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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
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66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
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90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
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93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
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97-RUDERI
98-
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dossier BOSCO
anno 2020

EDILIZIA PRIVATAVincolo paesaggistico ex lege per le aree boscate.
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Paesaggio – Tutela – Vincolo paesaggistico – Aree boscate – Presupposto – Individuazione.
  
Urbanistica – Piano paesaggistico territoriale – Bosco – Individuazione.
  
Il vincolo paesaggistico ex lege per le aree boscate presuppone a monte la sussistenza in natura del bosco, così come definito dal legislatore, e a valle, in ragione della natura del vincolo, il provvedimento certativo adottato dall'autorità amministrativa competente che ne attesti, con efficacia ex tunc, l'effettiva esistenza (1).
  
E’ legittimo il Piano paesaggistico territoriale (PPTR) che classifica una intera area come “bosco” includendo in tale classificazione anche particelle sulle quali sono stati realizzati fabbricati, previo rilascio del permesso di costruire, e ciò in quanto tali particelle non possono essere considerate avulse dall’intero contesto; né la zonizzazione come bosco è contraddetta dalla parziale assenza di vegetazione boschiva, atteso che dal combinato disposto degli artt. 3 e 4, d.lgs. n. 34 del 2018 e 149, d.lgs. 42 del 2004 si evince l’assimilazione al bosco sia delle aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva, sia delle radure e di tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 mq che interrompono la continuità del bosco (1).
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   (1) La Sezione ha ricordato che sulla nozione di bosco vi è un orientamento consolidato nella giurisprudenza nazionale. Infatti, ormai da anni, si ritiene che la nozione di "bosco", richiamata ai fini della tutela paesaggistica è, in principio, nozione normativa perché fa espresso riferimento alla definizione oggi dettata dagli artt. 3 e 4, d.lgs. n. 34 del 2018, postulanti la presenza di un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da vegetazione forestale arborea e -tendenzialmente almeno- da arbusti sottobosco ed erbe.
In particolare, il giudice amministrativo ha affermato che un bosco rappresenta un sistema vivente complesso insediato in modo tale da essere in grado di autorigenerarsi, così dissipando del tutto l'idea che per bosco debba intendersi l'insieme monocultura di alberi destinati, ad esempio, alla produzione di legname (Cons. Stato, sez. IV, 04.03.2019 n. 1462). Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. Corte cost. n. 201 del 2018) rammenta che l'art. 149, d.lgs. 42 del 2004 ha escluso dall'ambito di applicazione dell'autorizzazione paesaggistica proprio le attività, quali il taglio colturale, che rappresentano attività di gestione e di manutenzione ordinaria della aree boscate. Ciò a riprova del fatto che la nozione di bosco non è in alcun modo riducibile a quella di un insieme di alberi (Cons. Stato, sez. VI, 02.12.2019, n. 8242).
Sempre in tema di definizione di bosco, accanto alla nozione normativa di bosco, la giurisprudenza fa riferimento ad una nozione sostanziale perché la finalità di tutela del paesaggio, sottesa alla nozione di bosco, implica il rispetto della ragionevolezza e della proporzionalità in relazione a tale finalità, con la conseguenza che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità” (Cons. Stato, sez. V, 10.08.2016 n. 3574); il che equivale a dire che la nozione normativa di bosco, per la giurisprudenza, deve essere affiancata da una nozione sostanziale perché essa è finalizzata all’apposizione del vincolo di tutela paesaggistica.
La Corte di Cassazione, in sede penale, con sentenza sez. III, 17.10.2019, n. 9402, ha poi aggiunto che solo le Regioni possono, nell'ambito della potestà legislativa concorrente in subiecta materia, integrare per addizione o sottrazione, la definizione di area boschiva assunta dalla legge nazionale, aggiungendo o escludendo da essa determinate aree; conseguentemente una volta accertata la natura boschiva di un'area, il vincolo paesaggistico derivante ex lege dall’art. 142, d.lgs. n. 42 del 2004 produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali.
Il vincolo paesaggistico ex lege per le aree boscate presuppone, dunque, a monte la sussistenza in natura del bosco, così come definito dal legislatore, e a valle, in ragione della natura del vincolo, il provvedimento certativo adottato dall'autorità amministrativa competente che ne attesti con efficacia ex tunc l'effettiva esistenza (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 04.12.2020 n. 1962 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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PARERE
3. La Sezione ritiene opportuno premettere brevemente il quadro normativo e giurisprudenziale che viene in rilievo in questa materia.
3.1. A livello normativo la nozione di bosco può essere desunta dal combinato disposto di alcune norme. Si ricordi che il d.lgs. 22.01.2004, n. 42 -“Codice dei beni culturali e del paesaggio”– all’articolo 134, relativo ai beni paesaggistici, al comma 1, lett. b), dispone che sono beni paesaggistici, tra gli altri, anche le aree indicate all'articolo 142.
Quest’ultimo articolo, dedicato alle “aree tutelate per legge”, al primo comma, lett. g), prevede che fino all'approvazione del piano paesaggistico sono comunque sottoposti alle disposizioni per il loro interesse paesaggistico “i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18.05.2001, n. 227”.
L’articolo 142 rimanda, dunque, alla nozione recepita dal legislatore nazionale con l’articolo 2 (“Definizione di bosco e di arboricoltura da legno”) del d.lgs. n. 227/2001 che tuttavia è stato abrogato dal d.lgs. n. 34/2018.
Tale ultimo decreto, all’articolo 3, comma 3, definisce bosco “le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento”. Al successivo articolo 4, “Aree assimilate a bosco”, il legislatore assimila a bosco, tra l’altro, “le radure e tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco, non riconosciute come prati o pascoli permanenti o come prati o pascoli arborati” (comma 1 lett. e).
L’articolo 143 del codice dei beni culturali e del paesaggio si occupa, infine, del piano paesaggistico e dispone al comma 1, per quanto di interesse, che l'elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: a) ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, mediante l'analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse dalla natura, dalla storia e dalle loro interrelazioni, ai sensi degli articoli 131 e 135; b) ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell' articolo 136; c) ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell' articolo 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione di prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione; d) eventuale individuazione di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico a termini dell' articolo 134 , comma 1, lettera c); e) individuazione di eventuali, ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all'articolo 134 , da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione; f) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio; g) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree; h) individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio; i) individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità, a termini dell' articolo 135 , comma 3.
3.2.
Sulla nozione di bosco vi è un orientamento consolidato nella giurisprudenza nazionale. Infatti, ormai da anni, si ritiene che la nozione di "bosco", richiamata ai fini della tutela paesaggistica è, in principio, nozione normativa perché fa espresso riferimento alla definizione oggi dettata dagli articoli 3 e 4 del d.lgs. n. 34/2018, postulanti la presenza di un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da vegetazione forestale arborea e -tendenzialmente almeno- da arbusti sottobosco ed erbe.
In particolare, il giudice amministrativo ha affermato che un bosco rappresenta un sistema vivente complesso insediato in modo tale da essere in grado di autorigenerarsi, così dissipando del tutto l'idea che per bosco debba intendersi l'insieme monocultura di alberi destinati, ad esempio, alla produzione di legname
(Cons. Stato, sez. IV, 04.03.2019 n. 1462).
Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. Corte cost., n. 201/2018) rammenta che l'art. 149 d.lgs. 42/2004 ha escluso dall'ambito di applicazione dell'autorizzazione paesaggistica proprio le attività, quali il taglio colturale, che rappresentano attività di gestione e di manutenzione ordinaria della aree boscate. Ciò a riprova del fatto che la nozione di bosco non è in alcun modo riducibile a quella di un insieme di alberi (così Consiglio di Stato, sez. VI, 02.12.2019, n. 8242).
Sempre in tema di definizione di bosco, accanto alla nozione normativa di bosco, la giurisprudenza fa riferimento ad una nozione sostanziale perché la finalità di tutela del paesaggio, sottesa alla nozione di bosco, implica il rispetto della ragionevolezza e della proporzionalità in relazione a tale finalità, con la conseguenza che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità (Cons. Stato, sez. V, 10.08.2016 n. 3574); il che equivale a dire che la nozione normativa di bosco, per la giurisprudenza, deve essere affiancata da una nozione sostanziale perché essa è finalizzata all’apposizione del vincolo di tutela paesaggistica.
La Corte di Cassazione
, in sede penale, con sentenza sez. III, 17.10.2019, n. 9402, ha poi aggiunto che solo le Regioni possono, nell'ambito della potestà legislativa concorrente in subiecta materia, integrare per addizione o sottrazione, la definizione di area boschiva assunta dalla legge nazionale, aggiungendo o escludendo da essa determinate aree; conseguentemente una volta accertata la natura boschiva di un'area, il vincolo paesaggistico derivante ex lege dal d.lgs. n. 42 del 2004, art. 142, produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali.
Il vincolo paesaggistico ex lege per le aree boscate presuppone, dunque, a monte la sussistenza in natura del bosco, così come definito dal legislatore, e a valle, in ragione della natura del vincolo, il provvedimento certativo adottato dall'autorità amministrativa competente che ne attesti con efficacia ex tunc l'effettiva esistenza.

4. Venendo all’esame delle doglianze di parte ricorrente, con un unico motivo di ricorso, sostanzialmente si deduce che nella cartografia del PPTR “la classificazione del compendio immobiliare de quo come "bosco" e come "area di rispetto dei boschi" e in stridente contrasto con la realtà fattuale dei luoghi. Ed infatti, non soltanto il bosco normativamente inteso non esiste, ma addirittura l'intera area è, da sempre, priva di coperture vegetali, ad eccezione di sporadiche essenze spontanee molto rade e distanziate tra loro. E non potrebbe essere diversamente atteso che il terreno ha natura in parte pietrosa e in parte sabbiosa e tufacea, non presentando quindi, le condizioni basilari per l'attecchimento e la riproduzione di specie vegetali” (pagina 8 del ricorso).
Il motivo è infondato.
Sul punto, la regione Puglia, nelle controdeduzioni, ha chiarito che “i rilievi per verificare la non rispondenza del bosco ai criteri previsti dalla normativa vigente in materia avrebbero dovuto riguardare l'intera area a bosco e non singole particelle”.
In sostanza, parte ricorrente ha contestato la mancata corrispondenza delle aree alla definizione normativa di bosco con esclusivo riferimento alle particelle di sua proprietà e non all’intera area individuata dal PPTRP e qualificata come bosco; le particelle, infatti, farebbero parte di una più vasta area a bosco che si sviluppa lungo la costa ed è caratterizzata da formazioni a macchia mediterranea.
Prosegue l’Amministrazione spiegando che “l'analisi del ricorrente incentrata esclusivamente sulle particelle di suo interesse sortirebbe l'effetto di suddividere le aree a bosco in tante piccole porzioni sulle quali effettuare rilievi finalizzati alla loro esclusione dal bene paesaggistica Bosco individuato nelle cartografie del PPTR, eludendo il vincolo forestale complessivo relativo all'area estesa 21 ha”.
La Regione infine chiarisce che nell’area interessata vi è “la presenza di diffusa formazione a macchia mediterranea dominata da cespugli di lentisco (Pistacia lentiscus) dalla tipica forma rotondeggiante accompagnati da altre specie tipiche della macchia mediterranea ben superiori al 20% di copertura della superficie” e smentisce, sulla base dei rilievi fotografici, la circostanza dedotta dalla ricorrente che anche i fabbricati sono stati individuati come bosco.
Osserva la Sezione che le particelle di proprietà della società ricorrente non possono essere considerate avulse dall’intero contesto e che la zonizzazione come bosco o come area di rispetto dei boschi non è contraddetta dalla parziale assenza di vegetazione boschiva. La definizione normativa contenuta nelle norme sopra riportate assimila al bosco sia le aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva, sia le radure e tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 mq che interrompono la continuità del bosco.
Attesa anche la natura discrezionale della scelta compiuta dall’amministrazione con conseguente sindacato solo per macroscopici vizi di irrazionalità o irragionevolezza, si può quindi ritenere che la decisione adottata sia esente da illegittimità.

Sul piano materiale, è accertata la presenza della macchia mediterranea che il legislatore include nella nozione di bosco e sul piano logico-giuridico è necessario assimilare al bosco anche le aree vicine, per ricostituire e salvaguardare la continuità delle aree boscate.
Pertanto, è del tutto coerente che, come provato dall'amministrazione regionale, l'area in questione sia gravata da un vincolo boschivo.

