dossier BOSCO |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Vincolo
paesaggistico ex lege per le aree boscate.
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Paesaggio – Tutela – Vincolo paesaggistico – Aree boscate – Presupposto –
Individuazione.
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Urbanistica – Piano paesaggistico territoriale – Bosco – Individuazione.
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Il vincolo paesaggistico ex lege per le aree boscate presuppone a monte la
sussistenza in natura del bosco, così come definito dal legislatore, e a
valle, in ragione della natura del vincolo, il provvedimento certativo
adottato dall'autorità amministrativa competente che ne attesti, con
efficacia ex tunc, l'effettiva esistenza (1).
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E’ legittimo il Piano paesaggistico territoriale (PPTR) che
classifica una intera area come “bosco” includendo in tale classificazione
anche particelle sulle quali sono stati realizzati fabbricati, previo
rilascio del permesso di costruire, e ciò in quanto tali particelle non
possono essere considerate avulse dall’intero contesto; né la zonizzazione
come bosco è contraddetta dalla parziale assenza di vegetazione boschiva,
atteso che dal combinato disposto degli artt. 3 e 4, d.lgs. n. 34 del 2018 e
149, d.lgs. 42 del 2004 si evince l’assimilazione al bosco sia delle aree
forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva, sia delle
radure e di tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 mq che
interrompono la continuità del bosco (1).
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(1) La Sezione ha ricordato che sulla nozione di bosco vi è un
orientamento consolidato nella giurisprudenza nazionale. Infatti, ormai da
anni, si ritiene che la nozione di "bosco", richiamata ai fini della
tutela paesaggistica è, in principio, nozione normativa perché fa espresso
riferimento alla definizione oggi dettata dagli artt. 3 e 4, d.lgs. n. 34
del 2018, postulanti la presenza di un terreno di una certa estensione,
coperto con una certa densità da vegetazione forestale arborea e
-tendenzialmente almeno- da arbusti sottobosco ed erbe.
In particolare, il giudice amministrativo ha affermato che un bosco
rappresenta un sistema vivente complesso insediato in modo tale da essere in
grado di autorigenerarsi, così dissipando del tutto l'idea che per bosco
debba intendersi l'insieme monocultura di alberi destinati, ad esempio, alla
produzione di legname (Cons.
Stato, sez. IV, 04.03.2019 n. 1462). Anche la giurisprudenza
della Corte costituzionale (cfr. Corte cost. n. 201 del 2018) rammenta che
l'art. 149, d.lgs. 42 del 2004 ha escluso dall'ambito di applicazione
dell'autorizzazione paesaggistica proprio le attività, quali il taglio
colturale, che rappresentano attività di gestione e di manutenzione
ordinaria della aree boscate. Ciò a riprova del fatto che la nozione di
bosco non è in alcun modo riducibile a quella di un insieme di alberi (Cons.
Stato, sez. VI, 02.12.2019, n. 8242).
Sempre in tema di definizione di bosco, accanto alla nozione normativa di
bosco, la giurisprudenza fa riferimento ad una nozione sostanziale perché la
finalità di tutela del paesaggio, sottesa alla nozione di bosco, implica il
rispetto della ragionevolezza e della proporzionalità in relazione a tale
finalità, con la conseguenza che foreste e boschi sono presunti di notevole
interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente
caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità”
(Cons.
Stato, sez. V, 10.08.2016 n. 3574); il che equivale a dire che la
nozione normativa di bosco, per la giurisprudenza, deve essere affiancata da
una nozione sostanziale perché essa è finalizzata all’apposizione del
vincolo di tutela paesaggistica.
La Corte di Cassazione, in sede penale, con sentenza sez. III, 17.10.2019,
n. 9402, ha poi aggiunto che solo le Regioni possono, nell'ambito della
potestà legislativa concorrente in subiecta materia, integrare per
addizione o sottrazione, la definizione di area boschiva assunta dalla legge
nazionale, aggiungendo o escludendo da essa determinate aree;
conseguentemente una volta accertata la natura boschiva di un'area, il
vincolo paesaggistico derivante ex lege dall’art. 142, d.lgs. n. 42
del 2004 produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni
ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali.
Il vincolo paesaggistico ex lege per le aree boscate presuppone,
dunque, a monte la sussistenza in natura del bosco, così come definito dal
legislatore, e a valle, in ragione della natura del vincolo, il
provvedimento certativo adottato dall'autorità amministrativa competente che
ne attesti con efficacia ex tunc l'effettiva esistenza (Consiglio
di Stato, Sez. I,
parere 04.12.2020 n. 1962 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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PARERE
3. La Sezione ritiene opportuno premettere brevemente il quadro
normativo e giurisprudenziale che viene in rilievo in questa materia.
3.1. A livello normativo la nozione di bosco può essere desunta dal
combinato disposto di alcune norme. Si ricordi che il d.lgs. 22.01.2004, n. 42 -“Codice dei beni culturali e del paesaggio”– all’articolo
134, relativo ai beni paesaggistici, al comma 1, lett. b), dispone che sono
beni paesaggistici, tra gli altri, anche le aree indicate all'articolo 142.
Quest’ultimo articolo, dedicato alle “aree tutelate per legge”, al primo
comma, lett. g), prevede che fino all'approvazione del piano paesaggistico
sono comunque sottoposti alle disposizioni per il loro interesse
paesaggistico “i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi
o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento,
come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18.05.2001, n. 227”.
L’articolo 142 rimanda, dunque, alla nozione recepita dal legislatore
nazionale con l’articolo 2 (“Definizione di bosco e di arboricoltura da
legno”) del d.lgs. n. 227/2001 che tuttavia è stato abrogato dal d.lgs. n.
34/2018.
Tale ultimo decreto, all’articolo 3, comma 3, definisce bosco “le superfici
coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella
arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo
ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza
media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore
del 20 per cento”. Al successivo articolo 4, “Aree assimilate a bosco”, il
legislatore assimila a bosco, tra l’altro, “le radure e tutte le altre
superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la
continuità del bosco, non riconosciute come prati o pascoli permanenti o
come prati o pascoli arborati” (comma 1 lett. e).
L’articolo 143 del codice dei beni culturali e del paesaggio si occupa,
infine, del piano paesaggistico e dispone al comma 1, per quanto di
interesse, che l'elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: a)
ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, mediante l'analisi
delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse dalla natura, dalla
storia e dalle loro interrelazioni, ai sensi degli articoli 131 e 135; b)
ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse
pubblico ai sensi dell' articolo 136; c) ricognizione delle aree di cui al
comma 1 dell' articolo 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala
idonea alla identificazione, nonché determinazione di prescrizioni d'uso
intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree
e, compatibilmente con essi, la valorizzazione; d) eventuale individuazione
di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico a termini
dell' articolo 134 , comma 1, lettera c); e) individuazione di eventuali,
ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all'articolo 134 , da
sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione; f)
analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio; g) individuazione
degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree; h)
individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel
contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio;
i) individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità, a
termini dell' articolo 135 , comma 3.
3.2.
Sulla nozione di bosco vi è un orientamento consolidato nella
giurisprudenza nazionale. Infatti, ormai da anni, si ritiene che la nozione
di "bosco", richiamata ai fini della tutela paesaggistica è, in principio,
nozione normativa perché fa espresso riferimento alla definizione oggi
dettata dagli articoli 3 e 4 del d.lgs. n. 34/2018, postulanti la presenza
di un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da
vegetazione forestale arborea e -tendenzialmente almeno- da arbusti
sottobosco ed erbe.
In particolare, il giudice amministrativo ha affermato che un bosco
rappresenta un sistema vivente complesso insediato in modo tale da essere in
grado di autorigenerarsi, così dissipando del tutto l'idea che per bosco
debba intendersi l'insieme monocultura di alberi destinati, ad esempio, alla
produzione di legname
(Cons. Stato, sez. IV, 04.03.2019 n. 1462).
Anche la
giurisprudenza della Corte costituzionale
(cfr. Corte cost., n. 201/2018)
rammenta che l'art. 149 d.lgs. 42/2004 ha escluso dall'ambito di
applicazione dell'autorizzazione paesaggistica proprio le attività, quali il
taglio colturale, che rappresentano attività di gestione e di manutenzione
ordinaria della aree boscate. Ciò a riprova del fatto che la nozione di
bosco non è in alcun modo riducibile a quella di un insieme di alberi
(così
Consiglio di Stato, sez. VI, 02.12.2019, n. 8242).
Sempre in tema di definizione di bosco, accanto alla nozione normativa di
bosco, la giurisprudenza fa riferimento ad una nozione sostanziale perché la
finalità di tutela del paesaggio, sottesa alla nozione di bosco, implica il
rispetto della ragionevolezza e della proporzionalità in relazione a tale
finalità, con la conseguenza che foreste e boschi sono presunti di notevole
interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente
caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità”
(Cons.
Stato, sez. V, 10.08.2016 n. 3574);
il che equivale a dire che la
nozione normativa di bosco, per la giurisprudenza, deve essere affiancata da
una nozione sostanziale perché essa è finalizzata all’apposizione del
vincolo di tutela paesaggistica.
La Corte di Cassazione, in sede penale, con sentenza sez. III, 17.10.2019, n. 9402,
ha poi aggiunto che solo le Regioni possono, nell'ambito
della potestà legislativa concorrente in subiecta materia, integrare per
addizione o sottrazione, la definizione di area boschiva assunta dalla legge
nazionale, aggiungendo o escludendo da essa determinate aree;
conseguentemente una volta accertata la natura boschiva di un'area, il
vincolo paesaggistico derivante ex lege dal d.lgs. n. 42 del 2004, art. 142,
produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa
date dagli strumenti urbanistici comunali.
Il vincolo paesaggistico ex lege per le aree boscate presuppone, dunque, a
monte la sussistenza in natura del bosco, così come definito dal
legislatore, e a valle, in ragione della natura del vincolo, il
provvedimento certativo adottato dall'autorità amministrativa competente che
ne attesti con efficacia ex tunc l'effettiva esistenza.
4. Venendo all’esame delle doglianze di parte ricorrente, con un unico
motivo di ricorso, sostanzialmente si deduce che nella cartografia del PPTR
“la classificazione del compendio immobiliare de quo come "bosco" e come
"area di rispetto dei boschi" e in stridente contrasto con la realtà fattuale dei luoghi. Ed infatti, non soltanto il bosco normativamente inteso
non esiste, ma addirittura l'intera area è, da sempre, priva di coperture
vegetali, ad eccezione di sporadiche essenze spontanee molto rade e
distanziate tra loro. E non potrebbe essere diversamente atteso che il
terreno ha natura in parte pietrosa e in parte sabbiosa e tufacea, non
presentando quindi, le condizioni basilari per l'attecchimento e la
riproduzione di specie vegetali” (pagina 8 del ricorso).
Il motivo è infondato.
Sul punto, la regione Puglia, nelle controdeduzioni, ha chiarito che “i
rilievi per verificare la non rispondenza del bosco ai criteri previsti
dalla normativa vigente in materia avrebbero dovuto riguardare l'intera area
a bosco e non singole particelle”.
In sostanza, parte ricorrente ha contestato la mancata corrispondenza delle
aree alla definizione normativa di bosco con esclusivo riferimento alle
particelle di sua proprietà e non all’intera area individuata dal PPTRP e
qualificata come bosco; le particelle, infatti, farebbero parte di una più
vasta area a bosco che si sviluppa lungo la costa ed è caratterizzata da
formazioni a macchia mediterranea.
Prosegue l’Amministrazione spiegando che
“l'analisi del ricorrente incentrata esclusivamente sulle particelle di suo
interesse sortirebbe l'effetto di suddividere le aree a bosco in tante
piccole porzioni sulle quali effettuare rilievi finalizzati alla loro
esclusione dal bene paesaggistica Bosco individuato nelle cartografie del PPTR, eludendo il vincolo forestale complessivo relativo all'area estesa 21
ha”.
La Regione infine chiarisce che nell’area interessata vi è “la presenza di
diffusa formazione a macchia mediterranea dominata da cespugli di lentisco (Pistacia
lentiscus) dalla tipica forma rotondeggiante accompagnati da altre specie
tipiche della macchia mediterranea ben superiori al 20% di copertura della
superficie” e smentisce, sulla base dei rilievi fotografici, la circostanza
dedotta dalla ricorrente che anche i fabbricati sono stati individuati come
bosco.
Osserva la Sezione che le particelle di proprietà della società ricorrente
non possono essere considerate avulse dall’intero contesto e che la
zonizzazione come bosco o come area di rispetto dei boschi non è
contraddetta dalla parziale assenza di vegetazione boschiva. La definizione
normativa contenuta nelle norme sopra riportate assimila al bosco sia le
aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva, sia
le radure e tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 mq che
interrompono la continuità del bosco.
Attesa anche la natura discrezionale della scelta compiuta
dall’amministrazione con conseguente sindacato solo per macroscopici vizi di
irrazionalità o irragionevolezza, si può quindi ritenere che la decisione
adottata sia esente da illegittimità.
Sul piano materiale, è accertata la presenza della macchia mediterranea che
il legislatore include nella nozione di bosco e sul piano logico-giuridico è
necessario assimilare al bosco anche le aree vicine, per ricostituire e
salvaguardare la continuità delle aree boscate.
Pertanto, è del tutto coerente che, come provato dall'amministrazione
regionale, l'area in questione sia gravata da un vincolo boschivo.
5. Conclusivamente, per le considerazioni sino a qui espresse, il Consiglio
esprime parere nel senso che il ricorso vada respinto
(Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 04.12.2020 n. 1962 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: La natura “artificiale” del bosco, infatti, non esclude a priori la
speciale tutela accordata dal d.lgs. 42/2004, con possibilità per
l'Amministrazione, in sede di pianificazione, di dare rilievo alle superfici
boschive oramai esistenti in loco.
L'art. 142, lett. g), comma 1, del Codice Urbani, invero, nel prevedere
genericamente quali beni paesaggistici "i territori coperti da foreste e da
boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a
vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del
decreto legislativo 18.05.2001, n. 227", di fatto non limita
l'operatività del relativo regime normativo alla vegetazione spontanea.
Ai sensi della norma da ultimo citata, infatti, "Nelle more dell'emanazione
delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito
dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione
forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o
artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e
la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le
alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli
impianti di frutticoltura e d'arboricoltura da legno di cui al comma 5 ivi
comprese, le formazioni forestali di origine artificiale realizzate su
terreni agricoli a seguito dell'adesione a misure agro ambientali promosse
nell'ambito delle politiche di sviluppo rurale dell'Unione europea una volta
scaduti i relativi vincoli, i terrazzamenti, i paesaggi agrari e pastorali
di interesse storico coinvolti da processi di forestazione, naturale o
artificiale, oggetto di recupero a fini produttivi. Le suddette formazioni
vegetali e i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non
inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri
e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla
base esterna dei fusti".
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Il Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce con efficacia
vincolante i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le
prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio (sia contenute in un atto
di pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali) secondo un
modello di prevalenza delle prime sulle seconde.
La natura sovraordinata del PPTR rispetto alla pianificazione
urbanistica discende, infatti, dalla piana interpretazione del codice Urbani
secondo cui "Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143
e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali
o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti
urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono
immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente
contenute negli strumenti urbanistici stabiliscono norme di salvaguardia
applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono
altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla
tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque
prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad
incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi
quelli degli enti gestori delle aree naturali protette” (art. 145, comma 3, Dlgs 42/2004).
Di qui gli obblighi conformativi posti a carico dei Comuni degli strumenti
di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani
paesaggistici entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non
oltre due anni dalla loro approvazione (art. 145, comma 4, Dlgs 42/2004).
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12. Ciò posto, è oggetto di contestazione non già l’esistenza in
rerum natura del bosco ma solo la natura non spontanea dello stesso che,
nella prospettazione di parte ricorrente, non consentirebbe l’imposizione
del vincolo.
12.1.La tesi, tuttavia, non può essere condivisa.
12.2. La natura “artificiale” del bosco, infatti, non esclude a priori la
speciale tutela accordata dal d.lgs. 42/2004, con possibilità per
l'Amministrazione, in sede di pianificazione, di dare rilievo alle superfici
boschive oramai esistenti in loco (Tar Bari, sez. III, n. 03.01.2019 n. 7, Cons. Stato, sez. VI, 29.05.2013 n. 1815; Id., sez. IV, 18.11.2013
n. 5452).
12.3. L'art. 142, lett. g), comma 1, del Codice Urbani, invero, nel prevedere
genericamente quali beni paesaggistici "i territori coperti da foreste e da
boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a
vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del
decreto legislativo 18.05.2001, n. 227", di fatto non limita
l'operatività del relativo regime normativo alla vegetazione spontanea.
Ai sensi della norma da ultimo citata, infatti, "Nelle more dell'emanazione
delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito
dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione
forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o
artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e
la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le
alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli
impianti di frutticoltura e d'arboricoltura da legno di cui al comma 5 ivi
comprese, le formazioni forestali di origine artificiale realizzate su
terreni agricoli a seguito dell'adesione a misure agro ambientali promosse
nell'ambito delle politiche di sviluppo rurale dell'Unione europea una volta
scaduti i relativi vincoli, i terrazzamenti, i paesaggi agrari e pastorali
di interesse storico coinvolti da processi di forestazione, naturale o
artificiale, oggetto di recupero a fini produttivi. Le suddette formazioni
vegetali e i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non
inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri
e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla
base esterna dei fusti".
12.4. Tale essendo il contenuto della disciplina applicabile alla
fattispecie, non risultano, nel caso in esame, né errate né irragionevoli le
determinazioni regionali adottate a seguito della ricognizione delle aree
boscate in questione, tenuto conto delle specifiche censure e dell’impianto
complessivo del ricorso introduttivo.
12.5. In primo luogo, infatti, va evidenziato che le ricorrenti non hanno
specificamente contestato le dimensioni della superficie boscata come
rilevata dalla Regione (ai fini della rispondenza dell’area ai relativi
parametri normativi).
12.5. Se è vero, poi, che l’area in questione (che dai rilievi fotografici
di parte appare come una folta ed alta pineta) è coperta prevalentemente
dalle piante di pino d’Aleppo, è altrettanto provata in atti (cfr.
consulenza tecnica di parte) la presenza di ulteriori formazioni arboree
(piante di cipresso ed eucalipto).
12.6. Lo stesso consulente di parte ricorrente, poi, qualifica il pino di
Aleppo come specie indigena presente comunque nel territorio della Puglia
(pag. 9), nonché pianta a rapido accrescimento e “pioniera”, cioè in grado
di adattarsi anche a fattori ambientali estremi, sì da non potersi escludere
–contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente- la capacità di
rinnovamento spontaneo e, quindi, il carattere permanente del bosco, ancorché di origine non spontanea (in senso conforme con riferimento alla
presenza del Pino di Aleppo nel territorio salentino, cfr: TAR Lecce sez.
I, 04/05/2017, n. 670).
12.7. Ora, è proprio il consulente di parte ricorrente a chiarire che l’area
boscata in questione non è inidonea in sé a produrre sottobosco in quanto
l’assenza dello stesso è imputabile a sistematiche operazioni di sarchiatura
praticate annualmente, ancorché non sia stata provata in giudizio la
legittima destinazione ad arboricoltura.
13. Posto, quanto sopra, non rileva l’asserita vocazione edificatoria e
l’operatività del Piano di rigenerazione urbana con riferimento ai suoli
oggetto di causa (aspetti, peraltro, entrambi rimasti comunque non
sufficientemente provati nel presente giudizio), in quanto il Codice dei
beni culturali e del paesaggio definisce con efficacia vincolante i rapporti
tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere
urbanistico ed edilizio (sia contenute in un atto di pianificazione, sia
espresse in atti autorizzativi puntuali) secondo un modello di prevalenza
delle prime sulle seconde (ex multis, TAR Napoli, sez. VII, 24/12/2018, n. 7322).
13.1 La natura sovraordinata del PPTR rispetto alla pianificazione
urbanistica discende, infatti, dalla piana interpretazione del codice Urbani
secondo cui "Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143
e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali
o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti
urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono
immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente
contenute negli strumenti urbanistici stabiliscono norme di salvaguardia
applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono
altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla
tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque
prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad
incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi
quelli degli enti gestori delle aree naturali protette” (art. 145, comma 3, Dlgs 42/2004).
Di qui gli obblighi conformativi posti a carico dei Comuni degli strumenti
di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani
paesaggistici entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non
oltre due anni dalla loro approvazione (art. 145, comma 4, Dlgs 42/2004).
14. Per quanto concerne, infine, la dedotta deroga dei c.d. "Territori
costruiti" di cui all'art. 1.03, comma 5, del PUTT/P, in disparte la
genericità e astrattezza della censura formulata, la circostanza risulta del
tutto irrilevante in sede di pianificazione regionale, potendo eventualmente
incidere solo sulle future autorizzazioni edilizie e paesaggistiche (in
termini TAR Lecce, sez. I, 04/11/2019, n. 1683).
15. Alla luce delle superiori considerazioni il ricorso deve essere respinto
siccome infondato
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 04.08.2020 n. 1073 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Deroga
all’annullamento ex tunc dell’atto impugnato: il Piano antincendio
della Toscana.
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Processo amministrativo – Decisione – Di accoglimento – Effetti ex tunc –
Deroga – Possibilità.
La regola dell'annullamento con effetti ex tunc
dell'atto impugnato può essere derogata allorché, nel caso di atti normativi
o generali, l’annullamento dell’atto possa generare una condizione
amministrativa di vuoto regolatorio, tale da determinare effetti
peggiorativi della posizione giuridica tutelata col ricorso, nel senso di
pregiudicare, anziché proteggere, il bene della vita che l’interessato
aspira a conseguire o mantenere (1).
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(1) La Sezione ha accolto il ricorso nella parte in cui si
considerano paesaggisticamente irrilevanti -e perciò sottratti alla
preventiva autorizzazione- tutti gli interventi previsti, omettendo
un'adeguata analisi e valutazione dell'impatto paesaggistico, e nella parte
in cui la valutazione di incidenza sui siti della rete Natura 2000
interessati dalle misure è carente nell'istruttoria e nelle motivazioni,
oltre che corredata da semplici raccomandazioni di buona esecuzione degli
interventi prive della consistenza di prescrizioni integrative.
La Sezione però -nel particolare caso in esame- consapevole dell'importanza
del piano antincendi predisposto dalla Regione e dell'inizio della stagione
estiva, innovando la giurisprudenza sul punto, ha differito l'annullamento
di 180 giorni per consentire alle amministrazioni l'adozione di un nuovo
Piano senza rinunciare alla lotta agli incendi nel periodo estivo.
In particolare dovranno essere adottate tutte le misure per mettere in
sicurezza il sito e dovranno essere posti in essere gli interventi
improcrastinabili e indifferibili relativi ad aree -soprattutto vicine ad
insediamenti antropici- che presentano rischi elevati
(Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 30.06.2020 n. 1233 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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PARERE
1. Il ricorso è in parte fondato e deve pertanto essere accolto, nei limiti
di seguito precisati.
2. È incontroverso tra le parti che la Pineta del Tombolo, oggetto del piano
specifico di prevenzione AIB per il comprensorio territoriale delle pinete
litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia, oggetto di lite, previsto
nella delibera di giunta della Regione Toscana n. 355 del 18.03.2019, è
sottoposta a vincolo paesaggistico di tipo provvedimentale (ai sensi
dell'articolo 136 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al
d.lgs. n. 42 del 2004, giusta sei decreti ministeriali degli anni dal 1958
al 1967), è inserita nel piano di indirizzo territoriale con valenza di
piano paesaggistico della Regione Toscana e ricade nella rete ecologica
europea denominata “Natura 2000” [ZSC/ZPS Tombolo da Marina di Grosseto a
Castiglione della Pescaia (IT51A0012), ZSC/ZPS Diaccia Botrona (IT51A0011) e
ZSC punta Ala e Isolotto dello Sparviero (IT51A0007)].
3. È altresì incontroverso in atti che il piano specifico di prevenzione AIB
oggetto di lite prevede, in sintesi, come denunciato dalle associazioni
ricorrenti e riferito nella relazione ministeriale, il taglio di circa il
70% dei pini esistenti e di circa l’80% della vegetazione arbustiva del
sottobosco.
Nella memoria difensiva regionale (pag. 7) si afferma che “È da
sottolineare che le aree soggette agli interventi strategici, contrariamente
a quanto riportato nel presente ricorso, non arrivano nemmeno al 15% della
superficie totale complessiva dell'area considerata, da trattarsi nei 10
anni di validità del Piano ed impossibile che si verifichi la lamentata
scomparsa delle aree di Rete Natura 2000”. Ma tale rilievo non contesta
tuttavia quanto affermato in ricorso, riguardo alle percentuali di pini e di
sottobosco destinati al taglio, sia pur limitatamente alle aree interessate
dagli interventi programmati.
Il piano, inoltre, qualifica espressamente gli interventi previsti come “non
soggetti ad autorizzazione paesaggistica”, ai sensi dell’articolo 149 del
citato d.lgs. n. 42 del 2004, la cui lettera b) del comma 1 esclude la
necessità dell’autorizzazione paesaggistica per gli “interventi inerenti
l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino
alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed
altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non
alterino l'assetto idrogeologico del territorio”.
4. Il piano specifico di prevenzione AIB oggetto di lite costituisce uno
strumento introdotto dalla legge regionale della Toscana 20.03.2018, n.
11, pubblicata nel B.U. Toscana 26.03.2018, in vigore dal 10.04.2018,
che, con l’articolo 12, aggiunge nella legge regionale forestale della
Toscana 21.03.2000, n. 39 un nuovo articolo 74-bis del seguente tenore:
“Piani specifici di prevenzione AIB. 1. Nelle aree individuate dal piano AIB
sono approvati dalla Giunta regionale i piani specifici di prevenzione AIB
riferiti a un periodo minimo di dieci anni. Il piano specifico di
prevenzione può essere aggiornato nell'arco temporale della sua validità. Il
regolamento forestale disciplina le modalità per la realizzazione dei piani
specifici di prevenzione AIB”.
Nella relazione ministeriale si riferisce che questo “piano specifico di
prevenzione AIB” costituisce un piano operativo di prevenzione, riferito
alle aree “ritenute ad alto rischio per l'intensificarsi di fenomeni dovuti
agli incendi boschivi, stante le mutate condizioni climatiche e l'acuirsi di
fenomeni estremi che negli ultimi anni hanno colpito anche il territorio
toscano”, basato sul regime storico degli incendi boschivi ricorrenti in un
determinato comprensorio territoriale, al fine di individuare e gestire i
punti strategici dove realizzare adeguati interventi di prevenzione per
contenere gli incendi boschivi, entro la capacità di estinzione del sistema
e per salvaguardare l'incolumità pubblica e l'ambiente naturale.
In questa
prima fase sono stati individuati venti comprensori territoriali -soggetti
ad alto rischio incendi boschivi, espressi in termini di frequenza,
vulnerabilità e pericolosità potenziale- per i quali la Regione ha ritenuto
opportuno procedere prioritariamente con la predisposizione, entro la fine
del 2020, di altrettanti piani specifici di prevenzione AIB.
5. Quasi contemporaneamente alla emanazione della legge regionale n. 11 del
2018 è intervenuto a livello di legislazione statale il nuovo d.lgs. 03.04.2018, n. 34, recante il Testo unico in materia di foreste e filiere
forestali, pubblicato nella Gazz. Uff. 20.04.2018, n. 92 ed entrato in
vigore il 05.05.2018.
È indispensabile ai fini dell’esame dei motivi di ricorso svolgere una breve
descrizione del quadro normativo come ridefinito dal suddetto d.lgs. n. 34
del 2018.
5.1. È ormai un dato acquisito nella dottrina e nella giurisprudenza che il
patrimonio forestale nazionale reca in sé ed esprime una pluralità di
valori, interessi, beni, che chiamano in causa plurimi campi di materia e
titoli di potestà legislativa, essendo ormai superata la tradizionale
visione che relegava questo settore al solo campo dell’agricoltura
(silvicoltura).
È dunque pacifico che, oggi, il patrimonio forestale
nazionale intreccia titoli di competenza statale [in particolare, quelli di
cui alla lettera s) del comma 2 dell’articolo 117, Cost.: tutela
dell’ambiente e del paesaggio, in quanto componente del patrimonio
culturale] e di competenza concorrente Stato-regioni, in particolare le
politiche agricole contemplate dal comma 3 del citato articolo 117, Cost.
Lo
stesso articolo 1 del d.lgs. n. 34 del 2018 (“Principi”)
non manca di
esplicitare che “La Repubblica riconosce il patrimonio forestale nazionale
come parte del capitale naturale nazionale e come bene di rilevante
interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere
delle generazioni presenti e future” (comma 1)
e che lo Stato e le regioni,
nell'ambito delle rispettive competenze, perseguono il “fine di riconoscere
il ruolo sociale e culturale delle foreste, di tutelare e valorizzare il
patrimonio forestale, il territorio e il paesaggio nazionale, rafforzando le
filiere forestali e garantendo, nel tempo, la multifunzionalità e la
diversità delle risorse forestali, la salvaguardia ambientale, la lotta e
l'adattamento al cambiamento climatico, lo sviluppo socio-economico delle
aree montane e interne del Paese” (comma 3).
