).

APPALTILa nuova procedura aperta al mercato su MEPA.
Domanda
Sulla piattaforma Mepa di Consip nel caso di utilizzo della Richiesta di Offerta “RDO” con invito rivolto a tutti gli operatori iscritti alla categoria merceologica può ritenersi superato il principio di rotazione con l’eventuale aggiudicazione del contraente uscente?
Risposta
Il d.lgs. 50/2016 all’art. 36, rubricato “Contratti sotto soglia”, prevede che l’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’art. 35 avvengano, tra gli altri, nel rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti. Normativa che stante la difficile applicazione ha visto numerose e contrastanti pronunce giurisprudenziale, nonché differenti posizioni dottrinarie.
Personalmente ritengo di pregio la definizione del principio di rotazione dei Giudici Siciliani del 2017 (sentenza n. 188), che osservano “come la principale ragione invocata a sostegno delle declinazioni più morbide del principio di rotazione è quella che riguarda proprio la tutela della concorrenza. Si afferma infatti che far derivare dal criterio della rotazione una regola di non candidabilità per il gestore uscente entrerebbe in rotta di collisione con i principi del Trattato”.
L’ANAC poi, con le Linee guida n. 4, al paragrafo 3.6 precisa come la rotazione non si applichi laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione.
Si tratta di capire quando la Richiesta di Offerta su Mepa possa considerarsi aperta al mercato.
Sicuramente nel caso di RDO “Aperta”, ovvero quel tipo di procedura a cui possono partecipare tutti i fornitori abilitati allo specifico bando collegato alla categoria merceologica, nonché coloro che entro i termini di scadenza previsti per la presentazione dell’offerta ne ottengono l’abilitazione.
Ma anche la RDO c.d. ad invito, qualora la Stazione appaltante in sede di costruzione della gara estenda l’invito a tutti gli operatori abilitati alla categoria merceologica di riferimento. Almeno secondo una recente pronuncia del Consiglio di Stato n. 875 del 04.02.2020 n. 875, che confermando la posizione del TAR Lazio (sentenza n. 527/2019), ha ritenuto che l’estensione dell’invito a tutte le ditte operanti nel settore (nel caso di specie invito a tutti gli operatori iscritti sul Mepa nella specifica categoria), determini l’inapplicabilità delle limitazioni previste dall’art. 36 in ordine alla rotazione delle imprese aggiudicatarie (il principio di rotazione non trova applicazione laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure nelle quali la stazione appaltante non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione. Il principio è stato di recente confermato da questo Consiglio (sez. V, 05.11.2019 n. 7539) sul rilievo che anche “alla stregua delle Linee guida n. 4 A.N.A.C., nella versione adottata con delibera 01.03.2018 n. 206 (v. in part. il punto 3.6), deve ritenersi che il principio di rotazione sia inapplicabile nel caso in cui la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione dei partecipanti attraverso inviti").
Può inoltre considerarsi procedura aperta al mercato su Mepa, la RDO ad invito preceduta dalla pubblicazione di un avviso di indagine di mercato senza limitazione del numero degli operatori da invitare.
Ovviamente in un’ottica di semplificazione lo strumento da preferire è quello definito dal sistema Mepa “RDO Aperta” (06.05.2020 - link a www.publika.it).

APPALTILa modifica del contratto di appalto.
DOMANDA:
Il comune ha un contratto di pulizia degli uffici e delle palestre comunali triennale che scade il 30.05.2022. Con l'intervento dell'emergenza è stata interrotta la pulizia delle palestre fino alla ripresa dell'attività nelle stesse (si immagina a settembre). Viene mantenuta regolarmente la pulizia degli uffici comunali.
Preso atto che risulta difficile prorogare la pulizia delle palestre indipendentemente dalla pulizia degli uffici si è pensato, per non recare danno alla ditta e per utilizzare le risorse in modo congruo, di convertire le somme destinate al canone di pulizia palestre dei mesi di marzo, aprile eccetera alla sanificazione degli uffici e delle stesse palestre prima dell'apertura, utilizzando come riferimento normativo l'art. 48 D.L. 18/2020.
Si chiede se l'operazione sia fattibile con questo o altri riferimenti normativi(si tratta di una somma di circa 25mila euro) o se si debba procedere alla proroga e con quali modalità.
RISPOSTA:
I contratti di appalto e di concessione affidati in base al D.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) possono essere sospesi ai sensi dell’art. 107 del Codice. Tale disposizione, prevista per i lavori si applica anche ai contratti di servizi e forniture, in quanto compatibili (comma 7).
Ai fini dell’applicabilità della norma, devono ricorrere le ipotesi ivi previste:
   - circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori/servizi/forniture procedano utilmente a regola d’arte e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto (comma 1) oppure
   - ragioni di necessità o di pubblico interesse (comma 2) oppure
   - cause imprevedibili o di forza maggiore che impediscono parzialmente il regolare svolgimento dei lavori/servizi/forniture (comma 4).
Nel caso dell’emergenza sanitaria da Covid-19, sono configurabili sia le circostanze speciali che impediscono in via temporanea l’esecuzione del contratto che le ragioni di pubblico interesse.
E’ tuttavia necessario un atto che disponga la sospensione del contratto, come previsto espressamente dallo stesso art. 107 e dall’art. 23 del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 49/2018.
Serve quindi un verbale del Rup o del Direttore dell’esecuzione del contratto, qualora individuato in un soggetto diverso, nel quale siano specificati:
   - le ragioni che hanno determinato l’interruzione dei lavori, servizi o forniture (identificabili appunto nell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e nei provvedimenti inerenti e conseguenti);
   - lo stato di avanzamento del contratto e quindi le prestazioni già effettuate,
   - le prestazioni che possono proseguire e quelle che invece sono sospese (in caso di sospensione parziale),
   - le eventuali cautele adottate affinché alla ripresa le opere/i servizi/le forniture possano essere continuate ed ultimate senza eccessivi oneri,
   - la consistenza della forza lavoro e dei mezzi d’opera esistenti in cantiere al momento della sospensione (con particolare riferimento ai lavori).
Il comma 3 dell’art. 107 prevede poi che, cessate le cause della sospensione, il Rup disponga la ripresa dell’esecuzione e indichi “il nuovo termine contrattuale”.
Analogamente ai sensi del art. 23, comma 3, del D.M. 49/2018 “non appena siano venute a cessare le cause della sospensione, il direttore dei lavori/il direttore dell’esecuzione lo comunica al RUP affinché quest’ultimo disponga la ripresa dell’esecuzione e indichi il nuovo termine contrattuale”.
Dal combinato disposto delle norme indicate sembra emergere la possibilità, in ogni caso, di prevedere un nuovo termine contrattuale rispetto a quello originariamente previsto, correlato al periodo di sospensione del contratto.
Con riferimento ai contratti di appalto ad esecuzione periodica e continuativa occorre tuttavia verificare, caso per caso, le effettive modalità di svolgimento del servizio e l’utilità della proroga in questione.
Nel caso in esame, l’Ente ritiene di non procedere con la sospensione parziale del servizio (relativamente alla pulizia delle palestre), ma di convertire le prestazioni in altre al momento più utili per l’Amministrazione.
L’art. 48 del D.L. n. 18/2020 convertito con Legge n. 27/2020 (cd. “Cura Italia”) è una norma specificatamente dettata per servizi educativi e scolastici e per le attività sociosanitarie e socioassistenziali svolte nei centri diurni per anziani e per persone con disabilità, e pertanto non può essere applicata al di fuori dei casi espressamente previsti.
Nella fattispecie in esame l’Ente può invece valutare l’applicabilità dell’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016 ai sensi del quale “Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende”.
In particolare, in base al comma 1, lett. c), di tale articolo i contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento “ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni, fatto salvo quanto previsto per gli appalti nei settori ordinari dal comma 7: 1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l'amministrazione aggiudicatrice o per l'ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all'oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d'opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti; 2) la modifica non altera la natura generale del contratto”.
Ed ancora ai sensi della lettera e) dello stesso comma 1 il contratto può essere modificato “se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del comma 4”. Una modifica è considerata sostanziale quando altera “considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti” o quando ricorrono le condizioni di cui al comma 4 del citato art. 106.
Il comma 2 del medesimo articolo disciplina poi ulteriori ipotesi che consentono la modifica del contratto senza necessità di una ulteriore procedura.
L’Ente dovrà quindi valutare quali condizioni ricorrano nel caso di specie e procedere, previa autorizzazione del Rup, a convertire le prestazioni oggetto del contratto (con gli obblighi inerenti e conseguenti previsti dall’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016).
Per quanto riguarda la fase di esecuzione del contratto, si ricorda infine che l’Anac, con delibera n. 312 del 09.04.2020, ha precisato che il rispetto delle misure di contenimento del contagio da “Covid-19” è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 Cc., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti. Questo sia con riferimento ai lavori che con riferimento ai servizi ed alle forniture (tratto da e link a www.ancirisponde.ancitel.it).

aprile 2020

APPALTIRegola del tempus regit actum applicabile al bando di gara - Sostituzione dell’impresa ausiliaria e c.d. interpretazione giuridica conforme.
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   ● Contratti della Pubblica amministrazione – Bando - Regola del tempus regit actum – Applicabilità.
  
Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Per mancanza di requisiti in capo alla impresa ausiliaria - Sostituzione dell’impresa ausiliaria - C.d. interpretazione giuridica conforme – Applicazione - Termine.
  
Il bando di gara, avente natura di atto amministrativo generale, non si sottrae alla regola del tempus regit actum per cui è soggetto alla disciplina ratione temporis vigente al momento della sua pubblicazione. Tale soluzione consente di rispettare i superiori principi della par condicio, di trasparenza e di certezza del diritto, che connotano le procedure ad evidenza pubblica e che verrebbero irragionevolmente sacrificati ove si consentisse di modificare le regole della procedura in corso di gara (1).
  
La c.d. interpretazione giuridica conforme alla luce della nuova disciplina recata dalla Direttiva 2014/24, finalizzata ad evitare l’esclusione del concorrente mediante la sostituzione dell’ausiliaria priva dei requisiti di partecipazione, non può trovare applicazione in relazione ad una gara disciplinata sotto la previgente Direttiva 2004/18, in quanto non ne sussistono gli stessi presupposti applicativi poiché, da un lato, si è in presenza di un istituto espressione del nuovo principio europeo di tutela dell’affidamento del concorrente sulle capacità di altri soggetti e, dall’altro lato, la Direttiva 2014/14 è stata già attuata nel nostro ordinamento per cui, a rigore, non si pone una questione di interpretazione conforme, ma semmai di applicazione ratione temporis della disciplina europea (2).
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   (1) Cons. St., A.P., 25.02.2014, n. 9.
Ha chiarito la Sezione che nella specie il bando è stato pubblicato il 24.12.2014, sotto il vigore del d.lgs. n. 163 del 2006, sicché la procedura di gara è disciplinata da questo provvedimento normativo e non già dal successivo d.lgs. n. 50 del 2016 entrato in vigore (19.04.2016) dopo la pubblicazione del bando. Non è dunque invocabile l’applicazione retroattiva della disciplina recata dal d.lgs. n. 50 del 2016.
La stessa sarebbe semmai applicabile ove fosse stato espressamente previsto in tal senso dal legislatore. Al contrario, con la disposizione transitoria dell’art. 216, d.lgs. n. 50 del 2016 il legislatore ha espressamente escluso l’applicazione retroattiva della disciplina recata del provvedimento legislatore del 2016, prevedendo, in modo chiaro, che il nuovo codice “si applica alle procedure e ai contratti per le quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore”.
È dunque alla disciplina applicabile ratione temporis che occorre fare riferimento per accertare la legittimità degli atti e delle attività compiute dalla stazione appaltante nel corso della gara, ivi compresa quella riguardante l’atto di esclusione impugnato.
   (2) Ha ricordato la Sezione che secondo un principio generale, sono “inapplicabili le disposizioni di una direttiva il cui termine di recepimento sia scaduto dopo” la data di pubblicazione del bando (nel caso esaminato dalla Corte la Direttiva 2014/24 doveva ancora essere recepita al momento di pubblicazione del bando). La Corte di giustizia, 14.09.2017, causa C-223/16 ha stabilito la conformità al diritto euro-unitario della disciplina contenuta nell’art. 49 che l’ordinamento interno interpreta nel senso di escludere la possibilità per l’operatore economico di sostituire un’impresa ausiliaria che ha perduto i requisiti di partecipazione, circostanza che comporta l’esclusione automatica dell’operatore.
Del resto, ha evidenziato ancora la Corte, la Direttiva 2014/24 non potrebbe neppure invocarsi quale criterio di interpretazione ponendo a raffronto la disciplina recata dagli 47 e 48 della Direttiva 2004/18 con quella recata dall’art. 63 della Direttiva 2014/24 dal momento che la Direttiva del 2014 ha introdotto un istituto nuovo nell’ordinamento comunitario (la sostituzione dell’ausiliaria), non previsto in precedenza. Più in particolare, gli artt. 47, paragrafo 2 e 48, paragrafo 3, Direttiva 2004/18, prevedono che “Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti” (c.d. avvalimento della capacità economica-finanziaria e tecnica-professionale).
Si tratta di una disposizione “formulata in termini generali, e non indica espressamente le modalità con cui un operatore economico possa fare affidamento sulle capacità di altri soggetti nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico”. Al contrario, con l’art. 63 della Direttiva 2014/24 è stato introdotto l’opposto principio di tutela dell’affidamento del concorrente sulle capacità degli altri soggetti. In attuazione di questo principio si è quindi prevista la sostituzione in corso di gara dell’impresa ausiliaria priva dei requisiti di partecipazione, introducendo così “nuove condizioni che non erano previste nel precedente regime giuridico”, che il legislatore nazionale ha in seguito definito e attuato (come evidenziato dalla giurisprudenza nazionale).
Il principio di tutela dell’affidamento del concorrente sulle capacità di altri soggetti è quindi un principio nuovo, in precedenza sconosciuto nel sistema. Ciò esclude, per ovvie ragioni di certezza del diritto, che si possano valutare e interpretare alla luce del suo lume atti ed attività posti in essere prima della sua introduzione.
Ha aggiunto la Sezione che l’approdo interpretativo (c.d. interpretazione giuridica conforme) invocato nel ricorso (che in proposito richiama i precedenti di Cons. St., sez. V, 20.10.2015, n. 4793 e sez. III, 15.11.2015, n. 5359) poggia sui generali principi di non contraddizione, di interpretazione conforme e di leale collaborazione o dell’effetto utile del diritto europeo (art. 4, paragrafo 3, TUE). La giurisprudenza ha precisato che il meccanismo dell’interpretazione conforme non opera tuttavia “nei riguardi di previsioni della direttiva finalizzate ad introdurre negli ordinamenti nazionali istituti del tutto innovativi, che, come tali, esigono la coerente declinazione dei loro elementi costituivi e dei pertinenti presupposti di applicabilità” come nel caso, appunto, della sostituzione dell’ausiliaria (Cons. St., sez. III, 15.11.2015, n. 5359, che ha giudicato il caso dell’ausiliaria priva dei requisiti speciali di partecipazione).
Tanto premesso, i presupposti della c.d. interpretazione giuridica conforme sono la presenza di una normativa europea vigente al momento in cui il giudice deve applicare il diritto nazionale e la mancata scadenza del suo termine di recepimento. In presenza di questi presupposti e alla luce dei ricordati principi di origine europea, il giudice (e prima ancora il legislatore nell’ambito delle sue funzioni), quando è chiamato ad applicare una disposizione nazionale è tenuto a preferire, tra le varie opzioni possibili, l’interpretazione ermeneutica del diritto interno maggiormente conforme alle disposizioni europee da recepire al fine di non pregiudicare il conseguimento del risultato (utile) voluto dalla disciplina sovranazionale.
Si è chiarito inoltre che non si tratta comunque di un vero e proprio obbligo di interpretazione conforme (similare al c.d. effetto diretto del diritto europeo), ma di un “obbligo negativo” o “attenuato” che si sostanzia nell’”obbligo di astensione da un’interpretazione difforme” se “potenzialmente pregiudizievole per i risultati che la direttiva intende conseguire”, c.d. stand still (Cons. St., sez. VI, 26.05.2015, n. 2660) (
TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 30.04.2020 n. 4529 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI SERVIZI: Rinegoziazione contratti a seguito della stipula di nuovo CCNL.
Secondo il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, ai fini della quantificazione della somma dovuta dalla pubblica amministrazione a titolo di revisione prezzi deve essere applicato l’indice ISTAT dei prezzi al consumo di famiglie di operai e impiegati (FOI).
L’utilizzo del predetto parametro non esonera la stazione appaltante dall’obbligo di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, ma segna il limite massimo oltre il quale l’amministrazione non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale, «salvo circostanze eccezionali, che devono essere provate dall’impresa».
Pertanto, qualora l’appaltatore dimostri l’esistenza di circostanze eccezionali, quali eventi straordinari e imprevedibili, che esulano dalla normale dinamica di un rapporto contrattuale di durata, la quantificazione del compenso revisionale potrà essere effettuata ricorrendo a differenti parametri statistici.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che tra tali circostanze eccezionali non rientri l’aumento del costo del lavoro né, in particolare, la stipulazione di un nuovo CCNL.

Il Comune riferisce di avere in essere alcuni contratti con cooperative sociali, i quali prevedono la revisione dei prezzi ai sensi dell’art. 106 del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, tenendo conto delle variazioni rilevate dall’ISTAT.
Poiché le cooperative sociali richiedono altresì l’aggiornamento del prezzo in base alle variazioni intervenute sul costo del lavoro, a seguito di stipula del nuovo CCNL di categoria, il Comune chiede di conoscere se –anche alla luce del parere legale allegato– tale ulteriore richiesta debba essere accolta e, in caso affermativo, come debbano essere considerati gli adeguamenti già applicati in base ai parametri stabiliti dalla legge di gara.
Sentito il Servizio centrale unica di committenza della Direzione centrale patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi, si formulano le seguenti considerazioni.
Occorre, anzitutto, rilevare che, qualora i contratti ai quali il Comune fa riferimento attengano a servizi socio-sanitari ed educativi, viene senz’altro in rilievo l’aspetto dell’elevata incidenza del costo del lavoro, trattandosi di attività ad alta intensità di manodopera.
In un siffatto contesto, quindi, la stipulazione di un nuovo CCNL costituisce evento che si ripercuote inevitabilmente sul margine di utile spettante all’appaltatore.
Tuttavia, pur se nel merito parrebbe auspicabile rinvenire uno strumento giuridico capace di ristabilire il sinallagma contrattuale, si deve indagare sulla fattibilità di una tale operazione in termini di legittimità.
A differenza della previgente disciplina (recata dall’art. 115, comma 1
[1], del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163), che imponeva alle stazioni appaltanti di prevedere una clausola di revisione periodica del prezzo in tutti i contratti di servizi o forniture ad esecuzione periodica o continuativa, dalla formulazione dell’attuale art. 106, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 50/2016 si evince che una tale previsione è meramente facoltativa.
La norma predetta stabilisce, infatti, che «Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:
   a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. […]
».
Pertanto, nell’odierno assetto normativo, la revisione dei prezzi contrattuali è ammessa esclusivamente se è stata prevista dalla lex specialis di gara e disciplinata con clausole chiare, precise e inequivocabili (“in maniera tale da essere conoscibili da parte di tutti i concorrenti nel rispetto dei princìpi di trasparenza e parità di trattamento
[2]), che individuino la portata, la natura e le condizioni per la loro applicazione, considerando le fluttuazioni dei prezzi e dei costi standard.
Definendo i poteri spettanti all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), l’art. 213 del D.Lgs. 50/2016 stabilisce che essa, «al fine di favorire l’economicità dei contratti pubblici e la trasparenza delle condizioni di acquisto, provvede con apposite linee guida, fatte salve le normative di settore, all’elaborazione dei costi standard dei lavori e dei prezzi di riferimento di beni e servizi, avvalendosi a tal fine, sulla base di apposite convenzioni, del supporto dell’ISTAT e degli altri enti del Sistema statistico nazionale, alle condizioni di maggiore efficienza, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione, avvalendosi eventualmente anche delle informazioni contenute nelle banche dati esistenti presso altre Amministrazioni pubbliche e altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici
[3].
Poiché i suddetti prezzi di riferimento di beni e servizi non sono mai stati definiti
[4], il Consiglio di Stato, con orientamento costante e consolidato, afferma che ai fini della quantificazione della somma dovuta dalla pubblica amministrazione a titolo di revisione prezzi deve essere applicato, in via suppletiva, l’indice ISTAT dei prezzi al consumo di famiglie di operai e impiegati
(FOI) [5], affinché le operazioni siano conformi a criteri oggettivi anche quanto alla soglia massima, onde scongiurare squilibri finanziari nel bilancio, alla stregua della riconosciuta ratio dell’istituto volta a tutelare la prosecuzione e la qualità della prestazione ma, prima ancora, l’esigenza della pubblica amministrazione di non sconvolgere il proprio quadro finanziario [6].
Il Giudice amministrativo sostiene, infatti, che l’istituto della revisione è preordinato alla tutela dell’esigenza, propria della P.A., di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto, mentre solo in via mediata esso tutela l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verifichino durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni.
Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, l’utilizzo del predetto parametro non esonera la stazione appaltante dall’obbligo di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale
[7], ma segna il limite massimo oltre il quale l’amministrazione non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale, «salvo circostanze eccezionali, che devono essere provate dall’impresa».
Pertanto, qualora l’appaltatore dimostri, durante l’istruttoria, l’esistenza di circostanze eccezionali, che giustifichino la deroga all’indice FOI, la quantificazione del compenso revisionale potrà essere effettuata ricorrendo a differenti parametri statistici
[8].
Il Consiglio di Stato afferma, inoltre, che la periodicità della revisione «non implica affatto che si debba azzerare o neutralizzare l’alea sottesa a tutti i contratti di durata», rilevando che «risulterebbe ben singolare una interpretazione che esentasse del tutto, in via eccezionale, l’appaltatore dall’alea contrattuale, sottomettendo in via automatica ad ogni variazione di prezzo solo le stazioni appaltanti pubbliche, pur destinate a far fronte ai propri impegni contrattuali con le risorse finanziarie provenienti dalla collettività»
[9].
Effettuata questa necessaria premessa in termini generali, occorre ora soffermarsi sulla specifica questione posta, ossia se risulti plausibile ritenere che, pur essendosi visto riconoscere la revisione generale dei prezzi in base al parametro stabilito in sede di indizione della procedura di affidamento (indice FOI), l’appaltatore possa aspirare ad un diverso (ma in ogni caso non ulteriore
[10]) aggiornamento, corrispondente all’incremento del costo del lavoro, a seguito dell’avvenuta stipulazione del nuovo CCNL di categoria.
Occorre, anzitutto, ribadire che, su richiesta dell’appaltatore, spetta alla stazione appaltante effettuare, caso per caso, l’istruttoria preordinata a verificare, alla luce delle clausole previste dalla lex specialis e della specifica situazione di fatto, la sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale.
Ciò posto si segnala che il Consiglio di Stato, trattando della dimostrazione, da parte di un’impresa, dell’esistenza di circostanze eccezionali che giustificherebbero la deroga all’indice FOI
[11], afferma che non basta richiamare l’aumento del costo dei mezzi o del costo del lavoro, nello specifico settore, per sostenere che dovrebbe applicarsi un indice diverso, in grado di “riequilibrare” il sinallagma funzionale del contratto, «poiché il compenso revisionale può essere riconosciuto, in misura superiore a quello del FOI, solo in presenza di circostanze eccezionali, quali eventi straordinari e imprevedibili, che esulano dalla normale dinamica di un rapporto contrattuale di durata» [12].
Infatti –precisa il Collegio– l’aumento del costo dei mezzi e del costo del lavoro «sono eventi ordinari e ordinariamente prevedibili da un’impresa qualificata del settore specifico […] e certo non può supplire agli effetti economici sfavorevoli all’appaltatore, cagionati dalla loro sopravvenienza in corso di rapporto, l’istituto della revisione che, come detto, risponde a ben altra e principale e, comunque, precipua finalità, dovendo altrimenti ammettersi che ogni aumento dei costi di una certa rilevanza imponga all’Amministrazione ipso facto la revisione del compenso»
[13].
Con una più recente pronuncia, il Consiglio di Stato affronta proprio la tematica della richiesta di riconoscimento della revisione prezzi relativa al costo del lavoro in misura superiore all’indice ISTAT, applicato dalla stazione appaltante, motivata dal maggior onere scaturente dall’intervenuta stipulazione del nuovo CCNL cooperative sociali
[14].
Il Giudice respinge il ricorso dell’appaltatore, avuto riguardo tanto al pacifico orientamento circa la necessaria applicazione dell’indice ISTAT, quanto in base alla considerazione che «il nuovo CCNL non costituisce una circostanza eccezionale ed inoltre tale contratto collettivo è stato stipulato nel 2008
[15], quindi era conoscibile al momento della stipula del contratto di appalto [16] e, come tale, costituiva una circostanza prevedibile, essendo quindi inidoneo al fine di giustificare una deroga dal limite dell’indice ISTAT» [17].
Occorre, poi, segnalare al Comune che il riconoscimento della revisione prezzi sulla base di un parametro diverso da quello originariamente previsto, sempre che non ricorrano le “circostanze eccezionali e specifiche” che lo consentano, oltre a confliggere con i princìpi di trasparenza e di par condicio, configurerebbe una modifica sostanziale del contratto, in aperta violazione delle disposizioni recate dall’art. 106, comma 1, lett. e)
[18] e comma 4 [19], del D.Lgs. 50/2016.
Per quanto sin qui rilevato non appare condivisibile la diversa tesi prospettata nel parere legale trasmesso dall’Ente, posto che i richiami normativi, giurisprudenziali
[20] ed interpretativi ivi contenuti non sembrano pertinenti.
Va, anzitutto, ribadito che la norma di riferimento in materia di revisione dei prezzi è contenuta nel comma 1, lett. a)
[21] e non già nel comma 2 [22] dell’art. 106 del D.Lgs. 50/2016.
Infatti, poiché il comma 2 esordisce disponendo che «I contratti possono parimenti essere modificati, oltre a quanto previsto al comma 1, […]» deve ritenersi che si tratti di evenienze diverse da quelle disciplinate in precedenza.
D’altronde non appare verosimile che il legislatore, dopo aver espressamente menzionato la revisione dei prezzi nell’ambito delle ipotesi regolamentate al comma 1, appronti, al comma 2, una disciplina generale che possa risultare applicabile
[23] al medesimo istituto.
La conferma del differente ambito oggettivo che i commi in argomento sono destinati a disciplinare si rinviene nell’atto di segnalazione n. 4 del 13.02.2019
[24], con il quale l’ANAC, dopo aver analizzato il comma 1 del predetto art. 106, afferma che il successivo comma 2 «contempla una ulteriore modifica del contratto».
Ciò posto si rileva che gli ulteriori richiami e le considerazioni contenuti nel parere legale di cui trattasi riguardano la fase della scelta del contraente, che va tenuta distinta dalla fase relativa alla conclusione ed esecuzione del contratto, nell’ambito della quale si colloca l’istituto della revisione dei prezzi.
Le disposizioni legislative ivi citate stabiliscono, infatti, parametri e limiti da considerare ai fini della corretta individuazione dell’importo da porre a base di gara (cosicché sarebbe precluso all’Ente tener conto di futuri incrementi di costo, peraltro non quantificabili a priori) e della valutazione di anomalia dell’offerta, la quale rileva, evidentemente, ai soli fini dell’aggiudicazione della gara.
Ci si può dolere del fatto che il legislatore abbia approntato una serie di tutele relative al costo del lavoro nell’ambito della fase di scelta del contraente
[25], ma non anche in quella di esecuzione del contratto; ciò non consente, tuttavia, all’interprete di porvi alcun rimedio.
Occorre, poi, considerare –qualora si dovesse invocare un intervento normativo sul tema in discussione– che la disciplina di entrambe le fasi risulta riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientrando la prima nella materia trasversale “tutela della concorrenza
[26] e la seconda nella materia “ordinamento civile[27].
Quanto all’affermazione del legale secondo la quale “La stessa sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, 05.11.2018, n. 6237, non pare vietare una revisione prezzi fondata sulla modifica del contratto collettivo.” si ritiene di dover dissentire, considerato che il Giudice sancisce che «il nuovo CCNL non costituisce una circostanza eccezionale ed inoltre
[28] tale contratto collettivo è stato stipulato […]». Appare, perciò, che il Collegio abbia voluto statuire in via generale che l’approvazione di un nuovo CCNL non rappresenta una circostanza eccezionale.
Non si ritiene condivisibile nemmeno l’opinione del legale in base alla quale “un rinnovo contrattuale che interviene a distanza di molti anni da quello precedente assume una certa connotazione di straordinarietà e imprevedibilità” ritenendosi, al contrario, che il decorso del tempo, rispetto ad un evento obbligatorio e necessario, renda sempre più probabile il suo verificarsi a breve termine.
In conclusione, come già segnalato, spetterà comunque al Comune valutare di volta in volta, mediante apposito procedimento, tutte le circostanze del caso concreto, al fine di stabilire l’eventuale ricorrenza di evenienze eccezionali (ossia impreviste ed imprevedibili), che possano essere ritenute idonee a consentire il riconoscimento della revisione dei prezzi in misura superiore all’indice FOI.
La presente nota viene trasmessa, per conoscenza, al Servizio politiche per il terzo settore della Direzione centrale salute, politiche sociali e disabilità, affinché esso possa esprimere eventuali ulteriori considerazioni in ordine alla tematica trattata.
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[1] Il quale stabiliva che «Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5.».
I dati ai quali faceva riferimento la disposizione erano costituiti dai “costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali”, che avrebbero dovuto essere determinati annualmente dall’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, avvalendosi dei dati forniti dall’ISTAT e tenendo conto dei parametri qualità-prezzo di cui alle convenzioni stipulate dalla CONSIP, ai sensi dell’art. 26 della legge 23.12.1999, n. 488. A tal fine l’ISTAT avrebbe dovuto curare la rilevazione e l’elaborazione dei prezzi di mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni aggiudicatrici, provvedendo alla comparazione, su base statistica, tra questi ultimi e i prezzi di mercato.
[2] Così P. Cartolano, Ius variandi nel d.lgs. n. 50/2016, reperibile in www.mediappalti.it.
[3] Così il comma 3, lett. h-bis).
[4] Nemmeno nella vigenza delle precedenti disposizioni.
[5] Cfr., più recentemente, Consiglio di Stato, Sez. III, 09.01.2017, n. 25 e 25.03.2019, n. 1980.
[6] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III n. 25/2017, cit. e 05.11.2018, n. 6237.
[7] Il Consiglio di Stato precisa che la determinazione della revisione prezzi viene effettuata, dalla stazione appaltante, all’esito di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente (cfr. Sez. III, 02.05.2019, n. 2841).
[8] Cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. III, 01.04.2016, n. 1309, n. 25/2017, cit., n. 1980/2019, cit.
[9] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1980/2019, cit. e n. 2841/2019, cit.
[10] Si ritiene, infatti, condivisibile la posizione dell’Ente (desumibile dal testo del quesito posto) circa l’inammissibilità di accogliere integralmente la richiesta avanzata dalle cooperative sociali, stante la parziale duplicazione di beneficio che essa comporterebbe.
[11] Nella fattispecie, l’aggiudicataria di un servizio di elisoccorso, a conclusione del procedimento revisionale avviato ai sensi dell’art. 115 del D.Lgs. 163/2006, si vedeva applicato l’indice FOI, altro e diverso parametro statistico rispetto all’indice NIC – Trasporto Aereo Passeggeri (sottovoce 0733), inizialmente previsto per l’adeguamento dei prezzi.
La stazione appaltante, che aveva già accordato, per alcune annualità, il compenso revisionale in base al predetto indice NIC, aveva poi provveduto a riformare, in autotutela, le relative deliberazioni, rideterminando il quantum della revisione in base all’indice FOI, in considerazione del consolidato orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto. Il Consiglio di Stato, richiamando la ratio dell’istituto e il predetto orientamento, ha ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione.
[12] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1309/2016, cit.
[13] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1309/2016, cit.
[14] Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, cit.
[15] Precisamente il 30.07.2008.
[16] Avvenuta il 10.03.2008.
[17] Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, cit.
[18] «Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:
   […]
   e) se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del comma 4. […]».
[19] «Una modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia è considerata sostanziale ai sensi del comma 1, lettera e), quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti. In ogni caso, fatti salvi i commi 1 e 2, una modifica è considerata sostanziale se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte:
   a) la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione;
   b) la modifica cambia l’equilibrio economico del contratto o dell’accordo quadro a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale;
[…]».
[20] Fatta eccezione per la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6237/2018, da ultimo esaminata.
[21] In base alla quale è consentito modificare i contratti d’appalto durante il periodo di efficacia se, a prescindere dal loro valore, le modifiche sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, «che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi».
[22] «I contratti possono parimenti essere modificati, oltre a quanto previsto al comma 1, senza necessità di una nuova procedura a norma del presente codice, se il valore della modifica è al di sotto di entrambi i seguenti valori:
   a) le soglie fissate all’articolo 35;
   b) il 10 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di servizi e forniture sia nei settori ordinari che speciali ovvero il 15 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori sia nei settori ordinari che speciali. Tuttavia la modifica non può alterare la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro. In caso di più modifiche successive, il valore è accertato sulla base del valore complessivo netto delle successive modifiche. Qualora la necessità di modificare il contratto derivi da errori o da omissioni nel progetto esecutivo, che pregiudicano in tutto o in parte la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione, essa è consentita solo nei limiti quantitativi di cui al presente comma, ferma restando la responsabilità dei progettisti esterni.».
[23] Sempre che non venga alterata la natura complessiva del contratto.
[24] Concernente gli obblighi di comunicazione, pubblicità e controllo delle modificazioni del contratto ai sensi dell’art. 106 del D.Lgs. 50/2016 e approvato con delibera n. 112 del 13.02.2019.
[25] Non senza rilevare, peraltro, che l’art. 97, commi 5 e 6, del D.Lgs. 50/2016, disciplinando l’anomalia dell’offerta, stabilisce l’inderogabilità unicamente dei “minimi salariali retributivi” o dei “trattamenti salariali minimi”.
[26] V. l’art. 117, comma 2, lett. e), della Costituzione.
[27] V. l’art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione.
[28] Avverbio corrispondente a locuzioni quali: “per di più”, “oltre a ciò”, “ulteriormente”, “come se non bastasse”, “in aggiunta”
(30.04.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

APPALTIIl CIG e la proroga tecnica.
Domanda
In sede di richiesta del CIG, ai fini del valore dell’appalto, è necessario considerare la proroga tecnica di cui all’art. 106, co. 11, del codice, oppure, data l’eccezionalità della fattispecie e la difficoltà nel determinare il valore, può prescindersi dal computo?
Risposta
Secondo l’art. 106, co. 11, del d.lgs. 50/2016, “La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante”.
L’articolo disciplina la cd. proroga tecnica, ovvero uno spostamento in avanti della scadenza contrattuale, esercitabile qualora prevista nei documenti di gara al solo fine di garantire la continuità della prestazione nelle more della selezione di un nuovo contraente. Dal che discende che l’adozione della determinazione di proroga, da adottarsi prima della scadenza del termine contrattuale, presupponga l’avvio di una procedura di gara per la scelta di un nuovo aggiudicatario.
Con riferimento all’obbligatorietà di considerare l’importo della proroga tecnica nel valore dell’appalto, occorre rifarsi alla posizione espressa da ANAC.
In particolare nella Relazione AIR al bando tipo n. 1, alla proposta di inserire il valore della proroga tecnica nella quantificazione dell’appalto, è seguita una riposta negativa, motivata dalla circostanza che in base al dato normativo la durata e l’importo, non sono né prevedibili, né quantificabili alla data di pubblicazione del bando. Lasciando comunque la possibilità alle stazioni appaltanti, ove lo ritengano possibile, di procedere ad una stima di massima, che se determinata dovrà essere computata ai fini delle soglie di cui all’art. 35 del codice.
Anche dalla lettura delle FAQ A46 e A31 di ANAC, sotto riportate, dove si stabilisce di utilizzare lo stesso CIG per comunicare la parte maggiorata, si ammette la possibilità di un aumento del valore contrattuale rispetto al dato economico originariamente indicato in sede di acquisizione del CIG.
Ritornando al quesito si ritiene pertanto che non sia obbligatorio computare la proroga tecnica ex art. 106, co. 11, del codice, quanto piuttosto una scelta della stazione appaltante, qualora ritenga possibile (opportuno) quantificare il valore della stessa (nella prassi di molte amministrazioni stimato in un semestre).
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FAQ ANAC A.46. Quali sono le corrette modalità di adempimento degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari e contributivi e informativi verso l’Autorità in caso di proroga c.d. “tecnica”?
In caso di proroga c.d. “tecnica” del contratto, esercitabile nei casi previsti dallo stesso (molto ristretti) la comunicazione dei dati deve avvenire proseguendo con lo stesso CIG. Le schede così comunicate metteranno in luce tramite il conto finale della scheda di “collaudo/regolare esecuzione” la parte maggiorata rispetto all’importo di aggiudicazione.
Ai fini della tracciabilità, quindi, resta valido il CIG originario.
Proseguendo le comunicazioni con lo stesso CIG non scattano ulteriori oneri contributivi rispetto a quelli già sostenuti in fase di bando e offerta.
FAQ ANAC A31. Nel caso di proroga (cosiddetta tecnica) del contratto deve essere richiesto un nuovo codice CIG?
Non è prevista la richiesta di un nuovo codice CIG nei casi di proroga del contratto ai sensi dell’art. 106, comma 11, del Codice dei contratti pubblici, concessa per garantire la prosecuzione delle prestazioni nelle more dell’espletamento delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo soggetto affidatario (29.04.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Nozione di grave illecito professionale ai fini della esclusione da una gara di appalto e rapporto con il procedimento penale.
L’art. 80, comma 5, lett. c), del d.l.vo 2016 n. 50, nella versione risultante dalla novella –applicabile al caso di specie ratione temporis– introdotta dall’art. 5, comma 1, del D.L. 14.12.2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.02.2019, n. 12, dispone che “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora: … c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”.
In ordine alle condizioni necessarie per configurare un grave errore professionale e all’interpretazione, quindi, della norma citata, il Tribunale osserva quanto segue.
La ratio dell’art. 80, comma 5, lett. c), dlgs 50/2016 risiede “nell'esigenza di assicurare l'affidabilità di chi si propone quale contraente, requisito che si ritiene effettivamente garantito solo se si allarga il panorama delle informazioni, comprendendo anche le evenienze patologiche contestate da altri committenti...”.
La norma tende a consentire alla stazione appaltante un’adeguata e ponderata valutazione sull’affidabilità e sull’integrità dell’operatore economico, tanto che sono posti a carico di quest’ultimo i c.d. obblighi informativi: l’operatore è tenuto a fornire una rappresentazione quanto più dettagliata possibile delle proprie pregresse vicende professionali in cui, per varie ragioni, “gli è stata contestata una condotta contraria a norma” o, comunque, si è verificata la rottura del rapporto di fiducia con altre stazioni appaltanti.
L’ampiezza della formulazione, sia della norma nazionale, sia dell’art. 57, comma 4, lett. c), della direttiva 2014/24, conduce a ricomprendere nella nozione di “grave illecito professionale” -ferma restando la necessaria valutazione discrezionale della stazione appaltante- ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa.
La norma non reca una tassativa elencazione di ipotesi di grave errore professionale, sicché la stazione appaltante può addivenire all’esclusione dell’operatore economico, al di fuori di ogni tipizzazione normativa, ogni qual volta evidenzi, in esercizio della discrezionalità di cui dispone nella materia in esame, la riferibilità all’operatore di situazioni contrarie ad un obbligo giuridico di carattere civile, penale ed amministrativo, ritenute tali da rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità del concorrente.
Insomma, le citate disposizioni non contemplano un numero chiuso di “gravi illeciti professionali”, ma una serie aperta, cui deve essere data concretezza, di volta in volta, dalla stazione appaltante in esercizio della discrezionalità di cui dispone.
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La giurisprudenza ha già precisato che l’art. 80, comma 5, lett. c), del d.l.vo 2016 n. 50 ha dilatato il potere valutativo discrezionale delle amministrazioni aggiudicatrici in tema di esclusione dei concorrenti, correlandone l’esercizio ad un “concetto giuridico indeterminato”, sicché spetta alle stazioni appaltanti declinare, caso per caso, la condotta dell’operatore economico “colpevole di gravi illeciti professionali” , fermo restando che, quando la stazione appaltante esclude un operatore economico, perché considerato colpevole di un grave illecito professionale, deve adeguatamente motivare l’esercizio di siffatta discrezionalità.
Quanto ai fatti oggetto di un procedimento penale, deve riconoscersi alla stazione appaltante la facoltà di escludere un concorrente per ritenuti “gravi illeciti professionali”, a prescindere dalla definitività degli accertamenti compiuti in sede penale, ferma restando la necessità che l’esclusione sottenda un’adeguata istruttoria e una congrua motivazione.
Va ribadito che qualsiasi condotta, di cui venga contestata dall’Autorità la contrarietà alla legge e collegata all’esercizio dell’attività professionale, è di per sé potenzialmente idonea ad incidere sul processo decisionale rimesso alle stazioni appaltanti sull’accreditamento dei concorrenti come operatori complessivamente affidabili, a prescindere dall’esito dell’eventuale procedimento penale instaurato.
Corrispondentemente, la pendenza di un procedimento penale o la rilevanza penale dei fatti contestati dalla stazione appaltante non conducono ad un’espulsione automatica, ma ad una doverosa valutazione della loro incidenza sulla professionalità dell’operatore economico, valutazione che, con adeguata motivazione, deve dare conto delle ragioni dell’eventuale esclusione disposta.
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Analoga considerazione deve essere svolta in relazione alla mancanza di un rinvio a giudizio.
La questione rilevante non è tanto l’avvenuta applicazione di una misura penale a carico della società o del suo legale rappresentante, quanto la configurabilità di una condotta espressiva di un grave errore professionale.
Certo, la giurisprudenza, volta a volta, ha riconosciuto la legittimità del provvedimento di esclusione per grave illecito professionale ex art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 50/2016 e la conseguente revoca dell’aggiudicazione, assunti in conseguenza dell’emissione di un’ordinanza cautelare applicativa di misura coercitiva degli arresti domiciliari, ovvero la legittimità dell’esclusione dell’operatore per grave illecito professionale, disposta in ragione delle circostanze emerse dall'avviso di conclusione delle indagini.
Nondimeno, ciò non significa che ai fini della valutazione dell’esistenza di un grave errore professionale, correlato a fatti di rilevanza penale, sia necessaria la previa adozione di una misura penale a carico del rappresentante legale della società interessata, ovvero la disposizione nei suoi confronti del rinvio a giudizio.
Rileva, piuttosto, che i fatti presi in considerazione dalla stazione appaltante, quand’anche di rilevanza penale, siano espressivi di un grave errore professionale.
La fonte di innesco del potere valutativo della stazione appaltante può sicuramente essere un provvedimento del giudice penale, per i fatti che in esso sono riferiti, ma ciò non postula che sia stata applicata una misura penale, di qualunque tipo, nei confronti del rappresentante legale della società interessata.
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Come è noto, l’impresa che partecipa ad una gara deve osservare una diligenza qualificata, ex art. 1176, comma 2, c.c., poiché la partecipazione ad una procedura ad evidenza pubblica è espressione dell’attività economica svolta in modo professionale.
Il professionista deve commisurare la propria condotta non al criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, ma a quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., quale modello astratto di condotta che si estrinseca, tanto se l’interessato è un professionista, quanto se è un imprenditore, nell’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse della controparte, nonché ad evitare possibili eventi dannosi.
Va ribadito che, per costante giurisprudenza, la diligenza “si specifica nei profili della cura, della cautela, della perizia e della legalità” e deve valutarsi in concreto avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata e alle circostanze concrete del caso, in coerenza con il richiamato art. 1176, comma 2, c.c..
Il grave errore, rilevante ex art. 80, comma 5, lett. c), attiene a vicende professionali in cui, per varie ragioni, è stata contestata all’operatore “una condotta contraria a norma” o, comunque, si è verificata “la rottura del rapporto di fiducia con altre stazioni appaltanti”.
Si è già evidenziato che l’ampiezza della formulazione, sia della norma nazionale, sia dell’art. 57, comma 4, lett. c), della direttiva 2014/24, conduce a ricomprendere nella nozione di “grave illecito professionale” ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa.
E in tale concetto è sicuramente sussumibile la condotta del rappresentante legale, che in sede di partecipazione ad una gara, si accorda con altri operatori per la spartizione dei lotti da assegnare, così da vanificare la funzione della procedura ad evidenza pubblica.
Si tratta di una condotta non solo diametralmente opposta al dovere di buona fede, che informa l’azione degli operatori che partecipano ad una gara, ma, prima ancora, palesemente contraria ai parametri della diligenza qualificata che connotano l’attività di un operatore professionale.
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SENTENZA
Le censure non possono essere condivise.
3.1) L’art. 80, comma 5, lett. c), del d.l.vo 2016 n. 50, nella versione risultante dalla novella –applicabile al caso di specie ratione temporis– introdotta dall’art. 5, comma 1, del D.L. 14.12.2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.02.2019, n. 12, dispone che “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora: … c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”.
In ordine alle condizioni necessarie per configurare un grave errore professionale e all’interpretazione, quindi, della norma citata, il Tribunale osserva quanto segue.
L’art. 80, comma 5, lett. c), trova diretta corrispondenza nell’art. 57, comma 4, lett. c), della direttiva 2014/24, che consente alle stazioni appaltanti di escludere i partecipanti che abbiano commesso “gravi illeciti professionali”, riconoscendo così un ampio potere valutativo alle amministrazioni aggiudicatrici.
A ben vedere, la norma si pone in continuità con l’art. 38, comma 1, lett. f), del d.l.vo n. 163 del 2006, il quale prevedeva la non ammissione alle procedure di affidamento delle concessione e degli appalti di lavori, forniture e servizi, ovvero inibiva l’affidamento di subappalti o ancora la stipulazione dei relativi contratti per coloro che “secondo motivata valutazione della stazione appaltante … hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo da parte della stazione appaltante”, con la precisazione che, anche in tal caso, la norma costituiva attuazione della disciplina eurounitaria, atteso che l’art. 45, comma 2, lettera d), della direttiva 2004/18/CE, del 31.03.2004, pur rimettendo agli Stati membri la definizione delle condizioni di applicazione, consentiva l’esclusione dalla partecipazione all’appalto di “...ogni operatore economico...che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall'amministrazione aggiudicatrice”.
Vale evidenziare che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza n. 470, del 18.12.2014) ha puntualizzato che la nozione di “errore nell’esercizio dell’attività professionale” attiene a “... qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore e non soltanto le violazioni delle norme di deontologia in senso stretto della professione cui appartiene tale operato”.
Ecco, allora, che la ratio dell’art. 80, comma 5, lett. c), cit. risiede “nell'esigenza di assicurare l'affidabilità di chi si propone quale contraente, requisito che si ritiene effettivamente garantito solo se si allarga il panorama delle informazioni, comprendendo anche le evenienze patologiche contestate da altri committenti...” (così già: Consiglio di Stato, Sez. V, 11.04.2016, n. 1412).
La norma tende a consentire alla stazione appaltante un’adeguata e ponderata valutazione sull’affidabilità e sull’integrità dell’operatore economico, tanto che sono posti a carico di quest’ultimo i c.d. obblighi informativi: l’operatore è tenuto a fornire una rappresentazione quanto più dettagliata possibile delle proprie pregresse vicende professionali in cui, per varie ragioni, “gli è stata contestata una condotta contraria a norma” o, comunque, si è verificata la rottura del rapporto di fiducia con altre stazioni appaltanti (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 12.04.2019, n. 2407; Consiglio di Stato, sez. V, 04.02.2019, n. 827; Id., 16.11.2018, n. 6461; Id., 24.09.2018, n. 5500; Id., 03.09.2018, n. 5142; Id., 17.07.2017, n. 3493; Id., 05.07.2017, n. 3288; Id., 22.10.2015, n. 4870).
L’ampiezza della formulazione, sia della norma nazionale, sia dell’art. 57, comma 4, lett. c), della direttiva 2014/24, conduce a ricomprendere nella nozione di “grave illecito professionale” -ferma restando la necessaria valutazione discrezionale della stazione appaltante- ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 24.01.2019, n. 591; Consiglio di Stato, sez. III, n. 4192/17 e Id. n. 7231/2018).
La norma non reca una tassativa elencazione di ipotesi di grave errore professionale, sicché la stazione appaltante può addivenire all’esclusione dell’operatore economico, al di fuori di ogni tipizzazione normativa, ogni qual volta evidenzi, in esercizio della discrezionalità di cui dispone nella materia in esame, la riferibilità all’operatore di situazioni contrarie ad un obbligo giuridico di carattere civile, penale ed amministrativo, ritenute tali da rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità del concorrente (cfr. in argomento Consiglio di Stato, sez. V, 24.01.2019, n. 591; Consiglio di Stato, sez. III, 27.12.2018, n. 7231 e Id., sez. V, 03.09.2018, n. 5136).
Insomma, le citate disposizioni non contemplano un numero chiuso di “gravi illeciti professionali”, ma una serie aperta, cui deve essere data concretezza, di volta in volta, dalla stazione appaltante in esercizio della discrezionalità di cui dispone.
La giurisprudenza, cui aderisce il Tribunale (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. I, 24.07.2019, n. 1729), ha già precisato che l’art. 80, comma 5, lett. c), del d.l.vo 2016 n. 50 ha dilatato il potere valutativo discrezionale delle amministrazioni aggiudicatrici in tema di esclusione dei concorrenti, correlandone l’esercizio ad un “concetto giuridico indeterminato”, sicché spetta alle stazioni appaltanti declinare, caso per caso, la condotta dell’operatore economico “colpevole di gravi illeciti professionali” (cfr. sul punto, Consiglio di Stato, sez. III, 23.11.2017, n. 5467), fermo restando che, quando la stazione appaltante esclude un operatore economico, perché considerato colpevole di un grave illecito professionale, deve adeguatamente motivare l’esercizio di siffatta discrezionalità (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 02.03.2018, n. 1299).
Quanto ai fatti oggetto di un procedimento penale, deve riconoscersi alla stazione appaltante la facoltà di escludere un concorrente per ritenuti “gravi illeciti professionali”, a prescindere dalla definitività degli accertamenti compiuti in sede penale, ferma restando la necessità che l’esclusione sottenda un’adeguata istruttoria e una congrua motivazione.
Va ribadito che qualsiasi condotta, di cui venga contestata dall’Autorità la contrarietà alla legge e collegata all’esercizio dell’attività professionale, è di per sé potenzialmente idonea ad incidere sul processo decisionale rimesso alle stazioni appaltanti sull’accreditamento dei concorrenti come operatori complessivamente affidabili (cfr. così Consiglio di Stato, Sez. III, 29.11.2018, n. 6787), a prescindere dall’esito dell’eventuale procedimento penale instaurato.
Corrispondentemente, la pendenza di un procedimento penale o la rilevanza penale dei fatti contestati dalla stazione appaltante non conducono ad un’espulsione automatica, ma ad una doverosa valutazione della loro incidenza sulla professionalità dell’operatore economico, valutazione che, con adeguata motivazione, deve dare conto delle ragioni dell’eventuale esclusione disposta (cfr. in argomento, Consiglio di Stato, sez. V, 03.09.2018, n. 5142).
Ecco, allora, con riferimento al caso di specie, che la circostanza che l’ordinanza applicativa di misure cautelari personali emessa, in data -OMISSIS-, dal Gip presso il Tribunale di Milano, n. -OMISSIS- r.g.n.r. e n. -OMISSIS- r.g.g.i.p, non abbia disposto misure a carico del rappresentante legale di -OMISSIS- srl, pur a fronte della richiesta avanzata dal pubblico ministero, integra un dato neutro ai fini della valutazione della legittimità del provvedimento impugnato.
Analoga considerazione deve essere svolta in relazione alla mancanza di un rinvio a giudizio a carico di -OMISSIS-, almeno con riferimento al tempo di adozione del provvedimento gravato.
La questione rilevante non è tanto l’avvenuta applicazione di una misura penale a carico della società o del suo legale rappresentante, quanto la configurabilità di una condotta espressiva di un grave errore professionale.
Certo, la giurisprudenza, volta a volta, ha riconosciuto la legittimità del provvedimento di esclusione per grave illecito professionale ex art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 50/2016 e la conseguente revoca dell’aggiudicazione, assunti in conseguenza dell’emissione di un’ordinanza cautelare applicativa di misura coercitiva degli arresti domiciliari (cfr. Consiglio di Stato n. 1367 del 27.02.2019), ovvero la legittimità dell’esclusione dell’operatore per grave illecito professionale, disposta in ragione delle circostanze emerse dall'avviso di conclusione delle indagini (cfr. Consiglio di Stato, n. 1846 del 20.03.2019).
Nondimeno, ciò non significa che ai fini della valutazione dell’esistenza di un grave errore professionale, correlato a fatti di rilevanza penale, sia necessaria la previa adozione di una misura penale a carico del rappresentante legale della società interessata, ovvero la disposizione nei suoi confronti del rinvio a giudizio.
Rileva, piuttosto, che i fatti presi in considerazione dalla stazione appaltante, quand’anche di rilevanza penale, siano espressivi di un grave errore professionale.
La fonte di innesco del potere valutativo della stazione appaltante può sicuramente essere un provvedimento del giudice penale, per i fatti che in esso sono riferiti, ma ciò non postula che sia stata applicata una misura penale, di qualunque tipo, nei confronti del rappresentante legale della società interessata.
...
Né è dubitabile che l’attività contestata a -OMISSIS-, in qualità di amministratore, rappresentante e socio di -OMISSIS- integri un grave errore professionale.
Come è noto, l’impresa che partecipa ad una gara deve osservare una diligenza qualificata, ex art. 1176, comma 2, c.c., poiché la partecipazione ad una procedura ad evidenza pubblica è espressione dell’attività economica svolta in modo professionale.
Il professionista deve commisurare la propria condotta non al criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, ma a quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., (cfr. tra le tante, Cassazione civile, sez. III, 10.06.2016, n. 11906), quale modello astratto di condotta che si estrinseca, tanto se l’interessato è un professionista, quanto se è un imprenditore, nell’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse della controparte, nonché ad evitare possibili eventi dannosi.
Va ribadito che, per costante giurisprudenza, la diligenza “si specifica nei profili della cura, della cautela, della perizia e della legalità” (cfr. Cassazione civile, 31.05.2006, n. 12995) e deve valutarsi in concreto avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata e alle circostanze concrete del caso, in coerenza con il richiamato art. 1176, comma 2, c.c. (cfr. per tutte, Cassazione civile, sez. III, 15.06.2018, n. 15732).
Il grave errore, rilevante ex art. 80, comma 5, lett. c), attiene a vicende professionali in cui, per varie ragioni, è stata contestata all’operatore “una condotta contraria a norma” o, comunque, si è verificata “la rottura del rapporto di fiducia con altre stazioni appaltanti” (cfr. tra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, 12.04.2019, n. 2407).
Si è già evidenziato che l’ampiezza della formulazione, sia della norma nazionale, sia dell’art. 57, comma 4, lett. c), della direttiva 2014/24, conduce a ricomprendere nella nozione di “grave illecito professionale” ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 24.01.2019, n. 591; Consiglio di Stato, III, n. 4192/2017 e Id. n. 7231/2018).
E in tale concetto è sicuramente sussumibile la condotta del rappresentante legale, che in sede di partecipazione ad una gara, si accorda con altri operatori per la spartizione dei lotti da assegnare, così da vanificare la funzione della procedura ad evidenza pubblica.
Si tratta di una condotta non solo diametralmente opposta al dovere di buona fede, che informa l’azione degli operatori che partecipano ad una gara, ma, prima ancora, palesemente contraria ai parametri della diligenza qualificata che connotano l’attività di un operatore professionale.
Insomma, al di là dei profili penali della vicenda, i fatti contestati integrano la reiterata violazione di puntuali doveri stabiliti dall’ordinamento, violazione commessa nell’esercizio dell’attività professionale.
L’amministrazione ha fondato l’esclusione su fatti precisi, supportati sul piano istruttorio, di oggettiva gravità, tali da incidere sulla moralità professionale e sull’affidabilità dell’operatore economico quale controparte contrattuale.
Ecco, allora, che il provvedimento di esclusione, oltre a recare una puntuale motivazione e una dettagliata indicazione delle risultanze istruttorie, sviluppa un giudizio del tutto aderente al quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento quanto alla riconducibilità delle condotte contestate ad un grave errore professionale.
Va, pertanto, ribadito che anche le censure in esame sono destituite di fondamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 27.04.2020 n. 701 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIApplicazione del principio di rotazione agli appalti sotto soglia con procedura aperta svolta sulla piattaforma SINTEL.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Rotazione – Appalti sotto soglia – Procedura aperta - Svolta sulla piattaforma SINTEL – Inapplicabilità.
Il principio di rotazione, previsto dall’art. 36, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, non si applica agli appalti sottosoglia con procedura aperta svolta sulla piattaforma SINTEL (1).
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   1) La sentenza ha ricordato quanto previsto anche dalle Linee guida ANAC n. 4 [nella versione adottata con Delib. 01.03.2018, n. 206 (punto 3.6)], in ragione della natura aperta della procedura per cui è causa: “Il fondamento del principio di rotazione è individuato tradizionalmente nell’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento), in particolare nei mercati in cui il numero di agenti economici attivi non è elevato.
Peraltro, così come delineato dal richiamato art. 36, detto principio costituisce per gli appalti di lavori, servizi e forniture sotto soglia il necessario contrappeso alla significativa discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nell’individuare gli operatori economici in favore dei quali disporre l’affidamento (nell’ipotesi di affidamento diretto) o ai quali rivolgere l’invito a presentare le proprie offerte (nel caso di procedura negoziata), in considerazione dell’eccentricità di tali modalità di selezione dei contraenti rispetto ai generali principi del favor partecipationis e della concorrenza. (…) detto principio non trova applicazione ove la stazione appaltante non effettui né un affidamento (diretto) né un invito (selettivo) degli operatori economici che possono presentare le loro offerte, ma la possibilità di contrarre con l’amministrazione sia aperta a tutti gli operatori economici appartenenti ad una determinata categoria merceologica
”.
Nella specie la stazione appaltante ha invitato tutti i soggetti che avevano manifestato il loro interesse, senza esclusioni o vincoli in ordine al numero massimo di operatori ammessi alla procedura. Gli operatori economici erano unicamente tenuti ad effettuare l’accesso e l’iscrizione alla piattaforma telematica Sintel, che non prevedono alcuna istruttoria o a selezione da parte dell’amministrazione.
Ha ancora ricordato la sentenza che un eventuale precedente affidamento non ha carattere assolutamente preclusivo rispetto alla partecipazione dei precedenti affidatari alla procedura, se la procedura è aperta, ovvero se, in caso di diversa procedura, la stazione appaltante motiva le ragioni dell’invio anche a costoro.
In questa seconda ipotesi l’obbligo di motivazione che incombe sulla stazione appaltante concerne il fatto oggettivo del precedente affidamento impedisce alla stazione appaltante di invitare il gestore uscente, salvo che essa dia adeguata motivazione delle ragioni che hanno indotto, in deroga al principio generale di rotazione, a rivolgere l'invito anche all'operatore uscente e non già la partecipazione del precedente gestore ad una procedura aperta, bensì l’invito del medesimo ad una procedura ristretta (Cons. St., sez. V, 30.03.2020, n. 2182) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 25.04.2020 n. 2654 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTIInterdittiva antimafia basata soltanto rapporti di parentela.
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Informativa antimafia – Presupposti – Vicinanza di soggetto immune a pregiudizi penali con ambienti mafiosi – Sufficienza.
Possono fondare i rapporti di interdittiva antimafia anche i soli rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica” (1).
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   (1) La Sezione ha chiarito che la giurisprudenza consolidata della Sezione (07.02.2018, n. 820) in materia di interdittiva antimafia basata sui soli rapporti di parentela è stata da ultimo avvalorata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 26.03.2020 che, sebbene abbia pronunciato con specifico riferimento alla comunicazione antimafia interdittiva che impinge sull’esercizio di una attività imprenditoriale puramente privatistica, ha ribadito le linee fondanti di tale misura preventiva.
In particolare, in detta occasione il giudice delle leggi è stato chiamato ad esaminare la conformità dell’art. 89-bis (e in via conseguenziale dell’art. 92, commi 3 e 4), d.lgs. 06.09.2011, n. 159 per violazione degli artt. 3 e 41 Cost. perché priverebbe un soggetto del diritto, sancito dall’art. 41 Cost., di esercitare l’iniziativa economica, ponendolo nella stessa situazione di colui che risulti destinatario di una misura di prevenzione personale applicata con provvedimento definitivo.
Nel respingere la questione di legittimità costituzionale la Corte –prendendo le mosse da una analisi della giurisprudenza di questa Sezione- ha affermato che il fenomeno mafioso rappresenta un quadro preoccupante non solo per le dimensioni ma anche per le caratteristiche del fenomeno, e in particolare –e in primo luogo− per la sua pericolosità (rilevata anche da questa Corte: sentenza n. 4 del 2018). Difatti la forza intimidatoria del vincolo associativo e la mole ingente di capitali provenienti da attività illecite sono inevitabilmente destinate a tradursi in atti e comportamenti che inquinano e falsano il libero e naturale sviluppo dell’attività economica nei settori infiltrati, con grave vulnus, non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana.
Le modalità, poi, di tale azione criminale non sono meno specifiche, perché esse manifestano una grande “adattabilità alle circostanze”: variano, cioè, in relazione alle situazioni e alle problematiche locali, nonché alle modalità di penetrazione, e mutano in funzione delle stesse.
Ha aggiunto la Corte costituzionale che quello che si chiede alle autorità amministrative non è di colpire pratiche e comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori prima ricordati, compito naturale dell’autorità giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento.
È in questa prospettiva anticipatoria della difesa della legalità che si colloca il provvedimento di informativa antimafia al quale, infatti, è riconosciuta dalla giurisprudenza natura “cautelare e preventiva” (Cons. Stato, A.P., 06.04.2018, n. 3), comportando un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa.
La Corte costituzionale ha quindi fatto riferimento alle situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale, individuate da questa Sezione. Tra queste:
   - i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;
   - le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa;
   - la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011;
   - i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”;
   - i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;
   - le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa;
   - la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”;
   - l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.
Proprio con riferimento ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose la Sezione (07.02.2018, n. 820) aveva chiarito che l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto.
Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.
Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza –su un’area più o meno estesa– del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24.04.2020 n. 2651 - commento tratto da e ink a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Interesse alla rinnovazione della gara di appalto.
Il TAR Milano, con riferimento all’interesse alla rinnovazione della gara di appalto, richiama:
«il pacifico insegnamento per cui la verifica positiva della sussistenza dell’interesse all’impugnativa comporta che l’effettiva utilitas per il ricorrente, riveniente dall’invocato annullamento degli atti gravati, possa essere identificata non solo nel conseguimento dell’aggiudicazione dell’appalto pubblico, ma anche nella mera rinnovazione della gara; di talché non sussiste in capo al ricorrente deducente l’onere di fornire alcuna prova di resistenza quando le censure proposte sono dirette ad ottenere l’annullamento dell’intera procedura; “ciò è tanto più vero nell’ipotesi in cui oggetto di censura sono le stesse regole fondamentali poste a fondamento della valutazione delle offerte, sulla cui base si è svolta la selezione, e le dette regole siano state il frutto di procedure errate e scarsamente intelligibili che abbiano minato l’intero esito del confronto competitivo. L’utilitas –che in ipotesi siffatte la parte ricorrente in giudizio può ritrarre– è quella della rinnovazione della gara, interesse strumentale che la Corte di Giustizia UE riconosce, nelle controversie relative all’aggiudicazione di appalti pubblici, come meritevole di tutela per esigenze di effettività”.
Del resto si è riconosciuto sussistente l’interesse a ricorrere del soggetto che:
   - originariamente escluso dall’Amministrazione, con provvedimento ritenuto legittimo dal Giudice escluso, faccia valere con motivi aggiunti la mancata esclusione della ditta aggiudicataria, al fine di ottenere la riedizione della gara;
   - esperendo ricorso principale avverso l’aggiudicazione al terzo, sia stato destinatario di un ricorso incidentale “escludente” positivamente scrutinato dal Giudice; in tal caso, e a prescindere dai concorrenti rimasti in gara e utilmente collocati in graduatoria, l’offerente “deve vedersi riconoscere un legittimo interesse all’esclusione dell’offerta dell’aggiudicatario” in quanto “non si può escludere che, anche se la sua offerta fosse giudicata irregolare, l’amministrazione aggiudicatrice sia indotta a constatare l’impossibilità di scegliere un’altra offerta regolare e proceda di conseguenza all’organizzazione di una nuova procedura di gara”.
Di talché:
   - se è stato reputato meritevole di tutela con la possibilità di accesso al Giudice (art. 47 Carta di Nizza) -all’uopo recedendo il pur fondamentale principio di autonomia processuale degli Stati membri- l’interesse alla riedizione della procedura, ancorché soltanto potenziale ed eventuale; di qui l’obbligo di procedere alla disamina:
i) dei motivi aggiunti esperiti dal partecipante escluso avverso l’aggiudicazione al terzo, anche in caso di reiezione del ricorso principale avverso l’esclusione;
ii) dei ricorsi intesi alla reciproca esclusione “quali che siano i numeri dei partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto e il numero di quelli che hanno presentato ricorso”;
   - a fortiori la idoneità di un tale interesse strumentale non mai può essere disconosciuta nella ipotesi –quale quella che ci occupa- ove la riedizione della procedura della gara, lungi dall’essere aleatoria e potenziale, si atteggia di contro quale conseguenza necessitata dell’invocato dictum giudiziale di annullamento»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 24.04.2020 n. 685 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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2.11. Evanescente, di poi, si appalesa la ulteriore eccezione di inammissibilità, pel tramite della quale le resistenti –che pure, con la prima obiezione di rito, insistono per la immediata attitudine lesiva delle previsioni di gara de quibus- allegano, di contro ed in una prospettiva tutt’affatto antitetica (e fors’anche inconciliabile con la immediatamente pregressa linea defensionale) la inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, stante la inesistenza di un effettivo vulnus per la sfera della ricorrente causalmente riconducibile alle contestate previsioni concorsuali.
2.11.1. E, invero:
   - la lesione alla sfera giuridica della ricorrente riviene dal provvedimento di aggiudicazione dell’appalto al RTI controinteressato;
   - è tale incontestabile nocumento, che depriva la ricorrente del bene della vita agognato, ad inverare e rendere attuale l’interesse alla rimozione dei vizi di legittimità quodammodo inficianti la procedura;
   - se i vizi lamentati afferiscono “atomisticamente” al segmento finale della procedura e alla posizione di altri concorrenti –“vincitore” della gara ovvero altri partecipanti posti in posizione migliore nella graduatoria- è evidente che l’interesse che sorreggere la domanda giudiziale è quello volto al conseguimento della commessa (interesse finale); di qui l’onere di allegare e dimostrare che dalla rimozione del vizio discende la potiore collocazione in graduatoria del ricorrente rispetto all’aggiudicatario, nonché agli altri concorrenti che eventualmente dovessero ancora precedere esso ricorrente (cd. “prova di resistenza”);
   - di contro, allorquando le censure attengano alle modalità di indizione e di svolgimento della procedura e alle regole di gara –volte alla emersione di vizi idonei a travolgere in toto la procedura- sarà l’interesse alla riedizione della gara a costituire l’indefettibile sostrato, attuale e concreto, della domanda caducatoria (interesse strumentale); in tal caso, indi, è giustappunto la necessità di procedere alla rinnovazione della procedura a costituire ex se un vantaggio per la sfera giuridica del concorrente pretermesso, sostanziandosi in una chance di conseguimento della successiva commessa, causalmente riconducibile al richiesto intervento giudiziale.
2.11.2. Valga, all’uopo, il richiamare il pacifico insegnamento per cui la verifica positiva della sussistenza dell’interesse all’impugnativa comporta che l’effettiva utilitas per il ricorrente, riveniente dall’invocato annullamento degli atti gravati, possa essere identificata non solo nel conseguimento dell’aggiudicazione dell’appalto pubblico, ma anche nella mera rinnovazione della gara; di talché non sussiste in capo al ricorrente deducente l’onere di fornire alcuna prova di resistenza quando le censure proposte sono dirette ad ottenere l’annullamento dell’intera procedura; “ciò è tanto più vero nell’ipotesi in cui oggetto di censura sono le stesse regole fondamentali poste a fondamento della valutazione delle offerte, sulla cui base si è svolta la selezione, e le dette regole siano state il frutto di procedure errate e scarsamente intelligibili che abbiano minato l’intero esito del confronto competitivo. L’utilitas –che in ipotesi siffatte la parte ricorrente in giudizio può ritrarre– è quella della rinnovazione della gara, interesse strumentale che la Corte di Giustizia UE riconosce, nelle controversie relative all’aggiudicazione di appalti pubblici, come meritevole di tutela per esigenze di effettività (cfr. Cons. Stato, sez. III, 16.04.2018, n. 2258)” (CdS, III, 22.10.2018, n. 6035).
2.11.3. Del resto si è riconosciuto sussistente l’interesse a ricorrere del soggetto che:
   - originariamente escluso dall’Amministrazione, con provvedimento ritenuto legittimo dal Giudice escluso, faccia valere con motivi aggiunti la mancata esclusione della ditta aggiudicataria, al fine di ottenere la riedizione della gara (CGUE, 10.05.2017, in causa C-131/16, Archus; Cass., SS.UU., 29.12.2017, n. 31226);
   - esperendo ricorso principale avverso l’aggiudicazione al terzo, sia stato destinatario di un ricorso incidentale “escludente” positivamente scrutinato dal Giudice; in tal caso, e a prescindere dai concorrenti rimasti in gara e utilmente collocati in graduatoria, l’offerente “deve vedersi riconoscere un legittimo interesse all’esclusione dell’offerta dell’aggiudicatario” in quanto “non si può escludere che, anche se la sua offerta fosse giudicata irregolare, l’amministrazione aggiudicatrice sia indotta a constatare l’impossibilità di scegliere un’altra offerta regolare e proceda di conseguenza all’organizzazione di una nuova procedura di gara” (CGUE, 05.09.2019, in causa C-333/18, § 27).
2.11.4. Di talché:
   - se è stato reputato meritevole di tutela con la possibilità di accesso al Giudice (art. 47 Carta di Nizza) -all’uopo recedendo il pur fondamentale principio di autonomia processuale degli Stati membri- l’interesse alla riedizione della procedura, ancorché soltanto potenziale ed eventuale; di qui l’obbligo di procedere alla disamina:
i) dei motivi aggiunti esperiti dal partecipante escluso avverso l’aggiudicazione al terzo, anche in caso di reiezione del ricorso principale avverso l’esclusione;
ii) dei ricorsi intesi alla reciproca esclusione “quali che siano i numeri dei partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto e il numero di quelli che hanno presentato ricorso”;
   - a fortiori la idoneità di un tale interesse strumentale non mai può essere disconosciuta nella ipotesi –quale quella che ci occupa- ove la riedizione della procedura della gara, lungi dall’essere aleatoria e potenziale, si atteggia di contro quale conseguenza necessitata dell’invocato dictum giudiziale di annullamento.