5. Conclusivamente, per le considerazioni sino a qui espresse, il Consiglio esprime parere nel senso che il ricorso vada respinto (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 04.12.2020 n. 1962 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATALa natura “artificiale” del bosco, infatti, non esclude a priori la speciale tutela accordata dal d.lgs. 42/2004, con possibilità per l'Amministrazione, in sede di pianificazione, di dare rilievo alle superfici boschive oramai esistenti in loco.
L'art. 142, lett. g), comma 1, del Codice Urbani, invero, nel prevedere genericamente quali beni paesaggistici "i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18.05.2001, n. 227", di fatto non limita l'operatività del relativo regime normativo alla vegetazione spontanea.
Ai sensi della norma da ultimo citata, infatti, "Nelle more dell'emanazione delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d'arboricoltura da legno di cui al comma 5 ivi comprese, le formazioni forestali di origine artificiale realizzate su terreni agricoli a seguito dell'adesione a misure agro ambientali promosse nell'ambito delle politiche di sviluppo rurale dell'Unione europea una volta scaduti i relativi vincoli, i terrazzamenti, i paesaggi agrari e pastorali di interesse storico coinvolti da processi di forestazione, naturale o artificiale, oggetto di recupero a fini produttivi. Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti".
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Il Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce con efficacia vincolante i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio (sia contenute in un atto di pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali) secondo un modello di prevalenza delle prime sulle seconde.
La natura sovraordinata del PPTR rispetto alla pianificazione urbanistica discende, infatti, dalla piana interpretazione del codice Urbani secondo cui "Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette” (art. 145, comma 3, Dlgs 42/2004).
Di qui gli obblighi conformativi posti a carico dei Comuni degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione (art. 145, comma 4, Dlgs 42/2004).
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12. Ciò posto, è oggetto di contestazione non già l’esistenza in rerum natura del bosco ma solo la natura non spontanea dello stesso che, nella prospettazione di parte ricorrente, non consentirebbe l’imposizione del vincolo.
12.1.La tesi, tuttavia, non può essere condivisa.
12.2. La natura “artificiale” del bosco, infatti, non esclude a priori la speciale tutela accordata dal d.lgs. 42/2004, con possibilità per l'Amministrazione, in sede di pianificazione, di dare rilievo alle superfici boschive oramai esistenti in loco (Tar Bari, sez. III, n. 03.01.2019 n. 7, Cons. Stato, sez. VI, 29.05.2013 n. 1815; Id., sez. IV, 18.11.2013 n. 5452).
12.3. L'art. 142, lett. g), comma 1, del Codice Urbani, invero, nel prevedere genericamente quali beni paesaggistici "i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18.05.2001, n. 227", di fatto non limita l'operatività del relativo regime normativo alla vegetazione spontanea.
Ai sensi della norma da ultimo citata, infatti, "Nelle more dell'emanazione delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d'arboricoltura da legno di cui al comma 5 ivi comprese, le formazioni forestali di origine artificiale realizzate su terreni agricoli a seguito dell'adesione a misure agro ambientali promosse nell'ambito delle politiche di sviluppo rurale dell'Unione europea una volta scaduti i relativi vincoli, i terrazzamenti, i paesaggi agrari e pastorali di interesse storico coinvolti da processi di forestazione, naturale o artificiale, oggetto di recupero a fini produttivi. Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti".
12.4. Tale essendo il contenuto della disciplina applicabile alla fattispecie, non risultano, nel caso in esame, né errate né irragionevoli le determinazioni regionali adottate a seguito della ricognizione delle aree boscate in questione, tenuto conto delle specifiche censure e dell’impianto complessivo del ricorso introduttivo.
12.5. In primo luogo, infatti, va evidenziato che le ricorrenti non hanno specificamente contestato le dimensioni della superficie boscata come rilevata dalla Regione (ai fini della rispondenza dell’area ai relativi parametri normativi).
12.5. Se è vero, poi, che l’area in questione (che dai rilievi fotografici di parte appare come una folta ed alta pineta) è coperta prevalentemente dalle piante di pino d’Aleppo, è altrettanto provata in atti (cfr. consulenza tecnica di parte) la presenza di ulteriori formazioni arboree (piante di cipresso ed eucalipto).
12.6. Lo stesso consulente di parte ricorrente, poi, qualifica il pino di Aleppo come specie indigena presente comunque nel territorio della Puglia (pag. 9), nonché pianta a rapido accrescimento e “pioniera”, cioè in grado di adattarsi anche a fattori ambientali estremi, sì da non potersi escludere –contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente- la capacità di rinnovamento spontaneo e, quindi, il carattere permanente del bosco, ancorché di origine non spontanea (in senso conforme con riferimento alla presenza del Pino di Aleppo nel territorio salentino, cfr: TAR Lecce sez. I, 04/05/2017, n. 670).
12.7. Ora, è proprio il consulente di parte ricorrente a chiarire che l’area boscata in questione non è inidonea in sé a produrre sottobosco in quanto l’assenza dello stesso è imputabile a sistematiche operazioni di sarchiatura praticate annualmente, ancorché non sia stata provata in giudizio la legittima destinazione ad arboricoltura.
13. Posto, quanto sopra, non rileva l’asserita vocazione edificatoria e l’operatività del Piano di rigenerazione urbana con riferimento ai suoli oggetto di causa (aspetti, peraltro, entrambi rimasti comunque non sufficientemente provati nel presente giudizio), in quanto il Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce con efficacia vincolante i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio (sia contenute in un atto di pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali) secondo un modello di prevalenza delle prime sulle seconde (ex multis, TAR Napoli, sez. VII, 24/12/2018, n. 7322).
13.1 La natura sovraordinata del PPTR rispetto alla pianificazione urbanistica discende, infatti, dalla piana interpretazione del codice Urbani secondo cui "Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette” (art. 145, comma 3, Dlgs 42/2004).
Di qui gli obblighi conformativi posti a carico dei Comuni degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione (art. 145, comma 4, Dlgs 42/2004).
14. Per quanto concerne, infine, la dedotta deroga dei c.d. "Territori costruiti" di cui all'art. 1.03, comma 5, del PUTT/P, in disparte la genericità e astrattezza della censura formulata, la circostanza risulta del tutto irrilevante in sede di pianificazione regionale, potendo eventualmente incidere solo sulle future autorizzazioni edilizie e paesaggistiche (in termini TAR Lecce, sez. I, 04/11/2019, n. 1683).
15. Alla luce delle superiori considerazioni il ricorso deve essere respinto siccome infondato (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 04.08.2020 n. 1073 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATADeroga all’annullamento ex tunc dell’atto impugnato: il Piano antincendio della Toscana.
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Processo amministrativo – Decisione – Di accoglimento – Effetti ex tunc – Deroga – Possibilità.
La regola dell'annullamento con effetti ex tunc dell'atto impugnato può essere derogata allorché, nel caso di atti normativi o generali, l’annullamento dell’atto possa generare una condizione amministrativa di vuoto regolatorio, tale da determinare effetti peggiorativi della posizione giuridica tutelata col ricorso, nel senso di pregiudicare, anziché proteggere, il bene della vita che l’interessato aspira a conseguire o mantenere (1).
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   (1) La Sezione ha accolto il ricorso nella parte in cui si considerano paesaggisticamente irrilevanti -e perciò sottratti alla preventiva autorizzazione- tutti gli interventi previsti, omettendo un'adeguata analisi e valutazione dell'impatto paesaggistico, e nella parte in cui la valutazione di incidenza sui siti della rete Natura 2000 interessati dalle misure è carente nell'istruttoria e nelle motivazioni, oltre che corredata da semplici raccomandazioni di buona esecuzione degli interventi prive della consistenza di prescrizioni integrative.
La Sezione però -nel particolare caso in esame- consapevole dell'importanza del piano antincendi predisposto dalla Regione e dell'inizio della stagione estiva, innovando la giurisprudenza sul punto, ha differito l'annullamento di 180 giorni per consentire alle amministrazioni l'adozione di un nuovo Piano senza rinunciare alla lotta agli incendi nel periodo estivo.
In particolare dovranno essere adottate tutte le misure per mettere in sicurezza il sito e dovranno essere posti in essere gli interventi improcrastinabili e indifferibili relativi ad aree -soprattutto vicine ad insediamenti antropici- che presentano rischi elevati (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 30.06.2020 n. 1233 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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PARERE
1. Il ricorso è in parte fondato e deve pertanto essere accolto, nei limiti di seguito precisati.
2. È incontroverso tra le parti che la Pineta del Tombolo, oggetto del piano specifico di prevenzione AIB per il comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia, oggetto di lite, previsto nella delibera di giunta della Regione Toscana n. 355 del 18.03.2019, è sottoposta a vincolo paesaggistico di tipo provvedimentale (ai sensi dell'articolo 136 del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, giusta sei decreti ministeriali degli anni dal 1958 al 1967), è inserita nel piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico della Regione Toscana e ricade nella rete ecologica europea denominata “Natura 2000” [ZSC/ZPS Tombolo da Marina di Grosseto a Castiglione della Pescaia (IT51A0012), ZSC/ZPS Diaccia Botrona (IT51A0011) e ZSC punta Ala e Isolotto dello Sparviero (IT51A0007)].
3. È altresì incontroverso in atti che il piano specifico di prevenzione AIB oggetto di lite prevede, in sintesi, come denunciato dalle associazioni ricorrenti e riferito nella relazione ministeriale, il taglio di circa il 70% dei pini esistenti e di circa l’80% della vegetazione arbustiva del sottobosco.
Nella memoria difensiva regionale (pag. 7) si afferma che “È da sottolineare che le aree soggette agli interventi strategici, contrariamente a quanto riportato nel presente ricorso, non arrivano nemmeno al 15% della superficie totale complessiva dell'area considerata, da trattarsi nei 10 anni di validità del Piano ed impossibile che si verifichi la lamentata scomparsa delle aree di Rete Natura 2000”. Ma tale rilievo non contesta tuttavia quanto affermato in ricorso, riguardo alle percentuali di pini e di sottobosco destinati al taglio, sia pur limitatamente alle aree interessate dagli interventi programmati.
Il piano, inoltre, qualifica espressamente gli interventi previsti come “non soggetti ad autorizzazione paesaggistica”, ai sensi dell’articolo 149 del citato d.lgs. n. 42 del 2004, la cui lettera b) del comma 1 esclude la necessità dell’autorizzazione paesaggistica per gli “interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio”.
4. Il piano specifico di prevenzione AIB oggetto di lite costituisce uno strumento introdotto dalla legge regionale della Toscana 20.03.2018, n. 11, pubblicata nel B.U. Toscana 26.03.2018, in vigore dal 10.04.2018, che, con l’articolo 12, aggiunge nella legge regionale forestale della Toscana 21.03.2000, n. 39 un nuovo articolo 74-bis del seguente tenore: “Piani specifici di prevenzione AIB. 1. Nelle aree individuate dal piano AIB sono approvati dalla Giunta regionale i piani specifici di prevenzione AIB riferiti a un periodo minimo di dieci anni. Il piano specifico di prevenzione può essere aggiornato nell'arco temporale della sua validità. Il regolamento forestale disciplina le modalità per la realizzazione dei piani specifici di prevenzione AIB”.
Nella relazione ministeriale si riferisce che questo “piano specifico di prevenzione AIB” costituisce un piano operativo di prevenzione, riferito alle aree “ritenute ad alto rischio per l'intensificarsi di fenomeni dovuti agli incendi boschivi, stante le mutate condizioni climatiche e l'acuirsi di fenomeni estremi che negli ultimi anni hanno colpito anche il territorio toscano”, basato sul regime storico degli incendi boschivi ricorrenti in un determinato comprensorio territoriale, al fine di individuare e gestire i punti strategici dove realizzare adeguati interventi di prevenzione per contenere gli incendi boschivi, entro la capacità di estinzione del sistema e per salvaguardare l'incolumità pubblica e l'ambiente naturale.
In questa prima fase sono stati individuati venti comprensori territoriali -soggetti ad alto rischio incendi boschivi, espressi in termini di frequenza, vulnerabilità e pericolosità potenziale- per i quali la Regione ha ritenuto opportuno procedere prioritariamente con la predisposizione, entro la fine del 2020, di altrettanti piani specifici di prevenzione AIB.
5. Quasi contemporaneamente alla emanazione della legge regionale n. 11 del 2018 è intervenuto a livello di legislazione statale il nuovo d.lgs. 03.04.2018, n. 34, recante il Testo unico in materia di foreste e filiere forestali, pubblicato nella Gazz. Uff. 20.04.2018, n. 92 ed entrato in vigore il 05.05.2018.
È indispensabile ai fini dell’esame dei motivi di ricorso svolgere una breve descrizione del quadro normativo come ridefinito dal suddetto d.lgs. n. 34 del 2018.
5.1.
È ormai un dato acquisito nella dottrina e nella giurisprudenza che il patrimonio forestale nazionale reca in sé ed esprime una pluralità di valori, interessi, beni, che chiamano in causa plurimi campi di materia e titoli di potestà legislativa, essendo ormai superata la tradizionale visione che relegava questo settore al solo campo dell’agricoltura (silvicoltura).
È dunque pacifico che, oggi, il patrimonio forestale nazionale intreccia titoli di competenza statale [in particolare, quelli di cui alla lettera s) del comma 2 dell’articolo 117, Cost.: tutela dell’ambiente e del paesaggio, in quanto componente del patrimonio culturale] e di competenza concorrente Stato-regioni, in particolare le politiche agricole contemplate dal comma 3 del citato articolo 117, Cost.
Lo stesso articolo 1 del d.lgs. n. 34 del 2018
(“Principi”) non manca di esplicitare che “La Repubblica riconosce il patrimonio forestale nazionale come parte del capitale naturale nazionale e come bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere delle generazioni presenti e future (comma 1) e che lo Stato e le regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, perseguono il “fine di riconoscere il ruolo sociale e culturale delle foreste, di tutelare e valorizzare il patrimonio forestale, il territorio e il paesaggio nazionale, rafforzando le filiere forestali e garantendo, nel tempo, la multifunzionalità e la diversità delle risorse forestali, la salvaguardia ambientale, la lotta e l'adattamento al cambiamento climatico, lo sviluppo socio-economico delle aree montane e interne del Paese (comma 3).
Coerentemente, nell’articolo 2 (“Finalità”) sono enumerati scopi sia di tipo conservativo-ambientale ([lettera a) del comma 1: “garantire la salvaguardia delle foreste nella loro estensione, distribuzione, ripartizione geografica, diversità ecologica e bio-culturale”], sia di tipo economico-produttivo [ad es., le lett. b) e c): “promuovere la gestione attiva e razionale del patrimonio forestale nazionale al fine di garantire le funzioni ambientali, economiche e socio-culturali; promuovere e tutelare l'economia forestale, l'economia montana e le rispettive filiere produttive ... etc.”].
5.2. Conseguentemente, nella premessa al testo dell’articolato vi è un generico richiamo all’articolo 117 della Costituzione, ma sono significativamente richiamati sia il d.lgs. 22.01.2004, n. 42, recante codice dei beni culturali e del paesaggio, sia il decreto d.lgs. 03.04.2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, ed è stata acquisita l'intesa della Conferenza unificata, espressa nella seduta dell'11.01.2018.
Non può pertanto condividersi la tesi svolta nella memoria difensiva regionale, secondo la quale “il d.lgs. n. 34 del 2018 (Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali) non ha altresì innovato la legge n. 353 del 2000 (Legge quadro sugli incendi boschivi) in quanto tratta di materie diverse”, poiché “il d.lgs. n. 34 del 2018 ha carattere di norma di orientamento facendo salve le competenze esclusive della Regione sancite dalla Costituzione”.
In realtà, il nuovo testo unico, aggiornando la normativa nazionale al mutato quadro interpretativo e alle più recenti acquisizioni sulle valenze ambientali e paesaggistiche del patrimonio forestale, ha largamente superato la vecchia impostazione (risalente alla seconda metà del secolo scorso, il cui precipitato giuridico conclusivo si era depositato nel d.lgs. 31.03.1998, n. 112), che configurava il bosco come una mera risorsa agricola in un’ottica di sfruttamento economico, cui era legata la competenza legislativa regionale concorrente nella tradizionale materia della “agricoltura e foreste” dell’originario testo dell’articolo 117 della Costituzione (materia da intendersi nella sua proiezione esclusivamente economica, oggi rifluita nella potestà legislativa residuale regionale, di cui al comma 4 dell’articolo 117 della Costituzione, nel testo novellato con la riforma del 2001).
5.3. Il d.lgs. n. 34 del 2018, in considerazione di questo inestricabile intreccio di valori-beni-interessi espressi dal patrimonio forestale e delle annesse e conseguenti competenze normative e amministrative, ha avuto cura di costruire un sistema volto ad assicurare che tutti i diversi (e a volte confliggenti) interessi generali-pubblici messi in gioco dal tema della gestione del patrimonio forestale fossero adeguatamente rappresentati, acquisiti e valutati nei procedimenti attuativi, al fine di garantire, per quanto possibile, un ragionevole equilibrio tra le esigenze gestionali, anche di tipo economico-produttivo, e quelle di tutela ambientale e paesaggistica.
5.4. In particolare, come bene illustrato anche negli scritti difensivi delle parti, il decreto legislativo prevede un complesso percorso attuativo che si snoda attraverso i seguenti passaggi essenziali:
   a) l’adozione, da parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, d'intesa con la Conferenza unificata ed in coordinamento, per quanto di rispettiva competenza, con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di appositi atti di indirizzo e coordinamento delle attività necessarie a garantire il perseguimento unitario e su tutto il territorio nazionale delle finalità enunciate nel decreto legislativo;
   b) l’adozione, con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, adottato di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministro dello sviluppo economico e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, di una “Strategia forestale nazionale” (art. 6, Programmazione e pianificazione forestale), che definisce, con validità ventennale soggetta a revisione e aggiornamento quinquennale, gli indirizzi nazionali per la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva del patrimonio forestale nazionale e per lo sviluppo del settore e delle sue filiere produttive, ambientali e socio-culturali;
   c) l’adozione da parte delle Regioni, in coerenza con la Strategia forestale nazionale, di Programmi forestali regionali per individuare i propri obiettivi e definire le relative linee d'azione;
   d) la predisposizione da parte delle Regioni, nell'ambito di comprensori territoriali omogenei, di piani forestali di indirizzo territoriale, che “concorrono alla redazione dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 145 del medesimo decreto legislativo”;
   e) la promozione, da parte delle Regioni, della redazione di piani di gestione forestale o di strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, quali strumenti indispensabili a garantire la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva delle risorse forestali (per i quali è richiesto il parere del Soprintendente, salvo che per la parte inerente la realizzazione o l'adeguamento della viabilità forestale di cui al punto A.20 dell'Allegato A del d.P.R. 13.02.2017, n. 31, ove i piani di gestione forestale siano conformi ai piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3 dell’art. 6).
5.5. I commi 6 e 7 dell’articolo 6 del d.lgs. n. 34 del 2018 prevedono che gli strumenti pianificatori sopra indicati (i piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3 e i piani di gestione forestale, o strumenti equivalenti, di cui al comma 6) debbano essere conformi ai “criteri minimi nazionali di elaborazione” da adottarsi con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, al fine di armonizzare le informazioni e permetterne una informatizzazione su scala nazionale, con previsione dell’obbligo delle regioni di adeguarsi alle suddette disposizioni entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto.
Il comma 8 dell’articolo 6 del d.lgs. n. 34 del 2018 prevede, inoltre, che le regioni, in conformità a quanto statuito al comma 7, definiscono i criteri di elaborazione, attuazione e controllo dei piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3 e dei piani di gestione forestale o strumenti equivalenti di cui al comma 6, definiscono, altresì, i tempi minimi di validità degli stessi e i termini per il loro periodico riesame, garantendo che la loro redazione e attuazione venga affidata a soggetti di comprovata competenza professionale, nel rispetto delle norme relative ai titoli professionali richiesti per l'espletamento di tali attività.
6. Di particolare rilievo, ai fini della decisione della controversia in esame, sono infine le previsioni contenute nei commi 12 e 13 dell’articolo 7 (“Disciplina delle attività di gestione forestale”) del d.lgs. n. 34 del 2018: “12. Con i piani paesaggistici regionali, ovvero con specifici accordi di collaborazione stipulati tra le regioni e i competenti organi territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell'articolo 15 della legge 07.08.1990, n. 241, vengono concordati gli interventi previsti ed autorizzati dalla normativa in materia, riguardanti le pratiche selvicolturali, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione, da eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, e ritenuti paesaggisticamente compatibili con i valori espressi nel provvedimento di vincolo. Gli interventi di cui al periodo precedente, vengono definiti nel rispetto delle linee guida nazionali di individuazione e di gestione forestale delle aree ritenute meritevoli di tutela, da adottarsi con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei beni delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
13. Le pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), eseguiti in conformità alle disposizioni del presente decreto ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42
”.
7. Così definito e chiarito il quadro giuridico di riferimento, è ora possibile procedere alla trattazione dei singoli motivi di ricorso.
8. Con il primo motivo le associazioni ricorrenti assumono che i piani AIB impugnati si porrebbero in violazione della legge nazionale e del riparto di competenze stabilito dalla Costituzione in materia di antincendio boschivo per i vari profili ambientali, paesaggistici, sanitari, di protezione civile oltre che forestali in esso coinvolti. La Regione Toscana non avrebbe quindi potuto adottare un piano antincendio boschivo specifico prima del completamento del quadro normativo attuativo nazionale, come previsto dal d.lgs. n. 34 del 2018.
In ogni caso, il piano specifico in oggetto sarebbe stato approvato in violazione della stessa legge regionale forestale n. 39 del 2000 (come modificata dalla legge regionale 20.03.2018, n. 11, che per la prima volta ha introdotto lo strumento dei piani specifici), il cui articolo 74-bis prevede che un piano specifico di prevenzione AIB può essere approvato solo se esista un presupposto vigente piano AIB che ne abbia individuato l’area, piano generale che, al momento dell’approvazione del piano specifico, non era in vigore.
La tesi di parte ricorrente non è condivisibile, poiché lo stesso articolo 17 del decreto legislativo da essa invocato, recante le disposizioni applicative e transitorie, nel prevedere che “nelle more dell'adozione dei decreti ministeriali e delle disposizioni di indirizzo elaborate ai sensi del presente decreto restano valide le eventuali normative di dettaglio nazionali e regionali vigenti” (comma 2), fa salva, contrariamente all’assunto delle associazioni ricorrenti, la previsione della legge regionale n. 11 del 2018 e i piani specifici di prevenzione AIB in forza di tale nuova legge adottati (tra i quali vi è quello qui oggetto di lite).
Parimenti non condivisibile deve giudicarsi la tesi secondo la quale il piano specifico di prevenzione AIB relativo alla Pineta del Tombolo sarebbe illegittimo in quanto adottato prima del piano AIB pluriennale generale 2019-2021, che doveva costituire il suo presupposto, approvato dalla giunta regionale solo successivamente, in data 23.04.2019.
In senso contrario persuade la tesi difensiva secondo la quale il piano AIB “generale” preesisteva, nel sistema normativo regionale, alla novella introdotta dalla legge regionale n. 11 del 2018, poiché già la legge forestale della Toscana n. 39 del 2000 prevedeva, nell’articolo 74, la “Pianificazione dell'AIB”.
Era dunque già vigente, all’atto dell’adozione della delibera di giunta n. 355 del 18.03.2019, il precedente piano AIB 2014-2016 approvato con delibera di giunta n. 50 del 28.01.2014, variamente prorogato fino al 2019. Inoltre, come evidenziato nelle difese regionali, il nuovo piano AIB è intervenuto dopo pochi giorni rispetto al piano specifico relativo alla Pineta del Tombolo e lo ha sostanzialmente recepito, con un indiretto effetto, ove necessario, di sanatoria.
La stessa delibera n. 355 del 18.03.2020 dà inoltre conto, nelle premesse, “che sono in corso le attività di redazione del testo definitivo del nuovo piano AIB che, come previsto all’articolo 74-bis, comma 1, individua le aree soggette ad alto rischio incendi boschivi, espresso in termini di frequenza, vulnerabilità e pericolosità potenziale”, ed ha espressamente valutato, in modo non irragionevole, “la necessità di dover procedere, nelle more dell’approvazione del suddetto piano AIB, alla realizzazione di uno specifico piano di prevenzione del rischio incendi boschivi per il comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia che presenta un’alta incidenza e pericolosità relativa al fenomeno degli incendi boschivi”.
9. Il secondo motivo di ricorso introduce due distinte censure: la mancata sottoposizione a VAS e la ritenuta non necessità di controllo paesaggistico degli interventi. Tali censure devono essere partitamente esaminate, essendo infondata la prima e in parte fondata la seconda.
10. Sotto un primo profilo, le associazioni ricorrenti, con il secondo motivo in esame, hanno censurato gli atti gravati per la omessa valutazione ambientale strategica (VAS, ai sensi degli articoli 5, 11 e 15 del d.lgs. n. 152 del 2006), a loro dire necessaria (in luogo del mero studio di incidenza con valutazioni relative ai SIC/ZPS ai sensi delle direttive Natura 2000 “habitat” e “uccelli” esperito dalla Regione) giusta la previsione dell’articolo 5, comma 2, lett. a), della legge regionale della Toscana 12.02.2010, n. 10.
La norma, riproducendo peraltro il testo della legge nazionale [art. 6, comma 2, lettera a) del d.lgs. n. 152 del 2006], impone la sottoposizione a VAS, tra gli altri, dei piani e dei programmi elaborati per i settori agricolo e forestale e prevede la VAS obbligatoria [lett. b)] anche per “i piani e i programmi per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e di quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione di incidenza, ai sensi dell'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 08.09.1997, n. 357”, come invero avvenuto nel caso di specie.
L’assunto non è condiviso dalla Sezione.
Deve infatti ritenersi fondata la replica regionale, che invoca l’eccezione costituita dalla previsione della lettera c-bis) del comma 4 dell’articolo 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, [“Sono comunque esclusi dal campo di applicazione del presente decreto:… c-bis) i piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, redatti secondo i criteri della gestione forestale sostenibile e approvati dalle regioni o dagli organismi dalle stesse individuati”] ed evidenzia come il piano specifico di prevenzione AIB costituisce uno strumento equivalente al piano di gestione forestale, in quanto contiene gli interventi selvicolturali e le opere necessarie alla prevenzione AIB, ed è redatto secondo i criteri della gestione forestale sostenibile.
10.1. Aggiunge al riguardo il Ministero che, per i siti compresi nella rete ecologica europea denominata “Natura 2000” [Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone speciali di Conservazione (ZSC), di cui alla direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche (“Direttiva Habitat”); Zone di Protezione Speciale (ZPS) previste dalla direttiva 79/409/CEE, ora 2009/147/CE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (“Direttiva Uccelli”)], disciplinati, a livello di normativa nazionale, dal d.P.R. 08.09.1997, n. 357, dalla legge 11.02.1992, n. 157, dai decreti ministeriali 03.09.2002 (recante “Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000”) e 17.10.2007 (relativo ai criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative di detti siti), qualsiasi piano o progetto che possa pregiudicare significativamente il sito non può essere autorizzato senza una preventiva valutazione della sua incidenza (articolo 6, comma 3, della direttiva habitat).
Nel caso di specie risulta formalmente svolto uno studio di incidenza per la realizzazione del piano oggetto di lite, ciò che -in disparte la questione della sufficienza di tale studio di incidenza, che costituisce l’oggetto di una separata e autonoma censura di parte ricorrente- consentirebbe di giudicare rispettati i canoni normativi invocati a parametro di legittimità dalle associazioni ricorrenti.
10.2. Benché lo stesso disposto normativo dell’articolo 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 rechi in sé un elemento di interna contraddittorietà tra il comma 2 e la lettera c-bis) del comma 4 (aggiunta, senza un adeguato coordinamento, dall'art. 4-undecies, comma 1, del d.l. 03.11.2008, n. 171, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.12.2008, n. 205), tuttavia, seguendo in ciò l’impostazione sottesa alla relazione ministeriale che privilegia il profilo di conformità comunitaria, può pervenirsi alla soluzione negativa della necessità nella fattispecie della previa VAS.
Ed invero l’articolo 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 da un lato afferma che è necessaria la VAS “per tutti i piani e i programmi che sono elaborati ... per i settori agricolo, forestale, ... etc.” [comma 2, lett. a)] e che tale valutazione è altresì necessaria per i piani e i programmi che presentano “possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici ... etc.” [lett. b)]; dall’altro lato, afferma che sono comunque esclusi dalla VAS “i piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, redatti secondo i criteri della gestione forestale sostenibile e approvati dalle regioni o dagli organismi dalle stesse individuati” (comma 4, lettera c-bis).
Onde l’evidente contraddizione con il combinato disposto delle lettere a) e b) del comma 2, poiché pressoché tutti i siti della rete “Natura 2000” sono “di livello locale” e dunque, dovendo prevalere la ora detta lettera c-bis) in quanto disposizione speciale-derogatoria, nessun piano o programma di gestione forestale o strumento equivalente, ancorché molto impattante su uno di tali siti, essendo inevitabilmente di livello locale, potrà mai essere sottoposto a VAS [il che svuota di senso, in una parte consistente, il disposto della lettera b) del comma 2].
Nondimeno, come anticipato sopra e come in qualche modo prospettato nella relazione ministeriale, ciò che soprattutto rileva è il dettato della direttiva europea, che non richiede la VAS, ma la valutazione di incidenza ambientale. In questo senso può confermarsi la non fondatezza della censura in esame, pur, deve darsene atto, a fronte di un quadro normativo al riguardo non privo di elementi di contraddittorietà.
11. Fondato e meritevole di accoglimento viene invece giudicato dalla Sezione il secondo profilo di censura articolato dalle ricorrenti nel motivo di ricorso in esame, riguardo alla insufficiente considerazione dei vincoli paesaggistici gravanti sulla Pineta del Tombolo.
La contestazione in esame fa emergere due distinti (anche se connessi e conseguenziali) elementi di illegittimità riguardo al trattamento dei suddetti vincoli paesaggistici: l’erronea presupposizione (poi esplicitata in puntuali note del dirigente del settore regionale competente) della piena riconducibilità di tutti gli interventi previsti nel piano nell’esclusione dalla previa autorizzazione paesaggistica ai sensi delle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 149 del codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004; la (connessa e conseguente) assenza, negli atti istruttori, di una analisi e valutazione adeguate degli impatti paesaggistici dei medesimi interventi sui beni vincolati (analisi e valutazione che, per quanto si dirà, avrebbero dovuto comunque coinvolgere i competenti uffici territoriali del Ministero di settore).
11.1. È in particolare illegittima la previsione, implicita nel piano specifico di prevenzione AIB impugnato, della esclusione della previa autorizzazione paesaggistica per tutti indistintamente gli interventi programmati, secondo la tesi per cui tali interventi si configurerebbero come pratiche selvicolturali, in quanto tali rientranti tutti nell’ambito delle misure non soggette ad autorizzazione ai sensi dell’articolo 149, comma 1, lettera c) del d.lgs. n. 42 del 2004.
11.1.2. È vero che né la delibera di giunta n. 355 del 2019, né l’allegato piano specifico di prevenzione AIB con essa approvato contengono un’espressa affermazione in questo senso. Ma che questa tesi sia acquisita implicitamente negli atti impugnati e ne costituisca il presupposto logico-giuridico fondamentale, per quanto attiene al profilo paesaggistico, è dimostrato e reso esplicito dalle note a firma del dirigente della Direzione agricoltura e sviluppo rurale - settore forestazione - usi civici - agroambiente della Regione Toscana, di riscontro (rispettivamente) delle domande di accesso agli atti del 4 e del 17.04.2019 presentate dal Tavolo permanente di amministrazione e di governo della Pineta da Castiglione della Pescaia ai Monti dell'Uccellina (allegati nn. 19 e 21 della produzione di parte ricorrente), nelle quali si precisa che “gli interventi previsti dal Piano Specifico di prevenzione AIB si configurano come pratiche selvicolturali e in quanto tali rientranti nell’ambito degli interventi non soggetti ad autorizzazione, ai sensi dell’articolo 149, comma 1, lettera c) del Codice dei beni culturali e del paesaggio. (d.lgs. n. 42 del 2004)” e, inoltre, che “ai sensi del Regolamento Forestale, articolo 61-bis, comma 4, l'attuazione dei singoli interventi previsti dal Piano è soggetta a una dichiarazione, quale forma semplificata di autorizzazione. Pertanto, al momento della realizzazione dei singoli interventi, resta a carico dell’ente competente rilasciare le relative autorizzazioni”.
Che la costruzione del piano si fondi su questo errato presupposto interpretativo è infine dimostrato ulteriormente dalle stesse difese regionali, dove si sostiene (pag. 9-10 della memoria difensiva) che “lo stesso articolo 7, comma 13, prevede per le tipologie di interventi di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 34 del 2018 (tra i quali rientrano anche gli interventi volti alla prevenzione incendi) l'equiparazione ai tagli colturali di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c) del d.lgs. n. 42 del 2004 (interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica” (tesi poi ribadita nella pag. 16 della memoria, con riferimento alla legge regionale n. 39 del 2000).
11.1.3. La tesi regionale non ha pregio e non può essere condivisa, e ciò sia per ragioni legate alla lettera delle disposizioni normative di riferimento sia per ragioni discendenti dall’interpretazione sistematica e finalistica del complesso normativo in cui tali disposizioni si inquadrano, come tratteggiato nel precedente par. 5 di questa motivazione.
In estrema sintesi,
l’errore interpretativo che inficia la posizione regionale consiste nell’aver esteso ai boschi e foreste sottoposti a vincolo provvedimentale (articolo 136 del d.lgs. n. 42 del 2004, già legge 29.06.1939, n. 1497) il regime (meno severo) previsto per i boschi e le foreste sottoposti a vincolo ex lege [articolo 142, comma 1, lettera g) del predetto d.lgs. n. 42 del 2004, già legge 08.08.1985, n. 431].
11.1.4. Sul piano letterale,
occorre considerare che l’articolo 149 del codice dei beni culturali e del paesaggio, a proposito dell’esclusione della preventiva autorizzazione paesaggistica, distingue chiaramente, nelle lettere b) e c) del comma 1, il regime proprio degli interventi “inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio” rispetto a quello degli interventi consistenti nel taglio colturale, nella forestazione, riforestazione, in opere di bonifica, antincendio e di conservazione “da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia” (lett. c).
Questo diverso regime deriva dalla distinzione (articolo 134 del medesimo codice del 2004) tra i boschi e le foreste vincolati sulla base di un apposito provvedimento amministrativo, che ne abbia acclarato il notevole interesse pubblico paesaggistico (articolo 136 dello stesso codice), e i boschi e le foreste vincolati indistintamente ex lege, come categoria geografica, in base alla cosiddetta legge “Galasso [d.l. 27.06.1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge 08.08.1985, n. 431, oggi rifluita nell’articolo 142, comma 1, lett. g) del codice].
Il combinato disposto delle sopra riportate lettere b) e c) dell’articolo 149 dimostra in tutta evidenza che per la prima tipologia di boschi e foreste (vincolati con apposito provvedimento amministrativo) l’esclusione della necessaria autorizzazione paesaggistica preventiva prevista dalla lettera b) dell’articolo 149 per gli interventi “inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale” vale solo per gli interventi “minori”, che non si traducano nel “taglio colturale, [nel]la forestazione, [nel]la riforestazione, [nel]le opere di bonifica, antincendio e di conservazione”, i quali sono sottratti all’obbligo della previa autorizzazione paesaggistica solo ed esclusivamente quando siano “da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia [articolo 149, lettera c)].
Con la conseguenza che le ora dette tipologie di interventi -tra i quali rientra senz’altro la maggior parte di quelli previsti dal piano oggetto di lite- riguardando un bosco vincolato con apposito provvedimento amministrativo, ai sensi dell’articolo 136 del d.lgs. n. 42 del 2004, qual è pacificamente la pineta del Tombolo, non possono in alcun modo considerarsi senz’altro e a priori sottratti all’obbligo dell’autorizzazione paesaggistica preventiva prevista dall’articolo 146 del decreto legislativo da ultimo citato.
Il che trova una sua evidente spiegazione razionale nel fatto che sia il taglio colturale, sia quello antincendio, nella modalità prevista nel piano in esame, se può presumersi compatibile con la nozione generica di territorio coperto da foreste e da boschi, considerati in astratto, come tipologia generale, senza alcuno specifico accertamento tecnico-discrezionale in loco, non può logicamente ammettersi, senza un previo controllo puntuale di compatibilità esercitato in concreto dagli organi a ciò preposti, nel caso di boschi e foreste dichiarati di notevole interesse pubblico e paesaggistico con apposito provvedimento motivato, nel qual caso è coessenziale al vincolo il controllo preventivo tecnico-discrezionale di compatibilità dei tagli proposti rispetto alla consistenza e alla fisionomia paesaggisticamente percepibile del bene protetto, come accertata e dichiarata nel provvedimento di vincolo.
Coerente con questo sistema normativo e con le sue finalità logiche si pone altresì il Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata, di cui al d.P.R. n. 31 del 2017, nel cui allegato A (di cui all'art. 2, comma 1 - Interventi ed opere in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione paesaggistica), non a caso e significativamente, sono bene distinti e graduati, nelle voci A.19 e A.20, rispettivamente, gli interventi sottratti all’autorizzazione paesaggistica “nell’ambito degli interventi di cui all'art. 149, comma 1, lettera b) del codice” e quelli sottratti all’autorizzazione paesaggistica “nell'ambito degli interventi di cui all'art. 149, comma 1, lettera c) del Codice”.
Al riguardo le difese regionali propongono, invece, un’erronea lettura di tale previsione regolamentare, lì dove (pag. 17) si pretende di riferire anche ai boschi vincolati con apposito provvedimento la voce A.20, che è invece testualmente riferita solo ai boschi e alle foreste vincolati ex lege.
Il regime di tutela “rafforzato” che, limitatamente a certi aspetti, assiste i beni paesaggistici dichiarati con apposito provvedimento motivato, rispetto a quelli tutelati ex legeGalasso”, trova ulteriori espressioni nel diverso trattamento previsto nell’ambito della pianificazione paesaggistica [articolo 143, comma 4, lettera a) del codice di settore del 2004].
11.1.5. In questo senso torna ad acquistare rilievo l’ampia premessa sopra svolta (sub par. 5) -sull’abbrivio delle specifiche censure pure prospettate dalle ricorrenti- riguardo all’inestricabile intreccio di competenze che caratterizza la disciplina della gestione del patrimonio forestale nazionale, che implica (sul piano sistematico e teleologico dell’interpretazione) l’esigenza di garantire comunque il coinvolgimento degli organi tecnico-scientifici statali ai quali la legge riserva, nella cooperazione delle regioni e degli altri enti territoriali (articolo 5 e Parte III del d.lgs. n. 42 del 2004), l’esercizio delle funzioni di tutela paesaggistica.
Significativamente e non a caso, anche il nuovo Testo unico in materia di foreste e filiere forestali del 2018 stabilisce che le regioni e i competenti organi territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, “con i piani paesaggistici regionali, ovvero con specifici accordi di collaborazione stipulati ai sensi dell'articolo 15 della legge 07.08.1990, n. 241”, concordino “gli interventi previsti ed autorizzati dalla normativa in materia, riguardanti le pratiche selvicolturali, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione, da eseguirsi nei boschi tutelati ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, e ritenuti paesaggisticamente compatibili con i valori espressi nel provvedimento di vincolo” (articolo 7, comma 12).
Per completezza di esame della fattispecie, deve inoltre evidenziarsi che la previsione contenuta nell’ultimo periodo del comma 12 ora esaminato (secondo la quale “Gli interventi di cui al periodo precedente, vengono definiti nel rispetto delle linee guida nazionali di individuazione e di gestione forestale delle aree ritenute meritevoli di tutela, da adottarsi con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei beni delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano”), contrariamente alla tesi regionale (secondo la quale non sarebbe “vigente in quanto collegato al D.M. non ancora promulgato”), non introduce un vincolo impeditivo della possibilità di stipula, già prima dell’emanazione delle suddette linee guida, di appositi accordi tra l’amministrazione regionale e quella ministeriale, atteso che l’articolo 15 della legge n. 241 del 1990 costituisce un potere implicito di carattere generale delle amministrazioni, attivabile anche indipendentemente da specifiche norme autorizzative, ed esistendo ed essendo già operanti, inoltre, anche sulla base della nuova pianificazione paesaggistica regionale e della relativa legislazione regionale della Toscana, diversi organismi a partecipazione mista che curano la gestione e l’attuazione del piano paesaggistico e delle problematiche di comune interesse inerenti la tutela dei paesaggi, in seno alle quali ben sarebbe stato possibile ricercare forme di concordamento in attuazione della previsione della norma del decreto del 2018 sopra richiamata.
11.1.6. Diventa recessiva, al cospetto di questo coerente sistema, la tesi interpretativa proposta dalle difese regionali, secondo la quale l’articolo 7, comma 13 del d.lgs. n. 34 del 2018, nel prevedere che “le pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), eseguiti in conformità alle disposizioni del presente decreto ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali di cui all'articolo 149, comma 1, lettera c), del d.lgs. 22.01.2004, n. 42”, avrebbe escluso la previa autorizzazione paesaggistica anche per gli interventi sui boschi e le foreste vincolati ai sensi dell’art. 136 del codice di settore del 2004.
Proprio alla luce di quanto osservato e considerato nel precedente paragrafo 11.1.4, risulta chiaro, invece, che questa previsione si riferisce solo ed esclusivamente ai boschi e alle foreste vincolati ex lege (art. 142, comma 1, lett. g) del codice del 2004), come è del resto reso evidente dal puntuale richiamo in essa contenuto alla lettera c) del comma 1 dell’art. 149 che, come si è visto sopra, riguarda esclusivamente i boschi e le foreste ex lege Galasso.
Questa lettura, oltre che dalla coerenza del sistema, è imposta anche dal dato topografico del testo dell’articolo 7 del d.lgs. n. 34 del 2018, che antepone la norma speciale prevista dal comma 12 (relativo ai boschi e alle foreste tutelati in base a un vincolo di tipo provvedimentale) a quella generale di cui al seguente comma 13, erroneamente invocato dalle difese regionali.
Una diversa e più ampliativa interpretazione del d.lgs. n. 34 del 2018, quale quella che sembra essere ipotizzata dalla Regione Toscana, tale da derogare alle più stringenti norme di tutela prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, renderebbe inoltre incostituzionale per eccesso di delega il decreto del 2018, nella cui delega di legge non vi era in alcun modo il potere di incidere in senso riduttivo sui livelli di tutela del paesaggio.
11.2. La diversa –ma non condivisa dalla Sezione– lettura del combinato disposto delle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 149 del d.lgs. n. 42 del 2004 (e del d.lgs. n. 34 del 2018), con conseguente confusione tra il regime di tutela paesaggistica del patrimonio forestale vincolato con apposito provvedimento rispetto a quello proprio del patrimonio forestale vincolato ex lege Galasso, ha ingenerato, come prima anticipato, un secondo elemento di illegittimità del piano impugnato, nella parte in cui ha condotto a una sottovalutazione degli aspetti paesaggistici, con conseguente carenza istruttoria e motivazionale sul punto.
11.2.1. È da notare che nulla è detto nella delibera di giunta n. 355 del 2019, né nell’allegato piano specifico di prevenzione AIB con essa approvato, in tema di valutazione paesaggistica degli interventi. Nelle premesse della delibera compare solo la seguente considerazione: “Preso atto che sono stati acquisiti con esito favorevole tutti gli atti e pareri previsti dalla normativa vigente in relazione alla tipologia degli interventi colturali straordinari e delle opere destinati alla prevenzione e lotta agli incendi boschivi”.
Di tali atti e pareri non è tuttavia fornita alcuna indicazione specifica.
Nella parte finale del piano, alla voce “Quadro normativo e bibliografia” (pag. 138), figura solo un generico richiamo dei vincoli paesaggistici provvedimentali imposti sulle aree interessate dal piano, nonché al codice di tutela del 2004 (e al regolamento di semplificazione di cui al d.P.R. n. 31 del 2017).
Inoltre, nello studio di incidenza presentato ai sensi dell’articolo 5 del d.P.R. n. 357 del 1997, si afferma “gli interventi per cui viene valutata l’incidenza vertono perlopiù sull’attività di ordinaria coltivazione di soprassuoli boschivi all’interno del sito di interesse comunitario” (pag. 5).
Nel medesimo studio di incidenza risultano solo citate le misure di conservazione contenute nel piano paesaggistico della Regione Toscana, in particolare rispetto all’Ambito di Paesaggio 18 ovvero “Maremma Grossetana” (pagg. 49 -53), ma -in disparte la considerazione che ogni valutazione di tutela paesaggistica avrebbe dovuto essere acquisita presso gli organi competenti e nell’ambito delle procedure appropriate e non avrebbe potuto comunque essere utilmente svolta nello studio di incidenza- il suddetto documento si è limitato in proposito a una mera riproduzione testuale della relativa scheda di piano paesaggistico, con annesse “Criticità” e “Obiettivi di qualità e direttive - Obiettivo 4”, senza alcuna aggiunta o considerazione sulla compatibilità degli interventi.
Nella pag. 149 vi è poi un breve paragrafo intitolato “Incidenza degli interventi proposti rispetto al piano paesaggistico” del seguente tenore: “Nella parte inerente gli Obiettivi di qualità e direttive si legge al punto 4: Salvaguardare e valorizzare i rilievi dell’entroterra e l’alto valore iconografico e naturalistico dei ripiani tufacei, reintegrare le relazioni ecosistemiche, morfologiche, funzionali e visuali con le piane costiere 1.13 - tutelare l’elevato grado di panoramicità del sistema costiero e le relazioni visuali con il mare e con le aree retrostanti. Gli interventi previsti sono volti alla conservazione dell’ambiente pineta così come appare oggi, grazie ad azioni selvicolturali volte alla lotta contro gli incendi boschivi. Incidenza Positiva”.
La disamina ora compiuta del modo in cui i profili paesaggistici sono stati presi in considerazione nei documenti di piano dimostra, ad avviso della Sezione, la fondatezza della censura di insufficienza istruttoria e motivazionale su tali, pur essenziali, profili di tutela.
12. Con il terzo motivo di ricorso le associazioni ricorrenti hanno lamentato che la Regione Toscana avrebbe condotto l’istruttoria in modo carente, ostacolando la partecipazione delle associazioni e dei cittadini interessati alla tutela delle aree in questione, comprimendo i tempi procedimentali per consentire l’accesso ai finanziamenti comunitari e trascurando l’istruttoria relativa ai vincoli ambientale, paesaggistico e idrogeologico.
Sarebbero state sottovalutate la reale consistenza del monumento naturale in questione, l’insistenza sul medesimo di domini collettivi ai sensi della legge n. 168 del 2017 e l’eventuale presenza di piante monumentali previste dall’articolo 7 della legge n. 10 del 2013 per il rilascio di esemplari vetusti e di ricovero.
In sostanza, con il mezzo di censura in esame, corroborato e integrato con i numerosi rilievi puntuali svolti nel paragrafo del ricorso introduttivo denominato “Conclusioni tecnico-scientifiche”, le associazioni ricorrenti denunciano una complessiva carenza istruttoria, che si sarebbe tradotta in una sostanziale sottovalutazione e non adeguata considerazione dei vincoli ambientali e paesaggistici esistenti sulla pineta del Tombolo.
Rinviando ai paragrafi precedenti per gli aspetti paesaggistici, già ivi trattati, occorre qui esaminare l’adeguatezza istruttoria e motivazionale del piano specifico impugnato relativamente ai profili di tutela ambientale, segnatamente quelli legati alla inclusione di parti delle aree interessate dal piano AIB in ambiti ricomprese nel sistema Natura 2000.
12.1. Fermo restando che, come chiarito supra al par. 10, nella fattispecie non era necessaria la VAS, risultano tuttavia dagli atti significativi elementi che depongono nel senso dell’inadeguatezza istruttoria e motivazionale della valutazione d’incidenza svolta dalla Regione Toscana.
Ed invero dall’esame dell’atto di autorizzazione regionale emerge che si risolve in un riscontro piuttosto formalistico di corrispondenza degli interventi, singolarmente considerati, ad alcune voci tipologiche desunte dalla modulistica di settore, senza un’adeguata valutazione d’insieme –con conseguente difetto di motivazione– della reale dimensione degli impatti del piano.
12.2. Nello studio di incidenza, nel capitolo intitolato “Fase 2. Valutazione "appropriata": Stima degli effetti degli interventi proposti”, compaiono alcune indicazioni di “incidenza negativa” (evidenziate in rosso) e numerose indicazioni di “incidenza non significativa” (in verde) o “positiva” (in colore scuro).
Nella parte dedicata alla incidenza sulla fauna (pagg. 150 ss.) figura una sola ipotesi di incidenza negativa sugli insetti (per la specie Chalcophora detrita, pag. 151) e nessuna incidenza negativa sugli uccelli (riguardo ai quali ricorre, invece, sistematicamente, la valutazione di incidenza positiva degli interventi, con la ripetitiva motivazione per cui “Con la lotta agli incendi boschivi anche questa specie troverà beneficio, in quanto molti degli habitat a cui si lega saranno salvaguardati dalla distruzione - Incidenza Positiva”). Per i mammiferi ricorre una sola incidenza negativa (pag. 160, per il topo quercino).
In senso opposto le associazioni ricorrenti hanno sottolineato come la previsione del taglio del 70% dei pini (con eliminazione progressiva dei pini marittimi, molti dei quali molto vetusti e di ricovero per molte specie animali) e dell’80% del sottobosco (habitat elettivo di numerose specie di insetti, di rettili, di uccelli e di mammiferi), nonché l’ampio ricorso al cosiddetto “fuoco prescritto”, non possono realisticamente essere valutati pressoché tutti e interamente con “incidenza non significativa” o “positiva”, con pochissime eccezioni di “incidenza negativa”, come si è visto sopra.
Ritiene il Collegio che, escluso in questa sede ogni inammissibile giudizio di merito che spetta all’amministrazione effettuare e che non può essere qui compiuto, la valutazione svolta, in ragione dell’entità degli interventi programmati, non sia adeguatamente motivata.
Ad esempio la frase ricorrente –“Con la lotta agli incendi boschivi anche questa specie troverà beneficio, in quanto molti degli habitat a cui si lega saranno salvaguardati dalla distruzione - Incidenza Positiva"– avrebbe meritato un maggiore approfondimento perché, per un verso, è certo che con la lotta agli incendi boschivi la fauna ne ricaverà beneficio ma, fermo tale punto, per altro verso, non è chiarito se ciò rimane vero –ed eventualmente in che termini– anche a seguito del diradamento degli alberi e delle altre misure contemplate.
12.3. Conseguenziale e specularmente aderente alla prospettazione molto favorevole contenuta nello studio di incidenza si rivela la trattazione fattane dall’amministrazione regionale in sede di “autorizzazione VINCA” (doc. n. 4 allegato alla produzione regionale).
Questo provvedimento, riscontrando “l'istanza in oggetto, acclarata con Prot. n. 31847 del 23.01.2019, per la quale lo scrivente Settore ha ricevuto dagli Uffici Regionali la modulistica e lo studio di incidenza per la realizzazione di un Piano di prevenzione AIB dei punti strategici nelle pinete litoranee dei comuni di Grosseto e Castiglione della Pescaia”, prende atto “dello Studio di incidenza e della modulistica presentata, in cui si analizza compiutamente l’opera proponendo misure di mitigazione” e, viste le misure di conservazione mediante interventi selvicolturali individuate per l’habitat “2270 - Dune con foreste di Pinus pinea e Pinus pinaster” dalla delibera regionale n. 1223/2015, ritenuto che “gli interventi risultano coerenti con le misure di conservazione vigenti e le incidenze negative rilevate risultano essere non significative per la loro transitorietà ed estensione”, che, anzi, “gli interventi previsti determineranno anche incidenze positive per la conservazione attiva dell'habitat 2270 a medio termine e quindi delle specie di interesse conservazionistico che utilizzano tale habitat”, che “la realizzazione degli interventi previsti seguendo le prescrizioni indicate nella parte dispositiva del presente provvedimento non determinerà effetti negativi sugli obiettivi di conservazione, sulla disponibilità di siti per la nidificazione e/o il rifugio della fauna, sulla complessità delle reti alimentari ivi presenti, sulla struttura e funzioni necessarie alla conservazione a lungo termine degli habitat e delle specie tutelati presenti nei siti Natura 2000 in oggetto”, ha espresso una valutazione positiva “in base alle informazioni fornite”.
È mancata dunque la necessaria considerazione e valutazione unitaria dell’impatto delle attività proposte sugli habitat oggetto di protezione che, si ripete ancora una volta, spettava all’amministrazione compiere e non certo a questo Decidente
12.3.3. Anche le prescrizioni —riassumibili in sintesi nei seguenti quattro punti:
   1) salvaguardare i periodi di nidificazione (eseguire dunque gli interventi possibilmente tra il 1 ottobre ed il 28 febbraio di ogni anno, salvo estensioni e deroghe motivate, con alcuni accorgimenti);
   2) evitare la perdita di lubrificanti e carburante e limitare l’emissione di gas di scarico e di rumori durante l’esecuzione dei lavori;
   3) avvisare il Servizio regionale competente qualora siano rinvenuti, durante l’esecuzione dell'intervento, nidi o cavità sulle piante da abbattere;
   4) verificare la sussistenza sull’area delle condizioni indicate dal progetto per applicare la tecnica del “fuoco prescritto”, facendo attenzione a monitorare durante l’esecuzione i parametri più importanti per l’utilizzo di questa tecnica, quali il vento, la temperatura, l’umidità, etc.— avrebbero meritato maggiore attenzione, e comunque migliore motivazione, perché, lungi dal costituire “specifiche prescrizioni” come affermato nella memoria difensiva regionale, non sembrano avere alcun contenuto prescrittivo autonomo rispetto a quelle che sono le comuni buone regole tecniche minimali già implicite negli interventi antincendio boschivo presi in considerazione.
Si tratta, quindi, di mere raccomandazioni generiche di eseguire a regola d’arte i lavori che non aggiungono e non tolgono alcunché a quanto già previsto nel piano. Anche sotto tale aspetto è necessario che, coerentemente alla regola generale, sia fornita una migliore motivazione della scelta fatta.
13. L’enucleazione, svolta nei precedenti paragrafi, dei rilevati vizi di carenza istruttoria e motivazionale, tradottisi in una sostanziale sottovalutazione dei profili paesaggistici e ambientali degli interventi antincendio programmati, fa emergere anche
un ulteriore profilo, diffusamente proposto nel ricorso introduttivo, concernente la mancata partecipazione al percorso elaborativo delle associazioni di tutela ambientale, le quali pure avevano più volte chiesto di essere ascoltate e di poter contribuire al procedimento.
Se è vero che non si rinvengono nel panorama normativo (nazionale e regionale) specifiche previsioni che impongano tale partecipazione -sicché deve escludersi la sussistenza di puntuali vizi di violazione di legge sotto questo profilo- è altrettanto vero che non è conforme a criteri generali di buona amministrazione non prendere in considerazione i possibili contributi delle associazioni ambientaliste che abbiano chiesto di essere sentite o che abbiano prodotto memorie e documenti.
Si ricordi, a tale riguardo che, ai sensi dell’articolo 9 l. 07.08.1990, n. 241, qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento e che è loro riconosciuto, giusta il disposto del successivo articolo 10, il diritto di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento.
Ciò peraltro risponde ai canoni di buona amministrazione sanciti dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, come è noto, ai sensi dell’articolo 6 TUE, ha lo stesso valore giuridico dei trattati.