Coerentemente, nell’articolo 2
(“Finalità”) sono enumerati scopi sia di tipo conservativo-ambientale
([lettera a) del comma 1: “garantire la salvaguardia delle foreste nella
loro estensione, distribuzione, ripartizione geografica, diversità ecologica
e bio-culturale”], sia di tipo economico-produttivo [ad es., le lett. b) e
c): “promuovere la gestione attiva e razionale del patrimonio forestale
nazionale al fine di garantire le funzioni ambientali, economiche e
socio-culturali; promuovere e tutelare l'economia forestale, l'economia
montana e le rispettive filiere produttive ... etc.”].
5.2. Conseguentemente, nella premessa al testo dell’articolato vi è un
generico richiamo all’articolo 117 della Costituzione, ma sono
significativamente richiamati sia il d.lgs. 22.01.2004, n. 42, recante
codice dei beni culturali e del paesaggio, sia il decreto d.lgs. 03.04.2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, ed è stata acquisita
l'intesa della Conferenza unificata, espressa nella seduta dell'11.01.2018.
Non può pertanto condividersi la tesi svolta nella memoria difensiva
regionale, secondo la quale “il d.lgs. n. 34 del 2018 (Testo Unico in
materia di foreste e filiere forestali) non ha altresì innovato la legge n.
353 del 2000 (Legge quadro sugli incendi boschivi) in quanto tratta di
materie diverse”, poiché “il d.lgs. n. 34 del 2018 ha carattere di norma di
orientamento facendo salve le competenze esclusive della Regione sancite
dalla Costituzione”.
In realtà, il nuovo testo unico, aggiornando la
normativa nazionale al mutato quadro interpretativo e alle più recenti
acquisizioni sulle valenze ambientali e paesaggistiche del patrimonio
forestale, ha largamente superato la vecchia impostazione (risalente alla
seconda metà del secolo scorso, il cui precipitato giuridico conclusivo si
era depositato nel d.lgs. 31.03.1998, n. 112), che configurava il bosco
come una mera risorsa agricola in un’ottica di sfruttamento economico, cui
era legata la competenza legislativa regionale concorrente nella
tradizionale materia della “agricoltura e foreste” dell’originario testo
dell’articolo 117 della Costituzione (materia da intendersi nella sua
proiezione esclusivamente economica, oggi rifluita nella potestà legislativa
residuale regionale, di cui al comma 4 dell’articolo 117 della Costituzione,
nel testo novellato con la riforma del 2001).
5.3. Il d.lgs. n. 34 del 2018, in considerazione di questo inestricabile
intreccio di valori-beni-interessi espressi dal patrimonio forestale e delle
annesse e conseguenti competenze normative e amministrative, ha avuto cura
di costruire un sistema volto ad assicurare che tutti i diversi (e a volte
confliggenti) interessi generali-pubblici messi in gioco dal tema della
gestione del patrimonio forestale fossero adeguatamente rappresentati,
acquisiti e valutati nei procedimenti attuativi, al fine di garantire, per
quanto possibile, un ragionevole equilibrio tra le esigenze gestionali,
anche di tipo economico-produttivo, e quelle di tutela ambientale e
paesaggistica.
5.4. In particolare, come bene illustrato anche negli scritti difensivi
delle parti, il decreto legislativo prevede un complesso percorso attuativo
che si snoda attraverso i seguenti passaggi essenziali:
a) l’adozione, da
parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali,
d'intesa con la Conferenza unificata ed in coordinamento, per quanto di
rispettiva competenza, con il Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare e con il Ministero dei beni e delle attività culturali
e del turismo, di appositi atti di indirizzo e coordinamento delle attività
necessarie a garantire il perseguimento unitario e su tutto il territorio
nazionale delle finalità enunciate nel decreto legislativo;
b) l’adozione,
con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali,
adottato di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del
turismo e il Ministro dello sviluppo economico e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, di una “Strategia forestale nazionale” (art. 6,
Programmazione e pianificazione forestale), che definisce, con validità
ventennale soggetta a revisione e aggiornamento quinquennale, gli indirizzi
nazionali per la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva del
patrimonio forestale nazionale e per lo sviluppo del settore e delle sue
filiere produttive, ambientali e socio-culturali;
c) l’adozione da parte
delle Regioni, in coerenza con la Strategia forestale nazionale, di
Programmi forestali regionali per individuare i propri obiettivi e definire
le relative linee d'azione;
d) la predisposizione da parte delle Regioni,
nell'ambito di comprensori territoriali omogenei, di piani forestali di
indirizzo territoriale, che “concorrono alla redazione dei piani
paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 del d.lgs. 22.01.2004, n.
42, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 145 del medesimo decreto
legislativo”;
e) la promozione, da parte delle Regioni, della redazione di
piani di gestione forestale o di strumenti equivalenti, riferiti ad un
ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, quali strumenti
indispensabili a garantire la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva
delle risorse forestali (per i quali è richiesto il parere del
Soprintendente, salvo che per la parte inerente la realizzazione o
l'adeguamento della viabilità forestale di cui al punto A.20 dell'Allegato A
del d.P.R. 13.02.2017, n. 31, ove i piani di gestione forestale siano
conformi ai piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3
dell’art. 6).
5.5. I commi 6 e 7 dell’articolo 6 del d.lgs. n. 34 del 2018 prevedono che
gli strumenti pianificatori sopra indicati (i piani forestali di indirizzo
territoriale di cui al comma 3 e i piani di gestione forestale, o strumenti
equivalenti, di cui al comma 6) debbano essere conformi ai “criteri minimi
nazionali di elaborazione” da adottarsi con decreto del Ministro delle
politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei
beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, al fine di armonizzare le informazioni e permetterne una
informatizzazione su scala nazionale, con previsione dell’obbligo delle
regioni di adeguarsi alle suddette disposizioni entro 180 giorni dalla data
di entrata in vigore del decreto.
Il comma 8 dell’articolo 6 del d.lgs. n.
34 del 2018 prevede, inoltre, che le regioni, in conformità a quanto
statuito al comma 7, definiscono i criteri di elaborazione, attuazione e
controllo dei piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3 e
dei piani di gestione forestale o strumenti equivalenti di cui al comma 6,
definiscono, altresì, i tempi minimi di validità degli stessi e i termini
per il loro periodico riesame, garantendo che la loro redazione e attuazione
venga affidata a soggetti di comprovata competenza professionale, nel
rispetto delle norme relative ai titoli professionali richiesti per
l'espletamento di tali attività.
6. Di particolare rilievo, ai fini della decisione della controversia in
esame, sono infine le previsioni contenute nei commi 12 e 13 dell’articolo 7
(“Disciplina delle attività di gestione forestale”) del d.lgs. n. 34 del
2018: “12. Con i piani paesaggistici regionali, ovvero con specifici accordi
di collaborazione stipulati tra le regioni e i competenti organi
territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
ai sensi dell'articolo 15 della legge 07.08.1990, n. 241, vengono
concordati gli interventi previsti ed autorizzati dalla normativa in
materia, riguardanti le pratiche selvicolturali, la forestazione, la
riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione, da
eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi dell'articolo 136 del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42, e ritenuti paesaggisticamente
compatibili con i valori espressi nel provvedimento di vincolo. Gli
interventi di cui al periodo precedente, vengono definiti nel rispetto delle
linee guida nazionali di individuazione e di gestione forestale delle aree
ritenute meritevoli di tutela, da adottarsi con decreto del Ministro delle
politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei
beni delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano.
13. Le pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli
selvicolturali di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), eseguiti in
conformità alle disposizioni del presente decreto ed alle norme regionali,
sono equiparati ai tagli colturali di cui all'articolo 149, comma 1, lettera
c), del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42”.
7. Così definito e chiarito il quadro giuridico di riferimento, è ora
possibile procedere alla trattazione dei singoli motivi di ricorso.
8. Con il primo motivo le associazioni ricorrenti assumono che i piani AIB
impugnati si porrebbero in violazione della legge nazionale e del riparto di
competenze stabilito dalla Costituzione in materia di antincendio boschivo
per i vari profili ambientali, paesaggistici, sanitari, di protezione civile
oltre che forestali in esso coinvolti. La Regione Toscana non avrebbe quindi
potuto adottare un piano antincendio boschivo specifico prima del
completamento del quadro normativo attuativo nazionale, come previsto dal
d.lgs. n. 34 del 2018.
In ogni caso, il piano specifico in oggetto sarebbe
stato approvato in violazione della stessa legge regionale forestale n. 39
del 2000 (come modificata dalla legge regionale 20.03.2018, n. 11, che
per la prima volta ha introdotto lo strumento dei piani specifici), il cui
articolo 74-bis prevede che un piano specifico di prevenzione AIB può essere
approvato solo se esista un presupposto vigente piano AIB che ne abbia
individuato l’area, piano generale che, al momento dell’approvazione del
piano specifico, non era in vigore.
La tesi di parte ricorrente non è condivisibile, poiché lo stesso articolo
17 del decreto legislativo da essa invocato, recante le disposizioni
applicative e transitorie, nel prevedere che “nelle more dell'adozione dei
decreti ministeriali e delle disposizioni di indirizzo elaborate ai sensi
del presente decreto restano valide le eventuali normative di dettaglio
nazionali e regionali vigenti” (comma 2), fa salva, contrariamente
all’assunto delle associazioni ricorrenti, la previsione della legge
regionale n. 11 del 2018 e i piani specifici di prevenzione AIB in forza di
tale nuova legge adottati (tra i quali vi è quello qui oggetto di lite).
Parimenti non condivisibile deve giudicarsi la tesi secondo la quale il
piano specifico di prevenzione AIB relativo alla Pineta del Tombolo sarebbe
illegittimo in quanto adottato prima del piano AIB pluriennale generale
2019-2021, che doveva costituire il suo presupposto, approvato dalla giunta
regionale solo successivamente, in data 23.04.2019.
In senso contrario
persuade la tesi difensiva secondo la quale il piano AIB “generale”
preesisteva, nel sistema normativo regionale, alla novella introdotta dalla
legge regionale n. 11 del 2018, poiché già la legge forestale della Toscana
n. 39 del 2000 prevedeva, nell’articolo 74, la “Pianificazione dell'AIB”.
Era dunque già vigente, all’atto dell’adozione della delibera di giunta n.
355 del 18.03.2019, il precedente piano AIB 2014-2016 approvato con
delibera di giunta n. 50 del 28.01.2014, variamente prorogato fino al
2019. Inoltre, come evidenziato nelle difese regionali, il nuovo piano AIB è
intervenuto dopo pochi giorni rispetto al piano specifico relativo alla
Pineta del Tombolo e lo ha sostanzialmente recepito, con un indiretto
effetto, ove necessario, di sanatoria.
La stessa delibera n. 355 del 18.03.2020 dà inoltre conto, nelle premesse, “che sono in corso le attività
di redazione del testo definitivo del nuovo piano AIB che, come previsto
all’articolo 74-bis, comma 1, individua le aree soggette ad alto rischio
incendi boschivi, espresso in termini di frequenza, vulnerabilità e
pericolosità potenziale”, ed ha espressamente valutato, in modo non
irragionevole, “la necessità di dover procedere, nelle more
dell’approvazione del suddetto piano AIB, alla realizzazione di uno
specifico piano di prevenzione del rischio incendi boschivi per il
comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione
della Pescaia che presenta un’alta incidenza e pericolosità relativa al
fenomeno degli incendi boschivi”.
9. Il secondo motivo di ricorso introduce due distinte censure: la mancata
sottoposizione a VAS e la ritenuta non necessità di controllo paesaggistico
degli interventi. Tali censure devono essere partitamente esaminate, essendo
infondata la prima e in parte fondata la seconda.
10. Sotto un primo profilo, le associazioni ricorrenti, con il secondo
motivo in esame, hanno censurato gli atti gravati per la omessa valutazione
ambientale strategica (VAS, ai sensi degli articoli 5, 11 e 15 del d.lgs. n.
152 del 2006), a loro dire necessaria (in luogo del mero studio di incidenza
con valutazioni relative ai SIC/ZPS ai sensi delle direttive Natura 2000
“habitat” e “uccelli” esperito dalla Regione) giusta la previsione
dell’articolo 5, comma 2, lett. a), della legge regionale della Toscana 12.02.2010, n. 10.
La norma, riproducendo peraltro il testo della legge
nazionale [art. 6, comma 2, lettera a) del d.lgs. n. 152 del 2006], impone
la sottoposizione a VAS, tra gli altri, dei piani e dei programmi elaborati
per i settori agricolo e forestale e prevede la VAS obbligatoria [lett. b)]
anche per “i piani e i programmi per i quali, in considerazione dei
possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come
zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e
di quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione
degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatica, si ritiene
necessaria una valutazione di incidenza, ai sensi dell'art. 5 del decreto
del Presidente della Repubblica 08.09.1997, n. 357”, come invero
avvenuto nel caso di specie.
L’assunto non è condiviso dalla Sezione.
Deve infatti ritenersi fondata la
replica regionale, che invoca l’eccezione costituita dalla previsione della
lettera c-bis) del comma 4 dell’articolo 6 del d.lgs. n. 152 del 2006,
[“Sono comunque esclusi dal campo di applicazione del presente decreto:…
c-bis) i piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, riferiti ad un
ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, redatti secondo i
criteri della gestione forestale sostenibile e approvati dalle regioni o
dagli organismi dalle stesse individuati”] ed evidenzia come il piano
specifico di prevenzione AIB costituisce uno strumento equivalente al piano
di gestione forestale, in quanto contiene gli interventi selvicolturali e le
opere necessarie alla prevenzione AIB, ed è redatto secondo i criteri della
gestione forestale sostenibile.
10.1. Aggiunge al riguardo il Ministero che, per i siti compresi nella rete
ecologica europea denominata “Natura 2000” [Siti di Importanza Comunitaria
(SIC) e Zone speciali di Conservazione (ZSC), di cui alla direttiva
92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e
seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche (“Direttiva
Habitat”); Zone di Protezione Speciale (ZPS) previste dalla direttiva
79/409/CEE, ora 2009/147/CE, concernente la conservazione degli uccelli
selvatici (“Direttiva Uccelli”)], disciplinati, a livello di normativa
nazionale, dal d.P.R. 08.09.1997, n. 357, dalla legge 11.02.1992, n. 157, dai decreti ministeriali
03.09.2002 (recante “Linee guida
per la gestione dei siti Natura 2000”) e 17.10.2007 (relativo ai
criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione
relative di detti siti), qualsiasi piano o progetto che possa pregiudicare
significativamente il sito non può essere autorizzato senza una preventiva
valutazione della sua incidenza (articolo 6, comma 3, della direttiva
habitat).
Nel caso di specie risulta formalmente svolto uno studio di
incidenza per la realizzazione del piano oggetto di lite, ciò che -in
disparte la questione della sufficienza di tale studio di incidenza, che
costituisce l’oggetto di una separata e autonoma censura di parte ricorrente- consentirebbe di giudicare rispettati i canoni normativi invocati a
parametro di legittimità dalle associazioni ricorrenti.
10.2. Benché lo stesso disposto normativo dell’articolo 6 del d.lgs. n. 152
del 2006 rechi in sé un elemento di interna contraddittorietà tra il comma 2
e la lettera c-bis) del comma 4 (aggiunta, senza un adeguato coordinamento,
dall'art. 4-undecies, comma 1, del d.l. 03.11.2008, n. 171, convertito,
con modificazioni, dalla legge 30.12.2008, n. 205), tuttavia, seguendo
in ciò l’impostazione sottesa alla relazione ministeriale che privilegia il
profilo di conformità comunitaria, può pervenirsi alla soluzione negativa
della necessità nella fattispecie della previa VAS.
Ed invero l’articolo 6
del d.lgs. n. 152 del 2006 da un lato afferma che è necessaria la VAS “per
tutti i piani e i programmi che sono elaborati ... per i settori agricolo,
forestale, ... etc.” [comma 2, lett. a)] e che tale valutazione è altresì
necessaria per i piani e i programmi che presentano “possibili impatti sulle
finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione
speciale per la conservazione degli uccelli selvatici ... etc.” [lett.
b)]; dall’altro lato, afferma che sono comunque esclusi dalla VAS “i piani
di gestione forestale o strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito
aziendale o sovraziendale di livello locale, redatti secondo i criteri della
gestione forestale sostenibile e approvati dalle regioni o dagli organismi
dalle stesse individuati” (comma 4, lettera c-bis).
Onde l’evidente
contraddizione con il combinato disposto delle lettere a) e b) del comma 2,
poiché pressoché tutti i siti della rete “Natura 2000” sono “di livello
locale” e dunque, dovendo prevalere la ora detta lettera c-bis) in quanto
disposizione speciale-derogatoria, nessun piano o programma di gestione
forestale o strumento equivalente, ancorché molto impattante su uno di tali
siti, essendo inevitabilmente di livello locale, potrà mai essere sottoposto
a VAS [il che svuota di senso, in una parte consistente, il disposto della
lettera b) del comma 2].
Nondimeno, come anticipato sopra e come in qualche
modo prospettato nella relazione ministeriale, ciò che soprattutto rileva è
il dettato della direttiva europea, che non richiede la VAS, ma la
valutazione di incidenza ambientale. In questo senso può confermarsi la non
fondatezza della censura in esame, pur, deve darsene atto, a fronte di un
quadro normativo al riguardo non privo di elementi di contraddittorietà.
11. Fondato e meritevole di accoglimento viene invece giudicato dalla
Sezione il secondo profilo di censura articolato dalle ricorrenti nel motivo
di ricorso in esame, riguardo alla insufficiente considerazione dei vincoli
paesaggistici gravanti sulla Pineta del Tombolo.
La contestazione in esame
fa emergere due distinti (anche se connessi e conseguenziali) elementi di
illegittimità riguardo al trattamento dei suddetti vincoli paesaggistici:
l’erronea presupposizione (poi esplicitata in puntuali note del dirigente
del settore regionale competente) della piena riconducibilità di tutti gli
interventi previsti nel piano nell’esclusione dalla previa autorizzazione
paesaggistica ai sensi delle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 149
del codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004; la (connessa e
conseguente) assenza, negli atti istruttori, di una analisi e valutazione
adeguate degli impatti paesaggistici dei medesimi interventi sui beni
vincolati (analisi e valutazione che, per quanto si dirà, avrebbero dovuto
comunque coinvolgere i competenti uffici territoriali del Ministero di
settore).
11.1. È in particolare illegittima la previsione, implicita nel piano
specifico di prevenzione AIB impugnato, della esclusione della previa
autorizzazione paesaggistica per tutti indistintamente gli interventi
programmati, secondo la tesi per cui tali interventi si configurerebbero
come pratiche selvicolturali, in quanto tali rientranti tutti nell’ambito
delle misure non soggette ad autorizzazione ai sensi dell’articolo 149,
comma 1, lettera c) del d.lgs. n. 42 del 2004.
11.1.2. È vero che né la delibera di giunta n. 355 del 2019, né l’allegato
piano specifico di prevenzione AIB con essa approvato contengono un’espressa
affermazione in questo senso. Ma che questa tesi sia acquisita
implicitamente negli atti impugnati e ne costituisca il presupposto
logico-giuridico fondamentale, per quanto attiene al profilo paesaggistico,
è dimostrato e reso esplicito dalle note a firma del dirigente della
Direzione agricoltura e sviluppo rurale - settore forestazione - usi civici
- agroambiente della Regione Toscana, di riscontro (rispettivamente) delle
domande di accesso agli atti del 4 e del 17.04.2019 presentate dal
Tavolo permanente di amministrazione e di governo della Pineta da Castiglione della Pescaia ai Monti dell'Uccellina (allegati nn. 19 e 21
della produzione di parte ricorrente), nelle quali si precisa che “gli
interventi previsti dal Piano Specifico di prevenzione AIB si configurano
come pratiche selvicolturali e in quanto tali rientranti nell’ambito degli
interventi non soggetti ad autorizzazione, ai sensi dell’articolo 149, comma
1, lettera c) del Codice dei beni culturali e del paesaggio. (d.lgs. n. 42
del 2004)” e, inoltre, che “ai sensi del Regolamento Forestale, articolo
61-bis, comma 4, l'attuazione dei singoli interventi previsti dal Piano è
soggetta a una dichiarazione, quale forma semplificata di autorizzazione.
Pertanto, al momento della realizzazione dei singoli interventi, resta a
carico dell’ente competente rilasciare le relative autorizzazioni”.
Che la costruzione del piano si fondi su questo errato presupposto
interpretativo è infine dimostrato ulteriormente dalle stesse difese
regionali, dove si sostiene (pag. 9-10 della memoria difensiva) che “lo
stesso articolo 7, comma 13, prevede per le tipologie di interventi di cui
all'articolo 3, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 34 del 2018 (tra i quali
rientrano anche gli interventi volti alla prevenzione incendi)
l'equiparazione ai tagli colturali di cui all'articolo 149, comma 1, lettera
c) del d.lgs. n. 42 del 2004 (interventi non soggetti ad autorizzazione
paesaggistica” (tesi poi ribadita nella pag. 16 della memoria, con
riferimento alla legge regionale n. 39 del 2000).
11.1.3. La tesi regionale non ha pregio e non può essere condivisa, e ciò
sia per ragioni legate alla lettera delle disposizioni normative di
riferimento sia per ragioni discendenti dall’interpretazione sistematica e
finalistica del complesso normativo in cui tali disposizioni si inquadrano,
come tratteggiato nel precedente par. 5 di questa motivazione.
In estrema
sintesi, l’errore interpretativo che inficia la posizione regionale consiste
nell’aver esteso ai boschi e foreste sottoposti a vincolo provvedimentale
(articolo 136 del d.lgs. n. 42 del 2004, già legge 29.06.1939, n. 1497)
il regime (meno severo) previsto per i boschi e le foreste sottoposti a
vincolo ex lege [articolo 142, comma 1, lettera g) del predetto d.lgs. n. 42
del 2004, già legge 08.08.1985, n. 431].
11.1.4. Sul piano letterale, occorre considerare che l’articolo 149 del
codice dei beni culturali e del paesaggio, a proposito dell’esclusione della
preventiva autorizzazione paesaggistica, distingue chiaramente, nelle
lettere b) e c) del comma 1, il regime proprio degli interventi “inerenti
l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino
alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed
altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non
alterino l'assetto idrogeologico del territorio” rispetto a quello degli
interventi consistenti nel taglio colturale, nella forestazione,
riforestazione, in opere di bonifica, antincendio e di conservazione “da
eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1,
lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in
materia” (lett. c).
Questo diverso regime deriva dalla distinzione (articolo
134 del medesimo codice del 2004) tra i boschi e le foreste vincolati sulla
base di un apposito provvedimento amministrativo, che ne abbia acclarato il
notevole interesse pubblico paesaggistico (articolo 136 dello stesso
codice), e i boschi e le foreste vincolati indistintamente
ex lege, come
categoria geografica, in base alla cosiddetta legge “Galasso” [d.l. 27.06.1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge
08.08.1985, n. 431, oggi rifluita nell’articolo 142, comma 1, lett. g) del
codice].
Il combinato disposto delle sopra riportate lettere b) e c)
dell’articolo 149 dimostra in tutta evidenza che per la prima tipologia di
boschi e foreste (vincolati con apposito provvedimento amministrativo)
l’esclusione della necessaria autorizzazione paesaggistica preventiva
prevista dalla lettera b) dell’articolo 149 per gli interventi “inerenti
l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale” vale solo per gli interventi
“minori”, che non si traducano nel “taglio colturale, [nel]la forestazione,
[nel]la riforestazione, [nel]le opere di bonifica, antincendio e di
conservazione”, i quali sono sottratti all’obbligo della previa
autorizzazione paesaggistica solo ed esclusivamente quando siano “da
eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1,
lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in
materia” [articolo 149, lettera c)].
Con la conseguenza che le ora dette
tipologie di interventi -tra i quali rientra senz’altro la maggior parte di
quelli previsti dal piano oggetto di lite- riguardando un bosco vincolato
con apposito provvedimento amministrativo, ai sensi dell’articolo 136 del d.lgs. n. 42 del 2004, qual è pacificamente la pineta del Tombolo, non
possono in alcun modo considerarsi senz’altro e a priori sottratti
all’obbligo dell’autorizzazione paesaggistica preventiva prevista
dall’articolo 146 del decreto legislativo da ultimo citato.
Il che trova una sua evidente spiegazione razionale nel fatto che sia il
taglio colturale, sia quello antincendio, nella modalità prevista nel piano
in esame, se può presumersi compatibile con la nozione generica di
territorio coperto da foreste e da boschi, considerati in astratto, come
tipologia generale, senza alcuno specifico accertamento
tecnico-discrezionale in loco, non può logicamente ammettersi, senza un
previo controllo puntuale di compatibilità esercitato in concreto dagli
organi a ciò preposti, nel caso di boschi e foreste dichiarati di notevole
interesse pubblico e paesaggistico con apposito provvedimento motivato, nel
qual caso è coessenziale al vincolo il controllo preventivo
tecnico-discrezionale di compatibilità dei tagli proposti rispetto alla
consistenza e alla fisionomia paesaggisticamente percepibile del bene
protetto, come accertata e dichiarata nel provvedimento di vincolo.
Coerente con questo sistema normativo e con le sue finalità logiche si pone
altresì il Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi
dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria
semplificata, di cui al d.P.R. n. 31 del 2017, nel cui allegato A (di cui
all'art. 2, comma 1 - Interventi ed opere in aree vincolate esclusi
dall'autorizzazione paesaggistica), non a caso e significativamente, sono
bene distinti e graduati, nelle voci A.19 e A.20, rispettivamente, gli
interventi sottratti all’autorizzazione paesaggistica “nell’ambito degli
interventi di cui all'art. 149, comma 1, lettera b) del codice” e quelli
sottratti all’autorizzazione paesaggistica “nell'ambito degli interventi di
cui all'art. 149, comma 1, lettera c) del Codice”.
Al riguardo le difese
regionali propongono, invece, un’erronea lettura di tale previsione
regolamentare, lì dove (pag. 17) si pretende di riferire anche ai boschi
vincolati con apposito provvedimento la voce A.20, che è invece testualmente
riferita solo ai boschi e alle foreste vincolati ex lege.
Il regime di tutela “rafforzato” che, limitatamente a certi aspetti, assiste
i beni paesaggistici dichiarati con apposito provvedimento motivato,
rispetto a quelli tutelati ex lege “Galasso”, trova ulteriori espressioni
nel diverso trattamento previsto nell’ambito della pianificazione
paesaggistica [articolo 143, comma 4, lettera a) del codice di settore del
2004].
11.1.5. In questo senso torna ad acquistare rilievo l’ampia premessa sopra
svolta (sub par. 5) -sull’abbrivio delle specifiche censure pure
prospettate dalle ricorrenti- riguardo all’inestricabile intreccio di
competenze che caratterizza la disciplina della gestione del patrimonio
forestale nazionale, che implica (sul piano sistematico e teleologico
dell’interpretazione) l’esigenza di garantire comunque il coinvolgimento
degli organi tecnico-scientifici statali ai quali la legge riserva, nella
cooperazione delle regioni e degli altri enti territoriali (articolo 5 e
Parte III del d.lgs. n. 42 del 2004), l’esercizio delle funzioni di tutela
paesaggistica.
Significativamente e non a caso, anche il nuovo Testo unico in materia di
foreste e filiere forestali del 2018 stabilisce che le regioni e i
competenti organi territoriali del Ministero dei beni e delle attività
culturali e del turismo, “con i piani paesaggistici regionali, ovvero con
specifici accordi di collaborazione stipulati ai sensi dell'articolo 15
della legge 07.08.1990, n. 241”, concordino “gli interventi previsti ed
autorizzati dalla normativa in materia, riguardanti le pratiche selvicolturali, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica,
antincendio e di conservazione, da eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi
dell'articolo 136 del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, e ritenuti paesaggisticamente compatibili con i valori espressi nel provvedimento di
vincolo” (articolo 7, comma 12).
Per completezza di esame della fattispecie, deve inoltre evidenziarsi che la
previsione contenuta nell’ultimo periodo del comma 12 ora esaminato (secondo
la quale “Gli interventi di cui al periodo precedente, vengono definiti nel
rispetto delle linee guida nazionali di individuazione e di gestione
forestale delle aree ritenute meritevoli di tutela, da adottarsi con decreto
del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto
con il Ministro dei beni delle attività culturali e del turismo, il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano”), contrariamente alla tesi regionale
(secondo la quale non sarebbe “vigente in quanto collegato al D.M. non
ancora promulgato”), non introduce un vincolo impeditivo della possibilità
di stipula, già prima dell’emanazione delle suddette linee guida, di
appositi accordi tra l’amministrazione regionale e quella ministeriale,
atteso che l’articolo 15 della legge n. 241 del 1990 costituisce un potere
implicito di carattere generale delle amministrazioni, attivabile anche
indipendentemente da specifiche norme autorizzative, ed esistendo ed essendo
già operanti, inoltre, anche sulla base della nuova pianificazione
paesaggistica regionale e della relativa legislazione regionale della
Toscana, diversi organismi a partecipazione mista che curano la gestione e
l’attuazione del piano paesaggistico e delle problematiche di comune
interesse inerenti la tutela dei paesaggi, in seno alle quali ben sarebbe
stato possibile ricercare forme di concordamento in attuazione della
previsione della norma del decreto del 2018 sopra richiamata.