APPALTI: La sospensione del termine del soccorso istruttorio integrativo ai sensi dell’articolo 103 del DL 18/2020.
Domanda
Vorremmo sapere in che modo si rapporta la sospensione dei termini del procedimento amministrativo prevista dall’articolo 103 del DL “cura Italia” con le procedure di affidamento, in particolare in relazione al soccorso istruttorio.
Risposta
Il momento attuale che sta vivendo il Paese (e non solo) ha portato il legislatore, come noto, a disporre una “generale” sospensione dei procedimenti amministrativi. In particolare, come si rammenta nel quesito, con le disposizioni declinate nell’articolo 103 del DL 18/2020 attualmente in fase di conversione (e si anticipa che in questa norma, non solo viene confermata ma addirittura ampliata con previsioni ulteriori, almeno negli schemi resi noti).
Il procedimento amministrativo contrattuale –e non solo la vera e propria fase pubblicistica- viene, ovviamente, inciso dalla disposizione in commento. Il procedimento di affidamento ben potrebbe essere configurato come procedura avviata d’ufficio.
Sulle questioni specifiche poste dal quesito, ed in particolare –ma non solo– sui tempi del soccorso istruttorio (tanto nella fattispecie specificativa quanto in quella integrativa) ex art. 83, comma 9, ha in tempi recentissimi fornito dei chiarimenti anche l’autorità anticorruzione con la deliberazione n. 312/2020.
Si assiste, in generale e semplificando, ad una generale sospensione di ogni termine. Ed in questo senso nella delibera si legge che la “sospensione si applica a tutti i termini stabiliti dalle singole disposizioni della lex specialis e, in particolare sia a quelli “iniziali” relativi alla presentazione delle domande di partecipazione e/o delle offerte, nonché a quelli previsti per l’effettuazione di sopralluoghi, sia a quelli “endoprocedimentali” tra i quali, a titolo esemplificativo, quelli relativi al procedimento di soccorso istruttorio e al sub-procedimento di verifica dell’anomalia e/o congruità dell’offerta”.
Nelle nuove scadenze dei termini già assegnati vengono sostanzialmente posposti e “riprenderanno a decorrere per il periodo residuo” dal 16.05.2020 (il congelamento riguarda il periodo intercorrente tra il 23 febbraio e il 15 maggio).
Sono possibili delle deroghe alla sospensione da parte del RUP nel caso in cui il tipo di procedura e la fase della stessa lo consentano” ovviamente con il consenso degli interessati nel senso che il responsabile del procedimento non potrà “vessare” l’operatore imponendo l’adempimento.
Infatti, nella stessa deliberazione si precisa che “nel caso in cui le amministrazioni intendano avvalersi” dell’interruzione della sospensione dovranno “acquisire preventivamente la dichiarazione dei concorrenti in merito alla volontà di avvalersi o meno della sospensione dei termini disposta dal decreto-legge n. 18/2020, così come modificato dall’articolo 37 del decreto-legge n. 23 dell’08/04/2020”.
È in facoltà del RUP, poi, concedere “proroghe e/o differimenti ulteriori rispetto a quelli previsti dal decreto-legge in esame, anche su richiesta degli operatori economici, laddove l’impossibilità di rispettare i termini sia dovuta all’emergenza sanitaria” (22.04.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI FORNITURE: Emergenza sanitaria: erogazione contributi per Buoni Spesa Alimentari – obblighi di pubblicazione.
Domanda
Con determinazione dirigenziale del Responsabile dell’Ufficio servizi sociali sono stati erogati i contributi per i Buoni Spesa Alimentari, di cui all’Ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile n. 658 del 29/03/2020.
Quali obblighi di trasparenza è necessario assolvere?
Risposta
Per far fronte alla grave situazione economica determinatasi per effetto delle conseguenza dell’emergenza COVID-19, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, attraverso il Capo del dipartimento della Protezione civile, ha erogato la somma complessiva di euro 400 milioni, suddivisa tra tutti i comuni italiani.
Sulla base del finanziamento ricevuto, ogni comune ha pubblicato un avviso, raccolto le domande degli interessati ed erogato le somme ai beneficiari, previste nello specifico provvedimento comunale, qualora si sia scelta la modalità prevista nell’articolo 2, comma 4, lettera a), della citata ordinanza n. 658/2020 (buoni spesa utilizzabili per l’acquisto di generi alimentari).
Se l’erogazione è stata effettuata con determinazione dirigenziale, il primo obbligo sarà quello di pubblicare l’atto su albo pretorio on-line, come previsto da alcune sentenze del Consiglio di Stato, tra le quali si ricordano la n. 1370 del 15.05.2006 e quella della Sezione V, del 11.05.2017.
Per quanto riguarda gli obblighi di pubblicità e trasparenza conseguenti all’esecuzione di tale procedimento amministrativo, le disposizioni da applicare sono quelle previste negli articoli 26 e 27 del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, che possiamo riassumere secondo i seguenti passaggi:
   a) Pubblicare nella sezione Amministrazione trasparente > Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici > Criteri e modalità, la disciplina comunale prevista per l’erogazione dei Buoni Spesa. Si immagina che tali disposizioni propedeutiche siano state approvate con determina dirigenziale del responsabile dei servizi sociali;
   b) Pubblicare nella sezione Amministrazione trasparente > Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici > Atti di concessione, l’elenco dei vari beneficiari, sostituendo i dati personali delle persone fisiche (cognome e nome, residenza o altri dati personali) con un codice identificativo sostitutivo, così come dettagliatamente specificato nell’articolo 26, comma 4, del citato d.lgs. 33/2013. In questo caso l’anonimizzazione si rende necessaria ed indispensabile perché i beneficiari rientrato tutti nella categoria connessa alla situazione di disagio economico-sociale, conseguente all’epidemia sanitaria da COVID-19. Si tenga conto che l’obbligo (art. 26, comma 2), si riferisce a contributi di importo annuo superiore a mille euro nell’anno solare. Al riguardo, però, è bene specificare che numerose amministrazioni hanno stabilito, nella sezione trasparenza del loro PTPCT, di pubblicare i contributi di qualsiasi importo, interpretando –a parere di chi scrive correttamente– il principio di accessibilità totale ai documenti e informazioni detenuti dalle P.A.
Tali informazioni vanno pubblicate in formato tabellare aperto, con aggiornamento tempestivo e per la durata di cinque anni, contati dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di pubblicazione, per effetto dell’art. 26, comma 3, del d.lgs. 33/2013.
A titolo di esempio la pubblicazione dei dati potrebbe essere effettuata utilizzando la tabella che segue:

N. ORD.     CODICE UTENTE    IMPORTO EROGATO
                BENEFICIARIO        Euro

01            Cod. 056/2020        300,00
02            Cod. 061/2020        250,00
03            Cod. 014/2020        300,00
04            Cod. 089/2020        150,00
05            Cod. 112/2020        200,00
06            Cod. 018/2020        300,00

Come ultimo adempimento, occorre ricordarsi che tutte le informazioni devono essere organizzate, annualmente, in un unico elenco per singola amministrazione, secondo modalità di facile consultazione, in formato tabellare che ne consenta l’esportazione il trattamento e il riutilizzo, così come previsto dall’articolo 27, comma 2, del d.lgs. 33/2013 (21.04.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI FORNITUREAcquisti P.A.: come può un Ente acquistare su un sito on-line e richiedere una fatturazione in regime di “split payment”?
L’Ente scrivente chiede come può il proprio Comando dei Vigili Urbani, in vista dell’urgenza di acquistare dei termometri a distanza non presenti in Mepa, procedere all’acquisto on line tramite il sito Amazon.
Essendo richiesto come metodo di pagamento elettronico una carta di credito (in questo caso una pre-pagata), come possiamo richiedere che il documento fiscale (intestato al Comune) in regime di ‘split payment’ anche se l’importo andrà pagato per intero?

La vendita operata da Amazon rientra nell’art. 22, comma 1, del Dpr. n. 633/1972 (esonero da fatturazione) e nell’art. 2, comma 1, lett. oo), del Dpr. n. 696/1996 (esonero da certificazione), come confermato dalla Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 274/E del 2009.
Il Comune opera evidentemente detto acquisto in ambito istituzionale, alla stregua di un privato senza Partita Iva, non potendosi quindi detrarre l’Iva ai sensi dell’art. 19 del Dpr. n. 633/7192.
Atteso quanto sopra, laddove il Comune non necessitasse di fattura (da richiedere al momento dell’acquisto, ai sensi del citato art. 22, comma 1), il caso di specie, non essendo emessa fattura, rientra tra gli esoneri da “split payment”, come disciplinati dalle Circolari Entrate n. 15/E del 2015 e n. 27/E del 2017.
Pertanto, suggeriamo di verificare l’effettiva necessità che venga rilasciata fattura perché, laddove tale necessità non vi sia (essendo sufficiente una ricevuta di avvenuto pagamento, rilasciata al momento dell’acquisto operato con la carta prepagata), è possibile evitare di richiederla, per i motivi suesposti (20.04.2020 - link a www.entilocali-online.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIE’ noto che in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l'autonomia contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara pubblica.
Va peraltro ricordato che la differenza tra rinnovo e proroga di contratto pubblico sta nel fatto che il primo comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l'integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più attuali; la seconda ha invece come solo effetto il differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall'atto originario.
Peraltro all'affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui, ad un affidamento con gara, segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario; le proroghe dei contratti affidati con gara, infatti, sono consentite se già previste ab origine e comunque entro termini determinati, mentre, una volta che il contratto scada e si proceda ad una proroga non prevista originariamente, o oltre i limiti temporali consentiti, la stessa proroga deve essere equiparata ad un affidamento senza gara.
In definitiva, anche nella materia del rinnovo o della proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è spazio per l'autonomia contrattuale delle parti, in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal legislatore per ragioni di interesse pubblico; al contrario, vige il principio in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara.
Invero, “La proroga costituisce strumento del tutto eccezionale, utilizzabile solo qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi concorrenziali”.
Anche l’Anac ha precisato <<Con riguardo alla problematica relativa all’utilizzo degli istituti della proroga e dei rinnovi taciti nei contratti di appalto di servizi e forniture, gli ispettori si riportano ad alcune considerazioni giuridiche e giurisprudenziali chiarendo in primo luogo che “l’art. 23 della L. n. 62/2005, nel sancire l’espresso divieto del rinnovo tacito dei contratti delle P.A. per le forniture di beni e servizi,” tendente a scongiurare ripetuti affidamenti allo stesso operatore “ha anche previsto la facoltà, da esercitarsi entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, di procedere al rinnovo espresso dopo aver accertato la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse”.
Per ciò che concerne la cd “proroga tecnica”, preme evidenziare l’orientamento restrittivo dell’Autorità (cfr. Delibere nn. 6/2013 e 1/2014) e della consolidata giurisprudenza, che ammettono la proroga tecnica solo in via del tutto eccezionale, poiché costituisce una violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, enunciati nel previgente codice dei contratti al comma 1 dell’art. 2 [oggi art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016].
La proroga, nell’unico caso oggi ammesso, ha carattere di temporaneità e rappresenta uno strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da un vincolo contrattuale ad un altro, come chiarito dall’Autorità con parere AG 38/2013: la proroga “è teorizzabile ancorandola al principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente”.
Una volta scaduto il contratto, l’Amministrazione, qualora abbia ancora necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve -tempestivamente- bandire una nuova gara, al fine di portarla a termine prima della naturale scadenza del risalente contratto, in quanto, in tema di proroga (o rinnovo) dei contratti pubblici non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti>>.

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La proroga “è teorizzabile ancorandola al principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente”.
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La giurisprudenza ha stigmatizzato anche il ricorso alla seconda proroga sul presupposto che: “appare, infatti, difficilmente compatibile con la normativa comunitaria in materia di contratti pubblici una seconda proroga degli affidamenti vigenti e se le suddette norme fossero interpretate nel senso di obbligare le Amministrazioni in tal senso, potrebbe emergere un'elusione da parte dello Stato italiano dei vincoli derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea. Sotto il profilo della compatibilità costituzionale apparirebbe poi difficilmente armonizzabile con il principio di libera iniziativa economica, ex art. 41 Cost., l'imposizione alle imprese affidatarie di un servizio di gestione obbligatoria derivante dalla proroga contrattuale, alle condizioni in essere”.
Infatti, come già evidenziato alla luce della giurisprudenza in materia, una legittima proroga può intervenire antecedentemente alla scadenza del contratto, per una sola volta, e limitatamente al periodo necessario per l’indizione e la conclusione della necessaria procedura ad evidenza pubblica ovvero delle attività alternative di reclutamento del personale (internalizzazione mediante ricorso alla mobilità o ad autonome procedure concorsuali), da programmarsi, comunque, con congruo anticipo in previsione della già stabilita cessazione del periodo di efficacia del contratto non costituente circostanza imprevedibile ed eccezionale.
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17. Le censure, in quanto relative al difetto dei presupposti per il ricorso alla proroga, da qualificarsi come proroga tecnica, possono essere trattate congiuntamente.
17.1 Le stesse sono fondate, nel senso di seguito precisato, secondo quanto del resto già ritenuto da questa Sezione con la sentenza n. 4109/2018, senza che al riguardo abbia rilevanza, che nell’ipotesi di cui è causa, al contrario di quanto ravvisabile in relazione alla terza proroga, la A.S.L. resistente abbia proceduto (peraltro con gravissimo ritardo rispetto alla naturale scadenza del contratto), a bandire la procedura di gara per l’affidamento di parte dei servizi, decidendo di internalizzare (sempre con gravissimo ritardo), altra parte dei servizi.
17.2. E’ noto infatti che in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l'autonomia contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara pubblica (Consiglio di Stato, sez. V, 20.08.2013 n. 4192).
Va peraltro ricordato che la differenza tra rinnovo e proroga di contratto pubblico sta nel fatto che il primo comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l'integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più attuali; la seconda ha invece come solo effetto il differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall'atto originario.
Peraltro all'affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui, ad un affidamento con gara, segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario; le proroghe dei contratti affidati con gara, infatti, sono consentite se già previste ab origine e comunque entro termini determinati, mentre, una volta che il contratto scada e si proceda ad una proroga non prevista originariamente, o oltre i limiti temporali consentiti, la stessa proroga deve essere equiparata ad un affidamento senza gara (giurisprudenza costante, ex multis TAR Sardegna, sez. I, 06.03.2012 n. 242).
In definitiva, anche nella materia del rinnovo o della proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è spazio per l'autonomia contrattuale delle parti, in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal legislatore per ragioni di interesse pubblico; al contrario, vige il principio in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara (TAR Sardegna Cagliari n. 755/2014 confermata da Consiglio di Stato sez. III n. 1521/2017 con cui si è affermato che “La proroga, anzi, come giustamente evidenziato dal primo giudice, costituisce strumento del tutto eccezionale, utilizzabile solo qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi concorrenziali”).
Anche l’Anac, riportandosi a quanto affermato in materia dalla giurisprudenza, con delibera numero 557 del 31.05.2017, riferita proprio ai contratti originariamente aggiudicati, come nella specie, ai sensi del Dlgs. 163/2006 e ad un’ispezione eseguita in una ASL ha precisato <<Con riguardo alla problematica relativa all’utilizzo degli istituti della proroga e dei rinnovi taciti nei contratti di appalto di servizi e forniture, gli ispettori si riportano ad alcune considerazioni giuridiche e giurisprudenziali chiarendo in primo luogo che “l’art. 23 della L. n. 62/2005, nel sancire l’espresso divieto del rinnovo tacito dei contratti delle P.A. per le forniture di beni e servizi,” tendente a scongiurare ripetuti affidamenti allo stesso operatore “ha anche previsto la facoltà, da esercitarsi entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, di procedere al rinnovo espresso dopo aver accertato la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse”.
Per ciò che concerne la cd “proroga tecnica”, preme evidenziare l’orientamento restrittivo dell’Autorità (cfr. Delibere nn. 6/2013 e 1/2014) e della consolidata giurisprudenza, che ammettono la proroga tecnica solo in via del tutto eccezionale, poiché costituisce una violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, enunciati nel previgente codice dei contratti al comma 1 dell’art. 2 [oggi art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016].
La proroga, nell’unico caso oggi ammesso, ha carattere di temporaneità e rappresenta uno strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da un vincolo contrattuale ad un altro, come chiarito dall’Autorità con parere AG 38/2013: la proroga “è teorizzabile ancorandola al principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente” (CdS, sez. V, sent. 11.05.2009, n. 2882).
Una volta scaduto il contratto, l’Amministrazione, qualora abbia ancora necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve -tempestivamente- bandire una nuova gara (cfr. CdS n. 3391/2008), al fine di portarla a termine prima della naturale scadenza del risalente contratto, in quanto, in tema di proroga (o rinnovo) dei contratti pubblici non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti
>>.
17.3. Ciò posto, le censure si palesano fondate atteso che con l’atto oggetto di impugnativa si è proceduto ad una quarta proroga per la durata di sei mesi, dopo che erano state disposte tre precedenti proroghe, della durata del pari di sei mesi ciascuna -di cui la terza, già oggetto di annullamento ad opera di questa Sezione con l’indicata sentenza n. 4109/2018- finalizzate all’indizione di una nuova gara, prospettando, per la seconda proroga, finanche la risoluzione anticipata in caso di nuova aggiudicazione, laddove per contro dalla lettura della delibera impugnata con la terza proroga si evinceva che la gara non era stata neppure indetta e che era intenzione della Direzione Strategica effettuare un’approfondita analisi delle attività incluse nel contratto in essere con la ATI GE., al fine di identificare quali fossero i servizi da continuare ad affidare a terzi, mediante successivo espletamento di specifica procedura di gara o da acquisire mediante reclutamento di personale a cura della UOC Gestione Risorse Umane, con ciò palesandosi il deficit di istruttoria e di motivazione che nel complesso hanno portato alle reiterate proroghe, nonché il difetto dei presupposti per il ricorso ad una quarta proroga tecnica.
Ed invero, come innanzi accennato la prorogaè teorizzabile ancorandola al principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente” (CdS, sez. V, sent. 11.05.2009, n. 2882).
Detti presupposti non possono pertanto essere ravvisati nell’ipotesi di specie, avendo la A.S.L., soltanto in occasione della proroga de qua provveduto ad indire la nuova gara, con notevole ritardo rispetto alla naturale scadenza del contratto e dopo ben tre precedenti proroghe, dopo avere, sempre con ritardo, provveduto ad una ricognizione dei fabbisogni.
17.4. Ed invero, come evidenziato con la sentenza n. 4109/2018, non possono rilevare, avuto riguardo alla durata complessiva delle disposte proroghe, le problematiche organizzative della stazione appaltante o le difficoltà connesse alla stesura del capitolato di gara e alla sua concreta indizione, trattandosi di evenienze fronteggiabili per tempo e sicuramente non in grado di giustificare il ricorso ad una quarta proroga tecnica -essendo la proroga ammissibile solo per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione e dovendo la stessa intervenire prima della scadenza naturale del contratto- in palese violazione della disciplina comunitaria, in considerazione del rilievo che, come innanzi accennato, il ricorso alla proroga o al rinnovo del contratto, in assenza dei relativi presupposti, è equiparabile ad un affidamento diretto senza gara.
Al riguardo non può mancarsi di rilevare che la giurisprudenza ha stigmatizzato anche il ricorso alla seconda proroga, sul presupposto che: “appare, infatti, difficilmente compatibile con la normativa comunitaria in materia di contratti pubblici una seconda proroga degli affidamenti vigenti e se le suddette norme fossero interpretate nel senso di obbligare le Amministrazioni in tal senso, potrebbe emergere un'elusione da parte dello Stato italiano dei vincoli derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea. Sotto il profilo della compatibilità costituzionale apparirebbe poi difficilmente armonizzabile con il principio di libera iniziativa economica, ex art. 41 Cost., l'imposizione alle imprese affidatarie di un servizio di gestione obbligatoria derivante dalla proroga contrattuale, alle condizioni in essere” (TAR Toscana, Firenze, sez. II, 04.06.2015 n. 859).
17.5. Pertanto vieppiù deve ritenersi illegittima la quarta proroga di cui è causa.
17.6. Ciò posto, il ricorso si appalesa fondato, atteso che con l’atto oggetto di impugnativa si è proceduto ad una quarta proroga, avendo la A.S.L. indetto la procedura di gara tardivamente, molto tempo dopo la scadenza naturale del contratto, e, peraltro, relativamente ad una parte sola dei servizi oggetto di proroga e, tanto, non solo in violazione della legge ma anche con palese sviamento di potere insito nell’abuso del ricorso allo strumento della proroga tecnica oltre ogni ragionevolezza, essendo il contratto venuto a scadenza il 31/12/2016; ciò senza mancare di evidenziare che la A.S.L. resistente ha finanche perseverato nel comportamento illegittimo dopo la proposizione dell’odierno ricorso e dopo la sentenza di annullamento di questa Sezione, relativa alla terza proroga, disponendo una quinta proroga, oggetto del connesso ricorso R.G. n. 476/2019.
17.7. Infatti, come già evidenziato alla luce della giurisprudenza in materia, una legittima proroga sarebbe potuta intervenire antecedentemente alla scadenza del contratto, per una sola volta, e limitatamente al periodo necessario per l’indizione e la conclusione della necessaria procedura ad evidenza pubblica ovvero delle attività alternative di reclutamento del personale (internalizzazione mediante ricorso alla mobilità o ad autonome procedure concorsuali), da programmarsi, comunque, con congruo anticipo in previsione della già stabilita cessazione del periodo di efficacia del contratto non costituente circostanza imprevedibile ed eccezionale.
Ed invero, come innanzi accennato la proroga “è teorizzabile ancorandola al principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) nei soli limitati ed eccezionali casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente” (CdS, sez. V, sent. 11.05.2009, n. 2882; TAR Campania, Napoli, sez. V, 20.06.2018, n. 4109, citata).
Peraltro se è vero che la mancata attivazione della gara in termini più celeri ed adeguati, intervenuta con la delibera n. 1372 del 29.06.2018, è stata anche la conseguenza della circostanza che la stazione appaltante ha ottenuto l’autorizzazione da parte di SO. solo il 24.05.2018, i ritardi nell’espletamento dell’attività istruttoria preliminare volta ad addivenire all’indizione di una nuova gara, sono comunque imputabili, a vario titolo, all’Azienda resistente e, nella specie, ai contraddittori indirizzi anche dei Direttori Generali insediatisi nel tempo al vertice, il cui operato, per il principio di immedesimazione organica, è ad essa ordinariamente imputabile.
Si fa in particolare riferimento alle richiamate difficoltà gestionali, addotte nelle difese della A.S.L. resistente (modificazione del patrimonio immobiliare, adozione e revoca dell’atto aziendale di ridefinizione delle articolazioni aziendali e delle relative competenze) nonché alla complessa operazione di riorganizzazione gestionale dei servizi non prorogati e non inseriti nel nuovo procedimento di gara da gestirsi secondo percorsi alternativi -per i quali l’allora direzione strategica della ASL, insediatasi nel giugno 2017, aveva ritenuto opportuno attivare una procedura volta alla progressiva “internalizzazione” mediante procedure di reclutamento, allo stato, in corso di svolgimento o concluse- nonché all’ultima esternalizzazione del servizio residuale.
Il deficit istruttorio e programmatorio che ha portato alla reiterate proroghe, del tutto imputabile alla resistente Amministrazione, emerge del resto vieppiù dalla contraddittorietà dalle stesse ragioni giustificatrici che avrebbero dovuto suffragare le proroghe adottate (nelle more dell’indizione della gara, in assenza dell’indizione della gara già prevista in vista della parziale internalizzazione del servizio e, infine, per l’indizione e il completamento della gara bandita per l’affidamento di servizi parziali rispetto a quelli prorogati e per l’impossibilità di portare a termine le diverse attività per l’acquisizione di personale, servizi e locali inclusi nel contratto, scaduto, con l’ATI Gesco)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 18.04.2020 n. 1392 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Emerganza COVID-19 e norme in materia di appalti.
Domanda
Quali sono le principali disposizioni che riguardano l’aggiudicazione di appalti pubblici di interesse per gli enti locali in questo periodo di contenimento del COVID-19?
Risposta
Sono moltissime le misure adottate nell’interesse degli enti locali, e non solo, connesse all’emergenza epidemiologica, incidenti sui differenti ambiti, tra i quali, per citarne alcuni, la tutela della salute, il sostegno alle famiglie, la finanza e i tributi locali, la gestione del personale e degli organi collegiali, la giustizia, e ovviamente anche gli appalti.
Rispetto a quest’ultimo settore è possibile ritenere che la disciplina prevista sia a doppio binario, uno c.d. ordinario, soggetto alla disciplina del d.l. 17.03.2020 c.d. “Decreto cura Italia”, ed in particolare dell’art. 103, di sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi, nonché uno emergenziale e derogatorio di cui all’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri dipartimento protezione civile del 25.03.2020.
Si elencano di seguito le principali disposizioni che impattano sugli appalti pubblici:
   • Comunicato del Presidente dell’ANAC del 04.03.2020 “Qualificazione per l’esecuzione di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro”, che ammette per tutti i contratti di attestazione interessati aventi scadenza entro il 31.03.2020 la sospensione dell’istruttoria fino ad un massimo di 150 giorni in luogo dei 90 (novanta) previsti dall’art. 76, co. 3, del d.p.r. 207/2010;
   • l’art. 103 del d.l. 17.03.2020, co. 1: “Ai fini del computo dei termini ordinatori e perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativo allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23.02.2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15.04.2020”.
Il MIT con la circolare del 23.03.2020, precisa che la citata previsione è applicabile con riferimento ai termini per la presentazione delle domande e/o offerte, ai termini per l’effettuazione di sopralluoghi e per il soccorso istruttorio. Pertanto di fronte a gare già bandite è possibile disporre la sospensione, oppure prorogare i termini di scadenza. Il termine del 15.04, peraltro, è stato prorogato al 15.05.2020, con l’entrata in vigore dell’art. 37 del d.l. 23/2020;
   • l’art. 35, co. 18, del codice dei contratti, come modificato dall’art. 91, co. 2, del decreto cura Italia, che prevede l’erogazione dell’anticipazione, anche nel caso di consegna in via d’urgenza, ai sensi dell’art. 32, co. 8, del d.lgs. 50/2016;
   • L’acquisto di beni e servizi informatici per la diffusione del lavoro agile e di servizi di rete ai sensi dell’art. 75 del decreto cura Italia, mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di cui all’art. 63, co. 2, lett. c), previa selezione tra almeno 4 operatori (scelti discrezionalmente), di cui almeno una start-up innovativa o una piccola o media impresa innovativa;
   • Delibera ANAC n. 268 del 19.03.2020 di sospensione dei termini dei procedimenti di competenza dell’Autorità, tra cui in particolare quelli di perfezionamento del CIG, che passa dai 90 giorni ai 150 giorni;
   • l’art. 4, co. 1, dell’ordinanza n. 25.03.2020 che a fronte di appalti di forniture e servizi finalizzati all’attuazione dei provvedimenti emergenziali e comunque volti ad assicurare la gestione di ogni situazione connessa all’emergenza epidemiologica, consente la deroga ai tempi e alle modalità di pubblicazione dei bandi di cui agli artt. 60, 61, 72, 73 e 74 del codice dei contratti pubblici;
   • Comunicato INPS n. 1374 del 25.03.2020 che precisa che i documenti attestanti la regolarità contributiva denominati Durc On Line che riportano nel campo “Scadenza Validità” una data compresa tra il 31.01.2020 e il 15.04.2020 conservano la loro validità fino al 15.06.2020 come previsto dall’articolo 103, comma 2, del decreto- legge 17.03.2020, n. 18;
   • Delibera ANAC n. 289 del 01.04.2020 di richiesta al Governo di adozione di un intervento normativo che disponga l’esonero dal versamento della contribuzione prevista per tutte le procedure di gara avviate dall’entrata in vigore e fino al 31.12.2020 (15.04.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIAll’Adunanza plenaria gli obblighi dichiarativi ex art. 80, comma 5, lett. c) e b-bis), d.lgs. n. 50 del 2016 e le false dichiarazioni.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara - Obblighi dichiarativi – Art. 80, comma 5, lett. c) e b-bis), d.lgs. n. 50 del 2016 – False dichiarazioni - Rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
È rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa alla consistenza, alla perimetrazione e agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alla procedura evidenziale, con particolare riguardo ai presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) e b-bis), d.lgs. n. 50 del 2016 (1).
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   (1) Ha premesso la Sezione che l’art. 80 applicabile ratione temporis è quello risultante dal testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 5, comma 1, d. l. 14.12.2018, n. 135, convertito dalla l. 11.02.2019, n. 12. La disposizione transitoria dello stesso art. 5, comma 2 prevede infatti, che “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi, con i quali si indicono le gare, sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto [...]”, cioè successivamente al 15.12.2018.
Ciò detto, le irregolarità di carattere dichiarativo sono normativamente definite nel quadro delle “situazioni” concretanti “gravi illeciti professionali”, idonei, come tali, a “rendere dubbia” l’”integrità” e l’”affidabilità” del concorrente.
Sotto un profilo generale, fondano sull’obbligo –di ordine e di matrice propriamente precontrattuale– che grava su ogni operatore economico di fornire alla stazione appaltante ogni dato o informazione comunque rilevante, al fine di metterla in condizione anzitutto di acquisire, e quindi di valutare tutte le circostanze e gli elementi idonei ai fini della ammissione al confronto competitivo.
In quanto tale –operando nella logica relazionale del “contatto sociale qualificato” strutturato dalla procedura evidenziale– esso è anzitutto “di diritto comune”, facendo capo alla regola di condotta di cui agli artt. 1337 e 1338 del codice civile, che impone un generale (e, peraltro, reciproco) dovere di chiarezza e di completezza informativa.
Nel contesto evidenziale, di matrice pubblicistica, tale obbligo (manifestazione del “principio di correttezza”: cfr. art. 30, comma 1, del Codice) è vieppiù qualificato dalla professionalità che si impone agli operatori economici che intendano accedere, in guisa concorrenziale, al mercato delle commesse pubbliche: la quale vale a conferire speciale ed autonomo rilievo, presidiato dalla sanzione espulsiva, alla omissione delle “informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, di cui fa espressa parola la lettera c-bis del comma 5, ad finem, sintetizzandone la complessiva ratio.
Si tratta, così acquisito, di obbligo essenzialmente strumentale, finalizzato (solo) a mettere in condizione la stazione appaltante di conoscere tutte le circostanze rilevanti per l’apprezzamento dei requisiti di moralità e meritevolezza soggettiva: non obbligo fine a se stesso, ma servente.
Nondimeno, la sua (distinta) previsione come (specifico, legittimo ed autonomo) motivo di esclusione testimonia (ad onta della, non decisiva, scissione della lettera c) e della successiva lettera c-bis) da ultimo operata dal d.l. n. 135 del 2018, convertito dalla l. n. 12 del 2019) della sua attitudine a concretare, in sé, una forma di grave illecito professionale: nel qual caso, il necessario nesso di strumentalità rispetto alle valutazioni rimesse alla stazione appaltante finisce per dislocarsi dal piano del concreto apprezzamento delle circostanze di fatto, rimesso alla mediazione valutativa della stazione appaltante, al piano astratto di una illiceità meramente formale e presunta, operante de jure.
Si intende, perciò, la necessità di una puntuale perimetrazione della portata (e dei limiti) degli obblighi informativi. Sui quali si scaricano, con evidente tensione, opposti e rilevanti interessi: da un lato quello di estromettere senz’altro dalla gara i soggetti non affidabili sotto il profilo della integrità morale, della correttezza professionale, della credibilità imprenditoriale e della lealtà operativa; dall’altro, quello di non indebolire la garanzia della massima partecipazione e di non compromettere la necessaria certezza sulle regole di condotta imposte agli operatori economici, presidiate dalla severa sanzione espulsiva.
L’equilibrio tra questi due interessi va garantito da una acquisizione del principio di tipicità dei motivi di esclusione (espressamente scolpito all’art. 83, comma 8, del Codice) non limitato al profilo (di ordine formale) della mera preclusione alla introduzione di fattispecie escludenti non normativamente prefigurate (c.d. numerus clausus), ma esteso al profilo ( di ordine sostanziale) della sufficiente tipizzazione, in termini di tassatività, determinatezza e ragionevole prevedibilità delle regole operative e dei doveri informativi.
È un problema che si pone, in modo particolare, per le omissioni dichiarative (ovvero per le dichiarazioni reticenti): per le quali occorre distinguere il mero (e non rilevante) nihil dicere (che, al più, legittima la stazione appaltante a dimostrare, con mezzi adeguati, “che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali”, diversi dalla carenza dichiarativa, idonei “a rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”) dal non dicere quod debetur (che, postulando la violazione di un dovere giuridico di parlare, giustifica di per sé –cioè in quanto illecito professionale in sé considerato– l’operatività, in chiave sanzionatoria, della misura espulsiva).
Chiaro, in tal senso, il riferimento al comportamento dell’operatore che abbia “omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura" (cfr. lettera c), oggi c-bis): che pone, peraltro, il problema di conferire determinatezza e concretezza all’elemento normativo della fattispecie, per individuare con precisione le condizioni per considerare giuridicamente dovuta l’informazione.
La giurisprudenza ha, ancora di recente e da ultimo, ritenuto che l’individuazione tipologica dei gravi illeciti professionali avesse carattere meramente esemplificativo, potendo, per tal via, la stazione appaltante desumere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui fosse accertata la contrarietà a un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (cfr. ex permultis, Cons. Stato, sez. V, 24.01.2019, n. 586; id. 25.01.2019, n. 591; id. 03.01.2019, n. 72; id., sez. III, 27.12.2018, n. 7231), se stimata idonea a metterne in dubbio l’integrità e l’affidabilità.
Tale conclusione (verisimilmente agevolata dal tenore testuale aperto della lettera c) del comma 5 dell’art. 80: “tra questi rientrano”), è rimasta anche dopo la modifica dell’art. 80, comma 5, realizzata con il già citato art. 5 d.-l. n. 135 del 2018, che ha sdoppiato nelle successive lettere c-bis) e c-ter) la preesistente elencazione, mantenendo peraltro nella lett. c), ma espungendo il richiamato inciso, la richiamata previsione di portata generale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.07.2019, n. 5171).
Siffatta opzione esegetica è mossa, esplicitamente o implicitamente, dalla sopra evidenziata generalizzazione degli obblighi informativi precontrattuali, ancorati ad una clausola generale di correttezza professionale (cfr. art. 30, comma 1), intorno alla quale si addensa e coagula la stessa dimensione di lealtà, affidabilità e credibilità dell’operatore professionale: cui si assume plausibilmente imposto, a pena di esclusione automatica, un dovere generale di clare loqui, al fine di mettere la stazione appaltante in condizione di elaborare –nella prospettiva del “corretto svolgimento della procedura di selezione”– le proprie “decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione” (cfr. ancora la lettera c).
È evidente che, in siffatta prospettiva, gli obblighi informativi decampano dalla logica della mera strumentalità, diventando obblighi finali, dotati di autonoma rilevanza: di dal che l’omissione, la reticenza, l’incompletezza divengono –insieme alle più gravi decettività e falsità– forme in certo senso sintomatiche di grave illecito professionale in sé e per sé.
In questo quadro, ancorché non univocamente (in senso parzialmente contrario, e.g. Cons. Stato, sez. III, 23.08.2018, n. 5040; id., sez. V, 03.04.2018, n. 2063; id., sez. III, 12.07.2018, n. 4266), link si è interpretato l’ultimo inciso l’art. 80, comma 5, lett. c), attribuendogli il rigoroso significato di una norma di chiusura, che impone agli operatori economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione (Cons. Stato, sez. V, 11.06.2018, n. 3592; id. 25.07.2018, n. 4532; id. 19.11.2018, n. 6530; id., sez. III, 29.11.2018, n. 6787).
In senso parzialmente diverso, si è, tuttavia, osservato che siffatto generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un generale limite di operatività, “potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa” (Cons. Stato, sez. V, 22.07.2019, n. 5171; id. 03.09.2018, n. 5142).
La necessità di un siffatto limite generale di operatività deriva, del resto, dall’art. 57, § 7 della Direttiva 2014/24/UE, che ha, per giunta, fissato in tre anni dalla data del fatto la rilevanza del grave illecito professionale, in ciò seguita dalle Linee guida ANAC n. 6/2016, precedute dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 2286/2016 del 26.10.2016, che ha affermato, tra altro, la diretta applicazione nell’ordinamento nazionale della previsione di cui al predetto paragrafo.
Per tal via, la più recente giurisprudenza si è orientata alla individuazione anzitutto di un limite temporale all’obbligo dichiarativo, ancorato alla postulata irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla adozione degli atti indittivi (cfr., tra le varie, Cons. Stato, sez. V, 05.03.2020, n. 1605).
In termini più significativi, è, nondimeno, maturata una prospettiva diversa, che muove dalla distinzione tipologica, risultante dalla previsione normativa, di due fattispecie distinte:
   a) l’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare la stessa ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico (cfr. Cons. Stato, sez. V, 03.09.2018, n. 5142);
   b) la falsità delle dichiarazioni, ovvero la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero, cui conseguirebbe, per contro, l’automatica esclusione dalla procedura di gara, deponendo in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico (laddove, per l’appunto, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporterebbe l’esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso) (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.04.2019, n. 2407).
La distinzione può essere approfondita e precisata, osservando che l’ordito normativo –peraltro frutto di vari interventi correttivi, integrativi e, nel caso della lettera c), anche diairetici stratificati nel tempo– fa variamente riferimento: a) alla falsità di “informazioni” fornite (lettera c-bis), di “dichiarazioni” rese e di “documentazione” presentata (lettere f-bis, f-ter e g, nonché il comma 12), talora, peraltro, dando rilevanza alla mera (ed obiettiva) “non veridicità”, talaltra ai profili di concreta “rilevanza o gravità” ovvero ai profili soggettivi di imputabilità (evocati dal riferimento alla negligenza, alla colpa, anche grave, o addirittura al dolo); b) alla attitudine “fuorviante” delle informazioni (intesa quale suscettibilità di influenzare il processo decisionale in ordine all’esito della fase di ammissione); c) alla mera “omissione” (di informazioni dovute).
Inoltre, si distingue, con esclusivo riguardo alle falsità dichiarative e documentali, secondo che le stesse rimontino a condotte (attive od omissive), a loro volta poste in essere (cfr. comma 6), prima ovvero nel corso della procedura.
In altri termini, è un dato positivo la distinzione tra dichiarazioni omesse (rilevanti in quanto abbiano inciso, in concreto, sulla correttezza del procedimento decisionale), fuorvianti (rilevanti nella loro attitudine decettiva, di “influenza indebita”) e propriamente false (rilevanti, per contro, in quanto tali).
E se si considera che la reticenza corrisponde, in definitiva, alla c.d. mezza verità (la cui attitudine decettiva opera, quindi, in negativo, in relazione a ciò che viene taciuto, costituendo, quindi, una forma di omissione parziale), le informazioni fuorvianti sono quelle che manifestano attitudine decettiva in positivo, per il contenuto manipolatorio di dati reali: una sorta di mezza falsità).
La distinzione è, già sul ridetto piano normativo, legata a diverse conseguenze: mentre le prime tre ipotesi (dichiarazioni omesse, reticenti e fuorvianti) hanno rilievo solo in quanto si manifestino nel corso della procedura, la falsità è più gravemente sanzionata dall’obbligo di segnalazione all’ANAC gravante sulla stazione appaltante in forza del comma 12 e della possibile iscrizione (in presenza di comportamento doloso o gravemente colposo e subordinatamente ad un apprezzamento di rilevanza) destinata ad operare anche nelle successive procedure evidenziali, nei limiti del biennio (lettere f-ter e g, quest’ultima riferita, peraltro, alla falsità commessa ai fini del rilascio dell’attestazione di qualificazione).
Con il che la falsità (informativa, dichiarativa ovvero documentale) ha attitudine espulsiva automatica oltre che (potenzialmente e temporaneamente) ultrattiva; laddove le informazioni semplicemente fuorvianti giustificano solo –trattandosi di modalità atta ad influenzare indebitamente il concreto processo decisionale in atto– l’estromissione dalla procedura nella quale si collocano.
Appare evidente che, in siffatta prospettiva ermeneutica, l’omissione (e la reticenza) dichiarativa si appalesano per definizione insuscettibili (a differenza della falsità e della manipolazione fuorviante, di per sé dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità) di legittimare l’automatica esclusione dalla gara: dovendo sempre e comunque rimettersi all’apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente.
Per giunta, la distinzione può essere articolata –anche in specifica considerazione delle ragioni di doglianza, affidate all’appello in esame –sotto un distinto e concorrente profilo.
In effetti, la distinzione tra dichiarazioni false (che importano sempre l’esclusione) e dichiarazioni semplicemente omesse (per le quali si pone l’illustrata alternativa tra la tesi, formalistica, dell’automatica esclusione e quella, sostanzialistica, della rimessione al previo e necessario filtro valutativo della stazione appaltante) trae fondamento dal rilievo che la falsità, come predicato contrapposto alla verità, costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente (anche in sede giudiziale, in virtù della pienezza dell’accesso al fatto garantita dalle regole del processo amministrativo: cfr. art. 64 cod. proc. amm.).
Per contro, la dichiarazione mancante non potrebbe essere apprezzata in quanto tale, dovendo essere, volta a volta, valutate le circostanze taciute, nella prospettiva della loro idoneità a dimostrare l’inaffidabilità del concorrente.
Tale valutazione, in quanto frutto di apprezzamenti ampiamente discrezionali, non potrebbe essere rimessa all’organo giurisdizionale, ma andrebbe necessariamente effettuata (eventualmente a posteriori) dalla stazione appaltante; a differenza della falsità, che è di immediata verifica e riscontro, anche in sede contenziosa (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 09.04.2020 n. 2332 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - LAVORI PUBBLICI: Accesso a cantieri da parte di consiglieri comunali.
Non è configurabile un diritto in senso stretto dei consiglieri comunali a visitare un cantiere dove si svolgono lavori affidati dal Comune o ad effettuarvi un sopralluogo, atteso che la legge nulla prevede per quanto riguarda tale evenienza, non potendo quindi individuarsi un corrispondente obbligo dell'Amministrazione di accogliere una richiesta in tal senso.
L’esercizio delle funzioni di controllo è, infatti, riconosciuto dall’ordinamento come funzione generale al consiglio quale organo nel suo complesso, che può avvalersi di commissioni consiliari appositamente istituite.
Non sono invece contemplate dalla normativa vigente per i consiglieri comunali competenze di tipo ispettivo da esercitarsi singolarmente su attività materiali, tanto più che, trattandosi di cantieri, spetta alle figure responsabili anche sotto il profilo delle norme in materia di sicurezza, in relazione alle proprie competenze, valutare la richiesta di accesso di persone comunque estranee ai lavori.

I Consiglieri comunali chiedono un parere in merito al diritto, agli stessi negato dal Comune, di accedere a cantieri nei quali si stanno realizzando alcune opere comunali, al fine di poter prendere visione personalmente dello stato di attuazione delle stesse, nell’esercizio delle funzioni loro proprie. Chiedono, altresì, che la Regione intervenga “affinché siano rimossi gli ostacoli frapposti dal Comune […] nei confronti degli scriventi Consiglieri Comunali”.
Preliminarmente, si osserva che non compete all’Amministrazione regionale intervenire su questioni siffatte: lo scrivente Servizio in questa sede si limita a fornire in via collaborativa delle considerazioni relative all’inquadramento giuridico della problematica in oggetto.
Il diritto di accesso degli amministratori locali trova la sua fonte normativa di riferimento nell’articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, il quale attribuisce ai consiglieri il diritto di ottenere dagli uffici del comune, nonché dalle sue aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato.
Il fondamento di tale diritto risiede nel fatto che le informazioni acquisibili dagli amministratori dell’ente devono considerare l’esercizio, in tutte le sue potenziali esplicazioni, della funzione di cui ciascun amministratore è individualmente investito quale membro del consiglio. Di qui la possibilità per ognuno di essi di compiere, attraverso la visione dei provvedimenti adottati e l’acquisizione di informazioni, una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’amministrazione comunale, utile non solo per poter esprimere un voto maggiormente consapevole sugli affari di competenza del consiglio, ma anche per promuovere, nell’ambito del consiglio stesso, le varie iniziative consentite dall’ordinamento ai membri di quel collegio
[1].
I consiglieri hanno infatti, a norma dell’articolo 43, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 267/2000, diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio, hanno diritto di chiedere la convocazione del consiglio e di presentare interrogazioni, mozioni e ogni altra istanza di sindacato ispettivo, secondo la disciplina dettata dallo statuto e dal regolamento consiliare.
L’esercizio delle funzioni di controllo è riconosciuto dall’ordinamento come funzione generale al consiglio quale organo nel suo complesso, che può avvalersi di commissioni consiliari appositamente istituite ai sensi dell’articolo 44, comma 1, del decreto legislativo n. 267/2000, con funzioni di controllo e di garanzia. Il comma 2 consente l’istituzione all’interno dell’organo consiliare di commissioni di indagine sull’attività dell’amministrazione, demandando allo statuto e al regolamento consiliare la disciplina relativa a poteri, composizione e funzionamento.
Emerge di tutta evidenza che la normativa citata non contempla per i consiglieri comunali competenze di tipo ispettivo da esercitarsi singolarmente su attività materiali, tanto più che, trattandosi di cantieri, spetta alle figure responsabili anche sotto il profilo delle norme in materia di sicurezza, in relazione alle proprie competenze, valutare la richiesta di accesso di persone comunque estranee ai lavori
[2].
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, non è configurabile un diritto in senso stretto dei consiglieri comunali a visitare un cantiere dove si svolgono lavori affidati dal Comune o ad effettuarvi un sopralluogo, atteso che la legge nulla prevede per quanto riguarda tale evenienza, non potendo quindi individuarsi un corrispondente obbligo dell'Amministrazione di accogliere una richiesta in tal senso.
Ferma la mancanza di tale obbligo in capo al Comune, si ribadisce che consentire o meno l‘accesso dei consiglieri comunali ai cantieri rientra nella responsabilità dell’Amministrazione, la quale deve operare al riguardo un’attenta ponderazione della normativa in materia di sicurezza, tenendo anche in debita considerazione i provvedimenti dalla stessa adottati in attuazione del D.Lgs. 09.04.2008, n. 81.
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[1] Si veda, tra le altre, TAR Campania Salerno, sez. II, sentenza del 04.04.2019, n. 545 la quale recita: “Le istanze di accesso avanzate dai componenti dei consigli comunali presentano una loro specificità rispetto a quella della generalità dei cittadini, essendo ai primi riconosciuti ampi poteri ai sensi dell'art. 43 D.Lgs. n. 267/2000. In particolare, il diritto di accesso dei consiglieri comunali, nella sua tendenziale onnicomprensività, è strettamente funzionale all'esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo degli atti degli organi decisionali dell'ente locali, consentendo loro di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione e di promuovere le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale, e quindi si configura come significativa espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza responsabile della collettività.
[2] In questo senso si è espressa anche l’ANCI in un parere del 26.10.2005 nel quale, in coerenza con quanto sopra già espresso, ha osservato che: “Si ritiene comunque che competa ai consiglieri comunali la più ampia facoltà ai sensi dell’art. 43 tuel di prendere visione ed estrarre copia di atti e documentazione amministrativa che si trovi presso gli uffici comunali. Sulla base di tali principi si può pertanto ritenere che competa ai consiglieri comunali di visionare, chiedendone se del caso copia, gli elaborati tecnici afferenti a lavori pubblici sussistendo, per converso, un correlativo obbligo degli uffici di rilasciarli; - Non appare invece ammissibile che tali stessi soggetti possano accedere, in forza della qualifica posseduta, nei cantieri per effettuare attività di vigilanza; - Ai consiglieri comunali l'ordinamento non assegna infatti poteri di "vigilanza" o "controllo" di questo tipo (che semmai competono agli organi di polizia municipale dell'ente)”
(09.04.2020 - link a http://autonomielocali.regione.fvg.it).

APPALTIGare, con l’esclusione si perde la cauzione. L’incameramento è un atto dovuto.
L'incameramento della cauzione provvisoria è un atto dovuto e automatico conseguente all'esclusione dell'offerente e non è suscettibile di apprezzamento in relazione a singoli casi concreti.

Lo ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 06.04.2020 n. 2264 con riguardo alla disciplina dell'allora vigente decreto 163/2006.
Nel ricorso si sosteneva che l'articolo 75 del decreto 163/2006 prevederebbe l'automatismo dell'incameramento della garanzia provvisoria soltanto per impossibilità di stipula del contratto per fatto ascrivibile all'aggiudicatario, mentre nel caso in questione l'impresa aveva sempre tenuto un atteggiamento diligente e «costantemente collaborativo» nei confronti della stazione appaltante.
I giudici hanno respinto il ricorso premettendo che l'articolo 75 prevede la prestazione di una garanzia «a corredo dell'offerta», destinata a coprire «la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario» (comma 6) e destinata ad essere «svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo».
Per il Consiglio di stato, la funzione della garanzia è, infatti, quella, per un verso, di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese in sede di gara e di garantire la serietà e l'affidabilità dell'offerta e, per altro verso, di precostituire una forma di tutela, a favore della stazione appaltante, per la mancata stipula del contratto.
L'incameramento della cauzione non si configura come una sanzione in senso tecnico che colpisce il concorrente per il comportamento tenuto, ma come una «obiettiva garanzia per il corretto adempimento degli obblighi assunti dagli operatori economici in relazione a una partecipazione a una gara di appalto, ivi compresa la dimostrazione del possesso, originario e continuato, dei requisiti dichiarati in sede di offerta e per i quali è avvenuta l'ammissione alla gara».
Pertanto, l'incameramento è conseguenza automatica del provvedimento di esclusione, e, come tale, non suscettibile di valutazioni discrezionali da parte dell'amministrazione in relazione ai singoli casi concreti: in particolare, è insensibile ad eventuali valutazioni volte ad evidenziare la non imputabilità a colpa della violazione che abbia dato causa all'esclusione (articolo ItaliaOggi del 10.04.2020).
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MASSIMA
2.1.- Il motivo non ha pregio.
L’art. 75 del d.lgs. n. 163/2016, applicabile ratione temporis acti, prevede la prestazione di una garanzia “a corredo dell’offerta”, destinata a coprire “la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario” (comma 6) e destinata ad essere “svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”.
Analoga previsione è oggi scolpita all’art. 93 del d.lgs. n. 50/2016, che aggiunge la positiva denominazione di “garanzia provvisoria” e puntualizza –recependo, con formula linguistica più comprensiva, la consolidata elaborazione giurisprudenziale– che la copertura riguarda “ogni fatto riconducibile all’aggiudicatario”.
La funzione di siffatta garanzia è, infatti, quella, per un verso, di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese in sede di gara e di garantire la serietà e l'affidabilità dell'offerta e, per altro verso, di precostituire una forma di tutela, a favore della stazione appaltante, per l’eventualità che –per fatto (anche successivo alla formulazione dell’offerta) comunque imputabile alla concorrente risultata aggiudicataria– non si addivenga alla stipula del contratto.
L’escussione della cauzione provvisoria non concreta una sanzione in senso tecnico che colpisca il concorrente per il comportamento tenuto, ma una rappresenta una obiettiva garanzia per il corretto adempimento degli obblighi assunti dagli operatori economici in relazione ad una partecipazione ad una gara di appalto, ivi compresa la dimostrazione del possesso, originario e continuato, dei requisiti dichiarati in sede di offerta e per i quali è avvenuta la ammissione alla gara (Cons. Stato, sez. V, 16.05.2018, n. 2896).
Per l’effetto, l'incameramento è conseguenza automatica del provvedimento di esclusione, e, come tale, non suscettibile di valutazioni discrezionali da parte dell'amministrazione in relazione ai singoli casi concreti: in particolare, è insensibile ad eventuali valutazioni volte ad evidenziare la non imputabilità a colpa della violazione che abbia dato causa all'esclusione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24.01.2019, n. 589; Id., sez. V, 24.06.2019 n. 4328; Id., sez. V, 17.09.2018, n. 5424; Id., ad. plen. 29.02.2016, n. 5; Id., sez. V, 13.06.2016, n. 2531).
Nel caso di specie, i requisiti per la stipula del contratto, ancorché effettivamente posseduti in sede di gara, sono venuti meno nelle more della stipula del contratto, precludendone la stipula per fatto non imputabile alla stazione appaltante e rientrante nel dominio della parte, che avrebbe dovuto garantirne le necessaria continuità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31.12.2014, n. 6455).
Ne discende la correttezza dell’operato della stazione appaltante e l’infondatezza delle formalizzate ragioni di doglianza.

APPALTI: Principio di invarianza – Art. 95, c. 15, d.lgs. n. 50/2016 – Applicazione – Criteri di aggiudicazione automatica – Criteri rimessi alla valutazione discrezionale della commissione – Formula matematica utilizzata per la valutazione e il confronto delle offerte dei partecipanti – Valori fissi.
Il “principio di invarianza”, di cui all’art. 95, c. 15 del d.lgs. n. 50/2016, che opera nel senso della “cristallizzazione delle offerte” e della “immodificabilità della graduatoria” ed integra un’espressa eccezione all’ordinario meccanismo del regresso procedimentale, per positiva irrilevanza delle sopravvenienze, è destinato a trovare applicazione non soltanto in presenza di criteri di aggiudicazione automatici, come quello del “minor prezzo”, per i quali sia previsto, anche ai fini della determinazione della soglia di anomalia, il “calcolo di medie” (cfr. art. 97 del Codice), ma anche nelle ipotesi di criteri rimessi alla valutazione discrezionale della commissione valutatrice, come nel caso della “offerta economicamente più vantaggiosa”, le quante volte (come nel caso che debba procedersi, in base al disciplinare di gara, secondo il metodo del c.d. confronto a coppie) la formazione della graduatoria sia condizionata dal meccanismo di “normalizzazione” del punteggio conseguito da ciascun concorrente, attraverso il confronto parametrico con quello dell’offerta migliore, che è alterato dalla modifica della platea dei concorrenti da confrontare attraverso la rideterminazione di valori medi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.07.2019, n. 4789).
Per contro, la regola non può operare, anzitutto per un limite di ordine positivo, nei casi in cui “la formula matematica utilizzata per la valutazione e il confronto delle offerte dei partecipanti, nei quali sia i valori iniziali sia il risultato finale corrispondono a valori fissi, non sottende alcuna media di dati o valori, rimanendo per converso insensibile ad eventuali modifiche determinate da provvedimenti giurisdizionali soltanto l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30.07.2018, n. 4664), e ciò in quanto “in una siffatta eventualità, dovrebbe trovare ex novo applicazione la suddetta formula in relazione alle offerte rimaste in gara”
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.04.2020 n. 2257 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTITermine per proporre ricorso incidentale avverso l’ammissione del ricorrente principale - Principio di invarianza e immodificabilità della graduatoria.
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Processo amministrativo - Rito appalti – Ricorso incidentale avverso ammissione del ricorrente principale – Dies a quo – Individuazione.
  
Contratti della Pubblica amministrazione – Principio di invarianza – Art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50 del 2016 – Aggiudicazione secondo il “metodo aggregativo–compensatore di cui alle linee guida Anac approvate con Delibera del consiglio n. 1005 del 21.09.2016” – Applicabilità.
   Il dies a quo per proporre il ricorso incidentale avverso l’ammissione alla gara del ricorrente principale decorre dalla conoscenza del provvedimento di ammissione pubblicato sul profilo del committente e non, in applicazione del principio dettato dall’art. 42, comma 1, c.p.a., dalla notifica del ricorso principale (1).
  
Il principio di invarianza, di cui all’art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50 del 2016, trova applicazione nel caso in cui il criterio di valutazione delle offerte, quale individuato dal disciplinare di gara, faccia capo al “metodo aggregativo–compensatore di cui alle linee guida Anac approvate con Delibera del consiglio n. 1005 del 21.09.2016”, in base ad una predeterminata formula; ed invero, pur trattandosi di criterio non automatico, in quanto orientato alla individuazione tecnico-discrezionale dell’offerta economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto qualità/prezzo, lo stesso è destinato ad operare (in virtù del richiamo al metodo aggregativo-compensatore e alla interpolazione lineare) attraverso la quantificazione di medie, condizionate dal numero dei concorrenti e dalle modalità di formulazione dell’offerta; si tratta, perciò, di fattispecie in cui è destinata ad operare, in base alle riassunte premesse, la regola della “cristallizzazione delle medie”, non solo ai (meri) fini della determinazione della soglia di anomalia (art. 97 del Codice), ma anche ai (più comprensivi) fini del divieto di regressione procedimentale, che implica l’immodificabilità della graduatoria anche all’esito della estromissione di uno dei concorrenti la cui offerta aveva concorso alla elaborazione dei punteggi (2).