Fermo restando che l’amministrazione ha il dovere di procedere, anche celermente quando necessario, in vicende come queste sarebbe stato utile garantire la possibilità di ascolto e di presa in considerazione dei punti di vista diversi da quelli dell’amministrazione quando ciò non si traduce esclusivamente in ostacoli al compimento del procedimento amministrativo.
14. In conclusione, per tutte le esposte ragioni
il ricorso deve giudicarsi fondato e merita pertanto accoglimento, con conseguente annullamento della delibera di giunta regionale n. 355 del 18.03.2019 e dell’annesso “Piano Specifico di Prevenzione AIB per il comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia, nella parte in cui considera erroneamente come paesaggisticamente irrilevanti -e perciò sottratti alla preventiva autorizzazione paesaggistica- tutti gli interventi previsti nel piano, omettendo un’adeguata analisi e valutazione dell’impatto paesaggistico di tali interventi, nonché nella parte in cui si fonda su una valutazione di incidenza sui siti della rete Natura 2000 interessati dalle misure rivelatasi carente nell’istruttoria e nelle motivazioni, oltre che corredata da mere raccomandazioni di buona esecuzione degli interventi prive della consistenza di prescrizioni integrative.
15. L’annullamento della delibera n. 355 del 18.03.2019 e dell’annesso piano si riverbera sulla delibera n. 564 del 23.04.2019 (di approvazione del piano AIB 2019-2021) nella sola parte in cui tale ultima delibera recepisca, approvi, ratifichi o comunque faccia propri i contenuti della delibera n. 355 del 2019 e dell’annesso piano specifico AIB.
16. La Regione Toscana ha più volte sottolineato, nella sua memoria difensiva, l’estrema urgenza di eseguire interventi AIB a tutela della pubblica incolumità e della sicurezza di persone e cose seriamente minacciate dal rischio sempre più urgente e pressante di devastanti incendi boschivi, molto probabili (se non, pare di capire, inevitabili) a causa del mutamento climatico, non senza evocare scenari tragici, quali quelli di recente verificatisi in Grecia, in Spagna e in Portogallo (per guardare solo alle aree mediterranee e per non parlare della California o dell’Australia).
Scrive, ad esempio, la Regione Toscana (pag. 6 della memoria in data 29.11.2019): “È evidente che in tali condizioni, eventuali decisioni di rinuncia agli interventi di prevenzione comportano l'assunzione di responsabilità in merito alle conseguenze di eventi che dovessero accadere” e, ancora (ivi): “Nel corso del 2017 un incendio ad alta intensità e di limitata superficie (3,5 ha) ha danneggiato case e veicoli in località Marina di Grosseto, mentre a Castiglione della Pescaia si è verificato un incendio boschivo di 75,9 ettari che ha raggiunto una velocità di propagazione di 20 metri/minuto”, sicché le delibere impugnate e il piano specifico di prevenzione AIB delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia “sono volti ad assicurare la salvaguardia dell'incolumità di residenti e turisti; una loro mancata attuazione esporrebbe al permanere delle condizioni di rischio come sopra evidenziate” (pag. 7).
16.1. A fronte di tali impegnative affermazioni dell’Amministrazione regionale,
il Collegio deve porsi la questione di come poter in qualche modo bilanciare le contrapposte esigenze di tutela giurisdizionale degli interessi dei ricorrenti (e di ripristino della legittimità dell’azione amministrativa) con quelle di tutela della pubblica incolumità e della sicurezza delle persone e dei beni patrimoniali delle concentrazioni antropiche che insistono nella (o in prossimità della) pineta oggetto del piano AIB impugnato.
In particolare,
il Collegio non può sottrarsi alla responsabilità di esplorare a fondo la possibilità, per le suddette finalità, di graduare l’effetto caducatorio degli atti impugnati discendente dal disposto annullamento, in modo da scongiurare effetti di paralisi, che potrebbero rivelarsi dannosi per gli stessi interessi ambientali fatti valere dalle Associazioni ricorrenti.
Soccorre all’uopo, ad avviso del Collegio, la possibilità di calibrare l’effetto di annullamento, al fine di consentire alla Regione Toscana di disporre di un congruo lasso di tempo per rivedere ed emendare, in linea con i precetti regolativi desumibili dalla presente decisione, il piano specifico AIB oggetto della presente pronuncia di annullamento, consentendone, nelle more, interventi di messa in sicurezza o che si presentino come particolarmente urgenti e ineludibili.
16.2. Com’è noto,
la facoltà di modulare gli effetti demolitori delle sentenze di annullamento è stata riconosciuta dal Consiglio di Stato con la sentenza 10.05.2011, n. 2755. In quella sede, la Sezione VI, accertata l’illegittimità del piano faunistico venatorio della regione Puglia a cagione dell’omesso svolgimento del procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS), accoglieva il ricorso e dichiarava la perdurante efficacia dell’atto impugnato nelle more dell’adozione di un nuovo provvedimento programmatorio sostitutivo.
A tali conclusioni il Collegio giudicante perveniva non soltanto sul rilievo della potenziale compromissione degli equilibri ambientali derivante dall’eliminazione degli effetti del piano originariamente approvato, ma anche in ragione del contenuto delle pretese fatte valere dalla parte ricorrente. In quella sede si sosteneva infatti che il principio di effettività della tutela giurisdizionale, nella declinazione desumibile tanto dalle fonti sovranazionali (articoli 6 e 13 della CEDU), quanto da quelle interne (articoli 24 e 113 della Costituzione), imponeva una modulazione temporale dell’efficacia tipica del dictum giudiziale, in vista della necessità di assicurare una soddisfazione non meramente formale dell’interesse fatto valere con la domanda.
La Sezione VI osservava altresì che il riconoscimento di deroghe alla naturale retroattività degli effetti caducatori non incontrerebbe alcuna preclusione nelle norme sostanziali e processuali, laddove rispettivamente disciplinano l’annullamento in autotutela degli atti amministrativi (articolo 21-nonies, legge n. 241 del 1990) ed i contenuti delle sentenze che dispongono l’eliminazione dalla realtà giuridica del provvedimento impugnato (articolo 34, comma 1, lettera a), c.p.a.).
Parimenti, i poteri valutativi esercitabili dal giudice in ordine all’efficacia del contratto stipulato sulla base di un’aggiudicazione illegittima (articoli 121-122, c.p.a.) costituirebbero un ulteriore indice normativo a sostegno della compatibilità sistematica di pronunce che, accertata la difformità dell’atto a contenuto generale rispetto al parametro legale, escludono la produzione di effetti caducatori sino all’adozione del nuovo provvedimento da parte dell’Amministrazione.
In virtù dell’ascrivibilità della disciplina ambientale al novero delle competenze concorrenti fra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione europea, questo Consiglio affermava inoltre che gli interessi fatti valere in tale ambito materiale dovessero essere tutelati dai giudici nazionali secondo livelli di garanzia non inferiori rispetto a quelli assicurati dal diritto eurounitario. In tal senso, le disposizioni di cui all’articolo 264 del TFUE, specie nella parte in cui affidano alla Corte di giustizia la facoltà di precisare “gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi” (paragrafo 2), troverebbero ingresso nell’ordinamento interno in qualità di principi idonei a garantire una “tutela piena ed effettiva” delle situazioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio (articolo 1, c.p.a.).
16.3.
Giova osservare come, sulla base degli argomenti posti a fondamento della sentenza 10.05.2011, n. 2755, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato abbia ammesso la configurabilità di deroghe all’efficacia retroattiva delle pronunce con cui il giudice della nomofilachia modifica orientamenti giurisprudenziali consolidati (Cons. St., Ad. plen., sentenza 22.12.2017, n. 13).
Se il contenuto di un siffatto richiamo vale indubbiamente a rafforzare l’apparato argomentativo della citata decisione del 2017, non può tuttavia omettersi di precisare come il cosiddetto prospective overruling non condivida con la graduazione della portata caducatoria delle sentenze di annullamento null’altro che la comune riconducibilità alle tecniche di governo dell’efficacia delle pronunce giurisdizionali.
L’elaborazione di principi di diritto innovativi rispetto all’orientamento precedentemente consolidato, in quanto formulati in sentenze dichiarative di interpretazione intese a rendere manifesto il significato dell’originario dato normativo, esprime una naturale tendenza alla retroazione dei nuovi canoni esegetici. Tuttavia, a fronte della potenziale lesione di controinteressi di rango costituzionale, l’operatività del revirement giurisprudenziale può essere limitata alle sole fattispecie che vengano in rilievo posteriormente alla pubblicazione della nuova decisione.
Muovendo dalla risalente tradizione pretoria della Corte suprema statunitense, la giurisprudenza non ha tuttavia mancato di delimitare puntualmente le condizioni di praticabilità del prospective overruling. Sin dalla sentenza 11.07.2011, n. 15144, il Giudice di legittimità ha costantemente sostenuto che l’ammissibilità di interventi nomofilattici con efficacia ex nunc sia subordinata alla cumulativa presenza dei seguenti requisiti:
   a) la nuova interpretazione incida su norme processuali;
   b) il mutamento giurisprudenziale sia stato imprevedibile e sopravvenga ad un distinto orientamento consolidato nel tempo, in modo da indurre la parte ad un ragionevole affidamento sulla perdurante validità dell’indirizzo anteriore;
   c) l’overruling precluda l’esercizio del diritto di azione o di difesa delle parti (da ultimo, cfr. Cass. civ., Sez. II, ordinanza 10.05.2018, n. 11300; Cass. civ., Sez. un., sentenza 03.10.2018, n. 24133; Cass. civ., Sez. un., sentenza 12.02.2019, n. 4135; Cass. civ., Sez. lav., ordinanza 13.01.2020, n. 403).
Ad analoga definizione dei presupposti fondativi dell’istituto in esame è pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., 02.11.2015, n. 9; Cons. St., Sez. III, ordinanza 07.11.2017, n. 5138). E in applicazione delle medesime condizioni questo Consiglio ha recentemente escluso la differibilità nel tempo dei principi di diritto enunciati in tema di riapertura delle graduatorie ad esaurimento (Cons. St., Ad. plen., 27.02.2019, n. 4; Cons. St., Sez. VI, sentenza 08.04.2019, n. 2266), nonché di superamento della pregiudiziale amministrativa nella domanda di risarcimento del danno (Cons. St., Sez. III, sentenza 22.02.2019, n. 1230; Cons. St., Sez. IV, sentenza 28.06.2018, n. 3977).
Rispetto a tale assetto giurisprudenziale si distingue invece la citata sentenza n. 13 del 2017, con la quale l’Adunanza plenaria, accogliendo la tesi della cosiddetta “discontinuità” dell’efficacia del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico anteriori all’entrata in vigore del d.lgs. 22.01.2004, n. 42, giunge ad estendere la portata del prospective overruling anche all’esegesi di norme a contenuto sostanziale.
Conoscendo di una fattispecie rientrante nella sfera di vincolatività dei principi di diritto formulati dall’Adunanza plenaria n. 13 del 2017, la Sezione VI del Consiglio di Stato, con sentenza 03.12.2018, n. 6858, ha parimenti sostenuto che “anche nell’ambito del procedimento amministrativo (nel caso in esame, di conclusione del procedimento di vincolo), come in ambito processuale, la modifica del precedente orientamento non può che comportare che la parte (nella specie, l’Amministrazione) incorra in decadenze fino allora non prevedibili”.
In altri termini, giova in questa sede evidenziare con forza che
il potere di disporre la decorrenza ex nunc degli effetti delle sentenze a contenuto interpretativo non possa assimilarsi alle tecniche di modulazione della portata caducatoria delle pronunce costitutive di annullamento degli atti illegittimi. Queste ultime, lungi dall’incidere sulla stabilità di precedenti giurisprudenziali consolidati, contengono indefettibilmente un accertamento circa la legittimità/illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato in vista della soddisfazione di un interesse protetto dall’ordinamento sostanziale. Le prime, invece, individuano il momento a partire dal quale il nuovo orientamento interpretativo deve essere applicato.
Deve in conclusione ritenersi che l’indagine sulla graduazione degli effetti dell’annullamento non possa che essere condotta sulla base di criteri distinti rispetto a quelli cui la giurisprudenza ordinaria e amministrativa ricorre per giustificare la praticabilità del prospective overruling.
16.4. La Sezione è consapevole dei rilievi critici mossi da una parte della dottrina avverso la graduazione degli effetti caducatori delle sentenze di annullamento.
Si è osservato, in primo luogo, come nel sistema della giustizia amministrativa il contenuto tipico dell’azione di annullamento, consistente nell’eliminazione del provvedimento illegittimo dalla realtà giuridica, sarebbe violato dalle decisioni con cui il giudice dispone il mantenimento dell’efficacia dell’atto impugnato nelle more dell’ulteriore esercizio del potere. Le conseguenze caducatorie dell’accoglimento della domanda, benché non puntualmente desumibili dalla disciplina processuale, sarebbero imposte dalla natura costitutiva della sentenza di annullamento, dei cui effetti demolitori dovrebbe dunque predicarsi la radicale indisponibilità.
Con un secondo argomento critico si è inoltre ritenuto che le tesi sostenute dalla Sezione VI del Consiglio di Stato con la citata sentenza n. 2755 del 2011 presenterebbero profili di contrasto con l’articolo 113, comma 3 della Costituzione, ai sensi del quale “la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”. La necessaria intermediazione legislativa nella definizione dei poteri di annullamento osterebbe infatti all’autonoma gestione giudiziaria dell’efficacia delle pronunce costitutive, dal momento che la produzione del risultato demolitorio potrebbe essere legittimamente escluso nelle sole ipotesi predeterminate dalla fonte primaria.
Una terza censura di matrice dottrinale è stata avanzata in relazione alla pretesa violazione del carattere dispositivo del processo amministrativo. Il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (articolo 112, c.p.c.) non consentirebbe al giudice di modulare il contenuto del decisum in senso difforme rispetto alla pretesa annullatoria fatta valere con la domanda di parte.
Anche gli argomenti di diritto positivo posti a fondamento del percorso motivazionale della sentenza n. 2755 del 2011 non hanno mancato di suscitare la disapprovazione di alcuni esponenti della dottrina.
Non persuasivo è ritenuto il riferimento ai poteri esercitabili della Corte di giustizia nel giudizio sulla legittimità degli atti delle istituzioni eurounitarie (articolo 264, paragrafo 2, TFUE). Né il richiamo ai principi di derivazione europea, previsto dall’articolo 1 del codice del processo amministrativo, consentirebbe per ciò solo di trasporre nell’ordinamento interno gli istituti tipici di un distinto sistema processuale. Sulla base delle norme di matrice eurounitaria non potrebbe infatti imporsi ai giudici nazionali la temporanea conservazione dell’efficacia di atti illegittimi in vista della necessaria protezione di controinteressi meritevoli di tutela.
Quanto alla disciplina speciale di cui agli articoli 121-122 del codice del processo amministrativo, la previsione di una deroga espressa all’inefficacia retroattiva del contratto stipulato sulla base di un’aggiudicazione illegittima costituirebbe un significativo indice dell’eccezionalità del rimedio pretorio in esame, non invece la esplicitazione settoriale di un generale potere di valutazione circa la perduranza o meno degli effetti del provvedimento annullato.
Da ultimo, la radicale distinzione tra le funzioni giurisdizionali e quelle di amministrazione attiva precluderebbe l’assimilazione tra la rimozione in autotutela degli atti illegittimi (articolo 21-nonies, legge n. 241 del 1990) e le sentenza costitutive di annullamento.
16.5. La Sezione ritiene che tali rilievi critici non debbano essere condivisi.
16.5.1 Con riguardo alla pretesa violazione del contenuto tipico delle pronunce costitutive di annullamento, occorre osservare quanto segue.
In esito al complesso percorso evolutivo che ha visto la pretesa alla soddisfazione del bene della vita progressivamente acquisire una valenza centrale entro la struttura dell’interesse legittimo, la disciplina processuale delle azioni esperibili a fronte dell’esercizio del potere richiede un costante adeguamento interpretativo alle esigenze di effettività imposte dalla cognizione di una posizione giuridica soggettiva sostanziale.
È noto che il modello rimediale pluralistico originariamente accolto dalla bozza del codice del processo amministrativo licenziata l’08.02.2010 dalla Commissione insediata presso il Consiglio di Stato sia stato solo parzialmente recepito nella versione definitiva del testo legislativo. Ove tuttavia si ritenesse che il riferimento alle azioni di annullamento (articolo 29, c.p.a.) e di condanna (articolo 30, c.p.a.), nonché a quelle in materia di silenzio-inadempimento (articolo 31, commi 1-3, c.p.a.) e di nullità (articolo 31, comma 4, c.p.a.), sia espressivo di un sistema di tutela tipico e conchiuso, dovrebbe al contempo ammettersi la validità di una configurazione meramente processuale dell’interesse legittimo.
Per converso, e in modo più condivisibile, la considerazione del moderno schema dei rapporti di diritto pubblico, nel quale il bene della vita inciso dall’esercizio del potere diviene l’elemento costitutivo di una situazione giuridica soggettiva sostanziale, esige la costruzione di un apparato rimediale idoneo ad assicurare a quest’ultima una protezione adeguata alla sua intrinseca natura.
In forza dei criteri direttivi di cui all’articolo 44 della legge 18.06.2009, n. 69, nonché del richiamo ai principi costituzionali e comunitari previsto dall’articolo 1 del codice del processo amministrativo, deve dunque ritenersi che il canone di effettività della tutela giurisdizionale si ponga a fondamento di un sistema atipico di azioni, la cui esperibilità garantisce la soddisfazione di interessi giuridicamente rilevanti mediante strumenti processuali non necessariamente coincidenti con quelli espressamente previsti dalla legge.
Con specifico riguardo all’azione generale di accertamento, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 29.07.2011, n. 15, ha infatti autorevolmente sostenuto che “nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza costituzionale di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo, dell’azione generale di accertamento non preclude la praticabilità di una tecnica di tutela, ammessa dai principali ordinamenti europei, che, ove necessaria al fine di colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in modo adeguato dalle azioni tipizzate, ha un fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dell’interesse legittimo (articoli 24, 103 e 113).
Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente
”.
Così delineato il quadro dei mezzi di tutela esperibili nell’attuale sistema di giustizia amministrativa, deve ulteriormente osservarsi come l’atipicità dell’apparato rimediale possa presentare anche una declinazione di tipo contenutistico, nella misura in cui la decisione del giudice esprime una sintesi degli interessi in conflitto non astrattamente predeterminabile dal legislatore.
Ed in specie, l’estensione dell’oggetto della cognizione al rapporto giuridico controverso, al di là dei confini imposti dal mero scrutinio di legittimità dell’atto impugnato, può giustificare il riconoscimento di poteri valutativi in ordine alla perduranza degli effetti dell’atto illegittimo, nell’ottica del bilanciamento fra le esigenze di tutela fatte valere dalla parte ricorrente ed i controinteressi generali e particolari rilevanti nel caso concreto.
Il governo degli effetti delle sentenze costitutive di annullamento appare dunque ammissibile nel quadro di atipicità rimediale e contenutistica che permea la moderna struttura del processo amministrativo.
Del resto -come è stato notato- sotto il profilo dell’azione proposta, la domanda di annullamento contiene sempre il quid minus della domanda di mero accertamento dell'illegittimità con effetti non retroattivi o non eliminatori e, sotto il profilo dei poteri del giudice, l'attribuzione del potere di decidere quando annullare l'atto illegittimo implica (rectius: può implicare) anche il potere, meno incisivo, di stabilire da quando far decorrere la portata della sentenza di annullamento dell'atto.
16.5.2 Con il secondo degli esaminati rilievi critici si sostiene che i poteri di modulazione riconosciuti dalla sentenza n. 2755 del 2011 configurerebbero una violazione della riserva di legge prevista dall’articolo 113, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui affida all’intermediazione legislativa la determinazione dei casi e degli effetti dell’annullamento giurisdizionale.
Anche la suddetta censura di matrice dottrinale non appare persuasiva.
Deve in primo luogo osservarsi che nessuna norma di diritto sostanziale o processuale espressamente preclude l’individuazione di deroghe alla portata retroattiva delle pronunce a contenuto demolitorio.
In secondo luogo il vigente assetto processuale, oltre a rimettere al giudice la valutazione circa la necessità dell’annullamento dell’atto illegittimo (articolo 34, comma 3, c.p.a.), accentua il carattere conformativo delle decisioni adottabili. A questo proposito giova infatti ricordare che il combinato disposto dell’articolo 30, comma 1 e dell’articolo 34, comma 1, lettera c), primo periodo del codice del processo amministrativo consente la proposizione di domande atipiche di condanna, le quali, se formulate contestualmente ad altra azione, possono condurre alla pronuncia di sentenze di accoglimento che obbligano l’Amministrazione “all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio”.
Lungi dall’integrare una violazione della riserva di legge prevista dall’articolo 113, comma 3, della Costituzione, la dichiarazione di efficacia dell’atto illegittimo sino al nuovo esercizio del potere da parte dell’Amministrazione rinviene quindi nella disciplina processuale di rango primario un fondamento normativo.
16.5.3 Il terzo profilo di criticità interpretativa contestato da una parte della dottrina attiene all’asserita incompatibilità fra le tecniche di modulazione degli effetti demolitori e il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (articolo 112, c.p.c.).
Anche tale argomento va superato.
L’oggetto dell’azione di annullamento comprende indefettibilmente la domanda di accertamento circa l’illegittimità dell’atto impugnato. La pronuncia con cui il giudice, pur dichiarando la sussistenza di profili di contrasto rispetto al parametro legale, sospende provvisoriamente la produzione dell’effetto eliminatorio della sentenza, o stabilisce che l’atto illegittimo sia annullato senza far retroagire gli effetti della caducazione, non può ritenersi difforme rispetto ai contenuti del petitum.
Né, in senso diverso, possono ricavarsi argomenti da una sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che –statuendo in ordine ad una controversia nella quale si discuteva della possibilità di sostituire l’annullamento degli atti di una procedura concorsuale con il “semplice” risarcimento dei danni– è giunta a formulare il seguente principio di diritto: “sulla base del principio della domanda che regola il processo amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l’Amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto della domanda dell’istante ed in ordine al quale persista il suo interesse, ancorché la pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso dall’adozione degli atti, e ad essa debba seguire il mero rinnovo, in tutto o in parte, della procedura esperita” (Cons. St., Ad. plen., sentenza 13.04.2015, n. 4).
Proprio dalle motivazioni della citata sentenza del giudice della nomofilachia si desume peraltro che la condivisibile preclusione alla sostituzione officiosa delle forme di tutela richieste dalla parte ricorrente (risarcimento al posto dell’annullamento) non può in alcun modo estendersi alla modulazione degli effetti caducatori delle pronunce di annullamento, con la quale il giudice amministrativo assicura una protezione effettiva alle pretese dedotte in giudizio, senza travalicare i limiti imposti dall’oggetto e dalle ragioni della domanda (cfr. paragrafo n. 7 delle motivazioni in diritto).
In chiave sistematica, poi, le deroghe alla retroattività delle sentenze di annullamento del contratto, previste dagli articoli 1443 e 1445 del codice civile rispettivamente a tutela dell’incapace e del terzo subacquirente, confermano la validità dell’orientamento che ammette la modulazione degli effetti delle pronunce demolitorie, ove tale soluzione sia imposta dalla necessità di proteggere adeguatamente gli interessi dedotti in giudizio.
Per il giudice ordinario, infatti, in materia di annullamento del contratto, l'art. 1445 c.c., escludendo gli effetti dell'annullamento nei confronti dei terzi di buona fede che abbiano acquistato a titolo oneroso, sancisce implicitamente l'efficacia dell'annullamento nei confronti degli acquirenti rispetto ai quali non ricorra tale requisito soggettivo (Cass. civile, sez. II, 10.09.2019, n. 22585), così confermando che gli effetti possono essere calibrati in ragione degli interessi coinvolti.
Si tratta, peraltro, di soluzione immanente all’ordinamento giuridico, come confermato da una non recente decisione: "La disposizione dell'articolo 2652, n. 6, c.c., riguardante l'onere della trascrizione delle domande dirette a far dichiarare la nullità o far pronunziare l'annullamento di atti soggetti a trascrizione, ha lo scopo di limitare l'efficacia retroattiva e l'opponibilità della pronuncia dichiarativa della nullità, in quanto fa salvi i diritti che i terzi di buona fede abbiano acquistato in base ad un atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda di nullità, qualora quest'ultima sia stata trascritta dopo decorsi cinque anni dalla trascrizione dell'atto impugnato. Il verificarsi del duplice presupposto della trascrizione del titolo di acquisto e dell'omissione della trascrizione della domanda di dichiarazione di nullità entro il quinquennio attribuisce pertanto sia al primo acquirente sia ad ogni altro successivo avente causa una posizione di piena tutela nei confronti della pretesa di invalidità del titolo del dante causa" (Cass. civ., Sez. I, sentenza 20.05.1967, n. 1095).
16.6. La soluzione inaugurata dalla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2755/2011, con tutta evidenza, trae fondamento nell'evoluzione del sindacato del giudice che si è trasformato da giudizio di mera conformità dell’atto ad un determinato parametro normativo a giudizio sul legittimo esercizio della funzione amministrativa con riferimento al rapporto.
Nella prospettiva tradizionale –e ormai superata perché incentrata esclusivamente sulla legittimità/illegittimità dell’atto– la posizione di sovraordinazione, propria dell’amministrazione, impediva di individuare vincoli in capo all’ente nel rapporto con il privato (prima suddito e poi cittadino) e conseguentemente nessuno spazio vi era per una “relazione giuridica in senso proprio”. Come affermato dalla dottrina, “l’ordinamento giuridico poteva anche disciplinare il potere dell’amministrazione con norme volte ad orientare l’attività della medesima nell’interesse della stessa amministrazione (norme d’azione), ma senza che si instaurasse una relazione giuridica in senso proprio”.
Con l’affermarsi dello Stato di diritto –e poi con alcune rilevanti modifiche normative (possibilità di risarcire i danni cagionati da lesioni agli interessi legittimi, impugnazione di atti connessi con l’istituto dei motivi aggiunti, possibilità di valutare la fondatezza della pretesa e non annullabilità degli atti illegittimi che non potevano avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato)– l’interesse legittimo ha assunto un’indiscutibile valenza sostanziale consentendo di ricostruire “i termini dialettici … di una relazione giuridica bilaterale” in cui è essenziale penetrare nel rapporto tra amministrazione e cittadino per saggiarne la reale consistenza. Emblematico in tal senso è la disposizione che esclude l’annullamento dell’atto illegittimo quando il contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Altra dottrina –dopo aver distinto il “rapporto dinamico (procedimento) e quello statico (provvedimento), poiché nella dinamica procedimentale il privato, parte del rapporto, interagisce col responsabile del procedimento, mentre nel provvedimento è solo destinatario rispetto all'assetto degli interessi”– ha insistito per la costruzione di un più maturo quadro di tutele che, ad avviso della Sezione, non può che passare per un ampliamento degli schemi consolidati.
Anche la giurisprudenza ha rilevato che “l'interesse legittimo non rileva come situazione meramente processuale, ossia quale titolo di legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, né si risolve in un mero interesse alla legittimità dell'azione amministrativa in sé intesa, ma si rivela posizione schiettamente sostanziale, correlata, in modo intimo e inscindibile, ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione a seconda che si tratti di interesse oppositivo o pretensivo) può concretizzare un pregiudizio”; conseguentemente si aprono le porte ad un “giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata” (Cons. St., a.p., 23.03.2011, n. 3).
È bene precisare però che quanto sino ad ora affermato non deve mai travalicare i confini del merito amministrativo, se non nei rari casi previsti dalla legge (articolo 134 c.p.a).
16.7. Non può inoltre omettersi di osservare come l’impostazione accolta in questa sede si ponga in continuità con l’indirizzo accolto dalla giurisprudenza eurounitaria.
La Corte di Giustizia, prima in applicazione dell’articolo 231 Trattato CE, poi in ossequio a quanto stabilito dall’articolo 264 TFUE, ritiene di poter decidere, di volta in volta, sugli effetti dell’annullamento nel caso di riscontrata invalidità di un regolamento e “anche nei casi di impugnazione delle decisioni, delle direttive e di ogni altro atto generale”.
A tale riguardo, giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 264 TFUE, se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell'Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato. Viene altresì precisato che, ove lo reputi necessario, la Corte precisa gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi.
Con la sentenza 10.01.2006, in causa C-178/03, la Corte, richiamando l’articolo 231, secondo comma, allora vigente, ha mantenuto gli effetti dell’atto annullato “sino all’adozione, entro un termine ragionevole, di un nuovo regolamento basato su fondamenti normativi adeguati”.
Con altra sentenza, sempre la Corte di Giustizia, ha mantenuto gli effetti dell’atto impugnato “per un periodo non eccedente i tre mesi”, a decorrere dalla data di pronuncia della sentenza, sul presupposto che l'annullamento con effetto immediato avrebbe potuto “arrecare un pregiudizio grave ed irreversibile all'efficacia delle misure” imposte dall’atto caducato (Corte di giustizia, sentenza 03.09.2008, in cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P).
Di particolare interesse è altra pronuncia con la quale la Corte di Giustizia, dopo aver riscontrato l’illegittimità di una decisione, ha sospeso “gli effetti della constatazione d’invalidità”, per un periodo non superiore a due mesi, stabilendo altresì alcune eccezioni in considerazione della particolare posizione di determinati ricorrenti (Corte di giustizia, sentenza 22.12.2008, in causa C-333/07).
Parimenti, l’analisi delle tradizioni giurisprudenziali straniere (in specie francese) dimostra il diffuso riconoscimento di deroghe alla retroattività delle sentenze di annullamento.
In particolare, il Conseil d'Etat, in data 11.05.2004, Association Ac ed Autres, ha ritenuto che “Se l'annullamento di un atto amministrativo implica in linea di principio che tale atto non si considera mai avvenuto, quando le conseguenze di un annullamento retroattivo sarebbero manifestamente eccessive per gli interessi pubblici e privati coinvolti, il giudice può, in via eccezionale, modulare nel tempo gli effetti dell’annullamento che pronuncia”.
16.8. La Sezione non ignora che le tesi sostenute con la citata sentenza n. 2755 del 2011 siano state solo occasionalmente accolte dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado (cfr. TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 13.12.2011, n. 700; TAR Lazio-Roma, Sez. III-bis, sentenza 09.04.2014, n. 3838; TAR Molise, sentenza 21.11.2014, n. 637).
E ciò ancorché ancora recentemente la Sezione VI del Consiglio di Stato, con sentenza 06.04.2018, n. 2133, ha affermato che “il giudice amministrativo -anche in sede di cognizione- può comunque determinare se, nel caso di fondatezza delle censure poste a base di una domanda di annullamento, sussistano i presupposti per applicare il principio generale per il quale l’atto illegittimo vada rimosso con effetti ex tunc, oppure vada rimosso con effetti ex nunc, ovvero l’atto stesso non vada rimosso, ma debba o possa essere sostituito, con un ulteriore provvedimento, a sua volta se del caso avente effetti ex nunc (cfr. Cons. St., Sez. VI, sentenza 10.05.2011, n. 2755; Cons. St., Ad. plen., sentenza 22.12.2017, n. 13).
Anche in considerazione del principio di effettività della tutela del ricorrente vittorioso (richiamato dall’articolo 1 del codice del processo amministrativo), in rapporto alla consistenza dei poteri comunque esercitabili dall’Amministrazione a seguito della rilevata illegittimità del suo provvedimento, il giudice amministrativo -con la sentenza di cognizione o d’ottemperanza- nell’esercizio dei propri poteri conformativi e se del caso di merito può determinare quale sia la regola più giusta, che regoli il caso concreto.
Tale ampio potere del giudice amministrativo deve però tenere conto della normativa applicabile nella materia in questione e non deve condurre a conseguenze incongrue o asistematiche
”.
In effetti il giudice amministrativo fa un uso molto avveduto del potere in esame, limitandolo alle sole ipotesi in cui un temperamento alla regola della caducazione retroattiva degli atti illegittimi si renda strettamente necessario per la tutela degli interessi rilevanti nel caso concreto, così come s’è visto accade oltralpe.
16.9.
In conclusione reputa la Sezione che risponda meglio al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale la possibilità di “modulare” gli effetti dell’annullamento.
Tale potere, tuttavia, dovrà essere utilizzato in modo accorto e solo nelle ipotesi in cui si renda necessario per una migliore tutela degli interessi fatti valere nel giudizio in confronto con quelli pubblici e privati coinvolti.
E ciò anche al fine di evitare che le esigenze di effettività della tutela trasmodino –com’è stato giustamente paventato- in situazioni di incertezza giuridica o amministrativa.
In particolare
tale possibilità soccorrerà allorché -come nel caso in esame- occorre evitare che l’annullamento di un atto dell’amministrazione possa generare una condizione amministrativa di vuoto regolatorio (in caso di annullamento di atti normativi o generali), tale da determinare effetti peggiorativi della posizione giuridica tutelata col ricorso, nel senso di pregiudicare, anziché proteggere, il bene della vita che l’interessato aspira a conseguire o mantenere.
Sotto questo profilo, il caso qui all’odierno esame della Sezione appare paradigmatico: l’annullamento del piano specifico AIB potrebbe indurre indirettamente un effetto di paralisi dell’azione amministrativa di prevenzione incendi, impedire dunque anche quegli interventi urgenti, necessari a mitigare il rischio di incendi boschivi e, con l’approssimarsi della stagione estiva, aumentare di fatto ancor di più il rischio di devastanti incendi, difficilmente controllabili, con il risultato paradossale che l’accoglimento del ricorso proposto dalle associazioni ambientaliste per garantire più elevati livelli di tutela del paesaggio tutelato e delle aree naturali protette che ospitano specie vegetali e animali nel sistema Rete Natura 2000 potrebbe finire per (con)causare indirettamente la distruzione definitiva di quei paesaggi e di quegli habitat naturali.
16.10. Per le considerazioni sino a qui espresse, quindi,
il Consiglio esprime parere nel senso che il ricorso vada accolto, disponendo l'annullamento degli atti impugnati, nei limiti delle censure accolte e solo a decorrere dall'approvazione del nuovo piano AIB, approvazione che dovrà avvenire nel rispetto dei principi affermati con la presente decisione nel termine di 180 giorni dalla comunicazione del decreto che decide il ricorso.
Per garantire la piena tutela degli interessi fatti valere col ricorso e degli interessi pubblici coinvolti, dunque, il piano qui annullato rimane in vigore durante il predetto periodo di 180 giorni. Resta chiaro che le Autorità competenti, in tale lasso temporale, hanno l’obbligo di adottare tutte le misure e le azioni, eventualmente anche in attuazione parziale del piano qui annullato, per mettere in sicurezza il sito nonché per fronteggiare gli interventi improcrastinabili e indifferibili relativi ad aree -soprattutto vicine ad insediamenti antropici- che presentano rischi elevati secondo la prudente e responsabile valutazione delle amministrazioni che certamente non compete a questo Decidente.
Decorso il predetto termine, il piano oggetto del ricorso rimane definitivamente annullato e privo di effetti con la conseguenza che, qualora l’amministrazione non dovesse ottemperare alla decisione, parte ricorrente potrà agire in sede di ottemperanza secondo il costante orientamento della giurisprudenza (ex multis, Cons. St., ad. plen., 05.06.2012, n. 18; Cons. St., ad. plen., 06.05.2013, n. 9; Cons. St., ad. plen., 14.07.2015, n. 7).
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere accolto esclusivamente nei limiti e con le prescrizioni indicati in motivazione.