11.1.6. Diventa recessiva, al cospetto di questo coerente sistema, la tesi
interpretativa proposta dalle difese regionali, secondo la quale l’articolo
7, comma 13 del d.lgs. n. 34 del 2018, nel prevedere che “le pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all'articolo
3, comma 2, lettera c), eseguiti in conformità alle disposizioni del
presente decreto ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali
di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c), del d.lgs. 22.01.2004, n.
42”, avrebbe escluso la previa autorizzazione paesaggistica anche per gli
interventi sui boschi e le foreste vincolati ai sensi dell’art. 136 del
codice di settore del 2004.
Proprio alla luce di quanto osservato e
considerato nel precedente paragrafo 11.1.4, risulta chiaro, invece, che
questa previsione si riferisce solo ed esclusivamente ai boschi e alle
foreste vincolati ex lege (art. 142, comma 1, lett. g) del codice del 2004),
come è del resto reso evidente dal puntuale richiamo in essa contenuto alla
lettera c) del comma 1 dell’art. 149 che, come si è visto sopra, riguarda
esclusivamente i boschi e le foreste ex lege Galasso.
Questa lettura, oltre
che dalla coerenza del sistema, è imposta anche dal dato topografico del
testo dell’articolo 7 del d.lgs. n. 34 del 2018, che antepone la norma
speciale prevista dal comma 12 (relativo ai boschi e alle foreste tutelati
in base a un vincolo di tipo provvedimentale) a quella generale di cui al
seguente comma 13, erroneamente invocato dalle difese regionali.
Una diversa e più ampliativa interpretazione del d.lgs. n. 34 del 2018,
quale quella che sembra essere ipotizzata dalla Regione Toscana, tale da
derogare alle più stringenti norme di tutela prevista dal codice dei beni
culturali e del paesaggio del 2004, renderebbe inoltre incostituzionale per
eccesso di delega il decreto del 2018, nella cui delega di legge non vi era
in alcun modo il potere di incidere in senso riduttivo sui livelli di tutela
del paesaggio.
11.2. La diversa –ma non condivisa dalla Sezione– lettura del combinato
disposto delle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 149 del d.lgs. n.
42 del 2004 (e del d.lgs. n. 34 del 2018), con conseguente confusione tra il
regime di tutela paesaggistica del patrimonio forestale vincolato con
apposito provvedimento rispetto a quello proprio del patrimonio forestale
vincolato ex lege Galasso, ha ingenerato, come prima anticipato, un secondo
elemento di illegittimità del piano impugnato, nella parte in cui ha
condotto a una sottovalutazione degli aspetti paesaggistici, con conseguente
carenza istruttoria e motivazionale sul punto.
11.2.1. È da notare che nulla è detto nella delibera di giunta n. 355 del
2019, né nell’allegato piano specifico di prevenzione AIB con essa
approvato, in tema di valutazione paesaggistica degli interventi. Nelle
premesse della delibera compare solo la seguente considerazione: “Preso atto
che sono stati acquisiti con esito favorevole tutti gli atti e pareri
previsti dalla normativa vigente in relazione alla tipologia degli
interventi colturali straordinari e delle opere destinati alla prevenzione e
lotta agli incendi boschivi”.
Di tali atti e pareri non è tuttavia fornita alcuna indicazione specifica.
Nella parte finale del piano, alla voce “Quadro normativo e bibliografia”
(pag. 138), figura solo un generico richiamo dei vincoli paesaggistici provvedimentali imposti sulle aree interessate dal piano, nonché al codice
di tutela del 2004 (e al regolamento di semplificazione di cui al d.P.R. n.
31 del 2017).
Inoltre, nello studio di incidenza presentato ai sensi
dell’articolo 5 del d.P.R. n. 357 del 1997, si afferma “gli interventi per
cui viene valutata l’incidenza vertono perlopiù sull’attività di ordinaria
coltivazione di soprassuoli boschivi all’interno del sito di interesse
comunitario” (pag. 5).
Nel medesimo studio di incidenza risultano solo
citate le misure di conservazione contenute nel piano paesaggistico della
Regione Toscana, in particolare rispetto all’Ambito di Paesaggio 18 ovvero
“Maremma Grossetana” (pagg. 49 -53), ma -in disparte la considerazione che
ogni valutazione di tutela paesaggistica avrebbe dovuto essere acquisita
presso gli organi competenti e nell’ambito delle procedure appropriate e non
avrebbe potuto comunque essere utilmente svolta nello studio di incidenza-
il suddetto documento si è limitato in proposito a una mera riproduzione
testuale della relativa scheda di piano paesaggistico, con annesse
“Criticità” e “Obiettivi di qualità e direttive - Obiettivo 4”, senza alcuna
aggiunta o considerazione sulla compatibilità degli interventi.
Nella pag.
149 vi è poi un breve paragrafo intitolato “Incidenza degli interventi
proposti rispetto al piano paesaggistico” del seguente tenore: “Nella parte
inerente gli Obiettivi di qualità e direttive si legge al punto 4:
Salvaguardare e valorizzare i rilievi dell’entroterra e l’alto valore
iconografico e naturalistico dei ripiani tufacei, reintegrare le relazioni ecosistemiche, morfologiche, funzionali e visuali con le piane costiere 1.13
- tutelare l’elevato grado di panoramicità del sistema costiero e le
relazioni visuali con il mare e con le aree retrostanti. Gli interventi
previsti sono volti alla conservazione dell’ambiente pineta così come appare
oggi, grazie ad azioni selvicolturali volte alla lotta contro gli incendi
boschivi. Incidenza Positiva”.
La disamina ora compiuta del modo in cui i
profili paesaggistici sono stati presi in considerazione nei documenti di
piano dimostra, ad avviso della Sezione, la fondatezza della censura di
insufficienza istruttoria e motivazionale su tali, pur essenziali, profili
di tutela.
12. Con il terzo motivo di ricorso le associazioni ricorrenti hanno
lamentato che la Regione Toscana avrebbe condotto l’istruttoria in modo
carente, ostacolando la partecipazione delle associazioni e dei cittadini
interessati alla tutela delle aree in questione, comprimendo i tempi procedimentali per consentire l’accesso ai finanziamenti comunitari e
trascurando l’istruttoria relativa ai vincoli ambientale, paesaggistico e
idrogeologico.
Sarebbero state sottovalutate la reale consistenza del
monumento naturale in questione, l’insistenza sul medesimo di domini
collettivi ai sensi della legge n. 168 del 2017 e l’eventuale presenza di
piante monumentali previste dall’articolo 7 della legge n. 10 del 2013 per
il rilascio di esemplari vetusti e di ricovero.
In sostanza, con il mezzo di
censura in esame, corroborato e integrato con i numerosi rilievi puntuali
svolti nel paragrafo del ricorso introduttivo denominato “Conclusioni
tecnico-scientifiche”, le associazioni ricorrenti denunciano una complessiva
carenza istruttoria, che si sarebbe tradotta in una sostanziale
sottovalutazione e non adeguata considerazione dei vincoli ambientali e
paesaggistici esistenti sulla pineta del Tombolo.
Rinviando ai paragrafi precedenti per gli aspetti paesaggistici, già ivi
trattati, occorre qui esaminare l’adeguatezza istruttoria e motivazionale
del piano specifico impugnato relativamente ai profili di tutela ambientale,
segnatamente quelli legati alla inclusione di parti delle aree interessate
dal piano AIB in ambiti ricomprese nel sistema Natura 2000.
12.1. Fermo restando che, come chiarito supra al par. 10, nella fattispecie
non era necessaria la VAS, risultano tuttavia dagli atti significativi
elementi che depongono nel senso dell’inadeguatezza istruttoria e
motivazionale della valutazione d’incidenza svolta dalla Regione Toscana.
Ed invero dall’esame dell’atto di autorizzazione regionale emerge che si
risolve in un riscontro piuttosto formalistico di corrispondenza degli
interventi, singolarmente considerati, ad alcune voci tipologiche desunte
dalla modulistica di settore, senza un’adeguata valutazione d’insieme –con
conseguente difetto di motivazione– della reale dimensione degli impatti
del piano.
12.2. Nello studio di incidenza, nel capitolo intitolato “Fase 2.
Valutazione "appropriata": Stima degli effetti degli interventi proposti”,
compaiono alcune indicazioni di “incidenza negativa” (evidenziate in rosso)
e numerose indicazioni di “incidenza non significativa” (in verde) o
“positiva” (in colore scuro).
Nella parte dedicata alla incidenza sulla
fauna (pagg. 150 ss.) figura una sola ipotesi di incidenza negativa sugli
insetti (per la specie Chalcophora detrita, pag. 151) e nessuna incidenza
negativa sugli uccelli (riguardo ai quali ricorre, invece, sistematicamente,
la valutazione di incidenza positiva degli interventi, con la ripetitiva
motivazione per cui “Con la lotta agli incendi boschivi anche questa specie
troverà beneficio, in quanto molti degli habitat a cui si lega saranno
salvaguardati dalla distruzione - Incidenza Positiva”). Per i mammiferi
ricorre una sola incidenza negativa (pag. 160, per il topo quercino).
In senso opposto le associazioni ricorrenti hanno sottolineato come la
previsione del taglio del 70% dei pini (con eliminazione progressiva dei
pini marittimi, molti dei quali molto vetusti e di ricovero per molte specie
animali) e dell’80% del sottobosco (habitat elettivo di numerose specie di
insetti, di rettili, di uccelli e di mammiferi), nonché l’ampio ricorso al
cosiddetto “fuoco prescritto”, non possono realisticamente essere valutati
pressoché tutti e interamente con “incidenza non significativa” o
“positiva”, con pochissime eccezioni di “incidenza negativa”, come si è
visto sopra.
Ritiene il Collegio che, escluso in questa sede ogni inammissibile giudizio
di merito che spetta all’amministrazione effettuare e che non può essere qui
compiuto, la valutazione svolta, in ragione dell’entità degli interventi
programmati, non sia adeguatamente motivata.
Ad esempio la frase ricorrente
–“Con la lotta agli incendi boschivi anche questa specie troverà beneficio,
in quanto molti degli habitat a cui si lega saranno salvaguardati dalla
distruzione - Incidenza Positiva"– avrebbe meritato un maggiore
approfondimento perché, per un verso, è certo che con la lotta agli incendi
boschivi la fauna ne ricaverà beneficio ma, fermo tale punto, per altro
verso, non è chiarito se ciò rimane vero –ed eventualmente in che termini–
anche a seguito del diradamento degli alberi e delle altre misure
contemplate.
12.3. Conseguenziale e specularmente aderente alla prospettazione molto
favorevole contenuta nello studio di incidenza si rivela la trattazione
fattane dall’amministrazione regionale in sede di “autorizzazione VINCA”
(doc. n. 4 allegato alla produzione regionale).
Questo provvedimento,
riscontrando “l'istanza in oggetto, acclarata con Prot. n. 31847 del
23.01.2019, per la quale lo scrivente Settore ha ricevuto dagli Uffici
Regionali la modulistica e lo studio di incidenza per la realizzazione di un
Piano di prevenzione AIB dei punti strategici nelle pinete litoranee dei
comuni di Grosseto e Castiglione della Pescaia”, prende atto “dello Studio
di incidenza e della modulistica presentata, in cui si analizza
compiutamente l’opera proponendo misure di mitigazione” e, viste le misure
di conservazione mediante interventi selvicolturali individuate per
l’habitat “2270 - Dune con foreste di Pinus pinea e Pinus pinaster” dalla
delibera regionale n. 1223/2015, ritenuto che “gli interventi risultano
coerenti con le misure di conservazione vigenti e le incidenze negative
rilevate risultano essere non significative per la loro transitorietà ed
estensione”, che, anzi, “gli interventi previsti determineranno anche
incidenze positive per la conservazione attiva dell'habitat 2270 a medio
termine e quindi delle specie di interesse conservazionistico che utilizzano
tale habitat”, che “la realizzazione degli interventi previsti seguendo le
prescrizioni indicate nella parte dispositiva del presente provvedimento non
determinerà effetti negativi sugli obiettivi di conservazione, sulla
disponibilità di siti per la nidificazione e/o il rifugio della fauna, sulla
complessità delle reti alimentari ivi presenti, sulla struttura e funzioni
necessarie alla conservazione a lungo termine degli habitat e delle specie
tutelati presenti nei siti Natura 2000 in oggetto”, ha espresso una
valutazione positiva “in base alle informazioni fornite”.
È mancata dunque la necessaria considerazione e valutazione unitaria
dell’impatto delle attività proposte sugli habitat oggetto di protezione
che, si ripete ancora una volta, spettava all’amministrazione compiere e non
certo a questo Decidente
12.3.3. Anche le prescrizioni —riassumibili in sintesi nei seguenti quattro
punti:
1) salvaguardare i periodi di nidificazione (eseguire dunque gli
interventi possibilmente tra il 1 ottobre ed il 28 febbraio di ogni anno,
salvo estensioni e deroghe motivate, con alcuni accorgimenti);
2) evitare la
perdita di lubrificanti e carburante e limitare l’emissione di gas di
scarico e di rumori durante l’esecuzione dei lavori;
3) avvisare il Servizio
regionale competente qualora siano rinvenuti, durante l’esecuzione
dell'intervento, nidi o cavità sulle piante da abbattere;
4) verificare la
sussistenza sull’area delle condizioni indicate dal progetto per applicare
la tecnica del “fuoco prescritto”, facendo attenzione a monitorare durante
l’esecuzione i parametri più importanti per l’utilizzo di questa tecnica,
quali il vento, la temperatura, l’umidità, etc.— avrebbero meritato
maggiore attenzione, e comunque migliore motivazione, perché, lungi dal
costituire “specifiche prescrizioni” come affermato nella memoria difensiva
regionale, non sembrano avere alcun contenuto prescrittivo autonomo rispetto
a quelle che sono le comuni buone regole tecniche minimali già implicite
negli interventi antincendio boschivo presi in considerazione.
Si tratta,
quindi, di mere raccomandazioni generiche di eseguire a regola d’arte i
lavori che non aggiungono e non tolgono alcunché a quanto già previsto nel
piano. Anche sotto tale aspetto è necessario che, coerentemente alla regola
generale, sia fornita una migliore motivazione della scelta fatta.
13. L’enucleazione, svolta nei precedenti paragrafi, dei rilevati vizi di
carenza istruttoria e motivazionale, tradottisi in una sostanziale
sottovalutazione dei profili paesaggistici e ambientali degli interventi
antincendio programmati, fa emergere anche un ulteriore profilo,
diffusamente proposto nel ricorso introduttivo, concernente la mancata
partecipazione al percorso elaborativo delle associazioni di tutela
ambientale, le quali pure avevano più volte chiesto di essere ascoltate e di
poter contribuire al procedimento.
Se è vero che non si rinvengono nel panorama normativo (nazionale e
regionale) specifiche previsioni che impongano tale partecipazione -sicché
deve escludersi la sussistenza di puntuali vizi di violazione di legge sotto
questo profilo- è altrettanto vero che non è conforme a criteri generali di
buona amministrazione non prendere in considerazione i possibili contributi
delle associazioni ambientaliste che abbiano chiesto di essere sentite o che
abbiano prodotto memorie e documenti.
Si ricordi, a tale riguardo che, ai sensi dell’articolo 9 l. 07.08.1990,
n. 241, qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati,
nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o
comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà
di intervenire nel procedimento e che è loro riconosciuto, giusta il
disposto del successivo articolo 10, il diritto di presentare memorie
scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove
siano pertinenti all'oggetto del procedimento.
Ciò peraltro risponde ai canoni di buona amministrazione sanciti
dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
che, come è noto, ai sensi dell’articolo 6 TUE, ha lo stesso valore
giuridico dei trattati.
Fermo restando che l’amministrazione ha il dovere di procedere, anche
celermente quando necessario, in vicende come queste sarebbe stato utile
garantire la possibilità di ascolto e di presa in considerazione dei punti
di vista diversi da quelli dell’amministrazione quando ciò non si traduce
esclusivamente in ostacoli al compimento del procedimento amministrativo.
14. In conclusione, per tutte le esposte ragioni il ricorso deve giudicarsi
fondato e merita pertanto accoglimento, con conseguente annullamento della
delibera di giunta regionale n. 355 del 18.03.2019 e dell’annesso “Piano
Specifico di Prevenzione AIB” per il comprensorio territoriale delle pinete
litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia, nella parte in cui
considera erroneamente come paesaggisticamente irrilevanti -e perciò
sottratti alla preventiva autorizzazione paesaggistica- tutti gli
interventi previsti nel piano, omettendo un’adeguata analisi e valutazione
dell’impatto paesaggistico di tali interventi, nonché nella parte in cui si
fonda su una valutazione di incidenza sui siti della rete Natura 2000
interessati dalle misure rivelatasi carente nell’istruttoria e nelle
motivazioni, oltre che corredata da mere raccomandazioni di buona esecuzione
degli interventi prive della consistenza di prescrizioni integrative.
15. L’annullamento della delibera n. 355 del 18.03.2019 e dell’annesso
piano si riverbera sulla delibera n. 564 del 23.04.2019 (di approvazione
del piano AIB 2019-2021) nella sola parte in cui tale ultima delibera
recepisca, approvi, ratifichi o comunque faccia propri i contenuti della
delibera n. 355 del 2019 e dell’annesso piano specifico AIB.
16. La Regione Toscana ha più volte sottolineato, nella sua memoria
difensiva, l’estrema urgenza di eseguire interventi AIB a tutela della
pubblica incolumità e della sicurezza di persone e cose seriamente
minacciate dal rischio sempre più urgente e pressante di devastanti incendi
boschivi, molto probabili (se non, pare di capire, inevitabili) a causa del
mutamento climatico, non senza evocare scenari tragici, quali quelli di
recente verificatisi in Grecia, in Spagna e in Portogallo (per guardare solo
alle aree mediterranee e per non parlare della California o dell’Australia).
Scrive, ad esempio, la Regione Toscana (pag. 6 della memoria in data 29.11.2019): “È evidente che in tali condizioni, eventuali decisioni di
rinuncia agli interventi di prevenzione comportano l'assunzione di
responsabilità in merito alle conseguenze di eventi che dovessero accadere”
e, ancora (ivi): “Nel corso del 2017 un incendio ad alta intensità e di
limitata superficie (3,5 ha) ha danneggiato case e veicoli in località
Marina di Grosseto, mentre a Castiglione della Pescaia si è verificato un
incendio boschivo di 75,9 ettari che ha raggiunto una velocità di
propagazione di 20 metri/minuto”, sicché le delibere impugnate e il piano
specifico di prevenzione AIB delle pinete litoranee di Grosseto e
Castiglione della Pescaia “sono volti ad assicurare la salvaguardia
dell'incolumità di residenti e turisti; una loro mancata attuazione
esporrebbe al permanere delle condizioni di rischio come sopra evidenziate”
(pag. 7).
16.1. A fronte di tali impegnative affermazioni dell’Amministrazione
regionale, il Collegio deve porsi la questione di come poter in qualche modo
bilanciare le contrapposte esigenze di tutela giurisdizionale degli
interessi dei ricorrenti (e di ripristino della legittimità dell’azione
amministrativa) con quelle di tutela della pubblica incolumità e della
sicurezza delle persone e dei beni patrimoniali delle concentrazioni
antropiche che insistono nella (o in prossimità della) pineta oggetto del
piano AIB impugnato.
In particolare, il Collegio non può sottrarsi alla responsabilità di
esplorare a fondo la possibilità, per le suddette finalità, di graduare
l’effetto caducatorio degli atti impugnati discendente dal disposto
annullamento, in modo da scongiurare effetti di paralisi, che potrebbero
rivelarsi dannosi per gli stessi interessi ambientali fatti valere dalle
Associazioni ricorrenti.
Soccorre all’uopo, ad avviso del Collegio,
la possibilità di calibrare
l’effetto di annullamento, al fine di consentire alla Regione Toscana di
disporre di un congruo lasso di tempo per rivedere ed emendare, in linea con
i precetti regolativi desumibili dalla presente decisione, il piano
specifico AIB oggetto della presente pronuncia di annullamento,
consentendone, nelle more, interventi di messa in sicurezza o che si
presentino come particolarmente urgenti e ineludibili.
16.2. Com’è noto, la facoltà di modulare gli effetti demolitori delle
sentenze di annullamento è stata riconosciuta dal Consiglio di Stato con la
sentenza 10.05.2011, n. 2755. In quella sede, la Sezione VI, accertata
l’illegittimità del piano faunistico venatorio della regione Puglia a
cagione dell’omesso svolgimento del procedimento di valutazione ambientale
strategica (VAS), accoglieva il ricorso e dichiarava la perdurante efficacia
dell’atto impugnato nelle more dell’adozione di un nuovo provvedimento
programmatorio sostitutivo.
A tali conclusioni il Collegio giudicante perveniva non soltanto sul rilievo
della potenziale compromissione degli equilibri ambientali derivante
dall’eliminazione degli effetti del piano originariamente approvato, ma
anche in ragione del contenuto delle pretese fatte valere dalla parte
ricorrente. In quella sede si sosteneva infatti che il principio di
effettività della tutela giurisdizionale, nella declinazione desumibile
tanto dalle fonti sovranazionali (articoli 6 e 13 della CEDU), quanto da
quelle interne (articoli 24 e 113 della Costituzione), imponeva una
modulazione temporale dell’efficacia tipica del dictum giudiziale, in vista
della necessità di assicurare una soddisfazione non meramente formale
dell’interesse fatto valere con la domanda.
La Sezione VI osservava altresì che il riconoscimento di deroghe alla
naturale retroattività degli effetti caducatori non incontrerebbe alcuna
preclusione nelle norme sostanziali e processuali, laddove rispettivamente
disciplinano l’annullamento in autotutela degli atti amministrativi
(articolo 21-nonies, legge n. 241 del 1990) ed i contenuti delle sentenze
che dispongono l’eliminazione dalla realtà giuridica del provvedimento
impugnato (articolo 34, comma 1, lettera a), c.p.a.).
Parimenti, i poteri
valutativi esercitabili dal giudice in ordine all’efficacia del contratto
stipulato sulla base di un’aggiudicazione illegittima (articoli 121-122,
c.p.a.) costituirebbero un ulteriore indice normativo a sostegno della
compatibilità sistematica di pronunce che, accertata la difformità dell’atto
a contenuto generale rispetto al parametro legale, escludono la produzione
di effetti caducatori sino all’adozione del nuovo provvedimento da parte
dell’Amministrazione.
In virtù dell’ascrivibilità della disciplina ambientale al novero delle
competenze concorrenti fra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione
europea, questo Consiglio affermava inoltre che gli interessi fatti valere
in tale ambito materiale dovessero essere tutelati dai giudici nazionali
secondo livelli di garanzia non inferiori rispetto a quelli assicurati dal
diritto eurounitario. In tal senso, le disposizioni di cui all’articolo 264
del TFUE, specie nella parte in cui affidano alla Corte di giustizia la
facoltà di precisare “gli effetti dell'atto annullato che devono essere
considerati definitivi” (paragrafo 2), troverebbero ingresso
nell’ordinamento interno in qualità di principi idonei a garantire una
“tutela piena ed effettiva” delle situazioni giuridiche soggettive dedotte
in giudizio (articolo 1, c.p.a.).
16.3. Giova osservare come, sulla base degli argomenti posti a fondamento
della sentenza 10.05.2011, n. 2755, l’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato abbia ammesso la configurabilità di deroghe all’efficacia retroattiva
delle pronunce con cui il giudice della nomofilachia modifica orientamenti
giurisprudenziali consolidati (Cons. St., Ad. plen., sentenza 22.12.2017, n. 13).
Se il contenuto di un siffatto richiamo vale indubbiamente a rafforzare
l’apparato argomentativo della citata decisione del 2017, non può tuttavia
omettersi di precisare come il cosiddetto prospective overruling non
condivida con la graduazione della portata caducatoria delle sentenze di
annullamento null’altro che la comune riconducibilità alle tecniche di
governo dell’efficacia delle pronunce giurisdizionali.
L’elaborazione di principi di diritto innovativi rispetto all’orientamento
precedentemente consolidato, in quanto formulati in sentenze dichiarative di
interpretazione intese a rendere manifesto il significato dell’originario
dato normativo, esprime una naturale tendenza alla retroazione dei nuovi
canoni esegetici. Tuttavia, a fronte della potenziale lesione di
controinteressi di rango costituzionale, l’operatività del revirement
giurisprudenziale può essere limitata alle sole fattispecie che vengano in
rilievo posteriormente alla pubblicazione della nuova decisione.
Muovendo dalla risalente tradizione pretoria della Corte suprema
statunitense, la giurisprudenza non ha tuttavia mancato di delimitare
puntualmente le condizioni di praticabilità del prospective overruling. Sin
dalla sentenza 11.07.2011, n. 15144, il Giudice di legittimità ha
costantemente sostenuto che l’ammissibilità di interventi nomofilattici con
efficacia ex nunc sia subordinata alla cumulativa presenza dei seguenti
requisiti:
a) la nuova interpretazione incida su norme processuali;
b) il mutamento giurisprudenziale sia stato imprevedibile e sopravvenga ad
un distinto orientamento consolidato nel tempo, in modo da indurre la parte
ad un ragionevole affidamento sulla perdurante validità dell’indirizzo
anteriore;
c) l’overruling precluda l’esercizio del diritto di azione o di difesa delle
parti (da ultimo, cfr. Cass. civ., Sez. II, ordinanza 10.05.2018, n.
11300; Cass. civ., Sez. un., sentenza 03.10.2018, n. 24133; Cass. civ.,
Sez. un., sentenza 12.02.2019, n. 4135; Cass. civ., Sez. lav.,
ordinanza 13.01.2020, n. 403).
Ad analoga definizione dei presupposti fondativi dell’istituto in esame è
pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., 02.11.2015, n. 9; Cons. St., Sez. III, ordinanza
07.11.2017, n.
5138). E in applicazione delle medesime condizioni questo Consiglio ha
recentemente escluso la differibilità nel tempo dei principi di diritto
enunciati in tema di riapertura delle graduatorie ad esaurimento (Cons. St.,
Ad. plen., 27.02.2019, n. 4; Cons. St., Sez. VI, sentenza 08.04.2019, n. 2266), nonché di superamento della pregiudiziale amministrativa
nella domanda di risarcimento del danno (Cons. St., Sez. III, sentenza 22.02.2019, n. 1230; Cons. St., Sez. IV, sentenza 28.06.2018, n.
3977).
Rispetto a tale assetto giurisprudenziale si distingue invece la citata
sentenza n. 13 del 2017, con la quale l’Adunanza plenaria, accogliendo la
tesi della cosiddetta “discontinuità” dell’efficacia del vincolo preliminare
nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico
anteriori all’entrata in vigore del d.lgs. 22.01.2004, n. 42, giunge ad
estendere la portata del prospective overruling anche all’esegesi di norme a
contenuto sostanziale.
Conoscendo di una fattispecie rientrante nella sfera
di vincolatività dei principi di diritto formulati dall’Adunanza plenaria n.
13 del 2017, la Sezione VI del Consiglio di Stato, con sentenza 03.12.2018, n. 6858, ha parimenti sostenuto che “anche nell’ambito del
procedimento amministrativo (nel caso in esame, di conclusione del
procedimento di vincolo), come in ambito processuale, la modifica del
precedente orientamento non può che comportare che la parte (nella specie,
l’Amministrazione) incorra in decadenze fino allora non prevedibili”.
In altri termini, giova in questa sede evidenziare con forza che
il potere
di disporre la decorrenza ex nunc degli effetti delle sentenze a contenuto
interpretativo non possa assimilarsi alle tecniche di modulazione della
portata caducatoria delle pronunce costitutive di annullamento degli atti
illegittimi. Queste ultime, lungi dall’incidere sulla stabilità di
precedenti giurisprudenziali consolidati, contengono indefettibilmente un
accertamento circa la legittimità/illegittimità del provvedimento
amministrativo impugnato in vista della soddisfazione di un interesse
protetto dall’ordinamento sostanziale. Le prime, invece, individuano il
momento a partire dal quale il nuovo orientamento interpretativo deve essere
applicato.
Deve in conclusione ritenersi che l’indagine sulla graduazione degli effetti
dell’annullamento non possa che essere condotta sulla base di criteri
distinti rispetto a quelli cui la giurisprudenza ordinaria e amministrativa
ricorre per giustificare la praticabilità del prospective overruling.
16.4. La Sezione è consapevole dei rilievi critici mossi da una parte della
dottrina avverso la graduazione degli effetti caducatori delle sentenze di
annullamento.
Si è osservato, in primo luogo, come nel sistema della giustizia
amministrativa il contenuto tipico dell’azione di annullamento, consistente
nell’eliminazione del provvedimento illegittimo dalla realtà giuridica,
sarebbe violato dalle decisioni con cui il giudice dispone il mantenimento
dell’efficacia dell’atto impugnato nelle more dell’ulteriore esercizio del
potere. Le conseguenze caducatorie dell’accoglimento della domanda, benché
non puntualmente desumibili dalla disciplina processuale, sarebbero imposte
dalla natura costitutiva della sentenza di annullamento, dei cui effetti
demolitori dovrebbe dunque predicarsi la radicale indisponibilità.