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   (1) Cons. Stato, sez. V, 23.08.2018, n. 5036. Contra Cons. Stato, sez. III, 27.03.2018, n. 1902.
Ha chiarito la Sezione la presunzione assoluta di insorgenza immediata dell’interesse a ricorrere, che discende dall’onere di immediata impugnazione dell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. di suo conduce non solo alla successiva non configurabilità di un ricorso incidentale escludente a valle dell’impugnazione principale dell’aggiudicazione, com’è testualmente detto allo stesso comma 2 bis, penultimo periodo («L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale»); ma anche alla non configurabilità di analogo strumento, in senso proprio, come risposta a un ricorso immediato avverso l’altrui ammissione proposto in base al comma 2-bis, primo periodo, seconda parte.
Infatti, l’interesse a proporre un ricorso incidentale sorge soltanto per effetto dell’avvenuta proposizione del ricorso principale (art. 42, comma 1, c.p.a.: «Le parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale»).
Qui la presunzione assoluta e generalizzata di interesse a ricorrere per tutti i concorrenti anticipa figurativamente questa insorgenza dell’interesse a ricorrere “escludente” al momento ufficiale della conoscenza di quell’ammissione.
Sicché la medesima ragione che preclude una reiterazione nel tempo dell’interesse a ricorrere, che si è vista per il primo ricorso, preclude una reiterazione per quello che altrimenti sarebbe un ricorso incidentale. Anche per l’impresa di cui si contesta la legittimazione alla gara opera da subito la presunzione di interesse a contestare in giudizio l’ammissione dell’impresa che muove questa contestazione. In forza della presunzione, simile, simmetrico e simultaneo è il loro interesse alla reciproca esclusione: e questo, per virtuale che sia, tiene ormai luogo di ogni altra effettiva, successiva insorgenza di utilità a quei medesimi riguardi.
In termini pratici segue che l’impresa che immagina un’altrui contestazione della propria legittimazione alla gara dispone, per muovere una simmetrica contestazione in giustizia, dello stesso termine di trenta giorni per ricorrere e dal medesimo dies a quo. E il suo –se segue l’altro– non sarà comunque un ricorso incidentale, ma un ricorso formalmente autonomo: anche se, appunto, in risposta a un ricorso senza il quale non lo avrebbe mosso e comunque a quello stesso connesso.
Le conclusioni che precedono hanno, del resto, trovato puntuale conferma nella sentenza Cons. Stato, A.P., 26.04.2018, n. 4, la quale ha chiarito:
   a) che l’omessa attivazione del rimedio processuale entro il termine di trenta giorni preclude al concorrente non solo la possibilità di dedurre le relative censure in sede di impugnazione della successiva aggiudicazione, ma anche di paralizzare, mediante lo strumento del ricorso incidentale, il gravame principale proposto da altro partecipante avverso la sua ammissione alla procedura;
   b) che una diversa lettura non potrebbe trarre contrario argomento dal comma 6-bis dell’art. 120 cit. («La camera di consiglio o l’udienza possono essere rinviate solo in caso di esigenze istruttorie, per integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale») che, nel contemplare espressamente la possibilità di proporre ricorsi incidentali, potrebbe far propendere, a una prima lettura, per la permanenza del potere di articolare in sede di gravame incidentale, vizi afferenti l’ammissione alla gara del ricorrente principale anche dopo il decorso del termine fissato dal comma 2-bis.
Invero, in senso contrario, va osservato che detta disposizione si riferisce, in realtà, ai gravami incidentali che hanno ad oggetto non vizi di legittimità del provvedimento di ammissione alla gara, ma un diverso oggetto (es. lex specialis ove interpretata in senso presupposto dalla ricorrente principale): diversamente opinando, si giungerebbe alla conclusione non coerente con il disposto di cui al comma 2-bis di consentire l’impugnazione dell’ammissione altrui oltre il termine stabilito dalla novella legislativa.
Per tal via si violerebbe il comma 2-bis e la ratio sottesa al nuovo rito specialissimo che, come sottolineato in sede consultiva dal Consiglio di Stato (parere n. 782/2017 sul decreto correttivo al Codice degli appalti pubblici) è anche quello di “neutralizzare per quanto possibile […] l’effetto “perverso” del ricorso incidentale (anche in ragione della giurisprudenza comunitaria e del difficile dialogo con la Corte di Giustizia in relazione a tale istituto").
   (2) Ha ricordato la Sezione che l’art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50 del 2016 (che riproduce la disposizione dell’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, inserita dall’art. 39, d.l. 24.06.2014 n. 90, convertito dalla l. 11.08.2014, n. 114) stabilisce che “ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronunzia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione od esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte”.
Siffatto “principio di invarianza”, che opera nel senso della “cristallizzazione delle offerte” e della “immodificabilità della graduatoria” ed integra un’espressa eccezione all’ordinario meccanismo del regresso procedimentale, per positiva irrilevanza delle sopravvenienze, obbedisce alla duplice e concorrente finalità:
   a) di garantire, per un verso, continuità alla gara e stabilità ai suoi esiti, onde impedire che la stazione appaltante debba retrocedere il procedimento fino alla determinazione della soglia di anomalia delle offerte, cioè di quella soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta si presume senz’altro anomala, situazione che ingenererebbe una diseconomica dilatazione dei tempi di conclusione della gara correlata a un irragionevole dispendio di risorse umane ed economiche (Cons. Stato, sez. III, 12.07.2018, n. 4286; id. 27.04.2018, n. 2579);
   b) di impedire, o comunque vanificare, in prospettiva antielusiva, la promozione di controversie meramente speculative e strumentali da parte di concorrenti non utilmente collocatisi in graduatoria, mossi dall’unica finalità, una volta noti i ribassi offerti e quindi gli effetti delle rispettive partecipazioni in gara sulla soglia di anomalia, di incidere direttamente su quest’ultima traendone vantaggio (Cons. Stato, sez. III, 22.02.2017, n. 841).
In correlazione alla evidenziata ratio, la regola è destinata a trovare applicazione non soltanto in presenza di criteri di aggiudicazione automatici, come quello del “minor prezzo”, per i quali sia previsto, anche ai fini della determinazione della soglia di anomalia, il “calcolo di medie” (art. 97 del Codice), ma anche nelle ipotesi di criteri rimessi alla valutazione discrezionale della commissione valutatrice, come nel caso della “offerta economicamente più vantaggiosa”, le quante volte (come nel caso che debba procedersi, in base al disciplinare di gara, secondo il metodo del c.d. confronto a coppie) la formazione della graduatoria sia condizionata dal meccanismo di “normalizzazione” del punteggio conseguito da ciascun concorrente, attraverso il confronto parametrico con quello dell’offerta migliore, che è alterato dalla modifica della platea dei concorrenti da confrontare attraverso la rideterminazione di valori medi (Cons. Stato, sez. V, 09.07.2019, n. 4789).
Per contro, la regola non può operare, anzitutto per un limite di ordine positivo, nei casi in cui “la formula matematica utilizzata per la valutazione e il confronto delle offerte dei partecipanti, nei quali sia i valori iniziali sia il risultato finale corrispondono a valori fissi, non sottende alcuna media di dati o valori, rimanendo per converso insensibile ad eventuali modifiche determinate da provvedimenti giurisdizionali soltanto l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte” (Cons. Stato, sez. V, 30.07.2018, n. 4664), e ciò in quanto “in una siffatta eventualità, dovrebbe trovare ex novo applicazione la suddetta formula in relazione alle offerte rimaste in gara” (
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.04.2020 n. 2257 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Commistione fra criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta.
Il TAR Milano, con riferimento alla commistione fra criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta, precisa che:
“In base a quanto previsto nell’art. 36 del Codice dei Contratti, l'affidamento e l'esecuzione di servizi di importo inferiore alle soglie comunitarie, deve infatti avvenire, tra l’altro, nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, e di pubblicità, nel cui ambito, va ricompreso anche il divieto di commistione fra criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta.
Sul punto, il Collegio intende evidenziare come detto divieto non debba essere applicato in modo meccanicistico, dovendosi infatti temperarne la portata qualora determinati requisiti di partecipazione, pur se attinenti alle caratteristiche soggettive dell’offerente, siano tuttavia idonei ad essere apprezzati quale garanzia della prestazione del servizio, in quanto incidenti sulle modalità esecutive dello stesso, e quindi, come parametro idoneo ad esprimere talune caratteristiche oggettive dell'offerta.
In particolare, il divieto di commistione fra i criteri soggettivi di pre-qualificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta, non risulta eluso o violato allorché gli aspetti soggettivi non siano destinati ad essere apprezzati in quanto tali, in modo avulso dal contesto dell'offerta, quanto invece, quale garanzia della prestazione del servizio, secondo le modalità prospettate, e quindi, come parametro afferente le sue caratteristiche oggettive”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.04.2020 n. 593 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
II) Quanto al merito, in via preliminare, osserva il Collegio che, come espressamente previsto dall’art. 6 dell’Avviso, mediante lo stesso, il Comune ha dato luogo ad una “procedura di selezione”, con i “criteri e modalità di valutazione delle candidature”, indicati nel successivo art. 7, al fine di individuare un soggetto cui affidare la redazione del progetto definitivo (v. art. 8), sulla base della proposta progettuale, comprensiva del piano economico previsionale (art. 4), presentati dai concorrenti in sede di gara.
In particolare, il progetto definitivo, ed il relativo piano economico, sarebbero stati elaborati a seguito di una fase di “co-progettazione”, sotto la Direzione del Settore Politiche Sociali ed Educative del Comune di Cinisello (art. 8 cit.), che alle scadenze previste, avrebbe erogato i relativi fondi (art. 9).
III) Alla luce di quanto precede, ritiene il Collegio che, al di là del nomen iuris, e di talune espressioni letterali contenute nell’Avviso, con la procedura che ne ha formato oggetto, il Comune resistente ha in sostanza dato luogo ad un confronto competitivo, per l’affidamento di un incarico di progettazione definitiva, e di gestione del relativo servizio, a titolo oneroso, sebbene connotato da talune peculiarità, come detto, consistenti nella redazione congiunta del progetto, ad opera del concorrente vincitore e dell’Ente Locale, sulla base della “proposta progettuale” e del quadro economico presentati dai concorrenti in sede di gara.
IV.1) Conseguentemente, ritiene il Collegio che la previsione, nell’ambito dei criteri di valutazione, di attribuire alla voce “curriculum dell’organismo candidato”, un punteggio di poco superiore a quello assegnato al progetto preliminare offerto, è irragionevole e discriminatoria, dovendosi conseguentemente accogliere il ricorso.
In base a quanto previsto nell’art. 36 del Codice dei Contratti, l'affidamento e l'esecuzione di servizi di importo inferiore alle soglie comunitarie, deve infatti avvenire, tra l’altro, nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, e di pubblicità, nel cui ambito, va ricompreso anche il divieto di commistione fra criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 06.03.2017, n. 1293).
IV.2) Sul punto, il Collegio intende evidenziare come detto divieto non debba essere applicato in modo meccanicistico, dovendosi infatti temperarne la portata qualora determinati requisiti di partecipazione, pur se attinenti alle caratteristiche soggettive dell’offerente, siano tuttavia idonei ad essere apprezzati quale garanzia della prestazione del servizio, in quanto incidenti sulle modalità esecutive dello stesso, e quindi, come parametro idoneo ad esprimere talune caratteristiche oggettive dell'offerta (TAR Puglia, Bari, Sez. I, 05.12.2011, n. 1842).
In particolare, il divieto di commistione fra i criteri soggettivi di pre-qualificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta, non risulta eluso o violato allorché gli aspetti soggettivi non siano destinati ad essere apprezzati in quanto tali, in modo avulso dal contesto dell'offerta, quanto invece, quale garanzia della prestazione del servizio, secondo le modalità prospettate, e quindi, come parametro afferente le sue caratteristiche oggettive (TAR Campania, Napoli, n. 1293/2017 cit.).

APPALTIEsclusione dalla gara per sequestro penale preventivo dei conti correnti e crediti ex art. 321 c.p..
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Contratti della Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Sequestro penale preventivo dei conti correnti e crediti ex art. 321 c.p. - Art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 – Inapplicabilità.
Il sequestro penale preventivo dei conti correnti e crediti ex art. 321 c.p. non può ricomprendersi tra le cause di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, che ricomprende situazioni oggetto di valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante, se sussumibili nella categoria di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la (sua) integrità o affidabilità” dell’operatore economico (1)
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   (1) Ha chiarito la Sezione che il concetto di “grave illecito professionale” costituisce un tipico concetto giuridico indeterminato e che la norma ha carattere esemplificativo, non descrive la fattispecie astratta in maniera esaustiva, ma rinvia, per la sussunzione del fatto concreto nell'ipotesi normativa, all'integrazione dell'interprete, che utilizza allo scopo elementi o criteri extragiuridici.
La norma, in altri termini, rimette alla valutazione discrezionale della stazione appaltante l’individuazione di inadempienze tali da minare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra le parti (Cons. St., sez. III, 11.06.2019, n. 3908).
Pertanto, è stato affermato, che la stazione appaltante ben può attribuire rilevanza ad ogni tipologia di illecito che per la sua gravità, sia in grado di minare l'integrità morale e professionale del concorrente. Il concetto di “grave illecito professionale” ricomprende, infatti, ogni condotta, collegata all'esercizio dell'attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa (Cons. St., sez. III, 05.09.2017, n. 4192).
La Sezione (27.12.2018, n. 7231) ha già ritenuto, ad es., ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), incondizionatamente doverosa la dichiarazione di episodi risolutivi di precedenti rapporti contrattuali, ancorché sub iudice, poiché il potere valutativo dell’Amministrazione può estrinsecarsi solo sulla base di dichiarazioni complete degli operatori economici partecipanti alle gare, che devono, dunque dichiarare ogni episodio della vita professionale astrattamente rilevante ai fini della esclusione, pena la impossibilità per la stazione appaltante di verificare l'effettiva rilevanza di tali episodi sul piano della "integrità professionale" dell'operatore economico.
Si tratta, evidentemente, di pregresse vicende professionali in cui, per varie ragioni, è stata contestata una condotta contraria a norma o, comunque, si è verificata la rottura del rapporto di fiducia con altre stazioni appaltanti (Cons. St., sez. V, 04.02.2019, n. 827; id. 16.11.2018, n. 6461; id. 24.09.2018, n. 5500; id. 03.09.2018, n. 5142; id. 17.07.2017, n. 3493; id. 06.07.2017, n. 3288; id. 22.10.2015, n. 4870), non essendo configurabile in capo all'impresa alcun filtro valutativo o facoltà di scegliere i fatti da dichiarare (Cons. St., sez. V, 25.07.2018, n. 4532; id. 11.06.2018, n. 3592; id. 19.11.2018, 6530).
Tra questi sono stati fatti rientrare, anche alla luce della direttiva comunitaria, 2014/24/ del 26.02.2014: le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione ovvero l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione (Cons. St., sez. III, 12.12.2018, n. 7022).
Nella specie, il sequestro preventivo è stato disposto per violazioni tributarie, relative al debito IVA, che non sono direttamente riconducibili all’affidabilità nello svolgimento dell’attività professionale e alla lealtà nel rapporto contrattuale, nulla togliendo alla innegabile gravità del comportamento dal punto di vista dell’ordinamento, la cui rilevanza tuttavia è compiutamente considerata dallo stesso art. 80, commi 1 e 4, nei limiti e alle condizioni ivi specificate.
La rilevanza di indagini penali in atto, in ogni caso, ai fini della fattispecie prevista dal comma 5, lett. c), andrebbe sempre valutata in relazione alla categoria “grave violazione professionale”.
In quest’ottica, non sembra conducente il precedente citato dall’appellante (Cons. St., sez. V, 20.03.2019, n. 1846) che attiene ad una fattispecie del tutto singolare, la fornitura in favore della Procura della Repubblica del servizio di intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali, per cui il bando richiedeva una serie di informazioni al fine di assicurare la sussistenza, in capo ai concorrenti del "massimo grado di onorabilità, sicurezza e affidabilità”.
In quel caso, le indagini penali in corso riguardavano un concorrente indagato per reato informatico, per aver "custodito in un proprio archivio riservato le tracce informatiche relative a una enorme quantità di conversazioni telefoniche /ambientali/telematiche per la cui intercettazione era stata incaricata da numerose AA.GG. e ciò in assenza di autorizzazione e quindi in violazione di legge”. E’ evidente, in quel caso, che la violazione per la quale risultava pendente l’indagine penale riguardava direttamente l’oggetto delle prestazioni dell’appalto da aggiudicare.
Alla luce delle considerazioni che precedono, in definitiva, tutt’al più, dalla nota integrativa del bilancio 2017 di E-Care s.p.a. è rilevabile l’esistenza di una indagine penale che né alla data di presentazione dell’offerta, né dopo, risulta essere sfociata nella adozione di provvedimenti di condanna definitivi, per le ipotesi di reato che ai sensi dell’art. 80, comma 1, conducono all’esclusione dalla gara.
Né si è in presenza di accertamenti tributari definitivi, ai sensi del comma 4 dell’art. 80. Neppure si è in presenza di gravi illeciti professionali, ex comma 5, lett. c), dell’art. 80, non trattandosi di procedimento penale per fatti e comportamenti particolarmente significativi sotto il profilo della capacità e lealtà professionale (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 02.04.2020 n. 2245 - commento tratto da e  link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTIAll’Adunanza plenaria diverse quesiti sui termini per ricorrere nel c.d. rito appalti.
La quinta sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria alcuni quesiti interpretativi diretti a chiarire la disciplina della decorrenza dei termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione e degli atti di gara nel c.d. rito appalti.
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Giustizia amministrativa – Appalti – Impugnazione degli atti di gara – Dies a quo – Deferimento all’Adunanza plenaria
Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:
   a) se il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del D.Lgs. n. 50 del 2016;
   b) se le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del D.Lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da considerare patologica –con le ovvie conseguenze anche ai soli fini di eventuali responsabilità erariale– della omessa o incompleta pubblicazione prevista dal già citato articolo 29;
   c) se la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia giammai idonea a far slittare il termine per la impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, che decorre dalla pubblicazione ex art. 29 ovvero negli altri casi patologici dalla comunicazione ex art. 76, e legittima soltanto la eventuale proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se essa comporti la dilazione temporale almeno con particolare riferimento al caso in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero dalle giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
   d) se dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex art. 78 del D.Lgs. n. 50 del 2018) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi (di conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
   e) se in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29 del D.Lgs. n. 50 del 2016 debba considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde;
   f) se idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione debbano considerare quelle forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla procedura di gara (1).

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   (1) I. – La quinta sezione del Consiglio di Stato rimette all’Adunanza plenaria i cinque quesiti indicati nella massima, relativi alla disciplina dei termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione e degli atti di gara nel c.d. rito appalti.
In particolare, sono rimesse al vaglio della plenaria le seguenti questioni:
- se il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, compresi i verbali di gara;
- se le informazioni previste dall’art. 76 del d.lgs. 19.04.2016, n. 50, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati o per accertarne altri, consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti, salva la patologica ipotesi della omessa o incompleta pubblicazione prevista dall’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
- se la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia idonea a far slittare il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione e legittimi solo la proposizione di motivi aggiunti ovvero se essa comporti la dilazione temporale, almeno con riferimento alle ipotesi in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
- se la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a., che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara dalla comunicazione individuale o dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi di conoscenza e due momenti di decorrenza equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione principale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
- se, in ogni caso, la pubblicazione degli atti di gara, ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016, debba considerarsi rientrante tra le modalità di conoscenza aliunde; se le forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della partecipazione alla procedura di gara siano idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione.
   II. – La controversia muove da una procedura di gara per l’aggiudicazione del servizio di pulizia in uffici delle società del gruppo GSE di durata quinquennale. La seconda classificata, dopo aver prelevato la determinazione dal Sistema dinamico di acquisizione della pubblica amministrazione ex art. 55 del d.lgs. n. 50 del 2016 (29 ottobre) e dopo averne acquisita lettura (30 ottobre), riceveva, via pec, in data 6 novembre, la copia del provvedimento di aggiudicazione. Proponeva quindi ricorso avverso tale atto, notificandolo in data 6 dicembre.  
In primo grado, il Tar per il Lazio, sez. III-ter, 18.03.2019, n. 3552, dichiarava irricevibile il ricorso, rilevando che:
   a) l’art. 120, comma 5, c.p.a. deve essere letto in coerenza con i principi di carattere generale sul decorso dei termini di decadenza per l’impugnazione giurisdizionale degli atti e dei provvedimenti amministrativi, che attribuiscono prevalenza alla loro effettiva conoscenza anche rispetto a quella derivante dalla loro comunicazione;
   b) secondo la giurisprudenza amministrativa il termine per impugnare i provvedimenti delle procedure di affidamento di appalti pubblici decorre, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a., dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell’atto e ciò anche se non siano rispettate le particolari forme di comunicazione di detti provvedimenti previste dall’art. 79 d.lgs. 12.04.2006, n. 163, perché non è impedita la piena conoscenza degli stessi con altre forme, secondo quanto previsto dall’art. 120 c.p.a.;
   c) nel caso di specie era stata fornita prova certa della conoscenza da parte del ricorrente del provvedimento di aggiudicazione.
La sentenza era quindi impugnata dalla seconda classificata.
   III. – Il collegio, dopo aver descritto la vicenda processuale e le argomentazioni delle parti, ha osservato quanto segue:
      d) i motivi di ricorso proposti richiedono di esaminare una pluralità di questioni che interessano:
d1) l’esatta individuazione del termine per impugnare il provvedimento di aggiudicazione dei procedimenti di affidamento degli appalti pubblici;
d2) le forme e le modalità della comunicazione di aggiudicazione e l’ammissibilità della piena ed effettiva conoscenza del provvedimento di aggiudicazione attraverso forme alternative (ed equipollenti) alla comunicazione;
      e) sulla questione del dies a quo per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, secondo un orientamento giurisprudenziale, occorre distinguere a seconda che l’amministrazione abbia inviato una comunicazione completa ed esaustiva dell’aggiudicazione –nel qual caso il termine di trenta giorni decorre dalla comunicazione del provvedimento di aggiudicazione– ovvero si sia limitata a rendere noti l’avvenuta aggiudicazione della procedura e il nominativo dell’aggiudicatario – nel qual caso ai fini della decorrenza del termine si deve tener conto della necessità dell’interessato di conoscere gli elementi tecnici dell’offerta dell’aggiudicatario e, in generale, gli atti della procedura di gara per poter apprezzare compiutamente le ragioni di preferenza della stazione appaltante e verificare la sussistenza di eventuali vizi del suo operato;
      f) con riferimento alla rilevanza dell’accesso agli atti della procedura di gara ai fini della decorrenza del termine per impugnare l’aggiudicazione:
         f1) secondo le previsioni dell’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, l’accesso poteva avvenire entro dieci giorni dalla comunicazione mediante visione ed estrazione di copia, senza la necessità di un’apposita istanza e di un formale provvedimento di ammissione, con la conseguenza che la giurisprudenza ha ritenuto che il termine di trenta giorni per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione dovesse essere incrementato di un numero di giorni, massimo dieci, pari a quello necessario per avere piena conoscenza e contezza dell’atto e dei relativi profili di illegittimità, ove questi non fossero oggettivamente evincibili dalla comunicazione di aggiudicazione;
         f2) qualora la stazione appaltante abbia rifiutato illegittimamente l’accesso o abbia adottato comportamenti dilatori il termine per l’impugnazione non inizia neppure a decorrere e il potere di impugnare non si consuma se non dal momento in cui l’accesso sia effettivamente consentito;
         f3) tale orientamento ha trovato conferma anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ritenendosi che il rinvio, tuttora contenuto nell’art. 120, comma 5, c.p.a., all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, sia da intendersi, a seguito dell’abrogazione di quest’ultimo, al primo;
         f4) a causa, tuttavia, del diverso contenuto letterale delle due disposizioni si è affermato che la dilazione temporale, fissata in dieci giorni per l’accesso informale ai documenti di gara ex art. 79, comma 5-quater, del d.lgs. n. 163 del 2006, debba ora essere ragionevolmente ritenuta in quindici giorni, termine previsto dal comma 2 dell’art. 76 per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato;
      g) secondo un diverso e più rigoroso orientamento, per effetto del tenore letterale dell’art. 120, comma 5, c.p.a., il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione è sempre di trenta giorni e decorre in ogni caso dalla ricezione della comunicazione dell’avvenuta aggiudicazione proveniente dalla stazione appaltante ovvero, in mancanza, dalla conoscenza dell’aggiudicazione che l’interessato abbia comunque acquisito per altra via;
         g1) la distinzione tra vizi evincibili dal provvedimento comunicato e vizi percepibili aliunde ai fini della decorrenza del termine non avrebbe riscontro nel diritto positivo;
         g2) la tutela giurisdizionale dei vizi dell’aggiudicazione conosciuti dopo la sua comunicazione è sempre garantita dalla proponibilità dei motivi aggiunti;
      h) quanto alle forme e alle modalità della comunicazione di aggiudicazione il termine per l'impugnativa dell'aggiudicazione, secondo la giurisprudenza:
         h1) non decorre prima che la comunicazione di questa sia fatta secondo le inderogabili forme del comma 5-bis dell’art. 79 del d.lgs. n. 50 del 2016;
         h2) decorre, in base alla regola generale fissata dall'art. 41, comma 2, c.p.a., dalla notificazione, comunicazione, o piena conoscenza dell'atto, e ciò anche in mancanza delle particolari forme di comunicazione di detti provvedimenti ai sensi dell'art. 79 cit., perché ciò non impedisce che la loro conoscenza sia acquisita con altre forme, come prevede l’art. 120 c.p.a. che non dispone forme di comunicazione esclusive e tassative;
      i) la normativa vigente prevede che:
         i1) all’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016, fissando i principi di trasparenza cui devono essere improntate le procedure di affidamento degli appalti pubblici, “Tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l’affidamento di appalti di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessione, compresi quelli tra enti nell’ambito del settore pubblico di cui all’articolo 5, alla composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti ove non considerati riservati ai sensi dell’articolo 53 ovvero secretati ai sensi dell’articolo 162, devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione “Amministrazione trasparente”, con l’applicazione delle disposizioni di cui decreto legislativo 14.03.2013, n. 33”, aggiungendo che “Fatti salvi gli atti a cui si applica l’articolo 73, comma 5, i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente”;
         i2) all’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016: “Le stazioni appaltanti, nel rispetto delle specifiche modalità di pubblicazione stabilite dal presente codice, informano tempestivamente ciascun candidato e ciascun offerente delle decisioni adottate riguardo alla conclusione di un accordo quadro, all’aggiudicazione di un appalto o all’ammissione di un sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi dell’eventuale decisione di non concludere un accordo quadro o di non aggiudicare un appalto per il quale è stata indetta una gara o di riavviare la procedura o di non attuare un sistema dinamico di acquisizione", e al secondo comma: “Su richiesta scritta dell’offerente e del candidato interessato, l’amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta: a) ad ogni offerente, i motivi del rigetto della sua offerta, inclusi, per i casi di cui all’articolo 68, commi 7 e 8, i motivi della decisione di non equivalenza o della decisione secondo cui i lavori, le forniture o i servizi non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti funzionali; a-bis) ad ogni candidato escluso, i motivi del rigetto ella sua domanda di partecipazione; b) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o delle parti dell’accordo quadro; c) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, lo svolgimento e l’andamento delle negoziazioni e del dialogo con gli con gli offerenti”.
Il successivo comma 5 dispone che: “le stazioni appaltanti comunicano d’ufficio immediatamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni: a) l’aggiudicazione, all’aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione o sono in termini per presentare impugnazione, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera d’invito, se tali impugnazioni non siano state respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva; b) l’esclusione ai candidati e agli offerenti esclusi; c) la decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, a tutti i candidati; d) la data di stipula del contratto con l’aggiudicazione, ai soggetti di cui alla lettera a) del presente comma”.
Infine, il sesto comma 6 dell’articolo in esame precisa che: “Le comunicazioni di cui al comma 5 sono fatte mediante posta elettronica certificata o strumento analoga negli Stati membri. Le comunicazioni di cui al comma 5, lettera a) e b), indicano la data di scadenza del termine dilatorio per la stipulazione del contratto”;
         i3) all’art. 120, comma 5, c.p.a.: “Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale e incidentale e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale, e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”;
      j) il codice del 2016, a differenza di quello del 2006, prevede non solo l’obbligo generalizzato di pubblicazione sul profilo del committente di tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatari delle procedure di affidamento degli appalti pubblici, ma anche che, fatti salvi gli atti a cui si applica l’art. 73, comma 5, “i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente”;
      k) l’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, pur avendo la stessa ratio dell’art. 79 del codice del 2006, non contiene alcuna previsione circa il fatto che quelle comunicazioni facciano decorre il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione, né disciplina la speciale forma di accesso informale;
      l) si può dubitare dell’interpretazione dell’art. 120, comma 5, c.p.a., nel senso di ritenere semplicemente sostituito il richiamo all’art. 79 del codice del 2006 con quello all’art. 76 del codice del 2016;
      m) dal punto di vista sistematico, secondo il collegio:
         m1) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, compresi i verbali di gara, in coerenza con la previsione dell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
         m2) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati o per accertarne altri, consentono la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi della omessa o incompleta pubblicazione;
         m3) la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara dalla comunicazione individuale o dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, deve intendersi nel senso che indica due modi di conoscenza e due momenti di decorrenza equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde secondaria o subordinata e meramente complementare;
         m4) in ogni caso, la pubblicazione degli atti di gara, ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016, deve considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde;
         m5) le forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della partecipazione alla procedura di gara devono ritenersi idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione;
         m6) rimane il dubbio nelle ipotesi in cui l’esigenza di proporre il ricorso emerga solamente dopo aver conosciuto i contenuti dell’offerta dell’aggiudicatario ovvero anche, come spesso accade, le giustificazioni rese dall’aggiudicatario nell’ambito del sub procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, documentazione per la quale non è prevista la pubblicazione. In tali casi occorrerà valutare se il termine per l’impugnazione decorra dalla comunicazione dell’aggiudicazione, secondo l’orientamento più rigoroso, ovvero se sia preferibile tener conto del tempo necessario ad accedere alla documentazione presentata in gara dall’aggiudicatario, specificando se ciò debba avvenire nelle forme dell’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 ovvero in quelle dell’accesso ordinario di cui agli artt. 22 ss. l. 07.08.1990, n. 241;
      n) la soluzione da ultimo descritta, rimessa comunque alla valutazione dell’Adunanza plenaria, appare più coerente con le esigenze di celerità dei procedimenti di aggiudicazione di affidamenti di appalti pubblici e risulta anche rispettosa della disciplina della trasparenza cui è ispirato il nuovo codice dei contratti pubblici e, al contempo, non comprime irragionevolmente la tutela giurisdizionale e assicura ugualmente l’efficacia dei ricorsi giurisdizionali, cui è ispirata la disciplina eurounitaria;
         n1) “il legislatore vuole che rapidamente sia risolto ogni dubbio sulla legittimità dei provvedimenti assunti nell’ambito di una procedura di evidenza pubblica”;
         n2) “ma questo esige che sia dato alle parti un dies certus per poter far valere in giudizio le proprie ragioni; il diritto di difesa, altrimenti, resta compresso e il, pur previsto accesso al giudice, meramente simbolico”.
   IV. – Per completezza si osserva quanto segue:
      o) Tar Puglia, Lecce, ordinanza, 02.03.2020, n. 297 (pubblicata in data successiva alla camera di consiglio relativa all’ordinanza in rassegna e non citata nella stessa, oggetto della News US, n. 30 del 16.03.2020, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali), ha sollevato q.l.c. dell’art. 120, comma 5, c.p.a., nella parte in cui fa decorrere, per il rito appalti, il termine di trenta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti dalla ricezione della comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 79 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, per contrasto con il diritto di difesa e con il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost. Alla citata News US si rinvia, in particolare: per l’analisi della dottrina al § d); per la giurisprudenza sulla decorrenza del termine per impugnare gli atti di gara della stazione appaltante anche in caso di proposizione di istanza di accesso al § e); per la giurisprudenza sulla decorrenza del termine per impugnare gli atti nel c.d. rito appalti e nel processo amministrativo in generale ai §§ f), g), h); per l’analisi della dottrina e della giurisprudenza sulla disciplina dei motivi aggiunti nel c.p.a. al § i);
      p) inopinatamente il legislatore non ha ancora coordinato e aggiornato la disciplina contenuta nell’art. 120 c.p.a. al nuovo codice dei contratti pubblici del 2016, ingenerando una situazione di grave confusione;
      q) sulla decorrenza del termine per impugnare i provvedimenti delle procedure di affidamento di appalti pubblici si vedano:
         q1) in generale, sul rapporto con la regola della piena conoscenza dell’atto prevista dall’art. 41 c.p.a., Cons. Stato, sez. III, 14.06.2017, n. 2925 (in Foro amm., 2017, 1227), secondo cui “Nel processo amministrativo il termine per impugnare i provvedimenti adottati nelle procedure di affidamento di contratti pubblici decorre, in base alla regola generale fissata dall'art. 41 2° comma, c.p.a., dalla notificazione, comunicazione, o piena conoscenza dell'atto, e ciò anche in mancanza delle particolari forme di comunicazione di detti provvedimenti ai sensi dell'art. 79, d.leg. 12.04.2006, n. 163, perché tale circostanza non impedisce che la conoscenza degli stessi, cui comunque l'art. 120, c.p.a. fa riferimento testuale, sia acquisita con altre forme; in sostanza il cit. art. 120, 5° comma, cpa, non prevedendo forme di comunicazione esclusive e «tassative», non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, con riferimento alla possibilità che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita conforme diverse da quelle del cit. art. 79”;
         q2) nel senso che ai fini della decorrenza del termine sia necessario che l’interessato conosca gli elementi tecnici dell’offerta e gli atti di gara si vedano:
- Cons. giust. amm. reg. sic., 08.06.2017, n. 274 (in Foro amm., 2017, 1339), secondo cui “La decorrenza del termine di impugnazione dalla ricezione della comunicazione dell'aggiudicazione è una norma processuale, stabilita dall'art. 120, 5° comma, c.p.a., che nessuna legge di gara può disattendere, non essendo la materia nella disponibilità delle stazioni appaltanti, pertanto, una clausola del bando che prevedesse un diverso termine dovrebbe dichiararsi radicalmente nulla, per difetto assoluto di attribuzione, ai sensi dell’art. 21-septies della l. n. 241 del 1990”;
- Cons. Stato, sez. V, 27.04.2017, n. 1953 (in Foro amm., 2017, 845), secondo cui “Nelle gare pubbliche, ai sensi dell'art. 79 5° e 5°-bis comma, d.leg. 12.04.2006, n. 163, il termine per l'impugnativa avverso l'aggiudicazione non decorre prima che la comunicazione di questa sia fatta secondo le inderogabili forme del 5° comma bis, e cioè con il corredo della relativa motivazione, a sua volta espressa attraverso gli elementi di cui al 2° comma lett. c)”;
- Cons. Stato, sez. V, 13.02.2017, n. 592 (in Foro amm., 2017, 306; Appalti & Contratti, 2017, fasc. 3, 88), secondo cui “In base al combinato disposto dell'art. 79, 5º e 5º comma bis, d.leg. 12.04.2006 n. 163, nelle gare pubbliche il termine per l'impugnativa avverso l'aggiudicazione non decorre dalla comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione di cui al succitato 5º comma, lett. a), bensì dal momento in cui, ai sensi del successivo 5º comma bis, la stazione appaltante comunica in modo pieno la motivazione dell'aggiudicazione e, in particolare, gli elementi di cui al 2º comma, lett. c); ciò comporta che per un verso le concorrenti lese dall'aggiudicazione vengono onerate del compito di proporre impugnativa entro un termine particolarmente breve (pari ad appena trenta giorni) mentre per altro verso il termine a quo per l'impugnativa viene fatto decorrere dal momento in cui le stesse dispongono di informazioni adeguatamente dettagliate in ordine alle caratteristiche dell'offerta dell'aggiudicataria, e ciò all'evidente fine di evitare che le imprese, lese dall'aggiudicazione, si trovino in condizione di dover impugnare un provvedimento di aggiudicazione del quale non conoscano le caratteristiche effettive e in relazione al quale non siano in grado di articolare difese compiute”; Cons. Stato, sez. V, 23.11.2016, n. 4916 (in Appalti & Contratti, 2016, fasc. 12, 97);
- Cons. Stato, sez. V, 03.02.2016, n. 408 (in Foro amm., 2016, 309), secondo cui “In materia di appalti pubblici, ai sensi dell'art. 120, 5º comma, c.p.a., il ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione definitiva di regola deve essere proposto nel termine di trenta giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 79 d.leg. 12.04.2006 n. 163, accompagnata dal provvedimento e dalla relativa motivazione contenente almeno gli elementi di cui al 2º comma, lett. c), dello stesso art. 79; di conseguenza, nel caso di comunicazione incompleta, la conoscenza utile ai fini della decorrenza del termine, coincide con la cognizione, acquisita in sede di accesso, degli elementi oggetto della comunicazione dell'art. 79, senza che sia necessaria l'estrazione delle relative copie”;
         q3) sulla decorrenza del termine in caso di accesso agli atti in relazione all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, si vedano, tra le altre: Cons. Stato, 27.04.2017, n. 1953, cit.; Cons. Stato, sez. V, 13.02.2017, n. 592, cit.; Cons. Stato, sez. V, 23.02.2015, n. 864 (in Appalti & Contratti, 2015, fasc. 3, 76); Cons. Stato, sez. III, 28.08.2014, n. 4432 (in Appalti & Contratti, 2014, fasc. 9, 70), secondo cui “Va condiviso il principio interpretativo, sostenuto dal consiglio di stato, sez. VI, nell'ord. n. 790 dell'11.02.2013, secondo cui il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione, di cui al 2º e 5º comma dell'art. 79, d.leg. n. 163/2006, ma può essere «incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità (laddove questi non fossero oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione e -comunque- entro il limite dei dieci giorni che il richiamato 5º comma quater fissa per esperire la particolare forma di accesso -semplificato ed accelerato- ivi disciplinata»”;
         q4) sulla decorrenza del termine in caso di rifiuto della p.a. di consentire l’accesso, si vedano, tra le altre:
- Cons. Stato, sez. III, 21.03.2016, n. 1143 (in Foro amm., 2016, 560), secondo cui “Nelle pubbliche gare d'appalto il c.d. termine breve per l'impugnazione degli atti e/o provvedimenti che non siano stati trasmessi unitamente alla comunicazione della decisione di aggiudicazione e che costituiscono oggetto dell'accesso (id est: degli atti non immediatamente conosciuti in occasione della comunicazione dell'intervenuta aggiudicazione) può essere incrementato, al massimo, di dieci giorni fermo restando che se la p.a. rifiuta illegittimamente di consentire l'accesso, il termine non inizia a decorrere, gli atti non visionati non si consolidano ed il potere di impugnare, dell'interessato pregiudicato da tale condotta amministrativa, non si consuma”; Cons. Stato, sez. V, 07.09.2015, n. 4144 (in Appalti & Contratti, 2015, fasc. 9, 72);
- Cons. Stato, sez. V, 06.05.2015, n. 2274 (in Guida al dir., 2015, fasc. 24, 86, con nota di MASARACCHIA), secondo cui “Nella materia degli appalti pubblici, nel caso in cui il concorrente escluso proponga ricorso avverso il provvedimento di esclusione, egli è poi onerato di proporre il ricorso per motivi aggiunti (per denunciare vizi già maturati al tempo in cui l'atto in questione è stato adottato) entro l'ulteriore termine di trenta giorni che decorre dal momento in cui ha avuto piena conoscenza degli altri atti endoprocedimentali dai quali si possono desumere le ulteriori doglianze e comunque non oltre il termine di quaranta giorni dalla comunicazione del provvedimento di esclusione; quest'ultimo termine si ottiene sommando quello di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento di esclusione nel quale è consentito l'accesso semplificato e accelerato agli atti ai sensi dell'art. 79, 5º comma quater, d.leg. 163/2006, sempre che l'amministrazione ovviamente ottemperi tempestivamente all'istanza di accesso; analoga disciplina si applica, a fortiori, per l'ipotesi di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione”;
- Cons. Stato, sez. III, 07.01.2015, n. 25 (in Urbanistica e appalti, 2015, 1059, con nota di TIMO; Giur. it., 2015, 698, con nota di SCOCA; Ragiusan, 2015, fasc. 374, 95); Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2014, n. 1250 (in Foro amm., 2014, 818).
Sulla conferma di tale orientamento anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ritenendosi che il rinvio, tuttora contenuto nell’art. 120, comma 5, c.p.a., all’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006 sia da intendersi, a seguito dell’abrogazione di quest’ultimo, al primo, si vedano: Cons. Stato, sez. V, 10.06.2019, n. 3879 (in Appalti & Contratti, 2019, fasc. 7, 66); Cons. Stato, sez. V, 27.11.2018, n. 6725 (in Foro amm., 2018, 1938);
         q5) sempre con riferimento al rapporto tra diritto di accesso e termine per impugnare gli atti della procedura di gara, con riferimento al codice del 2016 e, precisamente, nel senso che il diverso tenore letterale delle due disposizioni (art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006 e art. 76 d.lgs. n. 50 del 2016) comporti che la dilazione temporale debba essere ragionevolmente intesa in quindici giorni, termine previsto dall’art. 76, comma 2, per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato si vedano:
- Cons. Stato, sez. V, 20.09.2019, n. 6251 (in Guida al dir., 2019, fasc. 42, 98, con nota di PONTE; Comuni d'Italia, 2019, fasc. 9, 77; Gazzetta forense, 2019, 805), secondo cui “Ai sensi dell'art. 120 c.p.a., ai fini della decorrenza del termine per impugnare gli atti di gara la stazione appaltante non è più obbligata, nella comunicazione d'ufficio dell'avvenuta aggiudicazione, a esporre le ragioni di preferenza dell'offerta aggiudicata, ovvero, in alternativa, ad allegare i verbali della procedura; tuttavia, il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione”;
- Cons. Stato, sez. V, 13.08.2019, n. 5717 (in Appalti & Contratti, 2019, fasc. 9, 82), secondo cui “Secondo i principi di effettività della tutela giurisdizionale, così come enucleati anche dalla giurisprudenza della corte di giustizia dell'Unione europea, qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente di consentire l'accesso (ovvero, in qualunque modo tenga una condotta di carattere dilatorio), il potere d'impugnare non si consuma con il decorso del termine di legge, ma è incrementato del numero di giorni necessari per poter acquisire i documenti stessi, così che il termine di trenta giorni per l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione, ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla comunicazione”;
         q6) sulla decorrenza del termine: in caso di invio della comunicazione al domicilio o all’indirizzo di posta elettronica indicato negli atti di gara (da intendersi come ragionevole presunzione non solo dell’avvenuta conoscenza da parte del destinatario di quegli atti e del loro contenuto, ma anche del fatto che tale conoscenza si sia verificata direttamente in capo alla parte e non al suo difensore) Cons. Stato, sez. V, 22.05.2015, n. 2570 (in Foro amm., 2015, 1418); sulla inidoneità, ai fini della decorrenza del termine, della pubblicazione della delibera di aggiudicazione all’albo pretorio, Cons. Stato, sez. V, 23.11.2016, n. 4916 (in Appalti & Contratti, 2016, fasc. 12, 97);
      r) nella giurisprudenza europea, sulla decorrenza del termine in relazione alla conoscenza o alla conoscibilità della violazione di disposizioni:
         r1) Corte di giustizia UE, 14.02.2019, C-54/18, Soc. coop. animaz. Valdocco (in Foro it., 2019, IV, 431, con nota di CONDORELLI; Urbanistica e appalti, 2019, 175, con nota di GROSSI; Giur. it., 2019, 1168, con nota di GALLO; Rass. avv. Stato, 2018, fasc. 4, 27; Riv. giur. edilizia, 2019, I, 276; Riv. giur. edilizia, 2019, I, 485, con nota di TAGLIANETTI; Foro amm., 2019, 187; oggetto della News US, n. 26 del 25.02.2019, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti, spec. § o), secondo cui, tra l’altro, “La direttiva 89/665/Cee del consiglio, 21.12.1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2014/23/Ue del parlamento europeo e del consiglio, 26.02.2014, e in particolare i suoi art. 1 e 2-quater, letti alla luce dell'art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di trenta giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell'Unione dagli stessi lamentata”; “La direttiva 89/665/Cee, come modificata dalla direttiva 2014/23/Ue, e in particolare i suoi art. 1 e 2-quater, letti alla luce dell'art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che, in mancanza di ricorso contro i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione degli offerenti alla partecipazione alle procedure di appalto pubblico entro un termine di decadenza di trenta giorni dalla loro comunicazione, agli interessati sia preclusa la facoltà di eccepire l'illegittimità di tali provvedimenti nell'ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi, in particolare avverso le decisioni di aggiudicazione, purché tale decadenza sia opponibile ai suddetti interessati solo a condizione che essi siano venuti o potessero venire a conoscenza, tramite detta comunicazione, dell'illegittimità dagli stessi lamentata”;
         r2) Corte di giustizia UE, sez. V, 12.03.2015, C-538/13, eVigilio Ltd (in Urbanistica e appalti, 2015, 893, con nota di VIVANI; Guida al dir., 2015, fasc. 16, 92 (m), con nota di PONTE; Nuovo notiziario giur., 2016, 615, con nota di BARBIERI) secondo cui solo nel caso in cui il concorrente si sia trovato nella
impossibilità di presentare un ricorso avverso le condizioni di gara perché queste ultime erano incomprensibili, gli è consentito di proporre ricorso nei termini perentori fissati per la impugnazione della aggiudicazione;
         r3) Corte di giustizia UE, 08.05.2014, C-161/13 (in Giurisdiz. amm., 2013, ant., 961; Urbanistica e appalti, 2014, 1021, con nota di DE NICTOLIS; Nuovo notiziario giur., 2015, 205, con nota di BARBIERI), secondo cui “Gli art. 1, par. 1 e 3, nonché 2-bis, par. 2, ultimo comma, direttiva 92/13/Cee del Consiglio, del 25.02.1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11.12.2007, devono essere interpretati nel senso che il termine per la proposizione di un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione di un appalto deve iniziare nuovamente a decorrere qualora sia intervenuta una nuova decisione dell'amministrazione aggiudicatrice, adottata dopo tale decisione di aggiudicazione ma prima della firma del contratto e che possa incidere sulla legittimità di detta decisione di attribuzione; tale termine inizia a decorrere dalla comunicazione agli offerenti della decisione successiva o, in assenza di detta comunicazione, dal momento in cui questi ultimi ne hanno avuto conoscenza; nel caso in cui un offerente abbia conoscenza, dopo la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, di un'irregolarità asseritamente commessa prima della decisione di aggiudicazione di un appalto, il diritto di ricorso contro tale decisione gli è garantito soltanto entro tale termine, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto, conformemente al diritto dell'Unione” (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 02.04.2020 n. 2215 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTIAll’Adunanza plenaria la decorrenza dei termini di impugnazione nel rito appalti.
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Processo amministrativo – Rito appalti – Termini - Aggiudicazione e atti di gara – Individuazione – Dubbi in giurisprudenza – Rimessione all’Adunanza plenaria
Sono rimesse all’Adunanza plenaria le questioni se:
   a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016;
   b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76, d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da considerare patologica –con le ovvie conseguenze anche ai soli fini di eventuali responsabilità erariale– della omessa o incompleta pubblicazione prevista dal già citato art. 29;
   c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia giammai idonea a far slittare il termine per la impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, che decorre dalla pubblicazione ex art. 29 ovvero negli altri casi patologici dalla comunicazione ex art. 76, e legittima soltanto la eventuale proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se essa comporti la dilazione temporale almeno con particolare riferimento al caso in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero dalle giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
   d) dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex art. 78, d.lgs. n. 50 del 2018) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi (di conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
   e) in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29 d.lgs. n. 50 del 2016 debba considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde;
   f) idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione debbano considerare quelle forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla procedura di gara (1).

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   (1) Ha ricordato la Sezione che sulla questione della individuazione del dies a quo per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione si osserva che un primo orientamento giurisprudenziale, maturato nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, sulla scorta del tenore letterale dell’art. 120, comma 5, c.p.a., e sull’espresso richiamo fatto all’art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006, ha distinto a seconda che l’amministrazione appaltante abbia inviato una comunicazione completa ed esaustiva dell’aggiudicazione (contenente l’esposizione delle ragioni di preferenza per l’offerta dell’aggiudicatario alla luce delle caratteristiche della stessa per come apprezzate dalla commissione giudicatrice) ovvero si sia limitata a rendere noti l’avvenuta aggiudicazione della procedura ed il nominativo dell’operatore dell’aggiudicatario.
Con riferimento alla prima ipotesi è stato affermato che il ricorso deve essere sicuramente proposto nel termine di trenta giorni decorrenti dalla comunicazione del provvedimento di aggiudicazione ai sensi dell’art. 79, d.lgs. 12.04.2016, n. 163; nell’altro caso, invece, si è ritenuto che ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di debba tener conto della necessità dell’interessato di conoscere gli elementi tecnici dell’offerta dell’aggiudicatario e, in generale, gli atti della procedura di gara per poter apprezzare compiutamente le ragioni di preferenza della stazione appaltante e verificare la sussistenza di eventuali vizi del suo operato (Cons. Stato, sez. V, 26.07.2017, n. 3675; id. 27.04.2017, n. 1953; id. 13.02.2017, n. 592; id. 26.11.2016, n. 4916; id. 03.02.2016, n. 408; C.g.a. 08.06.2017, n. 274).
La predetta distinzione introduce l’ulteriore tema che accompagna la problematica in esame riguardante l’accesso agli atti della procedura di gara e in particolare se e in che modo il tempo necessario rilevi ai fini della decorrenza del termine per impugnare l’aggiudicazione: è evenienza notororia che l’impresa concorrente, proprio a seguito della comunicazione di aggiudicazione (non completa dei verbali di gara o delle informazioni sulle caratteristiche e sui vantaggi dell’offerta selezionata), chiede di accedere agli atti della procedura di gara.
Secondo le previsioni dell’art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006 l’accesso poteva avvenire entro 10 giorni dalla comunicazione mediante visione ed estrazione di copia, senza la necessità di un’apposita istanza e di un formale provvedimento di ammissione (salvi i provvedimenti di esclusione o di differimento dell’accesso adottati ai sensi dell’art. 13), così che è stato ritenuto che il termine di trenta giorni per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione dovesse essere incrementato di un numero di giorni (massimo dieci giorni) pari a quello necessario per aver piena conoscenza e contezza dell’atto e dei relativi profili di illegittimità, ove questi non fossero oggettivamente evincibili dalla comunicazione di aggiudicazione (Cons. Stato, sez. III, 28.08.2014, n. 4432; id., sez. V, 05.02.2018, n. 718; id., sez. III, 03.07.2017, n. 3253; id., sez. V, 27.04.2017, n. 1953; id. 23.02.2017, n. 851; id. 13.02.2017, n. 592; id. 10.02.2015, n. 864).
E’ stato poi precisato che qualora l’amministrazione appaltante abbia rifiutato illegittimamente l’accesso o abbia adottato comportamenti dilatori il termine per l’impugnazione non inizia neppure a decorrere e il potere di impugnare “non si consuma” se non dal momento in cui l’accesso sia effettivamente consentito (Cons Stato, sez. III, 22.07.2016, n. 3308; id. 03.03.2016, n. 1143; id., sez. V, 07.09.2015, n. 4144; id. 06.05.2015, n. 2274; id., sez. III, 07.01.2015, n. 25; id., sez. V, 13.03.2014, n. 1250).
Tale orientamento ha trovato conferma anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ritenendosi che il rinvio, tuttora contenuto nell’art. 120, comma 5, c.p.a., all’art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006, n. 163, sia da intendersi, a seguito dell’abrogazione di quest’ultimo, al primo (Cons. Stato, sez. V, 10.06.2019, n. 3879; id. 27.11.2018, n. 6725).
A causa tuttavia del diverso contenuto letterale delle due disposizioni (art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006 e art. 76, d.lgs. n. 50 del 2016) si è affermato che la dilazione temporale, fissata in dieci giorni per l’accesso informale ai documenti di gara ex art. 79, comma 5-quater, d.lgs. n. 163 cit., debba ora essere ragionevolmente in quindici giorni, termine previsto dal comma 2 dell’art. 76 per la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’interessato (Cons. Stato, sez. V, 20.09.2019, n. 6251; id. 02.09.2019, n. 6064; id. 13.08.2019, n. 5717, id., sez. III, 06.03.2019, n. 1540).
È stato mantenuto fermo il principio che se la stazione appaltante rifiuti illegittimamente l’accesso, o tenga comportamenti dilatori che impediscono l’immediata conoscenza degli atti di gara (nei termini indicati), il termine per l’impugnazione non decorrere e il potere di impugnare “non si consuma”; se non dal momento in cui l’interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura (Cons. Stato, sez. III, 06.03.2019, n. 1540).
3.3. Secondo un più rigoroso orientamento giurisprudenziale, per effetto del tenore letterale del citato art. 120, comma 5, c.p.a., il termine di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione è sempre di trenta giorni e decorre in ogni caso dalla ricezione della comunicazione dell’avvenuta aggiudicazione proveniente dalla stazione appaltante ovvero, in mancanza, dalla conoscenza dell’aggiudicazione che l’interessato abbia comunque acquisito per altra via; del resto la distinzione tra vizi evincibili dal provvedimento comunicato, per il quale il dies a quo avrebbe decorrenza dalla comunicazione dell’aggiudicazione, ed altri vizi percepibili aliunde, per i quali il termine di impugnazione comincerebbe a decorrere dal momento dell’effettiva conoscenza, non avrebbe riscontro nel diritto positivo (Cons. Stato, V, 28.10.2019, n. 7384; id., sez. IV, 23.02.2015, n. 856; id., sez. V, 20.01.2015, n. 143, le quali si rifanno all’orientamento invalso prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo e del quale sono espressione Cons. Stato, sez. IV, 21.05.2004, n. 3298; id., sez. V, 02.04.1996, n. 381; id. 04.10.1994, n. 1120; C.g.a. 20.04.1998, n. 261).
Peraltro la tutela giurisdizionale dei vizi dell’aggiudicazione conosciuti dopo la sua comunicazione è sempre garantita dalla proponibilità dei motivi aggiunti.
Quanto alle forme e alle modalità della comunicazione di aggiudicazione e all’ammissibilità della piena ed effettiva conoscenza del provvedimento di aggiudicazione, il termine per l'impugnativa dell'aggiudicazione non decorre prima che la comunicazione di questa sia fatta secondo le inderogabili forme del comma 5-bis dell’art. 79, (cioè con il corredo della relativa motivazione, a sua volta espressa attraverso gli elementi di cui al comma 2, lett. c), Cons. Stato, sez. V, 27.04.2017, n. 1953) e, per altro verso, che il termine di impugnazione decorre, in base alla regola generale fissata dall'art. 41 comma 2, c.p.a., dalla notificazione, comunicazione, o piena conoscenza dell'atto, e ciò anche in mancanza delle particolari forme di comunicazione di detti provvedimenti ai sensi dell'art. 79 cit., perché ciò non impedisce che la loro conoscenza sia acquisita con altre forme, come prevede l’art. 120 c.p.a. che non dispone forme di comunicazione esclusive e tassative (Cons. Stato, sez. III, 14.06.2017, n. 2925).
E’ stato anche evidenziato, sotto altro profilo, che sebbene il citato art. 79, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006 non abbia introdotto forme di comunicazione tassative o esclusive ai fini della piena conoscibilità degli atti e della decorrenza del termine di impugnazione, quelle previste costituiscono uno strumento privilegiato per l'attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, sub specie di pubblicità, trasparenza, economicità ed efficienza, garantendo un'adeguata certezza della situazione di diritto conseguente allo svolgimento di una gara a evidenza pubblica, così che le comunicazioni effettuate al domicilio o all'indirizzo di posta elettronica indicato negli atti di gara danno vita a una ragionevole presunzione non solo dell'avvenuta conoscenza da parte del destinatario di quegli atti e del loro contenuto, ma anche del fatto che tale conoscenza si sia verificata direttamente in capo alla parte e non al suo difensore (Cons. Stato, sez. V, 22.05.2015, n. 2570).
E’ da aggiungere che è stata ritenuta inidonea a far decorrere il termine de quo la pubblicazione della delibera di aggiudicazione all’albo pretorio, nel sistema previsto dall’art 79, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006, se essa non è accompagnata dalla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati secondo la regola del successivo comma 5-bis, solo così potendo decorrere il termine di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a. (Cons. Stato, sez. V, 25.07.2019, n. 5257; id. 23.07.2018, n. 4442; id. 23.11.2016, n. 4916).
Completezza espositiva impone di dar conto che sulla questione della decorrenza del termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione è intervenuta anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che:
   a) con la sentenza 08.05.2014, sez. V (causa C-161/13), ha evidenziato che i ricorsi avverso gli atti delle procedure di affidamento degli appalti pubblici sono efficaci solo se “…i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino solo a decorrere in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione…” e che la possibilità di proporre motivi aggiunti “…non costituisce sempre un’alternativa valida di tutela valida effettiva” (ma quest’ultima affermazione deve essere contestualizzata in ragione della peculiare situazione di specie);
   b) con l’ordinanza 14.02.2019, sez. IV (causa C 54–18), in tema di compatibilità con i principi eurounitari del rito super accelerato ex art. 120, comma 2-bis c.p.a., ha osservato che “la fissazione di termini di ricorso a pena di decadenza consentono di realizzare l’obiettivo di celerità perseguito dalla direttiva 89/665”, aggiungendo che tale obiettivo può essere conseguito “…soltanto se i termini prescritti …iniziano a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente avvia avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza dell’asserita violazione di disposizioni”, ciò anche per garantire l’effettività del controllo giudiziario, non mancando di sottolineare che è rimesso al giudice nazionale la valutazione in concreto della possibilità per il ricorrente di aver conoscenza dei motivi di illegittimità del provvedimento (nel caso oggetto di controversia di ammissione ai sensi dell’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016).
Ciò posto la Sezione è dell’avviso che la soluzione delle questioni sopra accennate non possa prescindere dalla esegesi letterale e sistematica delle disposizioni che le riguardano ed in particolare dal contenuto degli artt. 29 e 79, d.lgs. n. 50 del 2016 (e successive modd. e integr.) e 120, comma 5, c.p.a..
L’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016, fissando i principi di trasparenza cui devono essere improntate le procedure di affidamento degli appalti pubblici, stabilisce espressamente al comma 1 che “Tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l’affidamento di appalti di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessione, compresi quelli tra enti nell’ambito del settore pubblico di cui all’articolo 5, alla composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti ove non considerati riservati ai sensi dell’articolo 53 ovvero secretati ai sensi dell’articolo 162, devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione “Amministrazione trasparente”, con l’applicazione delle disposizioni di cui decreto legislativo 14.03.2013, n. 33…..”, aggiungendo significativamente che “Fatti salvi gli atti a cui si applica l’articolo 73, comma 5, i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente”.
L’art. 76 del citato decreto d.lgs. n. 50 del 2016, disciplinando la “Informazione dei candidati e degli offerenti”, dopo aver stabilito al primo comma che “Le stazioni appaltanti, nel rispetto delle specifiche modalità di pubblicazione stabilite dal presente codice, informano tempestivamente ciascun candidato e ciascun offerente delle decisioni adottate riguardo alla conclusione di un accordo quadro, all’aggiudicazione di un appalto o all’ammissione di un sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi dell’eventuale decisione di non concludere un accordo quadro o di non aggiudicare un appalto per il quale è stata indetta una gara o di riavviare la procedura o di non attuare un sistema dinamico di acquisizione”’, aggiunge al secondo comma che “Su richiesta scritta dell’offerente e del candidato interessato, l’amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta: a) ad ogni offerente, i motivi del rigetto della sua offerta, inclusi, per i casi di cui all’articolo 68, commi 7 e 8, i motivi della decisione di non equivalenza o della decisione secondo cui i lavori, le forniture o i servizi non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti funzionali; a-bis) ad ogni candidato escluso, i motivi del rigetto ella sua domanda di partecipazione; b) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o delle parti dell’accordo quadro; c) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammessa in gara e valutata, lo svolgimento e l’andamento delle negoziazioni e del dialogo con gli con gli offerenti”.
Il successivo comma 5 dispone che “le stazioni appaltanti comunicano d’ufficio immediatamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni: a) l’aggiudicazione, all’aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione o sono in termini per presentare impugnazione, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera d’invito, se tali impugnazioni non siano state respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva; b) l’esclusione ai candidati e agli offerenti esclusi; c) la decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, a tutti i candidati; d) la data di stipula del contratto con l’aggiudicazione, ai soggetti di cui alla lettera a) del presente comma.”.
Infine il sesto comma 6 dell’articolo in esame precisa che “Le comunicazioni di cui al comma 5 sono fatte mediante posta elettronica certificata o strumento analoga negli Stati membri. Le comunicazioni di cui al comma 5, lettera a) e b), indicano la data di scadenza del termine dilatorio per la stipulazione del contratto”.
Occorre aggiungere che, sebbene la ratio delle disposizioni dell’art. 76, d.lgs. n. 50 del 2016 sia analoga a quella dell’art. 79, d.lgs. n. 163 del 2006, quest’ultima conteneva la specifica disposizione sull’accesso informale (comma 5-quater) che non compare nella prima.
L’art. 120, comma 5, c.p.a. infine dispone che: “Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale e incidentale e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale, e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”.
Ciò posto, si osserva quanto segue.
Innanzitutto:
   a) a differenza del d.lgs. n. 163 del 2006, il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016 e succ. modd. e integr.) all’art. 29, come evidenziato, prevede non solo l’obbligo generalizzato di pubblicazione sul profilo del committente, nella Sezione “Amministrazione trasparente”, di tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatari delle procedure di affidamento degli appalti pubblici (così come ivi elencati e specificati), ma anche la espressa previsione che fatti, salvi gli atti a cui si applica l’art. 73, comma 5 (cioè gli avvisi e i bandi), “i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente”.
L’A.N.A.C., ha ritenuto, nella delibera 28.12.2016, n. 1310, recante "Prime linee guida recanti indicazioni sull'attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016”, che sono soggetti all’obbligo di pubblicazione anche “gli elenchi dei verbali delle commissioni di gara”, salvo riconoscere la possibilità dell’accesso civico generalizzato ai predetti verbali, ai sensi degli artt. 5, comma 2, e 5–bis, d.lgs. 14.03.2013, n. 33.
   b) l’art. 76, pur avendo sostanzialmente la stessa ratio e finalità dell’art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006) e disciplinando anche la stessa materia delle informazioni ai concorrenti ai candidati (degli esiti dei procedimenti di affidamento degli appalti pubblici), non contiene alcuna previsione circa il fatto che quelle comunicazioni facciano decorre il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione, né disciplina la speciale forma di accesso informale, prima prevista dall’art. 79, d.lgs. 163 del2006;
   c) si potrebbe dubitare dell’interpretazione “evolutiva” dell’art. 120, comma 5, c.p.a., nel senso di ritenere sict et simpliciter sostituito il richiamo all’art. 79, d.lgs. n. 79 del 2006 con l’art. 76, d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto, ancorché ragionevolmente basata sulla eadem ratio, potrebbe non essere sistematicamente giustificabile in relazione alla non irrilevante questione dell’eliminazione dell’accesso informale con le sue ricadute sulla corretta individuazione del termine di decorrenza dell’impugnazione dell’aggiudicazione.
Dal punto di vista sistematico può ricavarsi che:
   a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara –tra cui devono comprendersi, non solamente gli “elenchi dei verbali”, ma proprio i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate– in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016;
   b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76, d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri consentono la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da considerare patologica –con le ovvie conseguenze anche ai soli fini di eventuali responsabilità erariale– della omessa o incompleta pubblicazione prevista dal già citato art. 29;
   c) dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex art. 78, d.lgs. n. 50 del 2016) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, deve intendersi nel senso che indica due modi (di conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
   d) in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016 deve considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde;
   e) idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione devono considerare quelle forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla procedura di gara.
   f) resta il caso in cui l’esigenza di proporre ricorso emerga solamente dopo aver conosciuto i contenuti dell’offerta dell’aggiudicatario ovvero anche, come frequentemente accade, le giustificazioni rese dall’aggiudicatario nell’ambito del sub procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, documentazione per la quale non è prevista la pubblicazione, non rientrando tra gli “atti delle amministrazioni aggiudicatrici relativi…alle procedure per l’affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere…” ai sensi dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 ed, anzi, per i quali l’istanza di accesso è suscettibile di differimento ai sensi dell’art. 53, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 50 (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 02.04.2020 n. 2215 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTIConsiglio di Stato, accesso totale su gare e contratti.
La disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti stabiliti dall'articolo 53 del Dlgs n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara, in particolare, all'esecuzione dei contratti pubblici.
É questo, in sintesi, l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, con la sentenza 02.04.2020 n. 10.
La vicenda
L'Adunanza plenaria, affrontando anche altri aspetti collegati al diritto di accesso in generale, pone fine alla controversa interpretazione circa l'applicabilità o meno della disciplina dell'accesso civico generalizzato (articolo 5, comma 2, del Dlgs 33/2013) agli atti dell'appalto sia della fase pubblicistica sia della fase esecutiva del contratto.
Il collegio si sofferma sul contrasto giurisprudenziale caratterizzato dalle sentenze della sezione III, 05.06.2019, n. 3780 e dalle sentenze gemelle della sezione V, 02.08.2019, n. 5502 e n. 5503 che poi, semplificando, hanno portato all'ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato n. 8501/2019.
Per la III sezione, l'accesso civico generalizzato si deve ritenere applicabile alla materia degli appalti anche per un lettura costituzionalmente orientata della nuova fattispecie senza possibilità di "strumentalizzare" un diverso coordinamento tra norme; per la V sezione –che si è espressa negativamente- nell'articolato delle varie norme è rinvenibile una esclusione (dovuta all' articolo 5-bis del decreto trasparenza) per «materia» riconducibile, in sintesi, al fatto che l'accesso agli atti dell'appalto trova un proprio «micro sistema normativo» (contenuto nell'articolo 53 del Codice).
La posizione dell'Adunanza plenaria
Il Collegio pone in evidenza, con ampie sottolineature, la rilevanza del valore della trasparenza e delle conoscibilità degli atti della pubblica amministrazione chiarendo la distinzione fondamentale tra «bisogno di conoscenza» alla base della richiesta dell'accesso documentale tradizionale (di cui alla legge 241/1990) e il «diritto alla conoscenza» tutelato dall'accesso civico generalizzato.
L'accesso civico generalizzato convive con le altre tipologie dell'accesso documentale e dell'accesso civico «semplice» costituendo lo strumento volto ad assicurare quel controllo democratico in grado di prevenire forme di corruzione nella pubblica amminstrazione in superamento del limite posto «all'accesso documentale che non ammette un controllo generalizzato sull'attività delle pubbliche amministrazioni».
Il Foia rappresenta una «precondizione, (…), per l'esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l'interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale autorità/libertà».
Le limitazioni a tale prerogativa sono rinvenibili solamente nelle tre ipotesi di eccezioni assolute: «i documenti coperti da segreto di Stato; gli altri casi di divieti previsti dalla legge, compresi quelli in cui l'accesso è subordinato al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti; le ipotesi contemplate dall' articolo 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990».
Ambito, circoscritto, finalizzato a garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per l'ordinamento giuridico, ed in queste situazioni «la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, (…) preceduto da un'attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e alla sussunzione del caso nell'ambito dell'eccezione assoluta, che è di stretta interpretazione».
Inoltre, la lettura delle eccezioni non deve essere «scorporata» ma unitaria «evitando (…) di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l'uno dagli altri, limiti, perché una lettura sistematica, ostituzionalmente e convenzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una interpretazione tassativizzante».
Pertanto, la lettura deve avvenire «secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione» considerata la logica di fondo in vista della tutela dell'interesse conoscitivo che altrimenti verrebbe frustrato (determinando un «buco nero della trasparenza
».
Rimane ferma, infine, l'esigenza di una equilibrata applicazione della nuova prerogativa
«secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test), che preservi il know-how industriale e commerciale» senza però «sacrificare del tutto l'esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how» (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 14.04.2020).

APPALTI: Accesso agli atti, obbligo della p.a.. Legittima la verifica dei documenti da parte dei concorrenti. Anche nella fase esecutiva dei contratti pubblici secondo l’Adunanza plenaria del CdS.
In una gara d'appalto è ammesso l'accesso agli atti da parte di un concorrente anche per la fase esecutiva del contratto pubblico essendo rilevante e concreto l'interesse fatto valere anche in tale fase.
Lo ha stabilito l'Adunanza plenaria del Consiglio di stato con la sentenza 02.04.2020 n. 10 in una vicenda riguardante un caso in cui un concorrente aveva presentato istanza per l'accesso al fine di verificare se l'esecuzione del contratto si stesse svolgendo nel rispetto del capitolato tecnico e dell'offerta migliorativa presentata dall'aggiudicataria, poiché l'accertamento di eventuali inadempienze dell'appaltatore avrebbe determinato l'obbligo della pubblica amministrazione di procedere alla risoluzione del contratto e al conseguente affidamento del servizio alla stessa appellante, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria di cui all'art. 140 del decreto 163/2006 vigente all'epoca dei fatti.
La stazione appaltante aveva negato l'accesso perché l'istante non avrebbe dimostrato la concreta esistenza di una posizione qualificata, idonea a giustificare l'istanza di accesso.
Con l'ordinanza di rimessione la sezione del Consiglio di stato si poneva il quesito se fosse configurabile, o meno, in capo all'operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all'esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto.
L'Adunanza plenaria ha precisato, preliminarmente, che nel processo amministrativo non è sufficiente a consentire l'intervento la sola circostanza che l'interventore sia parte di un giudizio in cui venga in rilievo una questione giuridicata analoga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire.
In termini generali, nella sentenza si è precisato anche che la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l'istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, sia pure formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell'accesso civico generalizzato. Ciò vale in tutti i casi, a meno che l'interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell'accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l'istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell'art. 116 del codice di procedura amministrativo, possa mutare il titolo dell'accesso, definito dall'originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all'esito del procedimento.
Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che sia ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell'art. 22, legge n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte del concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell'aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale.
Ciò vale anche se la richiesta di accesso è formulata genericamente in quanto la disciplina dell'accesso civico generalizzato è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all'esecuzione dei contratti pubblici, ferma restando la verifica della compatibilità dell'accesso nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza (articolo ItaliaOggi del 10.04.2020).

APPALTI: Fase esecutiva – Concorrente alla gara – Accesso a documenti riguardanti vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario – Interesse concreto ed attuale all’accesso.
E’ ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale.
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Atti delle procedure di gara – Disciplina dell’accesso civico generalizzato – Applicabilità, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 d.lgs. n. 50/2016.
La disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza (Consiglio di Stato, A.P,. sentenza 02.04.2020 n. 10 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIAccesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara – Ammissibilità dell’accesso civico generalizzato.
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Processo amministrativo – Intervento – Ad adiuvandum – Ammissibilità – Condizione.
  
Accesso ai documenti – Istanza – Generica o cumulativa – Esame come istanza di accesso generalizzata – Possibilità - Limiti.
  
Accesso ai documenti – Contatti della Pubblica amministrazione – Istanza – Fase esecutiva di un contratto pubblico - Concorrente alla gara – Ha interesse.
  
Accesso generalizzato – Istanza – Fase esecutiva di un contratto pubblico - Configurabilità.
  
Nel processo amministrativo non è sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire (1).
  
La Pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento (2).
  
E’ ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale (3).
  
La disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53, d.lg. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis, d.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza (4).
La rimessione è stata disposta dalla sez. III con ord., 16.12.2019, n. 8501.
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   (1) Ha chiarito l’Adunanza plenaria che osta al riconoscimento di una situazione che legittimi a intervenire una obiettiva diversità di petitum e di causa petendi che distingue due processi, sì da non potersi configurare in capo al richiedente uno specifico interesse all’intervento nel giudizio ad quem.
Al contrario, laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l’intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce.
Non a caso, in base a un orientamento del tutto consolidato, nel processo amministrativo l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale (Cons. Stato, sez. IV, 29.02.2016, n. 853; id., sez. V, 02.08.2011, n. 4557).
Come ha già chiarito l’Adunanza plenaria nella sentenza n. 23 del 04.11.2016, risulterebbe peraltro sistematicamente incongruo ammettere l’intervento volontario in ipotesi che si risolvessero nel demandare ad un giudice diverso da quello naturale (art. 25, comma 1, Cost.) il compito di verificare in concreto l’effettività dell’interesse all’intervento (e, con essa, la concreta rilevanza della questione ai fini della definizione del giudizio a quo), in assenza di un adeguato quadro conoscitivo di carattere processuale, ove si pensi, solo a mo’ di esempio, alla necessaria verifica che il giudice ad quem sarebbe chiamato a svolgere, ai fini del richiamato giudizio di rilevanza, circa l’effettiva sussistenza in capo all’interveniente dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del giudizio a quo.
   (2) Ha chiarito l’Adunanza che la giurisprudenza del Consiglio di Stato è consolidata e uniforme nell’ammettere il concorso degli accessi, al di là della specifica questione qui controversa circa la loro coesistenza in rapporto alla specifica materia dei contratti pubblici: «nulla infatti, nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso» (Cons. St., sez. V, 02.08.2019, n. 5503).
Il solo riferimento dell’istanza ai soli presupposti dell’accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminare l’istanza anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, laddove l’istanza contenga sostanzialmente tutti gli elementi utili a vagliarne l’accoglimento sotto il profilo “civico”, salvo che il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto.
Se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, infatti, la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame.
Con riferimento al dato procedimentale, infatti, in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del
minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione.
La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, anche uno actu, è certo uno degli aspetti più critici dell’attuale
disciplina perché, come ha bene messo in rilievo l’ANAC nelle Linee guida di cui alla delibera n. 1309 del 28.12.2016 (par. 2.3, p. 7) –di qui in avanti, per brevità, Linee guida– l’accesso agli atti di cui alla l. n. 241 del 1990 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi, e la proposizione contestuale di entrambi gli accessi, può comportare un «evidente aggravio per l’amministrazione (del quale l’interprete non può che limitarsi a prendere atto), dal momento che dovrà applicare e valutare regole e limiti differenti» (Cons. St., sez. V, 02.08.2019, n. 5503).
Tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi e tuttavia, come si è detto, le due fattispecie di accesso ben possono concorrere, senza reciproca esclusione, e completarsi, secondo quanto si chiarirà.
Il bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso previsto dalla l. n. 241 del 1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.
L’ANAC ha osservato che i dinieghi di accesso agli atti e documenti di cui alla l. n. 241 del 1990, se motivati con esigenze di “riservatezza” pubblica o privata, devono essere considerati attentamente anche ai fini dell’accesso generalizzato, ove l’istanza relativa a quest’ultimo sia identica e presentata nel medesimo contesto temporale a quella dell’accesso di cui alla l. n. 241 del 1990, indipendentemente dal soggetto che l’ha proposta.
Con ciò essa ha inteso «dire, cioè, che laddove l’amministrazione, con riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il diritto di accesso ex l. 241/1990, motivando nel merito, cioè con la necessità di tutelare un interesse pubblico o privato prevalente, e quindi nonostante l’esistenza di una posizione soggettiva legittimante ai sensi della 241/1990, per ragioni di coerenza sistematica e a garanzia di posizioni individuali specificamente riconosciute dall’ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di tutela dell’interesse pubblico o privato sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso generalizzato, anche presentata da altri soggetti».
Se questo è vero, non può nemmeno escludersi tuttavia, per converso, che un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e concreto, possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato, come è nel caso presente, fermi restando i limiti di cui ai cennati commi 1 e 2 dell’art. 5-bis, d.lgs. n. 33 del 2013, limiti che, come ha ricordato anche l’ordinanza di rimessione, sono certamente più ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di discrezionalità (v., su questo punto, anche Cons. St., sez. V, 20.03.2019, n. 1817).
Ha quindi concluso l’Adunanza che a fronte di una istanza, come quella dell’odierna appellante, che non fa riferimento in modo specifico e circostanziato alla disciplina dell’accesso procedimentale o a quella dell’accesso civico generalizzato e non ha inteso ricondurre o limitare l’interesse ostensivo all’una o all’altra disciplina, ma si muove sull’incerto crinale tra l’uno e l’altro, la pubblica amministrazione ha il dovere di rispondere, in modo motivato, sulla sussistenza o meno dei presupposti per riconoscere i presupposti dell’una e dell’altra forma di accesso, laddove essi siano stati comunque, e sostanzialmente, rappresentati nell’istanza.
A tale conclusione non osta il fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato non debba rappresentare l’esistenza di un interesse qualificato, a differenza di quella relativa all’accesso documentale, e che non debba essere nemmeno motivata, perché l’interesse e i motivi rappresentati, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere l’esistenza di un interesse uti singulus, ai fini dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, ben possono essere considerati dalla pubblica amministrazione per valutare l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso generalizzato uti civis, quantomeno per il limitato profilo, di cui oltre si tratterà, del c.d. public interest test.
In questo senso si è espresso anche il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione nella Circolare n. 2 del 06.06.2017 sull’Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA) laddove, nel valorizzare il criterio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo, ha chiarito al par. 2.2 che «dato che l’istituto dell’accesso generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.), la stessa dovrà essere trattata dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato».
Solo ove l’istante abbia inteso, espressamente e inequivocabilmente, limitare l’interesse ostensivo ad uno specifico profilo, quello documentale o quello civico, la pubblica amministrazione dovrà limitarsi ad esaminare quello specifico profilo, senza essere tenuta a pronunciarsi sui presupposti dell’altra forma di accesso, non richiesta dall’interessato.
L’Adunanza plenaria ha quindi chiarito che electa una via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro, che non può essere né imposta alla pubblica amministrazione né ammessa –ancorché su impulso del privato– in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale, ferma restando però, come si è già rilevato, la possibilità di strutturare in termini alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva in sede procedimentale.
Nemmeno ad opera o a favore del privato può realizzarsi, insomma, quell’inversione tra procedimento e processo che si verifica quando nel processo vengono introdotte pretese o ragioni mai prima esposte, come era doveroso, in sede procedimentale.
Se è vero che il rapporto tra le diverse forme di accesso, generali e anche speciali, deve essere letto secondo un criterio di integrazione e non secondo una logica di irriducibile separazione, per la miglior soddisfazione dell’interesse conoscitivo, è d’altro lato innegabile che questo interesse conoscitivo nella sua integralità e multiformità deve essere stato fatto valere e rappresentato, anzitutto, in sede procedimentale dal diretto interessato e valutato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere, non potendo il giudice pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, stante il divieto dell’art. 34, comma 2, c.p.a., per non essere stato nemmeno sollecitato dall’istante.
È vero che il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un “giudizio sul rapporto”, come del resto si evince dall’art. 116, comma 4, c.p.a., secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, «ordina l’esibizione dei documenti richiesti» (v., per la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio sul punto anche ante codicem, Cons. St., sez. VI, 09.05.2002, n. 2542 e, più di recente, id., sez. V, 19.06.2018, n. 3956).
Ma il c.d. giudizio sul rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo.
   (3) L’Adunanza plenaria ha ricordato che la giurisprudenza del Consiglio di Stato è univoca nell’ammettere l’accesso documentale, ricorrendone le condizioni previste dagli artt. 22 e ss. dell’art. 241 del 1990, anche agli atti della fase esecutiva (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 25.02.2009, n. 1115) laddove funzionale, ad esempio, a dimostrare, attraverso la prova dell’inadempimento delle prestazioni contrattuali, l’originaria inadeguatezza dell’offerta vincitrice della gara, contestata dall’istante nel giudizio promosso contro gli atti di aggiudicazione del servizio.
L’accesso documentale agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente dallo stesso art. 53, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette alla disciplina degli artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990, «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del 1990, richiamata dall’art. 53 testé citato.
Questa, dopo la riforma della l. n. 15 del 2015 che ha recepito l’orientamento consolidato di questa stessa Adunanza plenaria (v., sul punto, la fondamentale pronuncia di questo Cons. St., Ad. plen., 22.04.1999, n. 5, secondo cui «l’amministrazione non può […] negare l’accesso agli atti riguardanti la sua attività di diritto privato solo in ragione della loro natura privatistica», ma in tal senso v. già Cons. St., sez. IV, 04.02.1997, n. 42), ha espressamente riconosciuto l’accesso ad atti «concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (art. 22, comma 1, lett. e), della l. n. 241 del 1990).
Non rileva, pertanto, che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, poiché anche e, si direbbe, soprattutto questa fase rimane ispirata e finalizzata alla cura in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta realizzazione proprio nella fase di realizzazione dell’opera o del servizio; e lo stesso accesso documentale, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce, come prevede l’art. 22, comma 2, l. n. 241 del 1990, siccome sostituito dall’art. 10 della l. n. 69 del 2009, «principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza»: dell’attività amministrativa, quindi, considerata nel suo complesso.
Esiste, in altri termini, una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto, dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, che comporta una disciplina autonoma e parallela rispetto alle disposizioni del codice civile –applicabili «per quanto non espressamente previsto dal presente codice e negli atti attuativi»: art. 30, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016)– e questa disciplina si traduce sia nella previsione di disposizioni speciali nel codice dei contratti pubblici (artt. 100-113-bis, d.lgs. n. 50 del 2016), sia in penetranti controlli da parte delle autorità preposte a prevenire e a sanzionare l’inefficienza, la corruzione o l’infiltrazione mafiosa manifestatasi nello svolgimento del rapporto negoziale.
Sotto tale ultimo profilo, basti menzionare, tra gli altri, le funzioni di vigilanza attribuite all’ANAC dall’art. 213, comma 3, lett. b) e c), d.lgs. n. 50 del 2016 in materia di esecuzione dei contratti pubblici, o i controlli antimafia da parte del prefetto, con gli effetti interdittivi di cui all’art. 88, comma 4-bis, d.lgs. n. 159 del 2011.
Sotto il profilo degli interessi pubblici sottesi alla fase dell’esecuzione del rapporto, vanno richiamati il principio di trasparenza e quello di concorrenza.
La trasparenza, nella forma della pubblicazione degli atti (c.d. discosclure proattiva), è espressamente disciplinata dall’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016; alla disciplina dell’accesso agli atti è dedicato l’art. 53 dello stesso codice dei contratti pubblici, che tuttavia rinvia, in generale, alla disciplina della l. n. 241 del 1990, salvi gli specifici limiti all’accesso e alla divulgazione previsti dal comma 2 al comma 6 dello stesso art. 53.
Ma a esigenze di trasparenza, che sorregge il correlativo diritto alla conoscenza degli atti anche nella fase di esecuzione del contratto, conducono anche il principio di concorrenza e il tradizionale principio dell’evidenza pubblica che mira alla scelta del miglior concorrente, principio che non può non ricomprendere la realizzazione corretta dell’opera affidata in esecuzione all’esito della gara.
È vero che il codice dei contratti pubblici, pur nell’esigenza che l’esecuzione dell’appalto garantisca la qualità delle prestazioni, menziona i principî di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza solo in riferimento alla fase pubblicistica dell’affidamento di appalti e di concessioni, ma non vi è dubbio che la fase dell’esecuzione, se si eccettuano le varianti in corso d’opera ammesse dalla legge e le specifiche circostanze sopravvenute tali da incidere sullo svolgimento del rapporto contrattuale, deve rispecchiare e rispettare l’esito della gara condotto secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza.
L’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono dunque essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione.
Il delineato quadro normativo e di principî rende ben evidente l’esistenza di situazioni giuridicamente tutelate in capo agli altri operatori economici, che abbiano partecipato alla gara e, in certe ipotesi, che non abbiano partecipato alla gara, interessati a conoscere illegittimità o inadempimenti manifestatisi dalla fase di approvazione del contratto sino alla sua completa esecuzione, non solo per far valere vizi originari dell’offerta nel giudizio promosso contro l’aggiudicazione (Cons. St., sez. V, 25.02.2009, n. 1115), ma anche con riferimento alla sua esecuzione, per potere, una volta risolto il rapporto con l’aggiudicatario, subentrare nel contratto od ottenere la riedizione della gara con chance di aggiudicarsela.
La persistenza di un rilevante interesse pubblico nella fase esecutiva del contratto, idoneo a sorreggere situazioni sostanziali e strumentali di altri soggetti privati, in primis il diritto a una corretta informazione sulle vicende contrattuali, è dimostrato, sul piano positivo, da una serie di disposizioni che si vengono a richiamare.
Vanno anzitutto ricordate, a monte del costituendo rapporto, le regole del codice dei contratti pubblici che prevedono in generale i controlli di legittimità sull’aggiudicatario previsti dalle disposizioni proprie delle stazioni appaltanti, il cui esito positivo costituisce condizione sospensiva del contratto insieme con l’approvazione del contratto stesso (artt. 32, comma 12, e 33, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016).
Nel corso del rapporto, poi, rilevano le molteplici, complesse, ipotesi di recesso facoltativo da parte della stazione appaltante, che configurano, in realtà, altrettante ipotesi di autotutela pubblicistica, frutto di valutazione discrezionale e riconducibili al generale paradigma dell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990 (v., sul punto, Cons. St., comm. spec., 28.12.2016, n. 2777, par. 5.6.-5.6.1.).
Vi sono poi specifiche ipotesi di risoluzione di natura privatistica ammesse dal codice dei contratti pubblici, oltre a quelle previste in via generale dal codice civile, per gravi inadempimenti da parte dell’appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertate dal direttore dei lavori o dal responsabile dell’esecuzione del contratto, se nominato (art. 108, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016) o comunque, anche al di fuori delle ipotesi di grave inadempimento, ipotesi di ritardi per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto (art. 108, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016).
In tutte queste ipotesi l’art. 110, comma 1, del vigente d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che la stazione appaltante, se intende mantenere l’affidamento alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta, proceda allo scorrimento della graduatoria, esercitando quella che pur sempre, nonostante il contrario avviso di autorevole dottrina, è rimasta anche nel nuovo codice dei contratti pubblici una facoltà discrezionale della pubblica amministrazione, come è reso manifesto dalla lettera dell’art. 108, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016, laddove menziona «la facoltà prevista dall’art. 110, comma 1».
La circostanza che tuttavia la stazione appaltante, al ricorrere delle ipotesi di risoluzione di cui all’art. 108, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, abbia la mera facoltà di procedere allo scorrimento della graduatoria, con il subentro del secondo classificato o dei successivi secondo l’ordine della stessa, o di indire una nuova gara per il soddisfacimento delle proprie esigenze, laddove permangano immutate –e salva, ovviamente, l’eccezionale facoltà di revocare l’intera procedura gara stessa, se queste esigenze siano addirittura venute meno, e di non bandirne più nessuna– non rende tuttavia evanescente l’interesse dell’operatore economico, che abbia partecipato alla gara, quantomeno meno a conoscere illegittimità, afferenti alla pregressa fase pubblicistica ma emersi solo in sede di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso pubblicistico o, più precisamente, forme di annullamento in autotutela, discrezionale o doverosa, secondo le ipotesi sopra ricordate in via esemplificativa), o comunque inadempimenti manifestatisi in fase di esecuzione (ipotesi di c.d. recesso privatistico).
L’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, se riguardata infatti anche dal necessario versante del diritto amministrativo e delle norme del codice dei contratti pubblici, che pure la regolano in ossequio ai dettami del diritto dell’Unione, non è una “terra di nessuno”, un rapporto rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il contraente escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara.
La latitudine di questo intesse legittimo “strumentale” non solo all’aggiudicazione della commessa, quale bene della vita finale, ma anche, per l’eventuale riedizione della gara, quale bene della vita intermedio, secondo quel “polimorfismo” del bene della vita alla quale tende per graduali passaggi l’interesse legittimo, schiude la strada ad una visione della materia, che fuoriesce dall’angusto confine di una radicale visione soggettivistica del rapporto tra il solo, singolo, concorrente e la pubblica amministrazione e che vede la confluenza e la tutela di molteplici interessi anche in ordine alla sorte e alla prosecuzione del contratto, fermo pur sempre il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa in questa materia.
Applicando le medesime coordinate anche alla fase privatistica del contratto pubblico, il riconoscimento di un interesse strumentale giuridicamente tutelato quantomeno ai soggetti che abbiano partecipato alla gara, e non ne siano stati definitivamente esclusi per l’esistenza di preclusioni che impedirebbero loro di partecipare a qualsiasi gara (si pensi ad una impresa colpita da informazione antimafia), a conoscere gli atti della fase esecutiva non configura quindi una “iperestensione” del loro interesse, con conseguente allargamento “a valle” della giurisdizione amministrativa, tutte le volte in cui, a fronte di vicende di natura pubblicistica o privatistica già verificatesi incidenti sulla prosecuzione del rapporto, sia configurabile, se non il necessario, obbligatorio, scorrimento della graduatoria (c.d. bene finale), quantomeno la realistica possibilità di riedizione della gara (c.d. bene intermedio) per conseguire l’aggiudicazione della stessa (c.d. bene finale), in un “solido collegamento” con il bene finale.
L’interesse concorrenziale alla corretta esecuzione del contratto riacquista concretezza ed attualità, in altri termini, in tutte le ipotesi in cui la fase dell’esecuzione non rispecchi più quella dell’aggiudicazione, conseguita all’esito di un trasparente, imparziale, corretto gioco concorrenziale, o per il manifestarsi di vizi che già in origine rendevano illegittima l’aggiudicazione o per la sopravvenienza di illegittimità che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica, facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l’inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica), sì che emerga una distorsione di tutte quelle regole concorrenziali che avevano condotto all’aggiudicazione della gara in favore del miglior concorrente per la miglior soddisfazione dell’interesse pubblico.
Tanto chiarito sulla sussistenza di un interesse, e sulla conseguente legittimazione che deriva dalla titolarità dello stesso, alla conoscenza dello svolgimento del rapporto contrattuale, occorre però, ai fini dell’accesso, che l’interesse dell’istante, pur in astratto legittimato, possa considerarsi concreto, attuale, diretto, e, in particolare, che preesista all’istanza di accesso e non ne sia, invece, conseguenza; in altri termini, che l’esistenza di detto interesse –per il verificarsi, ad esempio, di una delle situazioni che legittimerebbe o addirittura imporrebbe la risoluzione del rapporto con l’appaltatore, ai sensi dell’art. 108, commi 1 e 2, d.lgs. n. 50 del 2016, e potrebbero indurre l’amministrazione a scorrere la graduatoria– sia anteriore all’istanza di accesso documentale che, quindi, non deve essere impiegata e piegata a “costruiread hoc, con una finalità esplorativa, le premesse affinché sorga ex post.
   (4) Ha ricordato l’Adunanza plenaria Adunanza plenaria ritiene che l’accesso civico generalizzato debba trovare applicazione, per le ragioni che si esporranno, anche alla materia dei contratti pubblici.
L’accesso civico generalizzato introdotto nel corpus normativo del d.lgs. n. 33 del 2013 dal d.lgs. n. 97 del 2016, in attuazione della delega contenuta nell’art. 7, l. n. 124 del 2015, come diritto di “chiunque”, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza, viene riconosciuto e tutelato «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013).
L’esplicita precisazione del legislatore evidenzia proprio la volontà di superare quello che era e resta il limite connaturato all’accesso documentale che, come si è detto, non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, l. n. 241 del 1990).
Nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è dunque al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato, “occasionalmente protetto” per il c.d. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 33 del 2013.
Nel sopra citato parere n. 515 del 24.02.2016 questo Consiglio di Stato, fornendo indicazioni sulle modifiche normative da introdurre nel d.lgs. n. 33 del 2013, ha evidenziato nel par. 11.2 che «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A.) rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine […] della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”».
Anche nel nostro ordinamento l’evoluzione della visibilità del potere, con la conseguente accessibilità generalizzata dei suoi atti sul modello del FOIA, è la storia del lento cammino verso la democrazia e, con il progressivo superamento degli arcana imperii di tacitiana memoria, garantisce la necessaria democraticità del processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica (Corte cost. 07.05.2002, n. 155).
Il principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto, se è vero che la democrazia, secondo una celebre formula ricordata dallo stesso parere n. 515 del 24.02.2016, è il governo del potere pubblico in pubblico, ma costituisce anche un caposaldo del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione, quale “casa di vetro” improntata ad imparzialità, intesa non quale mera conoscibilità, garantita dalla pubblicità, ma anche come intelligibilità dei processi decisionali e assenza di corruzione.
La stessa Corte costituzionale, ancor di recente (sent. n. 20 del 21.02.2019), ha rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA (Freedom of information act), risponde a principî di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo, quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi dell’art. 97 Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione (v. anche sentt. n. 69 e n. 177 del 2018 nonché sent. n. 212 del 2017).
La stessa impostazione si rinviene ormai anche nel consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato non solo in sede consultiva, come nel più volte citato parere n. 515 del 2016, ma anche in sede giurisdizionale, laddove numerose pronunce rimarcano che il nuovo accesso civico risponde pienamente ai principi del nostro ordinamento nazionale di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa e di partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della “cosa pubblica”, ai sensi degli artt. 1 e 2 Cost., nonché, ovviamente, dell’art. 97 Cost., secondo il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost. (Cons. St., sez. III, 06.03.2019, n. 1546).
Il FOIA si fonda sul riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” (right to know) alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti europei ed extraeuropei, come del resto si evince espressamente anche dall’art. 1, comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013, secondo cui le disposizioni dello stesso decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost..
Non solo, peraltro, l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale” (Corte cost. 21.02.2019, n. 20), è un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del legislatore (v., infatti, art. 1, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013), al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona (
Consiglio di Stato, A.P., sentenza 02.04.2020 n. 10 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Automatismi espulsivi conseguenti al mancato rispetto della previsioni di cui all’art. 95 d.lgs. n. 50/2016 – Possibilità di omettere l’indicazione separata dei costi della manodopera – Limiti – Sentenza Corte e di giustizia UE, Nona Sezione, 02.05.2019, causa C-309/18.
Gli automatismi espulsivi conseguenti al mancato rispetto delle previsioni di cui all’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici, sono compatibili con il diritto europeo, come riconosciuto dalla Corte di giustizia UE con sentenza della Nona Sezione, 02.05.2019, causa C-309/18, con cui si è affermato: “I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione.
Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”
(Consiglio di Stato, A.P,. sentenza 02.04.2020 n. 8 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTIMancata indicazione separata dei costi della manodopera in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Offerta – Costi della manodopera – Omessa separata indicazione – Conseguenza.
La mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione.
Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice (1)

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   (1) In termini v. anche Cons. St., A.P., 02.04.2020, n. 8.
Sulla questione ha pronunciato la Corte di Giustizia Ue con sentenza della sez. IX 02.05.2019, causa C-309/18.
Ha aggiunto l’Adunanza plenaria che i principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione.
Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice.
Ha ricordato ancora l’Adunanza plenaria che in relazione ai rapporti intercorrenti tra giudice nazionale e Corte di giustizia UE a seguito di domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dell’articolo 267 TFUE, che “dopo aver ricevuto la risposta della Corte ad una questione vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione da essa sottopostale, o allorché la giurisprudenza della Corte ha già fornito una risposta chiara alla suddetta questione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza deve essa stessa fare tutto il necessario affinché sia applicata tale interpretazione del diritto dell’Unione” (Corte di giustizia UE, Grande Sezione, 05.04.2016 causa C‑689/13).
Appare quindi del tutto superfluo procedere a una nuova formulazione del principio di diritto in quanto, stante l’esaustività della decisione pronunciata dalla Corte (come già evidenziato da Cons. Stato, Ad. plen., ordinanza 28.10.2019, n. 12), si assisterebbe una mera ripetizione di quanto già affermato dal giudice del Lussemburgo.
Per altro verso, la struttura dell’art. 99 c.p.a., che regola il deferimento all’Adunanza plenaria, evidenzia una flessibilità applicativa che consente a questo giudice una pluralità di soluzioni diversificate, che variano dalla decisione dell’intera vicenda (comma 4, prima parte), alla mera enunciazione del principio di diritto (comma 4, seconda parte) fino alla semplice restituzione degli atti alla Sezione remittente per ragioni di opportunità (comma 1, seconda frase).
Il coordinamento delle dette disposizioni con i principi dell’Unione sopra evidenziati consente pertanto a questa Adunanza di provvedere altresì alla decisione dell’intera causa, secondo il già citato comma 4 dell’art. 99 c.p.a., allorché, come nel caso in esame, il principio di diritto sia stato pronunciato aliunde, nell’ambito dei meccanismi del sistema di cooperazione fra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte di giustizia UE, instaurato dall’articolo 267 TFUE (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 02.04.2020 n. 7 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Gestione dei contratti in essere.
Domanda
A seguito dell’adozione dei provvedimenti finalizzati al contenimento del COVID-19 e l’interruzione di molti servizi comunali, in qualità di Responsabile quali atti dovrei (o avrei dovuto) adottare con riferimento a quei contratti che riguardano servizi non più possibili?
Risposta
La situazione drammatica e quasi surreale che stiamo vivendo ha trovato impreparate le istituzioni e i cittadini nella gestione del quotidiano, tanto che, di fronte al susseguirsi dei provvedimenti finalizzati al contenimento del virus, le stesse amministrazioni locali sono intervenute nella gestione dell’attività amministrativa secondo un ordine di priorità, in primis quello della salute dei cittadini. Le numerose disposizioni governative
[1] e locali hanno introdotto importanti limitazioni allo svolgimento dell’attività sia pubblica che lavorativa, autorizzando solo quegli appalti di estrema urgenza e indifferibili, con l’adozione di particolari disposizioni igienico-sanitarie.
Per quei contratti in essere per i quali l’emergenza epidemiologica non consente il regolare svolgimento, quali ad esempio, solo per citarne alcuni, ristorazione scolastica, assistenza ad personam scolastica, scuolabus, ecc., occorre applicare gli artt. 107 del d.lgs. 50/2016 e art. 23, co. 1, del d.m. 07.03.2018 n. 49.
L’art. 107, comma 1, stabilisce infatti che “In tutti i casi in cui ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d’arte, e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto, il Direttore dei Lavori può disporre la sospensione dell’esecuzione del contratto, compilando, se possibile con l’intervento dell’esecutore o di un suo legale rappresentante il verbale di sospensione, con l’indicazione delle ragioni che hanno determinato l’interruzione dei lavori”.
Norma estesa anche ai contratti relativi a forniture e servizi ai sensi del successivo comma 7.
Mentre il d.m. 07.03.2018 n. 49, in specie l’art. 23, comma 1, precisa che “Il direttore dell’esecuzione, quando ordina la sospensione dell’esecuzione nel ricorso dei presupposti di cui all’articolo 107, comma 1, del codice, indica, nel verbale da compilare e inoltrare al RUP ai sensi dello stesso articolo 107, comma 1, del codice, oltre a quanto previsto da tale articolo, anche l’imputabilità delle ragioni della sospensione e le prestazioni già effettuate”;
Pertanto, sussistendo le condizioni citate in premessa, il Direttore dell’esecuzione dovrà ordinare la sospensione dell’esecuzione delle prestazioni mediante un verbale da compilare e inoltrare al RUP, nel quale indicare:
   • i riferimenti contrattuali e l’ordinaria scadenza;
   • le ragioni della sospensione;
   • la situazione organizzativa al momento della sospensione;
   • il dispositivo di sospensione con rinvio alla ripresa a seguito della cessazione dello stato di emergenza e le eventuali cautele da adottare anche ai fini del successivo riavvio.
Non appena siano venute a cessare le cause della sospensione (si spera presto) seguirà un verbale di ripresa dell’attività che riporterà il nuovo termine contrattuale.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 103, comma 4, del cd “Decreto Cura Italia“ n. 18/2020, le Pubbliche Amministrazioni sono tenute a sospendere i pagamenti di opere, servizi, forniture solo relativamente alle prestazioni contrattuali oggetto di sospensione.
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[1] I principali Decreti adottati ai fini del contenimento dell’emergenza epidemiologica: decreto-legge 23.02.2020, n. 6; DPCM 01.03.2020; DPCM 08.03.2020; DPCM 09.03.2020; DPCM 11.03.2020; decreto-legge 17.03.2020, n. 18; DPCM 22.03.2020, decreto del 25.03.2020; decreto-legge 25.03.2020 n. 19 (01.04.2020 - link a www.publika.it).

marzo 2020

APPALTIPrincipio di rotazione e tutela giurisdizionale.
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Processo amministrativo – Rito appalti – Principio di rotazione – Violazione – Momento in cui è dedotta.
  
Contratti della Pubblica amministrazione - Rotazione – Ambito di applicazione.
  
La violazione del rispetto del principio di rotazione deve essere dedotto unitamente all’impugnazione dell’aggiudicazione e non con il provvedimento di ammissione alla gara, non attenendo ai requisiti di ordine soggettivo, la cui verifica era assoggettata al regime della impugnazione immediata di cui all’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a. (1).
  
Il principio della rotazione, previsto dall’art. 36, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, si applica già nella fase dell’invito degli operatori alla procedura di gara (2).
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   (1) Ha affermato la Sezione di ignorare il difforme orientamento ancora di recente espresso, sul punto, da Cons. Stato, sez. V, 17.05.2018, n. 2949 e condiviso da id., sez. V, 17.01.2019, n. 435: nondimeno, re melius perpensa, osserva che il rito c.d. superspeciale di cui all’art. 120, comma 2-bis, c.p.a.. –oggi abrogato per effetto dell'art. 1, comma 22, lett. a), d.l. 18.04.2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14.06.2019, n. 55, ma applicabile ai processi in corso, in virtù della disciplina intertemporale di cui all’art. 1, comma 23– va considerato applicabile esclusivamente con riguardo ai provvedimenti (di esclusione e di) ammissione degli operatori economici, adottati “all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali” necessari per la partecipazione alla gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 05.11.2019, n. 7539).
In particolare, i requisiti soggettivi (o generali o morali) si differenziano dai requisiti tecnici ed economici (c.d. speciali) in quanto attengono esclusivamente a caratteristiche soggettive e/o personali degli operatori economici, essendo sempre identici per ogni procedura evidenziale.
Essi sono individuati in negativo dall’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016 (applicabile anche ai settori speciali, in virtù dell’espresso richiamo operato dall’art. 136, nonché ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, in virtù del richiamo di cui all’art. 36, comma 5) attraverso l’elencazione (tassativa: cfr. art. 83, comma 8) di corrispondenti “motivi di esclusione”.
Si tratta dei requisiti inerenti la “idoneità professionale” degli operatori economici (cfr. art. comma 1 lettera a) del Codice), che, complessivamente, si sostanziano: a) nella capacità giuridica ad instaurare rapporti contrattuali; b) nella integrità e correttezza professionale; c) nella affidabilità morale.
Orbene, la qualità di precedente affidatario del contratto (in base alla quale –nel caso di procedura negoziata indetta ai sensi dell’art. 36, comma 2, lettera b)– è reso operativo il “principio di rotazione”), non rappresenta un requisito di idoneità professionale, la cui accertata carenza costituirebbe “motivo di esclusione” ai sensi dell’art. 80 cit., ma solo una forma di limitazione (neppure assoluta, essendo possibile giustificarne il superamento con adeguata motivazione) della libertà della stazione appaltante nella individuazione della platea dei soggetti da invitare alla gara.
Ne discende l’inapplicabilità del regime di cui all’art. 120, comma 2-bis, in ragione del carattere speciale, derogatorio e pertanto di stretta interpretazione della disposizione normativa (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 08.01.2019, n. 173).
   (2) Ha chiarito la Sezione che l’art. 36, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 impone espressamente alle stazioni appaltanti nell’affidamento dei contratti d’appalto sotto soglia il rispetto del “principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti”.
Detto principio costituisce necessario contrappeso alla notevole discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nel decidere gli operatori economici da invitare in caso di procedura negoziata (Cons. Stato, sez. V, 12.09.2019, n. 6160); esso ha l’obiettivo di evitare la formazione di rendite di posizione e persegue l’effettiva concorrenza, poiché consente la turnazione tra i diversi operatori nella realizzazione del servizio, consentendo all’amministrazione di cambiare per ottenere un miglior servizio (Cons. Stato, sez. VI, 04.06.2019, n. 3755).
In questa ottica, non è casuale la scelta del legislatore di imporre il rispetto del principio della rotazione già nella fase dell’invito degli operatori alla procedura di gara; lo scopo, infatti, è quello di evitare che il gestore uscente, forte della conoscenza della strutturazione del servizio da espletare acquisita nella precedente gestione, possa agevolmente prevalere sugli altri operatori economici pur se anch’essi chiamati dalla stazione appaltante a presentare offerta e, così, posti in competizione tra loro (Cons. Stato, sez. V, 12.06.2019, n. 3943; id. 05.03.2019, n. 1524; id. 13.12.2017, n. 5854).
Tale principio, comporta perciò, di norma, il divieto di invito a procedure dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente e dell’operatore economico invitato e non affidatario nel precedente affidamento (Cons. Stato, sez. V, 05.11.2019, n. 7539), salvo che la stazione appaltante fornisca adeguata, puntuale e rigorosa motivazione delle ragioni che hanno indotto a derogarvi (facendo, in particolare, riferimento, al numero eventualmente circoscritto e non adeguato di operatori presenti sul mercato; al particolare, idiosincratico e difficilmente replicabile grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero al peculiare oggetto ed alle specifiche caratteristiche del mercato di riferimento; cfr, Cons. Stato, sez. V, 12.06.2019, n. 3943).
Tale motivazione, in base ai principi generali, deve risultare –nel rispetto del qualificato canone di trasparenza che orienta la gestione delle procedure evidenziali (cfr. art. 30, comma 1, d.lgs. n 50 del 2016)– già dalla decisione assunta all’atto di procedere all’invito, e non può essere surrogata dalla integrazione postuma, in sede contenziosa.
Nel caso di specie, la stazione appaltante, che ha optato per inoltrare l’invito al gestore uscente, non ha evidenziato nella determina a contrarre e nei successivi atti di gara le ragioni per le quali aveva ritenuto di non poter prescindere dall’invito (peraltro rivolto in modo generalizzato a tutti i fornitori iscritti all’Albo) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.03.2020 n. 2182 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
2.- Con un primo motivo di doglianza l’appellante lamenta violazione dell’art. 120, comma 2-bis, cod. proc. amm., nella formulazione vigente ratione temporis.
A suo dire, il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto –incentrandosi la contestazione sul rilievo che l’aggiudicataria non avrebbe dovuto essere, in tesi, né invitata né ammessa alla gara– la doglianza avrebbe dovuto essere fatta valere mediante tempestiva impugnazione del provvedimento di ammissione, nella specie deliberata all’esito della seduta pubblica del 21.01.2019, con provvedimento pubblicato sul profilo committente in data 23.01.2019: l’omessa impugnazione di tale provvedimento avrebbe dovuto far ritenere, per tal via, preclusa la contestazione della “illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento”, come, appunto, previsto dall’art. 120, comma 2-bis cit..
2.1.- Il motivo non è persuasivo.
Il Collegio non ignora il difforme orientamento ancora di recente espresso, sul punto, da Cons. Stato, sez. V, 17.05.2018, n. 2949 e condiviso da Id., sez. V, 17.01.2019, n. 435: nondimeno, re melius perpensa, osserva che il rito c.d. superspeciale di cui all’art. 120, comma 2-bis, cod. proc. amm. –oggi abrogato per effetto dell'art. 1, comma 22, lett. a), d.l. 18.04.2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14.06.2019, n. 55, ma applicabile ai processi in corso, in virtù della disciplina intertemporale di cui all’art. 1, comma 23– va considerato applicabile esclusivamente con riguardo ai provvedimenti (di esclusione e di) ammissione degli operatori economici, adottati “all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali” necessari per la partecipazione alla gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 05.11.2019, n. 7539).
In particolare, i requisiti soggettivi (o generali o morali) si differenziano dai requisiti tecnici ed economici (c.d. speciali) in quanto attengono esclusivamente a caratteristiche soggettive e/o personali degli operatori economici, essendo sempre identici per ogni procedura evidenziale.
Essi sono individuati in negativo dall’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 (applicabile anche ai settori speciali, in virtù dell’espresso richiamo operato dall’art. 136, nonché ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, in virtù del richiamo di cui all’art. 36, comma 5) attraverso l’elencazione (tassativa: cfr. art. 83, comma 8) di corrispondenti “motivi di esclusione”.
Si tratta dei requisiti inerenti la “idoneità professionale” degli operatori economici (cfr. art. comma 1 lettera a) del Codice), che, complessivamente, si sostanziano: a) nella capacità giuridica ad instaurare rapporti contrattuali; b) nella integrità e correttezza professionale; c) nella affidabilità morale.
Orbene, la qualità di precedente affidatario del contratto (in base alla quale –nel caso di procedura negoziata indetta ai sensi dell’art. 36, comma 2, lettera b)– è reso operativo il “principio di rotazione”), non rappresenta un requisito di idoneità professionale, la cui accertata carenza costituirebbe “motivo di esclusione” ai sensi dell’art. 80 cit., ma solo una forma di limitazione (neppure assoluta, essendo possibile giustificarne il superamento con adeguata motivazione) della libertà della stazione appaltante nella individuazione della platea dei soggetti da invitare alla gara.
Ne discende l’inapplicabilità del regime di cui all’art. 120, comma 2-bis, in ragione del carattere speciale, derogatorio e pertanto di stretta interpretazione della disposizione normativa (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 08.01.2019, n. 173).
3.- Con il secondo motivo di censura l’appellante lamenta violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 50/2016 e degli artt. 3 e 21-octies della l. n. 241/1990.
In proposito premette che il primo giudice ha ritenuto:
   a) che la gara in contestazione fosse soggetta al principio di rotazione, in quanto sotto soglia e con procedura negoziata, “potendovi partecipare soltanto gli operatori economici iscritti nell’albo fornitori della Cassa Depositi e Prestiti che avevano ricevuto lettera d’invito”;
   b) che anche in tali casi fossero ammissibili deroghe, ma subordinatamente ad un onere di motivazione rafforzato, nella specie non rispettato (o, comunque, implausibilmente valorizzato solo in sede giudiziale);
   c) che, per l’effetto, la violazione del principio di rotazione, sostanziatosi non nell’invito del precedente affidatario a prendere parte alla gara, ma nella omessa puntuale motivazione della decisione assunta, fosse idoneo a travolgere la pedissequa aggiudicazione, con conseguente obbligo di procedere allo scorrimento della graduatoria.
Ciò posto, assume criticamente che il primo giudice avrebbe errato:
   a) anzitutto nel ritenere la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del principio di rotazione, in concreto asseritamente non ricorrenti;
   b) quindi nel postulare la necessità di una specifica motivazione nell’invito in contestazione, non sussistente e, come che sia, emergente ex actis;
   c) infine nel ritenere esaurito il potere dell’amministrazione, quando avrebbe dovuto, al più, disporre un remand per consentire alla stazione appaltante di rivalutare la sussistenza dei presupposti per l’invito del gestore uscente.
4.- Osserva il Collegio che l’art. 36, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 impone espressamente alle stazioni appaltanti nell’affidamento dei contratti d’appalto sotto soglia il rispetto del “principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti”.
Detto principio costituisce necessario contrappeso alla notevole discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nel decidere gli operatori economici da invitare in caso di procedura negoziata (Cons. Stato, sez. V, 12.09.2019, n. 6160); esso ha l’obiettivo di evitare la formazione di rendite di posizione e persegue l’effettiva concorrenza, poiché consente la turnazione tra i diversi operatori nella realizzazione del servizio, consentendo all’amministrazione di cambiare per ottenere un miglior servizio (Cons. Stato, sez. VI, 04.06.2019, n. 3755).
In questa ottica, non è casuale la scelta del legislatore di imporre il rispetto del principio della rotazione già nella fase dell’invito degli operatori alla procedura di gara; lo scopo, infatti, è quello di evitare che il gestore uscente, forte della conoscenza della strutturazione del servizio da espletare acquisita nella precedente gestione, possa agevolmente prevalere sugli altri operatori economici pur se anch’essi chiamati dalla stazione appaltante a presentare offerta e, così, posti in competizione tra loro (Cons. Stato, sez. V, 12.06.2019, n. 3943; Id., sez. V, 05.03.2019, n. 1524; Id., sez. V, 13.12.2017, n. 5854).
Tale principio, comporta perciò, di norma, il divieto di invito a procedure dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente e dell’operatore economico invitato e non affidatario nel precedente affidamento (Cons. Stato, sez. V, 05.11.2019, n. 7539), salvo che la stazione appaltante fornisca adeguata, puntuale e rigorosa motivazione delle ragioni che hanno indotto a derogarvi (facendo, in particolare, riferimento, al numero eventualmente circoscritto e non adeguato di operatori presenti sul mercato; al particolare, idiosincratico e difficilmente replicabile grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero al peculiare oggetto ed alle specifiche caratteristiche del mercato di riferimento; cfr, Cons. Stato, sez. V, 12.06.2019, n. 3943).
Tale motivazione, in base ai principi generali, deve risultare –nel rispetto del qualificato canone di trasparenza che orienta la gestione delle procedure evidenziali (cfr. art. 30, comma 1, d.lgs. n 50/2016)– già dalla decisione assunta all’atto di procedere all’invito, e non può essere surrogata dalla integrazione postuma, in sede contenziosa.
Nel caso di specie, la stazione appaltante, che ha optato per inoltrare l’invito al gestore uscente, non ha evidenziato nella determina a contrarre e nei successivi atti di gara le ragioni per le quali aveva ritenuto di non poter prescindere dall’invito (peraltro rivolto in modo generalizzato a tutti i fornitori iscritti all’Albo).
Ne discende, come correttamente ritenuto dalla sentenza appellata:
   a) che l’aggiudicazione, disposta in favore proprio del gestore uscente, risulta viziata dalla irrituale modalità di selezione della platea dei competitori e va, perciò, annullata;
   b) che –fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela, nei casi consentiti dalle norme vigenti (cfr. art. 32, comma 8, d.lgs. n. 50/2016)– l’estromissione della prima graduata importa, con la salvezza delle verifiche di legge, lo scorrimento delle graduatoria, a favore dell’appellante (dovendo escludersi –proprio nella impossibilità di strutturare una motivazione a posteriori– la mera ratifica, in prospettiva conformativa, degli esiti della gara).

APPALTI: Procedura negoziata con un numero di appaltatori inferiore a quanto stabilito dalla norma.
Domanda
Avremmo necessità di un chiarimento in ordine alla possibilità di esperire comunque una procedura negoziata per l’aggiudicazione del servizio di (…), per un importo pari a 125 mila euro, anche se nel caso di specie gli appaltatori che si sono proposti (in seguito a pubblicazione dell’avviso per manifestare interesse rimasto in pubblicazione per n. 30 giorni) sono solamente 4 e non 5 come previsto dalla norma.
Risposta
Il quesito si riferisce alla ipotesi di procedura semplificata ora prevista –secondo la riscrittura intervenuta con la legge 55/2019– nella lettera b) comma 2, dell’articolo 36 del Codice dei contratti.
La norma consente –per quanto concerne gli appalti di forniture e servizi– in relazione al range di importo pari o superiore ai 40mila euro fino a tutto il sotto soglia (per gli enti locali importi inferiori ai 214mila euro) di avviare una competizione con almeno 5 operatori individuati con l’indagine di mercato o tramite scelta dall’albo dei prestatori (interno alla stazione appaltante).
In particolare, la disposizione si esprime in termini di affidamento diretto previo confronto/competizione di almeno n. 5 operatori economici.
Chiaramente il riferimento all’affidamento diretto non è corretto considerato che l’assegnazione non può prescindere dall’escussione di diversi appaltatori.
La disposizione, come in altre circostanze segnalato, non esplicita il procedimento che il RUP deve attuare ma, secondo tradizione, è bene che il RUP pubblichi comunque l’avviso pubblico a manifestare interesse (sui cui poi innestare gli inviti) o l’avviso a presentare direttamente la propria migliore offerta.
La micro competizione è sicuramente il dato sostanziale di questo procedimento ma può anche accadere che nonostante un procedimento trasparente ed oggettivo (pubblicazione dell’avviso a manifestare interesse anche per un tempo congruo come nel caso di specie) non si riesca ad ottenere il numero minimo degli appaltatori richiesti dalla norma (ovvero 5).
A sommesso parere il RUP potrebbe avere due differenti opzioni: o valutare di integrare il numero degli operatori invitando direttamente altri appaltatori (magari scegliendoli discrezionalmente dalle vetrine del mercato elettronico, facendosi guidare da riferimenti tecnici sempre applicando la rotazione visto che si tratta di scelta discrezionale). In questo caso si potrebbe raggiungere il numero minimo richiesto dalla norma.
Potrebbe altresì, a parere di chi scrive, se sono state rispettate le condizioni di pubblicità e trasparenza (come nel caso prospettato) procedere con l’invito dei soli soggetti che hanno presentato la propria candidatura.
Da notare che tale possibilità è anche prevista nello schema di regolamento attuativo del codice dei contratti per i lavori nel range di importo tra 40/150mila euro (comma 1, art. 7).
In questo caso nella determina il RUP avrà cura di specificare che, evidentemente, il mercato –in quel contesto particolare e/o per la tipologia dell’appalto– non è grado di esprimere realtà economiche interessate all’appalto.
Sempre che tale disinteresse, evidentemente, non sia stato determinato da condizioni dell’appalto non convenienti che siano anche state segnalate formalmente all’ente (in particolare al RUP) (25.03.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Modalità di sigillatura del plico contenente le offerte e rispetto dei principi di segretezza e immodificabilità delle stesse.
Il TAR Milano, a fronte di una disposizione di gara che prevedeva che il plico contenente l’offerta fosse “unico”, “sigillato” e “controfirmato sui lembi di chiusura”, osserva che:
«Premesso che le buste A e B presentate dalla controinteressata non sono state inserite in un unico plico, come richiesto dall’art. 5 dell’avviso di gara, le stesse sono state chiuse mediante semplice incollatura, come desumibile dalle loro fotografie depositate in giudizio, ed inoltre, dal loro esame materiale, effettuato nel corso della camera di consiglio, in cui in particolare il Collegio ha preso atto che le stesse non risultano controfirmate sui lembi di chiusura, essendo le sottoscrizioni state apposte al di sotto degli stessi, né del resto le scritte dei timbri sono state apposte su detti lembi, quanto invece, in parte al di sopra, ed in parte al di sotto.
Come già evidenziato in sede cautelare, i predetti plichi non possono conseguentemente ritenersi “sigillati”, considerato che, malgrado il verbo sigillare, come utilizzato nel linguaggio comune, non imponga necessariamente l’apposizione di un sigillo, lo stesso richiede comunque una chiusura ermetica, tale da impedire ogni accesso, o rendere evidente ogni tentativo di apertura.
In particolare, l’uso dei lembi preincollati dal fabbricante con la dicitura “plico verificabile per ispezione postale”, come ha avuto luogo nel caso di specie, costituisce elemento idoneo a far ritenere il mancato assolvimento all’onere di sigillatura della busta, in modo che ne sia garantita l’integrità, segretezza, identità, provenienza ed immodificabilità della documentazione.
Se è pur vero che, in linea generale, la violazione delle modalità di confezionamento, benché prescritte dalla lex specialis a pena di esclusione, quando si traduca in una mera violazione di carattere formale, non comporti necessariamente l’automatica estromissione dalla gara, laddove invece abbia luogo un effettivo vulnus alle esigenze sostanziali alla cui tutela tali incombenti sono preordinati, la stazione appaltante non può che procedere all’esclusione.
Come detto, nel caso di specie, i plichi presentati dalla controinteressata non erano sigillati, potendo pertanto, in astratto, essere aperti, senza che di ciò restasse traccia, ciò che è palesemente incompatibile con la tutela dei principi di segretezza ed immodificabilità delle offerte»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 24.03.2020 n. 554 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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III.2) Quanto al merito, l’istante deduce l’illegittima ammissione della controinteressata, per aver presentato un plico sigillato con modalità difformi da quanto richiesto, a pena di esclusione, dalla lex specialis.
Sul punto, l’Avviso richiedeva che il plico contenente l’offerta fosse, oltre che “unico”, anche “sigillato”, e “controfirmato sui lembi di chiusura”.
Premesso che le buste A e B presentate dalla controinteressata non sono state inserite in un unico plico, come richiesto dall’art. 5 dell’avviso di gara, le stesse sono state chiuse mediante semplice incollatura, come desumibile dalle loro fotografie depositate in giudizio, ed inoltre, dal loro esame materiale, effettuato nel corso della camera di consiglio, in cui in particolare il Collegio ha preso atto che le stesse non risultano controfirmate sui lembi di chiusura, essendo le sottoscrizioni state apposte al di sotto degli stessi, né del resto le scritte dei timbri sono state apposte su detti lembi, quanto invece, in parte al di sopra, ed in parte al di sotto.
Come già evidenziato in sede cautelare, i predetti plichi non possono conseguentemente ritenersi “sigillati”, considerato che, malgrado il verbo sigillare, come utilizzato nel linguaggio comune, non imponga necessariamente l’apposizione di un sigillo, lo stesso richiede comunque una chiusura ermetica, tale da impedire ogni accesso, o rendere evidente ogni tentativo di apertura (TAR Sicilia, Catania, Sez. II, 05.03.2018, n. 497).
In particolare, l’uso dei lembi preincollati dal fabbricante con la dicitura “plico verificabile per ispezione postale”, come ha avuto luogo nel caso di specie, costituisce elemento idoneo a far ritenere il mancato assolvimento all’onere di sigillatura della busta, in modo che ne sia garantita l’integrità, segretezza, identità, provenienza ed immodificabilità della documentazione (TAR Lazio, Sez. II-ter, 13.06.2016 n. 6745).
Se è pur vero che, in linea generale, la violazione delle modalità di confezionamento, benché prescritte dalla lex specialis a pena di esclusione, quando si traduca in una mera violazione di carattere formale, non comporti necessariamente l’automatica estromissione dalla gara, laddove invece abbia luogo un effettivo vulnus alle esigenze sostanziali alla cui tutela tali incombenti sono preordinati, la stazione appaltante non può che procedere all’esclusione (C.S., Sez. V, 19.11.2018, n. 6520).
Come detto, nel caso di specie, i plichi presentati dalla controinteressata non erano sigillati, potendo pertanto, in astratto, essere aperti, senza che di ciò restasse traccia, ciò che è palesemente incompatibile con la tutela dei principi di segretezza ed immodificabilità delle offerte.

APPALTI: Recesso dal contratto da parte della stazione appaltante.
Il TAR Milano in tema di recesso dal contratto da parte della stazione appaltante rimarca che:
   «- in tema di appalti pubblici, lo ius poenitendi della stazione appaltante è espressamente contemplato e conformato dall’art. 109 del d.lgs. 50/2016, che si inscrive nella previsione generale di cui all’art. 21-sexies l. 241/1990, in forza della quale è possibile “il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione… nei casi previsti dalla legge o dal contratto”, secondo una regola di tipicità delle ipotesi di recesso analoga a quella di cui agli articoli 1372 e 1373 c.c.;
   - la facoltà di recedere in qualunque tempo dai contratti pubblici, per vero, già cristallizzata all’art. 134 del previgente d.lgs. 163/2006, è da tempo immemorabile riconosciuta all’Amministrazione, tenuto conto già del disposto di cui all’art. 345 l. 1865, n. 2248, all. F, per cui “È facoltativo all'Amministrazione di risolvere in qualunque tempo il contratto, mediante il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importare delle opere non eseguite”;
   - le richiamate previsioni normative, immancabilmente succedutesi negli anni –pur inscrivendosi fisiologicamente nelle ordinarie categorie civilistiche, integrando una ipotesi di diritto legale di recesso- riflettono all’evidenza la voluntas legis di assegnare rilevanza alle sopravvenute valutazioni di opportunità per definizione rientranti nella sfera di merito della azione amministrativa, attribuendo un potere di scioglimento unilaterale del rapporto previo “pagamento di un prezzo”; pretium costituito, in particolare, dal valore dei “lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguite”, nonché dal valore “dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell’importo delle opere, dei servizi o delle forniture”, con una previsione che differisce leggermente dal disposto generale dell’art. 1671 c.c. in tema di appalto privato;
   - benché veicolato in forme privatistiche -in ossequio peraltro al principio generale ora codificato all’art. 1, comma 1-bis l. 241/1990, per cui “La pubblica amministrazione nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”– l’interesse pubblico di cui l’Amministrazione è indefettibilmente titolare permea anche tale forma di recesso, con il corollario –non vertendosi in tema di revoca ex art. 21-quinquies l. 241/1990, ma di scioglimento di un vincolo negoziale per definizione paritetico- “di non dover assicurare il contraddittorio procedimentale né esternare compiutamente le motivazioni della scelta, essendo ciò bilanciato dal maggiore onere economico che ne consegue” (rispetto al “mero” indennizzo dovuto per il caso di revoca di atti amministrativi ex art. 21-quinquies: CdS, a.p., 20.06.2014, n. 14)»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 24.03.2020 n. 545 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
3. Anche il terzo mezzo è fondato.
3.1. L’art. 4 del disciplinare dispone che “La durata dell’appalto (escluse le eventuali opzioni) è di 36 mesi decorrenti dalla data di aggiudicazione” (4.1.) e che “La stazione appaltante si riserva la facoltà di ripetere il contratto, alle medesime condizioni, per una durata massima pari a 36 mesi (…) la durata del contratto in corso di esecuzione potrà essere modificata per un periodo di tempo massimo di sei mesi” (4.2.).
3.2. Tali prescrizioni sono, di poi, reiterate all’art. 2 del capitolato speciale, rubricato giustappunto “durata del contratto e utilizzo della graduatoria”, ove tuttavia è dato testualmente leggere che “I primi 6 (sei) mesi di servizio –comunque computati nella durata contrattuale- costituiscono periodo di prova (…) durante il periodo di prova l’azienda può, a suo insindacabile giudizio, recedere dal contratto mediante preavviso di 10 (dieci) giorni”.
3.3. Tale ultima previsione, attribuendo alla stazione appaltante la insindacabile facoltà di interrompere, ad libitum ed ex abrupto, il rapporto contrattuale legittimamente costituito con l’impresa aggiudicataria:
   - non vale ad integrare, contrariamente a quanto opinato dal consorzio ricorrente, la fattispecie contemplata all’art. 1355 c.c., che sanziona con la nullità la sola condizione meramente potestativa sospensiva (“È nulla (…) l’assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva”) e non anche quella risolutiva (tra le tante, Cass., II, 20.04.2018, n. 9879; Id., id. 17859/2003; Cass. 3439/2001, 15.09.1999 n. 9840, 25.01.1992 n. 812);
   - è costitutiva di un diritto potestativo in capo alla azienda resistente funzionale allo scioglimento del rapporto contrattuale –e, dunque, alla cessazione degli effetti negoziali inter partes- il cui esercizio è pertanto rimesso alla mera volontà (“si volam”) di essa azienda, risolvendosi in una facoltà di recesso nei primi sei mesi senza limiti nell’“an”;
   - non è colpita, indi e in via generale, dalla sanctio nullitatis di cui è menzione all’art. 1355 c.c., trattandosi di una condizione risolutiva, comportante il venir meno degli effetti del negozio, ritenuta generalmente ammissibile, purché l’esercizio del potere di interrompere il rapporto avvenga sempre e comunque nel rispetto dei principi generali di buona fede e correttezza, che devono informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico; la giurisprudenza da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, volto a sanzionare situazioni in cui il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti (Cass., I, 12.10.2018, n. 25606; Cass., 07.05.2013, n. 10568; TAR Lombardia, I, 14.06.2019, n. 1376; TAR Lombardia, I, 19.11.2018, n. 2603; TAR Campania, III, 10.01.2018, n. 154; Cass., 18/09/2009, n. 20106); il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale (TAR Lombardia, I, 19.11.2018, n. 2603).
3.4. D’altra parte non può non rimarcarsi che:
   - in tema di appalti pubblici, lo ius poenitendi della stazione appaltante è espressamente contemplato e conformato dall’art. 109 del d.lgs. 50/2016, che si inscrive nella previsione generale di cui all’art. 21-sexies l. 241/1990, in forza della quale è possibile “il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione…nei casi previsti dalla legge o dal contratto”, secondo una regola di tipicità delle ipotesi di recesso analoga a quella di cui agli articoli 1372 e 1373 c.c.;
   - la facoltà di recedere in qualunque tempo dai contratti pubblici, per vero, già cristallizzata all’art. 134 del previgente d.lgs. 163/2006, è da tempo immemorabile riconosciuta all’Amministrazione, tenuto conto già del disposto di cui all’art. 345 l. 1865, n. 2248, all. F, per cui “È facoltativo all'Amministrazione di risolvere in qualunque tempo il contratto, mediante il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importare delle opere non eseguite”;
   - le richiamate previsioni normative, immancabilmente succedutesi negli anni –pur inscrivendosi fisiologicamente nelle ordinarie categorie civilistiche, integrando una ipotesi di diritto legale di recesso- riflettono all’evidenza la voluntas legis di assegnare rilevanza alle sopravvenute valutazioni di opportunità (Cass., 391/2011) per definizione rientranti nella sfera di merito della azione amministrativa, attribuendo un potere di scioglimento unilaterale del rapporto previo “pagamento di un prezzo”; pretium costituito, in particolare, dal valore dei “lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguite”, nonché dal valore “dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell’importo delle opere, dei servizi o delle forniture”, con una previsione che differisce leggermente dal disposto generale dell’art. 1671 c.c. in tema di appalto privato;
   - benché veicolato in forme privatistiche -in ossequio peraltro al principio generale ora codificato all’art. 1, comma 1-bis l. 241/1990, per cui “La pubblica amministrazione nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”– l’interesse pubblico di cui l’Amministrazione è indefettibilmente titolare permea anche tale forma di recesso, con il corollario –non vertendosi in tema di revoca ex art. 21-quinquies l. 241/1990, ma di scioglimento di un vincolo negoziale per definizione paritetico- “di non dover assicurare il contraddittorio procedimentale né esternare compiutamente le motivazioni della scelta, essendo ciò bilanciato dal maggiore onere economico che ne consegue” (rispetto al “mero” indennizzo dovuto per il caso di revoca di atti amministrativi ex art. 21-quinquies: CdS, a.p., 20.06.2014, n. 14).