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 27.05.2020 n. 135 "Attività antincendio boschivo per la stagione estiva 2020. Individuazione dei tempi di svolgimento e raccomandazioni per un più efficace contrasto agli incendi boschivi, di interfaccia, ed ai rischi conseguenti" (P.C.M., comunicato 19.05.2020).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 22 del 25.05.2020, "Modifiche alla legge regionale 28.02.2005, n. 9 (Nuova disciplina del servizio volontario di vigilanza ecologica)" (L.R. 21.05.2020 n. 12).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 22 del 25.05.2020, "Legge di semplificazione 2020" (L.R. 21.05.2020 n. 11)."

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Area boschiva e vincolo paesaggistico – BOSCHI E MACCHIA MEDITERRANEA – Intervento edilizio su zona vincolata – Disboscamento del terreno – Piano paesaggistico – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Realizzazione dei capannoni in un’area boscata – Permesso di costruire – Fattispecie – Artt. 146, 153, 154, 159 e 181, d.lgs. n. 42/2004 – Artt. 5 e 44 d.P.R. n. 380/2001.
In tema di tutela dei beni culturali e ambientali, i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, dell’articolo 146 d.lgs. 42/2004, hanno l’obbligo di sottoporre alle amministrazioni competenti i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, preordinata alla verifica della compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione, ne deriva che costituisce onere dell’interessato rappresentare, nel richiedere il permesso di costruire, che l’intervento progettato insiste su una zona vincolata sul piano paesaggistico, così come verificare, una volta conseguito il titolo abilitativo ai fini urbanistici, se lo stesso sia congruo in relazione alla situazione di fatto, riferita cioè alla specifica zona in cui l’intervento deve essere realizzato.
Nella specie, il ricorrente non poteva sottrarsi agli obblighi su lui stesso incombenti per la realizzazione dei capannoni in un’area boscata trincerandosi dietro un’insussistente autonoma iniziativa del Comune sol perché si tratta dello stesso ente deputato al rilascio sia dell’autorizzazione paesaggistica che del permesso di costruire, quando era lui stesso ad aver taciuto quale fosse l’effettivo stato dei luoghi al momento della domanda.

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Funzioni e limiti dello Sportello Unico per l’Edilizia – Cura dei rapporti fra il privato, l’amministrazione e le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi – VIA VAS AIA – Taglio di un’area boscata – Impatto sul contesto ambientale – Fattispecie: preventiva modifica abusiva dello stato dei luoghi a fini edilizi (taglio di un bosco senza richiedere l’autorizzazione).
Lo Sportello Unico per l’Edilizia, in conformità a quanto previsto dall’art. 5 d.P.R. 380/2001, assolve alla funzione di curare tutti i rapporti fra il privato, l’amministrazione e, ove occorra, le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi in ordine all’intervento edilizio oggetto della richiesta di permesso o di denuncia di inizio attività, ha unicamente finalità di semplificazione procedimentale ed organizzativa, fungendo da tramite tra il privato e l’amministrazione per il rilascio dei titoli abilitativi, ma certamente non può sostituirsi alla carente rappresentazione dello stato dei luoghi da parte dell’interessato.
Nella specie, invece, l’interessato era ben consapevole dell’esistenza di un bosco sull’area destinata ad intervento edilizio essendo stato lui stesso ad averne eseguito preventivamente il taglio senza averne richiesto neppure in tale occasione l’autorizzazione.
Diversamente opinando, verrebbe con un sol colpo annullato lo stesso vincolo paesaggistico, contemplante per sua natura la valutazione dell’impatto sul contesto ambientale circostante dell’opera realizzanda, rimettendo allo stesso interessato la possibilità, con una condotta, necessariamente arbitraria proprio in quanto non preventivamente autorizzata, mediante la preventiva modifica dello stato dei luoghi, di aggirare il vincolo stesso: conseguenza questa all’evidenza paradossale, tenuto conto che nello specifico l’imputato non aveva mai chiesto, neppure in relazione al disboscamento, che entrambi i giudici di merito ritengono logicamente preordinato alla successiva edificazione, alcuna autorizzazione sul piano paesaggistico essendosi munito soltanto del parere favorevole ai fini del diverso vincolo idrogeologico, che attesta in via ineludibile la preesistente sussistenza di un’area boschiva, così come la consapevolezza in capo al medesimo di operare in area vincolata.