Con un secondo argomento critico si è inoltre ritenuto che le tesi sostenute
dalla Sezione VI del Consiglio di Stato con la citata sentenza n. 2755 del
2011 presenterebbero profili di contrasto con l’articolo 113, comma 3 della
Costituzione, ai sensi del quale “la legge determina quali organi di
giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei
casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”. La necessaria
intermediazione legislativa nella definizione dei poteri di annullamento
osterebbe infatti all’autonoma gestione giudiziaria dell’efficacia delle
pronunce costitutive, dal momento che la produzione del risultato demolitorio potrebbe essere legittimamente escluso nelle sole ipotesi
predeterminate dalla fonte primaria.
Una terza censura di matrice dottrinale è stata avanzata in relazione alla
pretesa violazione del carattere dispositivo del processo amministrativo. Il
principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (articolo 112,
c.p.c.) non consentirebbe al giudice di modulare il contenuto del decisum in
senso difforme rispetto alla pretesa annullatoria fatta valere con la
domanda di parte.
Anche gli argomenti di diritto positivo posti a fondamento del percorso
motivazionale della sentenza n. 2755 del 2011 non hanno mancato di suscitare
la disapprovazione di alcuni esponenti della dottrina.
Non persuasivo è ritenuto il riferimento ai poteri esercitabili della Corte
di giustizia nel giudizio sulla legittimità degli atti delle istituzioni
eurounitarie (articolo 264, paragrafo 2, TFUE). Né il richiamo ai principi
di derivazione europea, previsto dall’articolo 1 del codice del processo
amministrativo, consentirebbe per ciò solo di trasporre nell’ordinamento
interno gli istituti tipici di un distinto sistema processuale. Sulla base
delle norme di matrice eurounitaria non potrebbe infatti imporsi ai giudici
nazionali la temporanea conservazione dell’efficacia di atti illegittimi in
vista della necessaria protezione di controinteressi meritevoli di tutela.
Quanto alla disciplina speciale di cui agli articoli 121-122 del codice del
processo amministrativo, la previsione di una deroga espressa
all’inefficacia retroattiva del contratto stipulato sulla base di
un’aggiudicazione illegittima costituirebbe un significativo indice
dell’eccezionalità del rimedio pretorio in esame, non invece la
esplicitazione settoriale di un generale potere di valutazione circa la
perduranza o meno degli effetti del provvedimento annullato.
Da ultimo, la radicale distinzione tra le funzioni giurisdizionali e quelle
di amministrazione attiva precluderebbe l’assimilazione tra la rimozione in
autotutela degli atti illegittimi (articolo 21-nonies, legge n. 241 del
1990) e le sentenza costitutive di annullamento.
16.5. La Sezione ritiene che tali rilievi critici non debbano essere
condivisi.
16.5.1 Con riguardo alla pretesa violazione del contenuto tipico delle
pronunce costitutive di annullamento, occorre osservare quanto segue.
In esito al complesso percorso evolutivo che ha visto la pretesa alla
soddisfazione del bene della vita progressivamente acquisire una valenza
centrale entro la struttura dell’interesse legittimo, la disciplina
processuale delle azioni esperibili a fronte dell’esercizio del potere
richiede un costante adeguamento interpretativo alle esigenze di effettività
imposte dalla cognizione di una posizione giuridica soggettiva sostanziale.
È noto che il modello rimediale pluralistico originariamente accolto dalla
bozza del codice del processo amministrativo licenziata l’08.02.2010
dalla Commissione insediata presso il Consiglio di Stato sia stato solo
parzialmente recepito nella versione definitiva del testo legislativo. Ove
tuttavia si ritenesse che il riferimento alle azioni di annullamento
(articolo 29, c.p.a.) e di condanna (articolo 30, c.p.a.), nonché a quelle
in materia di silenzio-inadempimento (articolo 31, commi 1-3, c.p.a.) e di
nullità (articolo 31, comma 4, c.p.a.), sia espressivo di un sistema di
tutela tipico e conchiuso, dovrebbe al contempo ammettersi la validità di
una configurazione meramente processuale dell’interesse legittimo.
Per converso, e in modo più condivisibile, la considerazione del moderno
schema dei rapporti di diritto pubblico, nel quale il bene della vita inciso
dall’esercizio del potere diviene l’elemento costitutivo di una situazione
giuridica soggettiva sostanziale, esige la costruzione di un apparato
rimediale idoneo ad assicurare a quest’ultima una protezione adeguata alla
sua intrinseca natura.
In forza dei criteri direttivi di cui all’articolo 44 della legge 18.06.2009, n. 69, nonché del richiamo ai principi costituzionali e comunitari
previsto dall’articolo 1 del codice del processo amministrativo, deve dunque
ritenersi che il canone di effettività della tutela giurisdizionale si ponga
a fondamento di un sistema atipico di azioni, la cui esperibilità garantisce
la soddisfazione di interessi giuridicamente rilevanti mediante strumenti
processuali non necessariamente coincidenti con quelli espressamente
previsti dalla legge.
Con specifico riguardo all’azione generale di accertamento, l’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 29.07.2011, n. 15, ha
infatti autorevolmente sostenuto che “nell’ambito di un quadro normativo
sensibile all’esigenza costituzionale di una piena protezione dell’interesse
legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la
mancata previsione, nel testo finale del codice del processo, dell’azione
generale di accertamento non preclude la praticabilità di una tecnica di
tutela, ammessa dai principali ordinamenti europei, che, ove necessaria al
fine di colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in
modo adeguato dalle azioni tipizzate, ha un fondamento nelle norme
immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di
garantire la piena e completa protezione dell’interesse legittimo (articoli
24, 103 e 113).
Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel
processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone
di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con
particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da
impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione
concreta della pretesa sostanziale del ricorrente”.
Così delineato il quadro dei mezzi di tutela esperibili nell’attuale sistema
di giustizia amministrativa, deve ulteriormente osservarsi come l’atipicità
dell’apparato rimediale possa presentare anche una declinazione di tipo
contenutistico, nella misura in cui la decisione del giudice esprime una
sintesi degli interessi in conflitto non astrattamente predeterminabile dal
legislatore.
Ed in specie, l’estensione dell’oggetto della cognizione al rapporto
giuridico controverso, al di là dei confini imposti dal mero scrutinio di
legittimità dell’atto impugnato, può giustificare il riconoscimento di
poteri valutativi in ordine alla perduranza degli effetti dell’atto
illegittimo, nell’ottica del bilanciamento fra le esigenze di tutela fatte
valere dalla parte ricorrente ed i controinteressi generali e particolari
rilevanti nel caso concreto.
Il governo degli effetti delle sentenze costitutive di annullamento appare
dunque ammissibile nel quadro di atipicità rimediale e contenutistica che
permea la moderna struttura del processo amministrativo.
Del resto -come è stato notato- sotto il profilo dell’azione proposta, la
domanda di annullamento contiene sempre il quid minus della domanda di mero
accertamento dell'illegittimità con effetti non retroattivi o non
eliminatori e, sotto il profilo dei poteri del giudice, l'attribuzione del
potere di decidere quando annullare l'atto illegittimo implica (rectius: può
implicare) anche il potere, meno incisivo, di stabilire da quando far
decorrere la portata della sentenza di annullamento dell'atto.
16.5.2 Con il secondo degli esaminati rilievi critici si sostiene che i
poteri di modulazione riconosciuti dalla sentenza n. 2755 del 2011
configurerebbero una violazione della riserva di legge prevista
dall’articolo 113, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui affida
all’intermediazione legislativa la determinazione dei casi e degli effetti
dell’annullamento giurisdizionale.
Anche la suddetta censura di matrice dottrinale non appare persuasiva.
Deve in primo luogo osservarsi che nessuna norma di diritto sostanziale o
processuale espressamente preclude l’individuazione di deroghe alla portata
retroattiva delle pronunce a contenuto demolitorio.
In secondo luogo il vigente assetto processuale, oltre a rimettere al
giudice la valutazione circa la necessità dell’annullamento dell’atto
illegittimo (articolo 34, comma 3, c.p.a.), accentua il carattere
conformativo delle decisioni adottabili. A questo proposito giova infatti
ricordare che il combinato disposto dell’articolo 30, comma 1 e
dell’articolo 34, comma 1, lettera c), primo periodo del codice del processo
amministrativo consente la proposizione di domande atipiche di condanna, le
quali, se formulate contestualmente ad altra azione, possono condurre alla
pronuncia di sentenze di accoglimento che obbligano l’Amministrazione
“all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica
soggettiva dedotta in giudizio”.
Lungi dall’integrare una violazione della riserva di legge prevista
dall’articolo 113, comma 3, della Costituzione, la dichiarazione di efficacia
dell’atto illegittimo sino al nuovo esercizio del potere da parte
dell’Amministrazione rinviene quindi nella disciplina processuale di rango
primario un fondamento normativo.
16.5.3 Il terzo profilo di criticità interpretativa contestato da una parte
della dottrina attiene all’asserita incompatibilità fra le tecniche di
modulazione degli effetti demolitori e il principio di corrispondenza tra il
chiesto e il pronunciato (articolo 112, c.p.c.).
Anche tale argomento va superato.
L’oggetto dell’azione di annullamento comprende indefettibilmente la domanda
di accertamento circa l’illegittimità dell’atto impugnato. La pronuncia con
cui il giudice, pur dichiarando la sussistenza di profili di contrasto
rispetto al parametro legale, sospende provvisoriamente la produzione
dell’effetto eliminatorio della sentenza, o stabilisce che l’atto
illegittimo sia annullato senza far retroagire gli effetti della caducazione,
non può ritenersi difforme rispetto ai contenuti del petitum.
Né, in senso diverso, possono ricavarsi argomenti da una sentenza
dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che –statuendo in ordine ad
una controversia nella quale si discuteva della possibilità di sostituire
l’annullamento degli atti di una procedura concorsuale con il “semplice”
risarcimento dei danni– è giunta a formulare il seguente principio di
diritto: “sulla base del principio della domanda che regola il processo
amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del
ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l’Amministrazione al
risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché
procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto della domanda
dell’istante ed in ordine al quale persista il suo interesse, ancorché la
pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche per il
lungo tempo trascorso dall’adozione degli atti, e ad essa debba seguire il
mero rinnovo, in tutto o in parte, della procedura esperita” (Cons. St., Ad.
plen., sentenza 13.04.2015, n. 4).
Proprio dalle motivazioni della citata sentenza del giudice della
nomofilachia si desume peraltro che la condivisibile preclusione alla
sostituzione officiosa delle forme di tutela richieste dalla parte
ricorrente (risarcimento al posto dell’annullamento) non può in alcun modo
estendersi alla modulazione degli effetti caducatori delle pronunce di
annullamento, con la quale il giudice amministrativo assicura una protezione
effettiva alle pretese dedotte in giudizio, senza travalicare i limiti
imposti dall’oggetto e dalle ragioni della domanda (cfr. paragrafo n. 7
delle motivazioni in diritto).
In chiave sistematica, poi, le deroghe alla retroattività delle sentenze di
annullamento del contratto, previste dagli articoli 1443 e 1445 del codice
civile rispettivamente a tutela dell’incapace e del terzo subacquirente,
confermano la validità dell’orientamento che ammette la modulazione degli
effetti delle pronunce demolitorie, ove tale soluzione sia imposta dalla
necessità di proteggere adeguatamente gli interessi dedotti in giudizio.
Per
il giudice ordinario, infatti, in materia di annullamento del contratto,
l'art. 1445 c.c., escludendo gli effetti dell'annullamento nei confronti dei
terzi di buona fede che abbiano acquistato a titolo oneroso, sancisce
implicitamente l'efficacia dell'annullamento nei confronti degli acquirenti
rispetto ai quali non ricorra tale requisito soggettivo (Cass. civile, sez.
II, 10.09.2019, n. 22585), così confermando che gli effetti possono
essere calibrati in ragione degli interessi coinvolti.
Si tratta, peraltro,
di soluzione immanente all’ordinamento giuridico, come confermato da una non
recente decisione: "La disposizione dell'articolo 2652, n. 6, c.c.,
riguardante l'onere della trascrizione delle domande dirette a far
dichiarare la nullità o far pronunziare l'annullamento di atti soggetti a
trascrizione, ha lo scopo di limitare l'efficacia retroattiva e l'opponibilità
della pronuncia dichiarativa della nullità, in quanto fa salvi i diritti che
i terzi di buona fede abbiano acquistato in base ad un atto trascritto
anteriormente alla trascrizione della domanda di nullità, qualora quest'ultima
sia stata trascritta dopo decorsi cinque anni dalla trascrizione dell'atto
impugnato. Il verificarsi del duplice presupposto della trascrizione del
titolo di acquisto e dell'omissione della trascrizione della domanda di
dichiarazione di nullità entro il quinquennio attribuisce pertanto sia al
primo acquirente sia ad ogni altro successivo avente causa una posizione di
piena tutela nei confronti della pretesa di invalidità del titolo del dante
causa" (Cass. civ., Sez. I, sentenza 20.05.1967, n. 1095).
16.6. La soluzione inaugurata dalla sentenza di questo Consiglio di Stato n.
2755/2011, con tutta evidenza, trae fondamento nell'evoluzione del sindacato
del giudice che si è trasformato da giudizio di mera conformità dell’atto ad
un determinato parametro normativo a giudizio sul legittimo esercizio della
funzione amministrativa con riferimento al rapporto.
Nella prospettiva tradizionale –e ormai superata perché incentrata
esclusivamente sulla legittimità/illegittimità dell’atto– la posizione di sovraordinazione, propria dell’amministrazione, impediva di individuare
vincoli in capo all’ente nel rapporto con il privato (prima suddito e poi
cittadino) e conseguentemente nessuno spazio vi era per una “relazione
giuridica in senso proprio”. Come affermato dalla dottrina, “l’ordinamento
giuridico poteva anche disciplinare il potere dell’amministrazione con norme
volte ad orientare l’attività della medesima nell’interesse della stessa
amministrazione (norme d’azione), ma senza che si instaurasse una relazione
giuridica in senso proprio”.
Con l’affermarsi dello Stato di diritto –e poi con alcune rilevanti
modifiche normative (possibilità di risarcire i danni cagionati da lesioni
agli interessi legittimi, impugnazione di atti connessi con l’istituto dei
motivi aggiunti, possibilità di valutare la fondatezza della pretesa e non
annullabilità degli atti illegittimi che non potevano avere un contenuto
diverso da quello in concreto adottato)– l’interesse legittimo ha assunto
un’indiscutibile valenza sostanziale consentendo di ricostruire “i termini
dialettici … di una relazione giuridica bilaterale” in cui è essenziale
penetrare nel rapporto tra amministrazione e cittadino per saggiarne la
reale consistenza. Emblematico in tal senso è la disposizione che esclude
l’annullamento dell’atto illegittimo quando il contenuto non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato.
Altra dottrina –dopo aver distinto il “rapporto dinamico (procedimento) e
quello statico (provvedimento), poiché nella dinamica procedimentale il
privato, parte del rapporto, interagisce col responsabile del procedimento,
mentre nel provvedimento è solo destinatario rispetto all'assetto degli
interessi”– ha insistito per la costruzione di un più maturo quadro di
tutele che, ad avviso della Sezione, non può che passare per un ampliamento
degli schemi consolidati.
Anche la giurisprudenza ha rilevato che “l'interesse legittimo non rileva
come situazione meramente processuale, ossia quale titolo di legittimazione
per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, né si risolve in
un mero interesse alla legittimità dell'azione amministrativa in sé intesa,
ma si rivela posizione schiettamente sostanziale, correlata, in modo intimo
e inscindibile, ad un interesse materiale del titolare ad un bene della
vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione a
seconda che si tratti di interesse oppositivo o pretensivo) può
concretizzare un pregiudizio”; conseguentemente si aprono le porte ad un
“giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la
fondatezza della pretesa sostanziale azionata” (Cons. St., a.p., 23.03.2011, n. 3).
È bene precisare però che quanto sino ad ora affermato non deve mai
travalicare i confini del merito amministrativo, se non nei rari casi
previsti dalla legge (articolo 134 c.p.a).
16.7. Non può inoltre omettersi di osservare come l’impostazione accolta in
questa sede si ponga in continuità con l’indirizzo accolto dalla
giurisprudenza eurounitaria.
La Corte di Giustizia, prima in applicazione dell’articolo 231 Trattato CE,
poi in ossequio a quanto stabilito dall’articolo 264 TFUE, ritiene di poter
decidere, di volta in volta, sugli effetti dell’annullamento nel caso di
riscontrata invalidità di un regolamento e “anche nei casi di impugnazione
delle decisioni, delle direttive e di ogni altro atto generale”.
A tale riguardo, giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 264 TFUE, se il
ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell'Unione europea dichiara nullo
e non avvenuto l'atto impugnato. Viene altresì precisato che, ove lo reputi
necessario, la Corte precisa gli effetti dell'atto annullato che devono
essere considerati definitivi.
Con la sentenza 10.01.2006, in causa C-178/03, la Corte, richiamando
l’articolo 231, secondo comma, allora vigente, ha mantenuto gli effetti
dell’atto annullato “sino all’adozione, entro un termine ragionevole, di un
nuovo regolamento basato su fondamenti normativi adeguati”.
Con altra sentenza, sempre la Corte di Giustizia, ha mantenuto gli effetti
dell’atto impugnato “per un periodo non eccedente i tre mesi”, a decorrere
dalla data di pronuncia della sentenza, sul presupposto che l'annullamento
con effetto immediato avrebbe potuto “arrecare un pregiudizio grave ed
irreversibile all'efficacia delle misure” imposte dall’atto caducato (Corte
di giustizia, sentenza 03.09.2008, in cause riunite C‑402/05 P e
C‑415/05 P).
Di particolare interesse è altra pronuncia con la quale la Corte di
Giustizia, dopo aver riscontrato l’illegittimità di una decisione, ha
sospeso “gli effetti della constatazione d’invalidità”, per un periodo non
superiore a due mesi, stabilendo altresì alcune eccezioni in considerazione
della particolare posizione di determinati ricorrenti (Corte di giustizia,
sentenza 22.12.2008, in causa C-333/07).
Parimenti, l’analisi delle tradizioni giurisprudenziali straniere (in specie
francese) dimostra il diffuso riconoscimento di deroghe alla retroattività
delle sentenze di annullamento.
In particolare, il Conseil d'Etat, in data 11.05.2004, Association Ac ed
Autres, ha ritenuto che “Se l'annullamento di un atto amministrativo implica
in linea di principio che tale atto non si considera mai avvenuto, quando le
conseguenze di un annullamento retroattivo sarebbero manifestamente
eccessive per gli interessi pubblici e privati coinvolti, il giudice può, in
via eccezionale, modulare nel tempo gli effetti dell’annullamento che
pronuncia”.
16.8. La Sezione non ignora che le tesi sostenute con la citata sentenza n.
2755 del 2011 siano state solo occasionalmente accolte dalla giurisprudenza
amministrativa di primo grado (cfr. TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 13.12.2011, n. 700; TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis, sentenza
09.04.2014, n. 3838; TAR Molise, sentenza 21.11.2014, n. 637).
E ciò ancorché ancora recentemente la Sezione VI del Consiglio di Stato, con
sentenza 06.04.2018, n. 2133, ha affermato che “il giudice amministrativo
-anche in sede di cognizione- può comunque determinare se, nel caso di
fondatezza delle censure poste a base di una domanda di annullamento,
sussistano i presupposti per applicare il principio generale per il quale
l’atto illegittimo vada rimosso con effetti ex tunc, oppure vada rimosso con
effetti ex nunc, ovvero l’atto stesso non vada rimosso, ma debba o possa
essere sostituito, con un ulteriore provvedimento, a sua volta se del caso
avente effetti ex nunc (cfr. Cons. St., Sez. VI, sentenza 10.05.2011, n.
2755; Cons. St., Ad. plen., sentenza 22.12.2017, n. 13).
Anche in considerazione del principio di effettività della tutela del
ricorrente vittorioso (richiamato dall’articolo 1 del codice del processo
amministrativo), in rapporto alla consistenza dei poteri comunque
esercitabili dall’Amministrazione a seguito della rilevata illegittimità del
suo provvedimento, il giudice amministrativo -con la sentenza di cognizione
o d’ottemperanza- nell’esercizio dei propri poteri conformativi e se del
caso di merito può determinare quale sia la regola più giusta, che regoli il
caso concreto.
Tale ampio potere del giudice amministrativo deve però tenere conto della
normativa applicabile nella materia in questione e non deve condurre a
conseguenze incongrue o asistematiche”.
In effetti il giudice amministrativo fa un uso molto avveduto del potere in
esame, limitandolo alle sole ipotesi in cui un temperamento alla regola
della caducazione retroattiva degli atti illegittimi si renda strettamente
necessario per la tutela degli interessi rilevanti nel caso concreto, così
come s’è visto accade oltralpe.
16.9.
In conclusione reputa la Sezione che risponda meglio al principio
dell’effettività della tutela giurisdizionale la possibilità di “modulare”
gli effetti dell’annullamento.
Tale potere, tuttavia, dovrà essere utilizzato in modo accorto e solo nelle
ipotesi in cui si renda necessario per una migliore tutela degli interessi
fatti valere nel giudizio in confronto con quelli pubblici e privati
coinvolti.
E ciò anche al fine di evitare che le esigenze di effettività della tutela
trasmodino
–com’è stato giustamente paventato-
in situazioni di incertezza
giuridica o amministrativa.
In particolare
tale possibilità soccorrerà allorché
-come nel caso in esame-
occorre evitare che l’annullamento di un atto dell’amministrazione possa
generare una condizione amministrativa di vuoto regolatorio (in caso di
annullamento di atti normativi o generali), tale da determinare effetti
peggiorativi della posizione giuridica tutelata col ricorso, nel senso di
pregiudicare, anziché proteggere, il bene della vita che l’interessato
aspira a conseguire o mantenere.
Sotto questo profilo, il caso qui all’odierno esame della Sezione appare
paradigmatico: l’annullamento del piano specifico AIB potrebbe indurre
indirettamente un effetto di paralisi dell’azione amministrativa di
prevenzione incendi, impedire dunque anche quegli interventi urgenti,
necessari a mitigare il rischio di incendi boschivi e, con l’approssimarsi
della stagione estiva, aumentare di fatto ancor di più il rischio di
devastanti incendi, difficilmente controllabili, con il risultato
paradossale che l’accoglimento del ricorso proposto dalle associazioni
ambientaliste per garantire più elevati livelli di tutela del paesaggio
tutelato e delle aree naturali protette che ospitano specie vegetali e
animali nel sistema Rete Natura 2000 potrebbe finire per (con)causare
indirettamente la distruzione definitiva di quei paesaggi e di quegli
habitat naturali.
16.10. Per le considerazioni sino a qui espresse, quindi,
il Consiglio
esprime parere nel senso che il ricorso vada accolto, disponendo
l'annullamento degli atti impugnati, nei limiti delle censure accolte e solo
a decorrere dall'approvazione del nuovo piano AIB, approvazione che dovrà
avvenire nel rispetto dei principi affermati con la presente decisione nel
termine di 180 giorni dalla comunicazione del decreto che decide il ricorso.
Per garantire la piena tutela degli interessi fatti valere col ricorso e
degli interessi pubblici coinvolti, dunque, il piano qui annullato rimane in
vigore durante il predetto periodo di 180 giorni. Resta chiaro che le
Autorità competenti, in tale lasso temporale, hanno l’obbligo di adottare
tutte le misure e le azioni, eventualmente anche in attuazione parziale del
piano qui annullato, per mettere in sicurezza il sito nonché per
fronteggiare gli interventi improcrastinabili e indifferibili relativi ad
aree -soprattutto vicine ad insediamenti antropici- che presentano rischi
elevati secondo la prudente e responsabile valutazione delle amministrazioni
che certamente non compete a questo Decidente.
Decorso il predetto termine, il piano oggetto del ricorso rimane
definitivamente annullato e privo di effetti con la conseguenza che, qualora
l’amministrazione non dovesse ottemperare alla decisione, parte ricorrente
potrà agire in sede di ottemperanza secondo il costante orientamento della
giurisprudenza (ex multis, Cons. St., ad. plen., 05.06.2012, n. 18; Cons.
St., ad. plen., 06.05.2013, n. 9; Cons. St., ad. plen., 14.07.2015,
n. 7).
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere accolto esclusivamente nei
limiti e con le prescrizioni indicati in motivazione. |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
27.05.2020 n. 135 "Attività antincendio boschivo per la stagione estiva
2020. Individuazione dei tempi di svolgimento e raccomandazioni per un più
efficace contrasto agli incendi boschivi, di interfaccia, ed ai rischi
conseguenti" (P.C.M.,
comunicato 19.05.2020). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, supplemento n. 22 del 25.05.2020, "Modifiche alla legge
regionale 28.02.2005, n. 9 (Nuova disciplina del servizio volontario di
vigilanza ecologica)" (L.R.
21.05.2020 n. 12). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, supplemento n. 22 del 25.05.2020, "Legge di semplificazione
2020" (L.R.
21.05.2020 n. 11)." |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Area boschiva e
vincolo paesaggistico – BOSCHI E MACCHIA
MEDITERRANEA – Intervento edilizio su zona vincolata
– Disboscamento del terreno – Piano paesaggistico –
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Realizzazione dei
capannoni in un’area boscata – Permesso di costruire
– Fattispecie – Artt. 146, 153, 154, 159 e 181,
d.lgs. n. 42/2004 – Artt. 5 e 44 d.P.R. n. 380/2001.
In tema di tutela dei beni
culturali e ambientali, i proprietari, possessori o
detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al
comma 1, dell’articolo 146 d.lgs. 42/2004, hanno
l’obbligo di sottoporre alle amministrazioni
competenti i progetti delle opere che intendano
eseguire, corredati della documentazione prevista,
preordinata alla verifica della compatibilità fra
interesse paesaggistico tutelato ed intervento
progettato, al fine di ottenere la preventiva
autorizzazione, ne deriva che costituisce onere
dell’interessato rappresentare, nel richiedere il
permesso di costruire, che l’intervento progettato
insiste su una zona vincolata sul piano
paesaggistico, così come verificare, una volta
conseguito il titolo abilitativo ai fini
urbanistici, se lo stesso sia congruo in relazione
alla situazione di fatto, riferita cioè alla
specifica zona in cui l’intervento deve essere
realizzato.
Nella specie, il ricorrente non poteva sottrarsi
agli obblighi su lui stesso incombenti per la
realizzazione dei capannoni in un’area boscata
trincerandosi dietro un’insussistente autonoma
iniziativa del Comune sol perché si tratta dello
stesso ente deputato al rilascio sia
dell’autorizzazione paesaggistica che del permesso
di costruire, quando era lui stesso ad aver taciuto
quale fosse l’effettivo stato dei luoghi al momento
della domanda.
...
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Funzioni e limiti dello
Sportello Unico per l’Edilizia – Cura dei rapporti
fra il privato, l’amministrazione e le altre
amministrazioni tenute a pronunciarsi – VIA VAS AIA
– Taglio di un’area boscata – Impatto sul contesto
ambientale – Fattispecie: preventiva modifica
abusiva dello stato dei luoghi a fini edilizi
(taglio di un bosco senza richiedere
l’autorizzazione).
Lo Sportello Unico per
l’Edilizia, in conformità a quanto previsto
dall’art. 5 d.P.R. 380/2001, assolve alla funzione
di curare tutti i rapporti fra il privato,
l’amministrazione e, ove occorra, le altre
amministrazioni tenute a pronunciarsi in ordine
all’intervento edilizio oggetto della richiesta di
permesso o di denuncia di inizio attività, ha
unicamente finalità di semplificazione
procedimentale ed organizzativa, fungendo da tramite
tra il privato e l’amministrazione per il rilascio
dei titoli abilitativi, ma certamente non può
sostituirsi alla carente rappresentazione dello
stato dei luoghi da parte dell’interessato.
Nella specie, invece, l’interessato era ben
consapevole dell’esistenza di un bosco sull’area
destinata ad intervento edilizio essendo stato lui
stesso ad averne eseguito preventivamente il taglio
senza averne richiesto neppure in tale occasione
l’autorizzazione.
Diversamente opinando, verrebbe con un sol colpo
annullato lo stesso vincolo paesaggistico,
contemplante per sua natura la valutazione
dell’impatto sul contesto ambientale circostante
dell’opera realizzanda, rimettendo allo stesso
interessato la possibilità, con una condotta,
necessariamente arbitraria proprio in quanto non
preventivamente autorizzata, mediante la preventiva
modifica dello stato dei luoghi, di aggirare il
vincolo stesso: conseguenza questa all’evidenza
paradossale, tenuto conto che nello specifico
l’imputato non aveva mai chiesto, neppure in
relazione al disboscamento, che entrambi i giudici
di merito ritengono logicamente preordinato alla
successiva edificazione, alcuna autorizzazione sul
piano paesaggistico essendosi munito soltanto del
parere favorevole ai fini del diverso vincolo
idrogeologico, che attesta in via ineludibile la
preesistente sussistenza di un’area boschiva, così
come la consapevolezza in capo al medesimo di
operare in area vincolata.
...
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Area boscata –
Vincolo paesaggistico – T.U. in materia forestale
del 03.04.2018 n. 34 – Art. 142 d.Lgs. 42/2004 –
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Altra definizione
contenuta nei PRG e strumenti urbanistici comunali –
Irrilevanza.
Il vincolo paesaggistico
sussiste per il solo fatto della presenza di un
bosco, inteso secondo il previgente l’art. 2 d.Lgs.