APPALTIAlla CGUE l’esclusione del concorrente per dichiarazioni non veritiere rese dall’ausiliaria.
Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione della compatibilità con il diritto europeo della normativa interna in materia di avvalimento e cause di esclusione, nella parte in cui prevede che, in caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito processionale, la stazione appaltante deve sempre escludere l’operatore economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di indicare un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima.
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Contratti pubblici – Cause di esclusione – Avvalimento – Dichiarazione non veritiera dell’ausiliaria – Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE
Deve essere rimessa alla Corte di giustizia UE la seguente questione pregiudiziale: “Se l’articolo 63 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26.02.2014, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), osti all’applicazione della normativa nazionale italiana in materia di avvalimento e di esclusione dalle procedure di affidamento, contenuta nell’articolo 89, comma 1, quarto periodo, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, secondo la quale nel caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito professionale, la stazione appaltante deve sempre escludere l’operatore economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di indicare un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima, come stabilito, invece nelle altre ipotesi in cui i soggetti della cui capacità l'operatore economico intende avvalersi non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione” (1).
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   (1) I. – Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione pregiudiziale della compatibilità con il diritto europeo dell’art. 89, comma 1, quarto periodo, del d.lgs. 18.04.2016, n. 50, nella parte in cui prevede la necessaria esclusione del concorrente in caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria e riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito professionale, senza che possa imporre o consentire allo stesso operatore di indicare un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima, come stabilito,
invece, nelle altre ipotesi in cui i soggetti della cui capacità l’operatore economico intende avvalersi non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione.
   II. – Nel caso di specie, un concorrente veniva escluso dalla procedura di gara in quanto l’impresa ausiliaria aveva reso una dichiarazione non veritiera, non avendo fatto menzione, nelle dichiarazioni rese, di una sentenza di applicazione della pena su richiesta congiunta delle parti, espressamente equiparata ad una sentenza di condanna secondo la normativa nazionale, relativa al reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’esclusione della concorrente era stata annullata in primo grado, sentenza appellata in parte qua in sede di appello.
   III. – Con l’ordinanza in oggetto il collegio, dopo aver ricostruito la vicenda processuale sottesa, ha osservato quanto segue:
      a) il d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che:
         a1) all’art. 80, comma 5, lett. f-bis), le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto “l'operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere”;
         a2) all’art. 89, comma 1, secondo, terzo e quarto periodo, “L'operatore economico che vuole avvalersi delle capacità di altri soggetti allega, oltre all'eventuale attestazione SOA dell'impresa ausiliaria, una dichiarazione sottoscritta dalla stessa attestante il possesso da parte di quest'ultima dei requisiti generali di cui all'articolo 80, nonché il possesso dei requisiti tecnici e delle risorse oggetto di avvalimento. L'operatore economico dimostra alla stazione appaltante che disporrà dei mezzi necessari mediante presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria con cui quest'ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente. Nel caso di dichiarazioni mendaci, ferma restando l'applicazione dell'articolo 80, comma 12, nei confronti dei sottoscrittori, la stazione appaltante esclude il concorrente ed escute la garanzia”;
         a3) all’art. 89, comma 3, “la stazione appaltante verifica, conformemente agli articoli 85, 86 e 88, se i soggetti della cui capacità l'operatore economico intende avvalersi, soddisfano i pertinenti criteri di selezione o se sussistono motivi di esclusione ai sensi dell'articolo 80. Essa impone all'operatore economico di sostituire i soggetti che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione. Nel bando di gara possono essere altresì indicati i casi in cui l'operatore economico deve sostituire un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione, purché si tratti di requisiti tecnici”;
      b) la giurisprudenza nazionale ritiene che:
         b1) in applicazione delle citate disposizioni, in caso di avvalimento, la dichiarazione mendace presentata dall'impresa ausiliaria comporta l'esclusione dalla procedura di gara dell’operatore economico che si è avvalso della sua capacità per integrare i prescritti requisiti di partecipazione;
         b2) nell’ipotesi di dichiarazione mendace o di attestazione non veritiera dell’impresa ausiliaria sul possesso dei requisiti di cui all’art. 80, l’art. 89, comma 3, non è applicabile e, quindi, l’operatore economico non può sostituire l’impresa ausiliaria;
         b3) l’art. 89 prevede, infatti, espressamente l’esclusione del concorrente in caso di dichiarazioni mendaci provenienti dall’impresa di cui egli si avvale; la sostituzione dell’impresa ausiliaria è consentita solo nelle altre ipotesi in cui risultano mancanti i pertinenti requisiti di partecipazione;
      c) il diritto eurounitario prevede che:
         c1) con riferimento specifico all’avvalimento, ai sensi del primo paragrafo parte II, dell’art. 63, rubricato “affidamento sulle capacità di altri soggetti”, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26.02.2014 sugli appalti pubblici, “L’amministrazione aggiudicatrice verifica, conformemente agli articoli 59, 60 e 61, se i soggetti sulla cui capacità l’operatore economico intende fare affidamento soddisfano i pertinenti criteri di selezione o se sussistono motivi di esclusione ai sensi dell’articolo 57. L’amministrazione aggiudicatrice impone che l’operatore economico sostituisca un soggetto che non soddisfa un pertinente criterio di selezione o per il quale sussistono motivi obbligatori di esclusione. L’amministrazione aggiudicatrice può imporre o essere obbligata dallo Stato membro a imporre che l’operatore economico sostituisca un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione”;
         c2) la previsione, innovativa, punta a consentire la più ampia partecipazione alla gara degli operatori economici privi dei prescritti requisiti, mediante forme di collaborazione con altre imprese ausiliarie e, al tempo stesso, intende assicurare che l’esecuzione delle prestazioni sia svolta da soggetti effettivamente in possesso di adeguata capacità e moralità. A questa duplice esigenza risponde la possibilità di sostituire l’impresa ausiliaria che non soddisfi i requisiti o nei cui confronti sussista una causa di esclusione.
La perentorietà della formula legislativa europea fa assurgere la stazione appaltante a garante del favor partecipationis, "imponendole" di consentire la sostituzione dell'ausiliario e, quindi, sollecitandola ad attivarsi per garantire la celere conclusione del contratto e la sua esecuzione, a guisa di tutrice del buon andamento e dell'efficienza della procedura di evidenza pubblica”;
         c3) la disciplina della direttiva sviluppa i principi concorrenziali espressi dagli artt. 49 e 56 TFUE, ai sensi dei quali, rispettivamente: “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali”; “Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all’interno dell’Unione”;
      d) il raffronto tra normativa interna ed europea induce a dubitare della compatibilità della disciplina nazionale con i principi e le regole di cui all’art. 63 della direttiva 2014/24/UE e con i principi concorrenziali di cui agli artt. 49 e 56 TFUE:
         d1) l’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, nel prevedere l’esclusione del concorrente in conseguenza delle dichiarazioni mendaci dell’impresa di cui si avvale, preclude la sostituzione dell’impresa ausiliaria ovvero il ricorso al rimedio correttivo che, invece, il comma 3 prevede per tutti i rimanenti motivi obbligatori di esclusione;
         d2) la differente disciplina potrebbe essere giustificata dalla esigenza di sanzionare coloro che si sono resi responsabili di dichiarazioni mendaci, responsabilizzando l’operatore economico in ordine alla genuinità delle attestazioni compiute dall’impresa ausiliaria. Tuttavia, l’art. 63 della direttiva non contiene alcuna distinzione di disciplina e, al contrario, impone la sostituzione dell’impresa ausiliaria in tutte le ipotesi in cui sussistano in capo alla stessa motivi obbligatori di esclusione;
         d3) la direttiva UE ha sul punto carattere innovativo ed è stata recepita anche dal d.lgs. n. 50 del 2016. Durante la vigenza del codice del 2006, la modificazione soggettiva dell’offerta era consentita solo nel caso di raggruppamento temporaneo di imprese, per i motivi ivi previsti (art. 37, comma 19, d.lgs. 12.04.2006, n. 163) e solamente nella fase di esecuzione del contratto. L'art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016 consente ora al concorrente la sostituzione dell’impresa ausiliaria anche nell'ambito del rapporto tra imprese scaturito dalla stipulazione di un contratto di avvalimento ed anche nella fase precedente l'esecuzione del contratto;
         d4) la sostituzione dell’ausiliaria durante la procedura, in deroga al principio di immodificabilità soggettiva del concorrente, risponde all’esigenza di evitare l’esclusione dell’operatore per ragioni a lui non direttamente riconducibili e, sia pure indirettamente, di stimolare il ricorso all’avvalimento, potendo il concorrente fare conto sul fatto che, nel caso in cui l’ausiliaria non presenti i requisiti prescritti, potrà procedere alla sua sostituzione e non sarà automaticamente escluso dalla gara;
         d5) l’impostazione pro-concorrenziale è coerente con i criteri di delega posti dal Parlamento con la legge n. 11 del 2016, art. 1, comma 1, lett. zz), che ha disposto la “revisione della disciplina vigente in materia di avvalimento, nel rispetto dei principi dell'Unione europea e di quelli desumibili dalla giurisprudenza amministrativa in materia, (...) rafforzando gli strumenti di verifica circa l'effettivo possesso dei requisiti e delle risorse oggetto di avvalimento da parte dell'impresa ausiliaria nonché circa l'effettivo impiego delle risorse medesime nell'esecuzione dell'appalto”;
         d6) prevedendo l’esclusione automatica del concorrente, senza consentire la sostituzione dell’impresa ausiliaria che abbia reso una dichiarazione non veritiera, la normativa nazionale si può porre in contrasto con l’obiettivo di apertura alla concorrenza e confligge con il disposto della direttiva, che non contempla eccezioni al meccanismo generalizzato della sostituzione, nemmeno nei casi in cui esse potrebbero astrattamente giustificarsi con la finalità di responsabilizzare gli operatori economici sulla genuinità e correttezza delle dichiarazioni svolte dalle imprese di cui si avvalgono;
         d7) non può, infatti, ragionevolmente “sostenersi che solo nella fattispecie della dichiarazione mendace l’operatore economico disponga di una capacità di prevenzione e di controllo dei requisiti dichiarati dall’impresa ausiliaria, tale da renderlo motivatamente corresponsabile dell’attestazione inveritiera resa da quest’ultima. Il concorrente ausiliato è parte del contratto di avvalimento e, non disponendo di speciali poteri di verifica circa l’attendibilità delle credenziali della controparte, non può che affidarsi alle dichiarazioni o alla documentazione da quest’ultima fornitegli. In definitiva, all’operatore concorrente non può richiedersi una diligenza maggiore di quella richiesta ad un comune operatore negoziale, poiché nulla autorizza a ritenere il contrario”;
         d8) nel caso di specie, la concorrente esclusa ha rappresentato di essersi trovata nella sostanziale impossibilità di acquisire piena contezza del precedente penale relativo al soggetto ausiliario, in quanto la condanna riportata dal titolare dell’impresa non emergeva dal casellario giudiziale consultabile dai privati;
         d9) l’avvalimento è diretto a favorire la massima partecipazione degli operatori economici al mercato degli appalti pubblici, aprendolo ad imprese di per sé prive di requisiti di carattere economico-finanziario, tecnico-organizzativo e consentendo loro la dimostrazione dei medesimi requisiti attraverso il concorso di terzi ausiliari;
d10) l’avvalimento ha tradizionalmente goduto di ampio favore nella giurisprudenza eurounitaria;
      e) la questione risulta dirimente al fine della decisione della controversia in quanto, qualora dovesse ritenersi che il diritto eurounitario non ammetta preclusioni alla sostituzione dell’impresa ausiliaria, il giudizio dovrebbe concludersi con una sentenza favorevole all’appellata; per contro, in caso contrario, il giudizio dovrebbe concludersi con una sentenza di conferma della legittimità del provvedimento di esclusione.
   IV. – Per completezza si segnala quanto segue:
      f) nel senso della necessaria esclusione del concorrente in caso di falsa dichiarazione dell’ausiliaria si veda Cons. Stato, sez. V, 19.11.2018, n. 6529 (in Guida al dir., 2019, fasc. 1, 102), secondo cui “ai sensi del combinato disposto dell'art. 80, 5° comma, lett. f-bis), e dell'art. 89, 1° comma, d.leg. n. 50 del 2016 la falsa dichiarazione presentata dall'operatore economico, anche con riguardo alla posizione dell'impresa ausiliaria, fa scattare l'esclusione dalla gara”;
      g) con riferimento alla disciplina in tema di modifiche soggettive in tema di appalti pubblici:
         g1) durante la vigenza del codice del 2006 si veda Cons. Stato, sez. V, 20.01.2015, n. 169 (in Foro amm., 2015, 74), secondo cui, tra l’altro: “nelle gare pubbliche il divieto di modificare la composizione dei partecipanti raggruppamenti temporanei d'imprese riguarda l'intero arco della procedura di evidenza pubblica, mentre le eccezioni contemplate dall'art. 37, 18º e 19º comma, d.leg. 12.04.2006 n. 163 e concernenti il fallimento del mandante e del mandatario, la morte, l'interdizione o inabilitazione dell'imprenditore individuale, nonché le ipotesi previste dalla normativa antimafia, riguardano evenienze relative alla successiva fase dell'esecuzione del contratto”; “ai sensi dell'art. 37 d.leg. 12.04.2006 n. 163, il divieto di modificazione della compagine delle associazioni temporanee di imprese o dei consorzi nella fase procedurale corrente tra la presentazione delle offerte e la definizione della procedura di aggiudicazione è finalizzato a impedire l'aggiunta o la sostituzione di imprese partecipanti all'ati o al consorzio, e non anche a precludere il recesso di una o più di esse, a condizione che quelle che restano a farne parte risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione e che ciò avvenga per esigenze organizzative proprie dell'ati o consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell'ati venuto meno per effetto dell'operazione riduttiva”; “Nelle gare pubbliche, il generale divieto di modificazione della composizione soggettiva dei raggruppamenti temporanei è volto a garantire l'amministrazione appaltante in ordine alla verifica dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economica, nonché alla legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara, oltre che a presidiare la complessiva serietà di tali imprese, onde assicurare l'affidabilità del futuro contraente dell'amministrazione; ne deriva che, una volta che un raggruppamento temporaneo di imprese ha partecipato ad una gara, non è possibile alcuna modifica, tanto meno soggettiva, per quanto attiene alla sua composizione ed a quanto dichiarato in sede di gara con l'impegno presentato in sede di offerta”; “nelle gare pubbliche, l'illegittima modificazione soggettiva del raggruppamento temporaneo d'imprese produce, sul piano pubblicistico, le conseguenze disciplinate dall'art. 37, 10º comma, d.leg. 12.04.2006 n. 163 ossia, a seconda dei casi, l'esclusione dalla procedura, l'annullamento dell'aggiudicazione e la nullità del contratto eventualmente stipulato”;
         g2) con riferimento al carattere innovativo della disciplina europea sul tema: Corte di giustizia UE, 14.09.2017, C-223/16, Casertana costruzioni s.r.l. (in Giur. it., 2017, 2458 (m), con nota di GIUSTI; Foro amm., 2017, 1780; Riv. trim. appalti, 2017, 1069; Urbanistica e appalti, 2018, 183, con nota di MANZI, nonché oggetto della News US, in data 05.12.2017, sulla quale si veda infra § k2); Cons. Stato, sez. III, 25.11.2015, n. 5359 (in Vita not., 2016, 181; Foro amm., 2015, 2764; Riv. neldiritto, 2016, 269; Urbanistica e appalti, 2016, 696, con nota di MANZI; Nuovo dir. amm., 2016, fasc. 3, 80, con nota di URBANI);
      h) sulla ratio del principio della sostituibilità dell’ausiliaria durante la procedura come deroga al principio di immodificabilità soggettiva del concorrente si veda Cons. Stato, sez. V, 26.04.2018, n. 2527 (in Foro amm., 2018, 638; Gazzetta forense, 2018, 333; Appalti & Contratti, 2018, fasc. 5, 94), secondo cui “Ai sensi dell'art. 89, 3° comma, d.leg. 18.04.2016 n. 50, il principio, secondo cui la stazione appaltante che, in sede di verifica del possesso dei requisiti dichiarati, riceve dall'ente previdenziale comunicazione di durc irregolare è tenuta ad escludere l'operatore dalla procedura, revocando l'aggiudicazione eventualmente effettuata, senza procedere al previo invito alla regolarizzazione, vale nel caso di irregolarità contributiva della impresa concorrente, non potendo operare nel caso di irregolarità di impresa ausiliaria della quale la concorrente intende avvalersi, ma in questo caso la stazione appaltante non può imporre all'operatore economico, anziché la sostituzione dell'ausiliaria di cui all’art. 89, 3° comma, d.leg. n. 50 del 2016, la regolarizzazione”;
      i) sul favor espresso dalla giurisprudenza europea in tema di avvalimento si vedano:
         i1) Corte di giustizia UE, 7 aprile 2016, C-324/14 (in Riv. neldiritto, 2016, 916; Riv. trim. appalti, 2016, 652), secondo cui “Gli art. 47, par. 2, e 48, par. 3, direttiva 2004/18/Ce del parlamento europeo e del consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, letti in combinato disposto con l'art. 44, par. 2, di tale direttiva, devono essere interpretati nel senso che: riconoscono il diritto di qualunque operatore economico di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura dei suoi legami con questi ultimi, purché sia dimostrato all'amministrazione aggiudicatrice che il candidato o l'offerente disporrà effettivamente delle risorse di tali soggetti che sono necessarie per eseguire detto appalto, e non è escluso che l'esercizio di tale diritto possa essere limitato, in circostanze particolari, tenuto conto dell'oggetto dell'appalto in questione e delle finalità dello stesso; è quanto avviene, in particolare, quando le capacità di cui dispone un soggetto terzo, e che sono necessarie all'esecuzione di detto appalto, non siano trasmissibili al candidato o all'offerente, di modo che quest'ultimo può avvalersi di dette capacità solo se il soggetto terzo partecipa direttamente e personalmente all'esecuzione di tale appalto”;
         i2) Corte di giustizia UE, 10.10.2013, C-94/12 (in Guida al dir., 2013, fasc. 43, 94, con nota di MASARACCHIA; Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 2630; Appalti & Contratti, 2013, fasc. 11, 84, con nota di TRAMONTANA; Nuovo notiziario giur., 2014, 275; Urbanistica e appalti, 2014, 147, con nota di CARANTA; Giurisdiz. amm., 2013, III, 746), secondo cui “Gli art. 47, par. 2, e 48, par. 3, direttiva 2004/18/Ce del parlamento europeo e del consiglio, del 31.03.2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, letti in combinato disposto con l'art. 44, par. 2, della medesima direttiva, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione nazionale come quella in discussione nel procedimento principale, la quale vieta, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese”;
      j) sulla generale apertura degli appalti pubblici alla concorrenza si veda tra le altre: Corte di giustizia UE, 23.12.2009, C-305/08 (in Urbanistica e appalti, 2010, 551, con nota di DE PAULI; Appalti & Contratti, 2010, fasc. 1, 96, con nota di DE NARDI; Foro amm.-Cons. Stato, 2009, 2776; Giurisdiz. amm., 2009, III, 970; Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2010, 861, con nota di DORACI; Dir. e pratica amm., 2010, fasc. 5, 48 (m), con nota di PETULLÀ; Rass. avv. Stato, 2010, fasc. 1, 54; Arch. giur. oo. pp., 2010, 207; Riv. amm. appalti, 2010, 51; Raccolta, 2009, I, 12129), secondo cui, tra l’altro, “La direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che essa osta all'interpretazione di una normativa nazionale che vieti a soggetti che, come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente scopo di lucro, di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell'appalto considerato”;
      k) sull’avvalimento si vedano:
         k1) Corte di giustizia UE, 14.02.2019, C-710/17, Soc. coop. animazione Valdocco (in Foro amm., 2019, 187; oggetto della News US, n. 25 del 22.02.2019, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti) che ha dichiarato irricevibile un rinvio pregiudiziale, concernente l’ammissibilità dell’avvalimento da parte del progettista incaricato nei contratti pubblici di lavori, ricordando che, affinché una controversia in materia di appalti c.d. sotto soglia possa risultare rilevante per il diritto europeo, è necessaria la dimostrazione del c.d. interesse transfrontaliero certo.
Nel caso di specie, la controversia riguardava una gara, bandita nella vigenza del vecchio codice dei contratti (d.lgs. n. 163 del 2006), per la realizzazione di una centrale alimentata a biomasse per il teleriscaldamento di un centro abitato.
La gara presentava un importo complessivo inferiore alla soglia comunitaria indicata dall’art. 7, lett. c), della direttiva n. 2004/18/CE, ed era stata aggiudicata ad un’impresa che proponeva un c.d. avvalimento a cascata: essa cioè, in sede di offerta, aveva indicato un progettista esterno il quale, a sua volta, e previa sua auto-qualificazione come “operatore economico”, avrebbe dovuto avvalersi delle capacità di un soggetto terzo ai sensi dell’art. 53, comma 3, prima parte, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo cui “Quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare nell'offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione”).
In primo grado, il Tar per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza 11.01.2013, n. 18, aveva respinto il ricorso presentato dall’impresa seconda classificata, sostenendo che, in applicazione dei “principi di livello europeo e nazionale, sulla base dell'articolo 49 del codice dei contratti e degli articoli 47 e 48 della direttiva del 31.03.2004 n. 2004/18/CE”, “l’avvalimento deve ritenersi ammesso anche a favore della figura del professionista che si incarica formalmente di eseguire la progettazione di determinati lavori”.
In appello il Consiglio di Stato (con ordinanza 30.10.2017, n. 4982, in Foro amm., 2017, 2023, solo massima) ha rilevato che, secondo la prevalente giurisprudenza nazionale, il progettista esterno non è qualificabile come “operatore economico” ai sensi dell’art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, non essendogli di conseguenza consentito di far ricorso all’avvalimento. Ha anche aggiunto, sul punto, che, “trattandosi di prestazione professionale, l’attività è incentrata sull’intuitus personae per cui la personalità della prestazione ha un particolare rilievo”; ed ha quindi ricordato che, secondo la giurisprudenza amministrativa, l’avvalimento è già una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione alla gara, sicché va permesso solo in ipotesi delineate rigorosamente, per garantire l’affidabilità, in executivis, del soggetto concorrente, con la conseguenza che “la fattispecie di avvalimento a cascata è non permessa, giacché elide quel necessario rapporto diretto tra ausiliaria e ausiliata, così allungando e indebolendo la catena giuridica che lega i vari soggetti, con riflessi effetti evidenti in punto di responsabilità solidale, per il soggetto ausiliato riguardo al soggetto ausiliario munito in via diretta dei requisiti da concedere”.
Il giudice d’appello ha pertanto ritenuto opportuno di sottoporre al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione “se sia compatibile con la pertinente normativa comunitaria (art. 48 della Direttiva 2004/18/CE del 31.03.2004 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi) una previsione come quella del già analizzato art. 53, comma 3, d.lgs. 16.04.2006, n. 163, che ammette alla partecipazione un’impresa con un progettista ‘indicato’, il quale, a sua volta, per prevalente giurisprudenza nazionale, non essendo concorrente, non può ricorrere all’avvalimento”;
         k2) anche con riferimento alla sostituzione dell’impresa ausiliaria si veda la sentenza della Corte di giustizia UE, sez. I, del 14.09.2017, C-223/16, Casertana costruzioni s.r.l. (cit., alla cui News US, in data 05.12.2017, si rinvia per ulteriori approfondimenti e richiami sull’istituto dell’avvalimento e, in particolare, §§ da d) a j) per precedenti giurisprudenziali sul tema), secondo cui l’art. 47, par. 2, e l'art. 48, par. 3, della direttiva 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, “devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che esclude la possibilità per l'operatore economico, che partecipa a una gara d'appalto, di sostituire un'impresa ausiliaria che ha perduto le qualificazioni richieste successivamente al deposito della sua offerta, e che determina l'esclusione automatica del suddetto operatore”.
Nella controversia sottoposta alla Corte era emersa la sopravvenuta perdita dei requisiti dell’impresa ausiliaria. Con l’ordinanza di rimessione la quarta sezione ricostruiva il possibile contrasto tra la normativa nazionale italiana e quella europea, laddove, mentre ammette che il concorrente possa avvalersi dei requisiti e attestazioni di altra impresa c.d. ausiliaria, non consente espressamente, che in caso di perdita o riduzione dei requisiti di partecipazione in capo all’impresa ausiliaria indicata essa possa essere sostituita con altra impresa.
Nell’impostare il ragionamento che ha portato alla soluzione di cui alla massima, la sentenza parte dalla constatazione del riconoscimento in via generale del sistema di avvalimento, cioè del diritto per ogni operatore economico di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura dei suoi legami con questi ultimi, purché dimostri all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari per l’esecuzione di tale appalto.
La sentenza ritiene che consentire, in modo imprevedibile, esclusivamente a un raggruppamento d’imprese di sostituire un’impresa terza che fa parte del raggruppamento, e che ha perduto una qualificazione richiesta a pena di esclusione, costituirebbe una modifica sostanziale dell’offerta e dell’identità stessa del raggruppamento. Una tale modifica dell’offerta, infatti, obbligherebbe l’amministrazione aggiudicatrice a procedere a nuovi controlli procurando un vantaggio competitivo a tale raggruppamento;
         k3) Cons. Stato, Ad. plen., 04.11.2016, n. 23 (in Guida al dir., 2017, fasc. 2, 50, con nota di PONTE; Foro amm., 2016, 2628; Urbanistica e appalti, 2017, 410, con nota di FIGUERA; Appalti & Contratti, 2017, fasc. 4, 100; Riv. amm., 2017, 261; oggetto della News US, in data 10.11.2016, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti, specie §§ da r) a v), con riferimento alla giurisprudenza in tema di avvalimento), secondo cui: “l’art. 49 d.leg. 12.04.2006 n. 163 e l'art. 88 d.p.r. 05.10.2010 n. 207, in relazione all'art. 47, par. 2, dir. 2004/18/Ce, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a un'interpretazione tale da configurare la nullità del contratto di avvalimento in ipotesi in cui una parte dell'oggetto del contratto di avvalimento, pur non essendo puntualmente determinata fosse tuttavia agevolmente determinabile dal tenore complessivo del documento, e ciò anche in applicazione degli art. 1346, 1363 e 1367 c.c.”.
Si precisa nella sentenza che l’istituto dell’avvalimento è stato introdotto nell’ordinamento nazionale in attuazione di puntuali prescrizioni dell’ordinamento UE e risulta volto a conseguire: l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici; il più facile accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici; trattandosi di obiettivi generali dell’ordinamento euro unitario (e sulla base dei generali canoni ermeneutici di matrice UE), grava sull’operatore nazionale l’obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale in senso conforme ad essi (c.d. criterio dell’interpretazione conforme) e di non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno; limitare -in casi eccezionali- la possibilità per gli operatori di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento.
Conseguentemente l’individuazione dell’oggetto del contratto di avvalimento non deve sottostare a requisiti ulteriori e più stringenti rispetto a quelli ordinariamente previsti per la generalità dei contratti ai sensi degli artt. 1325 e 1346 c.c.; sicché, al contenuto di tali disposizioni, ed all’interpretazione che ne è comunemente data, va riportato anche il compendio delle norme nazionali che disciplinano l’istituto dell’avvalimento (art. 88, d.P.R. n. 207 del 2010 e artt. 49 e 50 del d.lgs. n. 163 del 2006); poiché manca una norma nazionale (della cui legittimità dal punto di vista europeo sarebbe lecito dubitare) che imponga il requisito della determinatezza dell’oggetto del contratto di avvalimento, tale requisito non può essere introdotto in via esegetica sicché è ammissibile la determinabilità dello stesso sulla base degli ordinari criteri dell’ermeneutica contrattuale.
Neppure le sopravvenute disposizioni recate dal nuovo codice dei contratti pubblici (di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, di attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, in particolare art. 89, comunque inapplicabile ratione temporis) recano, in tema di avvalimento, disposizioni derogatorie e di maggior rigore in tema di determinabilità dell’oggetto del contratto.
Non può trovare ingresso la teorica della c.d. forma-contenuto del contratto (incentrata sulla puntuale esplicitazione di taluni elementi del rapporto che rileverebbero ai fini della validità del contratto, rappresentandone in qualche misura il contenuto minimo essenziale con la conseguente comminatoria di forme di “nullità di protezione”), in quanto elaborata in base alle disposizioni normative che nel tempo hanno apprestato tutela al contraente debole per mitigare la situazione di asimmetria informativa in cui normalmente versa; non si rinviene un’analoga ratio giustificatrice nel settore della contrattualistica pubblica, nel cui ambito agiscono operatori professionali.
Il contratto di avvalimento è un contratto atipico (connotato dai caratteri del mandato, dell’appalto di servizi e della garanzia), normalmente oneroso (dovendo emergere anche indirettamente l’interesse patrimoniale della ausiliaria nel caso non sia previsto un corrispettivo espresso), in relazione al quale la forma scritta è prescritta ad substantiam ed è previsto l’obbligo per l’impresa ausiliaria di presentare un’apposita dichiarazione d’impegno circa la messa a disposizione dei requisiti e delle risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto nonostante il suo contenuto risulti in parte riproduttivo di quello proprio del contratto stesso di avvalimento;
         k4) sull’avvalimento in genere, sui requisiti suscettibili di avvalimento, sui divieti di avvalimento e sui rapporti tra avvalimento e SOA: R. DE NICTOLIS, op. ult. cit., 880 ss., 901 ss., in particolare l’A. rammenta che in base all’art. 83, comma 2, del codice dei contratti pubblici, in attesa del regolamento di cui all’art. 216, comma 27-octies, ivi previsto per disciplinare i rapporti fra avvalimento e SOA, in virtù della disciplina transitoria sancita dagli artt. 216, comma 14, e 217, lett. u), del codice, continua ad applicarsi l’art. 88 del vecchio regolamento n. 207 del 2010 che consentiva l’avvalimento al fine della qualificazione SOA solo ai rapporti infra gruppo; C. ZUCCHELLI, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLI e R. DE NICTOLIS, II, Soggetti, qualificazione, regole comuni alle procedure di gara, Milano, 2019, 1103 ss., 1162 ss., specie 1367 ss., dove l’A. conclude nel senso della permanente vigenza, nella fase transitoria, dell’art. 88 del vecchio regolamento del 2010 (Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 20.03.2020 n. 2005 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTIAlla Corte di Giustizia Ue l’esclusione dalla gara del concorrente che, in sede di avvalimento, ha indicato una impresa ausiliaria con condanna penale passata in giudicato su grave illecito professionale.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Impresa ausiliaria - Dichiarazioni non veritiere su condanna penale passata in giudicato su grave illecito professionale – Esclusione del concorrente senza che possa indicare altra ausiliaria – Rimessione alla Corte di Giustizia Ue.
É rimessa alla Corte di Giustizia UE la questione se l’art. 63 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26.02.2014, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), osti all’applicazione della normativa nazionale italiana in materia di avvalimento e di esclusione dalle procedure di affidamento, contenuta nell’art. 89, comma 1, quarto periodo, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, secondo la quale nel caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito professionale, la stazione appaltante deve sempre escludere l’operatore economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di indicare un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima, come stabilito, invece nelle altre ipotesi in cui i soggetti della cui capacità l'operatore economico intende avvalersi non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione (1).
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   (1) ha ricordato la Sezione che la giurisprudenza nazionale, ormai consolidata, ritiene che:
a) in forza del combinato disposto dei citati artt. 80, comma 5, lettera f-bis, e 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, in caso di avvalimento, la dichiarazione mendace presentata dall'impresa ausiliaria comporta l'esclusione dalla procedura di gara dell’operatore economico che si è avvalso della sua capacità per integrare i prescritti requisiti di partecipazione;
b) nell’ipotesi di dichiarazione mendace o di attestazione non veritiera dell’impresa ausiliaria sul possesso dei requisiti ex art. 80, l'art. 89, comma 3, non è applicabile e, quindi, l’operatore economico non può sostituire l’impresa ausiliaria.
Si ritiene, infatti, che l’art. 89 prevede espressamente l’esclusione del concorrente in caso di dichiarazioni mendaci provenienti dall’impresa di cui egli si avvale (Cons. St., sez. V, n. 6529 del 2018; id. n. 69 del 2019; Delibera Anac n. 337/2019). La sostituzione dell’impresa ausiliaria è consentita solo nelle altre ipotesi in cui risultano mancanti i pertinenti requisiti di partecipazione.
Questo indirizzo interpretativo risulta ormai consolidato in giurisprudenza e la parte appellata non ha indicato nuovi argomenti idonei a contrastarne la correttezza.
Ha aggiunto la Sezione che: a) la ratio dell’istituto dell’avvalimento è quella di favorire la massima partecipazione degli operatori economici al mercato degli appalti pubblici, aprendolo ad imprese di per sé prive di requisiti di carattere economico-finanziario, tecnico-organizzativo e consentendo loro la dimostrazione dei requisiti medesimi per relationem, attraverso il concorso di terzi soggetti ausiliari; b) l’istituto dell’avvalimento ha tradizionalmente goduto di ampio favore nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, che lo ha elaborato e ha contrastato prassi interpretative e disposizioni normative nazionali che potessero ostacolarne l’impiego.
Esemplificativa di questo indirizzo è la sentenza del 10.10.2013 in causa C-94/12, SWM Costruzioni, con la quale la Corte ha risolto una questione per rinvio pregiudiziale sollevata dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato circa la compatibilità con il diritto UE della normativa nazionale (art. 49, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006) che vietava al concorrente in una pubblica gara di appalto di avvalersi -salvo ipotesi eccezionali- di più di un’impresa ausiliaria.
In quella sede la Corte ha definito la questione coniugando il principio della piena apertura concorrenziale con quello dell’effettività della messa a disposizione dei requisiti necessari. Secondo la Corte, infatti, “la direttiva 2004/18 consente il cumulo delle capacità di più operatori economici per soddisfare i requisiti minimi di capacità imposti dall’Amministrazione aggiudicatrice, purché alla stessa si dimostri che il candidato o l’offerente che si avvale delle capacità di uno o di svariati altri soggetti disporrà effettivamente dei mezzi di questi ultimi che sono necessari all’esecuzione dell’appalto”.
La Corte ha richiamato il generale obiettivo dell’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza “nella misura più ampia possibile, obiettivo perseguito dalle direttive in materia a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici” (v., in tal senso, sentenza del 23.12.2009, Conisma, in causa C-305/08).
Nello stesso senso viene in rilievo la sentenza del 07.04.2016 in causa C-324/14, Partner Apelski Dariusz, con la quale la Corte ha chiarito che le disposizioni UE in tema di avvalimento riconoscono “il diritto di qualunque operatore economico di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti (…), purché sia dimostrato all’amministrazione aggiudicatrice che il candidato o l’offerente disporrà effettivamente delle risorse di tali soggetti che sono necessarie per eseguire detto appalto, e non è escluso che l’esercizio di tale diritto possa essere limitato, in circostanze particolari, tenuto conto dell’oggetto dell’appalto in questione e delle finalità dello stesso (…)”.
La Corte ha tuttavia chiarito che eventuali limiti nazionali all’esercizio del diritto di avvalimento devono essere riguardati con rigore, alla luce dei principi di parità di trattamento e non discriminazione.
Sulla stessa scia si pone, in ambito nazionale, la pronuncia del Consiglio di Stato Ad. Plen., del 04.11.2016, n. 23, la quale afferma, con specifico riferimento all’istituto dell’avvalimento, che “trattandosi di obiettivi generali dell'ordinamento Eurounitario (e sulla base di generali canoni ermeneutici di matrice UE), grava sull'operatore nazionale l'obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale in senso conforme ad essi (c.d. criterio dell'interpretazione conforme) e di non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno (si tratta di un corollario applicativo dei generali principi di parità di trattamento e di non discriminazione che devono assistere le posizioni giuridiche e gli istituti di matrice Eurounitaria)” (Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 20.03.2020 n. 2005 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTILa cauzione provvisoria nell’infra 40.000 euro.
Domanda
Nel caso di procedura di gara infra 40.000, stante l’art. 93, co. 1, ultimo periodo del codice, è necessario richiedere la presentazione della cauzione provvisoria, strumento costoso, spesso di non tempestivo reperimento per gli operatori, e poco funzionale nelle gare di modico valore?
Risposta
L’Autorità Nazionale Anticorruzione con l’atto n. 2 del 26.02.2020 ha segnalato al Governo e al Parlamento l’opportunità di estendere la deroga prevista dall’art. 93, primo comma, ultimo periodo, del d.lgs. 50/2016, a tutti gli affidamenti di importo inferiore ad una determinata soglia, indipendentemente dalla tipologia di procedura di selezione utilizzata.
In particolare il citato articolo riconosce alla stazione appaltante la facoltà di non richiedere la garanzia provvisoria nei casi di cui all’art. 36, co. 2, lett. a).
Appare utile per poter rispondere al quesito inquadrare esattamente l’istituto e le ragioni che hanno portato all’introduzione, con il correttivo al codice, dell’ultimo periodo dell’art. 93.
La cauzione provvisoria è richiesta dalla stazione appaltante a garanzia della mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione per fatto riconducibile all’affidatario o a seguito dell’adozione di informazione antimafia interdittiva, come strumento a tutela della serietà e affidabilità dell’offerta, diretto alla responsabilizzazione degli operatori mediante l’anticipata liquidazione dei danni alla pubblica amministrazione (C.d.S. sez. V, sent. 2181/2018).
L’ANAC con la delibera n. 140 del 27.02.2019 recante “Chiarimenti in materia di garanzia provvisoria e garanzia definitiva”, ha precisato che: “nei casi di contratti di importo inferiore a 40.000 euro assegnati mediante procedure diverse dall’affidamento diretto, le stazioni appaltanti sono tenute a richiedere la garanzia provvisoria di cui all’art. 93, co. 1, ultimo periodo e la garanzia definitiva di cui all’art. 103, co. 11, del codice dei contratti pubblici”.
La posizione assunta da ANAC, in linea con il parere del Consiglio di Stato sul correttivo, si discosta dall’Atto di Governo n. 397 “Schede di lettura alle disposizioni integrative del d.lgs. 50 del 18.04.2016”, ove con riferimento all’art. 55 “Garanzie per la partecipazione alla procedura di affidamento (modifiche all’art. 93 del d.lgs. 50/2016)" evidenzia come la ratio delle principali modifiche riferite agli affidamenti sotto i 40.000 euro (per i quali la garanzia diviene una scelta facoltativa della stazione appaltante), è quella di perseguire la “semplificazione dei sistemi di garanzia per l’aggiudicazione e l’esecuzione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, al fine di renderli proporzionati e adeguati alla natura delle prestazioni oggetto del contratto e al grado di rischio connesso”.
La lettera a) introduce un nuovo periodo al comma 1 dell’art. 93 del codice in base al quale nei casi di affidamenti infra 40.000 è facoltà della stazione appaltante non richiedere le garanzie per la partecipazione alle procedure di gara previste nell’articolo medesimo.
La norma come pubblicata in gazzetta ufficiale non sembra aver raggiunto quell’obiettivo di semplificazione voluto dal correttivo, a meno che il riferimento alla lettera a) non debba essere inteso come valore economico.
Fatte queste considerazioni nell’attuazione situazione è tuttavia possibile evitare nell’infra 40.000 euro di richiedere la presentazione della cauzione provvisoria non solo nell’affidamento diretto, c.d. puro, ma anche nel caso di richiesta di preventivi per l’affidamento diretto ai sensi dell’art. 36, co. 2, lett. a), procedura assolutamente consigliata negli approvvigionamenti di importo inferiore a tale soglia.
Qualora si utilizzi la procedura procedura negoziata anche per importi inferiori a 40.000 euro (procedura sconsigliata) si dovrà richiedere la presentazione della citata cauzione (18.03.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIAll’Ad. plen. l’applicabilità del divieto di clausole di esclusione cd atipiche dalle gare di appalto in relazione a quelle che vietano o limitano l’avvalimento.
La V Sez. del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria la determinazione dell’ambito di applicazione del divieto di clausole di esclusione atipiche dalla gara di appalto, con riferimento alle clausole con cui le stazioni appaltanti vietando o limitando la possibilità per i concorrenti di fare ricorso all’avvalimento precludono, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale.
In particolare, se sia nulla la clausola con cui, per gli appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA.
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Contratti pubblici – Tassatività delle cause di esclusione – Divieto o limitazioni all’avvalimento – Attestazione SOA – Deferimento all’Adunanza plenaria
Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:
   a) se rientrino nel divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, del d.lgs. n. 50 del 2016, le prescrizioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, precluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale;
   b) in particolare, se possa reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA (1).

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   (1) I. – La quinta sezione del Consiglio di Stato rimette all’Adunanza plenaria dei quesiti connessi alla delimitazione dell’ambito applicativo del divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, del d.lgs. 19 aprile 2016, n. 50.
In particolare il collegio chiede: se rientrino in tale divieto le prescrizioni dei bandi o delle lettere di invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento, precluda di fatto la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale; in particolare, se possa reputarsi nulla la clausola con la quale sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA, per appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro.
   II. – Nel caso di specie, la società ricorrente in primo grado era stata esclusa da una procedura di gara, avente ad oggetto l’ampliamento della capacità di base deposito carburanti, in quanto aveva dichiarato nella propria offerta tecnica di avvalersi di SOA di impresa ausiliaria, in contrasto con la previsione del disciplinare di gara che precludeva una tale possibilità per le imprese prive di una propria attestazione SOA.
In primo grado, il ricorso principale proposto dalla concorrente esclusa era accolto, con dichiarazione della nullità della clausola in questione, perché avrebbe imposto, a pena di esclusione, un requisito ulteriore rispetto a quelli previsti dalla legge, in violazione dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016.
L’aggiudicataria proponeva quindi appello avverso la sentenza di primo grado.
   III. – Con la sentenza non definitiva in rassegna il collegio, dopo essersi pronunciato su parte delle domande ed aver esaminato le argomentazioni delle parti, ha osservato quanto segue:
      a) la clausola in questione prevede che “i concorrenti possono soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale richiesti nel presente disciplinare di gara, avvalendosi dell'attestazione SOA di altro soggetto ad esclusione delle categorie di cui all’art. 2, comma 1, del Decreto ministeriale 10.11.2016, n. 248, ai sensi del comma 11 dell’art. 89 del Codice. Ai sensi del combinato disposto degli articoli 84 e 89, comma 1 del Codice i concorrenti che ricorrono all'istituto dell'avvalimento devono, pena esclusione, essere in possesso di propria attestazione SOA da attestare secondo le modalità indicate nel precedente punto 17…”;
      b) ai sensi dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”;
      c) secondo un orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, 23.08.2019, n. 5834), che ha esaminato una clausola di tenore analogo a quella oggetto della controversia in rassegna:
         c1) muovendo dalla ratio dell’art. 89 d.lgs. n. 50 del 2016 come diretto a garantire la più ampia partecipazione delle imprese alle gare pubbliche, si è escluso che il divieto in questione riguardi l’avvalimento in relazione ad attività e a compiti specifici e si è piuttosto ritenuto che ponga di fatto in essere un limite generale al suo ricorso al di fuori dei limiti all’avvalimento consentiti alla stazione appaltante;
         c2) la clausola sarebbe quindi nulla perché non introduce una disciplina, sia pur restrittiva, delle modalità con cui ricorrere all’avvalimento, ma un vero e proprio divieto di ricorrere a tale istituto, incompatibile con la norma cogente attualmente prevista dall’art. 89 del codice dei contratti pubblici e perché si è in presenza di un potere esercitato dalla stazione appaltante praeter legem, nel richiedere dei requisiti non contemplati dalla norma codicistica ed il cui effetto sarebbe quello di vanificare la stessa ratio applicativa di quest’ultima;
      d) con l’ordinanza cautelare emessa nel medesimo giudizio (Cons. Stato, 2019, n. 344), la sezione aveva manifestato adesione per l’orientamento contrapposto, sia quanto al rapporto con la previsione dell’art. 89 d.lgs. n. 50 del 2016 (affermando che la clausola impugnata fosse espressione di un potere amministrativo in astratto esistente, quale è quello di disciplinare le modalità dell’avvalimento in corso di gara), sia quanto al rapporto con l’art. 83, comma 8, ultimo inciso, (affermando che non potesse essere qualificata come causa di esclusione atipica);
      e) sulla qualificazione del vizio della clausola in termini di nullità piuttosto che di annullabilità, non sono decisivi gli argomenti fondati sull’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, anche dopo l’eliminazione dal primo comma del riferimento che era fatto ai requisiti di qualificazione di cui all’art. 84, effettuata con il d.lgs. n. 56 del 2017;
      f) non è in contestazione che l’avvalimento sia consentito per soddisfare la richiesta relativa al possesso di tutti i requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’art. 83, lett. b) e c), compreso il caso in cui per la prova del possesso di tali requisiti di qualificazione sia richiesta, ai sensi dell’art. 84, l’attestazione da parte degli appositi organismi di diritto privato (SOA) autorizzati dall’ANAC; così come non è in contestazione che l’avvalimento della SOA di altra impresa sia consentito anche da parte di impresa che ne sia del tutto priva, purché operante nel settore economico di riferimento, quindi fornita del corrispondente requisito di idoneità professionale di cui all’art. 83, comma 1, lett. a);
      g) è analogamente incontroverso, già ai sensi dell’art. 89, che: la stazione appaltante ha il potere di limitare il ricorso all’avvalimento, ma soltanto a determinate condizioni, delineate nel comma 4; l’avvalimento è un istituto di generale applicazione per conseguire il possesso dei requisiti di partecipazione, potendo essere escluso soltanto nelle ipotesi tipizzate dal legislatore;
      h) ne discende che l’esercizio del potere discrezionale della stazione appaltante al di fuori delle ipotesi consentite o l’introduzione di cause di inammissibilità o di divieto di avvalimento diverse da quelle previste per legge vizia la corrispondente previsione della legge di gara;
      i) per quanto riguarda l’effetto prodotto da tale vizio sulla procedura di gara si deve considerare che esso finisce per comportare, di regola, l’esclusione dalla partecipazione alla gara di tutti coloro cui si è illegittimamente impedito il ricorso all’avvalimento. La clausola corrispondente, pur non prevedendo direttamente l’esclusione dalla gara se non in possesso di un particolare requisito, finisce per avere il medesimo effetto escludente che viene raggiunto prevedendo un requisito di partecipazione per il quale non è consentito l’avvalimento;
      j) pertanto, la questione posta dal ricorso involge quella dell’interpretazione dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016, laddove in applicazione del principio di tassatività delle clausole di esclusione, sancisce la nullità testuale delle ulteriori prescrizioni contenute nei bandi o nelle lettere di invito a pena di esclusione rispetto a quelle previste dallo stesso codice e da altre disposizioni di legge vigenti;
         j1) le clausole del bando di gara riguardanti i requisiti di partecipazione alle procedure selettive vanno tempestivamente impugnate allorché contengano prescrizioni di carattere escludente. Tali sono tipicamente quelle legate a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara, esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento. Tale regola è stata recepita dall’art. 120, comma 5, c.p.a.;
         j2) la previsione della nullità testuale dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 impone il coordinamento sul piano processuale dell’art. 120, comma 5, c.p.a. con l’art. 31, comma 4, c.p.a., ponendo la questione della prevalenza di quest’ultima disposizione ogniqualvolta la prescrizione della legge di gara, pur autonomamente e immediatamente lesiva, in quanto riguardante requisiti soggettivi, sia riconducibile alla fattispecie di divieto di cause di esclusione atipiche;
         j3) lo stesso art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 assegna alle stazioni appaltanti il compito di indicare le condizioni di partecipazione richieste, con la facoltà di esprimerle come livelli minimi di capacità, tra cui rientra a pieno titolo il possesso di attestazione SOA;
         j4) nel caso in esame è quindi richiesto un requisito di partecipazione in astratto proporzionato e congruente con l’oggetto e il valore dell’appalto e con la tipologia dei lavori da eseguire;
         j5) la clausola del disciplinare di gara in esame è stata tuttavia interpretata sia dalla stazione appaltante sia dalla sentenza di primo grado nel senso che il possesso in proprio di un’attestazione SOA fosse condizione per accedere, a pena di esclusione, all’istituto dell’avvalimento. La disciplina di gara, così interpretata, pertanto: da un lato, ha limitato la possibilità di ricorrere all’avvalimento; dall’altro, ha impedito che gli operatori economici sprovvisti di qualificazione SOA possano partecipare alle gare, pur essendo in possesso di idoneità professionale;
         j6) la giurisprudenza del Consiglio di Stato non appare chiaramente delineata sul punto della illegittimità delle clausole che impongono, per i contratti di appalto di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, ai concorrenti che vogliono stipulare un avvalimento per il possesso dell’attestazione SOA di averne almeno una in proprio.
   IV. – Per completezza si segnala quanto segue:
      k) sul principio di tassatività delle cause di esclusione, si vedano in particolare:
         k1) Corte di giustizia UE, sez. IX, 02.05.2019, C-309/18 – Lavorgna s.r.l. (in Contratti Stato e enti pubbl., 2019, fasc. 3, 111, con nota di DAMIN; Riv. corte conti, 2019, fasc. 3, 213, con nota di MARZANO; oggetto della News US n. 56 del 13.05.2019, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti spec. § j) sul soccorso istruttorio e § k) sul principio di proporzionalità), secondo cui “I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempre che tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”.
La Corte si è pronunciata nel caso di specie sul rinvio pregiudiziale proposto dal Tar per il Lazio, sez. II-bis, ordinanza 24.04.2018, n. 4562 (oggetto della News US, in data 04.08.2018);
         k2) Cons. Stato, Ad. plen., 24.01.2019, n. 1, n. 2 e n. 3 (in Foro it., 2019, III, 440, nonché oggetto della News US n. 18 del 04.02.2019, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti, spec. §§ m) ed o), nonché sul soccorso istruttorio §§ l) ed n), che ha rimesso alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale se “il diritto dell’Unione europea (e segnatamente i princìpi di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di libera circolazione, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi) ostino a una disciplina nazionale (quale quella di cui agli articoli 83, comma 9, 95, comma 10, e 97, comma 5, del ‘Codice dei contratti pubblici’ italiano, di cui al d.lgs. n. 50 del 2016) in base alla quale la mancata indicazione da parte di un concorrente a una pubblica gara di appalto dei costi della manodopera e degli oneri per la sicurezza dei lavoratori comporta comunque l’esclusione dalla gara senza che il concorrente stesso possa essere ammesso in un secondo momento al beneficio del c.d. ‘soccorso istruttorio’, pur nelle ipotesi in cui la sussistenza di tale obbligo dichiarativo derivi da disposizioni sufficientemente chiare e conoscibili e indipendentemente dal fatto che il bando di gara non richiami in modo espresso il richiamato obbligo legale di puntuale indicazione”.
Con le medesime ordinanze il collegio ha chiarito che le norme del nuovo codice dei contratti (in specie, il combinato disposto dell’art. 83, comma 9, con l’art. 95, comma 10) devono essere interpretate nel senso di imporre l’esclusione dell’offerta che non abbia indicato separatamente i costi per la manodopera e per gli oneri di sicurezza –pure nelle ipotesi in cui quell’offerta, dal punto di vista sostanziale, abbia effettivamente computato quei costi–, senza alcuna possibilità di invocare, da parte dell’impresa così esclusa, il rimedio del c.d. soccorso istruttorio.
Ha quindi affermato che questa soluzione presenta possibili profili di incompatibilità con i principi euro-unitari di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di libera circolazione, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, nonché con le norme della direttiva n. 2014/24/UE, sollevando, di conseguenza, quale giudice di ultima istanza, questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di giustizia UE.
In ogni caso la stessa Adunanza plenaria ha segnalato che vi sono importanti argomenti di ordine letterale e logico che farebbero propendere per la compatibilità comunitaria dell’obbligo di esclusione dalla gara, quale ormai imposto, a livello legislativo, dalle richiamate disposizioni del Codice dei contratti del 2016. Successivamente alla sentenza della Corte di giustizia UE, sez. IX, 02.05.2019, C-309/18 – Lavorgna s.r.l., cit., Cons. Stato, Ad. plen., ordinanze, 28.10.2019 n. 11, n. 12 e n. 13 (oggetto della News US n. 121 dell’08.11.2019) ha ritenuto che, qualora in seguito a un rinvio pregiudiziale di interpretazione sollevato dal giudice amministrativo, sopraggiunga una decisione della Corte di giustizia UE che si pronunci sulla medesima questione, una volta accertato il venir meno dell’interesse e, quindi, la sopravvenuta irrilevanza della causa pregiudiziale, il giudice ritira la relativa domanda dandone comunicazione alla Corte di giustizia UE.
Nel caso di specie, ritenendo essere venuto meno l’interesse a ottenere una pronuncia pregiudiziale della Corte, ha ritirato la domanda di pronuncia pregiudiziale a norma dell’art. 100, comma primo, del Regolamento di procedura della Corte di giustizia (Reg. int. 25.09.2012), che prevede che “La Corte resta investita della domanda di pronuncia pregiudiziale fintantoché il giudice che ha adito la Corte non abbia ritirato la sua domanda. Il ritiro di una domanda può essere preso in considerazione sino alla notifica della data di pronuncia della sentenza agli interessati menzionati dall’articolo 23 dello statuto”;
      l) sull’onere di impugnare immediatamente clausole del bando direttamente escludenti si veda: Cons. Stato, Ad. plen., 26.04.2018, n. 4 (in Foro it., 2019, III, 67; oggetto della News US, in data 10.05.2018, alla quale si rinvia, oltre che per l’analisi della sentenza dell’Adunanza plenaria e dell’ordinanza di rimessione, per ulteriori approfondimenti, specie con riferimento alla casistica delle clausole immediatamente escludenti §§ da p) a w) e sulla impossibilità di configurare la tutela del c.d. interesse strumentale nell’attuale ordinamento amministrativo §§ da aa) a dd), secondo cui, tra l’altro:
         l1) “Le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura”;
         l2) l’art. 120, comma 5, c.p.a. prevedendo l’onere di immediata impugnazione del bando o dell’avviso di gara solo “in quanto autonomamente lesivo” va interpretato nell’unico senso possibile e cioè che tale eventualità sia ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il bando presenti clausole escludenti ma non che possa essere anche estesa a “tutte le clausole attinenti alle regole “formali” e “sostanziali” della gara” (pur prive di portata escludente) come invece prospettato dalla sezione rimettente, occorrendo a tal fine un intervento in chiave additiva della Corte costituzionale;
         l3) dall’espressa comminatoria di nullità delle clausole espulsive autonomamente previste dalla stazione appaltante (comma 1 bis dell'art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006 ed all’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016) non potrebbe trarsi alcun argomento a sostegno del superamento del consolidato orientamento in punto di necessità di impugnare le clausole non preclusive della partecipazione unitamente al provvedimento che rende certa ed invera la lesione ed anzi proprio il regime della nullità deporrebbe nel senso opposto stante il potere di disapplicazione della clausola ad opera della commissione di gara (come affermato da Cons. Stato, sez. V, 18.02.2013, n. 974 in Riv. giur. edilizia 2013, 2, I, 319) e della possibilità di farla valere in giudizio in ogni momento;
      m) sul tema specifico dei rapporti tra azione di nullità, clausole del bando violative del divieto di tassatività e azione di annullamento, si vedano:
         m1) Cons. Stato, Ad. plen., 25.02.2014, n. 9, non citata dalla decisione in commento (in Foro it., 2014, III, 429, con nota di SIGISMONDI, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti; Giurisdiz. amm., 2013, ant., 616; Foro amm., 2014, 387; Dir. proc. amm., 2014, 544, con nota di BERTONAZZI; Urbanistica e appalti, 2014, 1075 (m), con nota di FANTINI; Giornale dir. amm., 2014, 918 (m), con nota di FERRARA, BARTOLINI; Nuovo notiziario giur., 2014, 550, con nota di BARBIERI), secondo cui: “L'art. 46, 1º comma bis, d.leg. 12.04.2006 n. 163, introdotto dall'art. 4, 2º comma, lett. d), nn. 1 e 2, d.l. 13.05.2011 n. 70, conv. dalla l. 12.07.2011 n. 106, sulla tassatività delle cause di esclusione da una procedura di gara per appalti pubblici, non è norma di interpretazione autentica e pertanto si applica soltanto alle procedure i cui bandi o avvisi siano stati pubblicati dopo la sua entrata in vigore”; “Rispetto alle procedure di gara non disciplinate dal d.leg. 12.04.2006 n. 163, è illegittima la clausola del bando che commina l'esclusione per l'inosservanza di una prescrizione meramente formale”.
Nella sentenza si chiarisce (§ 6.1.5.), sotto l’egida di precedente normativa -i cui principi sono da ritenersi ancora attuali non essendo mutata, in parte qua, la disciplina sostanziale recata dal nuovo codice dei contratti pubblici- che l’art. 46 del codice all’epoca vigente deve essere inteso nel senso che l’esclusione dalla gara è disposta sia nel caso in cui il codice, la legge statale o il regolamento attuativo la comminino espressamente, sia nell’ipotesi in cui impongano «adempimenti doverosi» o introducano, comunque, «norme di divieto», pur senza prevedere espressamente l’esclusione ma sempre nella logica del numerus clausus.
Questa interpretazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, in forza della quale la tassatività può ritenersi rispettata anche quando la legge, pur non prevedendo espressamente l’esclusione, imponga, tuttavia, adempimenti doverosi o introduca norme di divieto, è stata espressamente affermata dall’adunanza plenaria nel senso della non necessità, ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, cod. contratti pubblici, che la sanzione della esclusione sia espressamente prevista dalla norma di legge allorquando sia certo il carattere imperativo del precetto che impone un determinato adempimento ai partecipanti ad una gara “La cogenza delle cause legali di esclusione disvela il carattere non solo formale del principio di tassatività —ovvero il suo atteggiarsi a enunciato esplicito della medesima causa di esclusione— ma anche e soprattutto la sua indole sostanziale: la riforma del 2011, infatti, ha inteso selezionare e valorizzare solo le cause di esclusione rilevanti per gli interessi in gioco, a quel punto imponendole, del tutto logicamente, come inderogabili non solo al concorrente ma anche alla stazione appaltante”.
Al § 6.2. si precisa ancora che, dopo aver individuato lo scopo, il contenuto e gli effetti del principio di tassatività delle cause di esclusione, la legge ha rafforzato la previsione testuale della nullità delle clausole difformi, “la sanzione della nullità, in luogo di quella classica dell’annullabilità dell’atto amministrativo, è riferita letteralmente alle singole clausole della legge di gara esorbitanti dai casi tipici; si dovrà fare applicazione, pertanto, dei principî in tema di nullità parziale e segnatamente dell’art. 1419, 2° comma, c.c., a tenore del quale la nullità di singole clausole non comporta la nullità dell’intero atto se le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, senza che si possa indagare sulla presenza di una difforme volontà della stazione appaltante di non adottare il bando privo della clausola nulla, ma fermo l’esercizio, ovviamente, degli ordinari poteri di autotutela”.
La nullità di tali clausole incide, pertanto, sul regime dei termini di impugnazione e sui meccanismi di rilievo di tale radicale forma di invalidità, atteso che la domanda di nullità si propone nel termine di decadenza più ampio e la nullità può essere eccepita dalla parte resistente ovvero rilevata d’ufficio dal giudice.
Al § 6.2.1. si precisa ancora che “in relazione alle gare disciplinate dal codice dei contratti pubblici si potranno quindi verificare le seguenti ipotesi: a) legge di gara che esplicitamente recepisce (o rinvia) (al)le disposizioni del codice dei contratti pubblici, del regolamento attuativo o di altre leggi statali, che prevedono adempimenti doverosi a pena di esclusione; in tal caso la violazione dell’obbligo conduce de plano all’esclusione dell’impresa; b) legge di gara silente sul punto; in tal caso la portata imperativa delle norme che prevedono tali adempimenti conduce, ai sensi dell’art. 1339 c.c., alla etero-integrazione del bando e successivamente, in caso di violazione dell’obbligo, all’esclusione del concorrente (cfr., sul punto, ad. plen. 05.07.2012, n. 26, id., Rep. 2012, voce cit., n. 1226; 13.06.2012, n. 22, ibid., n. 1225); c) legge di gara che, in violazione del principio di tassatività, introduce cause di esclusione non previste dal codice, dal regolamento attuativo o da altre leggi statali; in tal caso la clausola escludente è nulla, priva di efficacia e dunque disapplicabile da parte della stessa stazione appaltante ovvero da parte del giudice; d) legge di gara che, in violazione dei precetti inderogabili stabiliti a pena di esclusione dal codice, dal regolamento attuativo o da altre leggi statali, espressamente si pone in contrasto con essi ovvero detta una disciplina incompatibile; in tal caso occorre una impugnativa diretta della clausola invalida per poter dedurre utilmente l’esclusione dell’impresa che non abbia effettuato il relativo adempimento”;
         m2) con riferimento alla tassatività delle cause di esclusione Cons. Stato, Ad. plen., 05.07.2012, n. 26 (in Corriere merito, 2012, 969, con nota di CICCHESE; Riv. amm., 2012, 795; Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 77, con nota di RICCI), secondo cui “L'art. 37, 4º comma, del codice dei contratti pubblici n. 163 del 2006, nella parte in cui ha previsto che «nel caso di forniture o servizi nell'offerta devono essere specificate le parti del servizio che saranno eseguite dai singoli operatori riuniti o consorziati» si applica non solo quando si tratti di ati verticali, ma anche di ati orizzontali”;
         m3) in dottrina R. DE NICTOLIS, Appalti pubblici e concessioni, Bologna, 2020, p. 956;
      n) sull’avvalimento si vedano:
         n1) Corte di giustizia UE, 14.02.2019, C-710/17, Soc. coop. animazione Valdocco (in Foro amm., 2019, 187; oggetto della News US, n. 25 del 22.02.2019, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti) che ha dichiarato irricevibile un rinvio pregiudiziale, concernente l’ammissibilità dell’avvalimento da parte del progettista incaricato nei contratti pubblici di lavori, ricordando che, affinché una controversia in materia di appalti c.d. sotto soglia possa risultare rilevante per il diritto europeo, è necessaria la dimostrazione del c.d. interesse transfrontaliero certo.
Nel caso di specie, la controversia riguardava una gara, bandita nella vigenza del vecchio codice dei contratti (d.lgs. n. 163 del 2006), per la realizzazione di una centrale alimentata a biomasse per il teleriscaldamento di un centro abitato. La gara presentava un importo complessivo inferiore alla soglia comunitaria indicata dall’art. 7, lett. c), della direttiva n. 2004/18/CE, ed era stata aggiudicata ad un’impresa che proponeva un c.d. avvalimento a cascata: essa cioè, in sede di offerta, aveva indicato un progettista esterno il quale, a sua volta, e previa sua auto-qualificazione come “operatore economico”, avrebbe dovuto avvalersi delle capacità di un soggetto terzo ai sensi dell’art. 53, comma 3, prima parte, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo cui “Quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare nell'offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione”).
In primo grado, il Tar per il Friuli–Venezia Giulia, con sentenza 11.01.2013, n. 18, aveva respinto il ricorso presentato dall’impresa seconda classificata, sostenendo che, in applicazione dei “principi di livello europeo e nazionale, sulla base dell'articolo 49 del codice dei contratti e degli articoli 47 e 48 della direttiva del 31.03.2004 n. 2004/18/CE”, “l’avvalimento deve ritenersi ammesso anche a favore della figura del professionista che si incarica formalmente di eseguire la progettazione di determinati lavori”. In appello il Consiglio di Stato (con ordinanza 30.10.2017, n. 4982, in Foro amm., 2017, 2023, solo massima) ha rilevato che, secondo la prevalente giurisprudenza nazionale, il progettista esterno non è qualificabile come “operatore economico” ai sensi dell’art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, non essendogli di conseguenza consentito di far ricorso all’avvalimento.
Ha anche aggiunto, sul punto, che, “trattandosi di prestazione professionale, l’attività è incentrata sull’intuitus personae per cui la personalità della prestazione ha un particolare rilievo”; ed ha quindi ricordato che, secondo la giurisprudenza amministrativa, l’avvalimento è già una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione alla gara, sicché va permesso solo in ipotesi delineate rigorosamente, per garantire l’affidabilità, in executivis, del soggetto concorrente, con la conseguenza che “la fattispecie di avvalimento a cascata è non permessa, giacché elide quel necessario rapporto diretto tra ausiliaria e ausiliata, così allungando e indebolendo la catena giuridica che lega i vari soggetti, con riflessi effetti evidenti in punto di responsabilità solidale, per il soggetto ausiliato riguardo al soggetto ausiliario munito in via diretta dei requisiti da concedere”.
Il giudice d’appello ha pertanto ritenuto opportuno di sottoporre al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione “se sia compatibile con la pertinente normativa comunitaria (art. 48 della Direttiva 2004/18/CE del 31.03.2004 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi) una previsione come quella del già analizzato art. 53, comma 3, d.lgs. 16.04.2006, n. 163, che ammette alla partecipazione un’impresa con un progettista ‘indicato’, il quale, a sua volta, per prevalente giurisprudenza nazionale, non essendo concorrente, non può ricorrere all’avvalimento”;
         n2) la sentenza della Corte di giustizia UE, sez. I, del 14.09.2017, C-223/16, Casertana costruzioni s.r.l. (in Giur. it., 2017, 2458, con nota di GIUSTI; Urbanistica e appalti, 2018, 183, con nota di MANZI; Foro amm., 2017, 1780; Riv. trim. appalti, 2017, 1069; oggetto della News US in data 05.12.2017, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti e richiami sull’istituto dell’avvalimento e, in particolare, §§ da d) a j) per precedenti giurisprudenziali sul tema), secondo cui l’art. 47, par. 2, e l'art. 48, par. 3, della direttiva 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi,
devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che esclude la possibilità per l'operatore economico, che partecipa a una gara d'appalto, di sostituire un'impresa ausiliaria che ha perduto le qualificazioni richieste successivamente al deposito della sua offerta, e che determina l'esclusione automatica del suddetto operatore”.
Nella controversia sottoposta alla Corte era emersa la sopravvenuta perdita dei requisiti dell’impresa ausiliaria. Con l’ordinanza di rimessione la quarta sezione ricostruiva il possibile contrasto tra la normativa nazionale italiana e quella europea, laddove, mentre ammette che il concorrente possa avvalersi dei requisiti e attestazioni di altra impresa c.d. ausiliaria, non consente espressamente, che in caso di perdita o riduzione dei requisiti di partecipazione in capo all’impresa ausiliaria indicata essa possa essere sostituita con altra impresa.
Nell’impostare il ragionamento che ha portato alla soluzione di cui alla massima, la sentenza parte dalla constatazione del riconoscimento in via generale del sistema di avvalimento, cioè del diritto per ogni operatore economico di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura dei suoi legami con questi ultimi, purché dimostri all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari per l’esecuzione di tale appalto.
La sentenza ritiene che consentire, in modo imprevedibile, esclusivamente a un raggruppamento d’imprese di sostituire un’impresa terza che fa parte del raggruppamento, e che ha perduto una qualificazione richiesta a pena di esclusione, costituirebbe una modifica sostanziale dell’offerta e dell’identità stessa del raggruppamento. Una tale modifica dell’offerta, infatti, obbligherebbe l’amministrazione aggiudicatrice a procedere a nuovi controlli procurando un vantaggio competitivo a tale raggruppamento;
         n3) Cons. Stato, Ad. plen., 04.11.2016, n. 23 (in Guida al dir., 2017, fasc. 2, 50, con nota di PONTE; Foro amm., 2016, 2628; Urbanistica e appalti, 2017, 410, con nota di FIGUERA; Appalti & Contratti, 2017, fasc. 4, 100; Riv. amm., 2017, 261; oggetto della News US, in data 10.11.2016, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti, specie §§ da r) a v), con riferimento alla giurisprudenza in tema di avvalimento), secondo cui: “l’art. 49 d.leg. 12.04.2006 n. 163 e l'art. 88 d.p.r. 05.10.2010 n. 207, in relazione all'art. 47, par. 2, dir. 2004/18/Ce, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a un'interpretazione tale da configurare la nullità del contratto di avvalimento in ipotesi in cui una parte dell'oggetto del contratto di avvalimento, pur non essendo puntualmente determinata fosse tuttavia agevolmente determinabile dal tenore complessivo del documento, e ciò anche in applicazione degli art. 1346, 1363 e 1367 c.c.”.
Si precisa nella sentenza che l’istituto dell’avvalimento è stato introdotto nell’ordinamento nazionale in attuazione di puntuali prescrizioni dell’ordinamento UE e risulta volto a conseguire: l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici; il più facile accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici; trattandosi di obiettivi generali dell’ordinamento euro unitario (e sulla base dei generali canoni ermeneutici di matrice UE), grava sull’operatore nazionale l’obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale in senso conforme ad essi (c.d. criterio dell’interpretazione conforme) e di non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno; limitare -in casi eccezionali- la possibilità per gli operatori di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento.
Conseguentemente l’individuazione dell’oggetto del contratto di avvalimento non deve sottostare a requisiti ulteriori e più stringenti rispetto a quelli ordinariamente previsti per la generalità dei contratti ai sensi degli artt. 1325 e 1346 c.c.; sicché, al contenuto di tali disposizioni, ed all’interpretazione che ne è comunemente data, va riportato anche il compendio delle norme nazionali che disciplinano l’istituto dell’avvalimento (art. 88, d.P.R. n. 207 del 2010 e artt. 49 e 50 del d.lgs. n. 163 del 2006); poiché manca una norma nazionale (della cui legittimità dal punto di vista europeo sarebbe lecito dubitare) che imponga il requisito della determinatezza dell’oggetto del contratto di avvalimento, tale requisito non può essere introdotto in via esegetica sicché è ammissibile la determinabilità dello stesso sulla base degli ordinari criteri dell’ermeneutica contrattuale.
Neppure le sopravvenute disposizioni recate dal nuovo codice dei contratti pubblici (di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, di attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, in particolare art. 89, comunque inapplicabile ratione temporis) recano, in tema di avvalimento, disposizioni derogatorie e di maggior rigore in tema di determinabilità dell’oggetto del contratto. Non può trovare ingresso la teorica della c.d. forma-contenuto del contratto (incentrata sulla puntuale esplicitazione di taluni elementi del rapporto che rileverebbero ai fini della validità del contratto, rappresentandone in qualche misura il contenuto minimo essenziale con la conseguente comminatoria di forme di “nullità di protezione”), in quanto elaborata in base alle disposizioni normative che nel tempo hanno apprestato tutela al contraente debole per mitigare la situazione di asimmetria informativa in
cui normalmente versa; non si rinviene un’analoga ratio giustificatrice nel settore della contrattualistica pubblica, nel cui ambito agiscono operatori professionali. Il contratto di avvalimento è un contratto atipico (connotato dai caratteri del mandato, dell’appalto di servizi e della garanzia), normalmente oneroso (dovendo emergere anche indirettamente l’interesse patrimoniale della ausiliaria nel caso non sia previsto un corrispettivo espresso), in relazione al quale la forma scritta è prescritta ad substantiam ed è previsto l’obbligo per l’impresa ausiliaria di presentare un’apposita dichiarazione d’impegno circa la messa a disposizione dei requisiti e delle risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto nonostante il suo contenuto risulti in parte riproduttivo di quello proprio del contratto stesso di avvalimento;
         n4) sull’avvalimento in genere, sui requisiti suscettibili di avvalimento, sui divieti di avvalimento e sui rapporti tra avvalimento e SOA: R. DE NICTOLIS, op. ult. cit., 880 ss., 901 ss., in particolare l’A. rammenta che in base all’art. 83, comma 2, del codice dei contratti pubblici, in attesa del regolamento di cui all’art. 216, comma 27-octies, ivi previsto per disciplinare i rapporti fra avvalimento e SOA, in virtù della disciplina transitoria sancita dagli artt. 216, comma 14, e 217, lett. u), del codice, continua ad applicarsi l’art. 88 del vecchio regolamento n. 207 del 2010 che consentiva l’avvalimento al fine della qualificazione SOA solo ai rapporti infra gruppo; C. ZUCCHELLI, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLI e R. DE NICTOLIS, II, Soggetti, qualificazione, regole comuni alle procedure di gara, Milano, 2019, 1103 ss., 1162 ss., specie 1367 ss., dove l’A. conclude nel senso della permanente vigenza, nella fase transitoria, dell’art. 88 del vecchio regolamento del 2010 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza non definitiva 17.03.2020 n. 1920 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTIAll’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato se rientrino nel divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche, il divieto di avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89, d.lgs. n. 50 del 2016 – Esclusione – Configurabilità clausole vietate di esclusione c.d. atipiche - Rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
E’ rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione se rientrino nel divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, d.lgs. n. 50 del 2016, le prescrizioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89, d.lgs. n. 50 del 2016, precluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale; in particolare, se possa reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA (1).
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   (1) Ha ricordato la Sezione che le clausole del bando di gara riguardanti i requisiti di partecipazione alle procedure selettive vanno tempestivamente impugnate allorché, contenendo clausole impeditive dell’ammissione dell’interessato alla selezione, si configurino come escludenti, quindi idonee a generare una lesione immediata, diretta ed attuale, nella situazione soggettiva dell’interessato, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale i requisiti di partecipazione sono stati assunti come regole per l’amministrazione; tali sono tipicamente quelle legate a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara, esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento (Cons. Stato, Ad. Plen. 29.01.2003, n. 1 e, da ultimo, id., Ad. Plen., 26.04.2018, n. 4).
La regola è stata recepita dall’art. 120, comma 5, c.p.a., laddove sancisce l’onere della tempestiva impugnazione, nel termine di trenta giorni, decorrente dalla pubblicazione, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, qualora siano “autonomamente lesivi”.
La previsione della nullità testuale dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 impone tuttavia il coordinamento, sul piano processuale, dell’art. 120, comma 5, c.p.a. con l’art. 31, comma 4, dello stesso Codice, ponendo perciò la questione della prevalenza di quest’ultima disposizione ogniqualvolta la prescrizione della legge di gara, pur autonomamente ed immediatamente lesiva, in quanto riguardante requisiti soggettivi, sia riconducibile alla fattispecie di divieto di cause di esclusione atipiche.
Ancora, va considerato che lo stesso comma 8 dell’art. 83, d.lgs. n. 50 del 2016 assegna alle stazioni appaltanti il compito di indicare le condizioni di partecipazione richieste, con la facoltà di esprimerle come livelli minimi di capacità, tra cui rientra a pieno titolo il possesso di attestazione SOA (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza non definitiva 17.03.2020 n. 1920 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Affidamento diretto, sotto 40mila euro non c'è obbligo di motivare urgenza o necessità.
L'affidamento diretto nell'ambito dei 40mila euro (comma 2, lettera a) dell'articolo 36 del codice dei contratti) costituisce uno strumento ordinario a disposizione del Rup per le assegnazioni di micro importi che non esigono una motivazione specifica né devono essere fondate sull'urgenza.
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6. Con il quinto motivo sono state veicolate due ulteriori censure di legittimità avverso la determina di affidamento diretto della concessione.
Più nel dettaglio l’impugnata determina dirigenziale n. 913 del 2019 sarebbe illegittima in quanto il calcolo del valore della concessione sarebbe stato effettuato in violazione dell’art. 167 del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm. atteso che il valore della concessione non può essere parametrato, come invece avrebbe fatto il Comune, unicamente all’importo del canone concessorio non considerando il valore complessivo della concessione. Inoltre, secondo la ricorrente, non sussisterebbero le ragioni d’urgenza esternate dall’Amministrazione Comunale a giustificazione dell’affidamento diretto.
6.1 Nessuna delle due censure merita accoglimento.
Ai sensi dell’art. 167, comma 1, del D.Lgs. n. 50 del 2016 “il valore di una concessione, ai fini dell’art. 35, è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA”. Se, dunque, è certamente condivisibile l’assunto difensivo secondo cui la richiamata disposizione non fa riferimento, quale unico parametro di determinazione del valore del contratto, al canone concessorio, l’applicazione della stessa deve, tuttavia, tenere in considerazione le peculiari modalità con cui ha avuto luogo, nel caso in esame, l’aggiudicazione. Essa, infatti, è stata disposta in via diretta e del tutto interinale sicché, come riconosciuto dalla stessa ricorrente in senso alla memoria ex art. 73 c.p.a., non essendo predeterminata la durata del rapporto anche in ragione dell’obbligo dell’Amministrazione Comunale di indire una formale procedura di gara, risultava impossibile stimare puntualmente il valore del contratto al momento dell’indizione.
Una simile stima, del resto, andava effettuata dall’Amministrazione, secondo il dettato del comma 2 dello stesso art. 167, proprio al momento dell’avvio della procedura, quando tuttavia, per le ragioni già esposte, non poteva essere noto il fattore previsto al primo comma, della “durata del contratto”.
Va aggiunto, peraltro, che l’importo assai contenuto del canone concessorio lascia ritenere, pur a fronte della già evidenziata incertezza temporale del rapporto, che il valore complessivo si collocasse (e si collochi) -sicuramente- al di sotto della soglia legale di € 40.000 ex art. 36, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm..
6.2 Non sussiste, del pari, la lamentata violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm. per asserito difetto delle condizioni di urgenza che consentirebbero l’affidamento diretto.
La giurisprudenza ha, infatti, chiarito come fino all’importo massimo di € 40.000 previsto del già richiamato comma 2, lett. a), dell’art. 36, il legislatore ha ritagliato una specifica disciplina che costituisce un micro-sistema esaustivo ed autosufficiente che non necessita di particolari formalità e sulla quale i principi generali non determinano particolari limiti (si veda, in proposito, il parere reso dal Consiglio di Stato, 13.09.2016, n. 1903 sulle linee guida A.N.A.C. in materia di procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria).
Sicché nel caso dell’art. 36, comma 2, lett. a), si è “in presenza di una ipotesi specifica di affidamento diretto diversa ed aggiuntiva dalle ipotesi di procedura negoziata “diretta” prevista dall’art. 63 del Codice che impone invece una specifica motivazione e che l’assegnazione avvenga in modo perfettamente adesivo alle ipotesi predefinite dal legislatore (si pensi all’unico affidatario o alle oggettive situazioni di urgenza a pena di danno)” (così TAR Molise, sez. I, 14.09.2018, n. 533).
Ne consegue che, venendo in rilievo nel caso in esame una concessione di servizi di valore certamente inferiore alla soglia di € 40.000 ex art. 36, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm., l’Amministrazione Comunale resistente non aveva alcun obbligo di motivazione con riguardo alla ricorrenza di condizioni di urgenza o necessità.
Resta, in ogni caso, fermo l’obbligo in capo all’Amministrazione Comunale resistente di procedere tempestivamente all’indizione di una nuova procedura di gara per l’affidamento in via definitiva del servizio pubblico in parola (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 13.03.2020 n. 326 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: La modifica del codice unico di progetto.
Domanda
Rispetto a quanto inizialmente pensato dall’Amministrazione comunale in ordine ad interventi di manutenzione straordinaria su un immobile, si è resa la necessità di variare sensibilmente il progetto.
È necessario modificare il codice CUP inizialmente preso, quali sono le modalità?
Risposta
Il Codice Unico di Progetto (CUP) è un sistema di identificazione dei progetti di investimento pubblico
[1] per finalità di monitoraggio (Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici – MIP), nonché strumento per garantire la trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari.
Come si legge dal sito governativo di riferimento la richiesta del CUP è obbligatoria per gli interventi rientranti nel Quadro Strategico Nazionale (QSN), nella programmazione dei Fondi Europei, quali ad esempio Fondi strutturali e di investimento europei (ESIF) 2014-2020 e nel Fondo di Sviluppo e Coesione.
In generale il CUP deve essere richiesto per ciascun progetto rientrante nella “spesa per lo sviluppo”, ovvero quegli interventi che, indipendentemente dalla natura contabile di spese correnti o in conto capitale, apportano miglioramenti funzionali o strutturali all’ente, o ne aumentano il patrimonio, oppure sono finanziati con risorse comunitarie o con fondi FAS.
Al contrario le spese propriamente gestionali che sono finalizzate all’ordinario funzionamento dell’amministrazione non prevedono la richiesta del CUP (es. sostituzione di alcuni arredi o computer obsoleti).
Quello che rileva quindi è il fine, l’obiettivo che con tale prestazione si vuole conseguire. In particolare, tra i principali progetti di investimento pubblico rientrano:
   • i lavori pubblici
[2];
   • gli incentivi a favore di attività produttive (es. incentivo a favore di un’azienda per la costruzione di un capannone o per l’ammodernamento degli impianti, per progetti di formazione, per progetti di ricerca finalizzati a migliorare la gestione, ecc.);
   • i contributi a favore di soggetti privati, diversi da attività produttive (es. aiuti ai cittadini proprietari di immobili danneggiati da eventi catastrofali, ecc.);
   • la realizzazione di servizi (es. affidamento di un servizio di ricerca finalizzato allo studio della qualità dell’aria nel territorio di propria competenza, realizzazione di manifestazione finalizzate allo sviluppo turistico di una zona ecc.)
   • l’acquisto di beni (es. acquisto di beni durevoli che vanno registrati al patrimonio dell’Ente, ammodernamento della strumentazione della PA, acquisto di arredi o materiale informatico per una scuola, ecc.).
Con riferimento alla modifica delle informazioni collegate al CUP una volta generato, si segnala:
   • che entro le 72 ore successive alla richiesta del CUP, è possibile procedere direttamente mediante la funzione Modifica CUP presente nel menù “Gestione”;
   • trascorse le 72 ore, la correzione richiede l’intervento della Struttura di supporto CUP (Invio Richiesta Modifica CUP” all’interno dell’area Comunicazioni nel menù “Messaggi”).
In particolare per quanto attiene al quesito, trattandosi di una modifica sostanziale di un progetto, il RUP dovrà procedere alla cancellazione del codice CUP originario sulla base delle seguenti passaggi:
   • richiesta di nuovo codice CUP;
   • inserimento della dicitura “intervento sostitutivo del CUP “………”” nel campo ALTRO della III maschera di richiesta del codice;
   • richiesta di cancellazione del precedente CUP tramite l’apposita funzione “Invio Richiesta Modifica CUP” presente all’interno dell’area Comunicazioni nel menù “Messaggi” (nel testo del messaggio dovrà essere specificato il riferimento del nuovo CUP valido che sostituisce il precedente);
   • attendere notifica di avvenuta cancellazione del vecchio codice.
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[1] L’art. 11 della legge 3/2003 stabilisce che il CUP deve essere richiesto per ogni progetto di investimento pubblico senza indicare un tetto minimo di spesa.
[2] Cfr. Linee Guida elaborate dal Gruppo di Lavoro ITACA per la manutenzione ordinaria si tratta di una facoltà
(11.03.2020 - link a www.publika.it).