...
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Area boscata – Vincolo paesaggistico – T.U. in materia forestale del 03.04.2018 n. 34 – Art. 142 d.Lgs. 42/2004 – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Altra definizione contenuta nei PRG e strumenti urbanistici comunali – Irrilevanza.
Il vincolo paesaggistico sussiste per il solo fatto della presenza di un bosco, inteso secondo il previgente l’art. 2 d.Lgs. 227/2001, come un “terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento”, definizione questa non modificata dalla vigente normativa, costituita dal T.U. in materia forestale del 03.04.2018 n. 34 null’altro evincendosi dall’art. 142 d.Lgs. 42/2004 che rimanda alla nozione recepita dal legislatore nazionale in materia forestale.
Pertanto, ne consegue che nessuna rilevanza possa attribuirsi alle determinazioni assunte dal Comune al riguardo o da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.03.2020 n. 9402 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo paesaggistico sussiste per il solo fatto della presenza di un bosco, inteso secondo il previgente art. 2 d.lgs. 227/2001, come un "terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento", definizione questa non modificata dalla vigente normativa, costituita dal T.U. in materia forestale del 03.04.2018 n. 34 null'altro evincendosi dall'art. 142 d.lgs. 42/2004 che rimanda alla nozione recepita dal legislatore nazionale in materia forestale.
Invero, sono solo le Regioni che possono nell'ambito della potestà legislativa concorrente in subiecta materia a poter integrare, per addizione o sottrazione, la definizione di area boschiva assunta dalla legge nazionale, aggiungendo o escludendo da essa determinate aree, e che in ogni caso la nozione di bosco assunta dalla legge regionale toscana n. 1/2005, all'epoca vigente, non si discosta da quella nazionale testé riportata: conseguentemente una volta accertata la natura boschiva di un'area, il vincolo paesaggistico derivante ex lege dall'art. 142 d.lgs. 42/2004 produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali.
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Il ricorrente non può perciò sottrarsi agli obblighi su lui stesso incombenti per la realizzazione dei capannoni in un'area boscata trincerandosi dietro un'insussistente autonoma iniziativa del Comune sol perché si tratta dello stesso ente deputato al rilascio sia dell'autorizzazione paesaggistica che del permesso di costruire, quando è lui stesso ad aver taciuto quale fosse l'effettivo stato dei luoghi al momento della domanda.
Né di alcun supporto alla tesi difensiva propugnata può ritenersi la costituzione da parte dell'Amministrazione comunale dello Sportello Unico per l'Edilizia in conformità a quanto previsto dall'art. 5 d.P.R. 380/2001 al quale lo stesso imputato si è rivolto: tale ufficio, il quale assolve alla funzione di curare tutti i rapporti fra il privato, l'amministrazione e, ove occorra, le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi in ordine all'intervento edilizio oggetto della richiesta di permesso o di denuncia di inizio attività, ha unicamente finalità di semplificazione procedimentale ed organizzativa, fungendo da tramite tra il privato e l'amministrazione per il rilascio dei titoli abilitativi (Sez. 3, n. 19315 del 27/04/2011 - dep. 17/05/2011, Manera, Rv. 250017), ma certamente non può sostituirsi alla carente rappresentazione dello stato dei luoghi da parte dell'interessato che, invece, era ben consapevole dell'esistenza di un bosco sull'area in questione essendo stato lui stesso ad averne eseguito preventivamente il taglio senza averne richiesto neppure in tale occasione l'autorizzazione.
Del resto, l'assunto secondo il quale competeva al Comune attivarsi per il conseguimento dell'autorizzazione paesaggistica secondo le proprie autonome determinazioni è contraddetta dalle successive allegazioni della stessa difesa che sostiene che, non sussistendo alcun bosco sull'area al momento dell'edificazione, non doveva essere rilasciata alcuna autorizzazione paesaggistica, così negando nel medesimo ricorso l'autonomia decisionale dell'ente locale fermamente sostenuta poche pagine prima.
La tesi, anche a prescindere dalla sua intrinseca incoerenza con il precedente assunto difensivo, mostra tutta la sua fragilità sol che si consideri che così opinando verrebbe con un sol colpo annullato lo stesso vincolo paesaggistico, contemplante per sua natura la valutazione dell'impatto sul contesto ambientale circostante dell'opera realizzanda, rimettendo allo stesso interessato la possibilità, con una condotta, necessariamente arbitraria proprio in quanto non preventivamente autorizzata, mediante la preventiva modifica dello stato dei luoghi, di aggirare il vincolo stesso: conseguenza questa all'evidenza paradossale, tenuto conto che nello specifico l'imputato non aveva mai chiesto, neppure in relazione al disboscamento, che entrambi i giudici di merito ritengono logicamente preordinato alla successiva edificazione, alcuna autorizzazione sul piano paesaggistico essendosi munito soltanto del parere favorevole ai fini del diverso vincolo idrogeologico, che attesta in via ineludibile la preesistente sussistenza di un'area boschiva, così come la consapevolezza in capo al medesimo di operare in area vincolata.
E poiché il vincolo paesaggistico sussiste per il solo fatto della presenza di un bosco, inteso secondo il previgente art. 2 d.lgs. 227/2001, come un "terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento", definizione questa non modificata dalla vigente normativa, costituita dal T.U. in materia forestale del 03.04.2018 n. 34 null'altro evincendosi dall'art. 142 d.lgs. 42/2004 che rimanda alla nozione recepita dal legislatore nazionale in materia forestale, ne consegue che nessuna rilevanza possa attribuirsi alle determinazioni assunte dal Comune al riguardo.
Va infatti considerato che sono solo le Regioni che possono nell'ambito della potestà legislativa concorrente in subiecta materia a poter integrare, per addizione o sottrazione, la definizione di area boschiva assunta dalla legge nazionale, aggiungendo o escludendo da essa determinate aree, e che in ogni caso la nozione di bosco assunta dalla legge regionale toscana n. 1/2005, all'epoca vigente, non si discosta da quella nazionale testé riportata: conseguentemente una volta accertata la natura boschiva di un'area, il vincolo paesaggistico derivante ex lege dall'art. 142 d.lgs. 42/2004 produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali.
Deve perciò ritenersi priva di rilievo l'affermazione resa dal Comune di Trequanda, in risposta ai rilievi della Provincia di Siena, secondo cui l'area in esame non era qualificabile come boscata, sussistendo l'imprescindibile obbligo in capo all'imputato di rappresentare all'amministrazione competente la sussistenza dello specifico vincolo paesaggistico dovuto alla presenza del bosco.
D'altra parte è stata proprio la mancanza dell'autorizzazione paesaggistica, configurante presupposto di efficacia del permesso di costruire, ad aver determinato la contestazione di illegittimità del titolo urbanistico in quanto mancante dell'atto presupposto ex lege e comunque in violazione delle norme previste per il suo rilascio, ancorché il relativo reato sia stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione sin dalla sentenza di primo grado: epilogo questo sufficiente ad escludere la rilevanza delle disquisizioni difensive volte a contrastare il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo da parte del giudice penale, trattandosi di questioni estranee al delitto paesaggistico, consumatosi per l'omesso conseguimento della relativa autorizzazione, ma semmai attinenti al permesso di costruire, non più oggetto di disamina da parte dei giudici del gravame (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.03.2020 n. 9402).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 04.01.2020, "Piano regionale delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi per il triennio 2020-2022 (legge n. 353/2000)" (deliberazione G.R. 23.12.2019 n. 2725).

anno 2019

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E MACCHIA MEDITERRANEA – Qualificazione giuridica di bosco – Nozione di bosco ai fini penali – AGRICOLTURA – Lavori di bonifica agraria in area boschiva – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Trasformazione bosco a prato – Assenza della autorizzazione paesaggistica – Rimessione in pristino dello stato dei luoghi – D.lgs. n. 227/2001 – Art. 181 d.lgs. n. 42/2004.
Dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 18.05.2001, n. 227, deve qualificarsi come bosco –meritevole di protezione ai sensi dell’art. 181 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42– ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché aventi un’estensione non inferiore a mq. duemila, con larghezza media non inferiore a metri venti e copertura non inferiore al 20 per cento (Sez. 3, n. 32807 del 23/04/2013, Timori; Sez. 3, n. 1874 del 16/11/2006, dep. 2007, Monni).
Le leggi regionali possono dettare una diversa disciplina ai fini dell’individuazione delle zone assoggettate a vincolo paesaggistico e classificate “bosco” e, ai fini penali, tale nozione deve intendersi in senso normativo e non naturalistico, in quanto finalizzata ad evitare deturpamenti “a macchia” di aree boschive.
La disposizione normativa prende in considerazione le caratteristiche di tutte le aree omogenee limitrofe a quelle interessate dalla opere, e non solo queste ultime, giacché in tal caso si potrebbero realizzare senza autorizzazione interventi di modifica di territori aventi estensione inferiore ai 2000 metri quadrati, ancorché limitrofi a più ampie aree omogenee ed aventi copertura boschiva, ciò che la normativa citata ha appunto voluto vietare
(Cass. Sez. 3, n. 28135 del 11/01/2012, Galluccio; Sez. 3, n. 28928 del 18/05/2011, Sardu)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.09.2019 n. 38471 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2017

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 30 del 29.07.2016, "Aggiornamento albo regionale delle imprese boschive (l.r. 31/2008, art. 57): iscrizione ditta Cagliani Marco" (decreto D.S. 26.07.2016 n. 7320).

anno 2016

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAPer tagliare i boschi basta l'autorizzazione forestale.
La preservazione nel tempo dei boschi e foreste nella loro complessiva integrità costituisce lo scopo sia della protezione forestale che di quella paesaggistica generale. In vista di questo obiettivo, la legge statale, sottoponendo a vincolo, tutti i boschi prevede che il taglio colturale e le altre operazioni ammesse possono essere compiute con autorizzazione forestale senza che sia necessaria l'autorizzazione paesaggistica.

Lo ha precisato l'Ufficio Legislativo del Ministero dei beni culturali con il nota 08.09.2016 n. 25553 di prot..
Per lo speciale valore tutelato paesaggisticamente di boschi e foreste, il legislatore prevede un regime derogatorio ridotto e rimesso al controllo dell'autorità forestale, ma solo ove il bosco o foresta sia tutelato come elemento morfologico del territorio, da salvaguardare nei suoi elementi identificativi.
Qualora il territorio boschivo sia tutelato anche con specifico provvedimento che ne riconosca il notevole interesse pubblico per ragioni di carattere paesaggistico-culturale, gli interventi forestali, già compatibili con la tutela dei caratteri morfologici tutelati per legge, richiedono la valutazione della loro compatibilità con lo specifico valore paesaggistico espressamente riconosciuto e tutelato nel provvedimento, mediante ricorso alla previa autorizzazione paesaggistica».
Nel caso specifico, la questione verte sulla necessità di autorizzare preventivamente, ai sensi dell'art. 146 del codice del paesaggio, interventi di taglio colturale in un complesso forestale vincolato non solo ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. g), del medesimo codice.
Nel caso in questione, in particolare, la Soprintendenza ha adottato un'ordinanza di sospensione lavori ritenendo invece che gli interventi di taglio colturale siano sottratti alla previa autorizzazione paesaggistica, anche nell'ipotesi di bosco tutelato con specifico provvedimento adottato ai sensi dell'art. 136 del codice di settore (articolo ItaliaOggi del 16.09.2016).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: SARDEGNA, bosco del Marganai — Ente Foreste della Sardegna — autorizzazione ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi sottoposti a tutela, oltre che ex lege, in forza di specifico provvedimento (MIBACT, Ufficio Legislativo, nota 08.09.2016 n. 25553 di prot.).
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Si riscontra la nota prot. n. 4703 del 19.02.2016 con la quale la Direzione generale Belle arti e paesaggio chiede conferma del proprio orientamento, espresso in adesione alla competente Soprintendenza, circa la necessità di autorizzare preventivamente, ai sensi dell'art. 146 del codice di settore, interventi di taglio colturale nel complesso forestale del Marganai, vincolato non solo ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. g), del medesimo codice, ma anche con specifico provvedimento adottato in data 13.02.1978, che ne ha riconosciuto il notevole interesse pubblico, non ritenendo applicabile a tale fattispecie il regime derogatorio speciale previsto dall'art. 149, comma 1, lett. c), del codice.
Nel caso in questione, in particolare, la Soprintendenza ha adottato un'ordinanza di sospensione lavori in data 24.09.2015, contestata dall'Ente Foreste della Sardegna, che ritiene invece che gli interventi di taglio colturale siano sottratti alla previa autorizzazione paesaggistica, anche nell'ipotesi di bosco tutelato con specifico provvedimento adottato ai sensi dell'art. 136 del codice di settore.
Al riguardo, nel condividere l'orientamento della Direzione, si precisa quanto segue. (...continua).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Bosco ed efficacia del vincolo indipendentemente dalla qualificazione dell'area da parte degli strumenti urbanistici.
La definizione legislativa di "bosco" si applica ai fini dell'individuazione dei territori coperti da boschi di cui all'articolo 142, lett. g), d.lgs. 22.01.2004, n. 42.
I limiti di applicabilità all'applicazione del vincolo, previsti in via del tutto eccezionale dall'art. 142, comma 2, d.lgs. 42 del 2004, dimostrano "a contrariis" che, una volta accertata la natura boschiva di un'area, esso produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali e comporta l'ineludibile obbligo di presentare all'amministrazione competente il progetto degli interventi che si intendano intraprendere affinché l'area non venga distrutta o vi siano introdotte modificazioni che possano recar pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione (art. 146, commi 1 e 2, d.lgs. n. 42 del 2004).

6.9. Limitandoci per ora alle questioni che attengono alla sussistenza del reato (e dunque alla esistenza del  vincolo violato), è necessario ricordare che la  definizione legislativa di "bosco" «si applica ai fini dell'individuazione dei territori coperti da boschi di cui all'articolo 146, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 29.10.1999, n. 490» (oggi art. 142, lett. g, d.lgs. 22.01.2004, n. 42).
6.10. I limiti di applicabilità all'applicazione del vincolo, previsti in via del tutto eccezionale dall'art. 142, comma 2, d.lgs. 42 del 2004, dimostrano "a contrariis" che, una volta accertata la natura boschiva di un'area, esso produce effetti indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali e comporta l'ineludibile obbligo di presentare all'amministrazione competente il progetto degli interventi che si intendano intraprendere affinché l'area non venga distrutta o vi siano introdotte modificazioni che possano recar pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione (art. 146, commi 1 e 2, d.lgs. n. 42 del 2004).
6.11. Il fatto che il PRG del Comune di Pelago classificasse la zona come "area ad attrezzature" ricompresa all'interno del perimetro del centro abitato non vale ad escluderne la natura boschiva (e dunque la sussistenza del vincolo) se, come già detto, sussistevano i requisiti di fatto per classificarla come tale.
6.12. Né rileva il fatto che l'area fosse compresa all'interno del perimetro del centro abitato poiché tale circostanza legittima l'esclusione del vincolo nei soli casi tassativamente ed eccezionalmente previsti dal già citato art. 142, comma 2, d.lgs. n. 42 del 2004, nessuno dei quali ricorre nel caso di specie e comunque mai nemmeno dedotti nei giudizi di merito.
6.13. Non ha nemmeno importanza stabilire se i lavori disposti con D.I.A. dovessero essere o meno autorizzati con permesso di costruire; quel che rileva, perché possa dirsi insussistente il reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. 42 del 2004, è che l'intervento, oltre quelli che l'art. 149, stesso d.lgs., già sottrae alla necessità dell'autorizzazione, sia di tale minima consistenza da non avere nemmeno in astratto l'attitudine a ledere i valori paesaggistici protetti
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.05.2015 n. 19533 - tratto da www.lexambiente.it).

anno 2014

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: In area sottoposta a vincolo ambientale ai sensi degli artt. 136 e 142 del d.lgs. n. 42/2004, si sono effettuati svariati interventi nell’ambito di un’operazione di riqualificazione del parco, fra i quali il taglio di alcune specie arboree nel demanio lacuale, senza aver preventivamente richiesto l’autorizzazione paesaggistica.
Ebbene, nel caso de quo la sanzione è stata determinata con riferimento ad una accurata relazione di stima, versata in atti, redatta secondo il metodo cosiddetto “svizzero”, condiviso dal perito agronomo di parte ricorrente, mediante, cioè, un’operazione aritmetica che considera le singole variabili del prezzo base, dell’indice estetico, dello stato sanitario, dell’indice di posizione e di dimensione per la commisurazione del valore ambientale delle piante e tenendo conto, altresì, di quanto accertato dal Corpo Forestale dello Stato nonché previa acquisizione dei pareri resi dalla Sovrintendenza e dalla Commissione per il paesaggio provinciale.
In concreto, l’unico parametro che poteva essere utilizzato per la determinazione della sanzione pecuniaria da versare consisteva nel danno ambientale provocato, non potendosi in alcun modo determinare il profitto ricevuto dal danneggiante a causa dell’azione posta in essere in violazione del codice dei beni culturali e del paesaggio.

La società ricorrente, proprietaria di un immobile sito in Mandello del Lario in area sottoposta a vincolo ambientale ai sensi degli artt. 136 e 142 del d.lgs. n. 42/2004, effettuava svariati interventi nell’ambito di un’operazione di riqualificazione del parco, fra i quali il taglio di alcune specie arboree nel demanio lacuale, senza aver preventivamente richiesto l’autorizzazione paesaggistica.
Con il presente ricorso l’istante ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale il Dirigente del settore territorio, patrimonio e demanio della Provincia di Lecco, in seguito alla presentazione di apposita domanda finalizzata all’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi ai sensi dell’art. 181 del d.lgs. n. 42/2004, ha irrogato alla stessa una sanzione pecuniaria di euro 9.578,02 per danno ambientale, ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, per aver tagliato alcune specie arboree anche di pregio nel demanio lacuale, senza aver preventivamente richiesto l’autorizzazione paesaggistica.
A sostegno del proprio ricorso l’istante ha dedotto l’eccesso di potere per carenza di motivazione e la violazione dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 con riferimento all’assunta errata determinazione della sanzione pecuniaria irrogata.
...
Il ricorso è infondato.
Le censure della società istante si incentrano esclusivamente sul quantum della sanzione, presupponendo, dunque, la piena legittimità dell’an dell’irrogazione della sanzione medesima, atteso che il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria richiesto dalla società ricorrente è subordinato al pagamento della sanzione pecuniaria irrogata.
Ai sensi dell’art. 167, commi 1, 4 e 5, del d.lgs. n. 42/2004, infatti: “1. In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4.
4. L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
   a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
   b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
   c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380.
5. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell'articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma
”.
Nella fattispecie all’esame del collegio, la sanzione è stata determinata con riferimento ad una accurata relazione di stima, versata in atti, redatta secondo il metodo cosiddetto “svizzero”, condiviso dal perito agronomo di parte ricorrente, mediante, cioè, un’operazione aritmetica che considera le singole variabili del prezzo base, dell’indice estetico, dello stato sanitario, dell’indice di posizione e di dimensione per la commisurazione del valore ambientale delle piante e tenendo conto, altresì, di quanto accertato dal Corpo Forestale dello Stato, come risulta dal rapporto del 24.02.2010, nonché previa acquisizione dei pareri resi dalla Sovrintendenza e dalla Commissione per il paesaggio provinciale, tutti allegati al provvedimento impugnato.
In concreto, l’unico parametro che poteva essere utilizzato per la determinazione della sanzione pecuniaria da versare consisteva nel danno ambientale provocato, non potendosi in alcun modo determinare il profitto ricevuto dal danneggiante a causa dell’azione posta in essere in violazione del codice dei beni culturali e del paesaggio.
Risultano, dunque, infondate le censure dedotte dall’istante, in considerazione della piena legittimità del provvedimento impugnato, che risulta idoneamente e congruamente motivato soprattutto per relationem, con riferimento alla relazione di stima al medesimo allegata, che ne costituisce il fondamento.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 29.07.2014 n. 2138 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: BOSCO - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Attività di rimboschimento - Terreni boschivi vincolati - Bosco artificiale e bosco naturale - Individuazione e nozione - Artt. 142, lett. g), 146, 147, 149, 159 e 181 del D.Lgs. 42/2004 – Art. 2 D.Lgs. n. 227/2001.
La nozione di bosco comprende, in coerenza con l'art. 2 del D.Lgs. 227/2001 tanto il bosco latu senso inteso, sia di origine naturale che artificiale, e che, laddove il terreno su cui quel bosco sorge non sia destinato in via esclusiva alla produzione del legno, esso è assoggettato alla disciplina penalistica prevista dall'art. 181 del D. L.vo 42/2004.
Va, ancora, sottolineato che l'attività di rimboschimento costituisce indice inequivocabile della non esclusività della destinazione a produzione del legno per la particolare ampiezza dell'intervento, di guisa che un intervento di taglio indiscriminato degli alberi seguito dal dissodamento del terreno laddove non specificamente autorizzato, incide sull'assetto territoriale e paesaggistico integrando la fattispecie tipica dell'art. 181 D.Lgs. 42/04 come richiamata dagli artt. 142, lett. g), del medesimo D.Lgs. e 2, commi 5° e 6° del D.Lgs. 227/2001.
BOSCO - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Terreni boschivi protetti da vincolo - Individuazione - Tutela del paesaggio e nozione di bosco in senso normativo e non naturalistico.
In tema di tutela del paesaggio ed al fine di individuare i terreni boschivi protetti da vincolo va qualificato come bosco, alla luce della speciale normativa di settore (art. 2 del richiamato D.Lgs. 227/2001) qualsiasi terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, con il limite spaziale di una estensione non inferiore a 2000 mq., con larghezza media non inferiore a mt. 20 e con copertura per l'intera superficie non inferiore al 20% (Cass., Sez. 3^ 16.11.2006 n. 1874, Monni, Rv. 235869; Cass. Sez. 3^ 18.05.2011 n. 28928, Sardu, Rv. 250968 in cui si specifica che la nozione di bosco va intesa in senso normativo e non naturalistico; Sez. 3^ 20.06.2007 n. 24258; Sez. 3^ 10.03.2011 n. 9690).
BOSCO - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Nozione di "territorio coperto da bosco” ai fini del vincolo paesaggistico - Bosco naturale e artificiale - Giurisprudenza.
La nozione di "territorio coperto da bosco ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 146, comma 1, lett g), del D.Lgs. 29.10.1999 n. 490, [come successivamente sostituito dall'art. 142, lett. G), del D.Lgs. 42/2004] include tanto il bosco di origine naturale quanto quello di natura artificiale" (Cass. Sez. 3^ 17.05.2002 n. 26601, P.G. in proc. Varvara V.; Cass. Sez. 1^ 01.10.1987 n. 742, Carta).
E per una definizione "allargata" di bosco va menzionata la recente decisione di questa Sezione n. 32807 del 23.04.2013, P.M. in proc. Timori, Rv. 255904, secondo la quale in piena sintonia con il detto normativo rientra nel concetto di bosco "ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché aventi un'estensione non inferiore a mq. duemila, con larghezza media non inferiore a metri venti e copertura non inferiore al 20 per cento".
BOSCO - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Tutela del paesaggio e vincolo di rimboschimento – Disciplina applicabile - Art. 2, 6° c., D.Lgs. 18/05/2001 n. 227.
In tema di tutela del paesaggio, i requisiti fissati dall'art. 2, comma sesto, del D.Lgs. 18.05.2001 n. 227, per qualificare una formazione vegetale quale bosco non sono richiesti per i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento, per la cui assimilazione ai boschi è sufficiente la presenza del provvedimento amministrativo o della disposizione normativa che abbia imposto il vincolo di rimboschimento (Sez. 3^ 07.06.2006 n. 32542, De Nardis, Rv. 234941) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.07.2014 n. 30303 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Individuazione terreni boschivi vincolati.
In tema di tutela del paesaggio ed al fine di individuare i terreni boschivi protetti da vincolo va qualificato come bosco, alla luce della speciale normativa di settore (art. 2 del D.Lgs. 227/2001) qualsiasi terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, con il limite spaziale di una estensione non inferiore a 2000 mq., con larghezza media non inferiore a mt. 20 e con copertura per l’intera superficie non inferiore al 20% (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.07.2014 n. 30303 - tratto da www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Concetto di bosco.
Domanda
Nei terreni boschivi soggetti a incendio è possibile l'attività edificatoria?
Risposta
La Corte di cassazione, sezione terza penale, con la sentenza del 29.07.2013, numero 32807, ha affermato che in tema di tutela del paesaggio, dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo numero 227, del 2001, deve qualificarsi come bosco ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché aventi un'estensione non inferiore a 2 mila metri quadrati, con larghezza media non inferiore a metri 20 e copertura non inferiore al 20%. Un tale territorio, pertanto, per i giudici è meritevole di protezione ai sensi della disposizione portata dall'articolo 181 del decreto legislativo 22.01.2004, numero 42.
Per quanto riguarda l'interpretazione del nuovo articolo 10 della legge quadro sugli incendi boschivi, numero 353, del 21.11.2000, così come modificato dalla legge 24.12.2003, numero 350, la giurisprudenza (Tribunale del riesame di Savona) aveva sottolineato che, mentre la normativa antecedente alla succitata legge prevedeva, in modo esplicito, che fosse vietata ogni edificazione su un'area percorsa dal fuoco, con l'eccezione dei casi in cui per detta realizzazione fosse già stata rilasciata, in data precedente l'incendio, la relativa autorizzazione o concessione, la nuova normativa ha escluso il riferimento espresso all'autorizzazione o concessione e si riferisce esclusivamente alla circostanza che la realizzazione dell'opera sia sta prevista prima dell'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data.
La Corte di cassazione con la succitata sentenza ha affermato che l'aggettivo «prevista», richiamato dall'articolo 10 della legge numero 353, del 2000, citata, così come modificato dalla successiva legge numero 350, del 2003, pure su citata, e «prevedibili» non sono affatto sinonimi, atteso che, per ottenere quanto ritenuto dai Giudici del riesame, il legislatore avrebbe dovuto intervenire non tanto sul nomen degli strumenti abilitativi, quanto sul contenuto dell'eccezione, sostituendo all'aggettivo prevista l'aggettivo prevedibile (articolo ItaliaOggi Sette del 16.06.2014).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 02.01.2014, "Approvazione del documento “Indicazioni per gli operatori forestali in applicazione del regolamento (UE) n. 995/2010”" (decreto D.S. 23.12.2013 n. 12634).