227/2001, come un “terreno coperto da vegetazione
forestale arborea associata o meno a quella
arbustiva, di origine naturale o artificiale, in
qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con
estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri,
larghezza media non inferiore a 20 metri e con
copertura arborea forestale maggiore del 20 per
cento”, definizione questa non modificata dalla
vigente normativa, costituita dal T.U. in materia
forestale del 03.04.2018 n. 34 null’altro
evincendosi dall’art. 142 d.Lgs. 42/2004 che rimanda
alla nozione recepita dal legislatore nazionale in
materia forestale.
Pertanto, ne consegue che nessuna rilevanza possa
attribuirsi alle determinazioni assunte dal Comune
al riguardo o da eventuali diverse definizioni ad
essa date dagli strumenti urbanistici comunali
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.03.2020 n. 9402 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo paesaggistico sussiste per il solo fatto della presenza di un bosco,
inteso secondo il previgente art. 2 d.lgs. 227/2001, come un "terreno
coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella
arbustiva, di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di
sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri,
larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale
maggiore del 20 per cento", definizione questa non modificata dalla vigente
normativa, costituita dal T.U. in materia forestale del 03.04.2018 n. 34
null'altro evincendosi dall'art. 142 d.lgs. 42/2004 che rimanda alla nozione
recepita dal legislatore nazionale in materia forestale.
Invero, sono solo le Regioni che possono nell'ambito della potestà
legislativa concorrente in subiecta materia a poter integrare, per addizione
o sottrazione, la definizione di area boschiva assunta dalla legge
nazionale, aggiungendo o escludendo da essa determinate aree, e che in ogni
caso la nozione di bosco assunta dalla legge regionale toscana n. 1/2005,
all'epoca vigente, non si discosta da quella nazionale testé riportata:
conseguentemente una volta accertata la natura boschiva di un'area, il
vincolo paesaggistico derivante ex lege dall'art. 142 d.lgs. 42/2004 produce
effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date
dagli strumenti urbanistici comunali.
---------------
Il ricorrente non può perciò sottrarsi agli obblighi su lui stesso
incombenti per la realizzazione dei capannoni in un'area boscata
trincerandosi dietro un'insussistente autonoma iniziativa del Comune sol
perché si tratta dello stesso ente deputato al rilascio sia
dell'autorizzazione paesaggistica che del permesso di costruire, quando è
lui stesso ad aver taciuto quale fosse l'effettivo stato dei luoghi al
momento della domanda.
Né di alcun supporto alla tesi difensiva propugnata può ritenersi la
costituzione da parte dell'Amministrazione comunale dello Sportello Unico
per l'Edilizia in conformità a quanto previsto dall'art. 5 d.P.R. 380/2001
al quale lo stesso imputato si è rivolto: tale ufficio, il quale assolve
alla funzione di curare tutti i rapporti fra il privato, l'amministrazione
e, ove occorra, le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi in ordine
all'intervento edilizio oggetto della richiesta di permesso o di denuncia di
inizio attività, ha unicamente finalità di semplificazione procedimentale ed
organizzativa, fungendo da tramite tra il privato e l'amministrazione per il
rilascio dei titoli abilitativi (Sez. 3, n. 19315 del 27/04/2011 - dep.
17/05/2011, Manera, Rv. 250017), ma certamente non può sostituirsi alla
carente rappresentazione dello stato dei luoghi da parte dell'interessato
che, invece, era ben consapevole dell'esistenza di un bosco sull'area in
questione essendo stato lui stesso ad averne eseguito preventivamente il
taglio senza averne richiesto neppure in tale occasione l'autorizzazione.
Del resto, l'assunto secondo il quale competeva al Comune attivarsi per il
conseguimento dell'autorizzazione paesaggistica secondo le proprie autonome
determinazioni è contraddetta dalle successive allegazioni della stessa
difesa che sostiene che, non sussistendo alcun bosco sull'area al momento
dell'edificazione, non doveva essere rilasciata alcuna autorizzazione
paesaggistica, così negando nel medesimo ricorso l'autonomia decisionale
dell'ente locale fermamente sostenuta poche pagine prima.
La tesi, anche a prescindere dalla sua intrinseca incoerenza con il
precedente assunto difensivo, mostra tutta la sua fragilità sol che si
consideri che così opinando verrebbe con un sol colpo annullato lo stesso
vincolo paesaggistico, contemplante per sua natura la valutazione
dell'impatto sul contesto ambientale circostante dell'opera realizzanda,
rimettendo allo stesso interessato la possibilità, con una condotta,
necessariamente arbitraria proprio in quanto non preventivamente
autorizzata, mediante la preventiva modifica dello stato dei luoghi, di
aggirare il vincolo stesso: conseguenza questa all'evidenza paradossale,
tenuto conto che nello specifico l'imputato non aveva mai chiesto, neppure
in relazione al disboscamento, che entrambi i giudici di merito ritengono
logicamente preordinato alla successiva edificazione, alcuna autorizzazione
sul piano paesaggistico essendosi munito soltanto del parere favorevole ai
fini del diverso vincolo idrogeologico, che attesta in via ineludibile la
preesistente sussistenza di un'area boschiva, così come la consapevolezza in
capo al medesimo di operare in area vincolata.
E poiché il vincolo paesaggistico sussiste per il solo fatto della presenza
di un bosco, inteso secondo il previgente art. 2 d.lgs. 227/2001, come un "terreno
coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella
arbustiva, di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di
sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri,
larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale
maggiore del 20 per cento", definizione questa non modificata dalla
vigente normativa, costituita dal T.U. in materia forestale del 03.04.2018
n. 34 null'altro evincendosi dall'art. 142 d.lgs. 42/2004 che rimanda alla
nozione recepita dal legislatore nazionale in materia forestale, ne consegue
che nessuna rilevanza possa attribuirsi alle determinazioni assunte dal
Comune al riguardo.
Va infatti considerato che sono solo le Regioni che possono nell'ambito
della potestà legislativa concorrente in subiecta materia a poter
integrare, per addizione o sottrazione, la definizione di area boschiva
assunta dalla legge nazionale, aggiungendo o escludendo da essa determinate
aree, e che in ogni caso la nozione di bosco assunta dalla legge regionale
toscana n. 1/2005, all'epoca vigente, non si discosta da quella nazionale
testé riportata: conseguentemente una volta accertata la natura boschiva di
un'area, il vincolo paesaggistico derivante ex lege dall'art. 142
d.lgs. 42/2004 produce effetti indipendentemente da eventuali diverse
definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali.
Deve perciò ritenersi priva di rilievo l'affermazione resa dal Comune di
Trequanda, in risposta ai rilievi della Provincia di Siena, secondo cui
l'area in esame non era qualificabile come boscata, sussistendo
l'imprescindibile obbligo in capo all'imputato di rappresentare
all'amministrazione competente la sussistenza dello specifico vincolo
paesaggistico dovuto alla presenza del bosco.
D'altra parte è stata proprio la mancanza dell'autorizzazione paesaggistica,
configurante presupposto di efficacia del permesso di costruire, ad aver
determinato la contestazione di illegittimità del titolo urbanistico in
quanto mancante dell'atto presupposto ex lege e comunque in
violazione delle norme previste per il suo rilascio, ancorché il relativo
reato sia stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione sin dalla
sentenza di primo grado: epilogo questo sufficiente ad escludere la
rilevanza delle disquisizioni difensive volte a contrastare il potere di
disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo da parte del giudice
penale, trattandosi di questioni estranee al delitto paesaggistico,
consumatosi per l'omesso conseguimento della relativa autorizzazione, ma
semmai attinenti al permesso di costruire, non più oggetto di disamina da
parte dei giudici del gravame (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.03.2020 n. 9402). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 04.01.2020, "Piano
regionale delle attività di previsione, prevenzione e lotta
attiva contro gli incendi boschivi per il triennio 2020-2022
(legge n. 353/2000)" (deliberazione
G.R. 23.12.2019 n. 2725). |
anno 2019 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
BOSCHI E MACCHIA MEDITERRANEA – Qualificazione giuridica di
bosco – Nozione di bosco ai fini penali – AGRICOLTURA –
Lavori di bonifica agraria in area boschiva – BENI CULTURALI
ED AMBIENTALI – Trasformazione bosco a prato – Assenza della
autorizzazione paesaggistica – Rimessione in pristino dello
stato dei luoghi – D.lgs. n. 227/2001 – Art. 181 d.lgs. n.
42/2004.
Dopo l’entrata in vigore del d.lgs.
18.05.2001, n. 227, deve qualificarsi come bosco –meritevole
di protezione ai sensi dell’art. 181 del d.lgs. 22.01.2004,
n. 42– ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea
associata o meno a quella arbustiva, da castagneti,
sughereti o da macchia mediterranea, purché aventi
un’estensione non inferiore a mq. duemila, con larghezza
media non inferiore a metri venti e copertura non inferiore
al 20 per cento (Sez.
3, n. 32807 del 23/04/2013, Timori; Sez. 3, n. 1874 del
16/11/2006, dep. 2007, Monni).
Le leggi regionali possono dettare una
diversa disciplina ai fini dell’individuazione delle zone
assoggettate a vincolo paesaggistico e classificate “bosco”
e, ai fini penali, tale nozione deve intendersi in senso
normativo e non naturalistico, in quanto finalizzata ad
evitare deturpamenti “a macchia” di aree boschive.
La disposizione normativa prende in considerazione le
caratteristiche di tutte le aree omogenee limitrofe a quelle
interessate dalla opere, e non solo queste ultime, giacché
in tal caso si potrebbero realizzare senza autorizzazione
interventi di modifica di territori aventi estensione
inferiore ai 2000 metri quadrati, ancorché limitrofi a più
ampie aree omogenee ed aventi copertura boschiva, ciò che la
normativa citata ha appunto voluto vietare
(Cass. Sez. 3, n. 28135 del 11/01/2012, Galluccio; Sez. 3,
n. 28928 del 18/05/2011, Sardu) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.09.2019 n. 38471 - link a www.ambientediritto.it). |
anno 2017 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 30 del 29.07.2016, "Aggiornamento
albo regionale delle imprese boschive (l.r. 31/2008, art.
57): iscrizione ditta Cagliani Marco" (decreto
D.S. 26.07.2016 n. 7320). |
anno 2016 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Per
tagliare i boschi basta l'autorizzazione forestale.
La preservazione nel tempo dei boschi e foreste nella loro
complessiva integrità costituisce lo scopo sia della
protezione forestale che di quella paesaggistica generale.
In vista di questo obiettivo, la legge statale, sottoponendo
a vincolo, tutti i boschi prevede che il taglio colturale e
le altre operazioni ammesse possono essere compiute con
autorizzazione forestale senza che sia necessaria
l'autorizzazione paesaggistica.
Lo ha precisato l'Ufficio Legislativo del Ministero dei beni
culturali con il
nota 08.09.2016 n. 25553 di prot..
Per lo speciale valore tutelato paesaggisticamente di boschi
e foreste, il legislatore prevede un regime derogatorio
ridotto e rimesso al controllo dell'autorità forestale, ma
solo ove il bosco o foresta sia tutelato come elemento
morfologico del territorio, da salvaguardare nei suoi
elementi identificativi.
Qualora il territorio boschivo sia
tutelato anche con specifico provvedimento che ne riconosca
il notevole interesse pubblico per ragioni di carattere paesaggistico-culturale, gli interventi forestali, già
compatibili con la tutela dei caratteri morfologici tutelati
per legge, richiedono la valutazione della loro
compatibilità con lo specifico valore paesaggistico
espressamente riconosciuto e tutelato nel provvedimento,
mediante ricorso alla previa autorizzazione paesaggistica».
Nel caso specifico, la questione verte sulla necessità di
autorizzare preventivamente, ai sensi dell'art. 146 del
codice del paesaggio, interventi di taglio colturale in un
complesso forestale vincolato non solo ai sensi dell'art.
142, comma 1, lett. g), del medesimo codice.
Nel caso in
questione, in particolare, la Soprintendenza ha adottato
un'ordinanza di sospensione lavori ritenendo invece che gli
interventi di taglio colturale siano sottratti alla previa
autorizzazione paesaggistica, anche nell'ipotesi di bosco
tutelato con specifico provvedimento adottato ai sensi
dell'art. 136 del codice di settore
(articolo ItaliaOggi del 16.09.2016). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: SARDEGNA, bosco del Marganai — Ente Foreste
della Sardegna — autorizzazione ex art. 146 del d.lgs. n. 42
del 2004 per il taglio colturale, la forestazione, la
riforestazione, le opere di bonifica antincendio e di
conservazione da eseguirsi nei boschi sottoposti a tutela,
oltre che ex lege, in forza di specifico
provvedimento (MIBACT, Ufficio Legislativo,
nota 08.09.2016 n. 25553 di prot.).
---------------
Si riscontra la nota prot. n. 4703 del 19.02.2016 con la
quale la Direzione generale Belle arti e paesaggio chiede
conferma del proprio orientamento, espresso in adesione alla
competente Soprintendenza, circa la necessità di autorizzare
preventivamente, ai sensi dell'art. 146 del codice di
settore, interventi di taglio colturale nel complesso
forestale del Marganai, vincolato non solo ai sensi
dell'art. 142, comma 1, lett. g), del medesimo codice, ma
anche con specifico provvedimento adottato in data
13.02.1978, che ne ha riconosciuto il notevole interesse
pubblico, non ritenendo applicabile a tale fattispecie il
regime derogatorio speciale previsto dall'art. 149, comma 1,
lett. c), del codice.
Nel caso in questione, in particolare, la Soprintendenza ha
adottato un'ordinanza di sospensione lavori in data
24.09.2015, contestata dall'Ente Foreste della Sardegna, che
ritiene invece che gli interventi di taglio colturale siano
sottratti alla previa autorizzazione paesaggistica, anche
nell'ipotesi di bosco tutelato con specifico provvedimento
adottato ai sensi dell'art. 136 del codice di settore.
Al riguardo, nel condividere l'orientamento della Direzione,
si precisa quanto segue. (...continua). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Beni
Ambientali. Bosco ed efficacia del vincolo indipendentemente
dalla qualificazione dell'area da parte degli strumenti
urbanistici.
La definizione legislativa di "bosco" si
applica ai fini dell'individuazione dei territori coperti da
boschi di cui all'articolo 142, lett. g), d.lgs. 22.01.2004,
n. 42.
I limiti di applicabilità all'applicazione del vincolo,
previsti in via del tutto eccezionale dall'art. 142, comma
2, d.lgs. 42 del 2004, dimostrano "a contrariis" che, una
volta accertata la natura boschiva di un'area, esso produce
effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni
ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali e comporta
l'ineludibile obbligo di presentare all'amministrazione
competente il progetto degli interventi che si intendano
intraprendere affinché l'area non venga distrutta o vi siano
introdotte modificazioni che possano recar pregiudizio ai
valori paesaggistici oggetto di protezione (art. 146, commi
1 e 2, d.lgs. n. 42 del 2004).
6.9. Limitandoci per ora alle questioni che attengono alla
sussistenza del reato (e dunque alla esistenza del
vincolo violato), è necessario ricordare che la
definizione legislativa di "bosco" «si applica ai fini
dell'individuazione dei territori coperti da boschi di cui
all'articolo 146, comma 1, lettera g), del decreto
legislativo 29.10.1999, n. 490» (oggi art. 142, lett. g,
d.lgs. 22.01.2004, n. 42).
6.10. I limiti di applicabilità all'applicazione del
vincolo, previsti in via del tutto eccezionale dall'art.
142, comma 2, d.lgs. 42 del 2004, dimostrano "a
contrariis" che, una volta accertata la natura boschiva
di un'area, esso produce effetti indipendentemente da
eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti
urbanistici comunali e comporta l'ineludibile obbligo di
presentare all'amministrazione competente il progetto degli
interventi che si intendano intraprendere affinché l'area
non venga distrutta o vi siano introdotte modificazioni che
possano recar pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di
protezione (art. 146, commi 1 e 2, d.lgs. n. 42 del 2004).
6.11. Il fatto che il PRG del Comune di Pelago classificasse
la zona come "area ad attrezzature" ricompresa
all'interno del perimetro del centro abitato non vale ad
escluderne la natura boschiva (e dunque la sussistenza del
vincolo) se, come già detto, sussistevano i requisiti di
fatto per classificarla come tale.
6.12. Né rileva il fatto che l'area fosse compresa
all'interno del perimetro del centro abitato poiché tale
circostanza legittima l'esclusione del vincolo nei soli casi
tassativamente ed eccezionalmente previsti dal già citato
art. 142, comma 2, d.lgs. n. 42 del 2004, nessuno dei quali
ricorre nel caso di specie e comunque mai nemmeno dedotti
nei giudizi di merito.
6.13. Non ha nemmeno importanza stabilire se i lavori
disposti con D.I.A. dovessero essere o meno autorizzati con
permesso di costruire; quel che rileva, perché possa dirsi
insussistente il reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs.
42 del 2004, è che l'intervento, oltre quelli che l'art.
149, stesso d.lgs., già sottrae alla necessità
dell'autorizzazione, sia di tale minima consistenza da non
avere nemmeno in astratto l'attitudine a ledere i valori
paesaggistici protetti
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.05.2015 n. 19533 -
tratto da www.lexambiente.it). |
anno 2014 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
In area sottoposta a
vincolo ambientale ai sensi degli artt. 136 e 142 del d.lgs.
n. 42/2004, si sono effettuati svariati interventi
nell’ambito di un’operazione di riqualificazione del parco,
fra i quali il taglio di alcune specie arboree nel demanio
lacuale, senza aver preventivamente richiesto
l’autorizzazione paesaggistica.
Ebbene, nel caso de quo la sanzione è stata determinata con
riferimento ad una accurata relazione di stima, versata in
atti, redatta secondo il metodo cosiddetto “svizzero”,
condiviso dal perito agronomo di parte ricorrente, mediante,
cioè, un’operazione aritmetica che considera le singole
variabili del prezzo base, dell’indice estetico, dello stato
sanitario, dell’indice di posizione e di dimensione per la
commisurazione del valore ambientale delle piante e tenendo
conto, altresì, di quanto accertato dal Corpo Forestale
dello Stato nonché previa acquisizione dei pareri resi dalla
Sovrintendenza e dalla Commissione per il paesaggio
provinciale.
In concreto, l’unico parametro che poteva essere utilizzato
per la determinazione della sanzione pecuniaria da versare
consisteva nel danno ambientale provocato, non potendosi in
alcun modo determinare il profitto ricevuto dal danneggiante
a causa dell’azione posta in essere in violazione del codice
dei beni culturali e del paesaggio.
La società ricorrente, proprietaria di un
immobile sito in Mandello del Lario in area sottoposta a
vincolo ambientale ai sensi degli artt. 136 e 142 del d.lgs.
n. 42/2004, effettuava svariati interventi nell’ambito di
un’operazione di riqualificazione del parco, fra i quali il
taglio di alcune specie arboree nel demanio lacuale, senza
aver preventivamente richiesto l’autorizzazione
paesaggistica.
Con il presente ricorso l’istante ha impugnato il
provvedimento indicato in epigrafe, con il quale il
Dirigente del settore territorio, patrimonio e demanio della
Provincia di Lecco, in seguito alla presentazione di
apposita domanda finalizzata all’accertamento della
compatibilità paesaggistica degli interventi ai sensi
dell’art. 181 del d.lgs. n. 42/2004, ha irrogato alla stessa
una sanzione pecuniaria di euro 9.578,02 per danno
ambientale, ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004,
per aver tagliato alcune specie arboree anche di pregio nel
demanio lacuale, senza aver preventivamente richiesto
l’autorizzazione paesaggistica.
A sostegno del proprio ricorso l’istante ha dedotto
l’eccesso di potere per carenza di motivazione e la
violazione dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 con
riferimento all’assunta errata determinazione della sanzione
pecuniaria irrogata.
...
Il ricorso è infondato.
Le censure della società istante si incentrano
esclusivamente sul quantum della sanzione, presupponendo,
dunque, la piena legittimità dell’an dell’irrogazione della
sanzione medesima, atteso che il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria richiesto
dalla società ricorrente è subordinato al pagamento della
sanzione pecuniaria irrogata.
Ai sensi dell’art. 167, commi 1, 4 e 5, del d.lgs. n.
42/2004, infatti:
“1. In caso di violazione degli obblighi e degli ordini
previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è
sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese,
fatto salvo quanto previsto al comma 4.
4. L'autorità amministrativa competente accerta la
compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al
comma 5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero
aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità
dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi
dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380.
5. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi
titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli
interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda
all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini
dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli
interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia
sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta
giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da
rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.
Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il
trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente
al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto
conseguito mediante la trasgressione. L'importo della
sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima.
In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione
demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento
della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi
dell'articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata
anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma”.
Nella fattispecie all’esame del collegio, la sanzione è
stata determinata con riferimento ad una accurata relazione
di stima, versata in atti, redatta secondo il metodo
cosiddetto “svizzero”, condiviso dal perito agronomo di
parte ricorrente, mediante, cioè, un’operazione aritmetica
che considera le singole variabili del prezzo base,
dell’indice estetico, dello stato sanitario, dell’indice di
posizione e di dimensione per la commisurazione del valore
ambientale delle piante e tenendo conto, altresì, di quanto
accertato dal Corpo Forestale dello Stato, come risulta dal
rapporto del 24.02.2010, nonché previa acquisizione
dei pareri resi dalla Sovrintendenza e dalla Commissione per
il paesaggio provinciale, tutti allegati al provvedimento
impugnato.
In concreto, l’unico parametro che poteva essere utilizzato
per la determinazione della sanzione pecuniaria da versare
consisteva nel danno ambientale provocato, non potendosi in
alcun modo determinare il profitto ricevuto dal danneggiante
a causa dell’azione posta in essere in violazione del codice
dei beni culturali e del paesaggio.
Risultano, dunque, infondate le censure dedotte
dall’istante, in considerazione della piena legittimità del
provvedimento impugnato, che risulta idoneamente e
congruamente motivato soprattutto per relationem, con
riferimento alla relazione di stima al medesimo allegata,
che ne costituisce il fondamento.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va
respinto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 29.07.2014 n. 2138 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BOSCO - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Attività di
rimboschimento - Terreni boschivi vincolati - Bosco
artificiale e bosco naturale - Individuazione e nozione -
Artt. 142, lett. g), 146, 147, 149, 159 e 181 del D.Lgs.
42/2004 – Art. 2 D.Lgs. n. 227/2001.
La nozione di bosco comprende, in coerenza con l'art. 2 del
D.Lgs. 227/2001 tanto il bosco latu senso inteso, sia
di origine naturale che artificiale, e che, laddove il
terreno su cui quel bosco sorge non sia destinato in via
esclusiva alla produzione del legno, esso è assoggettato
alla disciplina penalistica prevista dall'art. 181 del D.
L.vo 42/2004.
Va, ancora, sottolineato che l'attività di rimboschimento
costituisce indice inequivocabile della non esclusività
della destinazione a produzione del legno per la particolare
ampiezza dell'intervento, di guisa che un intervento di
taglio indiscriminato degli alberi seguito dal dissodamento
del terreno laddove non specificamente autorizzato, incide
sull'assetto territoriale e paesaggistico integrando la
fattispecie tipica dell'art. 181 D.Lgs. 42/04 come
richiamata dagli artt. 142, lett. g), del medesimo D.Lgs. e
2, commi 5° e 6° del D.Lgs. 227/2001.
BOSCO - BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Terreni boschivi protetti da vincolo - Individuazione -
Tutela del paesaggio e nozione di bosco in senso normativo e
non naturalistico.
In tema di tutela del paesaggio ed al fine di individuare i
terreni boschivi protetti da vincolo va qualificato come
bosco, alla luce della speciale normativa di settore (art. 2
del richiamato D.Lgs. 227/2001) qualsiasi terreno coperto da
vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella
arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia
mediterranea, con il limite spaziale di una estensione non
inferiore a 2000 mq., con larghezza media non inferiore a mt.
20 e con copertura per l'intera superficie non inferiore al
20% (Cass., Sez. 3^ 16.11.2006 n. 1874, Monni, Rv. 235869;
Cass. Sez. 3^ 18.05.2011 n. 28928, Sardu, Rv. 250968 in cui
si specifica che la nozione di bosco va intesa in senso
normativo e non naturalistico; Sez. 3^ 20.06.2007 n. 24258;
Sez. 3^ 10.03.2011 n. 9690).
BOSCO - BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Nozione di "territorio coperto da bosco” ai fini del vincolo
paesaggistico - Bosco naturale e artificiale -
Giurisprudenza.
La nozione di "territorio coperto da bosco ai fini della
sottoposizione a vincolo paesaggistico ai sensi dell'art.
146, comma 1, lett g), del D.Lgs. 29.10.1999 n. 490, [come
successivamente sostituito dall'art. 142, lett. G), del
D.Lgs. 42/2004] include tanto il bosco di origine naturale
quanto quello di natura artificiale" (Cass. Sez. 3^
17.05.2002 n. 26601, P.G. in proc. Varvara V.; Cass. Sez. 1^
01.10.1987 n. 742, Carta).
E per una definizione "allargata" di bosco va
menzionata la recente decisione di questa Sezione n. 32807
del 23.04.2013, P.M. in proc. Timori, Rv. 255904, secondo la
quale in piena sintonia con il detto normativo rientra nel
concetto di bosco "ogni terreno coperto da vegetazione
forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, da
castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché
aventi un'estensione non inferiore a mq. duemila, con
larghezza media non inferiore a metri venti e copertura non
inferiore al 20 per cento".
BOSCO - BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Tutela del paesaggio e vincolo di rimboschimento –
Disciplina applicabile - Art. 2, 6° c., D.Lgs. 18/05/2001 n.
227.
In tema di tutela del paesaggio, i requisiti fissati
dall'art. 2, comma sesto, del D.Lgs. 18.05.2001 n. 227, per
qualificare una formazione vegetale quale bosco non sono
richiesti per i fondi gravati dall'obbligo di
rimboschimento, per la cui assimilazione ai boschi è
sufficiente la presenza del provvedimento amministrativo o
della disposizione normativa che abbia imposto il vincolo di
rimboschimento (Sez. 3^ 07.06.2006 n. 32542, De Nardis, Rv.
234941) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.07.2014 n. 30303 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Individuazione terreni boschivi vincolati.
In tema di tutela del paesaggio ed al
fine di individuare i terreni boschivi protetti da vincolo
va qualificato come bosco, alla luce della speciale
normativa di settore (art. 2 del D.Lgs. 227/2001) qualsiasi
terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata
o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da
macchia mediterranea, con il limite spaziale di una
estensione non inferiore a 2000 mq., con larghezza media non
inferiore a mt. 20 e con copertura per l’intera superficie
non inferiore al 20% (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.07.2014 n. 30303
- tratto da
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AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA
PRIVATA:
Concetto di bosco.
Domanda
Nei terreni boschivi soggetti a incendio è possibile
l'attività edificatoria?
Risposta
La Corte di cassazione, sezione terza penale, con la
sentenza del 29.07.2013, numero 32807, ha affermato che
in tema di tutela del paesaggio, dopo l'entrata in vigore
del decreto legislativo numero 227, del 2001, deve
qualificarsi come bosco ogni terreno coperto da vegetazione
forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, da
castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché
aventi un'estensione non inferiore a 2 mila metri quadrati,
con larghezza media non inferiore a metri 20 e copertura non
inferiore al 20%. Un tale territorio, pertanto, per i
giudici è meritevole di protezione ai sensi della
disposizione portata dall'articolo 181 del decreto
legislativo 22.01.2004, numero 42.
Per quanto riguarda l'interpretazione del nuovo articolo 10
della legge quadro sugli incendi boschivi, numero 353, del
21.11.2000, così come modificato dalla legge 24.12.2003, numero 350, la giurisprudenza (Tribunale del
riesame di Savona) aveva sottolineato che, mentre la
normativa antecedente alla succitata legge prevedeva, in
modo esplicito, che fosse vietata ogni edificazione su
un'area percorsa dal fuoco, con l'eccezione dei casi in cui
per detta realizzazione fosse già stata rilasciata, in data
precedente l'incendio, la relativa autorizzazione o
concessione, la nuova normativa ha escluso il riferimento
espresso all'autorizzazione o concessione e si riferisce
esclusivamente alla circostanza che la realizzazione
dell'opera sia sta prevista prima dell'incendio dagli
strumenti urbanistici vigenti a tale data.
La Corte di cassazione con la succitata sentenza ha
affermato che l'aggettivo «prevista», richiamato
dall'articolo 10 della legge numero 353, del 2000, citata,
così come modificato dalla successiva legge numero 350, del
2003, pure su citata, e «prevedibili» non sono affatto
sinonimi, atteso che, per ottenere quanto ritenuto dai
Giudici del riesame, il legislatore avrebbe dovuto
intervenire non tanto sul nomen degli strumenti
abilitativi, quanto sul contenuto dell'eccezione,
sostituendo all'aggettivo prevista l'aggettivo prevedibile (articolo ItaliaOggi Sette
del 16.06.2014). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 02.01.2014, "Approvazione
del documento “Indicazioni per gli operatori forestali in
applicazione del regolamento (UE) n. 995/2010”"
(decreto
D.S. 23.12.2013 n. 12634). |
anno 2013 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 02.12.2013, "Adeguamento
delle sanzioni amministrative pecuniarie in materia di danni
alle superfici boschive e ai terreni soggetti a vincolo
idrogeologico (art. 61, comma 14, l.r. n. 31/2008)"
(decreto
D.S. 26.11.2013 n. 10974). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
T. Millefiori,
Sulla definizione normativa di bosco (28.11.2013
- link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, supplemento n. 47 del 19.11.2013,
"Approvazione di criteri per la redazione dei piani di
assestamento forestale (PAF)" (deliberazione
G.R. 08.11.2013 n. 901). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 43 del 21.10.2013, "Individuazione
degli interventi di irrilevante impatto sulla stabilità
idrogeologica dei suoli, ai sensi dell’articolo 44, comma 6,
lettera b), della l.r. 31/2008 e delle relative procedure.