APPALTIFatturato specifico maturato dall’operatore economico come espressione di capacità tecnica.
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Processo amministrativo – Rito appalti – Rito super accelerato – Violazione principi europei – Esclusione.
  
Contratti della Pubblica amministrazione - Requisiti di partecipazione - Fatturato specifico maturato dall’operatore economico – Individuazione.
  
Processo amministrativo – Rito appalti – Aggiudicazione – Impugnazione – Interesse a ricorrere – Condizione.
  
In applicazione dei principi espressi dalla Corte di giustizia UE con sentenza del 14.02.2019, n. 54, l’onere di immediata impugnazione del provvedimento recante le ammissioni e le esclusioni dei concorrenti non lede di per sé il diritto di difesa dell’operatore economico, ma questi deve essere messo in grado di conoscere agevolmente tutti gli elementi necessari per verificare la correttezza dell’operato della stazione appaltante; né d’altro canto è possibile riversare sulla stessa ditta che ha partecipato alla gara eventuali lacune informative ponendo a suo carico l’onere di formalizzare un’istanza di accesso ai documenti presentati dalle controinteressate, dal momento che i suddetti oneri informativi, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 29, d.lgs. n. 50 del 2016 e 120, comma 2-bis, c.p.a. e per come integrati dalla citata pronuncia del giudice comunitario, gravano in via esclusiva sulla stazione appaltante (1).
  
La definizione della natura del fatturato specifico maturato dall’operatore economico come espressione di capacità tecnica va effettuata in stretta aderenza alle prescrizioni letterali della disciplina di gara ove contenente un’espressa qualificazione in tal senso non riducibile a mera espressione formale priva di significato precettivo.
In siffatte evenienze l’avvalimento ha natura di avvalimento c.d. tecnico–operativo occorrendo, dunque, che vi sia stata effettivamente una concreta ed adeguata messa a disposizione di risorse determinate affinché l’impegno dell’ausiliario possa dirsi effettivo ed evitare, così, che l’avvalimento si trasformi in una sorta di “scatola vuota” (2).
  
Nel processo amministrativo la sussistenza dell'interesse implica la necessità che lo stesso sia valutato in concreto, al fine di accertare l'effettiva utilità che può derivare al ricorrente dall'annullamento degli atti impugnati, così che deve essere dichiarata inammissibile per carenza di interesse l'impugnazione dell'aggiudicazione di una gara pubblica, non afferente ad aspetti sostanziali o formali mirati alla rinnovazione della gara stessa, se da una verifica a priori (c.d. prova di resistenza) non risulti con sufficiente sicurezza che l'impresa ricorrente possa risultare aggiudicataria in caso di accoglimento del ricorso.
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   1) Ha chiarito la Sezione che è proprio la compressione dei tempi per l’esercizio del diritto di difesa, prevista dal particolare rito, a giustificare in questo caso uno spostamento in capo alla stazione appaltante dell’onere di rendere conoscibili non solo gli effetti dispositivi degli atti di gara, ma anche gli elementi fattuali e giuridici presupposti necessari per valutare consapevolmente l’esistenza di eventuali profili di illegittimità ed articolare efficacemente le relative censure.
La stessa Sezione terza (22.01.2020, n. 546), LINK in una vicenda analoga a quella qui in rilievo, ha già di recente evidenziato che è proprio la compressione dei tempi per l’esercizio del diritto di difesa, prevista dal particolare rito, a giustificare in questo caso uno spostamento in capo alla stazione appaltante dell’onere di rendere conoscibili non solo gli effetti dispositivi degli atti di gara, ma anche gli elementi fattuali e giuridici presupposti (necessari per valutare consapevolmente l’esistenza di eventuali profili di illegittimità, ed articolare efficacemente le relative censure).
Il punto di equilibrio fra esigenze di celerità e tutela comunque del diritto di difesa è stato infatti individuato dalla Corte di Giustizia nella necessità che l’effettività di tale diritto venga garantita almeno da una adeguata e tempestiva conoscenza di tali elementi: di talché la dequotazione dell’accesso non è irragionevole, ma funzionale a garantire il complesso assetto su cui si fonda la compatibilità del rito con le garanzie rimediali imposte dal diritto dell’U.E..
   (2) Ha ricordato la Sezione che sono state prospettate in dottrina e giurisprudenza tesi contrapposte in ordine al corretto inquadramento dei requisiti di partecipazione concernenti il fatturato pregresso dell’operatore economico, proprio con riguardo ai suoi possibili riflessi sulla disciplina dell’avvalimento.
Da un lato, si è sostenuto che il fatturato serve a dimostrare essenzialmente l’adeguata dimensione economica dell’impresa esecutrice: pertanto, in caso di avvalimento, sarebbe sufficiente dimostrare che l’ausiliaria si sia impegnata a mettere a disposizione dell’appaltatore la propria acquisita capacità finanziaria, in particolare nei casi in cui occorra garantire la stazione appaltante dei possibili rischi collegati ai profili economici dell’appalto. Secondo questo punto di vista, l’ausiliaria non si obbliga a fornire mezzi materiali all’esecutore, ma solo a mettere a disposizione la propria affidabilità economica: il contratto di avvalimento ha per oggetto questo elemento, puntualmente determinato.
Dal lato opposto, si è evidenziato che il fatturato non ha solo una valenza economica, ma delinea la dimensione tecnica dell’impresa e la sua reale presenza sul mercato. In tale ottica, in caso di avvalimento, l’ausiliaria deve obbligarsi a conferire all’appaltatore adeguate risorse del proprio apparato produttivo, precisamente indicate nel contratto di avvalimento.
La giurisprudenza di settore ricostruisce su basi differenti il regime dell’uno e dell’altro contratto: nel caso di avvalimento c.d. “tecnico od operativo”, prevale l’esigenza di definire in modo concreto le risorse ed i mezzi messi a disposizioni dall’ausiliaria; viceversa, nel caso dell'avvalimento c.d. “di garanzia”, l’impresa ausiliaria si limita a mettere a disposizione il suo valore aggiunto in termini di solidità economico-finanziaria, di talché non è necessario, in linea di massima, che la dichiarazione negoziale costitutiva dell'impegno contrattuale rechi l’indicazione specifica di indici materiali atti a esprimere una certa e determinata consistenza patrimoniale, essendo sufficiente inferire dalla ridetta dichiarazione l'impegno contrattuale a mettere a disposizione dell’ausiliata la propria complessiva solidità finanziaria così garantendo una determinata affidabilità e un concreto supplemento di responsabilità (Cons. St., sez. V, 25.07.2019, n. 5257; id. 14.06.2019, n. 4024; id. 30.10.2017, n. 4973; id., sez. III, 11.07.2017, n. 3422; id., sez. V, 15.03.2016, n. 1032; id. 22.12.2016, n. 5423).
Si è poi fatto strada un ulteriore orientamento che ritiene dirimente l’esame degli atti di gara per stabilire le finalità assegnate dalla stazione appaltante al suo possesso: segnatamente, occorrerebbe stabilire se il fatturato specifico sia in funzione di una certa solidità economico–finanziaria dell’operatore economico –per aver, dai pregressi servizi, ottenuto ricavi da porre a garanzia delle obbligazioni da assumere con il contratto d’appalto- ovvero della capacità tecnica, per aver già utilmente impiegato, nelle pregresse esperienze lavorative, la propria organizzazione aziendale e le competenze tecniche a disposizione (Cons. St., sez. V, 02.09.2019, n. 6066; id., sez. III, 10.07.2019, n. 4866; id., sez. V, 19.07.2018, n. 4396).
   (3) E’, invero, ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui è necessario dare adeguata dimostrazione della cd. prova di resistenza per comprovare la sussistenza dell’interesse al ricorso che, come è noto, costituisce condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c..
In linea generale, la verifica della sussistenza dell'interesse all'impugnativa deve manifestare la sua concretezza, nel senso che l'annullamento degli atti gravati deve risultare idoneo ad arrecare al ricorrente un'effettiva utilità.
Invero, nel processo amministrativo la sussistenza dell'interesse implica la necessità che lo stesso sia valutato in concreto, al fine di accertare l'effettiva utilità che può derivare al ricorrente dall'annullamento degli atti impugnati, così che deve essere dichiarata inammissibile (art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a.) per carenza di interesse l'impugnazione dell'aggiudicazione di una gara pubblica, non afferente ad aspetti sostanziali o formali mirati alla rinnovazione della gara stessa, se da una verifica a priori (c.d. prova di resistenza) non risulti con sufficiente sicurezza che l'impresa ricorrente possa risultare aggiudicataria in caso di accoglimento del ricorso (Cons. St., sez. V, 14.04.2016, n. 1495; id., sez. III, 17.12.2015, n. 5696; id. 08.09.2015, n. 4209; id. 05.02.2014, n. 571) (
Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 09.03.2020 n. 1704 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Principio di rotazione.
Il principio di rotazione deve essere bilanciato con il principio di concorrenza. Pertanto, la rotazione può essere considerata necessaria solo quando i posti disponibili per l’invito alla gara siano limitati a causa di ragioni oggettive, o quando l’invito sia la conseguenza di una prequalificazione gestita dalla stazione appaltante secondo valutazioni discrezionali, ad esempio attraverso un’indagine di mercato orientata da criteri selettivi.
In questi casi, l’esclusione dei precedenti aggiudicatari e dei soggetti economici già invitati è utile, in quanto impedisce la formazione di una rendita di posizione, e libera la stazione appaltante dai legami e dai condizionamenti derivanti dai rapporti pregressi, livellando il terreno della competizione.
Se non vi sono le esigenze sopra descritte, l’esclusione dei precedenti aggiudicatari e dei soggetti economici già invitati non aggiunge efficienza al mercato, ma sottrae opzioni alla stazione appaltante.
Quando l’arrivo un concorrente marginale non comporta problemi di gestibilità della procedura, perché la partecipazione è aperta a tutti i soggetti in possesso di determinati requisiti, senza necessità di una preventiva selezione, i rapporti intrattenuti in passato da alcuni soggetti con la stazione appaltante risultano inevitabilmente diluiti, e in definitiva perdono ogni capacità di interferenza nella nuova gara
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.03.2020 n. 209 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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Sul ricorso incidentale
38. Nel ricorso incidentale le cooperative Il Nu.–Co. lamentano la violazione del principio di rotazione codificato nell’art. 36, comma 1, del Dlgs. 50/2016, in quanto la cooperativa S. Lu., essendo il gestore uscente, non avrebbe potuto partecipare alla gara, o avrebbe potuto partecipare solo sulla base di una specifica motivazione della stazione appaltante, che però non è stata fornita.
39. La tesi non appare condivisibile.
Il principio di rotazione deve essere bilanciato con il principio di concorrenza. Pertanto, la rotazione può essere considerata necessaria solo quando i posti disponibili per l’invito alla gara siano limitati a causa di ragioni oggettive, o quando l’invito sia la conseguenza di una prequalificazione gestita dalla stazione appaltante secondo valutazioni discrezionali, ad esempio attraverso un’indagine di mercato orientata da criteri selettivi. In questi casi, l’esclusione dei precedenti aggiudicatari e dei soggetti economici già invitati è utile, in quanto impedisce la formazione di una rendita di posizione, e libera la stazione appaltante dai legami e dai condizionamenti derivanti dai rapporti pregressi, livellando il terreno della competizione.
40. Se non vi sono le esigenze sopra descritte, l’esclusione dei precedenti aggiudicatari e dei soggetti economici già invitati non aggiunge efficienza al mercato, ma sottrae opzioni alla stazione appaltante. Quando l’arrivo un concorrente marginale non comporta problemi di gestibilità della procedura, perché la partecipazione è aperta a tutti i soggetti in possesso di determinati requisiti, senza necessità di una preventiva selezione, i rapporti intrattenuti in passato da alcuni soggetti con la stazione appaltante risultano inevitabilmente diluiti, e in definitiva perdono ogni capacità di interferenza nella nuova gara.
41. Nello specifico, il Comune aveva già disciplinato le condizioni di ottimale gestibilità della procedura attraverso l’avviso esplorativo per la manifestazione interesse, riservato alle cooperative sociali di tipo B (v. doc. 1). In particolare, nell’avviso esplorativo è stata fissata la soglia di cinque concorrenti. Solo al di sopra di tale soglia era prevista l’applicazione del principio di rotazione (“Qualora il numero degli operatori economici che manifestassero il proprio interesse a partecipare alla procedura fosse superiore al numero di 5 [cinque], i candidati verranno individuati mediante scelta motivata del responsabile unico del procedimento e/o sorteggio nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione”).
42. Poiché alla gara hanno partecipato solo due soggetti, compreso il gestore uscente, non vi erano ragioni di interesse pubblico legate alla gestione dalla procedura che imponessero la limitazione del numero dei concorrenti. Non vi erano neppure problemi di prequalificazione, in quanto la condizione di cooperativa sociale di tipo B non richiedeva alcuna valutazione discrezionale. Sussisteva invece un evidente interesse pubblico ad ammettere più di un soggetto, per conseguire i vantaggi della competizione.

APPALTI: Dichiarazioni false o fuorvianti rese in procedure di gara.
In materia di false o fuorvianti dichiarazioni rese in procedure di gara “l’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei contratti pubblici non è riferito alle false dichiarazioni rese in procedure concorsuali non in corso e, quindi, già svoltesi, ma, al contrario, si riferisce alle “informazioni false o fuorvianti” ovvero all’omissione di “informazioni dovute” nei confronti della stazione appaltante nella procedura di gara in corso: ne consegue che il rilievo ostativo alla partecipazione non deriva certo dall’aver reso “false dichiarazioni in precedenti gare”, ma dal rendere, nella gara in corso, dichiarazioni false o fuorvianti, ovvero dall’omettere dichiarazioni dovute” (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 05.03.20 n. 428 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
2.5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce che il RTI aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso per aver omesso di dichiarare un provvedimento di esclusione adottato nei suoi confronti dal Ministero dell’Interno in relazione ad altra gara, per un non allineamento del fatturato specifico comprovato dalla mandante Sa.Ca. S.r.l. rispetto a quello dalla stessa dichiarato.
2.5.1. La censura non convince.
Al riguardo è sufficiente rilevare che:
   - come già visto sopra, la procedura di cui è causa è disciplinata dal d.lgs. n. 163/2006;
   - il RTI aggiudicatario non poteva essere escluso ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. h), del citato d.lgs. n. 163/2006, in quanto tale norma stabiliva che, in caso di falsa dichiarazione, l’esclusione fosse conseguenza dell’iscrizione nel casellario informatico intervenuta a seguito di specifico procedimento di valutazione da parte dell’ANAC, circostanza non riscontrabile nella fattispecie;
   - il controinteressato non poteva essere escluso nemmeno ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006, dovendosi riferire tale norma ai soli inadempimenti e alle condotte negligenti commessi nell’esecuzione di un contratto pubblico, e non ai fatti, anche illeciti, occorsi nella prodromica procedura di affidamento (ex multis, C.d.S., Sez. V, n. 722/2018; id., n. 5704/2017);
   - anche a voler ritenere applicabile alla gara di cui è causa il d.lgs. n. 50/2016, l’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei contratti pubblici non è riferito alle false dichiarazioni rese in procedure concorsuali non in corso e, quindi, già svoltesi, ma, al contrario, si riferisce alle “informazioni false o fuorvianti” ovvero all’omissione di “informazioni dovute” nei confronti della stazione appaltante nella procedura di gara in corso: ne consegue che il rilievo ostativo alla partecipazione non deriva certo dall’aver reso “false dichiarazioni in precedenti gare”, ma dal rendere, nella gara in corso, dichiarazioni false o fuorvianti, ovvero dall’omettere dichiarazioni dovute (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 6490/2019; id., n. 6576/2018).

APPALTI: Il quinto d’obbligo e la richiesta del CIG.
Domanda
Nel caso di un servizio biennale, eventualmente rinnovabile, con previsione nella lex specialis del quinto d’obbligo di cui all’art. 106, co. 12, del codice, è necessario considerare il 20% nella determinazione del valore ai fini della richiesta del CIG?
Risposta
Il TAR Milano nella sentenza n. 284 del 10.02.2020, diversamente dai giudici campani (TAR Napoli, sentenza n. 5380/2018), da una lettura dell’art. 106, co. 12, del codice, in linea con la posizione assunta da ANAC nella relazione AIR al bando tipo n. 1/2017.
L’art. 106, co. 12, testualmente recita “La stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione delle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto”.
Secondo i giudici lombardi tale noma definisce il c.d. “quinto obbligo” come una prestazione aggiuntiva rispetto al contratto originario, che costituisce una sopravvenienza. Essa quindi si sottrae alla previsione dell’art. 35, co. 4
[1], del codice dei contratti, il quale fa riferimento a clausole già previste al momento della predisposizione degli atti di gara, ed in questa in sede inserite per effetto di una scelta discrezionale della stazione appaltate, ma rimesse, nella loro concreta applicazione ad una successiva valutazione facoltativa dell’amministrazione.
Ricostruzione che, secondo i magistrati, trova conferma nella collocazione del c.d. quinto d’obbligo nelle modifiche contrattuali, oggetto di variante, quale diritto potestativo che ha fonte legale e non negoziale, che si innesta ab externo nel contratto il cui valore può essere ridotto o incrementato per effetto di scelte operate solo ex post dalla stazione appaltante.
Proseguono affermando che nessuna norma del codice, e tanto meno l’art. 106, co. 12, stabilisce che il “quinto d’obbligo” assuma rilevanza in ordine alla determinazione del valore della gara. Si tratta infatti di un meccanismo che opera ex lege, indipendentemente dal mero richiamo o meno nella lex specialis di gara, che non presentando il carattere dell’opzione non incide sul valore complessivo dell’appalto, e non deve necessariamente rientrare ai fini della richiesta del CIG.
Queste considerazioni tuttavia non precludono, la possibilità di riportare all’interno del bando il quinto come opzione, oppure una percentuale superiore, ai sensi della lettera a) dell’art. 106 del codice, e quindi mediante una clausola chiara, precisa e inequivocabile. Operazione che ci permette di avere un CIG capiente ed evitare i ben noti problemi di sforamento del valore in caso di rendicontazione.
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[1] Il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è basato sull’importo totale pagabile, al netto dell’IVA, valutato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. Il calcolo tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di eventuali opzioni o rinnovi del contratto esplicitamente stabiliti nei documenti di gara. Quando l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore prevedono premi o pagamenti per i candidati o gli offerenti, ne tengono conto nel calcolo del valore stimato dell’appalto (04.03.2020 - link a www.publika.it).

febbraio 2020

APPALTII poteri del RUP non dirigente/responsabile del servizio.
Domanda
Nel nostro ente (un comune) privo di dirigenti, si sta ponendo la questione dei poteri del RUP (normalmente una categoria D a volte non coincidente con il responsabile del servizio con funzioni gestionali), alla luce di quanto viene espresso in giurisprudenza secondo cui, a titolo esemplificativo, il provvedimento di esclusione dall’appalto compete al responsabile unico del procedimento anche se questo soggetto non coincide con il titolare dei poteri dirigenziali (nel nostro ente assegnati con provvedimento del sindaco ex art. 109 del TUEL).
In tale contesto, è possibile specificare nel bando di gara che i provvedimenti di esclusione verranno adottati direttamente dal responsabile del servizio su proposta del RUP? Oppure in che modo l’ente potrebbe disciplinare questi aspetti nella legge di gara?
Risposta
La tematica prende spunto, evidentemente, dalla recente giurisprudenza e dalla posizione espressa dall’ANAC (finanche nei bandi tipo oltre che nelle linee guida n. 3) di cui si è già parlato. E sul tema, chi scrive, ha avuto modo già di evidenziare la particolarità di un preteso potere attribuito anche al RUP non dirigente e non responsabile del servizio di adottare atti a valenza esterna pur non avendo la competenza esplicita e nonostante il chiaro dettato normativo di cui all’articolo 6 della legge 241/1990 ex art. 6, comma 1, lett. e) che –testualmente– puntualizza che nel caso in cui il responsabile del procedimento non abbia la competenza ad adottare il provvedimento a valenza esterna deve limitarsi a predisporre la proposta per il proprio responsabile di servizio.
Quest’ultimo, sempre in base alla norma in commento, potrà finanche discostarsi dalla proposta ma motivando adeguatamente le ragioni anche per un problema di responsabilità. È chiaro che la decisione di agire diversamente rispetto a quanto proposto dal responsabile del procedimento deve avere una adeguata “tracciatura” per evitare che quest’ultimo risponda per una decisione (contraria alla propria proposta) assunta dal proprio responsabile di servizio.
In tempi recentissimi sul tema dei poteri del RUP a valenza esterna a prescindere dalla circostanza che sia o meno un responsabile di servizio e/o dirigente si è espresso il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 1104/2020.
Il giudice di Palazzo Spada non manifesta alcuna perplessità nel ritenere che i provvedimenti di esclusione debbano essere adottati dal RUP a prescindere dalla qualifica/categoria di appartenenza. Ad esempio, nel caso di specie il RUP era un istruttore direttivo (cat. D) neanche responsabile del servizio visto che lo stesso è rimesso ad un dirigente.
Ciò nonostante, come da giurisprudenza costante (e, si ripete, secondo la prassi dell’ANAC) la statuizione è stata nel senso che i provvedimenti in parola sono di competenza del RUP.
È chiaro che, nell’ambito di una stazione appaltante priva di dirigenti e nel caso in cui il RUP non coincida neppure con il responsabile del servizio con poteri a valenza esterna, la questione può determinare non poche problematiche soprattutto per la “scarsa” propensione del RUP ad adottare provvedimenti a valenza esterna che, evidentemente, implicano gravose responsabilità.
Fermo restando che la posizione giurisprudenziale è quella appena espressa ovvero che il RUP è tenuto ad adottare i provvedimenti a valenza esterna (ammissioni, esclusioni, aggiudicazioni senza impegno di spesa), si può ritenere –a parere di chi scrive– che probabilmente la legge di gara potrebbe chiarire questo passaggio rimettendo il potere di adottare il provvedimento esterno direttamente in capo al responsabile del servizio piuttosto che al RUP.
La circostanza che ciò risulti esplicitamente chiarito potrebbe essere valutata nell’interpretazione secondo cui la responsabilità del RUP è di tipo residuale ovvero si estende ad una serie di atti (quelli appena sintetizzati) solo quando non sia stati espressamente attribuiti ad altri soggetti (art. 31 del codice dei contratti).
Rimane fermo che –a fronte della giurisprudenza che rimette le incombenze estromissive al RUP (ritenendo, ad esempio, come nel caso della sentenza ultima citata del CdS che l’esclusione comminata dalla commissione di gara –dal presidente– sia illegittima)– è necessario un chiaro intervento del legislatore o dell’ANAC per chiarire il passaggio anzidetto ovvero: se il RUP non è dirigente/responsabile del servizio può adottare atti a valenza esterna? Soprattutto negli enti locali (26.02.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI FORNITURENuove categorie merceologiche soggette ad obbligo di centralizzazione.
Domanda
È possibile acquistare un’autovettura da destinare ai vari settori comunali mediante richiesta di preventivi alle concessionarie di zona?
Risposta
Con riferimento al quesito in premessa occorre richiamare il comma 581 della legge finanziaria 2020, che intervenire sull’art. 1, co. 7, del d.l. 95/2012, con l’obiettivo di rafforzare la centralizzazione e aggregazione di quelle committenze che presentano caratteristiche standardizzabili e rilevanti economicamente.
Il citato art. 1, co. 7, prevede l’obbligo di approvvigionamento attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge 27.12.2006, n. 296, ovvero mediante autonome procedure nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati.
Autonomia di acquisto che presuppone il rispetto del benchmark, ovvero i parametri di qualità-prezzo delle convenzioni quadro come limiti massimi per l’acquisto di beni e servizi comparabili (art. 26, l 488/1999, art. 1, co. 449-455-456, l. 296/2006).
Obbligo inizialmente previsto per alcune categorie merceologiche, quali, energia elettrica e gas, carburanti rete ed extra rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e mobile, buoni pasto (D.M. 22.12.2015), viene con la finanziaria 2020 esteso alle seguenti categorie di veicoli:
   • Autovetture (art. 54, co. 1, lett. a) del d.lgs. 285/1992 C.d.S. (veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo nove posti, compreso quello del conducente);
   • Autobus (art. 54, co. 1, lett. b) del d.lgs. 285/1992, (veicoli destinati al trasporto di persone equipaggiati con più di nove posti compreso quello del conducente), ad eccezione di quelli per il servizio di linea per trasporto di persone;
   • Autoveicoli per trasporto promiscuo (art. 54, co. 1, lett. c) del d.lgs. 285/1992, (veicoli aventi una massa complessiva a pieno carico non superiore a 3,5 t. o 4,5 t. se a trazione elettrica o a batteria, destinati al trasporto di persone e di cose e capaci di contenere al massimo nove posti compreso quello del conducente);
   • Autoveicoli e motoveicoli per le forze di polizia e autoveicoli blindati (altre tipologie di veicoli non sono state ritenute standardizzabili in quanto soggette a specifiche personalizzazioni da parte delle PA).
In presenza di queste tipologie merceologiche l’Amministrazione, indipendentemente dall’importo, potrà:
   • Aderire ad una Convenzione/Accordo quadro Consip/Centrale di committenza regionale
   • Utilizzare il Mepa o altro Strumento telematico di negoziazione della Centrale di Committenza Regionale.
Nel caso di specie qualora presente una convenzione attiva la stazione appaltante avrà la possibilità, almeno nell’infra 40.000,00 euro, di affidare direttamente, previa richiesta di preventivi alle concessionarie locali, a condizione che si rispetti il benchmark della convenzione, e che si utilizzino comunque gli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione da Consip o dalla Centrale di Committenza Regionale (19.02.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: La gara nell’ambito dei 40mila euro e l’esigenza di rispettare l’evidenza pubblica.
Domanda
Con numerosi quesiti, spesso, viene posta la questione dell’affidamento diretto entro i 40mila euro e della necessità (o meno) di una particolare motivazione soprattutto ora alla luce delle drastiche modifiche apportate all’articolo 36 del codice ed alla introduzione delle fattispecie di affidamento diretto previa consultazione di preventivi, per i servizi e per le forniture, fino al sopra soglia comunitaria che legittimerebbero il RUP ad agire discrezionalmente sugli inviti.
Risposta
Come si è rilevato in altre circostanze, la previsione dell’affidamento diretto “puro” entro i 40mila euro, tanto per forniture/servizi/lavori è una fattispecie introdotta dal legislatore che ha cercato –in questo modo– di conciliare i principi classici della trasparenza/oggettività con l’esigenza di assicurare l’assegnazione del micro-appalto in modo tempestivo.
In sostanza, in relazione ad affidamenti di importo contenuto, il legislatore ha effettuato una “prevalutazione” ritenendo preferibile far “retrocedere” –come importanza/intensità– i principi classici dell’evidenza pubblica (rigorosissimi) facendo prevalere il fattore “tempo di esperimento della procedura”. In certi casi, evidentemente, la celerità della procedura e, soprattutto, l’utilizzo di contenuti/contingentati strumenti istruttori rappresenta un valore aggiunto. Soprattutto, come detto, in relazione ai micro-appalti.
Non può sfuggire, anche ad un RUP inesperto, che avviare una autentica gara (ad esempio con bando pubblico) per aggiudicare una commessa di importi contenuti (es. 20mila) rappresenta sicuramente un aggravio di procedura. Non si può negare che l’obiettivo dell’assegnazione della commessa verrebbe raggiunto con un “costo” della stazione appaltante, in termini di tempo e di risorse finanziarie, inaccettabile/spropositato.
Per contemperare, quindi, le diverse esigenze il legislatore ha ipotizzato il c.d. affidamento diretto “puro”. Puro nel senso che –come esplicitato con il decreto correttivo 56/2017– il RUP non ha alcuna necessità di far competere più operatori e/o di richiedere più preventivi. E, a ben vedere, neppure l’obbligo di effettuare una indagine di mercato (peraltro sempre consigliabile).
Nel caso di specie, pertanto, di affidamento nell’ambito dei 40mila euro, la motivazione può essere esplicitata, in primo luogo con riferimento al dato normativo, in secondo luogo con le sottolineature che lo strumento dell’affidamento diretto appare congeniale alle necessità di speditezza dell’affidamento e che lo stesso avviene nel rigoroso rispetto della rotazione.
Come già ampiamente ribadito, il RUP non può prescindere –soprattutto nell’affidamento diretto– dal rispetto rigoroso della rotazione. Il riaffido diretto dell’appalto al precedente affidatario richiede una motivazione talmente circostanziata che, oggettivamente, il riaffido deve essere limitato ad ipotesi realmente necessarie in assenza di ogni alternativa.
Un problema di motivazione e di strutturazione corretta del procedimento amministrativo si impone, evidentemente, qualora il RUP decidesse –pur nell’ambito dei 40mila euro– di utilizzare un procedimento diverso dall’affidamento diretto valutando l’opportunità di richiedere e confrontare più preventivi.
In questo caso, il RUP non si può esimere dal rispetto massimo dei principi classici riconducibili all’evidenza pubblica a pena di illegittimità degli atti compiuti.
In tema si può citare la recentissima sentenza del Tar Basilicata, Potenza, sez. I, n. 79/2020 in cui –testualmente– si legge che “nelle gare (…)” ovvero nel caso di utilizzo di una gara vera e propria piuttosto che dell’affidamento diretto, “relative agli appalti di importo inferiore a € 40.000,00, devono essere garantiti i principi di non discriminazione e di trasparenza di cui all’art. 30, comma 1, D.Lg.vo n. 50/2016, espressamente richiamati dall’art. 36, comma 1, dello stesso D.Lg.vo n. 50/2016, che disciplina i contratti di appalto sotto soglia (...)” (12.02.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Distinzione delle offerte migliorative dalle varianti progettuali.
Il TAR Milano, con riferimento alla distinzione delle offerte migliorative dalle varianti progettuali, precisa che:
«Le prime consistono in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti a diverse soluzioni.
Le seconde, invece, si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante previsione contenuta nel bando di gara ed individuazione dei requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla pubblica amministrazione.
Ne deriva che possono essere considerate proposte migliorative tutte quelle precisazioni, integrazioni e migliorie che sono finalizzate a rendere il progetto prescelto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza, tuttavia, alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste e che, invece, non sono ammesse tutte quelle varianti progettuali che, traducendosi in una diversa ideazione dell’oggetto del contratto, alternativa rispetto al disegno progettuale originario, diano luogo ad uno stravolgimento di quest’ultimo.
Nell’ambito, poi, della gara da aggiudicarsi col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è lasciato ampio margine di discrezionalità alla commissione giudicatrice, anche quanto alla valutazione delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta e la sua efficienza nonché quanto alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.02.2020 n. 272 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
13.4. Del resto, come evidenziato da costante giurisprudenza amministrativa, occorre distinguere le offerte migliorative dalle varianti progettuali.
Le prime consistono in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti a diverse soluzioni.
Le seconde, invece, si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante previsione contenuta nel bando di gara ed individuazione dei requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla pubblica amministrazione (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, Sez., V, 20.02.2014, n. 819; Id., 07.07.2014, n. 3435; Id., Sez. VI, 19.06.2017, n. 2969; Id., Sez. V, 14.05.2018, n. 2853; Id., Sez. V, 18.02.2019, n. 1097; Id., Sez. V, 15.01.2019, n. 374).
Ne deriva che possono essere considerate proposte migliorative tutte quelle precisazioni, integrazioni e migliorie che sono finalizzate a rendere il progetto prescelto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza, tuttavia, alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, 16.04.2014, n. 1923) e che, invece, non sono ammesse tutte quelle varianti progettuali che, traducendosi in una diversa ideazione dell’oggetto del contratto, alternativa rispetto al disegno progettuale originario, diano luogo ad uno stravolgimento di quest’ultimo (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 07.11.2014, n. 5497).
Nell’ambito, poi, della gara da aggiudicarsi col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è lasciato ampio margine di discrezionalità alla commissione giudicatrice (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 11.12.2015, n. 5655), anche quanto alla valutazione delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta e la sua efficienza nonché quanto alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante.

APPALTI: Consolidata giurisprudenza ritiene come “la valutazione delle offerte tecniche, come pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante, costituisc[a] espressione di un'ampia discrezionalità tecnica, con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da irragionevolezza manifesta”.
Si afferma, inoltre, come “il procedimento di verifica dell’anomalia dell'offerta non [abbia] carattere sanzionatorio e, per oggetto, la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto”.
La valutazione di congruità deve essere, altresì, “globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento che l'obiettivo dell'indagine è l'accertamento dell'affidabilità dell'offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che lo compongono”.
In ultimo, va considerato che, a fronte di censure tecniche numerose e particolarmente complesse circa la qualità tecnica dell’offerta dell’aggiudicataria, il Giudice amministrativo deve, comunque, svolgere un esame delle stesse al fine di verificare se le queste disvelino “un’abnormità della valutazione, del tutto illogica e/o parziale, o un manifesto travisamento di fatti”.

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I
n linea di massima deve ammettersi che nelle procedure ad evidenza pubblica il concorrente possa giustificare il ribasso proposto facendo riferimento ai preventivi o alle offerte a lui rivolte dagli operatori economici ai quali abbia deciso di subappaltare (entro i limiti di legge) una o più lavorazioni.
Ciò, tuttavia, a patto che le proposte dei subappaltatori siano a loro volta corredate da giustificazioni, poiché in caso contrario non vi sarebbe alcuna garanzia in ordine alla congruità dei prezzi da costoro praticati e si sottrarrebbe una parte della prestazione (quella subappaltata) al vaglio di sostenibilità da parte della stazione appaltante.

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14.1. Prima di procedere alla disamina delle varie censure occorre rammentare come una consolidata giurisprudenza ritenga che “la valutazione delle offerte tecniche come pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante costituisc[a] espressione di un'ampia discrezionalità tecnica (Cons. Stato, sez. V, 14.05.2018, n. 2853), con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da irragionevolezza manifesta (Cons. Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072; 14.11.2017, n. 5258)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 08.10.2019, n. 6793).
Si afferma, inoltre, come “il procedimento di verifica dell’anomalia dell'offerta non [abbia] carattere sanzionatorio e, per oggetto, la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto” (Consiglio di Stato, Sez. V, 25.03.2019, n. 1969).
La valutazione di congruità deve essere, altresì, “globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento che l'obiettivo dell'indagine è l'accertamento dell'affidabilità dell'offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che lo compongono” (Consiglio di Stato, Sez. V, 23.01.2018, n. 430).
In ultimo, va considerato che, a fronte di censure tecniche numerose e particolarmente complesse circa la qualità tecnica dell’offerta dell’aggiudicataria, il Giudice amministrativo deve, comunque, svolgere un esame delle stesse al fine di verificare se le queste disvelino “un’abnormità della valutazione, del tutto illogica e/o parziale, o un manifesto travisamento di fatti” (Consiglio di Stato, Sez. III, 02.09.2019, n. 6058).
Ne consegue come non possa condividersi l’eccezione della stazione appaltante e della controinteressata nella parte in cui chiedono, in apicibus, di dichiarare il secondo motivo di ricorso inammissibile dovendosi operare, comunque, una verifica delle singole censure articolate.
...
15.4. La ricorrente evidenzia, inoltre, la non affidabilità dell’offerta stante la dichiarata possibilità di avvalersi del subappalto. Situazione che imporrebbe l’acquisizione di documentazione idonea a comprovare la congruità dell’offerta delle ditte subappaltatrici.
15.5. La censura è infondata alla luce dei principi ricavabili dal medesimo precedente giurisprudenziale richiamato dalla ricorrente.
Osserva, infatti, il Consiglio di Stato che “in linea di massima deve ammettersi che nelle procedure ad evidenza pubblica il concorrente possa giustificare il ribasso proposto facendo riferimento ai preventivi o alle offerte a lui rivolte dagli operatori economici ai quali abbia deciso di subappaltare (entro i limiti di legge) una o più lavorazioni”.
Ciò tuttavia”, prosegue il Consiglio di Stato, “a patto che le proposte dei subappaltatori siano a loro volta corredate da giustificazioni, poiché in caso contrario non vi sarebbe alcuna garanzia in ordine alla congruità dei prezzi da costoro praticati e si sottrarrebbe una parte della prestazione (quella subappaltata) al vaglio di sostenibilità da parte della stazione appaltante” (Consiglio di Stato, Sez. V, 25.07.2018, n. 4537).
Ora, la sentenza del Consiglio di Stato si riferisce chiaramente ai casi in cui il ribasso sia giustificato dai preventivi o dalle offerte rivolte all’operatore economico. Diverso è il caso in cui, al contrario, l’operatore non giustifichi il ribasso sulla base delle capacità dei subappaltatori ma sulle proprie capacità organizzative. In simile caso non trova evidentemente giustificazione il principio affermato dal Consiglio di Stato in quanto il ribasso è derivante dalle garanzie offerte direttamente dall’operatore concorrente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.02.2020 n. 272 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: a) “in caso di comunicazione dell'aggiudicazione che non specifichi le ragioni di preferenza dell'offerta dell'aggiudicataria (o non sia accompagnata dall'allegazione dei verbali di gara), e comunque, in ogni caso in cui si renda indispensabile conoscere gli elementi tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario per aver chiare le ragioni di preferenza, l'impresa concorrente può richiedere di accedere agli atti della procedura”;
   b) “alla luce dell'insegnamento della Corte di Giustizia dell'Unione europea, il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione”;
   c) “la dilazione temporale, che prima era fissata nei dieci giorni previsti per l'accesso informale ai documenti di gara dall'art. 79, comma 5-quater D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento, può ora ragionevolmente essere fissata nei quindici giorni previsti dal richiamato comma 2 dell'art. 76 D.Lgs. n. 50 del 2016 per la comunicazione delle ragioni dell'aggiudicazione su istanza dell'interessato”;
   d) “qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente l'accesso, o tenga comportamenti dilatori che non consentano l'immediata conoscenza degli atti di gara, il termine non inizia a decorrere e il potere di impugnare dall'interessato pregiudicato da tale condotta amministrativa non si "consuma"; in questo caso il termine di impugnazione comincia a decorrere solo a partire dal momento in cui l'interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura”;
   e) “la comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione imposta dall'art. 76, comma 5, D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, non è surrogabile da altre forme di pubblicità legali, quali, in particolare, la pubblicazione del provvedimento all'albo pretorio della stazione appaltante per l'espresso riferimento dell'art. 120, comma 5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della comunicazione”, ovvero ad una precisa modalità informativa del concorrente”;
   f) “anche indipendentemente dal formale inoltro della comunicazione dell'art. 76, comma 5, D.Lgs. n. 50 del 2016 cit., per la regola generale di cui all'art. 41, comma 2, Cod. proc. amm., il termine decorre dal momento in cui il concorrente abbia acquisito "piena conoscenza" dell'aggiudicazione, del suo concreto contenuto dispositivo e della sua effettiva lesività, pur se non si accompagnata dall'acquisizione di tutti gli atti del procedimento”.
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25.1. Il comune di Milano osserva come la ricorrente, nel corso dell’accesso agli atti esercitato in data 17.10.2019 (documento n. 50 del comune di Milano) e in data 29.10.2019 (documento n. 57 del comune di Milano), prenda integrale visione delle giustificazioni per la verifica di congruità dell’offerta presentate dal R.T.I. Te. (documenti nn. 32, 34 e 36 del comune di Milano).
Ne consegue che il dies a quo dal quale far decorrere il termine per la proposizione del ricorso per motivi aggiunti non potrebbe ricondursi alla data di produzione in giudizio di tale documentazione (25.11.2019) ma dovrebbe individuarsi nelle date dell’avvenuta visione dei documenti.
25.2. Omologa eccezione è formulata dalla controinteressata secondo la quale la visione della documentazione consentirebbe già la percezione della lesività dei provvedimenti.
25.3. L’eccezione è fondata.
25.4. Osserva il Collegio come, secondo la puntuale elaborazione del Consiglio di Stato:
   a) “in caso di comunicazione dell'aggiudicazione che non specifichi le ragioni di preferenza dell'offerta dell'aggiudicataria (o non sia accompagnata dall'allegazione dei verbali di gara), e comunque, in ogni caso in cui si renda indispensabile conoscere gli elementi tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario per aver chiare le ragioni di preferenza, l'impresa concorrente può richiedere di accedere agli atti della procedura”;
   b) “alla luce dell'insegnamento della Corte di Giustizia dell'Unione europea (specialmente con la sentenza 08.05.2014 nella causa C-161/13 Idrodinamica Spurgo secondo cui “ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni” (punto 37) e “una possibilità, come quella prevista dall'articolo 43 del D.Lgs. n. 104 del 2010, di sollevare “motivi aggiunti” nell'ambito di un ricorso iniziale proposto nei termini contro la decisione di aggiudicazione dell'appalto non costituisce sempre un'alternativa valida di tutela giurisdizionale effettiva. Infatti, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, gli offerenti sarebbero costretti a impugnare in abstracto la decisione di aggiudicazione dell'appalto, senza conoscere, in quel momento, i motivi che giustificano tale ricorso” (punto 40) il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.09.2019, n. 6064; V, 13.02.2017, n. 592; V, 10.02.2015, n. 864)”;
   c) “la dilazione temporale, che prima era fissata nei dieci giorni previsti per l'accesso informale ai documenti di gara dall'art. 79, comma 5-quater D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento, può ora ragionevolmente essere fissata nei quindici giorni previsti dal richiamato comma 2 dell'art. 76 D.Lgs. n. 50 del 2016 per la comunicazione delle ragioni dell'aggiudicazione su istanza dell'interessato”;
   d) “qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente l'accesso, o tenga comportamenti dilatori che non consentano l'immediata conoscenza degli atti di gara, il termine non inizia a decorrere e il potere di impugnare dall'interessato pregiudicato da tale condotta amministrativa non si "consuma"; in questo caso il termine di impugnazione comincia a decorrere solo a partire dal momento in cui l'interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura (cfr. Cons. Stato, sez. III, 06.03.2019, n. 1540; III, 22.07.2016, n. 3308; V, 07.09.2015, n. 4144; III, 10.11.2011, n. 5121)”;
   e) “la comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione imposta dall'art. 76, comma 5, D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, non è surrogabile da altre forme di pubblicità legali, quali, in particolare, la pubblicazione del provvedimento all'albo pretorio della stazione appaltante per l'espresso riferimento dell'art. 120, comma 5, Cod. proc. amm., alla “ricezione della comunicazione”, ovvero ad una precisa modalità informativa del concorrente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25.07.2019, n. 5257; V, 23.07.2018, n. 4442; V, 23.11.2016, n. 4916)”;
   f) “anche indipendentemente dal formale inoltro della comunicazione dell'art. 76, comma 5, D.Lgs. n. 50 del 2016 cit., per la regola generale di cui all'art. 41, comma 2, Cod. proc. amm., il termine decorre dal momento in cui il concorrente abbia acquisito "piena conoscenza" dell'aggiudicazione, del suo concreto contenuto dispositivo e della sua effettiva lesività, pur se non si accompagnata dall'acquisizione di tutti gli atti del procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23.08.2019, n. 5813; V, 23.07.2018, n. 4442; V, 2017, n. 1953)” (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, Sez. V, 28.10.2019, n. 7387).
25.5. Dai principi elaborati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e, in particolare, dall’insegnamento proveniente dalla Corte di Giustizia deve ritenersi che il termine decorra dal momento della conoscenza del provvedimento che si realizza con l’accesso agli atti da parte dell’operatore interessato.
Non determina, tuttavia, uno slittamento del dies a quo la mancata estrazione di copia e, quindi, la realizzazione della conoscenza mediante la mera visione dei documenti.
Secondo la ricorrente “nel caso di specie appare evidente che l’accesso nella sola forma della visione non possa [consentire] alcuna cognizione piena ed integrale della documentazione consultata”: “ciò in quanto oggetto della richiesta di accesso di Cedat 85 [sono], tra l’altro, i giustificativi per la valutazione di congruità dell’offerta dell’aggiudicatario RTI TIM”. Una documentazione “dalla mole significativa e dal contenuto tecnico (si pensi solo ai preventivi di spesa allegati), per la quale è difficile immaginare una piena conoscenza a seguito della sola visione”.
25.6. La tesi della ricorrente sovrappone due concetti distinti: la conoscenza e/o conoscibilità e la percezione e/o percepibilità della lesione o, comunque, della ritenuta illegittimità.
Nel caso di specie, non si tratta di una mancata conoscenza dei contenuti del documento che è assicurata dalla mera visione ma dalla difficoltà di percepire la ritenuta illegittimità delle componenti dell’offerta e delle giustificazioni della controinteressata.
Un elemento che è, tuttavia, estraneo al sistema come sopra delineato e anche alla stessa decisione della Corte di Giustizia (richiamata al punto 25.4 della presente sentenza) che insiste sulla necessità di consentire una conoscenza effettiva ma non anche di posticipare il termine nel tempo dal momento in cui possa realizzarsi una piena percezione della portata lesiva o della ritenuta illegittimità.
Una simile situazione introdurrebbe, del resto, un elemento di carattere meramente soggettivo difficilmente verificabile frustando “il principio generale dell'accelerazione del contenzioso e delle esigenze di certezza del settore” (TAR per la Campania – sede di Napoli, Sez. I, 05.06.2012, n. 2629).
25.7. Del resto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato indicata dalla parte controinteressata appare chiara nel ritenere che la non estrazione di copia non inficia la realizzazione della conoscenza effettiva da parte dell’operatore economico. Lo afferma con chiarezza la decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, 13.04.2014, n. 1250, richiamata anche da Consiglio di Stato, Sez. V, 15.05.2019, n. 3153.
Non sembra costituire smentita di quanto esposto l’inciso contenuto nella sentenza del TAR per la Campania – sede di Salerno, Sez. I, 16.03.2011, n. 492, che ritiene non “necessaria anche l’estrazione delle relative copie, in tal senso deponendo le finalità acceleratorie sottese alla speciale disposizione di cui all’art. 120 del C.P.A. e la circostanza che la visione consente comunque la cognizione integrale degli atti, sufficiente alla proposizione del ricorso, salva la possibilità di successiva proposizione di motivi aggiunti”.
Invero, il riferimento alla “proposizione dei motivi aggiunti” non risulta decisivo per sostenere uno slittamento del termine per la proposizione di simile impugnazione che decorre, in ogni caso, dal momento dell’acquisizione della conoscenza del provvedimento
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.02.2020 n. 272 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Congruità di una offerta in perdita.
Non si possono far rientrare nella valutazione di congruità dell’offerta (nella fattispecie per il servizio di ristorazione scolastica e sociale) costi e ricavi relativi a rapporti negoziali esterni, con soggetti che non sono parte dell’appalto, rapporti che –anche in un quadro di pregresse e consolidate relazioni commerciali– sono comunque del tutto eventuali; invero, l’offerta deve essere sostenibile e il contratto non in perdita per l’appaltatore autonomamente, e non grazie a elementi esterni al contratto medesimo, perché, diversamente, si altererebbe la libera concorrenza a favore degli operatori economici più forti, che possono permettersi –pur di conquistare quote sempre maggiori di mercato e di espellere dal mercato altri concorrenti– di presentare offerte in perdita (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 06.02.2020 n. 257 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
Il ricorso è manifestamente fondato.
Segnatamente, fondato e assorbente è il primo motivo di ricorso, dedotto in principalità, con il quale la società Du.Se. S.r.l. lamenta la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 97, d.lgs. n. 50/2016. Insostenibilità dell’offerta. Violazione del principio di par condicio. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, ingiustizia manifesta”.
Dalla documentazione in atti emerge con chiarezza che i costi di esecuzione dell’appalto di ristorazione superano di € 1.296.534,36 nel triennio il corrispettivo che la società Pe. S.p.A. ricaverà dalla preparazione dei pasti per il Comune: il dato non è in contestazione.
L’offerta è, dunque, in perdita.
Non è, infatti, condivisibile la tesi della stazione appaltante, sostenuta anche dalla società aggiudicatrice, per cui nella valutazione di congruità dell’offerta si deve tenere conto anche dei ricavi derivanti dalla produzione nel Centro cottura del Comune di ulteriori pasti destinati a terzi: ricavi che nella prospettazione della controinteressata sono in grado di coprire le spese generate dal servizio reso al Comune.
Invero, l’offerta deve essere sostenibile e il contratto non in perdita per l’appaltatore autonomamente, e non grazie a elementi esterni al contratto medesimo, perché, diversamente, si altererebbe la libera concorrenza a favore degli operatori economici più forti, che possono permettersi –pur di conquistare quote sempre maggiori di mercato e di espellere dal mercato altri concorrenti– di presentare offerte in perdita (cfr., C.d.S., Sez. V, sentenza n. 210/2014; TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza n. 200/2017).
E che la produzione di pasti destinati a terzi sia elemento estraneo al contratto messo a gara lo si ricava da una pluralità di elementi.
Innanzitutto, il bando di gara nella denominazione dell’appalto indica «Servizio di ristorazione scolastica e sociale», e nella descrizione dell’oggetto «- la gestione del servizio di ristorazione scolastica a favore degli utenti delle Istituzioni scolastiche statali e comunali, - la gestione del servizio di ristorazione degli asili nido comunali, - la gestione del servizio di ristorazione del Centro Diurno Disabili (C.D.D.), - la gestione del servizio di produzione e consegna di pasti a domicilio persone anziane e/o ridotta autonomia». In nessun punto del bando si parla di contratto misto o si fa cenno al fatto che lo sfruttamento economico del Centro cottura comunale per eseguire anche altri appalti rientri nel sinallagma negoziale.
È ben vero che il Disciplinare di gara all’articolo 3, rubricato “Oggetto dell’appalto, importo e suddivisione in lotti”, elenca anche il conferimento dell’uso del Centro Produzione Pasti di proprietà del Comune e dei punti di somministrazione posti nei vari plessi scolastici, nel C.D.D. e negli asili nido. Ma è altrettanto vero che tale conferimento in uso è, per l’appunto, funzionale all’esecuzione dell’appalto del servizio di ristorazione per il Comune di Saronno, e non ad altro, come dimostra la circostanza che il conferimento riguarda non solo il Centro cottura, ma anche i punti di somministrazione dei pasti.
D’altro canto, l’utilizzo del Centro di cottura per la produzione di pasti per terzi, ai sensi dell’articolo 22.1 del Capitolato speciale (che, non a caso, utilizza la dizione “può produrre”), rappresenta una facoltà e non un obbligo.
Né a conclusioni diverse conduce la circostanza che l’aggio annuo minimo garantito è elemento dell’offerta economica. Infatti, ancora una volta il precitato articolo 22.1 del Capitolato speciale chiarisce che tale importo minimo è comunque dovuto, ovverosia indipendentemente dal fatto che nel Centro cottura comunale si preparino pasti per terzi e che se ne preparino un numero sufficiente a coprire l’aggio promesso.
Quindi, a ben guardare, si tratta di un costo fisso dell’appalto di ristorazione.
In definitiva, non si possono far rientrare nella valutazione di congruità dell’offerta per il servizio di ristorazione scolastica e sociale, costi e ricavi relativi a rapporti negoziali esterni, con soggetti che non sono parte dell’appalto, rapporti che –anche in un quadro di pregresse e consolidate relazioni commerciali– sono comunque del tutto eventuali.
Pertanto, avuto riguardo ai costi e ai ricavi del solo servizio di ristorazione scolastica e sociale, l’offerta di Pe. S.p.A. è in perdita e, come tale, è ex se anomala (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, sentenza n. 5422/2019; C.d.S., Sez. V, sentenza n. 963/2015; TAR Campania–Napoli, Sez. II, sentenza n. 3940/2015; TAR Lazio–Roma, Sez. III-ter, sentenza n. 8744/2015) e, pertanto, da escludersi dalla gara.
In conclusione, il ricorso è fondato e per questo viene accolto. Per l’effetto, è annullata l’aggiudicazione a favore della società Pe. S.p.A..
Non si fa, invece, luogo alla declaratoria di inefficacia del contratto, non risultando agli atti che vi sia stata la stipula, peraltro, inibita dall’incidente cautelare ai sensi dell’articolo 32, comma 11, D.Lgs. n. 50/2016.
Nemmeno si fa luogo all’aggiudicazione diretta dell’appalto alla società Du.Se. S.r.l., spettando alla stazione appaltante riattivare la procedura e adottare le determinazioni conseguenti all’avvenuto annullamento.

APPALTI: 1.- Appalti pubblici – gare – suddivisione in lotti – limiti.
In materia di appalti pubblici, costituisce principio di carattere generale la preferenza per la suddivisione in lotti, in quanto diretta a favorire la partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese: tale principio, come recepito all'art. 51 del D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, non costituisce tuttavia una regola inderogabile, in quanto la norma consente alla stazione appaltante di derogarvi per giustificati motivi, che devono essere puntualmente espressi nel bando o nella lettera di invito, proprio perché il precetto della ripartizione in lotti è funzionale alla tutela della concorrenza.
La scelta della stazione appaltante circa la suddivisione in lotti di un appalto pubblico costituisce, peraltro, una decisione normalmente ancorata, nei limiti previsti dall’ordinamento, a valutazioni di carattere tecnico-economico. In tali ambiti, il concreto esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione circa la ripartizione dei lotti da conferire mediante gara pubblica deve essere funzionalmente coerente con il bilanciato complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal procedimento di appalto e resta delimitato, oltre che da specifiche norme del codice dei contratti, anche dai principi di proporzionalità e di ragionevolezza.
Alle stazioni appaltanti è, tuttavia, vietato suddividere le gare in lotti distinti laddove ciò non sia giustificato dalla diversità dei servizi o delle forniture oggetto dei vari sub-lotti e/o dalla esigenza di favorire la partecipazione delle piccole medie imprese, anche in sintonia con l’assetto regolatorio contenuto nell’articolo 68 del codice dei contratti incentrato, quale canone generale dell’intera disciplina dell’evidenza pubblica, sulla valorizzazione del principio di equivalenza che, per definizione, rende valutabili prestazioni da ritenersi omogenee sul piano funzionale secondo criteri di conformità sostanziale
(massima free tratta da e link a www.giustamm.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.02.2020 n. 932).

APPALTII nuovi obblighi di controllo sulle ritenute versate in caso di appalto.
Domanda
Il Comune ha affidato un servizio di ristorazione scolastica che prevede la prestazione di preparazione pasti presso la cucina, già attrezzata, della scuola di proprietà dell’ente.
Scatta l’obbligo previsto dall’art. 4 del d.l. 124/2019 in materia di ritenute fiscali?
Risposta
L’art. 4 del d.l. n. 124/2019 dopo la conversione in legge n. 157/2019 ha introdotto il nuovo art. 17-bis al d.lgs. 241/1997
[1], che prevede rilevanti novità nella gestione delle ritenute fiscali in materia di appalti, quale misura di contrasto “all’illecita somministrazione di manodopera”. Disposizione che appesantisce i già abbondanti adempimenti in capo sia ai committenti pubblici che agli operatori aggiudicatari, e rispetto alla quale si attendono chiarimenti interpretativi ed operativi che rendano omogeneo e soprattutto funzionale il nuovo onere, evitando che si traduca in una mera richiesta documentale.
Per un primo approfondimento si rinvia:
   • allo studio pubblicato dalla Fondazione Studio Consulenti del Lavoro, “Nuove misure di contrasto all’illecita somministrazione di manodopera”, di cui al seguente link;
   • alla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 108 del 23.12.2019: Oggetto: Articolo 4 del d.l. 26.10.2019 n. 124 – Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti – Chiarimenti, di cui al seguente link;
   • alle risposte ai quesiti degli esperti fornite dall’Agenzia delle Entrate il 13.01.2020 nel corso del terzo Forum sui dottori commercialisti ed esperti contabili a Milano, pubblicato sul sito dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, di cui al seguente link.
La Stazione appaltante dovrà quindi verificare quali sono gli operatori economici con i quali sono in corso di esecuzione contratti che presentano contestualmente le seguenti condizioni, come previste dalla sopra citata normativa, ovvero:
   • l’importo complessivo annuo superiore ad € 200.000 (importo annuo delle prestazioni affidate alla stessa impresa anche con più contratti di appalto, con estensione della verifica su tutti i contratti);
   • contratti caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera (si può ritenere siano quelli riconducibili all’art. 50, del d.lgs. 50/2016, ultimo periodo, ovvero quei contratti nei quali il costo della manodopera è pari ad almeno al 50% dell’importo totale del contratto. Informazione che è desumibile dagli atti di gara essendo un dato da riportare obbligatoriamente nella documentazione, ai sensi dell’art. 23, co. 16, del codice dei contratti, almeno per quegli appalti banditi successivamente al correttivo del 2017);
   • il personale impiegato presti l’attività lavorativa presso le sedi di attività del committente;
   • i beni strumentali utilizzati nell’esecuzione della prestazione siano di proprietà del committente o ad esso riconducibili in qualunque forma.
Con riferimento al quesito, se il servizio di ristorazione scolastica è prestato presso la cucina della scuola dell’ente locale e utilizza beni strumentali di proprietà dell’Amministrazione comunale, è possibile ritenere che sussistendo anche gli altri requisiti di importo, scattino gli obblighi previsti dalla vigente normativa.
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[1] 1. …., che affidano il compimento di una o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000 a un’impresa, tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma, sono tenuti a richiedere all’impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute di cui agli articoli 23 e 24 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, 50, comma 4, del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, e 1, comma 5, del decreto legislativo 28.09.1998, n. 360, trattenute dall’impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio.
Il versamento delle ritenute di cui al periodo precedente è effettuato dall’impresa appaltatrice o affidataria e dall’impresa subappaltatrice, con distinte deleghe per ciascun committente, senza possibilità di compensazione
(05.02.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI SERVIZILa Centrale unica di committenza (CUC) di questa Unione di comuni intende procedere all'affidamento del servizio di raccolta rifiuti urbani ed è indeciso sulla qualificazione quale appalto o concessione.
Quale è la disciplina applicabile?