anno 2013

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 49 del 02.12.2013, "Adeguamento delle sanzioni amministrative pecuniarie in materia di danni alle superfici boschive e ai terreni soggetti a vincolo idrogeologico (art. 61, comma 14, l.r. n. 31/2008)" (decreto D.S. 26.11.2013 n. 10974).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: T. Millefiori, Sulla definizione normativa di bosco (28.11.2013 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 47 del 19.11.2013, "Approvazione di criteri per la redazione dei piani di assestamento forestale (PAF)" (deliberazione G.R. 08.11.2013 n. 901).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 43 del 21.10.2013, "Individuazione degli interventi di irrilevante impatto sulla stabilità idrogeologica dei suoli, ai sensi dell’articolo 44, comma 6, lettera b), della l.r. 31/2008 e delle relative procedure. Contestuali precisazioni sulla definizione di “Trasformazione del Bosco” (art. 43 l.r. 31/2008) e sulla definizione di “Mutamento di destinazione d’uso del suolo” ai sensi dell’art. 4-quater, comma 5-bis della l.r. 31/2008" (deliberazione G.R. 11.10.2013 n. 773).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Nozione onnicomprensiva di area boscata.
L'impostazione “onnicomprensiva” della nozione di bosco è condivisibile poiché quel che rileva, in ultima analisi, è l'identità di ratio che accomuna-la tutela dei terreni coperti da foreste di alto fusto a quella delle aree inserite in un contesto di vegetazione anche di tipo arbustivo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.07.2013 n. 32807 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E MACCHIA MEDITERRANEA - Nozione onnicomprensiva di area boscata - Legge n. 353/2000 - Art. 181, c. 1, d.lgs. n. 42/2004.
Nell’impostazione "omnicomprensiva" della nozione di bosco quel che rileva, in ultima analisi, è l'identità di ratio che accomuna la tutela dei terreni coperti da foreste di alto fusto a quella delle aree inserite in un contesto di vegetazione anche di tipo arbustivo ( Cons. Stato, sez. IV, 12/03/2013 n. 1481).
BOSCHI E MACCHIA MEDITERRANEA - Nozione di bosco o territorio boschivo - Giurisprudenza - L. n. 353/2000 - Art. 181, c.1, d.lgs. n. 42/2004.
La nozione di bosco o territorio boschivo (di cui al d.lgs. 18.05.2001 n. 227, penalmente tutelato dall'articolo 181 d.lgs. 22.01.2004 n. 42, norma annoverata tra quelle dei capi d'imputazione) deve intendersi in senso normativo e non naturalistico, essendo il senso normativo un concetto estensivo che include anche la macchia mediterranea, qualora (Cass. sez. III, 15/12/2004 n. 48118), comprenda alberi di medio fusto o essenze arbustive ad elevato sviluppo (macchia alta) o in un'accezione ancora più estensiva (Cass. sez. III, 16/11/2006 – 23/01/2007 n. 1874, per cui "deve qualificarsi come bosco, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 18.05.2001 n. 227, ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché aventi un'estensione non inferiore a mq. duemila, con larghezza media non inferiore a metri venti e copertura non inferiore al 20 per cento") di recente pervenuta anche a ritenere tutelata quale area boschiva pure la macchia mediterranea caratterizzata dall'assenza di alberi d'alto fusto (Cass. sez. III, 20/07/2011 n. 28928).
INCENDI BOSCHIVI – Strumenti urbanistici vigenti prima dell'incendio - Concetto di prevedibilità Art. 4, c. 173, L. n. 350/2003 – L. n. 353/2000 Legge quadro in materia di incendi boschivi - Art. 44, c. 1, lett. c), d.p.r. n. 380/2001.
L’articolo 4, comma 173, L. n. 350/2003, (che modifica la L. n. 353/2000 - Legge quadro in materia di incendi boschivi) ha escluso che sia sufficiente la compatibilità delle opere (che, seppur con una intensità semantica minore, può assimilarsi al concetto di prevedibilità) con gli strumenti urbanistici vigenti prima dell'incendio per integrare l'eccezione all'inedificabilità dettata dall'articolo 10, occorrendo che l'area sia già stata riservata dallo strumento urbanistico alla realizzazione delle opere stesse (Cass. sez. III, 28.03.2011 n. 16592) (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.07.2013 n. 32807 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Parcheggio adiacente all’attività alberghiera, inapplicabilità legge n. 122/1989.
Al parcheggio realizzato al piano terra di un edificio diverso, sebbene adiacente, da quello oggetto dell’attività alberghiera, non può applicarsi la norma contenuta nell’art. 9 della legge n. 122/1989, che prevede, per la realizzazione di parcheggi, il loro assoggettamento ad autorizzazione gratuita e non a concessione.
Infatti, la norma trova applicazione solo nei casi espressamente e tassativamente considerati, trattandosi di norma eccezionale che deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti.
In particolare essa presuppone che il parcheggio venga realizzato nello stesso fabbricato ove sono situate le unità immobiliari di cui il parcheggio costituisce pertinenza, mentre nella fattispecie è stato realizzato nel quadro di un intervento ristrutturativo di altro edificio seppur adiacente (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.07.2013 n. 3672 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 21 del 20.05.2013, "Aggiornamento Albo regionale delle imprese boschive (l.r. 31/2008, art. 57)" (decreto D.S. 13.05.2013 n. 3951).

EDILIZIA PRIVATAGli alberi? Si può anche abbatterli. Cds sulla tutela piante in aree industriali.
La legge posta a tutela del paesaggio non vieta l'abbattimento di un centinaio di pini posti trent'anni fa a dimora per mimetizzare uno stabilimento siderurgico. Ciò in quanto il Codice dei beni culturali e del paesaggio non tutela, in generale, la cosa in quanto tale, ma il valore paesaggistico del quale essa è portatrice. In sostanza, non sempre un insieme di alberi costituisce un bosco.

È quanto ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 29.03.2013 n. 1851.
Via libera, quindi, e senza ulteriori intoppi alla riconversione dell'intera area di Bagnoli voluta da Comune, Provincia e Regione, ma stoppata dalla Soprintendenza regionale e dal Corpo forestale. La prima, esprimendo parere contrario al rilascio della autorizzazione paesaggistica necessaria a sanare le violazioni commesse a seguito del taglio dei pini, il secondo, ponendo sotto sequestro l'intera area sul presupposto che, trattandosi di un «bosco» era necessaria anche una specifica autorizzazione regionale.
La nozione di «bosco» richiamata dall'art. 142 del cosiddetto Codice Urbani (dlgs 42/2004) è in principio normativa, ha chiarito il Collegio, perché fa espresso rinvio alla definizione di bosco stabilita dall'art. 2 dlgs 227/2001 che, peraltro, demanda alle regioni di stabilirne eventualmente una diversa. Ed è dalla corretta interpretazione di tali disposizioni che, a giudizio del Collegio, il quale ha capovolto la decisione del Giudice di primo grado, un insieme di 268 piante, prevalentemente di pino domestico e messe a dimora a filari paralleli, non corrisponde alla nozione di «bosco»: né alla luce della legge regionale, né alla luce della nozione generale stabilita dall'art. 2, comma 6, del dlgs n. 227 del 2001, né alla luce, comunque, del comune significato proprio della parola.
La decisione della VI Sezione, in sostanza, è stata motivata dal fatto che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e, quindi, meritevoli di salvaguardia quando sono elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del territorio espressivo di identità. E per questa ragione ne sono esclusi gli insiemi arborati, come nel caso in questione, che non costituiscono elementi propri e tendenzialmente stabili della forma del territori (articolo ItaliaOggi del 04.04.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Per riconoscere ai fini dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio la presenza di un bosco occorre un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da “vegetazione forestale arborea” e -tendenzialmente almeno- da arbusti, sottobosco ed erbe. Questa copertura, per rispondere ai detti caratteri, deve costituire un sistema vivente complesso (non perciò caratterizzato da una monocoltura artificiale), di apparenza non artefatta (come ad es. se a filari).
Deve inoltre essere tendenzialmente permanente: perciò non solo non destinato all’espianto o alla produzione agricola, ma anche, in virtù del dato naturale, mediamente presumibile come capace di autorigenerarsi perché dotato di risorse tali da consentirne il rinnovamento spontaneo, caratteristica che la norma regionale richiamata contiene nell’ampio concetto di “densità piena”, dove la “pienezza” della massa boschiva sta non solo a significare il livello di copertura del suolo, ma anche ad evocare la naturale capacità di rigenerazione o rinnovazione.
Il bosco è un complesso organismo vivente, nel quale le nuove risorse sono in grado di sostituire spontaneamente quelle in via di esaurimento. Non è quindi sufficiente la presenza di piante, quand’anche numerose, ma non strutturate fino a sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi.
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Nel caso in esame, si è in presenza di una copertura arborea artificiale con carattere quasi integrale di monocultura (pino domestico), disposta per filari paralleli (cioè in modo innaturale), priva di strato arbustivo ed erbaceo; e nella quale lo stato fitosanitario degli elementi arborei è del tutto scadente, con chioma rarefatta, con visibile presenza di miceli di parassiti fungini.
Pertanto, deve escludersi che all’insediamento in questione possa attagliarsi, ai fini paesaggistici che qui interessano, la definizione di bosco, difettandone la morfologia, la complessità e la vitalità endogena e compiuta.
La mancanza del valore paesaggistico presunto dall’art. 142, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004 esclude quindi che il terreno in questione -per di più ricadente in zona definita nella strumentazione urbanistica comunale dapprima come industriale e, successivamente, di riqualificazione urbanistica compresa nella superficie fondiaria edificabile- possa essere considerato tra quelli sottoposti a tutela paesaggistica ex lege ai sensi dello stesso art. 142, e per le cui trasformazioni il successivo art. 146 e l’art. 17 della detta legge regionale campana n. 11 del 1996 rendono necessarie, rispettivamente, l’autorizzazione paesistica e quella forestale.
Questa conclusione è corroborata dalla considerazione che oggetto della tutela del Codice non è, in generale, la cosa in quanto tale, ma il valore paesaggistico del quale essa è portatrice.
Il tema da decidere si concentra così sulla questione se sussistevano i presupposti del (violato) obbligo di autorizzazione paesaggistica: vale a dire se nella specie sussisteva il vincolo paesaggistico ex lege dell’art. 142, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004, che riguarda “i territori coperti da foreste e da boschi […] come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18.05.2001, n. 227”.
Si tratta dunque di verificare, alla luce degli espletati accertamenti in fatto, se qui si era in presenza di un vero e proprio “bosco”.
Premesso che si tratta di una nozione di ordine sostanziale, per la cui operatività in concreto non è necessario un previo atto amministrativo di ricognizione e perimetrazione, va rilevato che la nozione di “bosco” richiamata ai fini della tutela paesaggistica dall’art. 142 è in principio normativa, perché fa espresso rinvio alla “definizione di bosco” dell’art. 2 d.lgs. 18.05.2001, n. 227 (Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell’articolo 7 della legge 05.03.2001, n. 57), che (comma 2) demanda alle regioni di stabilire la definizione stessa e che (comma 6) nelle more, “ove non diversamente già definito dalle regioni stesse”, prevede cosa si debba considerare per “bosco”.
L’art. 14, comma 1, della ricordata legge regionale campana n. 11 del 1996, che non appare in contrasto con questa successiva legge statale e che comunque va, anche per esigenze di omogeneità nazionale, a questa rapportata, considera “boschi” “i terreni sui quali esista o venga comunque a costituirsi, per via naturale o artificiale, un popolamento di specie legnose forestali arboree od arbustive a densità piena, a qualsiasi stadio di sviluppo si trovino, dalle quali si possono trarre, come principale utilità, prodotti comunemente ritenuti forestali, anche se non legnosi, nonché benefici di natura ambientale riferibili particolarmente alla protezione del suolo ed al miglioramento della qualità della vita e, inoltre, attività plurime di tipo zootecnico”.
Nella fattispecie in esame il terreno era coperto da un insieme di 268 piante, prevalentemente di pino domestico, messe a dimora a filari paralleli negli anni ’80 del secolo scorso.
A giudizio del Collegio, questo insieme non corrisponde alla nozione di “bosco”: né alla luce della detta disposizione regionale, né alla luce della nozione generale stabilita dall’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 227 del 2001, né alla luce, comunque, del comune significato proprio della parola.
Poiché qui si verte di tutela del paesaggio, è essenziale considerare che il rinvio alla definizione normativa, che è propria del distinto ordinamento del settore forestale, è sottoposto all’insuperabile limite di ragionevolezza e di proporzionalità rispetto alla finalità propria di questa tutela (diversamente, l’apparato autorizzatorio e sanzionatorio del paesaggio verrebbe incongruamente traslato ad apparato autorizzatorio e sanzionatorio dell’interesse forestale: così in particolare dicasi per gli interventi di distruzione o di “modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione” ai sensi dell’art. 146). Come altri vincoli “morfologici” del medesimo art. 142 d.lgs. n. 42 del 2004, questo vincolo per categoria legale muove dalla considerazione che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità” (art. 131) (cfr. Cons. Stato, VI, 12.11.1990, n. 951). Per questa ragione ne sono esclusi gli insiemi arborati che non costituiscono elementi propri e tendenzialmente stabili della forma del territorio, quand’anche di imboschimento artificiale; ma che rispetto ad essa costituiscono inserti artefatti o naturalmente precari.
Al tempo stesso, va considerato che “foreste e boschi” sono a questi propositi evidentemente altro da “i giardini e i parchi […] che si distinguono per la loro non comune bellezza” e non tutelati come beni culturali individui, di cui parla il precedente e contestuale art. 136, comma 1, lett. b), a proposito dei beni paesaggistici che possono essere vincolati in via amministrativa (non vi sarebbe ragione di un vincolo in via amministrativa se già vi fosse il vincolo ex lege).
Perciò, in coerenza con queste distinzioni, per riconoscere ai fini dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio la presenza di un bosco occorre un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da “vegetazione forestale arborea” e -tendenzialmente almeno- da arbusti, sottobosco ed erbe. Questa copertura, per rispondere ai detti caratteri, deve costituire un sistema vivente complesso (non perciò caratterizzato da una monocoltura artificiale), di apparenza non artefatta (come ad es. se a filari).
Deve inoltre essere tendenzialmente permanente: perciò non solo non destinato all’espianto o alla produzione agricola, ma anche, in virtù del dato naturale, mediamente presumibile come capace di autorigenerarsi perché dotato di risorse tali da consentirne il rinnovamento spontaneo, caratteristica che la norma regionale richiamata contiene nell’ampio concetto di “densità piena”, dove la “pienezza” della massa boschiva sta non solo a significare il livello di copertura del suolo, ma anche ad evocare la naturale capacità di rigenerazione o rinnovazione. Il bosco è un complesso organismo vivente, nel quale le nuove risorse sono in grado di sostituire spontaneamente quelle in via di esaurimento. Non è quindi sufficiente la presenza di piante, quand’anche numerose, ma non strutturate fino a sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi.
Nel caso in esame, i risultati della verificazione disposta dal primo giudice evidenziano la presenza di una copertura arborea artificiale con carattere quasi integrale di monocultura (pino domestico), disposta per filari paralleli (cioè in modo innaturale), priva di strato arbustivo ed erbaceo; e nella quale lo stato fitosanitario degli elementi arborei è del tutto scadente, con chioma rarefatta, con visibile presenza di miceli di parassiti fungini.
In base a tale accertamento, secondo il Collegio deve escludersi che all’insediamento in questione possa attagliarsi, ai fini paesaggistici che qui interessano, la definizione di bosco, difettandone la morfologia, la complessità e la vitalità endogena e compiuta.
La mancanza del valore paesaggistico presunto dall’art. 142, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004 esclude quindi che il terreno in questione -per di più ricadente in zona definita nella strumentazione urbanistica comunale dapprima come industriale e, successivamente, di riqualificazione urbanistica compresa nella superficie fondiaria edificabile- possa essere considerato tra quelli sottoposti a tutela paesaggistica ex lege ai sensi dello stesso art. 142, e per le cui trasformazioni il successivo art. 146 e l’art. 17 della detta legge regionale campana n. 11 del 1996 rendono necessarie, rispettivamente, l’autorizzazione paesistica e quella forestale.
Questa conclusione è corroborata dalla considerazione che oggetto della tutela del Codice non è, in generale, la cosa in quanto tale, ma il valore paesaggistico del quale essa è portatrice.
Le considerazioni che precedono, riferite al dato sostanziale della tutela del paesaggio, consentono di prescindere dall’indagine sul dato formale forestale, se cioè questo insieme arboreo vada escluso da quella stretta nozione di “bosco” in virtù dell’art. 15 (Colture ed apprezzamenti non considerati boschi), commi 1 e 2, della stessa l.r. Campania n. 11 del 1996, perché qualificabile tra le “piantagioni arboree dei giardini e parchi urbani”: distinzione che comunque riflette, ai fini paesaggistici, quella esplicitata dal confronto dell’art. 142 comma 1, lett. g), con il ricordato art. 136, comma 1, lett. b), del Codice (Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 29.03.2013 n. 1851 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Nozione di bosco e compatibilità paesistica.
La nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste di alto fusto, ma anche (per identità di ratio) a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto con la preponderanza di vegetazione, anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di alberi di alto fusto, non vi sono dubbi sulla sussistenza di un vincolo boschivo anche qualora l'area fosse coperta solo da vegetazione qualificabile come macchia.
E’ legittimo il provvedimento con il quale, a fronte dell'esistenza di un vincolo paesaggistico, l'Amministrazione, valutando la compatibilità dell'altezza degli edifici come da progetto con le esigenze di tutela del paesaggio, respinga, con adeguata ed esaustiva motivazione, i progetti attinenti le costruzioni private che, pur rientrando formalmente nei limiti previsti dal piano regolatore relativo alla zona interessata (e quindi astrattamente legittimi) risultino di notevole incidenza visiva quanto ad impatto paesistico.
Va anzitutto sgombrato il campo dalla doglianza contenuta alle pagg. 10-13 del ricorso in appello:la circostanza che gli atti sottesi ai gravati provvedimenti di diniego fossero carenti di una documentazione fotografica relativa al contesto boschivo in cui sorge l’immobile, e la doviziosa rassegna giurisprudenziale riportata nell’appello con riferimento al concetto di “bosco”, sono del tutto inconducenti: ciò in quanto, a tutto concedere, essi avrebbero potuto spiegare pratico rilievo in favore di parte appellante laddove fosse stato contestato che l’immobile sorgesse effettivamente in un bosco.
Ma neppure l’appellante si spinge ad una simile affermazione, di guisa che non è dato comprendere il motivo per cui dovesse essere specificata e documentata la “tipologia” di bosco, tanto più che la legge non distingue, in punto di sussistenza del vincolo, le caratteristiche “di pregio” che l’area boschiva dovrebbe possedere.
Ad abundantiam si rileva, comunque, che la censura appare anche infondata alla stregua della condivisibile giurisprudenza secondo la quale “la nozione di "bosco" deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste di alto fusto, ma anche (per identità di ratio) a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto con la preponderanza di vegetazione, anche di tipo arbustivo. Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di alberi di alto fusto, non vi sono dubbi sulla sussistenza di un vincolo boschivo anche qualora l'area fosse coperta solo da vegetazione qualificabile come macchia” (TAR Lombardia Milano Sez. IV, 11.07.2012, n. 1941) (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2013 n. 1481 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di territorio coperto da bosco nella legislazione paesaggistica deve essere ricavata non solo in senso naturalistico ma anche normativo, riferendosi a provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, ed ad atti amministrativi generali o particolari, sicché non è possibile adottare, alla luce della "ratio" della legge n. 431 del 1985, una concezione quantitativa e restrittiva di bosco, dovendosi includere anche le aree limitrofe che servono per la salvaguardia e l'ampliamento, attesa la significativa differenza tra bosco e territorio coperto da bosco, che implica un elemento tipizzante quella zona.
Peraltro, l’adozione da parte del legislatore della formula "territori coperti da foreste e boschi", in luogo di quella prevista dal d.m. 01.09.1984, che sottoponeva a generalizzato vincolo paesaggistico "i boschi e le foreste", implica il riferimento ad una nozione normativa di bosco che non è circoscritta ai soli terreni boscati, ma ad un elemento tipizzante il territorio che non può essere ricoperto da alberi e può servire per salvaguardare il bosco.
In altri termini, il concetto di bosco è da intendersi a livello eco-sistemico, non solo quale formazione vegetale ma quale insieme di elementi biotici, abiotici e paesaggistici che ne connotano il proprio essere peculiare.
Ne consegue che la presenza di essenze arboree e floreali formatesi spontaneamente dimostra la naturale vocazione del terreno a bosco, peraltro normale nei terreni limitrofi ai boschi, allorché venga dissodato il terreno e tolto il manto erboso, come è avvenuto nel caso in esame, in cui è stato effettuato lo scavo propedeutico alla edificazione del fabbricato rurale.

La nozione di territorio coperto da bosco nella legislazione paesaggistica ed in particolare nella legge n. 431 del 1985 ora inserita nel testo del d.lgs. n. 490 del 1999, deve essere ricavata non solo in senso naturalistico ma anche normativo, riferendosi a provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, ed ad atti amministrativi generali o particolari, sicché non è possibile adottare, alla luce della "ratio" della legge n. 431 del 1985, una concezione quantitativa e restrittiva di bosco, dovendosi includere anche le aree limitrofe che servono per la salvaguardia e l'ampliamento, attesa la significativa differenza tra bosco e territorio coperto da bosco, che implica un elemento tipizzante quella zona (Cassazione penale, sez. III, 09.06.1994, n. 7556).
Peraltro, l’adozione da parte del legislatore della formula "territori coperti da foreste e boschi", in luogo di quella prevista dal d.m. 01.09.1984, che sottoponeva a generalizzato vincolo paesaggistico "i boschi e le foreste", implica il riferimento ad una nozione normativa di bosco che non è circoscritta ai soli terreni boscati, ma ad un elemento tipizzante il territorio che non può essere ricoperto da alberi e può servire per salvaguardare il bosco.
In altri termini, il concetto di bosco è da intendersi a livello eco-sistemico, non solo quale formazione vegetale ma quale insieme di elementi biotici, abiotici e paesaggistici che ne connotano il proprio essere peculiare.
Ne consegue che la presenza di essenze arboree e floreali formatesi spontaneamente dimostra la naturale vocazione del terreno a bosco, peraltro normale nei terreni limitrofi ai boschi, allorché venga dissodato il terreno e tolto il manto erboso, come è avvenuto nel caso in esame, in cui è stato effettuato lo scavo propedeutico alla edificazione del fabbricato rurale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.10.2012 n. 5410 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E’ onere di chi intende edificare in zona soggetta a vincolo richiedere all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo il parere o nulla osta.
Non può, pertanto, essere imputato al Comune che ha rilasciato il titolo a costruire la responsabilità per non aver chiesto il parere o nulla osta dell’autorità preposta alla tutela del paesaggio.
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La materia della tutela delle zone boscate e dell’ecosistema forestale è disciplinato a livello statale dal RD n. 3267 del 1923 e dal d.lgs. n. 227 del 2001 ed a livello regionale dalla l.regionale n. 27 del 2004.
Le citate disposizioni normative sono preposte alla cura di un interesse pubblico del tutto differente e distinto dalla tutela e valorizzazione del paesaggio e dell’ambiente tutelato da un altro corpo normativo: art. 734 c.p.; d.lgs. n. 42 del 2004; d.lgs. n. 152 del 2006; art. 80 e segg. della l.reg. Lombardia n. 13 del 2005.
In caso di costruzione in zona sottoposta a vincolo paesistico e a vincolo forestale occorrono l’autorizzazione forestale al mutamento di destinazione d’uso da foresta a zona antropizzata da parte dell’ente preposta alla tutela boschiva e l’autorizzazione paesaggistica da parte dell’ente preposto alla tutela paesaggistica oltre naturalmente al permesso di costruire di competenza del Comune.
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La realizzazione di qualunque opera in assenza della prescritta autorizzazione forestale costituisce un illecito amministrativo sanzionato dagli artt. 4 e 23 della l.reg. n. 27 del 2004.
In particolare, l’art. 23 della l.reg. citata stabilisce che la sanzione pecuniaria sia sempre dovuta per il fatto di aver eseguito opere in assenza di autorizzazione (illecito formale) ed in caso di mancato ottenimento o mancata richiesta di autorizzazione in sanatoria, il ripristino dello stato dei luoghi.
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La sanzione ripristinatoria nella materia della tutela del bosco prescinde dal danno ambientale ed è dovuta per il solo fatto dell’eliminazione di una parte di bosco.
Essa è prevista dalla legge, oltre ed a prescindere da quella pecuniaria, sempre e comunque dovuta.

E’, infatti, onere di chi intende edificare in zona soggetta a vincolo richiedere all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo il parere o nulla osta.
Non può, pertanto, essere imputato al Comune che ha rilasciato il titolo a costruire la responsabilità per non aver chiesto il parere o nulla osta dell’autorità preposta alla tutela del paesaggio.
Quanto al potere di verifica della compatibilità paesaggistica delle opere esso è autonomo rispetto a quello riguardante il controllo edilizio–urbanistico.
Nella Regione Lombardia, peraltro, le distinte funzioni sono attribuite ad amministrazioni diverse, precisamente la tutela paesaggistica è affidata alla Provincia, mentre quella urbanistica ed edilizia spetta al Comune, sicché la verifica della compatibilità paesaggistica non poteva essere richiesta al Comune.
In conclusione, la circostanza che i ricorrenti disponessero di permesso di costruire e che in forza di tale titolo abbiano effettuato le operazioni di taglio di arbusti, non esclude la configurabilità della violazione in materia paesaggistica.
In ordine all’asserita duplicazione delle ordinanze ingiunzioni, in quanto si fondano sulla stessa violazione accertata dal Corpo Forestale dello Stato, come rilevato dal giudice di primo grado, la duplicazione non sussiste poiché le norme violate sono tra loro in rapporto di specialità con conseguente concorso apparente di norme, poiché tutelano distinti beni giuridici non sovrapponibili tra loro.
La materia della tutela delle zone boscate e dell’ecosistema forestale è disciplinato a livello statale dal RD n. 3267 del 1923 e dal d.lgs. n. 227 del 2001 ed a livello regionale dalla l.regionale n. 27 del 2004.
Le citate disposizioni normative sono preposte alla cura di un interesse pubblico del tutto differente e distinto dalla tutela e valorizzazione del paesaggio e dell’ambiente tutelato da un altro corpo normativo: art. 734 c.p.; d.lgs. n. 42 del 2004; d.lgs. n. 152 del 2006; art. 80 e segg. della l.reg. Lombardia n. 13 del 2005.
In caso di costruzione in zona sottoposta a vincolo paesistico e a vincolo forestale occorrono l’autorizzazione forestale al mutamento di destinazione d’uso da foresta a zona antropizzata da parte dell’ente preposta alla tutela boschiva, nel caso la Provincia di Como e l’autorizzazione paesaggistica da parte dell’ente preposto alla tutela paesaggistica, nel caso ugualmente la Provincia di Como, oltre naturalmente al permesso di costruire di competenza del Comune.
Né può trarre in inganno il fatto che l’autorizzazione paesaggistica e quella forestale siano di competenza dello stesso ente, atteso che vengono rilasciate a seguito di due diversi procedimenti, essendo diverse le finalità della tutela.
La realizzazione di qualunque opera in assenza della prescritta autorizzazione forestale costituisce un illecito amministrativo sanzionato dagli artt. 4 e 23 della l.reg. n. 27 del 2004.
In particolare, l’art. 23 della l.reg. citata stabilisce che la sanzione pecuniaria sia sempre dovuta per il fatto di aver eseguito opere in assenza di autorizzazione (illecito formale) ed in caso di mancato ottenimento o mancata richiesta di autorizzazione in sanatoria, il ripristino dello stato dei luoghi.
Appare evidente a tal punto l’equivoco in cui sono incorsi gli appellanti che hanno ritenuto che l’amministrazione provinciale abbia proceduto ad emanare due sanzioni per uno stesso fatto, senza considerare che con lo stesso fatto erano stati commessi due distinti illeciti amministrativi.
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La sanzione ripristinatoria nella materia della tutela del bosco prescinde dal danno ambientale ed è dovuta per il solo fatto dell’eliminazione di una parte di bosco (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.06.2000, n. 3184).
Essa è prevista dalla legge, oltre ed a prescindere da quella pecuniaria, sempre e comunque dovuta.
Né vi è, quindi, alcuna contraddizione tra quanto valutato dal settore ambiente in ordine alla opportunità del ripristino dello stato dei luoghi e l’obbligo di ripristino dei luoghi in mancanza di sanatoria nella fattispecie di danno ambientale per eliminazione di essenze arboree.
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L’art. 8, comma 1, della l. n. 689 del 1981 stabilisce che “Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con una azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative e commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo”.
La norma di portata generale non consente alcun distinguo tra illeciti formali o sostanziali.