Contestuali precisazioni sulla definizione di
“Trasformazione del Bosco” (art. 43 l.r. 31/2008) e sulla
definizione di “Mutamento di destinazione d’uso del suolo”
ai sensi dell’art. 4-quater, comma 5-bis della l.r. 31/2008"
(deliberazione
G.R. 11.10.2013 n. 773). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Nozione onnicomprensiva di area boscata.
L'impostazione “onnicomprensiva” della nozione di bosco è
condivisibile poiché quel che rileva, in ultima analisi, è
l'identità di ratio che accomuna-la tutela dei terreni
coperti da foreste di alto fusto a quella delle aree
inserite in un contesto di vegetazione anche di tipo
arbustivo (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.07.2013 n. 32807 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BOSCHI E MACCHIA MEDITERRANEA - Nozione
onnicomprensiva di area boscata - Legge n. 353/2000 - Art.
181, c. 1, d.lgs. n. 42/2004.
Nell’impostazione "omnicomprensiva" della nozione di
bosco quel che rileva, in ultima analisi, è l'identità di
ratio che accomuna la tutela dei terreni coperti da
foreste di alto fusto a quella delle aree inserite in un
contesto di vegetazione anche di tipo arbustivo ( Cons.
Stato, sez. IV, 12/03/2013 n. 1481).
BOSCHI E MACCHIA MEDITERRANEA - Nozione
di bosco o territorio boschivo - Giurisprudenza - L. n.
353/2000 - Art. 181, c.1, d.lgs. n. 42/2004.
La nozione di bosco o territorio boschivo (di cui al d.lgs.
18.05.2001 n. 227, penalmente tutelato dall'articolo 181
d.lgs. 22.01.2004 n. 42, norma annoverata tra quelle dei
capi d'imputazione) deve intendersi in senso normativo e non
naturalistico, essendo il senso normativo un concetto
estensivo che include anche la macchia mediterranea, qualora
(Cass. sez. III, 15/12/2004 n. 48118), comprenda alberi di
medio fusto o essenze arbustive ad elevato sviluppo (macchia
alta) o in un'accezione ancora più estensiva (Cass. sez. III,
16/11/2006 – 23/01/2007 n. 1874, per cui "deve
qualificarsi come bosco, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs.
18.05.2001 n. 227, ogni terreno coperto da vegetazione
forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da
castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché
aventi un'estensione non inferiore a mq. duemila, con
larghezza media non inferiore a metri venti e copertura non
inferiore al 20 per cento") di recente pervenuta anche a
ritenere tutelata quale area boschiva pure la macchia
mediterranea caratterizzata dall'assenza di alberi d'alto
fusto (Cass. sez. III, 20/07/2011 n. 28928).
INCENDI BOSCHIVI – Strumenti urbanistici
vigenti prima dell'incendio - Concetto di prevedibilità Art.
4, c. 173, L. n. 350/2003 – L. n. 353/2000 Legge quadro in
materia di incendi boschivi - Art. 44, c. 1, lett. c),
d.p.r. n. 380/2001.
L’articolo 4,
comma 173, L. n. 350/2003, (che modifica la L. n. 353/2000 -
Legge quadro in materia di incendi boschivi) ha escluso che
sia sufficiente la compatibilità delle opere (che, seppur
con una intensità semantica minore, può assimilarsi al
concetto di prevedibilità) con gli strumenti urbanistici
vigenti prima dell'incendio per integrare l'eccezione all'inedificabilità
dettata dall'articolo 10, occorrendo che l'area sia già
stata riservata dallo strumento urbanistico alla
realizzazione delle opere stesse (Cass. sez. III, 28.03.2011
n. 16592) (Corte
di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.07.2013 n. 32807 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Parcheggio adiacente all’attività alberghiera,
inapplicabilità legge n. 122/1989.
Al parcheggio realizzato al piano terra di un edificio
diverso, sebbene adiacente, da quello oggetto dell’attività
alberghiera, non può applicarsi la norma contenuta nell’art.
9 della legge n. 122/1989, che prevede, per la realizzazione
di parcheggi, il loro assoggettamento ad autorizzazione
gratuita e non a concessione.
Infatti, la norma trova applicazione solo nei casi
espressamente e tassativamente considerati, trattandosi di
norma eccezionale che deroga agli strumenti urbanistici e ai
regolamenti edilizi vigenti.
In particolare essa presuppone che il parcheggio venga
realizzato nello stesso fabbricato ove sono situate le unità
immobiliari di cui il parcheggio costituisce pertinenza,
mentre nella fattispecie è stato realizzato nel quadro di un
intervento ristrutturativo di altro edificio seppur
adiacente (massima
tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.07.2013 n. 3672 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 21 del 20.05.2013, "Aggiornamento
Albo regionale delle imprese boschive (l.r. 31/2008, art.
57)" (decreto
D.S. 13.05.2013 n. 3951). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli alberi? Si può anche abbatterli.
Cds sulla tutela piante in aree industriali.
La legge posta a tutela del paesaggio non vieta
l'abbattimento di un centinaio di pini posti trent'anni fa a
dimora per mimetizzare uno stabilimento siderurgico. Ciò in
quanto il Codice dei beni culturali e del paesaggio non
tutela, in generale, la cosa in quanto tale, ma il valore
paesaggistico del quale essa è portatrice. In sostanza, non
sempre un insieme di alberi costituisce un bosco.
È quanto
ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 29.03.2013 n. 1851.
Via libera,
quindi, e senza ulteriori intoppi alla riconversione
dell'intera area di Bagnoli voluta da Comune, Provincia e
Regione, ma stoppata dalla Soprintendenza regionale e dal
Corpo forestale. La prima, esprimendo parere contrario al
rilascio della autorizzazione paesaggistica necessaria a
sanare le violazioni commesse a seguito del taglio dei pini,
il secondo, ponendo sotto sequestro l'intera area sul
presupposto che, trattandosi di un «bosco» era necessaria
anche una specifica autorizzazione regionale.
La nozione di
«bosco» richiamata dall'art. 142 del cosiddetto Codice
Urbani (dlgs 42/2004) è in principio normativa, ha chiarito
il Collegio, perché fa espresso rinvio alla definizione di
bosco stabilita dall'art. 2 dlgs 227/2001 che, peraltro,
demanda alle regioni di stabilirne eventualmente una
diversa. Ed è dalla corretta interpretazione di tali
disposizioni che, a giudizio del Collegio, il quale ha
capovolto la decisione del Giudice di primo grado, un
insieme di 268 piante, prevalentemente di pino domestico e
messe a dimora a filari paralleli, non corrisponde alla
nozione di «bosco»: né alla luce della legge regionale, né
alla luce della nozione generale stabilita dall'art. 2,
comma 6, del dlgs n. 227 del 2001, né alla luce, comunque,
del comune significato proprio della parola.
La decisione
della VI Sezione, in sostanza, è stata motivata dal fatto
che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e,
quindi, meritevoli di salvaguardia quando sono elementi
originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del
territorio espressivo di identità. E per questa ragione ne
sono esclusi gli insiemi arborati, come nel caso in
questione, che non costituiscono elementi propri e
tendenzialmente stabili della forma del territori
(articolo ItaliaOggi del 04.04.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per riconoscere ai fini
dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio
la presenza di un bosco occorre un terreno di una certa
estensione, coperto con una certa densità da “vegetazione
forestale arborea” e -tendenzialmente almeno- da arbusti,
sottobosco ed erbe. Questa copertura, per rispondere ai
detti caratteri, deve costituire un sistema vivente
complesso (non perciò caratterizzato da una monocoltura
artificiale), di apparenza non artefatta (come ad es. se a
filari).
Deve inoltre essere tendenzialmente permanente: perciò non
solo non destinato all’espianto o alla produzione agricola,
ma anche, in virtù del dato naturale, mediamente presumibile
come capace di autorigenerarsi perché dotato di risorse tali
da consentirne il rinnovamento spontaneo, caratteristica che
la norma regionale richiamata contiene nell’ampio concetto
di “densità piena”, dove la “pienezza” della massa boschiva
sta non solo a significare il livello di copertura del
suolo, ma anche ad evocare la naturale capacità di
rigenerazione o rinnovazione.
Il bosco è un complesso organismo vivente, nel quale le
nuove risorse sono in grado di sostituire spontaneamente
quelle in via di esaurimento. Non è quindi sufficiente la
presenza di piante, quand’anche numerose, ma non strutturate
fino a sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi.
---------------
Nel caso in esame, si è in presenza di una copertura arborea
artificiale con carattere quasi integrale di monocultura
(pino domestico), disposta per filari paralleli (cioè in
modo innaturale), priva di strato arbustivo ed erbaceo; e
nella quale lo stato fitosanitario degli elementi arborei è
del tutto scadente, con chioma rarefatta, con visibile
presenza di miceli di parassiti fungini.
Pertanto, deve escludersi che all’insediamento in questione
possa attagliarsi, ai fini paesaggistici che qui
interessano, la definizione di bosco, difettandone la
morfologia, la complessità e la vitalità endogena e
compiuta.
La mancanza del valore paesaggistico presunto dall’art. 142,
comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004 esclude quindi che
il terreno in questione -per di più ricadente in zona
definita nella strumentazione urbanistica comunale dapprima
come industriale e, successivamente, di riqualificazione
urbanistica compresa nella superficie fondiaria edificabile-
possa essere considerato tra quelli sottoposti a tutela
paesaggistica ex lege ai sensi dello stesso art. 142, e per
le cui trasformazioni il successivo art. 146 e l’art. 17
della detta legge regionale campana n. 11 del 1996 rendono
necessarie, rispettivamente, l’autorizzazione paesistica e
quella forestale.
Questa conclusione è corroborata dalla considerazione che
oggetto della tutela del Codice non è, in generale, la cosa
in quanto tale, ma il valore paesaggistico del quale essa è
portatrice.
Il tema da
decidere si concentra così sulla questione se sussistevano i
presupposti del (violato) obbligo di autorizzazione
paesaggistica: vale a dire se nella specie sussisteva il
vincolo paesaggistico ex lege dell’art. 142, comma 1,
lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004, che riguarda “i
territori coperti da foreste e da boschi […] come definiti
dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo
18.05.2001, n. 227”.
Si tratta dunque di verificare, alla luce degli espletati
accertamenti in fatto, se qui si era in presenza di un vero
e proprio “bosco”.
Premesso che si tratta di una nozione di ordine sostanziale,
per la cui operatività in concreto non è necessario un
previo atto amministrativo di ricognizione e perimetrazione,
va rilevato che la nozione di “bosco” richiamata ai
fini della tutela paesaggistica dall’art. 142 è in principio
normativa, perché fa espresso rinvio alla “definizione di
bosco” dell’art. 2 d.lgs. 18.05.2001, n. 227
(Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a
norma dell’articolo 7 della legge 05.03.2001, n. 57), che
(comma 2) demanda alle regioni di stabilire la definizione
stessa e che (comma 6) nelle more, “ove non diversamente
già definito dalle regioni stesse”, prevede cosa si
debba considerare per “bosco”.
L’art. 14, comma 1, della ricordata legge regionale campana
n. 11 del 1996, che non appare in contrasto con questa
successiva legge statale e che comunque va, anche per
esigenze di omogeneità nazionale, a questa rapportata,
considera “boschi” “i terreni sui quali esista o
venga comunque a costituirsi, per via naturale o
artificiale, un popolamento di specie legnose forestali
arboree od arbustive a densità piena, a qualsiasi stadio di
sviluppo si trovino, dalle quali si possono trarre, come
principale utilità, prodotti comunemente ritenuti forestali,
anche se non legnosi, nonché benefici di natura ambientale
riferibili particolarmente alla protezione del suolo ed al
miglioramento della qualità della vita e, inoltre, attività
plurime di tipo zootecnico”.
Nella fattispecie in esame il terreno era coperto da un
insieme di 268 piante, prevalentemente di pino domestico,
messe a dimora a filari paralleli negli anni ’80 del secolo
scorso.
A giudizio del Collegio, questo insieme non corrisponde alla
nozione di “bosco”: né alla luce della detta
disposizione regionale, né alla luce della nozione generale
stabilita dall’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 227 del 2001,
né alla luce, comunque, del comune significato proprio della
parola.
Poiché qui si verte di tutela del paesaggio, è essenziale
considerare che il rinvio alla definizione normativa, che è
propria del distinto ordinamento del settore forestale, è
sottoposto all’insuperabile limite di ragionevolezza e di
proporzionalità rispetto alla finalità propria di questa
tutela (diversamente, l’apparato autorizzatorio e
sanzionatorio del paesaggio verrebbe incongruamente traslato
ad apparato autorizzatorio e sanzionatorio dell’interesse
forestale: così in particolare dicasi per gli interventi di
distruzione o di “modificazioni che rechino pregiudizio
ai valori paesaggistici oggetto di protezione” ai sensi
dell’art. 146). Come altri vincoli “morfologici” del
medesimo art. 142 d.lgs. n. 42 del 2004, questo vincolo per
categoria legale muove dalla considerazione che foreste e
boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di
salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici
del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di
identità” (art. 131) (cfr. Cons. Stato, VI, 12.11.1990,
n. 951). Per questa ragione ne sono esclusi gli insiemi
arborati che non costituiscono elementi propri e
tendenzialmente stabili della forma del territorio,
quand’anche di imboschimento artificiale; ma che rispetto ad
essa costituiscono inserti artefatti o naturalmente precari.
Al tempo stesso, va considerato che “foreste e boschi”
sono a questi propositi evidentemente altro da “i
giardini e i parchi […] che si distinguono per la loro non
comune bellezza” e non tutelati come beni culturali
individui, di cui parla il precedente e contestuale art.
136, comma 1, lett. b), a proposito dei beni paesaggistici
che possono essere vincolati in via amministrativa (non vi
sarebbe ragione di un vincolo in via amministrativa se già
vi fosse il vincolo ex lege).
Perciò, in coerenza con queste distinzioni, per riconoscere
ai fini dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio la presenza di un bosco occorre un terreno di una
certa estensione, coperto con una certa densità da “vegetazione
forestale arborea” e -tendenzialmente almeno- da
arbusti, sottobosco ed erbe. Questa copertura, per
rispondere ai detti caratteri, deve costituire un sistema
vivente complesso (non perciò caratterizzato da una
monocoltura artificiale), di apparenza non artefatta (come
ad es. se a filari).
Deve inoltre essere tendenzialmente permanente: perciò non
solo non destinato all’espianto o alla produzione agricola,
ma anche, in virtù del dato naturale, mediamente presumibile
come capace di autorigenerarsi perché dotato di risorse tali
da consentirne il rinnovamento spontaneo, caratteristica che
la norma regionale richiamata contiene nell’ampio concetto
di “densità piena”, dove la “pienezza” della
massa boschiva sta non solo a significare il livello di
copertura del suolo, ma anche ad evocare la naturale
capacità di rigenerazione o rinnovazione. Il bosco è un
complesso organismo vivente, nel quale le nuove risorse sono
in grado di sostituire spontaneamente quelle in via di
esaurimento. Non è quindi sufficiente la presenza di piante,
quand’anche numerose, ma non strutturate fino a sviluppare
un ecosistema in grado di autorigenerarsi.
Nel caso in esame, i risultati della verificazione disposta
dal primo giudice evidenziano la presenza di una copertura
arborea artificiale con carattere quasi integrale di
monocultura (pino domestico), disposta per filari paralleli
(cioè in modo innaturale), priva di strato arbustivo ed
erbaceo; e nella quale lo stato fitosanitario degli elementi
arborei è del tutto scadente, con chioma rarefatta, con
visibile presenza di miceli di parassiti fungini.
In base a tale accertamento, secondo il Collegio deve
escludersi che all’insediamento in questione possa
attagliarsi, ai fini paesaggistici che qui interessano, la
definizione di bosco, difettandone la morfologia, la
complessità e la vitalità endogena e compiuta.
La mancanza del valore paesaggistico presunto dall’art. 142,
comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004 esclude quindi che
il terreno in questione -per di più ricadente in zona
definita nella strumentazione urbanistica comunale dapprima
come industriale e, successivamente, di riqualificazione
urbanistica compresa nella superficie fondiaria edificabile-
possa essere considerato tra quelli sottoposti a tutela
paesaggistica ex lege ai sensi dello stesso art. 142,
e per le cui trasformazioni il successivo art. 146 e l’art.
17 della detta legge regionale campana n. 11 del 1996
rendono necessarie, rispettivamente, l’autorizzazione
paesistica e quella forestale.
Questa conclusione è corroborata dalla considerazione che
oggetto della tutela del Codice non è, in generale, la cosa
in quanto tale, ma il valore paesaggistico del quale essa è
portatrice.
Le considerazioni che precedono, riferite al dato
sostanziale della tutela del paesaggio, consentono di
prescindere dall’indagine sul dato formale forestale, se
cioè questo insieme arboreo vada escluso da quella stretta
nozione di “bosco” in virtù dell’art. 15 (Colture ed
apprezzamenti non considerati boschi), commi 1 e 2, della
stessa l.r. Campania n. 11 del 1996, perché qualificabile
tra le “piantagioni arboree dei giardini e parchi urbani”:
distinzione che comunque riflette, ai fini paesaggistici,
quella esplicitata dal confronto dell’art. 142 comma 1,
lett. g), con il ricordato art. 136, comma 1, lett. b), del
Codice (Consiglio
di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 29.03.2013 n. 1851
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Nozione di bosco e compatibilità paesistica.
La nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai
terreni completamente coperti da boschi o foreste di alto
fusto, ma anche (per identità di ratio) a tutte le aree
parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente
inserite in un contesto con la preponderanza di vegetazione,
anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di alberi di
alto fusto, non vi sono dubbi sulla sussistenza di un
vincolo boschivo anche qualora l'area fosse coperta solo da
vegetazione qualificabile come macchia.
E’ legittimo il provvedimento con il quale, a fronte
dell'esistenza di un vincolo paesaggistico,
l'Amministrazione, valutando la compatibilità dell'altezza
degli edifici come da progetto con le esigenze di tutela del
paesaggio, respinga, con adeguata ed esaustiva motivazione,
i progetti attinenti le costruzioni private che, pur
rientrando formalmente nei limiti previsti dal piano
regolatore relativo alla zona interessata (e quindi
astrattamente legittimi) risultino di notevole incidenza
visiva quanto ad impatto paesistico.
Va anzitutto sgombrato il campo dalla doglianza
contenuta alle pagg. 10-13 del ricorso in appello:la
circostanza che gli atti sottesi ai gravati provvedimenti di
diniego fossero carenti di una documentazione fotografica
relativa al contesto boschivo in cui sorge l’immobile, e la
doviziosa rassegna giurisprudenziale riportata nell’appello
con riferimento al concetto di “bosco”, sono del
tutto inconducenti: ciò in quanto, a tutto concedere, essi
avrebbero potuto spiegare pratico rilievo in favore di parte
appellante laddove fosse stato contestato che l’immobile
sorgesse effettivamente in un bosco.
Ma neppure l’appellante si spinge ad una simile
affermazione, di guisa che non è dato comprendere il motivo
per cui dovesse essere specificata e documentata la “tipologia”
di bosco, tanto più che la legge non distingue, in punto di
sussistenza del vincolo, le caratteristiche “di pregio”
che l’area boschiva dovrebbe possedere.
Ad abundantiam si rileva, comunque, che la censura
appare anche infondata alla stregua della condivisibile
giurisprudenza secondo la quale “la nozione di "bosco"
deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente
coperti da boschi o foreste di alto fusto, ma anche (per
identità di ratio) a tutte le aree parzialmente boscate, a
condizione che siano concretamente inserite in un contesto
con la preponderanza di vegetazione, anche di tipo
arbustivo. Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di
alberi di alto fusto, non vi sono dubbi sulla sussistenza di
un vincolo boschivo anche qualora l'area fosse coperta solo
da vegetazione qualificabile come macchia” (TAR
Lombardia Milano Sez. IV, 11.07.2012, n. 1941) (massima tratta da
www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.03.2013 n. 1481 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
La nozione di territorio coperto da bosco nella
legislazione paesaggistica deve essere ricavata non solo in
senso naturalistico ma anche normativo, riferendosi a
provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, ed ad atti
amministrativi generali o particolari, sicché non è
possibile adottare, alla luce della "ratio" della legge n.
431 del 1985, una concezione quantitativa e restrittiva di
bosco, dovendosi includere anche le aree limitrofe che
servono per la salvaguardia e l'ampliamento, attesa la
significativa differenza tra bosco e territorio coperto da
bosco, che implica un elemento tipizzante quella zona.
Peraltro, l’adozione da parte del legislatore della formula
"territori coperti da foreste e boschi", in luogo di quella
prevista dal d.m. 01.09.1984, che sottoponeva a
generalizzato vincolo paesaggistico "i boschi e le foreste",
implica il riferimento ad una nozione normativa di bosco che
non è circoscritta ai soli terreni boscati, ma ad un
elemento tipizzante il territorio che non può essere
ricoperto da alberi e può servire per salvaguardare il
bosco.
In altri termini, il concetto di bosco è da intendersi a
livello eco-sistemico, non solo quale formazione vegetale ma
quale insieme di elementi biotici, abiotici e paesaggistici
che ne connotano il proprio essere peculiare.
Ne consegue che la presenza di essenze arboree e floreali
formatesi spontaneamente dimostra la naturale vocazione del
terreno a bosco, peraltro normale nei terreni limitrofi ai
boschi, allorché venga dissodato il terreno e tolto il manto
erboso, come è avvenuto nel caso in esame, in cui è stato
effettuato lo scavo propedeutico alla edificazione del
fabbricato rurale.
La nozione di territorio coperto da bosco nella legislazione paesaggistica
ed in particolare nella legge n. 431 del 1985 ora inserita
nel testo del d.lgs. n. 490 del 1999, deve essere ricavata
non solo in senso naturalistico ma anche normativo,
riferendosi a provvedimenti legislativi, nazionali e
regionali, ed ad atti amministrativi generali o particolari,
sicché non è possibile adottare, alla luce della "ratio"
della legge n. 431 del 1985, una concezione quantitativa e
restrittiva di bosco, dovendosi includere anche le aree
limitrofe che servono per la salvaguardia e l'ampliamento,
attesa la significativa differenza tra bosco e territorio
coperto da bosco, che implica un elemento tipizzante quella
zona (Cassazione penale, sez. III, 09.06.1994, n. 7556).
Peraltro, l’adozione da parte del legislatore della formula
"territori coperti da foreste e boschi", in luogo di quella
prevista dal d.m. 01.09.1984, che sottoponeva a
generalizzato vincolo paesaggistico "i boschi e le foreste",
implica il riferimento ad una nozione normativa di bosco che
non è circoscritta ai soli terreni boscati, ma ad un
elemento tipizzante il territorio che non può essere
ricoperto da alberi e può servire per salvaguardare il
bosco.
In altri termini, il concetto di bosco è da intendersi a
livello eco-sistemico, non solo quale formazione vegetale
ma quale insieme di elementi biotici, abiotici e
paesaggistici che ne connotano il proprio essere peculiare.
Ne consegue che la presenza di essenze arboree e floreali
formatesi spontaneamente dimostra la naturale vocazione del
terreno a bosco, peraltro normale nei terreni limitrofi ai
boschi, allorché venga dissodato il terreno e tolto il manto
erboso, come è avvenuto nel caso in esame, in cui è stato
effettuato lo scavo propedeutico alla edificazione del
fabbricato rurale
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.10.2012 n. 5410 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
E’ onere di chi intende edificare in zona
soggetta a vincolo richiedere all’amministrazione preposta
alla tutela del vincolo il parere o nulla osta.
Non può, pertanto, essere imputato al Comune che ha
rilasciato il titolo a costruire la responsabilità per non
aver chiesto il parere o nulla osta dell’autorità preposta
alla tutela del paesaggio.
---------------
La materia della tutela delle zone boscate e dell’ecosistema
forestale è disciplinato a livello statale dal RD n. 3267
del 1923 e dal d.lgs. n. 227 del 2001 ed a livello regionale
dalla l.regionale n. 27 del 2004.
Le citate disposizioni normative sono preposte alla cura di
un interesse pubblico del tutto differente e distinto dalla
tutela e valorizzazione del paesaggio e dell’ambiente
tutelato da un altro corpo normativo: art. 734 c.p.; d.lgs.
n. 42 del 2004; d.lgs. n. 152 del 2006; art. 80 e segg.
della l.reg. Lombardia n. 13 del 2005.
In caso di costruzione in zona sottoposta a vincolo
paesistico e a vincolo forestale occorrono l’autorizzazione
forestale al mutamento di destinazione d’uso da foresta a
zona antropizzata da parte dell’ente preposta alla tutela
boschiva e l’autorizzazione paesaggistica da parte dell’ente
preposto alla tutela paesaggistica oltre naturalmente al
permesso di costruire di competenza del Comune.
---------------
La realizzazione di qualunque opera in assenza della
prescritta autorizzazione forestale costituisce un illecito
amministrativo sanzionato dagli artt. 4 e 23 della l.reg. n.
27 del 2004.
In particolare, l’art. 23 della l.reg. citata stabilisce che
la sanzione pecuniaria sia sempre dovuta per il fatto di
aver eseguito opere in assenza di autorizzazione (illecito
formale) ed in caso di mancato ottenimento o mancata
richiesta di autorizzazione in sanatoria, il ripristino
dello stato dei luoghi.
---------------
La sanzione ripristinatoria nella materia della tutela del
bosco prescinde dal danno ambientale ed è dovuta per il solo
fatto dell’eliminazione di una parte di bosco.
Essa è prevista dalla legge, oltre ed a prescindere da
quella pecuniaria, sempre e comunque dovuta.
E’, infatti, onere di chi
intende edificare in zona soggetta a vincolo richiedere
all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo il
parere o nulla osta.
Non può, pertanto, essere imputato al Comune che ha
rilasciato il titolo a costruire la responsabilità per non
aver chiesto il parere o nulla osta dell’autorità preposta
alla tutela del paesaggio.
Quanto al potere di verifica della compatibilità
paesaggistica delle opere esso è autonomo rispetto a quello
riguardante il controllo edilizio–urbanistico.
Nella Regione Lombardia, peraltro, le distinte funzioni sono
attribuite ad amministrazioni diverse, precisamente la
tutela paesaggistica è affidata alla Provincia, mentre
quella urbanistica ed edilizia spetta al Comune, sicché la
verifica della compatibilità paesaggistica non poteva essere
richiesta al Comune.
In conclusione, la circostanza che i ricorrenti disponessero
di permesso di costruire e che in forza di tale titolo
abbiano effettuato le operazioni di taglio di arbusti, non
esclude la configurabilità della violazione in materia
paesaggistica.
In ordine all’asserita duplicazione delle ordinanze
ingiunzioni, in quanto si fondano sulla stessa violazione
accertata dal Corpo Forestale dello Stato, come rilevato dal
giudice di primo grado, la duplicazione non sussiste poiché
le norme violate sono tra loro in rapporto di specialità con
conseguente concorso apparente di norme, poiché tutelano
distinti beni giuridici non sovrapponibili tra loro.
La materia della tutela delle zone boscate e dell’ecosistema
forestale è disciplinato a livello statale dal RD n. 3267
del 1923 e dal d.lgs. n. 227 del 2001 ed a livello
regionale dalla l.regionale n. 27 del 2004.
Le citate disposizioni normative sono preposte alla cura di
un interesse pubblico del tutto differente e distinto dalla
tutela e valorizzazione del paesaggio e dell’ambiente
tutelato da un altro corpo normativo: art. 734 c.p.; d.lgs.
n. 42 del 2004; d.lgs. n. 152 del 2006; art. 80 e segg.
della l.reg. Lombardia n. 13 del 2005.
In caso di costruzione in zona sottoposta a vincolo
paesistico e a vincolo forestale occorrono l’autorizzazione
forestale al mutamento di destinazione d’uso da foresta a
zona antropizzata da parte dell’ente preposta alla tutela
boschiva, nel caso la Provincia di Como e l’autorizzazione
paesaggistica da parte dell’ente preposto alla tutela
paesaggistica, nel caso ugualmente la Provincia di Como,
oltre naturalmente al permesso di costruire di competenza
del Comune.
Né può trarre in inganno il fatto che l’autorizzazione
paesaggistica e quella forestale siano di competenza dello
stesso ente, atteso che vengono rilasciate a seguito di due
diversi procedimenti, essendo diverse le finalità della
tutela.
La realizzazione di qualunque opera in assenza della
prescritta autorizzazione forestale costituisce un illecito
amministrativo sanzionato dagli artt. 4 e 23 della l.reg.
n. 27 del 2004.
In particolare, l’art. 23 della l.reg. citata stabilisce
che la sanzione pecuniaria sia sempre dovuta per il fatto di
aver eseguito opere in assenza di autorizzazione (illecito
formale) ed in caso di mancato ottenimento o mancata
richiesta di autorizzazione in sanatoria, il ripristino
dello stato dei luoghi.