La applicabilità dell'una (appalto) o dell'altra (concessione) disciplina non dipende, nel quadro del D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, dalla tipologia di servizio (raccolta di rifiuti) ma dal regime contrattuale che sta alla base del rapporto fra l'Ente locale che lo affida e il gestore.
Come evidenziato dalla giurisprudenza costante "assumono rilievo i criteri discretivi tra appalto di servizi e concessione, in considerazione del fatto che l'elemento caratterizzante la concessione è il trasferimento del c.d. "rischio economico" in capo al concessionario, inteso come possibilità che la gestione dell'attività oggetto di concessione non sia remunerativa. In difetto di detto rischio, si verte nel campo dell'appalto di servizi" (tale distinzione rileva anche ai fini dell'applicabilità della tassa sull'occupazione del suolo pubblico ed altri regimi fiscali.
Ne deriva, come sottolineato anche recentemente che "va qualificato come appalto di servizi, e non come concessione di servizi, il contratto di gestione dei rifiuti urbani che preveda che l'attività svolta sia remunerata integralmente dall'amministrazione, di modo che non gravi sull'operatore economico il rischio d'impresa".
Dalla qualificazione ne deriva l'applicazione del distinto regime giuridico, ad esempio in merito alla revisione dei prezzi (possibile per l'appalto di servizi, vietato nella concessione per la quale vige l'opposto principio della normale invariabilità del canone concessorio, salva esplicita clausola di deroga).
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 164
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. V, 24.01.2020, n. 608 - Comm. trib. prov. Puglia Lecce Sez. II, 26.06.2019 - TAR Toscana, Sez. II, 04.06.2019, n. 832 - Comm. trib. prov. Puglia Lecce Sez. IV, 02.04.2019 - Cass., S.U., 20.04.2017, n. 9965 - TAR Campania Napoli Sez. VIII, 12.01.2015, n. 114 - Cons. Stato Sez. VI, 05.06.2006, n. 3335 - Cons. Stato Sez. VI, 27.02.2006, n. 841 - Cons. Stato Sez. VI, 10.02.2006, n. 553
 (05.02.2020 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTIL'art. 80, comma 5, lett. m), del d.lgs. 50/2016 stabilisce che deve essere escluso dalla partecipazione alla procedura di gara l’operatore economico che “si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”.
Dalla piana interpretazione della norma si evince che “fra le cause di esclusione dalle gare pubbliche, devono essere ricomprese, oltre alle ipotesi previste dall'art. 2359 c.c., anche quelle non codificate di collegamento sostanziale le quali, attestando la riconducibilità dei soggetti partecipanti alla selezione ad un unico centro decisionale, causano o possono causare la vanificazione dei principi generali in tema di par condicio, segretezza delle offerte e trasparenza della competizione, risultando ininfluente che la rilevanza del collegamento sia stata o meno esplicitata nel bando di gara”.
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Nel caso di annullamento o revoca di una aggiudicazione provvisoria, la stazione appaltante non è obbligata a comunicare all'impresa aggiudicataria provvisoria l'avvio del procedimento di autotutela, atteso che l'aggiudicazione provvisoria è atto endo-procedimentale, che s'inserisce nella procedura comparativa come momento necessario ma non decisivo.
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Il ruolo di garanzia attribuito al RUP implica necessariamente il potere di provvedere all’esclusione dei concorrenti nei casi tassativamente previsti dal legislatore a tutela degli interessi della stazione appaltante: “tale conclusione, del resto, reperisce il proprio ineludibile riscontro nell'indirizzo stabilmente assunto dal Consiglio di Stato, il quale, riguardo ad una questione analoga a quella ora in esame, ha invero ritenuto che "la doglianza con la quale l'appellante sostiene che il responsabile del procedimento non è competente in ordine all'esclusione delle partecipanti alla gara deve essere respinta essendo la tesi sostenuta in contrasto con orientamento pacifico del Consiglio di Stato che il Collegio condivide e al quale fa riferimento ai sensi dell'art. 74 del codice del processo amministrativo".
Senza ancora considerare come proprio l'attribuzione al RUP delle competenze afferenti all'adozione dei provvedimenti di esclusione trovi piena corrispondenza nel particolare ruolo attribuito a tale figura, nel contesto della gara, e alle funzioni di garanzia e di controllo che ad esso sono intestate, anche in ragione dei tempi e delle modalità della sua preposizione, che è sempre anteposta (anche logicamente) all'avvio della procedura di affidamento (art. 32, comma 1), così da collocarlo in una posizione di originaria terzietà e separazione nel corso dell'intero ciclo dell'appalto (condizione che si rileva sia rispetto agli organi deputati allo svolgimento delle valutazioni tecniche -costituiti invece solo "dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte", ai sensi dell'art. 77, comma 7, D.Lgs. n. 50 del 2016- sia riguardo all'organizzazione della stazione appaltante, quanto meno fino alla formulazione, da parte del RUP, della proposta di aggiudicazione "soggetta ad approvazione dell'organo competente secondo l'ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti" - art. 33, 1° comma).
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7. Il ricorso è infondato.
7.1. L'art. 80, comma 5, lett. m), del d.lgs. 50/2016 stabilisce che deve essere escluso dalla partecipazione alla procedura di gara l’operatore economico che “si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”.
Dalla piana interpretazione della norma si evince che “fra le cause di esclusione dalle gare pubbliche, devono essere ricomprese, oltre alle ipotesi previste dall'art. 2359 c.c., anche quelle non codificate di collegamento sostanziale le quali, attestando la riconducibilità dei soggetti partecipanti alla selezione ad un unico centro decisionale, causano o possono causare la vanificazione dei principi generali in tema di par condicio, segretezza delle offerte e trasparenza della competizione, risultando ininfluente che la rilevanza del collegamento sia stata o meno esplicitata nel bando di gara” (TAR Napoli, Sez. V, 03/01/2019 n. 27).
Nel concreto caso di specie, è circostanza oggettiva e non contestata che tra le offerte presentate dalla ricorrente e dalla ditta seconda classificata nella graduatoria di gara sussistono molteplici similitudini, che riguardano non soltanto il ribasso sui prezzi, ma anche i contenuti tecnici e la veste grafica, al punto che sono ravvisabili i medesimi errori di battitura.
I predetti elementi in comune non sono stati giustificati dalla ricorrente in modo plausibile, dal momento che a fronte della spiegazione secondo cui alcune similitudini descrittive sarebbero da imputare al fatto che entrambe le ditte “hanno fatto riferimento per gli arredi ad una ditta leader nel settore” (cfr. pag. 10 del ricorso), resta il fatto che gli aspetti di immediata sovrapponibilità (o meglio, di assoluta identità) tra le offerte sono molteplici e concordanti, essendo riscontrabile la coincidenza di 45 prezzi su 49, l’utilizzo delle stesse immagini, il riferimento ai medesimi particolari costruttivi, oltre che agli stessi arredi. D’altronde la invocata giustificazione del riferimento ad una ditta leader nel settore non è poi confermata da una circostanziata indicazione delle modalità attraverso cui tale riferimento avrebbe comportato la sostanziale uguaglianza dell’offerta delle due partecipanti.
L’oggettiva convergenza di tali riscontri istruttori nel senso della unicità del centro di imputazione delle opzioni partecipative sottese alle offerte vale a dimostrare la lesione dell’interesse alla segretezza ed autonomia dei relativi contenuti, con conseguente violazione del principio di concorrenzialità.
7.2. Parimenti infondata è la censura con cui la ricorrente ha lamentato la mancata comunicazione di avvio del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione provvisoria: “nel caso di annullamento o revoca di una aggiudicazione provvisoria, la stazione appaltante non è obbligata a comunicare all'impresa aggiudicataria provvisoria l'avvio del procedimento di autotutela, atteso che l'aggiudicazione provvisoria è atto endo-procedimentale, che s'inserisce nella procedura comparativa come momento necessario ma non decisivo” (TAR Catania, Sez. I, 20/02/2017 n. 355).
7.3. Né miglior sorte ha la doglianza relativa all’incompetenza del RUP rispetto all’adozione del provvedimento di esclusione della ricorrente dalla procedura concorsuale, dal momento che la giurisprudenza pronunciatasi in materia ha più volte ribadito che il ruolo di garanzia attribuito al RUP implica necessariamente il potere di provvedere all’esclusione dei concorrenti nei casi tassativamente previsti dal legislatore a tutela degli interessi della stazione appaltante: “tale conclusione, del resto, reperisce il proprio ineludibile riscontro nell'indirizzo stabilmente assunto dal Consiglio di Stato, il quale, riguardo ad una questione analoga a quella ora in esame, ha invero ritenuto che "la doglianza con la quale l'appellante sostiene che il responsabile del procedimento non è competente in ordine all'esclusione delle partecipanti alla gara deve essere respinta essendo la tesi sostenuta in contrasto con orientamento pacifico del Consiglio di Stato (Sezione Quinta, 06.05.2015, n. 2274, 21.11.2014, n. 5760) che il Collegio condivide e al quale fa riferimento ai sensi dell'art. 74 del codice del processo amministrativo" (Cons. Stato, Sez. III, n. 2983 del 2017).
Senza ancora considerare come proprio l'attribuzione al RUP delle competenze afferenti all'adozione dei provvedimenti di esclusione trovi piena corrispondenza nel particolare ruolo attribuito a tale figura, nel contesto della gara, e alle funzioni di garanzia e di controllo che ad esso sono intestate (cfr. Cons. Stato, Comm. spec., 25.09.2017, n. 2040), anche in ragione dei tempi e delle modalità della sua preposizione, che è sempre anteposta (anche logicamente) all'avvio della procedura di affidamento (art. 32, comma 1), così da collocarlo in una posizione di originaria terzietà e separazione nel corso dell'intero ciclo dell'appalto (condizione che si rileva sia rispetto agli organi deputati allo svolgimento delle valutazioni tecniche -costituiti invece solo "dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte", ai sensi dell'art. 77, comma 7, D.Lgs. n. 50 del 2016- sia riguardo all'organizzazione della stazione appaltante, quanto meno fino alla formulazione, da parte del RUP, della proposta di aggiudicazione "soggetta ad approvazione dell'organo competente secondo l'ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti" - art. 33, 1° comma)
” (TAR Trieste, Sez. I, 29/10/2019 n. 450) (TAR Molise, sentenza 04.02.2020 n. 39 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Omessa dichiarazione di condanne in una procedura di gara.
Il TAR Milano con riferimento al caso di omessa dichiarazione di condanne precisa che:
   «- la giurisprudenza condivisa dalla Sezione ha anche recentemente ribadito che nel caso di omessa dichiarazione di condanne è legittimo il provvedimento di esclusione, non sussistendo in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione, conseguendo il provvedimento espulsivo all’omissione della prescritta dichiarazione, che invece deve essere resa in modo completo ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale e deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla gravità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante;
   - la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire poiché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine al possesso dei requisiti morali in capo all’operatore economico;
   - del resto, la presentazione di una dichiarazione non veritiera da parte di un soggetto che interloquisce con una stazione appaltante non può che minare alla radice, secondo l’id quod plerumque accidit, il rapporto fiduciario con l’Amministrazione;»
(TAR Lombardia- Milano, Sez. IV, sentenza 03.02.2020 n. 234 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
2.4. Ciò posto, l’operato di Consip S.p.A., ad avviso del Collegio, non può che ritenersi corretto, atteso che:
   - la giurisprudenza condivisa dalla Sezione ha anche recentemente ribadito che nel caso di omessa dichiarazione di condanne è legittimo il provvedimento di esclusione, non sussistendo in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione, conseguendo il provvedimento espulsivo all’omissione della prescritta dichiarazione, che invece deve essere resa in modo completo ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale e deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla gravità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante (ex multis, C.d.S., Sez. V, n. 1527/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata);
   - la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire poiché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine al possesso dei requisiti morali in capo all’operatore economico (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 1527/2019, cit.);
   - del resto, la presentazione di una dichiarazione non veritiera da parte di un soggetto che interloquisce con una stazione appaltante non può che minare alla radice, secondo l’id quod plerumque accidit, il rapporto fiduciario con l’Amministrazione;
   - la disciplina del subappalto, nell’ambito della convenzione oggetto della procedura di affidamento da parte di Consip S.p.A., è contenuta nella lex specialis di gara (v. paragrafo 9 del disciplinare, sub doc. 13 della produzione di parte resistente), secondo la quale “Il subappalto è ammesso in conformità all’art. 118 del D.Lgs. 163/2006”, sicché anche l’affidamento in subappalto è sottoposto alla condizione che il fornitore produca, tra l’altro, “la dichiarazione attestante il possesso dei requisiti di cui all’articolo 38 del d.lgs. n. 163/2006”;
   - alle ipotesi di dichiarazione non veritiera, come quella configurata nella fattispecie, non è applicabile l’istituto del soccorso istruttorio, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente;
   - nella condotta di Consip S.p.A., alla luce dei fatti come sopra ricostruiti, non è riscontrabile alcuna violazione del principio di proporzionalità, né alcuno sviamento di potere, per le ragioni sopra esposte.

gennaio 2020

APPALTIPartecipazione procedimentale sull’informazione antimafia.
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Informativa antimafia – Comunicazione di avvio del procedimento - Esclusione
L’informazione antimafia non richiede la necessaria osservanza del contraddittorio procedimentale, meramente eventuale in questa materia ai sensi dell’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011 né è configurabile l’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990 non essendo l’informazione antimafia provvedimento vincolato, ma per sua stessa natura discrezionale (1).
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   (1) La Sezione dà atto che la questione del contraddittorio procedimentale in materia di informazioni antimafia è dibattuta, registrandosi in dottrina voci dissenzienti ed avendo il Tar Bari, con ord. n. 28 del 13.01.2020, chiesto alla Corte di Giustizia UE di chiarire pregiudizialmente, ai fini della decisione del giudizio, se gli artt. 91, 92 e 93, d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui non prevedono il contraddittorio procedimentale in favore del soggetto nei cui confronti il Prefetto si propone di rilasciare una informazione antimafia, siano compatibili con il principio del contraddittorio, così come ricostruito e riconosciuto quale principio di diritto dell’Unione.
La Sezione ha sul punto chiarito che l’assenza di una necessaria interlocuzione procedimentale in questa materia non costituisca un vulnus al principio di buona amministrazione, perché, come la stessa Corte UE ha affermato, il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che «queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti» (sentenza della Corte di Giustizia UE, 09.11.2017, in C-298/16, § 35 e giurisprudenza ivi citata) e, in riferimento alla normativa italiana in materia antimafia, la stessa Corte UE, seppure ad altri fini (la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il diritto eurounitario), ha di recente ribadito che «il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici» (Corte di Giustizia UE, 26.09.2019, in C-63/18, § 37).
La discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata di stampo mafioso e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi.
Questa Sezione ha perciò già chiarito che la delicatezza della ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, come ha pure chiarito la Corte di Giustizia UE nella sua giurisprudenza (ma v. pure Corte cost.: sent. n. 309 del 1990 e sent. n. 71 del 2015), o slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo (Cons. St., sez. III, 09.02.2017, n. 565).
E d’altro canto il contraddittorio procedimentale non è del tutto assente nemmeno nelle procedure antimafia, se è vero che l’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che «il prefetto competente al rilascio dell'informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile» (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 31.01.2020 n. 820 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Offerte imputabili ad un unico centro decisionale.
Il TAR Milano, con riferimento all’esclusione in base all’art. 80, comma 5, lett. m), del D.Lgs. 50/2016, ai sensi del quale le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico che «trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale», precisa che:
«In sede di interpretazione della norma, la giurisprudenza, condivisa dal Tribunale, osserva che:
   - l’accertamento della sussistenza di un unico centro decisionale costituisce motivo in sé sufficiente a giustificare l’esclusione delle imprese dalla procedura selettiva, non essendo necessario verificare che la comunanza a livello strutturale delle imprese partecipanti alla gara abbia concretamente influito sul rispettivo comportamento nell’ambito della gara, determinando la presentazione di offerte riconducibili ad un unico centro decisionale;
   - ciò che rileva è, infatti, il dato oggettivo, autonomo e svincolato da valutazioni a posteriori di tipo qualitativo, rappresentato dall’esistenza di un collegamento sostanziale tra le imprese, con la necessaria precisazione che lo stesso debba essere dedotto da indizi gravi, precisi e concordanti;
   - tale interpretazione garantisce la tutela dei principi di segretezza delle offerte e di trasparenza delle gare pubbliche, nonché di parità di trattamento delle imprese concorrenti, principi che verrebbero irrimediabilmente violati qualora si ritenesse di correlare l’esclusione dalla gara di imprese in collegamento sostanziale ad una posteriore valutazione sul contenuto delle offerte;
   - il semplice collegamento può dar luogo all’esclusione da una gara d’appalto all’esito di puntuali verifiche compiute con riferimento al caso concreto da parte dell’Amministrazione che deve accertare se la situazione rappresenta anche solo un pericolo che le condizioni di gara vengano alterate
»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.01.2020 n. 222 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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L’esclusione impugnata si basa sull’applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. m), del D.Lgs. 50/2016, ove si prevede che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, qualora: “m) l’operatore economico si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”.

In sede di interpretazione della norma, la giurisprudenza, condivisa dal Tribunale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, n. 1265/2010; Tar Lombardia Milano, sez. I, n. 1983/2019; Tar Lombardia Milano, sez. I, n. 1918/2018; Tar Lombardia Milano, sez. I, n. 2248/2016), precisa che:
   - l’accertamento della sussistenza di un unico centro decisionale costituisce motivo in sé sufficiente a giustificare l’esclusione delle imprese dalla procedura selettiva, non essendo necessario verificare che la comunanza a livello strutturale delle imprese partecipanti alla gara abbia concretamente influito sul rispettivo comportamento nell’ambito della gara, determinando la presentazione di offerte riconducibili ad un unico centro decisionale;
   - ciò che rileva è, infatti, il dato oggettivo, autonomo e svincolato da valutazioni a posteriori di tipo qualitativo, rappresentato dall’esistenza di un collegamento sostanziale tra le imprese, con la necessaria precisazione che lo stesso debba essere dedotto da indizi gravi, precisi e concordanti (C.d.S., Sez. V, n. 1265/2010);
   - tale interpretazione garantisce la tutela dei principi di segretezza delle offerte e di trasparenza delle gare pubbliche, nonché di parità di trattamento delle imprese concorrenti, principi che verrebbero irrimediabilmente violati qualora si ritenesse di correlare l’esclusione dalla gara di imprese in collegamento sostanziale ad una posteriore valutazione sul contenuto delle offerte (TAR Lombardia, I sezione, n. 2248/2016);
   - il semplice collegamento può dar luogo all’esclusione da una gara d’appalto all’esito di puntuali verifiche compiute con riferimento al caso concreto da parte dell’Amministrazione che deve accertare se la situazione rappresenta anche solo un pericolo che le condizioni di gara vengano alterate (per tutte TAR Sardegna, n. 163/2018).

APPALTIQuesta stazione appaltante (ente pubblico economico) ha trovato, in alcune procedure di gara, dichiarazioni di avvalimento di requisiti di ordine finanziario.
In questi casi, come viene garantito dall'operatore l’avvalimento, anche ai fini del controllo da parte della nostra stazione?

La giurisprudenza ormai consolidata (anche a livello di Consiglio di Stato) ha chiarito la distinzione fra avvalimento di garanzia (quello ad esempio inerente il possesso dei requisiti di ordine finanziario) e l'avvalimento tecnico-operativo (consistente nel supporto materiale e organizzativo allo svolgimento della prestazione).
In entrambi i casi la stazione appaltante è tenuta a verificare in concreto (al di là delle formule di rito e dichiarazioni delle parti) che sussista un concreto apporto dell'ausiliaria rispetto alle attività da svolgere a cura dell'ausiliata e questa indagine va condotta "secondo i canoni enunciati dal codice civile di interpretazione complessiva e secondo buona fede delle clausole contrattuali" anche se "non è conseguentemente necessario, in linea di massima, che la dichiarazione negoziale costitutiva dell'impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o a indici materiali atti a esprimere una certa e determinata consistenza patrimoniale, ma è sufficiente che dalla ridetta dichiarazione emerga l'impegno contrattuale a prestare e a mettere a disposizione dell'ausiliata la complessiva solidità finanziaria e il patrimonio esperienziale, così garantendo una determinata affidabilità e un concreto supplemento di responsabilità".
Sempre con riferimento all'avvalimento di garanzia si evidenzia come "avendo esso ad oggetto l'impegno dell'ausiliaria a garantire con proprie risorse economiche l'impresa ausiliata, non è necessario che nel contratto siano specificatamente indicati i beni patrimoniali o gli indici materiali della consistenza patrimoniale dell'ausiliaria, essendo sufficiente che questa si impegni a mettere a disposizione la sua complessiva solidità finanziaria e il suo patrimonio di esperienza".
Le sentenze sottolineano inoltre come "l'unico responsabile dal punto di vista giuridico dell'esecuzione del contratto è il concorrente aggiudicatario e che le prestazioni in concreto svolte dall'ausiliaria sono comunque riconducibili all'organizzazione da esso predisposta per l'adempimento degli obblighi assunti nei confronti della stazione appaltante".
Quindi, alla luce del quadro normativo ma soprattutto giurisprudenziale, per rispondere al quesito formulato, si sottolinea come:
   - la prestazione contrattuale rimane in capo all'ausiliata
   - il rispetto dell'avvalimento va verificato in concreto, anche in fase esecutiva, accertando se sia dato il supporto necessario (garanzie, coperture assicurative ecc…) indicate in sede di gara.
Per le modalità di esecuzione di tale controllo la stazione appaltante potrà chiedere specifiche giustificazioni, chiarimenti e documentazione a corredo.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.04.2016, n. 50, art. 89
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. V, 16.01.2020, n. 389 - Cons. Stato Sez. V, 02.12.2019, n. 8249 - Cons. Stato Sez. V, 25.07.2019, n. 5257 - Cons. Stato Sez. V, 14.06.2019, n. 4024 - Cons. Stato Sez. V, 07.05.2019, n. 2917 - TAR Piemonte Torino Sez. I, 23.04.2019, n. 459 - Cons. Stato Sez. V, 26.11.2018, n. 6693 - TAR Lombardia Brescia Sez. I, 10.12.2018, n. 1195 - TAR Marche, Sez. I, 26.06.2018, n. 471
 (29.01.2020 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

APPALTII criteri di aggiudicazione dopo la legge 55/2019.
Domanda
Con diversi quesiti si pone la questione della chiara identificazione dell’ambito di utilizzo del criterio minor prezzo dopo le modifiche apportate con la legge 55/2019 e in che modo questo possa essere considerato “residuale” rispetto al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Riposta
Il codice dei contratti, come noto, ha superato l’equiordinazione tra i criteri di aggiudicazione dell’appalto. In sostanza, il RUP non ha più discrezionalità nella scelta dei criteri ma deve attenersi alle indicazioni della norma e non v’è dubbio che il criterio del “prezzo più basso" (ora del minor prezzo) abbia sicuramente uno “spazio” applicativo realmente residuale.
Ciò emerge, in particolare, dal comma 2 dell’articolo 95 laddove si puntualizza che gli appalti devono essere aggiudicati “sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata …”. Il comma non cita neppure il criterio dell’offerta al minor prezzo (quasi ad evidenziarne il carattere marginale).
Le disposizioni fondamentali, in tema di criteri sono quelle previste nei commi 3/6 dell’articolo 95 del codice.
La norma “guida” per il RUP –come anche la giurisprudenza ha chiarito– è quella del comma 3 in cui si precisa che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa costituisce il criterio esclusivo per aggiudicare:
   • i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera purché non riconducibili ad affidamenti entro i 40mila euro;
   • i contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro;
Infine la nuova ipotesi introdotta con la legge sblocca cantieri (legge 55/2019) che impone l’obbligo di utilizzare il multicriterio per aggiudicare “i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo”.
In sostanza, la discriminante è fissata sulla microsoglia (entro i 40mila euro) in cui il RUP gode di un’ampia discrezionalità.
Della norma appena citata è bene rammentare come non debba essere sottovalutata la questione dell’intensità della manodopera.
Spesso il RUP, anche in presenza di attività che definisce “standardizzate”, pur in presenza di intensa manodopera tende a “forzare” l’applicazione del criterio del minor prezzo anche nel caso in cui si opera nell’ambito di importo pari o superiore ai 40mila euro. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle attività di guardiania/pulizia.
Pur vero che le attività possono ritenersi standardizzate è però altrettanto vero che ci si trova in presenza di contratti con altissima intensità di manodopera. E tale indice deve essere inteso nel senso prospettato dalla norma (art. 50, comma 1).
Per la norma citata, “i servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto”.
Si sconsiglia, evidentemente, ogni forzatura che avrebbe per effetto quello di rendere annullabile gli atti di gara per palese illegittimità.
In ogni caso, qualora si optasse per una “libera” interpretazione non si può prescindere dall’esigenza di specificare, fin dalla determinazione a contrarre, la motivazione. Motivazione, come detto, che compete al RUP che propone o decide quale criterio applicare (se anche responsabile del servizio).
In ordine al criterio del minor prezzo, il comma 4 è stato completamente riscritto dalla legge sblocca cantieri e l’unica ipotesi residua in cui un problema di criteri si pone con minore intensità è proprio quello delle forniture/servizi con caratteristiche standardizzate per i quali appalti, come detto, è possibile prescindere dall’offerta economicamente più vantaggiosa solamente se non insiste intensità di manodopera. In particolare la norma ore prevede il minor prezzo “per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato, fatta eccezione per i servizi ad alta intensità di manodopera di cui al comma 3, lettera a). In ogni caso, l’utilizzo del monocriterio esige una adeguata motivazione".
In tema appare utile richiamare la recente conferma intervenuta con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 20.01.2020 n. 444. In sentenza si legge che “il legittimo ricorso al criterio del minor prezzo, ai sensi dell’art. 95, comma 4, lett. b) del Codice dei contratti pubblici, in deroga alla generale preferenza accordata al criterio di aggiudicazione costituito dall’offerta economicamente più vantaggiosa, si giustifica, tra altro, per l’affidamento di forniture o di servizi che siano, per loro natura, strettamente vincolati a precisi e inderogabili standard tecnici o contrattuali ovvero caratterizzati da elevata ripetitività e per i quali non vi sia quindi alcuna reale necessità di far luogo all’acquisizione di offerte differenziate (Cons. Stato, III, 13.03.2018, n. 1609; 02.05.2017, n. 2014)” (29.01.2020 - link a www.publika.it).

APPALTI: Sull’immodificabilità dell’offerta all’esito del procedimento di verifica dell’anomalia.
Nella sentenza in rassegna il Collegio ha ribadito che la valutazione dell’anomalia dell’offerta non è volta a sanzionare il concorrente o a ricercare specifiche inesattezze nell’offerta, bensì è finalizzata ad esprimere un giudizio globale e sintetico sulla sua complessiva serietà e credibilità in relazione alla corretta esecuzione del contratto.
Nel caso di specie l’aggiudicataria ha fornito, in sede d’anomalia dell’offerta, delle giustificazioni inerenti le voci di prezzo dell’offerta economica relative ad un periodo inferiore alla durata totale dell’appalto.
Pertanto, ricalcolando con una semplice operazione matematica le suddette voci di prezzo per la durata corretta, l’offerta dell’aggiudicataria è risultata in perdita.
Ciò integra una criticità sindacabile in sede giurisdizionale e non in sede d’anomalia, in quanto non invade l’ambito della discrezionalità tecnica spettante alla p.a.
(commento tratto da www.aoerre.com - TAR Lazio-Latina, sentenza 24.01.2020 n. 27 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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11.1 Con il primo mezzo di impugnazione aggiunto parte ricorrente argomenta l’inadeguatezza delle giustificazioni fornite dall’aggiudicataria in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, poiché detta offerta sarebbe, in realtà, in perdita per almeno euro 1.315.901,34.
In particolare, parte ricorrente deduce tale elemento di fatto dai giustificativi di offerta anomala forniti dalla stessa aggiudicataria alla Regione Lazio con nota del 22.02.2019, ove si legge al § 16.10, pag. 43, che il totale annuo delle “principali voci di costo […] che costituiscono il complessivo onere dell’appalto” è quantificato in euro 2.641.802,61.
Tale importo moltiplicato per i 5 anni e 6 mesi della durata del contratto ammonta ad euro 14.474.914,35, dunque superiori all’offerta di soli euro 13.173.289,97 (inclusi oneri di sicurezza non ribassabili per euro. 14.276,90), da intendersi “comprensiva di tutti gli oneri, spese e remunerazioni per l’esatto e puntuale adempimento di ogni obbligazione contrattuale e dei servizi migliorativi se dichiarati”.
Il motivo è fondato.
Come si è avuto modo di chiarire, l’importo a base d’asta, necessariamente comprensivo del valore della eventuale proroga tecnica semestrale ex art. 35, comma 4, d.lgs. n. 50 cit., è di euro 15.609.220,10 per un periodo di 5 anni e 6 mesi, inclusi oneri per il rischio di interferenza non soggetti a ribasso; in tal senso, l’offerta presentata da De.Pr. s.r.l. è di euro 13.159.013,07 e corrisponde a un ribasso del 15,62% operato su un piede di calcolo di euro 15.594.943,20 (a dire l’importo a base di gara di euro 15.609.220,10, diminuito di euro 14.276,90 per oneri di sicurezza non ribassabili).
La Regione Lazio con nota prot. 95290 del 05.02.2019 ha chiesto a De.Pr. s.r.l. giustificazioni inerenti le voci di prezzo della propria offerta ai sensi dell’art. 97, d.lgs. n. 50 cit., che sono state trasmesse con nota datata 22.02.2019; l’Amministrazione ha poi conclusivamente ritenuto non anomala l’offerta formulata da De.Pr. s.r.l., cui è stato aggiudicato il contratto.
Al riguardo, si rammenta che, in generale, la valutazione di anomalia dell’offerta è resa all’esito di un sub-procedimento che non è diretto a sanzionare il concorrente o a ricercare specifiche inesattezze nell’offerta, ma ad esprimere un giudizio globale e sintetico sulla sua complessiva serietà, attendibilità e credibilità in relazione alla corretta esecuzione del contratto alle condizioni proposte (ex multis: Cons. Stato, sez. III, 29.01.2019 n. 726; sez. V, 23.01.2018 n. 430; sez. V, 30.10.2017 n. 4978; TAR Lazio, Latina, sez. I, 09.12.2019 n. 707).
Il giudizio di non anomalia ha, quindi, natura tecnico-discrezionale ed è insindacabile in sede giurisdizionale, salvo l’esistenza di manifeste e macroscopiche erroneità o irragionevolezze dell’operato dell’Amministrazione che disvelino la complessiva inattendibilità dell’offerta, restando precluso al giudice di verificare autonomamente la congruità dell’offerta e delle sue singole voci (Cons. Stato, V, 17.05.2018 n. 2953; sez. V, 24.08.2018 n. 5047; sez. III, 18.09.2018 n. 5444; sez. V, 23.01.2018 n. 230; sez. V, 22.12.2014 n. 6231; sez. V, 18.02.2013, n. 974; sez. V, 19.11.2012 n. 5846; sez. V, 23.07.2012 n. 4206; sez. V, 11.05.2012 n. 2732).
...
11.2 Nel secondo motivo aggiunto, parte ricorrente assume che l’offerta di De.Pr. s.r.l. avrebbe dovuto essere esclusa per la palese incongruità delle giustificazioni fornite in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta quanto ai costi della sicurezza, dato che gli oneri dichiarati dall’aggiudicataria per l’intera durata del contratto sono pari a euro 247.500,00, mentre nella giustificazioni l’importo a ciò destinato è di euro 49.500,00 annui che, moltiplicato per 5 anni e 6 mesi, equivale a euro 272.250,00.
Anche il motivo all’esame è fondato.
L’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 cit., prevede che: “10. Nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro […]”.
Nella specie, è pacifico che De.Pr. s.r.l. abbia dichiarato nella propria offerta economica che gli oneri per la sicurezza per l’intera durata del contratto (i.e. per i 5 anni di durata ordinaria e naturale dell’appalto e per gli ulteriori 6 mesi di possibile proroga tecnica) sono pari a euro 247.500,00; tuttavia, nelle giustificazioni presentate alla Regione Lazio con la citata nota del 22.02.2019 li ha indicati in euro 49.500,00 annui, cifra questa che, attualizzata al predetto periodo di 5 anni e 6 mesi, restituisce un totale di euro 272.250,00, superiore quindi a quanto dichiarato in sede di offerta economica.
Ciò comporta che, accedendo alla tesi di parte ricorrente, l’offerta presentata dall’aggiudicataria sia stata modificata nel corso del sub-procedimento di valutazione dell’anomalia, in violazione del principio generale di immodificabilità delle offerte presentate in pubbliche gare di appalto, che comporta l’inammissibilità delle modifiche e l’esclusione del concorrente (sull’immodificabilità dell’offerta all’esito del procedimento di verifica dell’anomalia v: TAR Lazio, Roma, sez. II, 05.03.2019 n. 2904; TAR Sardegna, sez. I, 23.01.2019 n. 50; TAR Campania, Napoli, sez. V, 08.01.2018 n. 108).

APPALTI: Decorrenza del termine di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione.
Il TAR Milano, in materia di decorrenza del termine di impugnazione dell’aggiudicazione di un appalto pubblico, precisa che:
   - sul punto, il Tribunale condivide e ribadisce il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa a mente del quale l’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50 –così come il previgente art. 79 del d.lgs. 12.04.2006. n. 163, come novellato dal d.lgs. 20.03.2010, n. 53– detta sicuramente una disciplina tesa a garantire la piena conoscenza e la certezza della data di conoscenza in relazione agli atti di gara, segnatamente esclusioni e aggiudicazioni, sicché sono state previste forme puntuali di comunicazione;
   - tuttavia, l’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50 –così come il previgente art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006- da un lato, non prevede le forme di comunicazione come “esclusive” e “tassative”, dall’altro, non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, in tema di decorrenza dei termini di impugnazione dalla data di notificazione, di comunicazione o, comunque, di piena conoscenza dell’atto;
   - le norme citate conservano il principio per cui la piena conoscenza dell’atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, può essere acquisita con altre forme, ovviamente con onere della prova a carico di chi eccepisce la avvenuta piena conoscenza con forme diverse da quelle di cui all’art. 76 cit.;
   - parimenti, l’art. 120, comma 5, cpa, si riferisce all’impugnazione di tutti gli atti delle procedure di affidamento e fissa plurime decorrenze dei termini, o dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 76 del codice dei contratti, o, per i bandi, dalla pubblicazione, ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto;
   - l’espressione “in ogni altro caso” non va riferita ad “atti diversi” da quelli delle procedure di affidamento, e specificamente da quelli di cui all’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50, ma va riferita a “diverse forme” di conoscenza dell’atto, ossia diverse dalle forme previste dalla disciplina specifica del codice dei contratti;
   - così inteso, l’art. 120, comma 5, cpa, è coerente con la regola generale dettata dal precedente art. 41, comma 2, secondo cui il termine di impugnazione del provvedimento amministrativo decorre dalla notificazione, dalla comunicazione o dalla piena conoscenza dell’atto da impugnare;
   - ne deriva che l’art. 120, comma 5, cpa non ha inteso fissare forme tassative di comunicazione degli atti di gara al fine della decorrenza del termine di impugnazione, ma ha inteso ribadire la regola generale secondo cui il termine di impugnazione decorre o dalla comunicazione nelle forme di legge, o comunque dalla piena conoscenza dell’atto;
   - quindi, se la comunicazione non avviene con le forme poste dall’art. 76 del d.lgs 2016 n. 50, il termine decorre dalla piena conoscenza altrimenti acquisita
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.01.2020 n. 134 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
In particolare, va osservato che:
   - l’art. 120, comma 5, cpa dispone che “salvo quanto previsto al comma 6-bis, per l'impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale o incidentale e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo 79 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all'articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell'atto. Per il ricorso incidentale la decorrenza del termine è disciplinata dall'articolo 42”;
   - nel caso di specie, la documentazione in atti evidenzia che: a) dal giorno 03.10.2019 la ricorrente è stata informata dell’esito della procedura, dell’aggiudicazione e della graduatoria definitiva mediante pec; b) in data 17.10.2019, alle ore 13.21, la ricorrente ha ricevuto una comunicazione via pec dalla piattaforma Sintel contenente, in allegato, il verbale di gara comprensivo di tutte le sedute compresa l’aggiudicazione definitiva e l’avviso che lo stesso era esposto anche sul profilo del committente; c) sempre in data 17.10.2019 sono stati pubblicati, sul sito del committente, i verbali di gara e la determina di aggiudicazione n. 2110, datata 16.10.2019; d) l’istanza di accesso presentata dalla ricorrente in data 07.10.2019 è stata accolta dall’Ente, sicché dal 28.10.2019 la ricorrente ha avuto piena e completa conoscenza di tutti gli atti e i documenti inerenti la posizione dell’aggiudicataria e la procedura di gara;
   - nondimeno, il ricorso è stato notificato all’Ente Nazionale Risi via PEC solo in data 30.12.2019;
   - ne deriva che il ricorso è stato proposto dopo il decorso del termine perentorio di 30 giorni decorrente dalla piena conoscenza degli atti impugnati ed è, pertanto, irricevibile, come eccepito dall’amministrazione resistente;
   - sul punto,
il Tribunale condivide e ribadisce il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 13/12/2011, n. 6531; Consiglio di Stato, sez. V, 14/05/2013, n. 2614; TAR Puglia-Lecce, sez. II, 31/05/2017, n. 875; Consiglio di Stato, sez. V, 02/09/2019, n. 6064; TAR Campania-Napoli, sez. I, 13/06/2019, n. 3225) a mente del quale l’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50 –così come il previgente art. 79 del d.lgs. 12.04.2006. n. 163, come novellato dal d.lgs. 20.03.2010, n. 53– detta sicuramente una disciplina tesa a garantire la piena conoscenza e la certezza della data di conoscenza in relazione agli atti di gara, segnatamente esclusioni e aggiudicazioni, sicché sono state previste forme puntuali di comunicazione;
   - tuttavia, l’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50 –così come il previgente art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006- da un lato, non prevede le forme di comunicazione come “esclusive” e “tassative”, dall’altro, non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, in tema di decorrenza dei termini di impugnazione dalla data di notificazione, di comunicazione o, comunque, di piena conoscenza dell’atto;
   - le norme citate conservano il principio per cui la piena conoscenza dell’atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, può essere acquisita con altre forme, ovviamente con onere della prova a carico di chi eccepisce la avvenuta piena conoscenza con forme diverse da quelle di cui all’art. 76 cit.;
   - parimenti, l’art. 120, comma 5, cpa, si riferisce all’impugnazione di tutti gli atti delle procedure di affidamento e fissa plurime decorrenze dei termini, o dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 76 del codice dei contratti, o, per i bandi, dalla pubblicazione, ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto;
   - l’espressione “in ogni altro caso” non va riferita ad “atti diversi” da quelli delle procedure di affidamento, e specificamente da quelli di cui all’art. 76 del d.l.vo 2016 n. 50, ma va riferita a “diverse forme” di conoscenza dell’atto, ossia diverse dalle forme previste dalla disciplina specifica del codice dei contratti;

   - così inteso,
l’art. 120, comma 5, cpa, è coerente con la regola generale dettata dal precedente art. 41, comma 2, secondo cui il termine di impugnazione del provvedimento amministrativo decorre dalla notificazione, dalla comunicazione o dalla piena conoscenza dell’atto da impugnare;
   - ne deriva che
l’art. 120, comma 5, cpa non ha inteso fissare forme tassative di comunicazione degli atti di gara al fine della decorrenza del termine di impugnazione, ma ha inteso ribadire la regola generale secondo cui il termine di impugnazione decorre o dalla comunicazione nelle forme di legge, o comunque dalla piena conoscenza dell’atto;
   - quindi,
se la comunicazione non avviene con le forme poste dall’art. 76 del d.lgs. 2016 n. 50, il termine decorre dalla piena conoscenza altrimenti acquisita;
   - nel caso di specie, al di là dell’effettuazione della comunicazione ex art. 76 –fatto contestato dalla ricorrente– resta fermo che, almeno dall’ostensione dei documenti di gara, avvenuta in data 28.10.2019, la ricorrente ha avuto piena conoscenza degli atti impugnati, con conseguente decorso del termine perentorio di 30 giorni per la loro impugnazione;
   - le considerazioni ora espresse non sono superabili considerando che l’art. 25 del disciplinare di gara prevede che “Tutte le comunicazioni e tutti gli scambi di informazioni tra l’Ente e gli operatori economici si intendono validamente ed efficacemente effettuati per mezzo della funzionalità “Comunicazioni procedura” nell’interfaccia “Dettaglio”;
   - invero, la previsione del disciplinare individua come devono essere effettuate le comunicazioni degli atti della gara, ma non introduce una deroga -peraltro neppure giuridicamente configurabile in termini di legittimità– alla disciplina processuale della decorrenza del termine di impugnazione, che rimane fissata dalle richiamate disposizioni del codice del processo amministrativo;
   - né la norma del disciplinare consente di configurare un errore scusabile in capo alla ricorrente;
   - invero, come riconosciuto pacificamente in giurisprudenza,
l’errore scusabile rappresenta un istituto inteso a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, suscettibile di trovare applicazione sia quando siano ravvisabili situazioni di obiettiva incertezza normativa, connesse a difficoltà interpretative o ad oscillazioni giurisprudenziali, sia quando si sia di fronte a comportamenti, indicazioni o avvertenze fuorvianti provenienti dalla medesima amministrazione, da cui possa conseguire difficoltà nella domanda di giustizia ed un’effettiva diminuzione della tutela giustiziale (così già Cons. Stato, IV, 22.05.2006, n. 3026; VI, 17.10.1988, n. 1140);
   - si tratta di un istituto di carattere eccezionale (Cons. Stato, IV, 30.12.2008, n. 6599), che delinea una deroga al principio cardine della perentorietà dei termini di impugnazione;
   - l’art. 37 cpa non presenta elementi per una differente conclusione, dal momento che
un uso eccessivamente ampio del riconoscimento, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe risolversi in un vulnus del principio di parità delle parti (art. 2, comma 1, cpa), quanto al rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale (sul punto, Cons. Stato, Ad. plen., 02.12.2010, n. 3);

APPALTI SERVIZIVerifica aggiudicatario affidamento servizio assicurativo.
Domanda
Siamo un ente di piccole dimensioni, ed a breve dovremmo bandire una gara per il servizio di assicurazione obbligatoria per i veicoli del comune.
Come verificare i requisiti di idoneità e di capacità economico-finanziaria o tecnica-professionale previsti per la partecipazione ad una procedura come quella che verrà indetta? È possibile utilizzare il requisito del minor prezzo?
Risposta
Data la complessità della materia assicurativa si consiglia all’ente di affidarsi ad un broker, per la valutazione e gestione dei rischi attinenti alla specifica realtà comunale, per l’analisi delle polizze e predisposizione di adeguati capitolati, per l’assistenza nella redazione della documentazione di gara, sia con riferimento ai requisiti speciali da richiedere agli operatori, che nella scelta dei criteri di aggiudicazione. Servizio, tra l’altro, che non comporta oneri diretti per l’ente pubblico.
Passando nello specifico al quesito, per quanto riguarda la verifica dei requisiti di idoneità, intesa quale abilitazione all’esercizio dell’attività assicurativa relativa al ramo di rischio oggetto della procedura, è possibile accedere al sito dell’IVASS, ed in particolare alla sezione dedicata agli albi www.ivass.it/operatori/imprese/albi/index.html.
In merito ai requisiti speciali di capacità economico e/o tecnica, sono ritenuti di regola, quali elementi significativi nella selezione di un qualificato operatore economico:
   • una data quantificazione di una raccolta premi assicurativi complessiva nel ramo “RC Autoveicoli” nel precedente triennio finanziario;
   • l’esercizio, sempre nel precedente triennio finanziario, di servizi assicurativi analoghi a quello oggetto della procedura (rischio appunto RC Auto).
Per accertare la regolarità della dichiarazione resa in sede di gara con riferimento all’ammontare della raccolta premi
[1] in alternativa alla richiesta all’operatore economico è possibile accedere al sito di ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), e prendere visione della pubblicazione “Premi del lavoro diretto italiano”.
Il secondo requisito andrà verificato mediante acquisizione d’ufficio di originale o copia conforme dei certificati rilasciati dall’amministrazione/ente pubblico contraente, con l’indicazione del tipo di polizza, effetto e scadenza della polizza e premio annuo lordo, o richiesta all’operatore aggiudicatario di analoghi documenti nel caso di committente privato.
Sulla scelta del criterio di aggiudicazione, si ritiene legittimo il minor prezzo, sia per importi infra 40.000 che superiori, ai sensi dell’art. 36, co. 9-bis, del codice, non rientrando, la prestazione in oggetto, tra quelle fattispecie descritte nell’art. 95, co. 3, del d.lgs. 50/2016.
Preme sottolineare l’opportunità di non prevedere l’esclusione automatica delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2 e ss. dell’art. 97, del codice, stante l’interesse transfrontaliero che può presentare un servizio assicurativo.
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[1] La verifica va effettata per gruppo assicurativo di appartenenza (22.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

APPALTIObblighi di pubblicità e trasparenza in materia di enti pubblici.
Domanda
L’articolo 22, del d.lgs. 33/2013, detta gli obblighi di pubblicità e trasparenza che hanno, anche i comuni, in materia di enti pubblici istituiti, vigilati o finanziati dall’amministrazione medesima.
I tre requisiti citati nella norma devono intendersi in modo cumulativo o alternativo?
Risposta
Il decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, all’articolo 22, disciplina gli “Obblighi di pubblicazione dei dati relativi agli enti pubblici vigilati, e agli enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché alle partecipazioni in società di diritto privato".
L’Albero della Trasparenza – allegato “1” alla delibera ANAC n. 1310 del 28.12.2016 – prevede una specifica sottosezione di Livello 1, nel link Amministrazione trasparente, denominata “Enti controllati”, dove adempiere ai seguenti obblighi:

Comma 1
Tutti gli enti devono pubblicare, in formato tabellare aperto:
   a) l’elenco degli enti pubblici, comunque denominati, istituiti, vigilati o finanziati dall’amministrazione medesima, nonché di quelli per i quali l’amministrazione abbia il potere di nomina degli amministratori dell’ente, con l’elencazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell’amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;
   b) l’elenco delle società di cui detiene direttamente quote di partecipazione anche minoritaria indicandone l’entità, con l’indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell’amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;
   c) l’elenco degli enti di diritto privato, comunque denominati, in controllo dell’amministrazione, con l’indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell’amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate. Ai fini delle presenti disposizioni sono enti di diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste riconosciuti, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi;
   d) una o più rappresentazioni grafiche che evidenziano i rapporti tra l’amministrazione e gli enti;
   d-bis) i provvedimenti in materia di costituzione di società a partecipazione pubblica, acquisto di partecipazioni in società già costituite, gestione delle partecipazioni pubbliche, alienazione di partecipazioni sociali, quotazione di società a controllo pubblico in mercati regolamentati e razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche, previsti dal decreto legislativo adottato ai sensi dell’articolo 18 della legge 124/2015.

Comma 2
Per ciascuno degli enti di cui alle lettere da a) a c) del comma 1 sono pubblicati i dati relativi a:
   • ragione sociale;
   • misura della eventuale partecipazione dell’amministrazione;
   • durata dell’impegno;
   • onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l’anno sul bilancio dell’amministrazione;
   • numero dei rappresentanti dell’amministrazione negli organi di governo;
   • trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante;
   • risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi finanziari.
Devono essere pubblicati i dati relativi agli incarichi di amministratore dell’ente e il relativo trattamento economico complessivo.

Comma 3
Nel sito dell’amministrazione deve essere inserito il collegamento (tramite un apposito link) con i siti istituzionali dei soggetti di cui al comma 1.

Comma 4
Nel caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli enti di cui al comma 1, è vietata l’erogazione in loro favore di somme a qualsivoglia titolo da parte dell’amministrazione interessata, ad esclusione dei pagamenti che le amministrazioni sono tenute ad erogare a fronte di obbligazioni contrattuali per prestazioni svolte in loro favore da parte di uno degli enti e società indicati nelle categorie di cui al comma 1, lettere da a) a c).

Comma 6
Le disposizioni dell’articolo 22 non trovano applicazione nei confronti delle società, partecipate da amministrazioni pubbliche, con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione europea, e loro controllate.


Per gli enti che non provvedono alla pubblicazione dei dati su indicati o li pubblicano incompleti, l’articolo 47, comma 2, del decreto prevede una specifica sanzione amministrativa, a carico del responsabile della pubblicazione consistente nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell’indennità di risultato ovvero nella decurtazione dal 30 al 60 per cento dell’indennità accessoria percepita dal responsabile della trasparenza. La stessa sanzione si applica agli amministratori societari che non comunicano ai soci pubblici il proprio incarico ed il relativo compenso entro trenta giorni dal conferimento ovvero, per le indennità di risultato, entro trenta giorni dal percepimento
[1];
Delineato il quadro normativo complessivo in cui ci si muove, venendo alla questione specifica evidenziata nell’istanza, si risponde al quesito, specificando che i tre requisiti richiesti dall’art. 22, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 33/2013, ossia enti pubblici, comunque denominati, “istituiti”, “vigilati” e “finanziati” dalla amministrazione, sono da intendersi come alternativi e non cumulativi fra di loro. Ad esempio, i comuni dovranno provvedere alla pubblicazione dei dati relativi agli enti pubblici da loro vigilati, anche se gli stessi non risultino finanziati dalle amministrazioni
[2].
Per ciò che concerne, invece, gli obblighi di pubblicità e trasparenza delle società ed enti in controllo pubblico, occorre fare riferimento all’articolo 2-bis del d.lgs. 33/2013, nel testo introdotto dall’articolo 3, comma 2, del d.lgs. 97/2016. Con tale disposizione è stato ridisegnato l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina sulla trasparenza, rispetto alla precedente indicazione normativa, contenuta nell’abrogato articolo 11 del d.lgs. 33/2013.
I destinatari degli obblighi di trasparenza sono ora ricondotti a tre categorie di soggetti:
   1) pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2 del d.lgs. 165/2000, ivi comprese le autorità portuali nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione, destinatarie dirette della disciplina contenuta nel decreto (art. 2-bis, co. 1);
   2) enti pubblici economici, ordini professionali, società in controllo pubblico, associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato, sottoposti alla medesima disciplina prevista per le P.A. «in quanto compatibile» (art. 2-bis, co. 2);
   3) società a partecipazione pubblica, associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato soggetti alla medesima disciplina in materia di trasparenza prevista per le P.A. «in quanto compatibile» e «limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea» (art. 2-bis, co. 3)
[3].
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[1] Comma così sostituito dall’articolo 1, comma 163, della 27.12.2019, n. 160 (legge di stabilità 2020);
[2] Per ulteriori approfondimento: Linee guida ANAC, delib. n. 1310/2016, Paragrafo 5.4; FAQ Trasparenza 10.1.
[3] Per gli obblighi di pubblicità e trasparenza delle società ed enti in controllo pubblico si rinvia alla delib. ANAC n. 1134 dell’08/11/2017, recante: Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici
(21.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

APPALTI: APPALTI – Informativa antimafia – Soggetti legittimati alla richiesta – Rapporti tra privati – Esclusione – Vuoto normativo – Art. 83, c. 1, d.lgs. n. 159/2011.
L’art. 83, c. 1, del d.lgs. n. 159/2011 ha individuato i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia di cui all’art. 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel precedente art. 67.
Si tratta delle Pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici. A tali soggetti si aggiungono, in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali previsti dal Codice dei contratti pubblici. Trattasi, dunque, di soli soggetti pubblici.
Aggiungasi che tale documentazione può essere utilizzata solo nei rapporti tra una Pubblica amministrazione ed il privato e non, nei rapporti tra privati. Il vuoto normativo non può certo essere colmato da un Protocollo della legalità, stipulato tra il Ministero dell’interno e Confindustria, trattandosi di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo l’Adunanza plenaria, addirittura “incapacitanti”), che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica.
(Nella specie, la richiesta di rilasciare una comunicazione antimafia, rivolta alla Prefettura, era stata effettuata da Confindustria, associazione privata, per la conclusione di contratti di rilevanza solo privatistica, in alcun modo connessi all’uso di poteri, procedimenti o risorse pubbliche)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.01.2019 n. 452 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTILa normativa vigente non consente l’utilizzo della documentazione antimafia nei rapporti tra privati.
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Informativa antimafia – Rapporti tra privati – Esclusione.
L’impresa colpita da interdittiva antimafia può stipulare contratti con i privati, essendo i limiti introdotti dell’art. 89, comma 2, d.lgs. 06.09.2011, n. 159 applicabili solo quando il privato entra in rapporto con l’Amministrazione (1).
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   (1) In punto di fatto nella specie l’informativa era stata resa a seguito di una richiesta di informazioni proveniente da Confindustria Venezia, nell’ambito di un Protocollo di legalità, per la conclusione di contratti di rilevanza privatistica
La Sezione ha premesso che il comma 1 dell’art. 83, d.lgs. 06.09.2011, n. 159 ha individuato i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia di cui all'art. 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel precedente art. 67. Si tratta delle Pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici. A tali soggetti si aggiungono, in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali previsti dal Codice dei contratti pubblici.
Si tratta dunque di soggetti pubblici. Nel caso all’esame del Collegio, invece, la richiesta alla Prefettura di comunicazione antimafia è stata avanzata da Confindustria Venezia, quindi da un soggetto di indubbia natura privata.
Quanto all’utilizzabilità dell’informativa nei rapporti tra privati la Sezione ha chiarito che l’art. 89, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 ha previsto il potere del Perfetto che interviene quando il privato entra in rapporto con l’Amministrazione. Ed è la legge a conferire un siffatto potere di verifica al Prefetto.
Diverso è invece il caso di rapporti tra privati, in relazione ai quali la normativa antimafia nulla prevede.
Tale vuoto normativo non può certo essere colmato, nella specie, dal Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo, entrambi stipulati tra il Ministero dell’interno e Confindustria. Si tratta, infatti, di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori (o, secondo l'Adunanza plenaria, addirittura "incapacitanti"), che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica.
Prova di tale voluntas legis è proprio nella modifica del comma 1 dell’art. 87, d.lgs. n. 159 del 2011 che, prima della novella introdotta dall’art. 4, d.lgs. 15.11.2012, n. 218, prevedeva espressamente la possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato.
Ciò chiarito, la Sezione ha però rappresentato che il d.lgs. n. 218 del 2012 sembra aver aperto una breccia nella trama intessuta dal Codice delle leggi antimafia, il cui complesso di norme mira ad isolare le imprese vicine agli ambienti della criminalità organizzata, togliendo loro la linfa data dai guadagni, con l’esclusione dal settore economico pubblico, in particolare nella contrattualistica, e dai finanziamenti pubblici.
Occorre dunque interrogarsi –e nulla più che un interrogativo “aperto” può provenire da questo Giudice– se per rafforzare il disegno del Legislatore, con una sapiente disciplina antimafia che sta portando in modo tangibile i suoi risultati - non possano, le Istituzioni a ciò preposte, valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice Antimafia, nel senso che l’informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati.
Soltanto un tale intervento potrebbe, in vicende come quella oggi in esame, permettere l’applicabilità generalizzata della documentazione antimafia, che non a caso questo Consiglio ritiene pietra angolare del sistema normativo antimafia (Cons. St., sez. III, 05.09.2019, n. 6105), in presenza di una serie di elementi sintomatici dai quali evincere l’influenza, anche indiretta (art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011), delle organizzazioni mafiose sull’attività di impresa, nella duplice veste della c.d. contiguità soggiacente o della c.d. contiguità compiacente. In tal modo si riuscirebbe –chiudendo gli spazi che oggi esistono– da un lato ad emarginare completamente tali soggetti rendendoli vulnerabili nel loro effettivo punto di forza e, dall’altro, lasciare il mercato economico agli operatori che svolgono l’attività affidandosi esclusivamente al proprio lavoro nel rispetto delle regole.
L’interrogativo che la Sezione ha posto si fonda sulla considerazione che le condotte infiltrative mafiose nel tessuto economico non solo sono un pericolo per la sicurezza pubblica e per l’economia legale, ma anzitutto e soprattutto un attentato al valore personalistico (art. 2 Cost.) e, cioè, quel “fondamentale principio che pone al vertice dell’ordinamento la dignità e il valore della persona” (v., per tutte, Corte cost. 07.12.2017, n. 258), anche in ambito economico, e rinnegato in radice dalla mafia, che ne fa invece un valore negoziabile nel “patto di affari” stipulato con l’impresa, nel nome di un comune o convergente interesse economico, a danno dello Stato.
E, su questo terreno, non vi è dubbio che il devastante impatto della infiltrazione mafiosa si manifesta nei rapporti tra privati come in quelli tra privati e P.A.. Sempre, infatti, chi contratta e collabora con la mafia, per convenienza o connivenza, non è soggetto, ma solo oggetto di contrattazione (Cons. St., sez. III, 30.01.2019, n. 758).
Se un vero e più profondo fondamento, allora, si vuole generalmente rinvenire nella legislazione antimafia e, particolarmente, nell’istituto dell’informazione antimafia, esso davvero riposa, come accennato, nella dignità della persona, principio supremo del nostro ordinamento, il quale –e non a caso– opera come limite alla stessa attività di impresa, ai sensi dell’art. 41, comma 2, Cost., laddove la disposizione costituzionale prevede che l’iniziativa economica privata, libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o –secondo un clima assiologico di tipo ascendente– in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
L’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e, dall’altro, la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale, secondo la logica della prevenzione, potrebbe allora essere valutata dal Legislatore allo scopo di restituire compiutezza piena ad un aspetto del Codice su cui certo non può intervenire il Giudice in via interpretativa (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.01.2020 n. 452 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Sul giudizio di congruità dell’offerta con riferimento alle concessioni di servizi.
Con la pronuncia in esame i Giudici hanno chiarito che non vi è motivo di scrutinare l’anomalia dell’offerta se l’affidamento di un servizio rientra nella fattispecie della concessione.
Come noto, la concessione di servizi presuppone che il compenso di cui beneficia l’aggiudicatario deriva direttamente dall’utenza che fruisce del servizio ed il rischio economico connesso alla gestione e alle spese non ricade sull’amministrazione, alla quale è comunque riconosciuto il canone. Diversamente da quanto accade per gli appalti di servizi, ove la prestazione è resa in favore dell’amministrazione.
Pertanto, nell’ambito di una concessione di servizi non comporta un giudizio necessitato di anomalia dell’offerta, lo scostamento del costo della manodopera da quello indicato dalle tabelle ministeriali, costituendo detti valori un mero parametro di riferimento, frutto di valutazioni ed analisi aziendali, in grado di giustificare –fermo restando il necessario rispetto dei minimi salariali retributivi– la sostenibilità di costi inferiori
(commento tratta da www.aoerre.com - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 20.01.2020 n. 45 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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3. La seconda doglianza afferisce alla ritenuta insostenibilità dell’offerta dell’aggiudicataria, che avrebbe esposto costi di personale eccessivamente ridotti rispetto a quelli delle tabelle ministeriali di riferimento, incongruamente giustificandoli nel corso del sub-procedimento di verifica dell’anomalia con la sussistenza di entrate idonee a coprire eventuali voci aggiuntive non considerate.
3.1. Va precisato al riguardo, in via preliminare, che non ha pregio l’argomento formulato dalla resistente ASST, secondo cui la concessione in esame andrebbe qualificata come concessione di beni e non come concessione di servizi, argomento da cui l’amministrazione inferisce l’estraneità alla disciplina del codice appalti e, in particolare, l’inapplicabilità delle disposizioni relative alla verifica dell’anomalia dell’offerta.
3.1.1. Il contratto di cui è questione, che per espressa qualificazione del capitolato tecnico ha ad oggetto il “servizio di gestione bar, somministrazione di alimenti e bevande, la vendita di alimenti (…) la rivendita di giornali, quotidiani”, è specificamente e dettagliatamente normato dalla lex specialis con la previsione di precisi e specifici obblighi posti in capo al concessionario, al fine di conformarne l’attività a precise regole di efficienza, continuità e qualità, che travalicano la mera gestione del bene pubblico e connotano il rapporto in termini di servizio.
3.1.2. A conferma di detta ricostruzione va evidenziato come “ormai la giurisprudenza (sia quella amministrativa sia quella della Corte di cassazione) abbia pacificamente qualificato come concessione di servizi il rapporto con cui una p.a. affida ad un privato la gestione di un servizio bar e ristorazione all’interno di un complesso immobiliare di proprietà demaniale. Su tale piano è stato, infatti, ormai chiarito, con principi validi anche per la vicenda per cui è causa, che, ad esempio, «va qualificato come concessione di servizi il rapporto con cui è stato affidato da una Azienda sanitaria ad un privato la gestione di un servizio bar e ristorazione all'interno di un complesso ospedaliero, in quanto sussistono entrambi i requisiti contenutistici: il servizio di gestione del bar interno è reso ad un pubblico di utenti del presidio ospedaliero, ed il rischio di gestione del servizio ricade sull'aggiudicatario, che non è dunque remunerato dall'Amministrazione, ma si rifà sugli utenti. Né può indurre ad una diversa soluzione la circostanza che, in correlazione anche con l'affidamento in uso di locali dell'Azienda ospedaliera, sia previsto dal bando di gara il versamento, da parte del concessionario, di un canone annuo, come pure l'obbligo dello stesso di svolgere i lavori di predisposizione e di adeguamento funzionale dei locali. Poiché l'attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale costituisce un pubblico servizio, nel caso di specie vista la natura mista del rapporto risultavano applicabili alla procedura per l'affidamento le regole della concessione di servizi ovvero di altro modulo procedimentale che tenesse nella debita considerazione, sul piano dinamico, lo svolgimento dell’attività» (cfr., ex aliis, TAR Molise, n. 26 del 2010)” (TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 10.01.2018, n. 18)
3.2. Va riconosciuto, comunque, che il rispetto della disciplina relativa al giudizio di congruità dell’offerta deve essere nella specie scrutinato tenendo in considerazione le differenze strutturali sussistenti tra concessione e appalto; diversamente da quanto accade per gli appalti di servizi, ove la prestazione è resa in favore dell’amministrazione, per le concessioni il compenso di cui beneficia l’aggiudicatario deriva direttamente dall’utenza che fruisce del servizio ed il rischio economico connesso alla gestione e all’eventuale stima in difetto delle voci di spesa non ricade sull’amministrazione, alla quale è comunque riconosciuto il canone.
3.3. Tanto premesso, per orientamento giurisprudenziale consolidato il sub-procedimento di anomalia dell’offerta è finalizzato a verificare, anche attraverso il contraddittorio con il concorrente interessato, la complessiva serietà, attendibilità e sostenibilità della sua offerta e non mira a ricercarne specifiche e singole inesattezze. Il giudizio finale ha carattere tecnico-discrezionale ed è sindacabile in sede giurisdizionale limitatamente ai casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza o travisamento dei fatti emersi nell’istruttoria, non potendo il vaglio sul corretto esercizio del potere sfociare in una nuova valutazione dell’offerta o di sue singole voci da parte del giudice amministrativo (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22.10.2018, n. 2603).
Peraltro lo scostamento del costo della manodopera da quello indicato dalle tabelle ministeriali di cui all’articolo 23, comma 16, del d.lgs. 50/2016 non comporta un giudizio necessitato di anomalia e inadeguatezza dell’offerta, costituendo detti valori un mero parametro di riferimento, da cui è possibile discostarsi in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di giustificare la sostenibilità di costi inferiori, fermo restando il necessario rispetto dei minimi salariali retributivi.
3.4. La stazione appaltante, nel caso di specie, ha attivato un ampio contraddittorio con Fa. s.r.l.s., chiedendo per ben tre volte chiarimenti sulle voci esposte e, all’esito del sub-procedimento, ha ritenuto esaustive le sue giustificazioni, valutando l’offerta congrua.

APPALTI: Informazioni sulle procedure in formato tabellare anno 2020.
Domanda
Sono correttamente adempiute le disposizioni di cui all’art. 1, co. 32, legge 190/2012 qualora si proceda all’elaborazione nel solo mese di gennaio della tabella riassuntiva in formato digitale aperto relativamente agli appalti affidati nell’anno precedente?
Risposta
Si ritiene sia parzialmente adempiuta la disposizione richiamata nel quesito. Per avere un quadro completo degli adempimenti occorre richiamare oltre all’art. 1, co. 32, della legge 190/2012
[1], l’art. 37, co. 1, lett. a), del d.lgs. 33/2013, la Delibera ANAC n. 39 del 20.01.2016 [2], nonché la Delibera ANAC n. 1310 del 2016 completa di allegati [3].
L’art. 3 della sopra citata delibera ANAC 39/2016 prevede la pubblicazione e l’aggiornamento tempestivo sul proprio sito web istituzionale, nella sezione “Amministrazione trasparente”, sotto-sezione di primo livello “Bandi di gara e contratti”, delle informazioni indicate nell’art. 1, co. 32, legge 190/2012, come elencate nella nota a pie di pagina, relative ai procedimenti di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, a cui deve associarsi ovviamente il codice CIG di riferimento. Tali informazioni devono essere riportate in formato tabellare (allegato alla Delibera ANAC n. 1310/2016).
Il comma due del sopra citato art. 3 stabilisce che entro il 31 gennaio di ogni anno le Amministrazioni pubblicano in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in formato digitale standard aperto, le informazioni di cui al comma precedente, riferite:
   • alle procedure avviate nel corso dell’anno precedente, anche se in pendenza di aggiudicazione (ad esempio anno 2019). In quest’ultimo caso verranno riportate le informazioni minime essenziali, quali CIG, struttura proponente, oggetto del bando e procedura di scelta del contraente. Nelle successive annualità si procederà all’aggiornamento e integrazione dei dati mancanti;
   • alle procedure in corso di esecuzione nel periodo preso in considerazione (ad esempio procedure bandite in anni precedenti ma in corso di esecuzione nell’anno 2019);
   • alle procedure i cui contratti nel periodo annuale di riferimento hanno subito modifiche e/o aggiornamenti (ad esempio i pagamenti effettuati nell’anno 2019 relativi a contratti derivanti da gare bandite in anni precedenti).
Nella prassi amministrativa di molti enti, compatibilmente con gli strumenti informatici a disposizione, si procede alla pubblicazione nella sezione Amministrazione trasparente di due distinte tabelle. Una prima che riguarda i dati di cui all’art. 3, co. 1, relativa ai CIG staccati nell’anno di riferimento, ed una seconda, da trasmettersi ad ANAC, nella quale sono indicati i CIG presi nell’anno oggetto di comunicazione, nonché riproposti quelli relativi ai contratti derivanti da gare bandite in anni precedenti ma in corso di esecuzione, oppure riferiti a contratti modificati o aggiornati nell’anno di interesse.
Per quanto riguarda la scadenza del 31.01.2020 e alle modalità di trasmissione del file relativo alle informazioni del 2019, si rinvia alle nuove modalità pubblicate sul sito dell’ANAC al seguente link.
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[1] Con riferimento ai procedimenti di cui al comma 16, lettera b), del presente articolo, le stazioni appaltanti sono in ogni caso tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali: la struttura proponente; l’oggetto del bando; l’elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l’aggiudicatario; l’importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell’opera, servizio o fornitura; l’importo delle somme liquidate. Le stazioni appaltanti sono tenute altresì a trasmettere le predette informazioni ogni semestre alla commissione di cui al comma 2. Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all’anno precedente, sono pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Le amministrazioni trasmettono in formato digitale tali informazioni all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione.
[2] pagina web linkata
[3] pagina web linkata
(15.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Richiesta di fatturato e obbligo di motivazione.
Domanda
Nel programma biennale delle forniture e servizi, la nostra stazione appaltante ha previsto l’avvio di una serie di servizi nell’annualità 2020. I RUP stanno predisponendo gli atti di gara ed in assenza di specifiche indicazioni ci si interroga sul fatturato che può essere richiesto agli appaltatori. E’ possibile avere una generale ricognizione in merito?
Risposta
In tema di richiesta di un fatturato specifico (al fine della dimostrazione dei requisiti di affidabilità economica e finanziaria) dispone il comma 4 dell’articolo 83 del codice dei contratti, nel caso di specie la lettera a) in cui si prevede che le stazioni appaltanti, nel bando di gara, possono richiedere che “gli operatori economici abbiano un fatturato minimo annuo, compreso un determinato fatturato minimo nel settore di attività oggetto dell’appalto”.
La disciplina sul tema è completata dal successivo quinto comma in cui –primo periodo (limitando l’analisi)- chiarisce che “Il fatturato minimo annuo (…) non può comunque superare il doppio del valore stimato dell’appalto, calcolato in relazione al periodo di riferimento dello stesso, salvo in circostanze adeguatamente motivate relative ai rischi specifici connessi alla natura dei servizi e forniture, oggetto di affidamento. La stazione appaltante, ove richieda un fatturato minimo annuo, ne indica le ragioni nei documenti di gara”.
Dalla disposizione ultima riportata emerge che sul RUP grava un doppio onere motivazionale, il primo nel caso in cui venga indicato un fatturato minimo annuo, il secondo –ben più intenso– nel caso in cui il fatturato richiesto superi il doppio del valore stimato dell’appalto.
Alla luce di quanto, il primo suggerimento, ovvio, è che si rispettino le indicazioni cogenti del dettato normativo e che il fatturato richiesto non superi mai il doppio del valore dell’appalto salvo che insistano oggettivamente motivazioni specifiche. Ciò appare ovvio perché, francamente, appare anche difficile trovare motivazioni –che, si ripete, devono essere esplicitate nel bando di gara– che giustifichino la richiesta di un fatturato “eccessivo”.
In tema si può anche richiamare il recente intervento dell’ANAC espresso con il parere n. 1046/2019.
Anche l’autorità anticorruzione ribadisce che in base al chiaro dettato normativo, pur vero che le stazioni appaltanti “possono richiedere, a dimostrazione della solidità economico-finanziaria degli operatori, un importo di fatturato minimo annuo e di fatturato minimo specifico non superiore al doppio dell’importo posto a base di gara” ma “va sottolineato”, prosegue la deliberazione “che, in ogni caso, detta richiesta deve essere sempre accompagnata da una specifica motivazione”.
Inoltre “nell’ipotesi in cui l’importo richiesto superi il doppio dell’importo posto a base di gara", come previsto dalla norma e chiarito dal Consiglio di Stato, è necessario che siano fornite “motivazioni relative a rischi specifici connessi alla natura dei servizi e forniture, oggetto di affidamento” (Cons. Stat., sez. III, 19.01.2018, n. 357).
Nel caso trattato dall’autorità anticorruzione dette motivazioni erano del tutto generiche e sono apparse limitative della libera concorrenza, pertanto, nel parere il procedimento avviato dalla stazione appaltante è stato considerato non conforme al dettato normativo.
A nulla, tra l’altro, è valso il richiamo –da parte della stazione appaltante interessata– che il fatturato richiesto facesse riferimento non a servizi identici ma a servizi analoghi (a dimostrare la volontà di non limitare la concorrenza). Queste “aperture” non esonerano il RUP dal chiarire, fin dall’avvio della procedura, la motivazione che induce a richiedere un fatturato superiore al doppio rispetto al valore della base d’asta (08.01.2020 - tratto da e link a www.publika.it).