Il divieto di cumulo di sanzioni per il caso di più illeciti commessi con un’unica azione o un unico disegno criminoso prescinde dalla valutazione del tipo di reato e delle diverse autorità cui spetta il potere sanzionatorio, essendo una disposizione a favore del reo, onde mitigare l’effetto sanzionatorio dell’azione delittuosa che contestualmente abbia causato più violazioni distintamente tutelate.
La regola dettata dall’art. 8 della l. n. 689 del 1981 è conforme a principi di civiltà giuridica, sicché la sua applicazione non può essere esclusa da difficoltà pratiche, quali la mancanza di criteri normativi per la determinazione delle sanzioni.
Ben può valutarsi in concreto quale sia la sanzione più grave applicata dall’amministrazione ed applicare successivamente il correttivo dell’aumento del triplo.
Nel caso, come correttamente rilevato dal TAR, essendo stata parametrata la sanzione in materia paesaggistica ai criteri fissati dall’art. 23 della l.reg. n. 27 del 2004 che sanzionano gli illeciti forestali, applicati anche dal Dirigente di Polizia locale, v’era equivalenza delle sanzioni e, quindi era di semplice applicazione il criterio indicato dall’art. 8, comma 1, della l. n. 689 del 1981
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.10.2012 n. 5410 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 22.08.2012, "Approvazione di modifiche ed integrazioni al d.d.u.o. n. 1556 del 21.02.2011 e s.m.i. sulle modalità di accesso e di funzionamento della procedura informatizzata per il taglio di boschi, in attuazione dell’art. 11, comma 2, del r.r. 5/2007 (Norme forestali regionali)" (decreto D.U.O. 10.08.2012 n. 7301).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Individuazione vincolo area boscata.
Il concetto di bosco dato dall’art. 6 del decreto legislativo n. 227 del 2001 è, per espresso disposto di legge, cedevole rispetto alle eventuali diverse definizioni stabilite dalle regioni con norme già adottate o da adottarsi nei dodici mesi successivi. Per determinare se un appezzamento di terreno è ricompreso all’interno di una superficie con vincolo boschivo, l’accertamento dell’ente competente deve riguardare non la sola area oggetto di indagine, ma l’area considerata nel suo complesso.
D’altronde, se così non fosse, basterebbe ritagliarsi, all’interno di un’area boscata, una porzione di terreno con dimensioni inferiori ai parametri previsti dalle norme per negare a questa la natura di area boscata e pretendere allora il rilascio di un titolo edificatorio, il che sarebbe evidentemente inammissibile.

Il concetto di “bosco” data dall’art. 6 del citato decreto legislativo n. 227 del 2001 è, per espresso disposto di legge, cedevole rispetto alle eventuali diverse definizioni stabilite dalle regioni con norme già adottate o da adottarsi nei dodici mesi successivi.
La disposizione legislativa richiamata fa rinvio alle norme regionali e non richiede che questa assumano veste di norme di legge. Nel caso di specie, il P.U.T.T./p della Regione Puglia è strumento idoneo allo scopo, dato che esso, oltre a recare prescrizioni concrete, ha natura di atto normativo (così Cons. Stato, Sez. IV, 31.01.2012, n. 476).
Peraltro, proprio ai parametri offerti dal piano ai fini della definizione di “bosco” (in termini di superficie, larghezza media e copertura) ha riguardo il sopralluogo effettuato dalla Regione nell’area in discorso.
Dal sopralluogo emerge che il terreno in oggetto rientra nella definizione normativa di “bosco”.
A questa conclusione fattuale, non contestata nella sua concreta dimensione, non possono essere opposti:
- né i dati per avventura difformi recati dalla cartografia annessa al piano o ad altri strumenti urbanistici (dovendosi per l’appunto prendere in considerazione, ai fini della tutela, lo stato di fatto);
- né il rilievo -sviluppato dalla parte privata anche nell’udienza pubblica- che il sopralluogo avrebbe avuto ad oggetto non la sola area di proprietà degli appellati, bensì l’intera area boscata, perché oggetto di indagine non poteva che essere l’area considerata nel suo complesso. D’altronde, se così non fosse, basterebbe ritagliarsi, all’interno di un’area boscata, una porzione di terreno con dimensioni inferiori ai parametri previsti dalle norme per negare a questa la natura di area boscata e pretendere allora il rilascio di un titolo edificatorio: il che sarebbe evidentemente inammissibile.
Trattandosi dunque di bosco, si applica l’art. 4, comma 2, del decreto legislativo più volte ricordato, secondo cui “la trasformazione del bosco è vietata, fatte salve le autorizzazioni rilasciate dalle regioni …” 
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.08.2012 n. 4502 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATALa nozione di "bosco" deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste di alto fusto, ma anche (per identità di ratio) a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto con la preponderanza di vegetazione, anche di tipo arbustivo. Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di alberi di alto fusto, non vi sono dubbi sulla sussistenza di un vincolo boschivo anche qualora l'area fosse coperta solo da vegetazione qualificabile come "macchia".
Il motivo non merita accoglimento, essendo fondato sull’errato presupposto che la nozione, in questa sede rilevante, di “bosco”, debba tenere in considerazione i confini di proprietà dei singoli mappali.
Il tenore letterale dell’art. 42, c. 3, L.R. n. 31/2008 è invece inequivoco sul punto, affermandosi che “i confini amministrativi, i confini di proprietà o catastali, le classificazioni urbanistiche e catastali, la viabilità agro-silvo-pastorale e i corsi d'acqua minori non influiscono sulla determinazione dell'estensione e delle dimensioni minime delle superfici considerate bosco”.
Parimenti, in giurisprudenza si è affermato che la nozione di "bosco" deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste di alto fusto, ma anche (per identità di ratio) a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto con la preponderanza di vegetazione, anche di tipo arbustivo. Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di alberi di alto fusto, non vi sono dubbi sulla sussistenza di un vincolo boschivo anche qualora l'area fosse coperta solo da vegetazione qualificabile come "macchia" (C.S. Sez. IV 10.10.2011 n. 5500).
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Il corretto esercizio dei poteri comunali in materia urbanistica ed edilizia presuppone, in taluni casi, l’intervento di altre autorità pubbliche preposte alla tutela di altri valori costituzionalmente protetti, come accade nella materia di che trattasi, in cui gli interessi pubblici tutelati dalla legislazione in materia di boschi e da quella urbanistica, sono nettamente distinti ed autonomi rispetto a quelli privatistici, assentiti nei provvedimenti comunali (TAR Puglia, Lecce, Sez. III 08.04.2005 n. 1981) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 11.07.2012 n. 1941 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 17.05.2012, "Indicazioni operative per la compilazione delle denunce di taglio boschivo nel SiTaB" (comunicato regionale 14.05.2012 n. 55).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 18.01.2012, "Testo coordinato della d.g.r. 675/2005 con le modifiche ed integrazioni apportate dalla d.g.r. 2848/2011 “Criteri per la trasformazione del bosco e per i relativi interventi compensativi” (art. 43, comma 8, l.r. 31/2008)" (comunicato regionale 09.01.2012 n. 1).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 17.01.2012 "Approvazione del “Manuale dei controlli ispettivi” per l’aiuto “Misure forestali” - L.r. 31/2008 artt. 25, 26, 40 comma 5 lettera B), 55 comma 4 e 56" (decreto D.S. 21.12.2011 n. 12686).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 04.01.2012, "Modifiche ed integrazioni alla d.g.r. VIII/675/2005 «Criteri per la trasformazione del bosco e per i relativi interventi compensativi» (art. 43, comma 8, l.r. 31/2008)" (deliberazione G.R. 29.12.2011 n. 2848).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Nozione di bosco.
La nozione di “bosco” deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste di alto fusto, ma anche (per identità di ratio) a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto con la preponderanza di vegetazione, anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di alberi di alto fusto, non vi sono dubbi della sussistenza di un vincolo boschivo anche qualora l’area sia coperta solo da vegetazione qualificabile come "macchia".

La qualificazione di un’area come “boscata” o meno, attiene alla sfera della discrezionalità amministrativa, per cui, una volta intervenuto l'accertamento da parte della Commissione, della ricorrenza del vincolo in ragione della presenza di flora arborea (art. 1, lett. g, l. n. 431/1985), è irrilevante disquisire se tale tipologia vegetativa sia costituita, prevalentemente od esclusivamente, da alberi di alto fusto o piuttosto da macchia tipica quale quella carsica (cfr. Sez. IV 14.04.2010 n. 2105, concernente proprio il Comune di Sgonico nella stessa zona).
In ogni caso, l'art. 72 della legge regionale F.V.G. n. 34/1997, definisce il “bosco” come la “formazione vegetale in cui la componente arborea copre il suolo in misura superiore al 20%”.
Tale definizione del resto è in linea con quanto anche disposto dall' art. 2, comma 3, lett. b), d.lgs. 08.06.2001 n. 327, per cui la nozione di “bosco” deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste di alto fusto, ma anche (per identità di ratio) a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto con la preponderanza di vegetazione, anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di alberi di alto fusto, non vi sono dubbi della sussistenza di un vincolo boschivo anche qualora l’area fosse coperta solo da vegetazione qualificabile come "macchia"
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.10.2011 n. 5500 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di bosco.
Il bosco risulta essere una nozione di tipo naturalistico e comprende ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea ed indipendentemente dal fatto che la zona venga riportata come tale dalla Carta tecnica regionale, atteso che ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico la nozione non può essere intesa in senso riduttivo, dovendo comprendere anche le aree limitrofe (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.09.2011 n. 34752 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Bosco e macchia mediterranea.
Per bosco e macchia mediterranea, meritevole di tutela ai fini paesaggistici, si intende anche quella caratterizzata dalla assenza di alberi di alto fusto (tratto da link a www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.07.2011 n. 28928).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Boschi e radure.
Il bosco è caratterizzato dalla presenza di vegetazione e da un’estensione minima, mentre per le radure e le altre superfici che interrompono il bosco, rientranti tra le “aree assimilate”, è previsto un limite massimo di estensione superato il quale viene meno l’assimilazione. E’ poi evidente che dette aree vengono, appunto, assimilate al bosco perché non posseggono le caratteristiche indicate nella definizione. Le radure, in particolare, presentano, evidentemente, l’assenza di vegetazione del tipo di quella che caratterizza il bosco altrimenti, come le altre aree indicate, non potrebbero interromperlo.
Con riferimento specifico alle ipotesi contemplate dall’articolo 149 D.Lv. 42/2004, la valutazione circa la non soggezione dell’intervento ad autorizzazione paesaggistica in base alla tipologia dei lavori non può essere lasciata ad una soggettiva interpretazione della normativa di settore da parte del privato che detti lavori intende eseguire, sottraendo ogni possibilità di controllo preventivo all’autorità amministrativa (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.03.2011 n. 9690 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI: Lombardia, Indicazioni pratiche per i controlli sui tagli dei boschi da parte delle GEV.
Le Guardie Ecologiche Volontarie (GEV) sono competenti, in base all’art. 61 della l.r. 31/2008, ad effettuare la vigilanza e l’accertamento delle violazioni relative ai danni alle superfici forestali.
Il r.r. 5/2007 “Norme Forestali Regionali” obbliga gli enti forestali a svolgere annualmente controlli su almeno il 2% dei circa 23 mila permessi di taglio concessi annualmente in Lombardia. A tal fine, la collaborazione fra uffici boschi di parchi, comunità montane e province e GEV è fondamentale.
Purtroppo, spesso molte guardie ecologiche non dispongono delle necessarie informazioni pratiche per effettuare i controlli nel settore forestale
La presente pubblicazione mira proprio a fornire alcuni consigli pratici sui controlli dei tagli colturali del bosco e a costituire, in ogni gruppo di GEV, un nucleo di alcune guardie preparate sul settore forestale (Indicazioni pratiche per i controlli sui tagli colturali dei boschi da parte delle Guardie Ecologiche Volontarie di Regione Lombardia - 1^ edizione - gennaio 2011 - link a www.sistemiverdi.regione.lombardia.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E FORESTE - Misure normative a tutela dei boschi - Estensione - Limitazione alle sole ipotesi riconducibili ad alberi di alto fusto - Esclusione - Lettura sistematica della normativa - Artt. 2 e 3 L. n. 353/2000 - Art. 2, c. 1 d.lgs. n. 227/2001 - Alberi di olivo - D.lt. 475/1945 - Divieto di abbattimento.
Da una lettura sistematica della normativa in materia di boschi e dalle specifiche finalità di salvaguardia del territorio perseguite dalla legge, emerge con chiarezza che nell'ambito delle misure protettive dei boschi sono indubbiamente ricomprese numerose ipotesi di vegetazione non soltanto riconducibile a quella degli alberi di alto fusto, includendosi anche la vegetazione qualificabile come macchia, oltreché coltivazioni da frutto di vario genere (cfr. artt. 2 e 10 L. n. 353/2000, art. 2, c. 1 d.lgs. n. 227/2001): con specifico riferimento agli alberi di olivo, che come è noto possono raggiungere volumi ed altezze considerevoli e che, sotto tale profilo, possono già di per sé accomunarsi agli alberi di alto fusto, è tuttora vigente la disciplina dettata dal decreto luogotenenziale 27.07.1945, n. 475, recante il divieto di abbattimento di tali alberi se non in numero limitato e con specifica autorizzazione delle autorità competenti.
BOSCHI E FORESTE - INCENDI - Aree percorse dal fuoco - Divieto di modificazione della destinazione urbanistica - Uliveto - Zona arborata - Inapplicabilità del divieto di cui all’art. 10, c. 1 L. n. 353/2000 - Inconfigurabilità - Ragioni.
Le finalità di salvaguardia del territorio e delle sue entità naturalistiche indispensabili alla vita (fattispecie relativa al divieto di modificazione della destinazione urbanistica, ai sensi dell’art. 10, c. 1 della L. n. 353/2000, di area coltivata ad uliveto percorsa dal fuoco) non possono essere ristrette a limitate ipotesi di particolari tipi di bosco e di pascoli, ponendosi una simile conclusione non solo in stridente contrasto, nella specie, con la normativa riguardante la speciale salvaguardia degli uliveti, ma pure in evidente contraddizione con la vigente disciplina generale in materia forestale, che ammette l'estensione della tutela addirittura alla sola sterpaglia, come ben messo in evidenza anche dalla giurisprudenza del giudice penale (cfr. Cass. Sez. I. penale, 04.03.2008, n. 14209) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.07.2010 n. 4457 - link a ww
w.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E FORESTE - Disciplina normativa forestale - Disciplina paesaggistica - Tutela del bosco - Presupposti differenti - Costruzione in zona sottoposta a vincolo forestale e paesistico - Atti autorizzativi distinti.
Mentre la disciplina normativa forestale (R.d.l. n. 3267/1923; d.lgs. n. 227/2001: L.r. Lombardia n. 27/2004) tutela il bosco in quanto tale, cioè quale elemento fondamentale per lo sviluppo socio-economico e per la salvaguardia ambientale del territorio della Repubblica italiana, la disciplina paesaggistica tutela il bosco in quanto espressione dei valori naturali ed estetici del territorio.
Si comprende, allora, perché, in caso di costruzione che si trovi in zona sottoposta sia a vincolo forestale che a vincolo paesistico, occorrano tre distinti atti autorizzativi:
- l’autorizzazione forestale ex artt. 7 R.d. n. 3267/1923, 4 d.lgs. n. 227/2001 e 4 legge regionale Lombardia n. 27/2004;
- l’autorizzazione paesaggistica da parte dell’ente preposto, ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. n. 42/2004 e 80 L.R. Lombardia n. 12/2005;
- il permesso di costruire da parte del Comune, che può essere rilasciato soltanto nel caso in cui siano state previamente rilasciate le predette autorizzazioni paesaggistiche e forestali che ne costituiscono il presupposto legale (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 14.04.2010 n. 1078 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INCENDI BOSCHIVI - Inedificabilità delle aree percorse dal fuoco - Art. 1-bis d.l. n. 332/1993 - Modifica all’art. 9, c. 4, della L. n. 47/1975 - Funzione meramente ricognitiva di un principio immanente nell’ordinamento - Tutela del patrimonio boschivo - Tipizzazione urbanistica preesistente all’evento incendiario - Irrilevanza - L. n. 353/1990.
La modifica apportata all’art. 9, c. 4, della L. n. 47/1975 dall’art. 1-bis d.l. 30.08.1993 n. 332, convertito con l. 29.10.1993 n. 428, a mente delle cui indicazioni “fino all’approvazione dei piani di cui all’articolo 1, in tutte le zone i cui soprassuoli boschivi siano stati distrutti o danneggiati dal fuco è vietato l’insediamento di qualsiasi tipo”, risulta meramente ricognitiva ed esplicativa di un principio immanente alle finalità conclamate di tutela del patrimonio boschivo, e cioè quello dell’assoluta inedificabilità delle aree in questione, a prescindere dalla loro tipizzazione urbanistica preesistente all’evento incendiario, siccome intesa a prevenire fenomeni speculativi e ad assicurare la rigenerazione del “bosco…considerato nella sua entità unitaria di ecosistema complesso” e la tutela del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la qualità della vita.
Non a caso la successiva normativa di riforma (legge quadro in materia di incendi boschivi n. 353 del 1990) esclude in radice radice la possibilità di edificazione delle aree percorse da incendio sulla base della mera previsione che dette aree fossero edificabili prima dell’evento incendiario (art. 10, comma 1) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 25.03.2010 n. 2353 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: Definizione di aree boscate ai fini dell’applicazione dei divieti ex l. n. 353/2000.
La definizione di “incendio boschivo” di cui all’art. 2 si riferisce ad aree (boscate, cespugliate o arborate) più ampie di quelle richiamate nel comma 1 dell’art. 10 che limita, invece, l’applicazione dei divieti, prescrizioni e sanzioni soltanto a “zone boscate e pascoli i cui soprassuoli” sono stati percorsi dal fuoco, cioè un insieme di aree naturali e vegetali più delimitato rispetto a quello di cui sopra.
Ne deriva che l’ambito oggettivo di applicazione della norma speciale è più limitato e riguarda le sole zone boscate e pascoli (e non le zone arborate).
A ciò va aggiunto che nella definizione di “bosco” il legislatore sia nazionale che regionale ha previsto una equiparazione dello stesso alla foresta e alla selva (art. 2, comma 1, D.Lgs. 18.05.2001, n. 227; art. 3, comma 3, L.R. 28.10.2002, n. 39) ed ha individuato alcune fattispecie assimilate a bosco (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 227 del 2001), inoltre ha distinto la vegetazione forestale da quella arbustiva (art. 3, commi 3 e 4, L.R. n. 39 del 2002), definendo così una disciplina unitaria e coordinata per i boschi e le aree boscate (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 17.11.2009 n. 11242 - link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E FORESTE - INCENDI - Aree percorse dal fuoco - Divieti, sanzioni e prescrizioni - Art. 10 L. n. 353/2000 - Ambito oggettivo di applicazione della norma - Zone boscate e pascoli - Zone arborate cespugliate - Esclusione - Fattispecie - Coltivazione ad uliveto.
Dalla lettura degli artt. 2 e 10, cc. 1 e 2 della legge quadro sugli incendi boschivi (L. n. 353 del 2000) emerge che la definizione di “incendio boschivo” di cui all’art. 2 si riferisce ad aree (boscate, cespugliate o arborate) più ampie di quelle richiamate nel comma 1 dell’art. 10 che limita, invece, l’applicazione dei divieti, prescrizioni e sanzioni soltanto a “zone boscate e pascoli i cui soprassuoli” sono stati percorsi dal fuoco, cioè un insieme di aree naturali e vegetali più delimitato rispetto a quello di cui sopra.
Ne deriva che l’ambito oggettivo di applicazione della norma speciale è più limitato e riguarda le sole zone boscate e pascoli (e non le zone arborate).
A ciò va aggiunto che nella definizione di “bosco” il legislatore sia ha previsto una equiparazione dello stesso alla foresta e alla selva (art. 2, comma 1, D.Lgs. 18.05.2001, n. 227) ed ha individuato alcune fattispecie assimilate a bosco (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 227 del 2001), inoltre ha distinto la vegetazione forestale da quella arbustiva (art. 3, commi 3 e 4, L.R. n. 39 del 2002), definendo così una disciplina unitaria e coordinata per i boschi e le aree boscate (fattispecie relativa ad area coperta da coltura agraria - oliveto e vigneto) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 17.11.2009 n. 11242 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un quesito su “disboscamenti in sanatoria”…
V. Stefutti, E’ possibile effettuare legalmente un cambio di coltura da bosco a verde agricolo?
Capita infatti che, in territorio vincolato idrogeologicamente e paesaggisticamente, si verifichino dei cambi di coltura abusivi tramite taglio di alberi, dissodamento del terreno e messa a dimora di colture agricole (generalmente vigneti). Si tratta, a tutti gli effetti, di condotte punibili ai sensi degli artt. art. 181 D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 ed art. 44 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380.
Tuttavia, talune Amministrazioni paiono ritenere sanabile il reato a seguito della modifica all'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, avvenuta con D.Lgs. 24.03.2006 n. 157, che al comma 12 richiama i cosiddetti interventi edilizi minori, di cui all'art. 167 comma 4 e 5, consideri legittimo che i coltivatori agricoli avviino una pratica di cambio di coltura in sanatoria che, a fine iter, conceda legalmente al reo quanto da lui abusivamente ottenuto.
E questo in virtù del fatto che non si sono create superfici utili o volumi ed assimilando di fatto un cambio di coltura abusivo, che può essere indifferentemente di 500 m² ma anche di 10.000 m², ad un intervento edilizio minore. E la creazione di una superficie agricola dove prima era bosco, può essere assimilata alla creazione di una superficie utile e quindi non sanabile? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Bosco (individuazione).
La natura di zona boscata è determinata dalla presenza effettiva di bosco fitto di alto fusto o di bosco rado indipendentemente dal dato che la zona sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.09.2009 n. 33534 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATALa natura di “zona boscata” è indipendente dal dato che la zona sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale.
La natura di zona boscata è determinata dalla presenza effettiva di bosco fitto di alto fusto o di bosco rado indipendentemente dal dato che la zona sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.09.2009 n. 33534 - link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 18.05.2009, "Chiarimenti e linee guida per il rilascio e il diniego delle autorizzazioni alla trasformazione del bosco (art. 4 d.lgs. 227/2001, art. 43 l.r. 31/2008; d.g.r. 675/2005 e s.m.i." (circolare regionale 24.04.2009 n. 7 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Taglio di bosco autorizzato e danneggiamento ceppaie.
In materia di tutela ambientale, qualsiasi modificazione del territorio, al di fuori delle ipotesi consentite, purché astrattamente idonea a ledere il bene protetto, configura il reato di cui all’articolo 181 del d.lgs. n. 42 del 2004. Quindi anche il decespugliamento, il disboscamento, il taglio o la distruzione di ceppaie, al di fuori di qualsiasi pratica colturale ed in assenza di autorizzazione o in difformità da essa, configura il reato di cui all’articolo 181 del d.lgs. n. 42 del 2004. Il possesso dell’autorizzazione per il taglio di un bosco non legittima quindi il danneggiamento delle ceppaie (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.05.2009 n. 20138 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - BOSCHI E FORESTE - Taglio di bosco autorizzato - Danneggiamento ceppaie - Reato di cui all'art. 181 D.L.vo n. 42/2004 - Configurabilità.
In materia di tutela ambientale, qualsiasi modificazione del territorio, al di fuori delle ipotesi consentite, purché astrattamente idonea a ledere il bene protetto, configura il reato di cui all'articolo 181 del decreto legislativo n 42 del 2004.
Quindi anche il decespugliamento, il disboscamento, il taglio o la distruzione di ceppaie, al di fuori di qualsiasi pratica colturale ed in assenza di autorizzazione o in difformità da essa, configura il reato di cui all'articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (cfr Cass. n. 29483/2004, Cass. n. 35689/2004, Cass. n. 16036/2006).
Il possesso dell’autorizzazione per il taglio di un bosco non legittima il danneggiamento delle ceppaie (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.05.2009 n. 20138 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2008