Appare evidente a tal punto l’equivoco in cui sono incorsi
gli appellanti che hanno ritenuto che l’amministrazione
provinciale abbia proceduto ad emanare due sanzioni per uno
stesso fatto, senza considerare che con lo stesso fatto
erano stati commessi due distinti illeciti amministrativi.
---------------
La sanzione ripristinatoria nella materia della tutela del bosco
prescinde dal danno ambientale ed è dovuta per il solo fatto
dell’eliminazione di una parte di bosco (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 02.06.2000, n. 3184).
Essa è prevista dalla legge, oltre ed a prescindere da
quella pecuniaria, sempre e comunque dovuta.
Né vi è, quindi, alcuna contraddizione tra quanto valutato
dal settore ambiente in ordine alla opportunità del
ripristino dello stato dei luoghi e l’obbligo di ripristino
dei luoghi in mancanza di sanatoria nella fattispecie di
danno ambientale per eliminazione di essenze arboree.
---------------
L’art. 8, comma 1, della
l. n. 689 del 1981 stabilisce che “Salvo che sia
diversamente stabilito dalla legge, chi con una azione od
omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni
amministrative e commette più violazioni della stessa
disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la
violazione più grave, aumentata sino al triplo”.
La norma di portata generale non consente alcun distinguo
tra illeciti formali o sostanziali.
Il divieto di cumulo di sanzioni per il caso di più illeciti
commessi con un’unica azione o un unico disegno criminoso
prescinde dalla valutazione del tipo di reato e delle
diverse autorità cui spetta il potere sanzionatorio, essendo
una disposizione a favore del reo, onde mitigare l’effetto
sanzionatorio dell’azione delittuosa che contestualmente
abbia causato più violazioni distintamente tutelate.
La regola dettata dall’art. 8 della l. n. 689 del 1981 è
conforme a principi di civiltà giuridica, sicché la sua
applicazione non può essere esclusa da difficoltà pratiche,
quali la mancanza di criteri normativi per la determinazione
delle sanzioni.
Ben può valutarsi in concreto quale sia la sanzione più
grave applicata dall’amministrazione ed applicare
successivamente il correttivo dell’aumento del triplo.
Nel caso, come correttamente rilevato dal TAR, essendo stata
parametrata la sanzione in materia paesaggistica ai criteri
fissati dall’art. 23 della l.reg. n. 27 del 2004 che
sanzionano gli illeciti forestali, applicati anche dal
Dirigente di Polizia locale, v’era equivalenza delle
sanzioni e, quindi era di semplice applicazione il criterio
indicato dall’art. 8, comma 1, della l. n. 689 del 1981 (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.10.2012 n. 5410 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 22.08.2012, "Approvazione
di modifiche ed integrazioni al d.d.u.o. n. 1556 del
21.02.2011 e s.m.i. sulle modalità di accesso e di
funzionamento della procedura informatizzata per il taglio
di boschi, in attuazione dell’art. 11, comma 2, del r.r.
5/2007 (Norme forestali regionali)" (decreto
D.U.O. 10.08.2012 n. 7301). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA
PRIVATA: Beni Ambientali. Individuazione vincolo area boscata.
Il concetto di bosco dato dall’art. 6 del decreto
legislativo n. 227 del 2001 è, per espresso disposto di
legge, cedevole rispetto alle eventuali diverse definizioni
stabilite dalle regioni con norme già adottate o da
adottarsi nei dodici mesi successivi. Per determinare se un
appezzamento di terreno è ricompreso all’interno di una
superficie con vincolo boschivo, l’accertamento dell’ente
competente deve riguardare non la sola area oggetto di
indagine, ma l’area considerata nel suo complesso.
D’altronde, se così non fosse, basterebbe ritagliarsi,
all’interno di un’area boscata, una porzione di terreno con
dimensioni inferiori ai parametri previsti dalle norme per
negare a questa la natura di area boscata e pretendere
allora il rilascio di un titolo edificatorio, il che sarebbe
evidentemente inammissibile.
Il concetto di “bosco”
data dall’art. 6 del citato decreto legislativo n. 227 del
2001 è, per espresso disposto di legge, cedevole rispetto
alle eventuali diverse definizioni stabilite dalle regioni
con norme già adottate o da adottarsi nei dodici mesi
successivi.
La disposizione legislativa richiamata fa rinvio alle norme
regionali e non richiede che questa assumano veste di norme
di legge. Nel caso di specie, il P.U.T.T./p della Regione
Puglia è strumento idoneo allo scopo, dato che esso, oltre a
recare prescrizioni concrete, ha natura di atto normativo
(così Cons. Stato, Sez. IV, 31.01.2012, n. 476).
Peraltro, proprio ai parametri offerti dal piano ai fini
della definizione di “bosco” (in termini di
superficie, larghezza media e copertura) ha riguardo il
sopralluogo effettuato dalla Regione nell’area in discorso.
Dal sopralluogo emerge che il terreno in oggetto rientra
nella definizione normativa di “bosco”.
A questa conclusione fattuale, non contestata nella sua
concreta dimensione, non possono essere opposti:
- né i dati per avventura difformi recati dalla cartografia
annessa al piano o ad altri strumenti urbanistici (dovendosi
per l’appunto prendere in considerazione, ai fini della
tutela, lo stato di fatto);
- né il rilievo -sviluppato dalla parte privata anche
nell’udienza pubblica- che il sopralluogo avrebbe avuto ad
oggetto non la sola area di proprietà degli appellati, bensì
l’intera area boscata, perché oggetto di indagine non poteva
che essere l’area considerata nel suo complesso. D’altronde,
se così non fosse, basterebbe ritagliarsi, all’interno di
un’area boscata, una porzione di terreno con dimensioni
inferiori ai parametri previsti dalle norme per negare a
questa la natura di area boscata e pretendere allora il
rilascio di un titolo edificatorio: il che sarebbe
evidentemente inammissibile.
Trattandosi dunque di bosco, si applica l’art. 4, comma 2,
del decreto legislativo più volte ricordato, secondo cui “la
trasformazione del bosco è vietata, fatte salve le
autorizzazioni rilasciate dalle regioni …”
(massima
tratta da www.lexambiente.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.08.2012 n. 4502
-
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di "bosco" deve essere
riferita non soltanto ai terreni
completamente coperti da boschi o foreste di
alto fusto, ma anche (per identità di ratio)
a tutte le aree parzialmente boscate, a
condizione che siano concretamente inserite
in un contesto con la preponderanza di
vegetazione, anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o
meno di alberi di alto fusto, non vi sono
dubbi sulla sussistenza di un vincolo
boschivo anche qualora l'area fosse coperta
solo da vegetazione qualificabile come
"macchia".
Il motivo non merita accoglimento, essendo fondato sull’errato
presupposto che la nozione, in questa sede
rilevante, di “bosco”, debba tenere in
considerazione i confini di proprietà dei
singoli mappali.
Il tenore letterale dell’art. 42, c. 3, L.R.
n. 31/2008 è invece inequivoco sul punto,
affermandosi che “i confini amministrativi,
i confini di proprietà o catastali, le
classificazioni urbanistiche e catastali, la
viabilità agro-silvo-pastorale e i corsi
d'acqua minori non influiscono sulla
determinazione dell'estensione e delle
dimensioni minime delle superfici
considerate bosco”.
Parimenti, in giurisprudenza si è affermato
che la nozione di "bosco" deve essere
riferita non soltanto ai terreni
completamente coperti da boschi o foreste di
alto fusto, ma anche (per identità di ratio)
a tutte le aree parzialmente boscate, a
condizione che siano concretamente inserite
in un contesto con la preponderanza di
vegetazione, anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o
meno di alberi di alto fusto, non vi sono
dubbi sulla sussistenza di un vincolo
boschivo anche qualora l'area fosse coperta
solo da vegetazione qualificabile come
"macchia" (C.S. Sez. IV 10.10.2011 n. 5500).
---------------
Il
corretto esercizio dei poteri comunali in
materia urbanistica ed edilizia presuppone,
in taluni casi, l’intervento di altre
autorità pubbliche preposte alla tutela di
altri valori costituzionalmente protetti,
come accade nella materia di che trattasi,
in cui gli interessi pubblici tutelati dalla
legislazione in materia di boschi e da
quella urbanistica, sono nettamente distinti
ed autonomi rispetto a quelli privatistici,
assentiti nei provvedimenti comunali (TAR
Puglia, Lecce, Sez. III 08.04.2005 n. 1981)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 11.07.2012 n. 1941 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 20 del
17.05.2012, "Indicazioni operative per la
compilazione delle denunce di taglio
boschivo nel SiTaB" (comunicato
regionale 14.05.2012 n. 55). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
18.01.2012, "Testo coordinato della
d.g.r. 675/2005 con le modifiche ed
integrazioni apportate dalla d.g.r.
2848/2011 “Criteri per la trasformazione del
bosco e per i relativi interventi
compensativi” (art. 43, comma 8, l.r.
31/2008)" (comunicato
regionale 09.01.2012 n. 1). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
17.01.2012 "Approvazione del “Manuale dei
controlli ispettivi” per l’aiuto “Misure
forestali” - L.r. 31/2008 artt. 25, 26, 40
comma 5 lettera B), 55 comma 4 e 56" (decreto
D.S. 21.12.2011 n. 12686). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
04.01.2012, "Modifiche ed integrazioni
alla d.g.r. VIII/675/2005 «Criteri per la
trasformazione del bosco e per i relativi
interventi compensativi» (art. 43, comma 8,
l.r. 31/2008)" (deliberazione
G.R. 29.12.2011 n. 2848). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Nozione di
bosco.
La nozione di “bosco”
deve essere riferita non soltanto ai terreni
completamente coperti da boschi o foreste di
alto fusto, ma anche (per identità di ratio)
a tutte le aree parzialmente boscate, a
condizione che siano concretamente inserite
in un contesto con la preponderanza di
vegetazione, anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o
meno di alberi di alto fusto, non vi sono
dubbi della sussistenza di un vincolo
boschivo anche qualora l’area sia coperta
solo da vegetazione qualificabile come
"macchia".
La
qualificazione di un’area come “boscata”
o meno, attiene alla sfera della
discrezionalità amministrativa, per cui, una
volta intervenuto l'accertamento da parte
della Commissione, della ricorrenza del
vincolo in ragione della presenza di flora
arborea (art. 1, lett. g, l. n. 431/1985), è
irrilevante disquisire se tale tipologia
vegetativa sia costituita, prevalentemente
od esclusivamente, da alberi di alto fusto o
piuttosto da macchia tipica quale quella
carsica (cfr. Sez. IV 14.04.2010 n. 2105,
concernente proprio il Comune di Sgonico
nella stessa zona).
In ogni caso, l'art. 72 della legge
regionale F.V.G. n. 34/1997, definisce il “bosco”
come la “formazione vegetale in cui la
componente arborea copre il suolo in misura
superiore al 20%”.
Tale definizione del resto è in linea con
quanto anche disposto dall' art. 2, comma 3,
lett. b), d.lgs. 08.06.2001 n. 327, per cui
la nozione di “bosco” deve essere
riferita non soltanto ai terreni
completamente coperti da boschi o foreste di
alto fusto, ma anche (per identità di
ratio) a tutte le aree parzialmente
boscate, a condizione che siano
concretamente inserite in un contesto con la
preponderanza di vegetazione, anche di tipo
arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o
meno di alberi di alto fusto, non vi sono
dubbi della sussistenza di un vincolo
boschivo anche qualora l’area fosse coperta
solo da vegetazione qualificabile come "macchia"
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.10.2011 n. 5500 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di bosco.
Il bosco risulta essere una nozione di tipo
naturalistico e comprende ogni terreno
coperto da vegetazione forestale arborea,
associata o meno a quella arbustiva, da
castagneti, sughereti o da macchia
mediterranea ed indipendentemente dal fatto
che la zona venga riportata come tale dalla
Carta tecnica regionale, atteso che ai fini
della sottoposizione a vincolo paesaggistico
la nozione non può essere intesa in senso
riduttivo, dovendo comprendere anche le aree
limitrofe (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza
26.09.2011 n. 34752 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Beni ambientali. Bosco e macchia
mediterranea.
Per bosco e macchia mediterranea, meritevole di tutela ai
fini paesaggistici, si intende anche quella caratterizzata
dalla assenza di alberi di alto fusto (tratto da link a
www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.07.2011 n. 28928). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Beni ambientali. Boschi e radure.
Il bosco è
caratterizzato dalla presenza di vegetazione e da
un’estensione minima, mentre per le radure e le altre
superfici che interrompono il bosco, rientranti tra le “aree
assimilate”, è previsto un limite massimo di estensione
superato il quale viene meno l’assimilazione. E’ poi
evidente che dette aree vengono, appunto, assimilate al
bosco perché non posseggono le caratteristiche indicate
nella definizione. Le radure, in particolare, presentano,
evidentemente, l’assenza di vegetazione del tipo di quella
che caratterizza il bosco altrimenti, come le altre aree
indicate, non potrebbero interromperlo.
Con riferimento specifico alle ipotesi contemplate
dall’articolo 149 D.Lv. 42/2004, la valutazione circa la non
soggezione dell’intervento ad autorizzazione paesaggistica
in base alla tipologia dei lavori non può essere lasciata ad
una soggettiva interpretazione della normativa di settore da
parte del privato che detti lavori intende eseguire,
sottraendo ogni possibilità di controllo preventivo
all’autorità amministrativa (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 10.03.2011 n. 9690 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI:
Lombardia, Indicazioni pratiche per i controlli sui tagli
dei boschi da parte delle GEV.
Le Guardie Ecologiche Volontarie (GEV) sono competenti, in
base all’art. 61 della l.r. 31/2008, ad effettuare la
vigilanza e l’accertamento delle violazioni relative ai
danni alle superfici forestali.
Il r.r. 5/2007 “Norme Forestali Regionali” obbliga
gli enti forestali a svolgere annualmente controlli su
almeno il 2% dei circa 23 mila permessi di taglio concessi
annualmente in Lombardia. A tal fine, la collaborazione fra
uffici boschi di parchi, comunità montane e province e GEV è
fondamentale.
Purtroppo, spesso molte guardie ecologiche non dispongono
delle necessarie informazioni pratiche per effettuare i
controlli nel settore forestale
La presente pubblicazione mira proprio a fornire alcuni
consigli pratici sui controlli dei tagli colturali del bosco
e a costituire, in ogni gruppo di GEV, un nucleo di alcune
guardie preparate sul settore forestale (Indicazioni
pratiche per i controlli sui tagli colturali dei boschi da
parte delle Guardie Ecologiche Volontarie di Regione
Lombardia - 1^ edizione - gennaio 2011 - link a
www.sistemiverdi.regione.lombardia.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
BOSCHI E FORESTE - Misure normative a
tutela dei boschi - Estensione - Limitazione alle sole
ipotesi riconducibili ad alberi di alto fusto - Esclusione -
Lettura sistematica della normativa - Artt. 2 e 3 L. n.
353/2000 - Art. 2, c. 1 d.lgs. n. 227/2001 - Alberi di olivo
- D.lt. 475/1945 - Divieto di abbattimento.
Da una lettura sistematica della normativa in materia di
boschi e dalle specifiche finalità di salvaguardia del
territorio perseguite dalla legge, emerge con chiarezza che
nell'ambito delle misure protettive dei boschi sono
indubbiamente ricomprese numerose ipotesi di vegetazione non
soltanto riconducibile a quella degli alberi di alto fusto,
includendosi anche la vegetazione qualificabile come
macchia, oltreché coltivazioni da frutto di vario genere
(cfr. artt. 2 e 10 L. n. 353/2000, art. 2, c. 1 d.lgs. n.
227/2001): con specifico riferimento agli alberi di olivo,
che come è noto possono raggiungere volumi ed altezze
considerevoli e che, sotto tale profilo, possono già di per
sé accomunarsi agli alberi di alto fusto, è tuttora vigente
la disciplina dettata dal decreto luogotenenziale
27.07.1945, n. 475, recante il divieto di abbattimento di
tali alberi se non in numero limitato e con specifica
autorizzazione delle autorità competenti.
BOSCHI E FORESTE - INCENDI - Aree
percorse dal fuoco - Divieto di modificazione della
destinazione urbanistica - Uliveto - Zona arborata -
Inapplicabilità del divieto di cui all’art. 10, c. 1 L. n.
353/2000 - Inconfigurabilità - Ragioni.
Le finalità di salvaguardia del territorio e delle sue
entità naturalistiche indispensabili alla vita (fattispecie
relativa al divieto di modificazione della destinazione
urbanistica, ai sensi dell’art. 10, c. 1 della L. n.
353/2000, di area coltivata ad uliveto percorsa dal fuoco)
non possono essere ristrette a limitate ipotesi di
particolari tipi di bosco e di pascoli, ponendosi una simile
conclusione non solo in stridente contrasto, nella specie,
con la normativa riguardante la speciale salvaguardia degli
uliveti, ma pure in evidente contraddizione con la vigente
disciplina generale in materia forestale, che ammette
l'estensione della tutela addirittura alla sola sterpaglia,
come ben messo in evidenza anche dalla giurisprudenza del
giudice penale (cfr. Cass. Sez. I. penale, 04.03.2008, n.
14209) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 09.07.2010 n. 4457 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
BOSCHI E FORESTE - Disciplina normativa
forestale - Disciplina paesaggistica - Tutela del bosco -
Presupposti differenti - Costruzione in zona sottoposta a
vincolo forestale e paesistico - Atti autorizzativi
distinti.
Mentre la disciplina normativa forestale (R.d.l. n.
3267/1923; d.lgs. n. 227/2001: L.r. Lombardia n. 27/2004)
tutela il bosco in quanto tale, cioè quale elemento
fondamentale per lo sviluppo socio-economico e per la
salvaguardia ambientale del territorio della Repubblica
italiana, la disciplina paesaggistica tutela il bosco in
quanto espressione dei valori naturali ed estetici del
territorio.
Si comprende, allora, perché, in caso di costruzione che si
trovi in zona sottoposta sia a vincolo forestale che a
vincolo paesistico, occorrano tre distinti atti
autorizzativi:
- l’autorizzazione forestale ex artt. 7 R.d. n. 3267/1923, 4
d.lgs. n. 227/2001 e 4 legge regionale Lombardia n. 27/2004;
- l’autorizzazione paesaggistica da parte dell’ente
preposto, ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. n. 42/2004 e
80 L.R. Lombardia n. 12/2005;
- il permesso di costruire da parte del Comune, che può
essere rilasciato soltanto nel caso in cui siano state
previamente rilasciate le predette autorizzazioni
paesaggistiche e forestali che ne costituiscono il
presupposto legale (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 14.04.2010 n. 1078 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
INCENDI BOSCHIVI - Inedificabilità delle
aree percorse dal fuoco - Art. 1-bis d.l. n. 332/1993 -
Modifica all’art. 9, c. 4, della L. n. 47/1975 - Funzione
meramente ricognitiva di un principio immanente
nell’ordinamento - Tutela del patrimonio boschivo -
Tipizzazione urbanistica preesistente all’evento incendiario
- Irrilevanza - L. n. 353/1990.
La modifica apportata all’art. 9, c. 4, della L. n. 47/1975
dall’art. 1-bis d.l. 30.08.1993 n. 332, convertito con l.
29.10.1993 n. 428, a mente delle cui indicazioni “fino
all’approvazione dei piani di cui all’articolo 1, in tutte
le zone i cui soprassuoli boschivi siano stati distrutti o
danneggiati dal fuco è vietato l’insediamento di qualsiasi
tipo”, risulta meramente ricognitiva ed esplicativa di
un principio immanente alle finalità conclamate di tutela
del patrimonio boschivo, e cioè quello dell’assoluta
inedificabilità delle aree in questione, a prescindere dalla
loro tipizzazione urbanistica preesistente all’evento
incendiario, siccome intesa a prevenire fenomeni speculativi
e ad assicurare la rigenerazione del “bosco…considerato
nella sua entità unitaria di ecosistema complesso” e la
tutela del patrimonio boschivo nazionale quale bene
insostituibile per la qualità della vita.
Non a caso la successiva normativa di riforma (legge quadro
in materia di incendi boschivi n. 353 del 1990) esclude in
radice radice la possibilità di edificazione delle aree
percorse da incendio sulla base della mera previsione che
dette aree fossero edificabili prima dell’evento incendiario
(art. 10, comma 1) (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 25.03.2010 n. 2353 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Definizione di aree boscate ai fini
dell’applicazione dei divieti ex l. n. 353/2000.
La definizione di “incendio boschivo” di cui all’art.
2 si riferisce ad aree (boscate, cespugliate o arborate) più
ampie di quelle richiamate nel comma 1 dell’art. 10 che
limita, invece, l’applicazione dei divieti, prescrizioni e
sanzioni soltanto a “zone boscate e pascoli i cui
soprassuoli” sono stati percorsi dal fuoco, cioè un
insieme di aree naturali e vegetali più delimitato rispetto
a quello di cui sopra.
Ne deriva che l’ambito oggettivo di applicazione della norma
speciale è più limitato e riguarda le sole zone boscate e
pascoli (e non le zone arborate).
A ciò va aggiunto che nella definizione di “bosco” il
legislatore sia nazionale che regionale ha previsto una
equiparazione dello stesso alla foresta e alla selva (art.
2, comma 1, D.Lgs. 18.05.2001, n. 227; art. 3, comma 3, L.R.
28.10.2002, n. 39) ed ha individuato alcune fattispecie
assimilate a bosco (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 227 del
2001), inoltre ha distinto la vegetazione forestale da
quella arbustiva (art. 3, commi 3 e 4, L.R. n. 39 del 2002),
definendo così una disciplina unitaria e coordinata per i
boschi e le aree boscate (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 17.11.2009 n. 11242 - link a
www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
BOSCHI E FORESTE - INCENDI - Aree
percorse dal fuoco - Divieti, sanzioni e prescrizioni - Art.
10 L. n. 353/2000 - Ambito oggettivo di applicazione della
norma - Zone boscate e pascoli - Zone arborate cespugliate -
Esclusione - Fattispecie - Coltivazione ad uliveto.
Dalla lettura degli artt. 2 e 10, cc. 1 e 2 della legge
quadro sugli incendi boschivi (L. n. 353 del 2000) emerge
che la definizione di “incendio boschivo” di cui all’art. 2
si riferisce ad aree (boscate, cespugliate o arborate) più
ampie di quelle richiamate nel comma 1 dell’art. 10 che
limita, invece, l’applicazione dei divieti, prescrizioni e
sanzioni soltanto a “zone boscate e pascoli i cui
soprassuoli” sono stati percorsi dal fuoco, cioè un
insieme di aree naturali e vegetali più delimitato rispetto
a quello di cui sopra.
Ne deriva che l’ambito oggettivo di applicazione della norma
speciale è più limitato e riguarda le sole zone boscate e
pascoli (e non le zone arborate).
A ciò va aggiunto che nella definizione di “bosco” il
legislatore sia ha previsto una equiparazione dello stesso
alla foresta e alla selva (art. 2, comma 1, D.Lgs.
18.05.2001, n. 227) ed ha individuato alcune fattispecie
assimilate a bosco (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 227 del
2001), inoltre ha distinto la vegetazione forestale da
quella arbustiva (art. 3, commi 3 e 4, L.R. n. 39 del 2002),
definendo così una disciplina unitaria e coordinata per i
boschi e le aree boscate (fattispecie relativa ad area
coperta da coltura agraria - oliveto e vigneto) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 17.11.2009 n. 11242 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Un quesito su “disboscamenti in
sanatoria”…
V. Stefutti,
E’ possibile effettuare legalmente un cambio di coltura da
bosco a verde agricolo?
Capita infatti che, in territorio vincolato
idrogeologicamente e paesaggisticamente, si verifichino dei
cambi di coltura abusivi tramite taglio di alberi,
dissodamento del terreno e messa a dimora di colture
agricole (generalmente vigneti). Si tratta, a tutti gli
effetti, di condotte punibili ai sensi degli artt. art. 181
D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 ed art. 44 del D.P.R. 06.06.2001 n.
380.
Tuttavia, talune Amministrazioni paiono ritenere sanabile il
reato a seguito della modifica all'art. 146 del D.Lgs. n.
42/2004, avvenuta con D.Lgs. 24.03.2006 n. 157, che al comma
12 richiama i cosiddetti interventi edilizi minori, di cui
all'art. 167 comma 4 e 5, consideri legittimo che i
coltivatori agricoli avviino una pratica di cambio di
coltura in sanatoria che, a fine iter, conceda legalmente al
reo quanto da lui abusivamente ottenuto.
E questo in virtù del fatto che non si sono create superfici
utili o volumi ed assimilando di fatto un cambio di coltura
abusivo, che può essere indifferentemente di 500 m² ma anche
di 10.000 m², ad un intervento edilizio minore. E la
creazione di una superficie agricola dove prima era bosco,
può essere assimilata alla creazione di una superficie utile
e quindi non sanabile? (link a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Bosco (individuazione).
La natura di
zona boscata è determinata dalla presenza effettiva di bosco
fitto di alto fusto o di bosco rado indipendentemente dal
dato che la zona sia riportata come tale dalla Carta tecnica
regionale (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 01.09.2009 n. 33534 - link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: La
natura di “zona boscata” è indipendente dal dato che la zona
sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale.
La natura di zona boscata è determinata dalla presenza
effettiva di bosco fitto di alto fusto o di bosco rado
indipendentemente dal dato che la zona sia riportata come
tale dalla Carta tecnica regionale (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 01.09.2009 n. 33534 - link a
www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 18.05.2009, "Chiarimenti
e linee guida per il rilascio e il diniego delle
autorizzazioni alla trasformazione del bosco (art. 4 d.lgs.
227/2001, art. 43 l.r. 31/2008; d.g.r. 675/2005 e s.m.i."
(circolare
regionale 24.04.2009 n. 7
- link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Taglio di bosco autorizzato e
danneggiamento ceppaie.
In materia di
tutela ambientale, qualsiasi modificazione del territorio,
al di fuori delle ipotesi consentite, purché astrattamente
idonea a ledere il bene protetto, configura il reato di cui
all’articolo 181 del d.lgs. n. 42 del 2004. Quindi anche il
decespugliamento, il disboscamento, il taglio o la
distruzione di ceppaie, al di fuori di qualsiasi pratica
colturale ed in assenza di autorizzazione o in difformità da
essa, configura il reato di cui all’articolo 181 del d.lgs.
n. 42 del 2004. Il possesso dell’autorizzazione per il
taglio di un bosco non legittima quindi il danneggiamento
delle ceppaie (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.05.2009 n. 20138 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - BOSCHI E
FORESTE - Taglio di bosco autorizzato - Danneggiamento
ceppaie - Reato di cui all'art. 181 D.L.vo n. 42/2004 -
Configurabilità.
In materia di tutela ambientale, qualsiasi modificazione del
territorio, al di fuori delle ipotesi consentite, purché
astrattamente idonea a ledere il bene protetto, configura il
reato di cui all'articolo 181 del decreto legislativo n 42
del 2004.
Quindi anche il decespugliamento, il disboscamento, il
taglio o la distruzione di ceppaie, al di fuori di qualsiasi
pratica colturale ed in assenza di autorizzazione o in
difformità da essa, configura il reato di cui all'articolo
181 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (cfr Cass. n.
29483/2004, Cass. n. 35689/2004, Cass. n. 16036/2006).
Il possesso dell’autorizzazione per il taglio di un bosco
non legittima il danneggiamento delle ceppaie (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.05.2009 n. 20138 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno 2008 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di bosco deve essere riferita
non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o
foreste, ma anche, per identità di ratio, a tutte le aree
parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente
inserite in un contesto forestale.
Osserva il Collegio che l'art. 2, comma 3, lettera b, del
D.Lgs. n. 227/2001 assimila a bosco i terreni
temporaneamente privi di vegetazione arborea o forestale per
via di utilizzazioni forestali, avversità biotiche o
incendi, allo scopo di evitare che l’opera dell’uomo
–ceduazione– o eventi accidentali possano distrarre dalla
disciplina e dal regime formale del bosco, terreni che
invece presentano ordinariamente caratteri tali da farli
ascrivere al concetto di bosco.
Vuole la norma anche, a parere del Collegio, che l’opera
dell’uomo non sottragga dei terreni a fini strumentali alla
disciplina delle aree boschive, semplicemente effettuandone
la ceduazione.
Invero il Collegio richiama l’orientamento della Sezione,
secondo il quale “la nozione di bosco deve essere
riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da
boschi o foreste, ma anche, per identità di ratio, a tutte
le aree parzialmente boscate, a condizione che siano
concretamente inserite in un contesto forestale” (TAR
Piemonte, Sez. I, 10.03.2007, n. 1174).
La riportata decisione è quindi in linea con il dettato di
cui all’art. 2, comma 3, lett. b), del D.Lgs. n. 227/2001,
secondo il quale se il coefficiente minimo della natura
boscata di un’area è la sua caratteristica di area
parzialmente boscata sempre che inserita in un contesto
forestale (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 30.10.2008 n. 2722 -
link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nozione di bosco - Aree parzialmente
boscata - Contesto forestale - Impianto di specie
ornamentale ad opera del proprietario dell’area - Qualifica
di bosco - Esclusione - Giardino privato.
La nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai
terreni completamente coperti da boschi o foreste, ma anche,
per identità di ratio, a tutte le aree parzialmente boscate,
a condizione che siano concretamente inserite in un contesto
forestale (TAR Piemonte, Sez. I, 10.03.2007, n. 1174).