APPALTI: Sulla legittimazione a ricorrere del terzo classificato e sull’anomalia dell’offerta.
Con la pronuncia in esame i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che, al fine della legittimazione a ricorrere per l’impresa terza classificata in graduatoria, sussiste in capo a quest’ultima la necessità di dimostrare l’illegittimità della posizione assunta da parte di tutti i concorrenti che la precedono in graduatoria.
Per l’effetto –secondo il Supremo Consesso– è da ritenersi viziata la sentenza di primo grado, nel punto in cui, pur ritenendo inammissibili e in parte infondati i motivi diretti a contestare la posizione del secondo in graduatoria, aveva scrutinato i motivi tesi a contestare l’aggiudicazione della gara al primo classificato.
...
Sotto altro profilo il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il ricorso al lavoro supplementare (e straordinario) da parte dell’impresa aggiudicataria per giustificare il (minor) costo del lavoro dichiarato nel subprocedimento di verifica dell’anomalia, precisando che la natura volontaria del lavoro supplementare (così come di quello straordinario) non può di per sé rendere l’offerta inattendibile, sempre che il ricorso al lavoro supplementare (e straordinario) sia contenuto in una percentuale limitata
 (commento tratto da www.aoerre.com - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.01.2020 n. 83 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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1.1.2. In termini generali, secondo la condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, la terza classificata “può efficacemente coltivare, attraverso il giudizio, l’utilità dell’aggiudicazione solo in quanto dimostri l’illegittimità del posizionamento delle due imprese che l’hanno preceduta in graduatoria”, salva la piena ammissibilità delle censure “che tendono ad invalidare l’intera procedura, poiché, attraverso di esse, è coltivato un interesse diverso da quello all’aggiudicazione, sub specie strumentale alla riedizione dell’intera gara” (Cons. Stato, III, 02.03.2017, n. 972).
Il principio costituisce espressione di quello più generale dell’interesse ad agire, indefettibile condizione dell’azione che nel processo amministrativo si collega alla “lesione della posizione giuridica del soggetto” e sussiste qualora “sia individuabile un’utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento” (Cons. Stato, II, 20.06.2019, n. 4233).
L’interesse a ricorrere è individuato in particolare nel vantaggio che il ricorrente può conseguire per effetto dell’accoglimento del ricorso, e consiste nella “concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto” (Cons. Stato, II, 24.06.2019, n. 4305; IV, 01.03.2017, n. 934; 23.08.2016, n. 3672; VI, 21.03.2016, n. 1156; IV, 20.08.2015, n. 3952).
Alla luce di tali principi il ricorso avverso il provvedimento d’aggiudicazione non solo è inammissibile in radice se non contiene doglianze dirette nei confronti di tutti gli operatori collocati in graduatoria in posizione migliore del ricorrente, ma neppure può trovare accoglimento nel caso di rigetto di tutte le censure avverso uno di tali controinteressati, la cui posizione poziore si consoliderebbe pregiudicando di per sé la possibilità del ricorrente di ottenere il bene della vita perseguito.
...
In forza dei medesimi principi su indicati relativi alla necessaria censura, a fini di ammissibilità del ricorso avverso l’aggiudicazione, della posizione di tutte le imprese meglio graduate del ricorrente la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha infatti chiarito come fra tali censure possano ben esservi anche quelle relative alla ritenuta anomalia dell’offerta della controinteressata non aggiudicataria (nel caso di specie, il Rti capeggiato da Ra.), scrutinabili in termini di massima proprio al fine di saggiare l’interesse a ricorrere.
In tale prospettiva “la collocazione al terzo posto in graduatoria non comporta di per sé -con carattere di automatismo- il difetto di legittimazione del concorrente terzo graduato ad introdurre contestazione sulle scelte operate dalla stazione appaltante in ordine all’opportunità di procedere o meno all’esame discrezionale di una supposta anomalia dell’offerta dei concorrenti collocati in posizione potiore, in presenza di evidenti e conclamati profili di eccesso di potere che inficino la fase di cognizione ed esame dell’offerta del secondo graduato, la cui possibile estromissione di gara consentirebbe lo scorrimento in posizione utile per poter aspirare all’aggiudicazione” (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 8 del 2014).
Anzi, la mancata prospettazione di una siffatta doglianza nei confronti della seconda classificata “al fine di dimostrarne, nel contraddittorio della parte ed in modo definitivo, l’inaffidabilità e/o contrarietà [dell’offerta]con le vigenti norme di legge” determina, in difetto di altri rilevanti profili d’illegittimità fatti valere, l’inammissibilità del ricorso avverso l’aggiudicazione (Cons. Stato, V, 25.06.2018, n. 3921).
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In proposito la condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha ritenuto che la sola natura volontaria del lavoro straordinario (così come di quello supplementare) non vale di per sé a incidere sull’offerta o “intaccare la significatività dell’impegno giuridico assunto dall’impresa nei confronti del committente”, afferendo piuttosto il possibile rifiuto del prestatore di lavoro “ai rapporti interni fra datore e lavoratore”; tutto ciò sempre che “il ricorso al lavoro supplementare (e straordinario) sia contenuto in una percentuale limitata” (Cons. Stato, VI, 30.05.2018, n. 3244).
Dal che consegue che il richiamo al lavoro straordinario non va ritenuto aprioristicamente precluso a fini di giustificativi della sostenibilità dell’offerta, potendo esso effettivamente rientrare fra gli elementi di possibile organizzazione dell’impresa (cfr. Cons. Stato, III, 14.11.2018, n. 6430; v. anche Id., 18.01.2018, n. 324).
In relazione al settore della vigilanza privata, inoltre, l’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 66 del 2003 esclude la diretta applicazione delle disposizioni «concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro» contenute nel medesimo decreto, fra cui quelle in materia di straordinario.
Dal che non deriva peraltro, in senso opposto, la libera e incondizionata applicazione del lavoro straordinario, tanto meno a fini di giustificazione della sostenibilità economica dell’offerta, atteso che permane pur sempre l’intrinseca diversità del lavoro straordinario rispetto a quello ordinario, così come l’applicazione del necessario canone della ragionevolezza nel ricorso allo straordinario al fine di contemperare le esigenze aziendali con l’irrinunciabile preservazione dell’integrità psicofisica dei lavoratori (cfr. Cons. Stato, III, 04.01.2019, n. 90, in cui s’è esclusa la legittimità del ricorso al lavoro straordinario in un caso in cui le ore complessivamente previste superavano l’ammontare teorico indicato dalle tabelle ministeriali e il tetto previsto dalla contrattazione collettiva).
Alla luce di ciò, facendo applicazione nel caso in esame dei principi su indicati, deve ritenersi che l’impiego delle ore di straordinario complessivamente richiamate dalla Ra. -qui rilevanti ai fini del vaglio di anomalia della relativa offerta, a sua volta funzionale allo scrutinio dell’interesse del Consorzio all’annullamento dell’aggiudicazione- possa essere complessivamente considerato ancora non incongruo od illegittimo.
La Ra. ha indicato a giustificativo dell’offerta un numero annuo di ore medie lavorate pari a 1804, comprensivo di n. 226 ore di straordinario.
Il che, tenuto conto della particolarità del settore -resa evidente dalle previsioni del ccnl e dall’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 66 del 2003 su richiamati- e del rispetto in specie dei limiti massimi di straordinario stabiliti dal ccnl e del monte ore teoriche previste dalla competente tabella ministeriale (pari a n. 2128 ore annue) consente di ritenere ancora contenuto entro limiti di congruità e legittimità il siffatto richiamo alle ore di straordinario, riconducibile perciò ad una (non di per sé illegittima) scelta di organizzazione aziendale, così come peraltro ritenuto dall’amministrazione in relazione alle consimili previsioni contenute nell’offerta di Issv (cfr. in proposito la relazione del Rup, in atti; in senso parzialmente diverso, cfr. Cons. Stato, VI, 03.12.2018, n. 6838).
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In base a un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, non può essere dichiarato il carattere anomalo di un’offerta per il solo fatto che il costo del lavoro, nelle varie voci, sia stato indicato secondo valori inferiori rispetto a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali, i quali -pur assumendo un rilievo ai fini del giudizio di anomalia- non hanno di per sé stessi un carattere dirimente, né rappresentano parametri insuperabili.
In particolare, le tabelle ministeriali recanti il costo della manodopera espongono dati non inderogabili, assolvendo a una funzione di parametro di riferimento, in quanto recanti indicazione di valori di “costo medio orario” (in specie “per il personale dipendente da istituti ed imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari”: cfr. la tabella prodotta dallo stesso Consorzio, sub doc. 7).
Per questo lo scostamento dalle tabelle ministeriali può rilevare se e nella misura in cui si dimostri considerevole e ingiustificato (inter multis, cfr. Cons. Stato, V, 21.10.2019, n. 7135; 28.01.2019, n. 690; 12.09.2018, n. 5332; 18.12.2017, n. 5939; III, 29.08.2018, n. 5084)
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.01.2020 n. 83 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTIIl condivisibile orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato ritiene,
   - da un lato, che la legittima composizione della commissione presupponga solo la prevalente, seppure non esclusiva, presenza di membri esperti del settore oggetto dell’appalto;
   - dall’altro che il requisito enunciato debba essere inteso in modo coerente con la poliedricità delle competenze richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare, considerando anche, secondo un approccio di natura sistematica e contestualizzata, le professionalità occorrenti a valutare sia le esigenze dell’amministrazione sia i concreti aspetti gestionali ed organizzativi sui quali i criteri valutativi siano destinati ad incidere.
Non è in proposito necessario che l’esperienza professionale di ciascun componente copra tutti gli aspetti oggetto della gara, potendosi le professionalità dei vari membri integrare reciprocamente, in modo da completare ed arricchire il patrimonio di cognizioni della commissione, purché idoneo, nel suo insieme, ad esprimere le necessarie valutazioni di natura complessa, composita ed eterogenea.

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10.1.2. Alla luce di ciò le qualifiche e i profili professionali dei componenti della commissione giudicatrice risultano complessivamente esenti dalle censure formulate dall’appellante, e ben coerenti -pur alla luce della complessità dell’oggetto dell’affidamento- con la previsione di cui all’art. 77 d.lgs. n. 50 del 2016 secondo cui, in caso di gara da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione delle offerte è rimessa a commissari «esperti nello specifico settore cui afferisce l’oggetto del contratto» (nello stesso senso, cfr. già l’art. 84, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006).
In proposito il condivisibile orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato ritiene, da un lato, che la legittima composizione della commissione presupponga solo la prevalente, seppure non esclusiva, presenza di membri esperti del settore oggetto dell’appalto (Cons. Stato, V, 11.07.2017, n. 3400); dall’altro che il requisito enunciato debba essere inteso in modo coerente con la poliedricità delle competenze richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare, considerando anche, secondo un approccio di natura sistematica e contestualizzata, le professionalità occorrenti a valutare sia le esigenze dell’amministrazione sia i concreti aspetti gestionali ed organizzativi sui quali i criteri valutativi siano destinati ad incidere. Non è in proposito necessario che l’esperienza professionale di ciascun componente copra tutti gli aspetti oggetto della gara, potendosi le professionalità dei vari membri integrare reciprocamente, in modo da completare ed arricchire il patrimonio di cognizioni della commissione, purché idoneo, nel suo insieme, ad esprimere le necessarie valutazioni di natura complessa, composita ed eterogenea (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, 17.06.2019, n. 4050; 18.06.2018, n. 3721; 15.01.2018, n. 181; 08.04.2014, n. 1648; VI, 10.06.2013, n. 3203; III, 17.12.2015, n. 5706; 09.01.2017, n. 31)
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.01.2020 n. 83 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: 1.- Processo amministrativo – ordine di trattazione dei ricorsi cd. escludenti – orientamenti espressi dalla Corte UE – necessario esame di entrambi i ricorsi – si impone.
   2.- Processo amministrativo – rito appalti – abrogazione del cd rito super accelerato – conseguenze.
   3.- Appalti pubblici – requisiti - requisito del fatturato specifico – ricomprensione nel novero di quelli economico finanziari – va affermata.
   4.- Appalti pubblici – avvalimento – caratteristiche generali.
   5.- Appalti pubblici – avvalimento – nullità – limiti.
   6.- Appalti pubblici – avvalimento – causa – tipicità – sussiste.
   1. In base alla più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia il ricorso principale non può essere dichiarato irricevibile in applicazione di prassi giudiziarie nazionali in tema di ricorsi cd escludenti e va esaminato in ogni caso, quale che sia il numero di partecipanti e/o di ricorrenti.
Se ne deve dedurre che per la Corte di Giustizia vada predicato il massimo rilievo all’interesse strumentale alla riedizione della gara: pertanto non può interpretarsi la sentenza Fastweb come una mera deroga, in presenza di specifici presupposti, al generale principio di ordine di esame sancito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che aveva continuato a dare priorità al ricorso incidentale escludente.
Ne consegue che, in applicazione di tali principi, ove si presentano due ricorsi reciprocamente escludenti, pur in presenza di più offerenti, che non hanno tutti partecipato al presente giudizio (anche se alcuni hanno proposto separata impugnativa) è doveroso l’ esame di entrambi i ricorsi.
   2. Va processualmente preso atto che è mutato il quadro normativo di riferimento a seguito dell’avvenuta abrogazione del cosiddetto rito super accelerato di cui all’articolo 120, comma 2-bis cpa, con effetto a partire dal 19.04.2019, secondo il disposto del D.L: n. 32 del 2019, convertito in legge numero 55 del 14.06.2019.
In particolare il legislatore, eliminando l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni di altre imprese concorrenti alla gara, ha assunto quale riferimento temporale non già la pubblicazione del bando di gara o la spedizione dell’invito(secondo i consueti criteri adottati allo scopo nella materia, che guardano al momento dell’avvio della procedura di affidamento) bensì l’inizio del processo.
Pertanto, per processi “iniziati dopo la data di entrata in vigore del decreto” devono intendersi, nell’ottica di chi agisce in giudizio ovvero di chi lo ha “iniziato”, quelli in cui il ricorso introduttivo venga notificato dopo il 19 aprile 2019 , fattispecie in cui rientra il presente giudizio.
Conseguentemente le censure relative all’ammissione alla gara dei concorrenti per carenza di requisiti soggettivi ovvero economico finanziari e tecnico professionali ,vanno attivate nelle forme ordinarie, e per quanto riguarda la reazione dell’aggiudicataria, nelle forme del ricorso incidentale, ai sensi dell’articolo 42 CPA, che prevede il termine di 60 giorni (nella specie dimezzato in virtù del rito appalti ) dalla notifica del ricorso principale.
Invero l’impugnazione delle ammissioni di altre ditte, in virtù della disposizione abrogante, ritorna a dover essere posticipata al momento dell’aggiudicazione definitiva ovvero a quello in cui (per la prima volta) l’interesse a ricorrere da parte del concorrente, insoddisfatto dall’esito della gara, diventa concreto ed attuale - nella specie - la notifica del ricorso principale da parte della seconda graduata.
   3. Benché sia stata particolarmente controversa in giurisprudenza la questione se il requisito relativo al fatturato specifico sia inerente alla capacità economico finanziaria, ovvero a quella tecnico operativa, la disposizione di cui all’articolo 83 comma 4 lettera a) del decreto legislativo 50/2016 è intervenuta a chiarire che ai fini del possesso dei requisiti di capacità economica e finanziaria le stazioni appaltanti possono richiedere “che gli operatori economici abbiano un fatturato minimo annuo, compreso un determinato fatturato minimo nel settore di attività oggetto dell’ appalto“, con ciò evidentemente includendo anche il requisito del fatturato specifico nel novero di quelli economico finanziari: ne deriva che il fatturato specifico assume il ruolo di elemento indicativo della solidità finanziari a del concorrente, e qualora non sia direttamente posseduto, può essere acquisito in avvalimento nelle forme e modi del cd. avvalimento di garanzia.
   4. L’avvalimento è un istituto di derivazione comunitaria che consente all’operatore economico privo dei requisiti necessari per la partecipazione ad una gara di soddisfare quanto richiesto dalla stazione appaltante avvalendosi di risorse, mezzi e strumenti di altri operatori economici. La finalità̀ di segno pro-concorrenziale dell’istituto è quella di ampliare la platea dei possibili contraenti della pubblica amministrazione.
A livello comunitario si è parlato per la prima volta di “avvalimento” con la sentenza del 14 aprile 1994 in Causa - 389/92 (cd. Ballast), con cui la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che una holding può dimostrare la sussistenza dei requisiti di qualificazione tramite una società del suo gruppo di appartenenza.
Successivamente, i principi elaborati dai giudici comunitari sono stati recepiti a livello normativo nelle Direttive UE 2004/17 e 2004/18. A mente della norma contenuta nell’art. 47 della Direttiva 2004/18/CE, infatti, «Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi». Il successivo art. 48 aggiunge, inoltre, che: «In tal caso deve dimostrare all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti».
Le prime direttive comunitarie del 2004 sono state poi recepite nel nostro ordinamento con l’art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006. Di recente, nel 2016, con il d.lgs. n. 50, nel recepire le seconde direttive del 2014, si è assistito ad una specificazione dell’istituto, per ciò che concerne i requisiti essenziali del contratto: la norma contenuta nell’art. 89, co. 1, ult. cpv prevede, infatti, che “…il contratto di avvalimento contiene, a pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione dall’impresa ausiliaria”.
   5. La “sanzione” della nullità, assente nella previgente normativa, è il risultato di un percorso giurisprudenziale consacrato con la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato il 04.11.2016 n. 23 pubblicata sotto la vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, ove si era evidenziato che l’articolo 88 del d.p.r. 207/2010, per la parte in cui prescrive che il contratto di avvalimento deve riportare “in modo compiuto, esplicito ed esauriente (…) le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico”, deve essere interpretato nel senso che esso osta a configurare la nullità̀ del contratto di avvalimento in ipotesi in cui una parte dell’oggetto del contratto, pur non essendo puntualmente determinata, sia tuttavia agevolmente determinabile dal tenore complessivo del documento, e ciò̀ anche in applicazione degli articoli 1346, 1363 e 1367 del codice civile.
   6. Sotto l’aspetto strutturale, l’avvalimento è un contratto causalmente orientato a colmare le carenze dell’impresa partecipante, proprio al fine di integrare i requisiti di partecipazione alla gara.
Discussa la sua ascrivibilità o meno alla categoria dei contratti tipici o atipici, anche ai fini dell’indagine sulla meritevolezza della causa, va tuttavia superata l’impostazione che ascrive il contratto di avvalimento nello schema del contratto atipico, ravvisandosi elementi ordinamentali di novità tali da indurre ad un ripensamento della definizione, sì da poter qualificare il contratto di avvalimento come contratto tipico: in particolare, il contratto in esame trova oggi nell’ordinamento una specifica disciplina legale nell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, così descrivendosi dettagliatamente il contenuto del contratto e prescrivendo i requisiti al ricorrere dei quali un contratto di avvalimento possa essere considerato valido ed efficace.
Ne deriva che il contratto di avvalimento rientra a pieno titolo nella categoria del “tipo”contrattuale, laddove per “tipo” si intende una figura o un modello di contratto, avente determinate caratteristiche e volto a realizzare una operazione economica.
Sebbene il Codice civile dedichi il Titolo III del Libro IV ai “singoli contratti”, descrivendo e disciplinando un ampio numero di “tipi” contrattuali, quali la vendita, la locazione, l’appalto, il deposito e tutti gli altri schemi che si trovano ivi menzionati (artt. 1470 ss. del C.C.), non v’è una previsione normativa in forza della quale un contratto è tipico solo se trova una specifica disciplina nel codice civile.
Sul punto, ai fini della definizione del contratto atipico , non rileva la limitata frequenza della sua stipulazione o la peculiarità del suo oggetto, ma solo l'elemento negativo della non rispondenza a nessuno degli schemi predisposti dal legislatore.
Pertanto, il contratto di avvalimento, che trova una sua compiuta definizione nell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, deve ritenersi “tipico”.
L’autonomia contrattuale, nel caso di specie è peraltro condizionata dagli obiettivi fissati dalla norma e che le parti contrattuali devono perseguire all’atto della stipula del contratto di avvalimento.
Da ciò consegue che lo schema contrattuale definito dalla norma contenuta nell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016 non può essere in alcun modo alterato. È necessario, infatti, che attraverso il contenuto specifico del contratto di avvalimento prescritto dal Codice dei contratti pubblici, si offra alla Stazione appaltante una garanzia di solidità del concorrente oltre che di corretta esecuzione dell’appalto; ed in determinati casi, anche di un particolare standard di qualità dell’esecuzione dello stesso.
Ai fini della valutazione della causa in concreto, va quindi affermato che il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento
(massima free tratta da e link a www.giustamm.it - TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 07.01.2020 n. 51).
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Al riguardo si legga anche:
  
G. Gabriele, Il contratto di avvalimento incontra la causa in concreto - nota a sentenza a TAR Campania, III Sez., 07.01.2020 n. 51 (07.02.2020 - link a www.giustamm.it).

APPALTIContratto di avvalimento e teoria della cd. causa concreta.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Esperienze professionali pertinenti – Limiti.
  
Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento – Contratto tipico – Teoria della cd. causa concreta – Applicabilità.
   L'esercizio dell’avvalimento può essere limitato, in circostanze particolari, tenuto conto dell'oggetto dell'appalto in questione e delle finalità dello stesso; in particolare, ciò può avvenire quando le capacità di cui dispone un soggetto terzo, e che sono necessarie all'esecuzione di detto appalto, non siano trasmissibili al candidato o all'offerente, di modo che quest'ultimo può avvalersi di dette capacità solo se il soggetto terzo partecipa direttamente e personalmente all'esecuzione di tale appalto (1).
  
Il contratto di avvalimento che trova una sua compiuta definizione nell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016 deve ritenersi “tipico”; l’autonomia contrattuale è condizionata dagli obiettivi fissati dalla norma che le parti contrattuali devono perseguire all’atto della stipula del contratto di avvalimento; da ciò consegue che lo schema contrattuale definito dalla norma contenuta nell’art. 89, d.lgs. n. 50 del 2016 non può essere in alcun modo alterato; è necessario, infatti, che attraverso il contenuto specifico del contratto di avvalimento prescritto dal Codice dei contratti pubblici, si offra alla Stazione appaltante una garanzia di solidità del concorrente oltre che di corretta esecuzione dell’appalto ed in determinati casi, anche di un particolare standard di qualità dell’esecuzione dello stesso; ai fini della valutazione della causa in concreto, il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento.
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   (1) Corte giust. Comm. Ue 07.04.2016, C-324/14.
La tesi in oggetto è fatta propria dal più recente orientamento del Consiglio di Stato (sentenza n. 2019 del 2191); il giudice di appello, pronunciandosi in una fattispecie avente ad oggetto un appalto di servizio mensa, ha ritenuto anche la necessaria esperienza pregressa elemento prescritto “per eseguire l’appalto con un adeguato standard di qualità” (secondo la lettera dell’art. 83, comma 6, del Codice dei Contratti pubblici).
Inoltre ha rimarcato che “Né la nozione di “esperienze professionali pertinenti” può essere riferibile solo a prestazioni che richiedono l’impiego di capacità non trasmissibili, come avviene negli appalti aventi ad oggetto servizi intellettuali o prestazioni infungibili: in disparte la considerazione per cui anche il servizio oggetto dell’appalto in questione richiede competenze professionali specialistiche e l’impiego di figure professionali qualificate, la lettera della norma e soprattutto la ratio dell’istituto non autorizzano affatto una siffatta opzione ermeneutica.
Se, infatti, gli operatori economici possono soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale necessari a partecipare ad una procedura di gara “avvalendosi delle capacità di altri soggetti”, ovvero mediante il trasferimento delle risorse e dei mezzi di cui l’ausiliata sia carente, l’ipotesi contemplata dal secondo capoverso dell’articolo 89 contiene una disciplina più stringente e rigorosa, stabilendo che per i criteri relativi alle indicazioni dei titoli di studio e professionali o esperienze professionali pertinenti “tuttavia” (i.e. in deroga al regime ordinario) gli operatori possano avvalersi della capacità di altri soggetti “solo” se (i.e. a condizione che) questi ultimi eseguano direttamente i lavori o i servizi per cui tali capacità sono richiesti (senza operare alcuna distinzione in base alla natura intellettuale o materiale del servizio da espletarsi)
".
Ha rilevato nella fattispecie il Giudice di appello che: ”con il contratto di avvalimento in esame si è, infatti, convenuto tra le parti l’obbligo dell’ausiliaria di mettere a disposizione, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, e precisamente:
   a) i propri manuali tecnico/operativi, le proprie procedure operative, istruzioni operative, schede di registrazione- report inerenti l’organizzazione e conduzione di servizi di ristorazione, i propri protocolli di formazione e addestramento del personale, nonché il know how maturato in tali settori mediante la consegna di tutta la predetta documentazione sopracitata e la previsione di giornate di affiancamento;
   b) l’interfacciarsi di figure professionali dell’ausiliaria (il Responsabile della produzione, il Responsabile degli acquisti, il Responsabile dell’amministrazione del personale e delle relazioni sindacali) con le corrispondenti figure professionali già presenti all’interno dell’organizzazione dell’ausiliata, al fine di trasferire il proprio know how mediante la previsione di giornate di affiancamento
.”
Conclusivamente, nel caso di specie, il contratto di avvalimento aveva ad oggetto il prestito del requisito di “esperienza pregressa”, dal che discendeva la necessità dell’impegno dell’ausiliaria ad assumere un ruolo esecutivo nello svolgimento del servizio, e non solo a trasmettere all’ausiliata il Know how e la struttura organizzativa dall’esterno
.”
   (2) Quanto alla teoria della causa concreta della causa in concreto e la giurisprudenza della Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Osserva in proposito il Collegio che va fatto ricorso alla teorica della causa in concreto del contratto, elaborata dalla Terza sezione civile della corte di Cassazione, a partire dalla sentenza del 2006 n. 10490, che ha inaugurato un nuovo corso nella valutazione dell’elemento causale del contratto.
Da tempo la giurisprudenza della Corte di Cassazione ed in particolare la Terza sezione civile è giunta ad un progressivo abbandono della tradizionale teorica della causa come funzione economico sociale del contratto, ovvero cosiddetta causa in senso astratto, per approdare ad un’interpretazione della causa come funzione economico individuale, superando una visione di carattere puramente oggettivistico.
Si è infatti rilevato che nella prospettiva dello Stato autoritario in cui vide luce il codice del 1942, la concezione pubblicistica della causa come funzione economico sociale, inserita in un’ottica tesa a controllare anche le relazioni contrattuali tra privati, identificando causa e tipo ,escludeva la possibilità di esistenza di un contratto tipico con causa illecita.
Una siffatta impostazione di stampo estremo oggettivistico ha comportato critiche sin dalla dottrina che si è sviluppata nel clima post costituzionale, ove si proponeva una maggiore attenzione alla funzione concreta della singola e specifica negoziazione.
Tuttavia, tranne alcune isolate pronunce in giurisprudenza, la consapevole e matura adesione alla teoria della causa concreta è stata inaugurata solo dopo molto tempo, e segnatamente dalla storica sentenza della Cassazione Terza sezione civile n. 10490 del 2006, che ha ammesso la possibilità di nullità di un contratto tipico per mancanza di causa concreta. In tal sede si è affermata la nullità per difetto di causa del contratto tipico di consulenza delineato dall’articolo 2222 c.c., stipulato da un soggetto in favore di una società, attività a cui tuttavia lo stesso era tenuto in adempimento dei propri doveri di amministratore della stessa, e per la quale percepiva il relativo compenso.
La Suprema Corte ha dunque rilevato che di fatto in concreto lo scambio di quella attività di consulenza a titolo oneroso, essendovi il soggetto già tenuto ad altro titolo, era priva di causa, facendo leva proprio sulla causa intesa come “fattispecie causale concreta“, che discende da una “serrata critica della teoria della predeterminazione causale del negozio“.
Secondo la teorica fatta propria dalla corte di Cassazione la causa in concreto è “sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (aldilà del modello, benché tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragioni concrete) della dinamica contrattuale, si badi e non anche della volontà delle parti. Causa dunque ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga al fine di cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso con i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale“.
Tali coordinate ermeneutiche non comportano un ritorno alla concezione soggettiva della causa, per la evidente la necessità di sottolineare l’interesse sociale che il singolo contratto intende perseguire, segnatamente l’insieme degli interessi rilevanti nel complesso dell’operazione economica, con il ripudio della causa del contratto come strumento di controllo della sua utilità sociale, facendosi invece valere la stessa quale elemento di verifica degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare.
A riprendere significativamente tale concetto la S.C. è intervenuta con una serie di pronunce merito alla responsabilità da vacanza rovinata (Cassazione terza sezione civile 24.07.2007 n. 16315), ove si è data piena cittadinanza alla finalità nel contratto dello scopo concreto stabilendo che “la finalità turistica o “scopo di piacere “....non è un motivo irrilevante ma si sostanza nell’interesse che lo stesso è funzionalmente rivolto a soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando perciò l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero“ (fattispecie in cui è stata dichiarata la nullità di un contratto di cd. pacchetto turistico per due settimane all’estero in presenza di un’epidemia in atto nel luogo di destinazione; in tal senso altresì Cassazione sezione terza 20.12.2007 n. 26958).
Ancora successivamente la Terza sezione civile (sentenza 20.03.2012 n. 4372) individua come essenziale l’offerta di tutte le prestazioni contenute nel pacchetto di viaggio (nella specie esaminando la possibilità di effettuare immersioni subacquee rivelatasi impraticabile durante il periodo del soggiorno del turista in quel luogo), così avendo modo di ribadire che la causa non può più essere intesa in senso astratto, svincolata dalla singola fattispecie contrattuale e si identifica nella funzione economico individuale del singolo specifico negozio.
In tal modo si è progressivamente abbandonata la teoria della causa come funzione economico sociale del contratto, con notevoli riflessi anche sui principi costituzionali che danno rilievo all’interesse concretamente perseguito dalle parti ovvero alla cosiddetta ragione pratica dell’affare, calandosi nell’attuale contesto socio economico e nella realtà delle contrattazioni tra privati, spesso tale da coinvolgere anche più generali principi di buona fede ed affidamento.
La Suprema Corte ha successivamente accolto la nozione di causa concreta anche al di là dei contratti di viaggio turistico (cfr. Cass. n. 24769 del 2008 che ha affermato la nullità di contratto di locazione di un fondo sottoposto a vincolo di destinazione ad uso boschivo in quanto ne prevedeva l’utilizzazione in spregio al vincolo stesso e quindi un contrasto della causa concreta del contratto con le norme di legge).
Egualmente la pronuncia della Cassazione Sezioni unite n. 26972 del 2008, intervenendo sul significativo aspetto della categoria del danno esistenziale, ha affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile quando il contratto sia rivolto alla tutela di interessi non patrimoniali, la cui individuazione deve essere condotta accertando la causa concreta del negozio nel senso chiarito dalla storica Cassazione sezione terza n. 10490 del 2006.
Ancora più recentemente in tema di mutuo di scopo (Cassazione sezione I ordinanza n. 26770 del 2019), si è rilevato che l’utilizzo delle somme erogate per finalità diverse da quelle previste nel contratto (nella specie per ripianamento di pregressa esposizione anziché per l’acquisto di un immobile) comporti la deviazione della causa concreta rispetto a quella specificamente convenuta con conseguente nullità del contratto. La finalità cui l’attribuzione delle somme era preordinata entra dunque nella causa concreta del contratto, per cui l’oggettiva deviazione dallo scopo determina la carenza di causa concreta del contratto, nonostante sia stato adoperato un contratto tipico (in termini altresì Sez. 1, n. 15929/2018).
Il principio è stato poi affermato dalle Sez. U, n. 22437/2018, nel contratto di assicurazione per la responsabilità civile con clausole “claims made”. Tale decisione -dopo aver premesso che il modello “claims made” si colloca ormai nell’area della tipicità legale, rifluendo nell’alveo proprio dell’esercizio dell’attività assicurativa- ha ritenuto tuttavia necessario che la clausola “on claims made basis”, con la quale il pagamento dell’indennizzo è subordinato al fatto che il sinistro venga denunciato nel periodo di efficacia del contratto, «rispetti, anzitutto, i “limiti imposti dalla legge”, secondo quella che suole definirsi “causa in concreto” del negozio».
In tal senso, hanno precisato le Sezioni Unite, l’indagine è volta ad accertare l’adeguatezza del contratto agli interessi concreti delle parti. Sul punto la sentenza osserva che l’analisi del sinallagma del contratto assicurativo costituisce un adeguato strumento per verificare se ne sia stata realizzata la funzione pratica di assicurazione dallo specifico pregiudizio, e ciò al fine non di sindacare l’equilibrio economico delle prestazioni (profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale), ma di indagare se lo scopo pratico del negozio presenti un arbitrario squilibrio tra rischio assicurato e premio, poiché nel contratto di assicurazioni contro i danni la corrispettività si fonda su una relazione oggettiva e coerente fra rischio assicurato e premio.
Particolarmente significativa, per le implicazioni sotto certi aspetti parametrabili al contratto di avvalimento, in quanto diretto a produrre peculiari effetti anche verso terzi, si presenta la recente pronuncia in tema di concordato preventivo (Cassazione civ. sezione I, 08.02.2019 n. 3863) che indica la causa concreta come l’obiettivo specifico perseguito dal procedimento, priva di un contenuto fisso e predeterminabile e dipendente essenzialmente dal tipo di proposta formulata.
In tal sede la S.C. ha rilevato come sia essenziale verificare se il contratto sia idoneo ad espletare una funzione commisurata agli interessi che le parti perseguono; tale controllo, operato dal giudice sul regolamento degli interessi voluto dalle parti, ha essenzialmente ad oggetto il rispetto, da parte dei contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale, del principio di conformità all’utilità sociale dell’iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost..
La valutazione di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., in altri termini, non si esaurisce in una verifica di liceità della causa, ma investe il risultato perseguito con il contratto, del quale deve accertare la conformità ai principi di solidarietà e parità che l’ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati (cfr., anche Cassazione civile sezione unite 23.01.2000 n. 13521, che ha affermato a fronte della proposta di concordato preventivo, come il controllo del giudice si spinge alla verifica dell’effettiva realizzabilità della causa concreta del procedimento, dipendente dal tipo di proposta formulata, finalizzata da un lato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e dall’altro all’assicurazione di un soddisfacimento dei creditori, nonché Cassazione civile 18.08.2011 n. 17360, 12.11.2009 n. 22941). L’inserimento dunque nel giudizio di fattibilità del concordato preventivo della categoria della causa in concreto comporta la mancanza di tutela prestata dall’ordinamento al negozio stipulato qualora se ne riscontri la mancanza.
Conclusivamente, la Corte di Cassazione, attraverso un filo ininterrotto di pronunce, afferma come la causa in concreto può essere assente in contratti formalmente riconducibili a figure tipiche, ma che non sono in grado di realizzare gli interessi previsti dal tipo legale (
TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 07.01.2020 n. 51 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: 1.- Appalti Pubblici – bando di gara suddivisa in più lotti – carattere unitario della selezione – non sussiste.
In termini generali, e salvo le specificità di ciascun caso concreto, va affermato che il bando di una gara suddivisa in lotti costituisce un atto ad oggetto plurimo e determina l'indizione non di un'unica gara, ma di tante gare, per ognuna delle quali vi è un'autonoma procedura, che si conclude con un'aggiudicazione.
La scelta legislativa di cui all’art. 120, comma 11-bis, c.p.a. costituisce il corollario obbligato di tale premessa: se, infatti, non si ponesse un problema di pluralità di atti (o di atti plurimi), neppure dovrebbe porsi la questione del ricorso plurimo, in quanto l’atto sarebbe unico e risponderebbe alla regola generale del processo amministrativo impugnatorio in forza della quale il ricorso deve avere ad oggetto un solo provvedimento e i vizi-motivi si debbono correlare strettamente a questo.
Invece, proprio in considerazione della sussistenza di una pluralità di provvedimenti, è stato codificato un orientamento -già consolidato della giurisprudenza del giudice amministrativo-, attraverso il summenzionato l'art. 120, comma 11-bis, c.p.a., secondo cui l'ammissibilità del ricorso cumulativo degli atti di gara pubblica resta subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni.
Ne consegue che, nel caso di gara a più lotti, le concorrenti partecipino al solo o ai soli lotti per i quali presentino l’offerta: posto che il perimetro della partecipazione delinea l’ambito della legittimazione deve ritenersi inammissibile il ricorso volto a contestare segmenti procedurali non riguardanti i lotti interessati dall’offerta presentata
(massima free tratta da www.giustamm.it).
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SENTENZA
13.1. Prioritariamente il Collegio esamina la censura dell’appellante Mo., controinteressata in primo grado, di erronea, illogica e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per una pluralità di lotti per violazione dell’art. 120, comma 11-bis, c.p.a., anche perché il TAR avrebbe omesso di considerare che la ricorrente in primo grado non ha presentato domanda per i lotti 2, 4 e 6 e, in relazione ai restanti lotti, 1, 3 e 5, la posizione della medesima è sub iudice.
Così facendo Mo. ha giustapposto due eccezioni di diverso tenore, relative all’asserita violazione dell’art. 120, comma 11-bis, c.p.a. e alla carenza di legittimazione di K. in riferimento alle gare relative ai lotti per i quali non risulta essere candidata.
13.2. Il Collegio ritiene che debba essere prioritariamente esaminata la censura relativa alla (parziale) carenza di legittimazione di K. in ragione della radicalità del vizio (Ad. Plen. 5 del 2015), attinente alla sussistenza della condizione di ammissibilità della legittimazione a ricorrere.
La censura deve essere accolta.
Sulla scorta di una consolidata giurisprudenza, richiamata, fra l’altro, nell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2018, la legittimazione a impugnare gli atti di gara è ancorata, salvo le poche eccezioni individuate dalla giurisprudenza, che non ricorrono nella presente controversia, alla partecipazione alla gara.
L’applicazione della suddetta regola al caso controverso richiede di valutare preliminarmente come si concretizza la nozione di partecipazione alla gara in relazione a una procedura selettiva articolata in più lotti. Si tratta, cioè, di verificare se la suddivisione in lotti determina una moltiplicazione delle procedure o se la gara permane unitaria.
In termini generali, e salvo le specificità di ciascun caso concreto, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che il bando di una gara suddivisa in lotti costituisce un atto ad oggetto plurimo e determina l'indizione non di un'unica gara, ma di tante gare, per ognuna delle quali vi  è un'autonoma procedura, che si conclude con un'aggiudicazione (Cons. St., sez. III, 15.05.2018, n. 2892).
La scelta legislativa di cui all’art. 120, comma 11-bis, c.p.a. costituisce il corollario obbligato di tale premessa. Se, infatti, non si ponesse un problema di pluralità di atti (o di atti plurimi), neppure dovrebbe porsi la questione del ricorso plurimo, in quanto l’atto sarebbe unico e risponderebbe alla regola generale del processo amministrativo impugnatorio in forza della quale il ricorso deve avere ad oggetto un solo provvedimento e i vizi-motivi si debbono correlare strettamente a questo.
Invece, proprio in considerazione della sussistenza di una pluralità di provvedimenti, è stato codificato un orientamento già consolidato della giurisprudenza del giudice amministrativo (Cons. St., sez. III, 04.02.2016, n. 449) attraverso l'art. 120, comma 11-bis, c.p.a., secondo cui l'ammissibilità del ricorso cumulativo degli atti di gara pubblica resta subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni (Cons. St., sez. III, 03.07.2019, n. 4569).
In ragione di quanto argomentato appena sopra il Collegio ritiene che, nel caso di gara a più lotti, le concorrenti partecipino al solo o ai soli lotti per i quali presentano l’offerta.
Posto che il perimetro della partecipazione delinea l’ambito della legittimazione (Ad. Plen. n. 9 del 2014) deve ritenersi inammissibile il ricorso volto a contestare segmenti procedurali non riguardanti i lotti interessati dall’offerta presentata.
Del resto, neppure si comprende di quale interesse potrebbe essere portatore colui che pretende di far annullare un atto che nega un bene della vita che costui non manifesta di voler conseguire, non partecipando alla procedura finalizzata a ottenerlo (ordinanza CGA n. 325 del 2019, richiamata in fatto) (CGARS, sentenza 03.01.2020 n. 2 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVIIl Collegio intende dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale:
   - la nozione di controinteressato all'accesso è data dall'art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, per il quale sono ‘controinteressati’ ‘tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza’; il che avviene quando vi sia un soggetto titolare di un diritto alla riservatezza dei dati racchiusi nel documento;
   - l’Amministrazione deve valutare l'esistenza di controinteressati ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184, per il quale, “fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione”;
   - se, nel procedimento avviato dall'istanza di accesso ai documenti, l'Amministrazione individua un controinteressato, a quel soggetto dovrà essere notificato l'eventuale ricorso proposto dall'istante avverso il rifiuto all'accesso adottato dall'amministrazione (ovvero avverso il silenzio); per converso, nel caso in cui l'Amministrazione non abbia in sede procedimentale individuato alcun controinteressato, l'istante non sarà onerato a notificare il ricorso, a pena di sua inammissibilità, ad alcun controinteressato;
   - qualora l'amministrazione, in sede procedimentale, non ravvisi posizioni di controinteresse rispetto alla domanda di accesso e, dunque, l'istante non sia tenuto a notificare il ricorso ad altri oltre all'Amministrazione, il giudice adito deve valutare comunque, anche d'ufficio, l'esistenza di controinteressati e imporre la notifica del ricorso di primo grado ai fini dell’integrazione del contraddittorio;
   - dall'art. 3, comma 1, del d.P.R. 12.04.2006, n. 184 emerge che, in sede giurisdizionale, non può essere dichiarato inammissibile il ricorso per l'accesso, per mancata notifica al controinteressato, quando l’Amministrazione, in sede procedimentale, non abbia consentito la partecipazione di altri soggetti suscettibili di essere pregiudicati dall'accoglimento dell’istanza di accesso, che acquisterebbero la qualifica di controinteressati nel caso di impugnazione del conseguente diniego: in tali ipotesi -ove ravvisi posizioni di controinteresse – il giudice adito è tenuto a imporre la notifica del ricorso di primo grado alla parte controinteressata, al fine di integrare il relativo contraddittorio processuale.
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In via generalizzata, la parte controinteressata viene individuata nel soggetto, individuato o facilmente individuabile sulla base del provvedimento impugnato, titolare di un interesse eguale e contrario a quello azionato dal ricorrente principale –e, quindi, di un interesse al mantenimento della situazione esistente, messa in forse dal ricorso, fonte di una posizione qualificata meritevole di tutela conservativa- suscettibile di essere pregiudicato dall’eventuale emissione di una sentenza di accoglimento del ricorso.
Come osservato, con riferimento alla materia dell’accesso ai documenti amministrativi deve, in particolare, ritenersi ‘controinteressato’ colui che vedrebbe compromesso il proprio diritto alla riservatezza dall’ostensione del documento richiesto.
Trattasi di nozione ricavabile:
   - dall’art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, secondo cui i controinteressati devono individuarsi in tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;
   - dall’art. 5-bis D.Lgs. 14.03.2013, n. 33 che, in materia di accesso civico, prevede tra gli interessi qualificati, in funzione ostativa all’accesso, la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, nonché gli interessi economici e commerciali del singolo, suscettibili di essere pregiudicati dall’ostensione del documento oggetto di accesso;
   - dall’art. 53, comma 5, lett. a), D.Lgs. n. 50/2016 che, in materia di appalti pubblici, accorda tutela alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali.
A prescindere dai rapporti intercorrenti fra le esigenze di trasparenza amministrativa e di tutela giuridica degli istanti, sottese all’istanza di accesso, e le esigenze di tutela della riservatezza, poste a garanzia della posizione del controinteressato –variamente ricostruibili a seconda del regime giuridico di accesso concretamente rilevante– in ogni caso, deve riconoscersi una posizione di controinteresse in capo a colui che, in quanto titolare di dati personali ovvero di segreti commerciali o tecnici suscettibili di essere disvelati dall’ostensione del documento richiesto, dall’accoglimento dell’istanza di accesso subirebbe un pregiudizio nella propria sfera giuridica, sub specie di diritto alla riservatezza di dati racchiusi nel relativo documento.
Trattasi, pertanto, di posizione qualificata e differenziata, in quanto, da un lato, presa in considerazione dal legislatore nel regolare la materia dell’accesso ai documenti amministrativi, dall’altro, imputabile ad un soggetto direttamente inciso dall’azione amministrativa, titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva (diritto alla riservatezza) correlata allo specifico documento oggetto di accesso.
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1. In via pregiudiziale, attenendo alla corretta instaurazione del contraddittorio processuale -presupposto di validità del giudizio, necessario per poter esaminare il merito della controversia– occorre pronunciare sul capo di sentenza con cui il Tar, escludendo che il Ci. rivestisse la qualità di contoininteressato, ha (implicitamente) ritenuto ammissibile il ricorso di prime cure: trattasi di statuizione censurata sia dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca con il primo motivo di appello, sia dal Ci. con il primo motivo di opposizione di terzo, valevole altresì come atto di intervento ex art. 109, comma 2, c.p.a.
In subiecta materia, anche ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), del codice del processo amministrativo, il Collegio intende dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, 04.0.2019, n. 6719), in forza del quale:
   - la nozione di controinteressato all'accesso è data dall'art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, per il quale sono ‘controinteressati’ ‘tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza’; il che avviene quando vi sia un soggetto titolare di un diritto alla riservatezza dei dati racchiusi nel documento;
   - l’Amministrazione deve valutare l'esistenza di controinteressati ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184, per il quale, “fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione”;
   - se, nel procedimento avviato dall'istanza di accesso ai documenti, l'Amministrazione individua un controinteressato, a quel soggetto dovrà essere notificato l'eventuale ricorso proposto dall'istante avverso il rifiuto all'accesso adottato dall'amministrazione (ovvero avverso il silenzio); per converso, nel caso in cui l'Amministrazione non abbia in sede procedimentale individuato alcun controinteressato, l'istante non sarà onerato a notificare il ricorso, a pena di sua inammissibilità, ad alcun controinteressato;
   - qualora l'amministrazione, in sede procedimentale, non ravvisi posizioni di controinteresse rispetto alla domanda di accesso e, dunque, l'istante non sia tenuto a notificare il ricorso ad altri oltre all'Amministrazione, il giudice adito deve valutare comunque, anche d'ufficio, l'esistenza di controinteressati e imporre la notifica del ricorso di primo grado ai fini dell’integrazione del contraddittorio;
   - dall'art. 3, comma 1, del d.P.R. 12.04.2006, n. 184 emerge che, in sede giurisdizionale, non può essere dichiarato inammissibile il ricorso per l'accesso, per mancata notifica al controinteressato, quando l’Amministrazione, in sede procedimentale, non abbia consentito la partecipazione di altri soggetti suscettibili di essere pregiudicati dall'accoglimento dell’istanza di accesso, che acquisterebbero la qualifica di controinteressati nel caso di impugnazione del conseguente diniego: in tali ipotesi -ove ravvisi posizioni di controinteresse – il giudice adito è tenuto a imporre la notifica del ricorso di primo grado alla parte controinteressata, al fine di integrare il relativo contraddittorio processuale.
Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, preliminarmente, occorre verificare se nella specie sia corretta la decisione del Tar di non ritenere il Ci. parte controinteressata nel presente giudizio; in caso di riscontrata erroneità della relativa statuizione, sarà necessario verificare se l’omessa evocazione in primo grado del Ci. abbia comportato l’inammissibilità del ricorso, come dedotto dal Miur e dal Ci., ovvero abbia determinato la violazione del contraddittorio processuale, fattispecie rilevante ai fini della rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a.
2. Con riferimento al primo profilo di indagine, il Collegio ritiene che il Ci. sia da considerare parte controinteressata in relazione al ricorso ex art. 116 c.p.a. proposto in prime cure.
In via generalizzata, la parte controinteressata viene individuata nel soggetto, individuato o facilmente individuabile sulla base del provvedimento impugnato, titolare di un interesse eguale e contrario a quello azionato dal ricorrente principale –e, quindi, di un interesse al mantenimento della situazione esistente, messa in forse dal ricorso, fonte di una posizione qualificata meritevole di tutela conservativa- suscettibile di essere pregiudicato dall’eventuale emissione di una sentenza di accoglimento del ricorso (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 06.06.2019, n. 3911).
Come osservato, con riferimento alla materia dell’accesso ai documenti amministrativi deve, in particolare, ritenersi ‘controinteressato’ colui che vedrebbe compromesso il proprio diritto alla riservatezza dall’ostensione del documento richiesto.
Trattasi di nozione ricavabile:
   - dall’art. 22, comma 1, lett. c), l. 07.08.1990, n. 241, secondo cui i controinteressati devono individuarsi in tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;
   - dall’art. 5-bis D.Lgs. 14.03.2013, n. 33 che, in materia di accesso civico, prevede tra gli interessi qualificati, in funzione ostativa all’accesso, la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, nonché gli interessi economici e commerciali del singolo, suscettibili di essere pregiudicati dall’ostensione del documento oggetto di accesso;
   - dall’art. 53, comma 5, lett. a), D.Lgs. n. 50/2016 che, in materia di appalti pubblici, accorda tutela alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali.
A prescindere dai rapporti intercorrenti fra le esigenze di trasparenza amministrativa e di tutela giuridica degli istanti, sottese all’istanza di accesso, e le esigenze di tutela della riservatezza, poste a garanzia della posizione del controinteressato –variamente ricostruibili a seconda del regime giuridico di accesso concretamente rilevante (nella specie, la parte appellata ha comunque fatto riferimento, in primo grado, sia all’accesso documentale ex art. 22 e ss. L. n. 241/1990, sia all’accesso civico ex art. 5 D.Lgs. 14.03.2013, n. 33)– in ogni caso, deve riconoscersi una posizione di controinteresse in capo a colui che, in quanto titolare di dati personali ovvero di segreti commerciali o tecnici suscettibili di essere disvelati dall’ostensione del documento richiesto, dall’accoglimento dell’istanza di accesso subirebbe un pregiudizio nella propria sfera giuridica, sub specie di diritto alla riservatezza di dati racchiusi nel relativo documento.
Trattasi, pertanto, di posizione qualificata e differenziata, in quanto, da un lato, presa in considerazione dal legislatore nel regolare la materia dell’accesso ai documenti amministrativi, dall’altro, imputabile ad un soggetto direttamente inciso dall’azione amministrativa, titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva (diritto alla riservatezza) correlata allo specifico documento oggetto di accesso (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 02.01.2020 n. 30 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

APPALTI: Richiesta, nel procedimento di verifica di anomalia, di fatture e non di preventivi a giustificazione dei prezzi offerti.
Il TAR Milano ritiene non irragionevole la scelta della stazione appaltante, nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, a fronte dei rilevanti scostamenti tra i prezzi offerti dal concorrente rispetto a quelli di mercato, di non ritenere sufficiente la loro giustificazione mediante “preventivi” e, pertanto, di mere proposte contrattuali provenienti da terzi, in luogo di “fatture” e, dunque, di documenti che comprovino l’avvenuta esecuzione di un contratto a determinate condizioni, rispondendo questa scelta all’esigenza di tutelare la stazione appaltante da offerte eccessivamente basse senza risultare discriminatoria, in quanto riferita a materiali di uso comune e facilmente reperibili (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 02.01.2020 n. 9 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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   I) In via preliminare, il Collegio dà atto che, in sede di verifica di anomalia, la Commissione ha rilevato che per alcune voci di prezzo la ricorrente ha indicato costi che presentano scostamenti significativi rispetto a quelli dei materiali/attrezzature che compongono le lavorazioni poste a base di gara, richiedendo conseguentemente “la presentazione di recenti fatture di acquisto quietanziate, da cui risulti il costo dichiarato per le quantità necessarie e similari a quelle poste a base di gara, a garanzia della qualità, congruità ed affidabilità dell’offerta” (verbale n. 1 del 21.2.2019).
A fronte della mancata presentazione delle richieste fatture, la Commissione ha pertanto ritenuto non giustificati i valori indicati nell’offerta della ricorrente, che è stata conseguentemente giudicata anomala, in particolare, rispetto ai costi indicati per i materiali, per un importo di € 75.642,38 (v. verbale n. 2 del 20.03.2019).
   II) Secondo la ricorrente, l’operato della stazione appaltante sarebbe tuttavia illegittimo, per aver preteso la produzione di fatture di acquisto quietanziate, e per non aver accettato, in loro mancanza, preventivi dei fornitori.
Ritiene il Collegio che il ricorso vada respinto atteso che, come già evidenziato in sede cautelare, nell’ambito del limitato sindacato giurisdizionale esercitabile dal g.a. in materia di anomalia dell’offerta, la richiesta di giustificare talune voci mediante la produzione di fatture non sia irragionevole, in quanto finalizzata alla necessità di verificare l’effettiva reperibilità sul mercato di taluni materiali, alle condizioni particolarmente favorevoli allegate dalla ricorrente, né particolarmente gravosa, alla luce del loro ampio utilizzo e diffusione sul mercato (ad es. ghiaia).
Sulla questione il Collegio si è peraltro già pronunciato in più occasioni, in cui, malgrado le inevitabili peculiarità delle relative fattispecie, evidenziate dalla ricorrente nella propria memoria finale, gli istanti deducevano l’illegittimità della richiesta del Comune di Milano, di giustificare la propria offerta mediante la produzione di fatture (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 16.12.2015 n. 2672, 12.05.2017 n. 1095) analogamente a quanto ha luogo nel presente giudizio.
   III) Malgrado la ricorrente deduca che “la giurisprudenza ritiene pacificamente ammissibile la produzione di preventivi a giustificazione di talune voci di costo dell’offerta”, come del resto dalla stessa correttamente osservato, l’oggetto del presente giudizio è “la legittimità della decisione della p.a. di richiedere necessariamente ed esclusivamente le fatture” (v. pag. 3 memoria finale), e non invece la legittimità di un giudizio di anomalia fondato sulla produzione di preventivi, ciò che, in taluni casi, e nell’ambito della sua discrezionalità, una stazione appaltante può certamente consentire.
Come già evidenziato, il sindacato del g.a. sulle valutazioni amministrative caratterizzate da discrezionalità tecnica è di tipo “debole”, e pertanto circoscritto ai soli casi di manifesta e macroscopica erroneità, irragionevolezza o arbitrarietà, ovvero di motivazione fondata su palese e manifesto travisamento dei fatti, laddove siano sintomatiche di un uso della discrezionalità tecnica distorto e contrario ai principi di efficacia, economicità e buon andamento, in presenza del quale, soltanto, è consentito l'intervento caducatorio dell'autorità giurisdizionale (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 03.12.2018, n. 11691).
Nel caso di specie, a fronte dei rilevanti scostamenti tra i prezzi offerti dalla ricorrente rispetto a quelli di mercato, la scelta del Comune di non ritenere sufficiente la loro giustificazione mediante “preventivi”, e pertanto, di mere proposte contrattuali provenienti da terzi, in luogo di “fatture”, e dunque di documenti che comprovino l’avvenuta esecuzione di un contratto a determinate condizioni, non è certamente irragionevole, rispondendo infatti all’esigenza di tutelare la stazione appaltante da offerte eccessivamente basse, né discriminatoria, in quanto riferita a materiali di uso comune e facilmente reperibili.
   IV) Infine, evidenzia il Collegio che la lex specialis si limitava a prevedere che “le giustificazioni e i relativi documenti a corredo (fatture, preventivi, ecc.), dovranno essere presentate su supporto informatico”, con ciò prescrivendo le relative modalità di documentazione, senza invece vincolare la stazione appaltante ad un giudizio di equipollenza tra le due forme.
In conclusione, il ricorso va pertanto respinto.

APPALTIRisalenza del tempo dei fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia.
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Informativa antimafia – Presupposti –Fatti risalenti nel tempo – Irrilevanza ex se.
I fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione (21.01.2019, n. 515), che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della ‘risalenza’ dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della mafiosità.
Con riferimento poi alla presenza, all’interno della società, di soggetti vicini agli ambienti della mala, è sufficiente ricordare che proprio in relazione ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose la Sezione (07.02.2018, n. 820) ha affermato che l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto.
Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.
Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza –su un’area più o meno estesa– del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 02.01.2020 n. 2 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
1. Oggetto del gravame è l’interdittiva antimafia, emessa, in data 16.03.2018, dalla Prefettura della Provincia di Crotone a carico della -OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-) a seguito delle risultanze istruttorie riportate nell’ordinanza di applicazione di misura coercitiva ex art. 292 c.p.p., emessa in data 28.12.2017 dal Gip del Tribunale ordinario di Catanzaro, nell’ambito del procedimento penale scaturito in esito all’operazione di Polizia giudiziaria denominata “-OMISSIS-”, che ha coinvolto una pluralità di indagati, tra cui anche la società -OMISSIS-.
Il Tar Catanzaro, dinanzi al quale la società aveva impugnato l’interdittiva, ha accolto il ricorso sul rilievo che dalle verifiche fatte svolgere alla Guardia di finanza non emerge il connotato di univocità agli elementi indiziari ricavati, in ordine alla soggezione all’ingerenza criminale, dai provvedimenti emessi in sede penale, con la conseguenza che, se è vero che il giudice amministrativo non può certo sostituire la propria valutazione a quelle operate, nell’ambito del procedimento penale, dall’Autorità giudiziaria competente, altrettanto vero è che il giudice amministrativo deve assicurare alla società ricorrente il diritto fondamentale alla difesa, e dunque non può omettere di considerare quei dati fattuali allegati dal soggetto colpito da informazione interdittiva per dimostrare l’insussistenza del condizionamento mafioso.
In altri termini il giudice di primo grado, richiamati correttamente i principi che sono alla base del sistema preventivo dell’interdittiva, ha concluso nel senso che alla luce degli esiti delle Guardia di finanza mancavano, nella specie, anche i meri indizi, questi sì necessari per far scattare la misura di prevenzione.
Il Collegio non condivide le conclusioni del primo giudice. Non ritiene infatti di poter escludere il tentativo di infiltrazione nella società appellata, che emerge dalle indagini del Gip del Tribunale ordinario di Catanzaro, nell’ambito del procedimento penale scaturito in esito all’operazione di Polizia giudiziaria denominata “-OMISSIS-” e riportate nell’ordinanza di applicazione di misura coercitiva ex art. 292 c.p.p., emessa in data 28.12.2017. L’avversa conclusione del Tar poggia, infatti, sul diverso esito delle indagini che lo stesso aveva affidato alla Guardia di finanza, di durata e profondità necessariamente più limitata.
Dalle indagini penali è emerso, infatti, che la società appellata è tra quelle che hanno beneficiato dei favori del Sindaco del Comune di -OMISSIS- che, pur non essendo inserito stabilmente nella struttura organizzativa del sodalizio della ndragheta locale della famiglia -OMISSIS-, con la pressione o, comunque, l’approvazione delle cosche dominanti sul territorio, “poneva in essere tutta una serie di atti procedimentali al fine di far appaltare lavori a ditte controllate e/o indicate dalla stessa cosca e/o dai suoi fiancheggiatori e/o provvedendo, attraverso atti amministrativi e contabili, quali fittizi mandati di pagamento, ad assegnare a membri della famiglia … delle somme di denaro destinate apparentemente a ditte che svolgono servizi per l’Ente …”. Tra queste ditte, appunto, era compresa anche la società appellata, come risulta dalla lettura dell’ordinanza del Gip del Tribunale ordinario di Catanzaro del 28.12.2017.
Aggiungasi che, come emerge dagli stessi atti di causa, il legale rappresentante della società appellata –alla quale sono stati affidati nel Comune gli appalti di pulizia dei locali comunali, di mensa scolastica ed il trasporto scolastico– è -OMISSIS- di soggetto nei cui confronti è stata svolta attività estorsiva alla quale, da quanto è dato leggere dall’ordinanza del Gip, avrebbe ceduto.
2. Tutti gli elementi fattuali sopra descritti sono sufficienti a supportare l’informativa impugnata dinanzi al Tar Catanzaro, alla luce dei consolidati principi che governano tale materia, ben conosciuti dal giudice di primo grado che, pur avendoli correttamente richiamati, non ne ha fatto corretto uso.
E’ noto, infatti che l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Ha aggiunto la Sezione (-OMISSIS- del 2019) che lo stesso legislatore –art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011– ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.
Ha ancora chiarito la Sezione (05.09.2019, -OMISSIS-) che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di “tentativi” di infiltrazione mafiosa, ha fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” (quelli dell'art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), d.lgs. n. 159 del 2011), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica.
L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.
Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 04.01.2018, n. 111).
Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame.
Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio.
La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30.01.2019, -OMISSIS-).
E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi.
Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza De Tommaso c. Italia, consiste anzitutto nel «tenere il passo con il mutare delle circostanze» secondo una nozione di legittimità sostanziale.
Ma, come è stato recentemente osservato anche dalla giurisprudenza penale, il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte europea in generale compatibile con la normativa convenzionale poiché «il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una “condizione” personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale» (Cass. pen., sez. II, 09.07.2018, n. 30974).
Al delicato bilanciamento raggiunto dall’interpretazione di questo Consiglio di Stato non osta nemmeno, come sostiene l’appellante, l’orientamento assunto dalla Corte costituzionale nelle recenti sentenze n. 24 del 27.02.2019 e n. 195 del 24.07.2019, orientamento di cui, per la sua importanza sistematica anche nella materia della documentazione antimafia, occorre dare qui conto.
Come ha ben posto in rilievo la Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, infatti, allorché si versi al di fuori della materia penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base «dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione».
Essenziale –nell’ottica costituzionale così come in quella convenzionale (v., ex multis, Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione quinta, sentenza 26.11.2011, Gochev c. Bulgaria; Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione prima, sentenza 04.06.2002, Olivieiria c. Paesi Bassi; Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione prima, sentenza 20.05.2010, Lelas c. Croazia)– è, infatti, che tale interpretazione giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa.
In tale direzione la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18.04.2018, n. 2343).
Ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali –secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale– sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18.04.2018, n. 2343).
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, va del resto qui ricordato, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, «ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale» (Cons. St., sez. III, 26.09.2017, n. 4483).
3. Ciò chiarito, con riferimento alla pregressa presenza, all’interno della società appellata, del signor -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- del legale rappresentante -OMISSIS- -OMISSIS-, è sufficiente ricordare che proprio in relazione ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose la Sezione (07.02.2018, n. 820) ha affermato che l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto.
Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.
Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza –su un’area più o meno estesa– del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti.
Nel caso all’esame del Collegio il -OMISSIS- del legale rappresentante della società appellata -già titolare della stessa, ceduta al -OMISSIS- (il -OMISSIS- 2008) quando questi non aveva ancora raggiunto la maggiore età, ma ancora gestore di fatto- in data antecedente al 1998, quando era amministratore della società, sarebbe stato vittima di un’estorsione alla quale, da quanto emerge dall’ordinanza del Gip di Catanzaro, avrebbe ceduto, essendosi recato presso la filiale della -OMISSIS- dopo aver parlato con -OMISSIS-, condannata a 15 anni e 4 mesi nell’ambito dell’operazione di polizia -OMISSIS-.
Giova a tale proposito ricordare che alcune operazioni societarie possono disvelare un’attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con la pregressa gestione subendone, anche inconsapevolmente, i tentativi di ingerenza (Cons. St., sez. III, 27.11.2018, n. 6707; 07.03.2013, n. 1386).
Ancora priva di giuridico peso la circostanza che il fatto estorsivo che ha colpito il -OMISSIS- del legale rappresentante della società appellata risale al 1998.
E’, infatti, sufficiente sul punto richiamare il principio secondo cui i fatti sui quali si fonda tale misura di prevenzione possono anche essere risalenti nel tempo nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
Come chiarito dalla Sezione (21.01.2019, n. 515), il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica, cioè, la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della ‘risalenza’ dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della mafiosità.
Diversamente da quanto assume il giudice di primo grado, non può sottacersi il fatto che due dipendenti della società appellata siano legati da vincoli parentali a componenti alla cosca. Ove pure gli stessi fossero stati assunti con la cd. clausola sociale, non è offerto neanche un principio di prova del tentativo di non addivenire a tali assunzioni né rileva il fatto che gli stessi occupassero bassi profili, essendo uno autista e l’altro addetto alle pulizie. Indipendentemente, infatti, dalle mansioni ricoperte, un dipendente di società legato alla malavita può costituire un ponte tra questa e la società per la quale lavora.
Rileva ancora il Collegio che non assume portata determinante la circostanza, non chiarita nella sua materialità, se vi sia stato o meno l’effettivo pagamento, da parte del Comune di -OMISSIS-, di un importo pari a € 3.000,00, risultando comunque dalle intercettazioni che la stessa società compulsava i competenti uffici comunali per provvedere al relativo mandato di pagamento.
4. In conclusione, correttamente il coacervo di elementi è stato ritenuto dal Prefetto di Crotone sufficiente ad evidenziare il pericolo di contiguità con la mafia, con un giudizio peraltro connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001).
Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).
4. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
5. In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello deve essere accolto e va, dunque, riformata la sentenza del Tar Calabria, sede di Catanzaro, sez. I, -OMISSIS- del 20.03.2019, che ha accolto il ricorso di primo grado.

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