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: La nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste, ma anche, per identità di ratio, a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto forestale.
Osserva il Collegio che l'art. 2, comma 3, lettera b, del D.Lgs. n. 227/2001 assimila a bosco i terreni temporaneamente privi di vegetazione arborea o forestale per via di utilizzazioni forestali, avversità biotiche o incendi, allo scopo di evitare che l’opera dell’uomo –ceduazione– o eventi accidentali possano distrarre dalla disciplina e dal regime formale del bosco, terreni che invece presentano ordinariamente caratteri tali da farli ascrivere al concetto di bosco.
Vuole la norma anche, a parere del Collegio, che l’opera dell’uomo non sottragga dei terreni a fini strumentali alla disciplina delle aree boschive, semplicemente effettuandone la ceduazione.
Invero il Collegio richiama l’orientamento della Sezione, secondo il quale “la nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste, ma anche, per identità di ratio, a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto forestale” (TAR Piemonte, Sez. I, 10.03.2007, n. 1174).
La riportata decisione è quindi in linea con il dettato di cui all’art. 2, comma 3, lett. b), del D.Lgs. n. 227/2001, secondo il quale se il coefficiente minimo della natura boscata di un’area è la sua caratteristica di area parzialmente boscata sempre che inserita in un contesto forestale (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 30.10.2008 n. 2722 -
 link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di bosco - Aree parzialmente boscata - Contesto forestale - Impianto di specie ornamentale ad opera del proprietario dell’area - Qualifica di bosco - Esclusione - Giardino privato.
La nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste, ma anche, per identità di ratio, a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto forestale (TAR Piemonte, Sez. I, 10.03.2007, n. 1174).
Se il coefficiente minimo della natura boscata di un’area è quindi la sua caratteristica di area parzialmente boscata sempre che inserita in un contesto forestale, deve escludersi in radice la qualificabilità in termini di bosco di un terreno utilizzato per l’impianto di specie arboree ornamentali o di pregio ad opera dello stesso proprietario e dotato di dispositivi artificiali di irrigazione. Il terreno de quo presenta infatti le predette caratteristiche che lo pongono al di fuori di una nozione intrinseca e costitutiva di bosco per ascriverlo, invece, più correttamente, ad una nozione di giardino privato (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 30.10.2008 n. 2723 -
link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAAree boschive - Costruzione abusiva - Nozione di bosco - Vincolo ambientale - Fattispecie - D.Lgs n. 227/2001 - Art. 44 lett. C d.p.r. n. 380/2001.
Al fine di individuare i territori boschivi protetti da vincolo, dopo l'entrata in vigore del d.lgs 18.05.2001, n. 227, deve qualificarsi come bosco, ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, da sughereti o da macchia mediterranea (Cass. pen. sez. 1111 sent. 16/11/2006, n. 1874). Sicché, nei casi di riscontro positivo del vincolo è corretto applicare l'art. 44 lettera C del d.p.r. n. 380 del 2001 che sanziona la violazione del vincolo ambientale. Nella specie, la zona in cui era stata eseguita la costruzione abusiva, in ragione delle colture arboree in esse esistenti, era naturalmente sottoposta a vincolo boschivo in quanto interamente coperta da sughereta, consociata con roverella, precisando che l'ispezione dei luoghi aveva evidenziato che erano stati eseguiti lavori sul terreno dal quale erano stati rimossi massi di basalto ed altro materiale roccioso e al contempo estirpati ceppi vitali di sughera, roverella, lentisco, olivastro ed altre piante tipiche della macchia mediterranea che, in precedenza, erano stati danneggiati da un violento incendio e che erano in fase di crescita.
Domanda di sanatoria - Commissione edilizia - Parere favorevole - Equivalenza di permesso di costruire in sanatoria - Esclusione.
Il parere favorevole formulato dalla Commissione edilizia sulla domanda di sanatoria non equivale al rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
AGRICOLTURA - Attività di silvicoltura - Presupposti - Conservazione delle colture.
L’attività di silvicolutura presuppone, in linea generale, la conservazione delle colture e non la loro eliminazione (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.06.2008 n. 23071 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATABeni Ambientali. Nozione di bosco ed attività di silvicoltura.
In tema di tutela del paesaggio ed al fine di individuare i territori boschivi protetti da vincolo deve qualificarsi come bosco, dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 18.05.2001, n. 227, ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, da sughereti o da macchia mediterranea.
L’attività di silvicolutura presuppone la conservazione delle colture e non anche la loro eliminazione (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.06.2008 n. 23071 - link a www.lexambiente.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATANozione di bosco - Aree assimilate al bosco - Presupposti - Art. 2 c. 6 d.lgs. n. 227/2001 - Reato di cui agli art. 44 letto c) d.P.R. n. 380/2001 e 142 lett. g) del d. lgs. n. 42/2004.
Il bosco è definito nel comma 6 dell'art. 2 del d.lgs.18.05.2001 n. 227 e coincide con ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché avente estensione non inferiore ai 2.000 metri quadrati, larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento. Al bosco sono assimilate anche altre superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco medesimo. Fattispecie: lavori edilizi d'urbanizzazione primaria, su un terreno sottoposto a vincolo paesaggistico, senza avere preventivamente ottenuto il prescritto nulla osta dalla competente autorità e conseguente sequestro preventivo dell'area soggetta avente le caratteristiche di area boscata (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.06.2007 n. 24258 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATABoschi e foreste – Nozione di bosco – Aree parzialmente boscate – Presenza di muri di cinta.
In assenza di una più precisa definizione normativa, la nozione di bosco deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste, ma anche, per identità di ratio, a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto forestale e senza che possa assumere alcun rilievo la costruzione di eventuali muri di cinta o analoghi manufatti che delimitino una parte più o meno estesa del bosco medesimo (nella specie, è stato ritenuto che la zona oggetto di contestazione, limitrofa al bosco, ma caratterizzata da sporadici alberi di alto fusto in un contesto di edifici residenziali, non potesse essere considerata area boscata) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 10.03.2007 n. 1174 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Area boscata - Nozione - Qualifica di bosco - Presupposti - Inclusione negli elenchi - Necessità - Esclusione - Art. 163 D. Lgs. n. 490/1999 - Art. 181 D. Lgs. n. 42/2004.
Il taglio del bosco eseguito con tecnica a raso e non culturale configura il reato dell'articolo 163 d.lgs. n. 490/1999, ora sostituito dall'articolo 181 del D.Lgs. n. 42 della 2004 (Sez. 3 n 18695 dell'11.03.2004, rv 228452).
Un’area boscata è qualificabile dalla presenza effettiva del bosco quando un terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, abbia i requisiti indicati dalla normativa in materia, (ad es. estensione, copertura, ecc). e ciò indipendentemente dal dato che la zona sia riportata come tale in specifici elenchi.
Sicché, ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico non può assumere una portata riduttiva la nozione di "territorio coperto da bosco".
BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Nozione di "territorio coperto da bosco" - Zona boscata - Natura.
La nozione di "territorio coperto da bosco", ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 1, lett. g), della legge 08/08/1985 n. 431 e s.m., non può assumere una portata riduttiva (Sez. 3, n. 1551 del 10/04/2000 Rv. 216980), sicché la natura di zona boscata è determinata dalla presenza effettiva di bosco fitto di alto fusto o di bosco rado indipendentemente dal dato che la zona sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale (Sez. 3, n. 17060 del 21/03/2006 Rv. 234318).
BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Macchia mediterranea - Zona boscata - Tutela.
La macchia mediterranea interessata dalla predominanza, rispetto ai sottostanti cespugli, di alberi di medio fusto o di essenze arbustive di elevato sviluppo -e non avente, quindi, caratteristiche di macchia bassa o rada- rientra nella previsione dell'art. 1, lett. g), della legge 08/08/1985 n. 431 e s.m. (da ultimo Sez. 3, n. 48118 del 04/11/2004 Rv. 230483) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 25.01.2007 n. 2864 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di bosco - Tutela paesaggistica - Competenze dello Stato e delle Regioni - Lotta contro gli incendi boschivi - Art. 2, c. 6, D.Lgs. n. 227/2001.
La definizione della nozione di bosco ai fini della tutela paesaggistica spetta solo allo Stato, che l'ha esercita attraverso il comma 6, dell'art. 2 del D.Lgs. 18.05.2001 n. 227, mentre spetta alle Regioni stabilire eventualmente un diverso concetto di bosco per i territori di loro appartenenza, solo per fini diversi, attinenti per esempio allo sviluppo dell'agricoltura e delle foreste, alla lotta contro gli incendi boschivi, alla gestione dell'arboricoltura da legno etc..
E' evidente che se le Regioni formulassero una diversa definizione di bosco avente efficacia anche per la individuazione dei territori boschivi protetti dal vincolo paesaggistico finirebbero per interferire sulla estensione della tutela dell'ambiente, che per precisa scelta costituzionale è riservata allo Stato. (Legge costituzionale 18.10.2001 n. 3, che ha modificato la ripartizione delle competenze regionali tra Stato e Regioni).
Individuazione dei territori boschivi protetti dal vincolo paesaggistico - Nozione di bosco.
La nozione di bosco ai fini della individuazione dei territori boschivi protetti dal vincolo paesaggistico è stata definita nel comma 6 dell'art. 2 del D.Lgs. 18.05.2001 n. 227, e coincide con ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sugherete o da macchia mediterranea, purché avente estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati, larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento. Inoltre, sono assimilati al bosco i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per fini di tutela ambientale, nonché le radure e le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco.
INCENDI boschivi - Elaborazione dei piani regionali - Competenza regioni - Limiti.
In materia di incendi boschivi, la legge 21.11.2000 n. 353 (legge quadro in materia di incendi boschivi), affida alle regioni il compito di elaborare piani regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi, sulla base di linee guida e direttive deliberate dal Consiglio dei ministri.
Tutela dei boschi - Concetto di bosco - Fattispecie.
Il D.Lgs. 18.05.2001 n. 277, all'art. 2, stabilisce una definizione generale, valevole per ogni normativa che si riferisca ai boschi ed espressamente per la normativa ambientale che tutela i boschi, quale è l'art. 146, comma 1, lett. g), D.Lgs. 490/1999, ora sostituito dall'art. 142 comma 1, lett. g) D.Lgs. 22.01.2004 n. 42.
Tale generale definizione vale sino a che le regioni, per gli stessi fini previsti dalle norme nazionali, non provvedano a definire il concetto di bosco relativamente al territorio di loro competenza, e a meno che le stesse regioni non abbiano diversamente già definito il concetto per gli stessi fini previsti dalle leggi nazionali.
Nella specie, il concetto di bosco definito dal piano regionale della Sardegna approvato allo specifico fine della prevenzione e repressione degli incendi boschivi, non può sostituire la definizione di bosco formulata nel comma 6 dell'art. 2 su riportato valevole al fine della tutela paesaggistica.
Nozione di bosco - Fattispecie giuridica di "bosco" - Giurisprudenza - Art. 2 del D.Lgs. 227/2001.
Nella nozione di bosco rientra sia la vegetazione arborea, sia la macchia mediterranea come tale, indipendentemente dal suo carattere arboreo o arbustivo, sicché non si dovrebbe più distinguere tra "macchia alta", di predominanza arborea, e "macchia bassa", di natura arbustiva.
In tal senso non si può condividere Cass. Sez. III, n. 6011 del 14.12.2001, Martella, rv. 221164 (poi seguita da Cass. Sez. III, n. 48118 del 04.11.2004, Cani, rv. 230483), che ha il merito di aver rigorosamente distinto, secondo criteri botanici, le nozioni di macchia alta, macchia bassa e macchia rada o "gariga", ma anche il difetto di aver del tutto ignorato la definizione da poco formulata dal legislatore con l'art. 2 del D.Lgs. 227/2001. (In relazione a tale definizione, si potrebbe plausibilmente sostenere che dei tre tipi di macchia individuati nella sentenza Martella, solo la "gariga", cioè la scarna coltre vegetale dei suoli più poveri, resti estranea alla nozione legislativa di bosco).
Alla luce dei principi su esposti, del tutto correttamente il giudice del riesame ha ritenuto che nel caso di specie ricorresse la fattispecie giuridica di "bosco", come tale vincolata a fini paesaggistici, atteso che il terreno sul quale era in corso di realizzazione l'intervento de quo era coperto da macchia mediterranea c.d. alta, composta da tipica vegetazione arborea, associata a vegetazione arbustiva (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.01.2007 n. 1874 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Bosco - Realizzazione di recinzione in legno e rete metallica - Mancanza di autorizzazione - Reato di cui all'art. 181 D.Lgs. n. 42/2004 - Configurabilità.
La realizzazione, all'interno di un bosco e in difetto della preventiva autorizzazione, di una recinzione con traverse di legno e rete metallica, incide in modo giuridicamente rilevante sull'assetto paesaggistico della zona, configurando il reato di esecuzione di lavori su beni paesaggistici, di cui all'art. 163 del D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 (ora sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42). Sicché è necessario per la realizzazione dell’opera l'autorizzazione dell'Ente preposto alla tutela ambientale, ex art. 150 D.L.vo 490/1999 (norma ora riprodotta nell'art. 146 comma 2° D.L.vo 42/2004).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ex art. 181 D.Lgs. n. 42/2004 - Natura - Reato di pericolo - Configurabilità.
Il reato di cui all'art. 163 D.L.vo 490/1999, 490 (ora sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42), ha natura di reato di pericolo astratto, onde per la sua configurabilità non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendosi escludere dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici [Giurisprudenza consolidata: Cass. Sez. III Sent. n. 14461 del 28/03/2003, ric. Carparelli; Cass. Sez. III Sent. n. 19761 del 29/04/2003; Cass. Sez. III Sent. n. 38051 del 28/09/2004 ; Cass. Sez. III Sent. n. 23980 del 26/05/2004, ry 224468; Cass. Sez. III Sent. n. 12863 del 20/03/2003, ric. Abate] (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.11.2006 n. 39355 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E FORESTE - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Bosco - Realizzazione di recinzione in legno e rete metallica - Mancanza di autorizzazione - Reato di cui all'art. 181 D.Lgs. n. 42/2004 - Configurabilità.
La realizzazione, all'interno di un bosco e in difetto della preventiva autorizzazione, di una recinzione con traverse di legno e rete metallica, incide in modo giuridicamente rilevante sull'assetto paesaggistico della zona, configurando il reato di esecuzione di lavori su beni paesaggistici, di cui all'art. 163 del D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 (ora sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42). Sicché è necessario per la realizzazione dell’opera l'autorizzazione dell'Ente preposto alla tutela ambientale, ex art. 150 D.L.vo 490/1999 (norma ora riprodotta nell'art. 146 comma 2° D.L.vo 42/2004).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ex art. 181 D.Lgs. n. 42/2004 - Natura - Reato di pericolo - Configurabilità.
Il reato di cui all'art. 163 D.L.vo 490/1999, 490 (ora sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42), ha natura di reato di pericolo astratto, onde per la sua configurabilità non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendosi escludere dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici [Giurisprudenza consolidata: Cass. Sez. III Sent. n. 14461 del 28/03/2003, ric. Carparelli; Cass. Sez. III Sent. n. 19761 del 29/04/2003; Cass. Sez. III Sent. n. 38051 del 28/09/2004 ; Cass. Sez. III Sent. n. 23980 del 26/05/2004, ry 224468; Cass. Sez. III Sent. n. 12863 del 20/03/2003, ric. Abate] (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.11.2006 n. 39355 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni culturali e ambientali - Vincolo di rimboschimento - Obbligo di rimboschimento - Assimilazione ai boschi.
L’assimilazione ai boschi dei fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento richiede la sola presenza del provvedimento amministrativo o della disposizione normativa che abbia imposto il vincolo di rimboschimento.
E’ da escludersi il concorso apparente di norme e, conseguentemente, l’applicazione del principio di specialità tra la violazione paesaggistica di cui all’articolo 181 D.Lv. 42/2004 e il DL 3267/1923 artt. 26 e 54 in tema di vincolo idrogeologico e tra la medesima violazione penale e la legge 950/1956 art. 1 in materia di polizia forestale.
Beni culturali e ambientali - Vincoli idrogeologici - Danneggiamento o taglio di piante - Art. 26 D.l. n. 3267/1923 e Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 - Finalità di salvaguardia - Differenza del bene protetto.
L'art. 26 del d.l. 30.12.1923, n. 3267, è dettato a protezione del vincolo idrogeologico e di altri simili interessi (difesa dalla caduta di valanghe, sassi, furia dei venti, oltre che difesa delle condizioni igieniche locali e difesa militare) e sanziona il fatto di chi danneggi piante o comunque arrechi altri danni nei boschi vincolati per scopi idrogeologici o per gli altri scopi indicati e ciò in violazione delle prescrizioni impartite dalle competenti autorità.
Mentre, l'art. 163 del d.lgs. 29.10.1999, n. 490 (ora art. 181 d.lgs. 22.01.2004, n. 42), è dettato a tutela degli interessi paesaggistici ed ambientali, e segnatamente alla salvaguardia del bosco nel suo valore estetico-ambientale, e sanziona il fatto di chi esegua lavori di qualsiasi genere su beni ambientali senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, a prescindere dal fatto che arrechi o meno un danno o un pregiudizio.
Agricoltura - Vincoli idrogeologici - Terreni rimboschiti - Art. 54 D.l. n. 3267/1923 - Finalità di salvaguardia - Operazioni di governo boschivo in difformità del piano di coltura e conservazione approvato - Pascoli - Sanzioni.
L'art. 54 del d.l. 30.12.1923, n. 3267, persegue la finalità di salvaguardare il vincolo idrogeologico (o gli altri interessi indicati) e sanziona proprietario dei terreni rimboschiti per effetto dello stesso decreto legge che effettui sugli stessi la coltura agraria o effettui il pascolo secondo modalità diverse da quelle previste o comunque compia le operazioni di governo boschivo in difformità del piano di coltura e conservazione approvato.
Taglio di boschi - Fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento - D.Lgs. n. 227/2001 - Definizione di bosco - Requisiti minimi - Esclusione - Fattispecie.
La disposizione dell’art. 2, comma 6, del d.lgs. 18.05.2001, n. 227, riferisce i requisiti «estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti», soltanto alle formazioni vegetali ed ai terreni su cui esse sorgono al fine della loro qualificazione come boschi e non anche ai fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento, per la cui assimilazione ai boschi non occorre anche la presenza dei detti requisiti, essendo sufficiente la presenza del provvedimento amministrativo o della disposizione normativa che abbia imposto il vincolo di rimboschimento per una delle finalità indicate.
Nella specie, appare assolutamente inverosimile ed illogico il comportamento del proprietario di un terreno che, avvertito delle distruzione delle piantine di sua proprietà e pur a conoscenza del vincolo gravante sul terreno, non sporga immediatamente denuncia all'organo competente al quale sa bene di dover rendere conto della piantagione.
Taglio di boschi - Terreno sottoposto a vincolo di rimboschimento - Violazione delle norme di polizia forestale - L. n. 950/1956 - Art. D.L. n. 3267/1923 - Fattispecie.
L'art. 1 della legge 09.10.1956, n. 950, sanziona la violazione delle norme di polizia forestale contenute nei regolamenti di cui all'art. 10 del d.l. 30.12.1923, n. 3267. Nella specie, è stato ritenuto che sussiste il vincolo ambientale non perché si tratta di un bosco (in senso stretto) bensì perché si tratta di terreno sottoposto a vincolo di rimboschimento.
Ai sensi, dell'art. 146 del d.lgs. 29.10.1999, n. 490 (ora art. 142 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42), alla lett. G), inserisce tra i beni ambientali tutelati per legge, oltre i territori coperti da foreste e da boschi, anche quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento.
L'art. 142 del d.lgs. 22.01.2004, n. 42, alla lett. G) che sono soggetti a tutela ambientale «i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18.05.2001, n. 227».
L'art. 2 del d.lgs. 18.05.2001, n. 227, poi, prevede nel comma 2 che entro dodici mesi le regioni stabiliscano per il territorio di loro competenza la definizione di bosco (ed in particolare i valori minimi di larghezza, estensione e copertura), e nel comma 3 che sono assimilati al bosco, tra gli altri, «i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale» (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.09.2006 n. 32542 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Impianto sanzionatorio - Previsione di un'unica sanzione ignoranza inevitabile - Fattispecie: lavori di dissodamento, livellamento e sradicamento di ceppaie su un terreno coperto da boschi - Art. 181 d. L.vo n. 42/2004 - Art. 20 L. n. 47/1985 (ora articolo 44, D.P.R. n. 380/2001 - testo unico dell'edilizia).
La previsione di un'unica sanzione per le diverse violazioni contemplate nell'articolo 163 del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora art. 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004), trova giustificazione nella rilevanza pubblica dei beni protetti e nel carattere immediato ed interinale della tutela che il legislatore ha inteso apprestare per l'urgente necessità di reprimere condotte in grado di apportare gravi danni all'integrità ambientale. D'altra parte, la previsione di un'unica sanzione per comportamenti diversi non è irragionevole perché l'articolo 20 legge n. 47 del 1985 (ora articolo 44 del testo unico dell'edilizia) richiamato dall'articolo 163 decreto legislativo n. 490 del 1999 prevede diverse ipotesi e comunque quella applicabile alla fattispecie ossia la lettera C) presenta un notevole divario tra il limite minimo e quello massimo, per cui è possibile per il giudice graduare la pena al caso in concreto a norma degli artt. 132 e 133 c.p. (cfr. Corte Costituzionale n 285 del 1991).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ambientale - Tutela giuridica del paesaggio e disciplina edilizia - Differenza sostanziale delle discipline - D. L.vo n. 42/2004 - Art. 20 L. n. 47/1985 ora art. 44 D.P.R. n. 380/2001.
Non è possibile, attesa la differenza sostanziale della tutela giuridica del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia per la diversità di scopi, di presupposti e di oggetto, alcuna trasposizione di istituti tra le due discipline ed, in particolare, il trasferimento di un regime sanzionatorio graduato in relazione a varie tipologie di interventi edilizi al reato ambientale, per il quale il "vulnus" all'assetto paesaggistico non è dipendente dal grado di tali interventi (cfr. Cass. n. 30866/2001).
BOSCHI - Taglio di un bosco ceduo ed estirpazione di ceppaie - Differenza - Ignoranza inevitabile della legge - Esclusione - Fondamento - Fattispecie: terreno coperto da boschi, taglio, lavori di dissodamento, livellamento e sradicamento di ceppaie.

L'ignoranza inevitabile della legge non può essere invocata quando colui il quale intraprende un'attività ha l'obbligo di informarsi con diligenza sulla normativa che disciplina quell'attività e, nel caso di dubbio, di astenersi dal porre in essere la condotta (cfr. Cass. 28397 del 2004). Nella specie, non può essere invocata l'ignoranza inevitabile della legge in quanto l'assenso al taglio del bosco da parte degli agenti del Corpo forestale , dedotto come causa dell'errore, riguardava il taglio del legname in un bosco ceduo che è cosa diversa dall'estirpazione delle ceppaie e quindi non può giustificare la condotta ascritta (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.04.2007 n. 13759 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Impianto sanzionatorio - Previsione di un'unica sanzione ignoranza inevitabile - Fattispecie: lavori di dissodamento, livellamento e sradicamento di ceppaie su un terreno coperto da boschi - Art. 181 d. L.vo n. 42/2004 - Art. 20 L. n. 47/1985 (ora articolo 44, D.P.R. n. 380/2001 - testo unico dell'edilizia).
La previsione di un'unica sanzione per le diverse violazioni contemplate nell'articolo 163 del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora art. 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004), trova giustificazione nella rilevanza pubblica dei beni protetti e nel carattere immediato ed interinale della tutela che il legislatore ha inteso apprestare per l'urgente necessità di reprimere condotte in grado di apportare gravi danni all'integrità ambientale. D'altra parte, la previsione di un'unica sanzione per comportamenti diversi non è irragionevole perché l'articolo 20 legge n. 47 del 1985 (ora articolo 44 del testo unico dell'edilizia) richiamato dall'articolo 163 decreto legislativo n. 490 del 1999 prevede diverse ipotesi e comunque quella applicabile alla fattispecie ossia la lettera C) presenta un notevole divario tra il limite minimo e quello massimo, per cui è possibile per il giudice graduare la pena al caso in concreto a norma degli artt. 132 e 133 c.p. (cfr. Corte Costituzionale n 285 del 1991).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ambientale - Tutela giuridica del paesaggio e disciplina edilizia - Differenza sostanziale delle discipline - D. L.vo n. 42/2004 - Art. 20 L. n. 47/1985 ora art. 44 D.P.R. n. 380/2001.
Non è possibile, attesa la differenza sostanziale della tutela giuridica del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia per la diversità di scopi, di presupposti e di oggetto, alcuna trasposizione di istituti tra le due discipline ed, in particolare, il trasferimento di un regime sanzionatorio graduato in relazione a varie tipologie di interventi edilizi al reato ambientale, per il quale il "vulnus" all'assetto paesaggistico non è dipendente dal grado di tali interventi (cfr. Cass. n. 30866/2001).
BOSCHI - Taglio di un bosco ceduo ed estirpazione di ceppaie - Differenza - Ignoranza inevitabile della legge - Esclusione - Fondamento - Fattispecie: terreno coperto da boschi, taglio, lavori di dissodamento, livellamento e sradicamento di ceppaie.

L'ignoranza inevitabile della legge non può essere invocata quando colui il quale intraprende un'attività ha l'obbligo di informarsi con diligenza sulla normativa che disciplina quell'attività e, nel caso di dubbio, di astenersi dal porre in essere la condotta (cfr Cass. 28397 del 2004). Nella specie, non può essere invocata l'ignoranza inevitabile della legge in quanto l'assenso al taglio del bosco da parte degli agenti del Corpo forestale , dedotto come causa dell'errore, riguardava il taglio del legname in un bosco ceduo che è cosa diversa dall'estirpazione delle ceppaie e quindi non può giustificare la condotta ascritta (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.04.2007 n. 13759 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATA: In tema di tutela del paesaggio, la natura di zona boscata è determinata dalla presenza effettiva di bosco fitto di alto fusto o di bosco rado indipendentemente dal dato che la zona sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale e in considerazione del fatto che la nozione di territorio coperto da bosco nella legislazione paesaggistica deve essere ricavata non solo in senso naturalistico ma anche normativo, riferendosi a provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, ad atti amministrativi generali o particolari, sicché non è possibile adottare una concezione quantitativa e restrittiva del bosco, indipendentemente dal momento in cui il bosco si è formato.
La coltivazione di alberi che esclude il vincolo suddetto è soltanto quella finalizzata esclusivamente alla produzione di legno, svolta su terreni non precedentemente boscati.

-
che in tema di tutela del paesaggio, la natura di zona boscata è determinata dalla presenza effettiva di bosco fitto di alto fusto o di bosco rado indipendentemente dal dato che la zona sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale (Cassazione penale, sez. III, 21.03.2006, n. 17060) e in considerazione del fatto che la nozione di territorio coperto da bosco nella legislazione paesaggistica deve essere ricavata non solo in senso naturalistico ma anche normativo, riferendosi a provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, ad atti amministrativi generali o particolari, sicché non è possibile adottare una concezione quantitativa e restrittiva del bosco, indipendentemente dal momento in cui il bosco si è formato (Cass. Sez. III, 02.07.1994 e Sez. III 26.03.1997);
- Ritenuto, infatti, che la coltivazione di alberi che esclude il vincolo suddetto è soltanto quella finalizzata esclusivamente alla produzione di legno, svolta su terreni non precedentemente boscati, il che non risulta nel caso di specie (cfr. Trib. Livorno, 16.12.2002)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 24.08.2005 n. 4122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).