Se il coefficiente minimo della natura boscata di un’area è
quindi la sua caratteristica di area parzialmente boscata
sempre che inserita in un contesto forestale, deve
escludersi in radice la qualificabilità in termini di bosco
di un terreno utilizzato per l’impianto di specie arboree
ornamentali o di pregio ad opera dello stesso proprietario e
dotato di dispositivi artificiali di irrigazione. Il terreno
de quo presenta infatti le predette caratteristiche che lo
pongono al di fuori di una nozione intrinseca e costitutiva
di bosco per ascriverlo, invece, più correttamente, ad una
nozione di giardino privato (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 30.10.2008 n. 2723 -
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EDILIZIA
PRIVATA: Aree
boschive - Costruzione abusiva - Nozione di bosco - Vincolo
ambientale - Fattispecie - D.Lgs n. 227/2001 - Art. 44 lett.
C d.p.r. n. 380/2001.
Al fine di individuare i territori boschivi protetti da
vincolo, dopo l'entrata in vigore del d.lgs 18.05.2001, n.
227, deve qualificarsi come bosco, ogni terreno coperto da
vegetazione forestale arborea associata o meno a quella
arbustiva, da castagneti, da sughereti o da macchia
mediterranea (Cass. pen. sez. 1111 sent. 16/11/2006, n.
1874). Sicché, nei casi di riscontro positivo del vincolo è
corretto applicare l'art. 44 lettera C del d.p.r. n. 380 del
2001 che sanziona la violazione del vincolo ambientale.
Nella specie, la zona in cui era stata eseguita la
costruzione abusiva, in ragione delle colture arboree in
esse esistenti, era naturalmente sottoposta a vincolo
boschivo in quanto interamente coperta da sughereta,
consociata con roverella, precisando che l'ispezione dei
luoghi aveva evidenziato che erano stati eseguiti lavori sul
terreno dal quale erano stati rimossi massi di basalto ed
altro materiale roccioso e al contempo estirpati ceppi
vitali di sughera, roverella, lentisco, olivastro ed altre
piante tipiche della macchia mediterranea che, in
precedenza, erano stati danneggiati da un violento incendio
e che erano in fase di crescita.
Domanda di sanatoria - Commissione edilizia - Parere
favorevole - Equivalenza di permesso di costruire in
sanatoria - Esclusione.
Il parere favorevole formulato dalla Commissione edilizia
sulla domanda di sanatoria non equivale al rilascio del
permesso di costruire in sanatoria.
AGRICOLTURA - Attività di silvicoltura - Presupposti -
Conservazione delle colture.
L’attività di silvicolutura presuppone, in linea generale,
la conservazione delle colture e non la loro eliminazione
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.06.2008 n. 23071
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AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Beni
Ambientali. Nozione di bosco ed attività di silvicoltura.
In tema di tutela del paesaggio ed al fine di individuare i
territori boschivi protetti da vincolo deve qualificarsi
come bosco, dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 18.05.2001,
n. 227, ogni terreno coperto da vegetazione forestale
arborea associata o meno a quella arbustiva, da castagneti,
da sughereti o da macchia mediterranea.
L’attività di silvicolutura presuppone la conservazione
delle colture e non anche la loro eliminazione (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.06.2008 n. 23071
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anno 2007 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Nozione
di bosco - Aree assimilate al bosco - Presupposti - Art. 2
c. 6 d.lgs. n. 227/2001 - Reato di cui agli art. 44 letto c)
d.P.R. n. 380/2001 e 142 lett. g) del d. lgs. n. 42/2004.
Il bosco è definito nel comma 6 dell'art. 2 del
d.lgs.18.05.2001 n. 227 e coincide con ogni terreno coperto
da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella
arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia
mediterranea, purché avente estensione non inferiore ai
2.000 metri quadrati, larghezza media non inferiore a 20
metri e copertura non inferiore al 20 per cento. Al bosco
sono assimilate anche altre superfici di estensione
inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la
continuità del bosco medesimo. Fattispecie: lavori edilizi
d'urbanizzazione primaria, su un terreno sottoposto a
vincolo paesaggistico, senza avere preventivamente ottenuto
il prescritto nulla osta dalla competente autorità e
conseguente sequestro preventivo dell'area soggetta avente
le caratteristiche di area boscata (Corte di cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 20.06.2007 n. 24258
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EDILIZIA
PRIVATA: Boschi
e foreste – Nozione di bosco – Aree parzialmente boscate –
Presenza di muri di cinta.
In assenza di una più precisa definizione normativa, la
nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai
terreni completamente coperti da boschi o foreste, ma anche,
per identità di ratio, a tutte le aree parzialmente
boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un
contesto forestale e senza che possa assumere alcun rilievo
la costruzione di eventuali muri di cinta o analoghi
manufatti che delimitino una parte più o meno estesa del
bosco medesimo (nella specie, è stato ritenuto che la zona
oggetto di contestazione, limitrofa al bosco, ma
caratterizzata da sporadici alberi di alto fusto in un
contesto di edifici residenziali, non potesse essere
considerata area boscata) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 10.03.2007 n. 1174
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EDILIZIA
PRIVATA:
BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Area
boscata - Nozione - Qualifica di bosco - Presupposti -
Inclusione negli elenchi - Necessità - Esclusione - Art. 163
D. Lgs. n. 490/1999 - Art. 181 D. Lgs. n. 42/2004.
Il taglio del bosco eseguito con tecnica a raso e non
culturale configura il reato dell'articolo 163 d.lgs. n.
490/1999, ora sostituito dall'articolo 181 del D.Lgs. n. 42
della 2004 (Sez. 3 n 18695 dell'11.03.2004, rv 228452).
Un’area boscata è qualificabile dalla presenza effettiva del
bosco quando un terreno coperto da vegetazione forestale
arborea, associata o meno a quella arbustiva, abbia i
requisiti indicati dalla normativa in materia, (ad es.
estensione, copertura, ecc). e ciò indipendentemente dal
dato che la zona sia riportata come tale in specifici
elenchi.
Sicché, ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico
non può assumere una portata riduttiva la nozione di "territorio
coperto da bosco".
BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Nozione di "territorio coperto da bosco" - Zona boscata -
Natura.
La nozione di "territorio coperto da bosco", ai fini
della sottoposizione a vincolo paesaggistico ai sensi
dell'art. 1, lett. g), della legge 08/08/1985 n. 431 e s.m.,
non può assumere una portata riduttiva (Sez. 3, n. 1551 del
10/04/2000 Rv. 216980), sicché la natura di zona boscata è
determinata dalla presenza effettiva di bosco fitto di alto
fusto o di bosco rado indipendentemente dal dato che la zona
sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale (Sez.
3, n. 17060 del 21/03/2006 Rv. 234318).
BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Macchia mediterranea - Zona boscata - Tutela.
La macchia mediterranea interessata dalla predominanza,
rispetto ai sottostanti cespugli, di alberi di medio fusto o
di essenze arbustive di elevato sviluppo -e non avente,
quindi, caratteristiche di macchia bassa o rada- rientra
nella previsione dell'art. 1, lett. g), della legge
08/08/1985 n. 431 e s.m. (da ultimo Sez. 3, n. 48118 del
04/11/2004 Rv. 230483) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 25.01.2007 n. 2864
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EDILIZIA
PRIVATA:
Nozione di bosco - Tutela paesaggistica - Competenze
dello Stato e delle Regioni - Lotta contro gli incendi
boschivi - Art. 2, c. 6, D.Lgs. n. 227/2001.
La definizione della nozione di bosco ai fini della tutela
paesaggistica spetta solo allo Stato, che l'ha esercita
attraverso il comma 6, dell'art. 2 del D.Lgs. 18.05.2001 n.
227, mentre spetta alle Regioni stabilire eventualmente un
diverso concetto di bosco per i territori di loro
appartenenza, solo per fini diversi, attinenti per esempio
allo sviluppo dell'agricoltura e delle foreste, alla lotta
contro gli incendi boschivi, alla gestione
dell'arboricoltura da legno etc..
E' evidente che se le Regioni formulassero una diversa
definizione di bosco avente efficacia anche per la
individuazione dei territori boschivi protetti dal vincolo
paesaggistico finirebbero per interferire sulla estensione
della tutela dell'ambiente, che per precisa scelta
costituzionale è riservata allo Stato. (Legge costituzionale
18.10.2001 n. 3, che ha modificato la ripartizione delle
competenze regionali tra Stato e Regioni).
Individuazione dei territori boschivi protetti dal
vincolo paesaggistico - Nozione di bosco.
La nozione di bosco ai fini della individuazione dei
territori boschivi protetti dal vincolo paesaggistico è
stata definita nel comma 6 dell'art. 2 del D.Lgs. 18.05.2001
n. 227, e coincide con ogni terreno coperto da vegetazione
forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da
castagneti, sugherete o da macchia mediterranea, purché
avente estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati,
larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non
inferiore al 20 per cento. Inoltre, sono assimilati al bosco
i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per fini di
tutela ambientale, nonché le radure e le altre superfici di
estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono
la continuità del bosco.
INCENDI boschivi - Elaborazione dei piani regionali -
Competenza regioni - Limiti.
In materia di incendi boschivi, la legge 21.11.2000 n. 353
(legge quadro in materia di incendi boschivi), affida alle
regioni il compito di elaborare piani regionali per la
programmazione delle attività di previsione, prevenzione e
lotta attiva contro gli incendi boschivi, sulla base di
linee guida e direttive deliberate dal Consiglio dei
ministri.
Tutela dei boschi - Concetto di bosco - Fattispecie.
Il D.Lgs. 18.05.2001 n. 277, all'art. 2, stabilisce una
definizione generale, valevole per ogni normativa che si
riferisca ai boschi ed espressamente per la normativa
ambientale che tutela i boschi, quale è l'art. 146, comma 1,
lett. g), D.Lgs. 490/1999, ora sostituito dall'art. 142
comma 1, lett. g) D.Lgs. 22.01.2004 n. 42.
Tale generale definizione vale sino a che le regioni, per
gli stessi fini previsti dalle norme nazionali, non
provvedano a definire il concetto di bosco relativamente al
territorio di loro competenza, e a meno che le stesse
regioni non abbiano diversamente già definito il concetto
per gli stessi fini previsti dalle leggi nazionali.
Nella specie, il concetto di bosco definito dal piano
regionale della Sardegna approvato allo specifico fine della
prevenzione e repressione degli incendi boschivi, non può
sostituire la definizione di bosco formulata nel comma 6
dell'art. 2 su riportato valevole al fine della tutela
paesaggistica.
Nozione di bosco - Fattispecie giuridica di "bosco" -
Giurisprudenza - Art. 2 del D.Lgs. 227/2001.
Nella nozione di bosco rientra sia la vegetazione arborea,
sia la macchia mediterranea come tale, indipendentemente dal
suo carattere arboreo o arbustivo, sicché non si dovrebbe
più distinguere tra "macchia alta", di predominanza
arborea, e "macchia bassa", di natura arbustiva.
In tal senso non si può condividere Cass. Sez. III, n. 6011
del 14.12.2001, Martella, rv. 221164 (poi seguita da Cass.
Sez. III, n. 48118 del 04.11.2004, Cani, rv. 230483), che ha
il merito di aver rigorosamente distinto, secondo criteri
botanici, le nozioni di macchia alta, macchia bassa e
macchia rada o "gariga", ma anche il difetto di aver
del tutto ignorato la definizione da poco formulata dal
legislatore con l'art. 2 del D.Lgs. 227/2001. (In
relazione a tale definizione, si potrebbe plausibilmente
sostenere che dei tre tipi di macchia individuati nella
sentenza Martella, solo la "gariga", cioè la scarna coltre
vegetale dei suoli più poveri, resti estranea alla nozione
legislativa di bosco).
Alla luce dei principi su esposti, del tutto correttamente
il giudice del riesame ha ritenuto che nel caso di specie
ricorresse la fattispecie giuridica di "bosco", come
tale vincolata a fini paesaggistici, atteso che il terreno
sul quale era in corso di realizzazione l'intervento de
quo era coperto da macchia mediterranea c.d. alta,
composta da tipica vegetazione arborea, associata a
vegetazione arbustiva (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.01.2007 n. 1874
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anno 2006 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Bosco
- Realizzazione di recinzione in legno e rete metallica -
Mancanza di autorizzazione - Reato di cui all'art. 181
D.Lgs. n. 42/2004 - Configurabilità.
La realizzazione, all'interno di un bosco e in difetto della
preventiva autorizzazione, di una recinzione con traverse di
legno e rete metallica, incide in modo giuridicamente
rilevante sull'assetto paesaggistico della zona,
configurando il reato di esecuzione di lavori su beni
paesaggistici, di cui all'art. 163 del D.Lgs. 29.10.1999 n.
490 (ora sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n.
42). Sicché è necessario per la realizzazione dell’opera
l'autorizzazione dell'Ente preposto alla tutela ambientale,
ex art. 150 D.L.vo 490/1999 (norma ora riprodotta nell'art.
146 comma 2° D.L.vo 42/2004).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ex art. 181 D.Lgs.
n. 42/2004 - Natura - Reato di pericolo - Configurabilità.
Il reato di cui all'art. 163 D.L.vo 490/1999, 490 (ora
sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42), ha
natura di reato di pericolo astratto, onde per la sua
configurabilità non è necessario un effettivo pregiudizio
per l'ambiente, potendosi escludere dal novero delle
condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si
prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i
valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici
[Giurisprudenza consolidata: Cass. Sez. III Sent. n. 14461
del 28/03/2003, ric. Carparelli; Cass. Sez. III Sent. n.
19761 del 29/04/2003; Cass. Sez. III Sent. n. 38051 del
28/09/2004 ; Cass. Sez. III Sent. n. 23980 del 26/05/2004,
ry 224468; Cass. Sez. III Sent. n. 12863 del 20/03/2003,
ric. Abate] (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.11.2006 n. 39355
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EDILIZIA
PRIVATA:
BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Bosco
- Realizzazione di recinzione in legno e rete metallica -
Mancanza di autorizzazione - Reato di cui all'art. 181
D.Lgs. n. 42/2004 - Configurabilità.
La realizzazione, all'interno di un bosco e in difetto della
preventiva autorizzazione, di una recinzione con traverse di
legno e rete metallica, incide in modo giuridicamente
rilevante sull'assetto paesaggistico della zona,
configurando il reato di esecuzione di lavori su beni
paesaggistici, di cui all'art. 163 del D.Lgs. 29.10.1999 n.
490 (ora sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n.
42). Sicché è necessario per la realizzazione dell’opera
l'autorizzazione dell'Ente preposto alla tutela ambientale,
ex art. 150 D.L.vo 490/1999 (norma ora riprodotta nell'art.
146 comma 2° D.L.vo 42/2004).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ex art. 181 D.Lgs.
n. 42/2004 - Natura - Reato di pericolo - Configurabilità.
Il reato di cui all'art. 163 D.L.vo 490/1999, 490 (ora
sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42), ha
natura di reato di pericolo astratto, onde per la sua
configurabilità non è necessario un effettivo pregiudizio
per l'ambiente, potendosi escludere dal novero delle
condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si
prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i
valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici
[Giurisprudenza consolidata: Cass. Sez. III Sent. n. 14461
del 28/03/2003, ric. Carparelli; Cass. Sez. III Sent. n.
19761 del 29/04/2003; Cass. Sez. III Sent. n. 38051 del
28/09/2004 ; Cass. Sez. III Sent. n. 23980 del 26/05/2004,
ry 224468; Cass. Sez. III Sent. n. 12863 del 20/03/2003,
ric. Abate] (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.11.2006 n. 39355
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EDILIZIA
PRIVATA:
Beni culturali e ambientali - Vincolo di rimboschimento -
Obbligo di rimboschimento - Assimilazione ai boschi.
L’assimilazione ai boschi dei fondi gravati dall’obbligo di
rimboschimento richiede la sola presenza del provvedimento
amministrativo o della disposizione normativa che abbia
imposto il vincolo di rimboschimento.
E’ da escludersi il concorso apparente di norme e,
conseguentemente, l’applicazione del principio di specialità
tra la violazione paesaggistica di cui all’articolo 181 D.Lv.
42/2004 e il DL 3267/1923 artt. 26 e 54 in tema di vincolo
idrogeologico e tra la medesima violazione penale e la legge
950/1956 art. 1 in materia di polizia forestale.
Beni culturali e ambientali - Vincoli idrogeologici -
Danneggiamento o taglio di piante - Art. 26 D.l. n.
3267/1923 e Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 - Finalità di
salvaguardia - Differenza del bene protetto.
L'art. 26 del d.l. 30.12.1923, n. 3267, è dettato a
protezione del vincolo idrogeologico e di altri simili
interessi (difesa dalla caduta di valanghe, sassi, furia dei
venti, oltre che difesa delle condizioni igieniche locali e
difesa militare) e sanziona il fatto di chi danneggi piante
o comunque arrechi altri danni nei boschi vincolati per
scopi idrogeologici o per gli altri scopi indicati e ciò in
violazione delle prescrizioni impartite dalle competenti
autorità.
Mentre, l'art. 163 del d.lgs. 29.10.1999, n. 490 (ora art.
181 d.lgs. 22.01.2004, n. 42), è dettato a tutela degli
interessi paesaggistici ed ambientali, e segnatamente alla
salvaguardia del bosco nel suo valore estetico-ambientale, e
sanziona il fatto di chi esegua lavori di qualsiasi genere
su beni ambientali senza la prescritta autorizzazione o in
difformità di essa, a prescindere dal fatto che arrechi o
meno un danno o un pregiudizio.
Agricoltura - Vincoli idrogeologici - Terreni
rimboschiti - Art. 54 D.l. n. 3267/1923 - Finalità di
salvaguardia - Operazioni di governo boschivo in difformità
del piano di coltura e conservazione approvato - Pascoli -
Sanzioni.
L'art. 54 del d.l. 30.12.1923, n. 3267, persegue la finalità
di salvaguardare il vincolo idrogeologico (o gli altri
interessi indicati) e sanziona proprietario dei terreni
rimboschiti per effetto dello stesso decreto legge che
effettui sugli stessi la coltura agraria o effettui il
pascolo secondo modalità diverse da quelle previste o
comunque compia le operazioni di governo boschivo in
difformità del piano di coltura e conservazione approvato.
Taglio di boschi - Fondi gravati dall'obbligo di
rimboschimento - D.Lgs. n. 227/2001 - Definizione di bosco -
Requisiti minimi - Esclusione - Fattispecie.
La disposizione dell’art. 2, comma 6, del d.lgs. 18.05.2001,
n. 227, riferisce i requisiti «estensione non inferiore a
2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20
metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con
misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti»,
soltanto alle formazioni vegetali ed ai terreni su cui esse
sorgono al fine della loro qualificazione come boschi e non
anche ai fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento, per
la cui assimilazione ai boschi non occorre anche la presenza
dei detti requisiti, essendo sufficiente la presenza del
provvedimento amministrativo o della disposizione normativa
che abbia imposto il vincolo di rimboschimento per una delle
finalità indicate.
Nella specie, appare assolutamente inverosimile ed illogico
il comportamento del proprietario di un terreno che,
avvertito delle distruzione delle piantine di sua proprietà
e pur a conoscenza del vincolo gravante sul terreno, non
sporga immediatamente denuncia all'organo competente al
quale sa bene di dover rendere conto della piantagione.
Taglio di boschi - Terreno sottoposto a vincolo di
rimboschimento - Violazione delle norme di polizia forestale
- L. n. 950/1956 - Art. D.L. n. 3267/1923 - Fattispecie.
L'art. 1 della legge 09.10.1956, n. 950, sanziona la
violazione delle norme di polizia forestale contenute nei
regolamenti di cui all'art. 10 del d.l. 30.12.1923, n. 3267.
Nella specie, è stato ritenuto che sussiste il vincolo
ambientale non perché si tratta di un bosco (in senso
stretto) bensì perché si tratta di terreno sottoposto a
vincolo di rimboschimento.
Ai sensi, dell'art. 146 del d.lgs. 29.10.1999, n. 490 (ora
art. 142 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42), alla lett. G),
inserisce tra i beni ambientali tutelati per legge, oltre i
territori coperti da foreste e da boschi, anche quelli
sottoposti a vincolo di rimboschimento.
L'art. 142 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42, alla lett. G) che
sono soggetti a tutela ambientale «i territori coperti da
foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal
fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come
definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto
legislativo 18.05.2001, n. 227».
L'art. 2 del d.lgs. 18.05.2001, n. 227, poi, prevede nel
comma 2 che entro dodici mesi le regioni stabiliscano per il
territorio di loro competenza la definizione di bosco (ed in
particolare i valori minimi di larghezza, estensione e
copertura), e nel comma 3 che sono assimilati al bosco, tra
gli altri, «i fondi gravati dall'obbligo di
rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del
territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio
idrico, conservazione della biodiversità, protezione del
paesaggio e dell'ambiente in generale» (Corte di
cassazione, Sez. III penale,
sentenza
29.09.2006 n. 32542
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EDILIZIA
PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Impianto sanzionatorio -
Previsione di un'unica sanzione ignoranza inevitabile -
Fattispecie: lavori di dissodamento, livellamento e
sradicamento di ceppaie su un terreno coperto da boschi -
Art. 181 d. L.vo n. 42/2004 - Art. 20 L. n. 47/1985 (ora
articolo 44, D.P.R. n. 380/2001 - testo unico
dell'edilizia).
La previsione di un'unica sanzione per le diverse violazioni
contemplate nell'articolo 163 del decreto legislativo n. 490
del 1999 (ora art. 181 del decreto legislativo n. 42 del
2004), trova giustificazione nella rilevanza pubblica dei
beni protetti e nel carattere immediato ed interinale della
tutela che il legislatore ha inteso apprestare per l'urgente
necessità di reprimere condotte in grado di apportare gravi
danni all'integrità ambientale. D'altra parte, la previsione
di un'unica sanzione per comportamenti diversi non è
irragionevole perché l'articolo 20 legge n. 47 del 1985 (ora
articolo 44 del testo unico dell'edilizia) richiamato
dall'articolo 163 decreto legislativo n. 490 del 1999
prevede diverse ipotesi e comunque quella applicabile alla
fattispecie ossia la lettera C) presenta un notevole divario
tra il limite minimo e quello massimo, per cui è possibile
per il giudice graduare la pena al caso in concreto a norma
degli artt. 132 e 133 c.p. (cfr. Corte Costituzionale n 285
del 1991).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ambientale -
Tutela giuridica del paesaggio e disciplina edilizia -
Differenza sostanziale delle discipline - D. L.vo n. 42/2004
- Art. 20 L. n. 47/1985 ora art. 44 D.P.R. n. 380/2001.
Non è possibile, attesa la differenza sostanziale della
tutela giuridica del paesaggio rispetto alla disciplina
edilizia per la diversità di scopi, di presupposti e di
oggetto, alcuna trasposizione di istituti tra le due
discipline ed, in particolare, il trasferimento di un regime
sanzionatorio graduato in relazione a varie tipologie di
interventi edilizi al reato ambientale, per il quale il
"vulnus" all'assetto paesaggistico non è dipendente dal
grado di tali interventi (cfr. Cass. n. 30866/2001).
BOSCHI - Taglio di un bosco ceduo ed estirpazione di
ceppaie - Differenza - Ignoranza inevitabile della legge -
Esclusione - Fondamento - Fattispecie: terreno coperto da
boschi, taglio, lavori di dissodamento, livellamento e
sradicamento di ceppaie.
L'ignoranza inevitabile della legge non può essere invocata
quando colui il quale intraprende un'attività ha l'obbligo
di informarsi con diligenza sulla normativa che disciplina
quell'attività e, nel caso di dubbio, di astenersi dal porre
in essere la condotta (cfr. Cass. 28397 del 2004). Nella
specie, non può essere invocata l'ignoranza inevitabile
della legge in quanto l'assenso al taglio del bosco da parte
degli agenti del Corpo forestale , dedotto come causa
dell'errore, riguardava il taglio del legname in un bosco
ceduo che è cosa diversa dall'estirpazione delle ceppaie e
quindi non può giustificare la condotta ascritta (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.04.2007 n. 13759
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Impianto sanzionatorio -
Previsione di un'unica sanzione ignoranza inevitabile -
Fattispecie: lavori di dissodamento, livellamento e
sradicamento di ceppaie su un terreno coperto da boschi -
Art. 181 d. L.vo n. 42/2004 - Art. 20 L. n. 47/1985 (ora
articolo 44, D.P.R. n. 380/2001 - testo unico
dell'edilizia).
La previsione di un'unica sanzione per le diverse violazioni
contemplate nell'articolo 163 del decreto legislativo n. 490
del 1999 (ora art. 181 del decreto legislativo n. 42 del
2004), trova giustificazione nella rilevanza pubblica dei
beni protetti e nel carattere immediato ed interinale della
tutela che il legislatore ha inteso apprestare per l'urgente
necessità di reprimere condotte in grado di apportare gravi
danni all'integrità ambientale. D'altra parte, la previsione
di un'unica sanzione per comportamenti diversi non è
irragionevole perché l'articolo 20 legge n. 47 del 1985 (ora
articolo 44 del testo unico dell'edilizia) richiamato
dall'articolo 163 decreto legislativo n. 490 del 1999
prevede diverse ipotesi e comunque quella applicabile alla
fattispecie ossia la lettera C) presenta un notevole divario
tra il limite minimo e quello massimo, per cui è possibile
per il giudice graduare la pena al caso in concreto a norma
degli artt. 132 e 133 c.p. (cfr. Corte Costituzionale n 285
del 1991).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ambientale -
Tutela giuridica del paesaggio e disciplina edilizia -
Differenza sostanziale delle discipline - D. L.vo n. 42/2004
- Art. 20 L. n. 47/1985 ora art. 44 D.P.R. n. 380/2001.
Non è possibile, attesa la differenza sostanziale della
tutela giuridica del paesaggio rispetto alla disciplina
edilizia per la diversità di scopi, di presupposti e di
oggetto, alcuna trasposizione di istituti tra le due
discipline ed, in particolare, il trasferimento di un regime
sanzionatorio graduato in relazione a varie tipologie di
interventi edilizi al reato ambientale, per il quale il
"vulnus" all'assetto paesaggistico non è dipendente dal
grado di tali interventi (cfr. Cass. n. 30866/2001).
BOSCHI - Taglio di un bosco ceduo ed estirpazione di
ceppaie - Differenza - Ignoranza inevitabile della legge -
Esclusione - Fondamento - Fattispecie: terreno coperto da
boschi, taglio, lavori di dissodamento, livellamento e
sradicamento di ceppaie.
L'ignoranza inevitabile della legge non può essere invocata
quando colui il quale intraprende un'attività ha l'obbligo
di informarsi con diligenza sulla normativa che disciplina
quell'attività e, nel caso di dubbio, di astenersi dal porre
in essere la condotta (cfr Cass. 28397 del 2004). Nella
specie, non può essere invocata l'ignoranza inevitabile
della legge in quanto l'assenso al taglio del bosco da parte
degli agenti del Corpo forestale , dedotto come causa
dell'errore, riguardava il taglio del legname in un bosco
ceduo che è cosa diversa dall'estirpazione delle ceppaie e
quindi non può giustificare la condotta ascritta (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.04.2007 n. 13759
- link a www.ambientediritto.it). |
anno 2005 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In tema di tutela del paesaggio,
la natura di zona boscata è determinata
dalla presenza effettiva di bosco fitto di
alto fusto o di bosco rado indipendentemente
dal dato che la zona sia riportata come tale
dalla Carta tecnica regionale e in
considerazione del fatto che la nozione di
territorio coperto da bosco nella
legislazione paesaggistica deve essere
ricavata non solo in senso naturalistico ma
anche normativo, riferendosi a provvedimenti
legislativi, nazionali e regionali, ad atti
amministrativi generali o particolari,
sicché non è possibile adottare una
concezione quantitativa e restrittiva del
bosco, indipendentemente dal momento in cui
il bosco si è formato.
La coltivazione di alberi che esclude il
vincolo suddetto è soltanto quella
finalizzata esclusivamente alla produzione
di legno, svolta su terreni non
precedentemente boscati.
-
che in tema di tutela del paesaggio, la
natura di zona boscata è determinata dalla
presenza effettiva di bosco fitto di alto
fusto o di bosco rado indipendentemente dal
dato che la zona sia riportata come tale
dalla Carta tecnica regionale (Cassazione
penale, sez. III, 21.03.2006, n. 17060) e in
considerazione del fatto che la nozione di
territorio coperto da bosco nella
legislazione paesaggistica deve essere
ricavata non solo in senso naturalistico ma
anche normativo, riferendosi a provvedimenti
legislativi, nazionali e regionali, ad atti
amministrativi generali o particolari,
sicché non è possibile adottare una
concezione quantitativa e restrittiva del
bosco, indipendentemente dal momento in cui
il bosco si è formato (Cass. Sez. III,
02.07.1994 e Sez. III 26.03.1997);
- Ritenuto, infatti, che la coltivazione di
alberi che esclude il vincolo suddetto è
soltanto quella finalizzata esclusivamente
alla produzione di legno, svolta su terreni
non precedentemente boscati, il che non
risulta nel caso di specie (cfr. Trib.
Livorno, 16.12.2002)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 24.08.2005 n. 4122 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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